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Q - Terrà

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i quaderni di<br />

terrà<br />

Q


i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Tra gli appunti di molti viaggiatori si legge spesso lo stesso commento: «Per essere amata, la Sicilia dev’essere<br />

visitata e vissuta». Ed è proprio vero, perché nell’Isola del mare e del vulcano, ma anche dell’entroterra<br />

imprevedibile, si fondono in un tutt’uno i quattro elementi empedoclei: aria, acqua, terra e fuoco.<br />

Difficile impresa, allora, affidare tutta la complessità di cui siamo capaci alle poche pagine di una rivista.<br />

Tuttavia ci proviamo lo stesso, consapevoli dell’approssimazione cui andiamo incontro, ma con il desiderio<br />

di mostrare almeno uno dei tanti volti della Sicilia.<br />

Da un anno la nostra voce si chiama <strong>Terrà</strong>, il bimestrale che pubblichiamo come assessorato regionale<br />

Agricoltura e Foreste.<br />

Oggi ci presentiamo ai lettori con uno Speciale. Come dire che, dopo sette cartoline, per una volta scriviamo<br />

una lettera. I Quaderni di <strong>Terrà</strong> rappresentano un focus su due settori, fra i tanti, caratteristici della<br />

Sicilia agricola: la viticoltura e l’olivicoltura.<br />

Una scelta non casuale, a dire il vero, ma determinata dalla nostra presenza, tra il 6 e il 10 aprile, a Vinitaly<br />

e Sol, le due fiere veronesi dedicate rispettivamente all’enologia e agli oli. Abbiamo pensato, infatti,<br />

che la pubblicazione di un volume ad hoc fosse un buon modo per accompagnare le migliori aziende isolane<br />

nell’annuale confronto con le colleghe europee. Ci sembrava giusto raccontare al pubblico, attraverso<br />

una apposita pubblicazione, il contesto in cui nascono le nostre produzioni di punta.<br />

E allora affidiamo ai lettori un’ampia riflessione presentata in una raffinata veste grafica, in cui le fotografie<br />

giocano un ruolo determinante, come accompagnatrici per l’immaginazione. I Quaderni regalano un<br />

omaggio ai produttori siciliani. Affidano un ricordo ai tanti che conoscono l’Isola. Rivolgono un invito a visitarci<br />

a tutti i viaggiatori ancora scettici.<br />

Concentrandoci sul vino e sull’olio, del resto, parliamo ovviamente anche del turismo. Non il turismo di<br />

massa, che si concentra lungo le coste e che, spesso, si accontenta del “mordi e fuggi”. Chiediamo l’attenzione<br />

di quanti sentono il viaggio come possibilità di scoperta, spinti dalla curiosità di confrontarsi con<br />

il caleidoscopio di differenze che animano la Sicilia.<br />

Per questa ragione, una sezione dei Quaderni è dedicata alle undici Strade e rotte del vino siciliane, che<br />

rappresentano il luogo di raccordo del turismo enogastronomico. E abbiamo il piacere di annunciare che,<br />

molto presto, partirà un progetto simile dedicato alle varietà di olio.<br />

Sono convinto, del resto, che sorbire un bicchiere di buon vino o assaporare il nostro pane e olio aiutino<br />

ad aprire una finestra sull’identità dell’Isola.<br />

Innocenzo Leontini assessore all’Agricoltura e Foreste della Regione siciliana


i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

DIRETTORE EDITORIALE Innocenzo Leontini<br />

DIRETTORE SCIENTIFICO Dario Cartabellotta<br />

DIRETTORE RESPONSABILE Stefania Sgarlata<br />

REDAZIONE E COORDINAMENTO Marina Di Leo<br />

COLLABORAZIONI REDAZIONALI Alessia Di Grigoli,<br />

Daniela Gambino, Simona Licandro, Valentina Madonia<br />

FOTOGRAFIE Luigi Nifosì, Alessandro Nigro<br />

IMPAGINAZIONE Giusi Adelfio<br />

COLLABORAZIONE TECNICA Carlo Cottone<br />

AMMINISTRAZIONE Enrico Fuggetta, Francesca Massaro<br />

SEGRETERIA Severino Moschetti<br />

i quaderni di terrà © numero 1<br />

editi dall’assessorato Agricoltura e Foreste<br />

della Regione siciliana<br />

Dipartimento Interventi strutturali<br />

Servizio IX - Servizi allo Sviluppo<br />

Chiuso in redazione il 9 marzo 2006<br />

Testi e illustrazioni del Quaderno potranno essere utilizzati previo consenso<br />

e citando la fonte. <strong>Terrà</strong> si dichiara disponibile a regolare eventuali pendenze<br />

relative a fotografie i cui detentori dei diritti non sia stato possibile reperire.<br />

Il contenuto dei testi non esprime necessariamente la posizione dell’Assessorato.<br />

Redazione: via Lo Bianco, 1 - 90144 Palermo<br />

tel. 0916702100 - fax 091525893<br />

terra.direzione@regione.sicilia.it<br />

terra.redazione@regione.sicilia.it<br />

terra.progetto@regione.sicilia.it<br />

terra.distribuzione@regione.sicilia.it


i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

3 PRESENTAZIONE Innocenzo Leontini<br />

VINO<br />

6 MESSAGGIO IN BOTTIGLIA Nino Panicola<br />

10 COME SALVARE LA VITE Giuseppe Spartà<br />

13 SELEZIONE CLONALE, LUCI E OMBRE Daniela Bica e Dario Cartabellotta<br />

16 IL LIEVITO FA BUON VINO Giacomo Ansaldi<br />

18 RITORNO AL FUTURO MADE IN SICILY Giuseppe Spartà e Eugenio De Vita<br />

20 LE MILLE E UNA BOTTE Andrea Zanfi<br />

22 UN BRINDISI AL NETWORK Pietro Miosi<br />

24 LE TRE T DEL SUCCESSO Valentina Madonia<br />

LE STRADE E LE ROTTE DEL VINO<br />

26 IL VINO SICILIANO FA STRADA Dario Di Bernardi<br />

29 SI VINCE ANDANDO “A RETE” Antonella Artista<br />

30 ISTITUIRE NON BASTA Giuseppe Bursi e Claudia Di Maio<br />

32 GLI ITINERARI<br />

L’ULIVO E L’OLIO<br />

44 L’ULIVO COME METAFORA Margherita Caracappa<br />

46 I NUMERI DEI PATRIARCHI VERDI Rosario Schicchi<br />

48 INNOVARE PER CRESCERE Antonio Cimato<br />

50 IL SEGRETO DELLA CHIOMA PIATTA Tiziano Caruso<br />

53 SARÀ MINUTA, MA È GRANDE Pippo Ricciardo<br />

54 ECCO IL FRITTO D’AROMI Dino Catagnano<br />

57 UNA DOP DAVVERO VULCANICA Giuseppe Pennino<br />

58 UN SAPORE IRRINUNCIABILE Ciccio Sultano<br />

60 UN’OLIVA TIRA L’ALTRA Felice Crescente<br />

62 OLIO D’ARTISTA Carmelo Pagano


«Il vino parla. Lo sanno tutti. […]<br />

È ventriloquo. Ha un milione<br />

di voci. Scioglie la lingua, svela<br />

segreti che non avresti mai voluto<br />

raccontare, segreti che non sapevi<br />

nemmeno di conoscere.<br />

Grida, declama, sussurra.<br />

Racconta grandi cose, progetti<br />

meravigliosi, amori tragici<br />

e tradimenti terribili.<br />

Ride a crepapelle.<br />

Soffoca piano una risata fra sé».<br />

Joanne Harris


Le alterne vicende di mercato che si riferiscono<br />

ai vini made in Sicily ci comunicano<br />

quanto segue: la piattaforma ampelografica<br />

regionale è attualmente di circa<br />

117.000 ettari, a cui bisogna aggiungerne<br />

circa 22.000 in portafoglio e altri 1.620 di<br />

nuovi impianti in corso di assegnazione.<br />

Traduzione del dato: in Sicilia l’imprenditore<br />

agricolo “crede” ancora nella vite e investe<br />

in questo settore. La produzione d’uva<br />

complessiva è quantificabile in circa 9 milioni<br />

di quintali, dai quali si ottengono circa<br />

5 milioni e mezzo di ettolitri di vino (oltre 10<br />

milioni negli anni Ottanta) e quasi un milione<br />

e mezzo di ettolitri di mosto. Il concetto<br />

è chiaro: la produzione in vino è decisamente<br />

dimezzata rispetto a un decennio<br />

addietro. Il 66% delle uve è a bacca bianca,<br />

mentre il 34% è nera, e la lettura di<br />

questo dato fa capire che si sta abbandonando<br />

l’allevamento di uve bianche, tipo<br />

trebbiano e catarratto, mentre si investe<br />

sempre di più in nuovi impianti di uve nere,<br />

autoctone e alloctone.<br />

La produzione di vini Doc continua a rimanere<br />

assai limitata, quasi 200.000 ettolitri.<br />

Anche questo dato ha una sua chiave di<br />

lettura: è molto più facile vendere il vino<br />

con la Indicazione geografica tipica “Sicilia”,<br />

ormai apprezzata dal consumatore,<br />

piuttosto che nobilitare il prodotto con una<br />

Denominazione di origine controllata che<br />

non fa intendere chiaramente la sua provenienza<br />

siciliana.<br />

Decisamente sconfortanti le cifre relative<br />

alle esportazioni di masse vinose sfuse,<br />

solo 440.000 ettolitri (alla fine degli anni<br />

Novanta il dato era di oltre 1,2 milioni di ettolitri).<br />

Anche in questo caso occorre rilevare<br />

le problematiche internazionali che hanno<br />

prodotto una simile débâcle: la concorrenza<br />

della Spagna e delle nazioni sudamericane<br />

innanzitutto. Con prezzi decisamente<br />

più competitivi rispetto ai vini siciliani<br />

questi paesi di lingua spagnola hanno<br />

letteralmente conquistato in un decennio<br />

un mercato che era quasi totalmente siciliano.<br />

Impossibile cercare di reagire in termini<br />

di leale concorrenza, vista la scarsa, o<br />

inesistente, tutela della manodopera locale<br />

di questi paesi, unitamente a una moderna<br />

visione della viticoltura (leggi estrema meccanizzazione)<br />

e dell’enologia moderna.<br />

Occorre aggiungere un dato assai interessante,<br />

molto spesso poco considerato:<br />

la media vitata di ogni singolo produttore<br />

nostrano è di circa 1,3 ettari,<br />

Nonostante le difficoltà dell’ultimo<br />

biennio, il vino siciliano fattura<br />

800 milioni di euro l’anno e impiega<br />

30.000 addetti. Trend positivo pure<br />

nell’esportazione in Usa e Germania<br />

MESSAGGIO IN BOTTIGLIA<br />

di NINO PANICOLA<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Per fronteggiare<br />

la concorrenza<br />

internazionale<br />

occorre ridurre<br />

i costi di gestione<br />

e investire nella<br />

meccanizzazione.<br />

Le istituzioni<br />

dovrebbero aiutare<br />

le cantine sociali<br />

a portare sul mercato<br />

le loro produzioni<br />

contro i 7 della Francia e i ben 300 dell’Australia,<br />

dell’Argentina e del Cile. In pratica i<br />

ridotti costi di gestione sono un vero atout<br />

in mano alla concorrenza. Si aggiunga che<br />

in Sicilia per ogni ettaro di vigneto sono necessarie<br />

400 ore di lavoro da parte degli<br />

addetti, tempi che la meccanizzazione potrebbe<br />

addirittura dimezzare.<br />

Le aziende che producono vini confezionati<br />

sono oggi circa 400, tra cui 50<br />

cantine sociali. Mi piace soffermarmi sulle<br />

cantine sociali per valutare un altro dato:<br />

ancora oggi il 75% della produzione regionale<br />

è ammassata presso le cantine sociali.<br />

In parole povere, le strutture cooperativistiche<br />

continuano a far la parte del leone<br />

nei confronti dell’imprenditore agricolo che<br />

conferisce le proprie uve presso le cantine<br />

di cui è socio. Ma la stragrande parte delle<br />

cantine sociali soffre di problemi relativi alla<br />

commercializzazione: detto in soldoni,<br />

non sanno collocare bene sui mercati né i<br />

vini sfusi, né i loro prodotti confezionati.<br />

Questo problema non è recente, tanto che<br />

nel lontano 1987, all’inaugurazione del Vinitaly,<br />

l’allora assessore regionale dell’Agricoltura,<br />

all’unisono col ministro dell’Agricoltura,<br />

invitò i presidenti e i consiglieri di amministrazione<br />

delle cantine sociali presenti<br />

(all’epoca almeno 150 aziende) a organizzarsi<br />

per la vendita di vini confezionati, sottolineando<br />

che gli aiuti dell’Unione europea<br />

non sarebbero stati eterni. Orbene, a vent’anni<br />

da quel giorno, l’invito è sempre attuale.<br />

Ma forse sarà opportuno che le istituzioni<br />

realizzino le condizioni per collaborare<br />

di più e meglio con le cantine sociali,<br />

vista l’incapacità dimostrata da queste ultime<br />

nell’affrontare le normali problematiche<br />

commerciali. A mio avviso le istituzioni potrebbero<br />

anche prevedere una compartecipazione<br />

ai costi relativi all’inserimento in<br />

organico delle cantine cooperative della figura<br />

di un responsabile commerciale, magari<br />

creando un albo di consulenti per questo<br />

settore.<br />

Ritorno al dato delle aziende vinicole<br />

private, ormai un punto di forza della<br />

nostra economia: dicevamo ben 400 cantine<br />

e tante altre in fase di realizzazione.<br />

Ogni cantina è un vero riferimento di produzione<br />

qualitativa territoriale, con una<br />

produzione vinicola di elevato livello viticolo<br />

ed enologico. Anche in questo segmento<br />

la buona volontà sembra tanta, ma le<br />

idee chiare poche. Franco Picone – titolare<br />

dell’omonima enoteca di Palermo e depo-<br />

pagina7 SPECIALE


sitario regionale del prestigioso circuito internazionale<br />

di esercizi che prende il nome<br />

di Vinarius – sostiene che dietro la porta<br />

della sua enoteca c’è ogni giorno un nuovo<br />

produttore pronto a consegnargli una campionatura<br />

di vini pregandolo di degustarli e<br />

di valutarli opportunamente per procedere<br />

alla successiva consistente fornitura. «In<br />

mezzo ai vini proposti – aggiunge Picone<br />

sconsolato – c’è quasi sempre un vino da<br />

10 euro e oltre. Inutile spiegare a questi<br />

produttori che una bottiglia di 12 euro, viene<br />

ricaricata normalmente del 30% e arriva<br />

sugli scaffali a 15-16 euro, entrando così in<br />

competizione con altri vini assai più famosi,<br />

premiati nelle guide e nei concorsi, quindi<br />

più ricercati».<br />

Le conclusioni sono facili da tirare. Altri<br />

enotecari, presenti nelle aree commerciali<br />

di Milano, riferiscono che il vino siciliano<br />

più gettonato è il Nero d’Avola in generale,<br />

ma molte richieste riguardano i vini premiati<br />

nelle principali guide nazionali. E quando<br />

si parla di guide, sia chiaro che il riferimento<br />

è quasi esclusivamente a Gambero<br />

Rosso e Luca Maroni.<br />

Un’altra curiosità: buona parte delle cantine<br />

private realizzate recentemente sono<br />

di proprietà di benestanti professionisti<br />

e possidenti. Fin qui nulla di strano,<br />

ma alcuni tra costoro sono convinti di<br />

poter gestire l’attività della propria cantina<br />

come hobby, nei ritagli di tempo o affidandone<br />

le sorti a parenti prossimi che<br />

magari non sono proprio dei veri esperti.<br />

I risultati (decisamente negativi) non<br />

tardano a giungere. Qualche altro imprenditore<br />

ha realizzato un vero e proprio<br />

investimento immobiliare approfittando<br />

delle agevolazioni previste da alcune<br />

leggi (488, Patti Territoriali, etc.), ma non<br />

ha capito che per arrivare a fatturare cifre<br />

di una certa entità c’è bisogno non solo di<br />

un enologo capace e responsabile (non<br />

necessariamente il grande nome nazionale<br />

da retribuire con compensi inusitati), ma<br />

anche di maestranze specializzate, di impiegati<br />

e, soprattutto, di esperti in marketing<br />

e in commerciale.<br />

I dati esposti dimostrano le potenzialità<br />

del vino siciliano, ma anche le problematiche<br />

che ne rallentano l’affermazione sui<br />

mercati. Malgrado questi freni alle vendite,<br />

l’Isola vinicola fattura qualcosa come 800<br />

milioni di euro l’anno, con ben 30.000 addetti;<br />

e l’incremento occupazionale è assai<br />

confortante, misurabile nel 20%. La crisi di<br />

questi ultimi due anni non ha, ahimé, favorito<br />

l’esportazione, ma sembra che la congiuntura<br />

sia già stata superata: tedeschi e<br />

americani hanno ricominciato a bere vini siciliani<br />

con un trend positivo entusiasmante.<br />

Consigli strategici<br />

Qual è la strategia da seguire per i prossimi<br />

anni? Le cantine sociali dovranno<br />

dotarsi di agronomi ed enologi preparati,<br />

rivolgendosi eventualmente anche a<br />

consulenti esterni: un bravo tecnico oggi<br />

è in condizione di controllare la qualità in<br />

pagina8 SPECIALE<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

tutto il ciclo produttivo, suggerendo ai soci<br />

le uve più interessanti da allevare, valutando<br />

i giusti tempi di maturazione e di vendemmia.<br />

Ma non basta, la cantina deve<br />

dotarsi anche di un esperto commerciale<br />

che possa a medio termine introdurre i vini<br />

confezionati sui mercati e nella grande distribuzione<br />

organizzata.<br />

I privati, invece, dovranno puntare su qualità<br />

estrema in cantina, marketing, pubbliche<br />

relazioni e oculate partecipazioni a fiere.<br />

Chi vuol fare l’imprenditore vinicolo deve<br />

aver sempre presente il vero traguardo<br />

da raggiungere, cioè che i suoi vini siano richiesti<br />

dal consumatore. Occorre quindi<br />

studiare strategie di marketing, selezionare<br />

agenti e distributori, curare l’immagine e il<br />

packaging, cercare di proporre vini con un<br />

buon rapporto qualità-prezzo, non pensare<br />

che necessariamente nella propria azienda<br />

vinicola si debbano produrre capolavori<br />

inestimabili da collezionare e/o vini d’autore<br />

da proporre alle aste Christie’s.<br />

Un altro invito alle cantine sociali e alle<br />

aziende vitivinicole private: non dimenticate<br />

le sperimentazioni viticole ed enologiche.<br />

E ancora, siate aperti alle innovazioni<br />

tecnologiche, partecipate a convegni,<br />

tavole rotonde e seminari. Cercate di<br />

mantenere buoni rapporti con la stampa<br />

di settore e non, invitate spesso qualche<br />

giornalista a visitare la vostra cantina.<br />

Le istituzioni, da parte loro, dovranno essere<br />

più presenti soprattutto in ambito<br />

comunitario per tutelare i propri interessi,<br />

piuttosto che pensare di lenire le ferite<br />

del comparto a causa delle ineluttabili<br />

leggi di mercato che favoriscono chi<br />

vende a basso prezzo. Meglio prevenire…<br />

A questo impegno di sapore squisitamente<br />

politico, abbinerei una maggiore presenza<br />

nelle piazze fieristiche internazionali. A mio<br />

avviso è il momento di presentare in tutte<br />

le principali vetrine-mercato del mondo i vini<br />

siciliani di oggi, organoletticamente in linea<br />

coi desideri dei consumatori, tecnicamente<br />

sempre più perfetti, e con un rapporto<br />

qualità-prezzo soddisfacente. Grazie<br />

all’eccellente lavoro di sperimentazione sui<br />

campi e in cantina, oltre che con la partecipazione<br />

alle fiere, anche l’Istituto regionale<br />

della Vite e del Vino ha permesso alla Sicilia<br />

vinicola di essere finalmente competitiva.<br />

Bisogna continuare a investire in questa<br />

direzione, specie ora che il volano della<br />

qualità si è finalmente avviato e che il<br />

comparto vitivinicolo sembra destinato a<br />

un futuro importante.<br />

Il leader Nero d’Avola<br />

Si è consolidata una preferenza considerevole<br />

da parte del consumatore verso<br />

i vini siciliani ottenuti da uve autoctone:<br />

tra i rossi, il ruolo di leader spetta al<br />

Nero d’Avola. Secondo dati recenti, oggi<br />

questa uva a bacca nera è il secondo vitigno<br />

allevato in Sicilia, con 17.500 ettari<br />

(14,9% sulla base regionale). Al primo posto<br />

c’è il Catarratto, uva bianca, che è in testa<br />

con il 36,6 %.


||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />

Una serra per tutte le stagioni<br />

Sempre più frequentemente<br />

l’uva da tavola viene coltivata<br />

all’interno delle serre<br />

dove però, durante l’estate,<br />

le stagioni intermedie<br />

e persino nelle belle giornate<br />

invernali, si raggiungono<br />

forti umidità ed eccessive<br />

temperature.<br />

Questo grave inconveniente viene adesso evitato<br />

con l’apertura totale del tetto della serra messa a<br />

Il Nero d’Avola, detto anche Calabrese, è il<br />

vitigno che è maggiormente piaciuto a tutti,<br />

imprenditori del Nord e consumatori in testa,<br />

e in effetti si tratta di un vino notevole<br />

con caratteristiche organolettiche di grande<br />

rilievo. Contrariamente ad altri vitigni facilmente<br />

“esportabili” nelle varie zone d’Italia<br />

e del mondo, il Nero d’Avola esprime il suo<br />

massimo quando viene allevato nella struggente<br />

meteorologia mediterranea siciliana.<br />

Oggi con le uve Nero d’Avola si realizza almeno<br />

una decina di prodotti con caratteristiche<br />

differenti, da vini monovarietali a<br />

blend vari, a vini barricati, novelli, rosati,<br />

perfino passiti e liquorosi, Marsala (ruby),<br />

etc. Il Nero d’Avola, inoltre, è il vitigno base<br />

nella composizione del Cerasuolo di Vittoria,<br />

il primo vino Docg della Sicilia.<br />

punto dal Consorzio di ricerca Ites.<br />

Una versione della serra particolarmente indicata<br />

per l’uva da tavola e, nel Nord Italia, anche per<br />

l’olivo ornamentale è quella che permette di scoprire<br />

il film mantenendo la protezione dalla grandine, dai<br />

vettori dei virus e dall’eccessiva insolazione.<br />

Per ciascuna metà del tetto, il film, avvolto in un<br />

tubo posto al colmo, viene collegato alla rete<br />

antigrandine (o antiafide o ombreggiante) avvolta in<br />

un altro tubo posto alla gronda. La rotazione dei<br />

due tubi in un senso avvolge la rete alla gronda<br />

tirando il film che, svolgendosi dal suo rullo, si<br />

chiude per proteggere la serra dal freddo e dalla<br />

pioggia. La rotazione in senso opposto scopre la<br />

Un momento<br />

della vendemmia<br />

Nel disegno,<br />

la serra<br />

a scopertura<br />

totale messa<br />

a punto<br />

dal Consorzio Ites<br />

serra dal film, che viene sostituito dalla rete per<br />

mantenere la protezione. Durante l’estate il film<br />

avvolto resta al riparo dai raggi ultravioletti.<br />

L’innovazione può essere realizzata in tutte le<br />

dimensioni, numero di navate, passo tra gli archi<br />

oggi in commercio. Può essere anche<br />

applicata alle serre esistenti. La serra al momento<br />

viene prodotta in Toscana e in Lazio.<br />

[Orazio Scrofani]<br />

Film<br />

Rete antigrandine<br />

Da quanto esposto non è difficile affermare<br />

che il Nero d’Avola sia un vino tra i più<br />

trendy sul mercato. Quello che non si detto<br />

abbastanza è che le ricerche scientifiche,<br />

portate avanti ormai da diversi anni<br />

dai massimi scienziati del globo, dimostrano<br />

che i vini siciliani hanno il massimo contenuto<br />

di resveratrolo finora riscontrato. Il<br />

resveratrolo, presente nelle bucce dell’uva<br />

e con maggiore quantità nelle nere, svolge<br />

un ruolo di primissimo piano nella prevenzione<br />

delle malattie cardiovascolari e tumorali.<br />

È una notizia importante, da non tenere<br />

certo riservata. Forse, se finora non le<br />

è stato dato il giusto risalto, è anche perché<br />

la concorrenza teme che potrebbe indirizzare<br />

le scelte dei consumatori verso i vini<br />

siciliani.<br />

pagina9 SPECIALE


COME SALVARE LA VITE<br />

Selezione clonale, recupero e conservazione<br />

della biodiversità: queste le parole<br />

chiave del progetto di “Valorizzazione<br />

dei vitigni autoctoni siciliani”, che<br />

i Servizi allo Sviluppo dell’assessorato<br />

Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />

hanno avviato in collaborazione con istituzioni<br />

di ricerca tra le più qualificate del<br />

settore a livello nazionale: le Università di<br />

Milano, di Palermo e della Basilicata, il Cra<br />

di Roma, l’Enosis e il Coribia (Consorzio<br />

sul rischio biologico in agricoltura).<br />

Con queste partnership nei prossimi anni è<br />

previsto il recupero e la valorizzazione dei<br />

vitigni autoctoni siciliani in termini di utilizzazione<br />

viticola, enologica e commerciale,<br />

ma anche lo studio e la valutazione della risposta<br />

agronomica, enologica e qualitativa<br />

dei vitigni in relazione al terroir e l’ottenimento<br />

di cloni di vitigni autoctoni omologati,<br />

nonché la loro iscrizione nelle liste delle<br />

varietà autorizzate.<br />

Uno dei capisaldi del progetto è il miglioramento<br />

genetico mediante selezione<br />

clonale delle varietà che mostrano la<br />

presenza di numerosi biotipi. Questo<br />

programma, condotto per i due gruppi di vitigni<br />

costituiti dalle varietà di interesse regionale<br />

e da quelle di interesse locale, prevede<br />

l’identificazione di diversi “presunti<br />

cloni” per ciascun vitigno in esame, la loro<br />

collocazione in vigneti sperimentali (i campi<br />

di confronto e omologazione per il progetto<br />

si trovano a Marsala, in contrada Biesina,<br />

e a Ragusa, in contrada Canicarao) e<br />

le successive indagini agronomiche ed<br />

enologiche, indispensabili all’adempimento<br />

delle normative che regolano l’attività di selezione<br />

clonale in Italia. Per tale attività, nel<br />

pagina10SPECIALE<br />

L’assessorato regionale Agricoltura<br />

insieme a importanti istituti<br />

di ricerca porta avanti un progetto<br />

per recuperare e valorizzare<br />

il tesoro di vitigni autoctoni siciliani<br />

di GIUSEPPE SPARTÀ*<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Il miglioramento<br />

genetico e la selezione<br />

sanitaria rientrano<br />

negli obiettivi<br />

principali<br />

del programma<br />

I presunti cloni<br />

devono prima<br />

superare i test virali<br />

periodo 2003-2005 è stato possibile effettuare<br />

una intensa ricognizione sul patrimonio<br />

ampelografico dell’Isola che ha portato<br />

alla individuazione di oltre 3.500 ceppi.<br />

Altro aspetto riguarda il recupero e la conservazione<br />

della biodiversità della piattaforma<br />

ampelografica siciliana. Numerose<br />

notizie storiche fanno emergere chiaramente<br />

come il patrimonio di vitigni autoctoni<br />

siciliani sia molto più ricco di quello<br />

che oggi conosciamo. L’attività condotta finora<br />

ha portato alla segnalazione di oltre<br />

140 piante in rappresentanza di 46 vitigni<br />

antichi.<br />

Strettamente connessa alla selezione genetica<br />

è la selezione sanitaria. Le piante<br />

precedentemente individuate dai tecnici<br />

dei Servizi allo Sviluppo sono state sottoposte<br />

a controllo visivo da parte dei ricercatori<br />

del Cra di Roma al fine di distinguere<br />

le piante con assenza di sintomatologie<br />

di origine virale. Su queste sono state effettuate<br />

analisi sierologiche (ELISA), molecolari<br />

(RT-PCR) e saggi su indicatori biologici necessari<br />

a garantire l’assenza dei principali<br />

agenti virali e virus simili. A seguito delle<br />

analisi ELISA e PCR sono risultate negative<br />

novanta piante tra quelle complessivamente<br />

individuate. Per i “presunti cloni” validi<br />

dal punto di vista agronomico ed enologico,<br />

e risultati sanitariamente idonei, sarà<br />

fatta richiesta di omologazione. Nel prosieguo<br />

del progetto, per le varietà di cui non è<br />

possibile reperire materiale sanitariamente<br />

valido è previsto il risanamento dei “presunti<br />

cloni” che presentano buone caratteristiche<br />

agronomiche ed enologiche ricorrendo<br />

a tecniche come la termoterapia in vivo<br />

e la coltura d’apice.


Piante rilevate nel periodo 2003-2005<br />

Vitigni autoctoni<br />

Regionali<br />

Locali<br />

Antichi<br />

Totale<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Numero<br />

7<br />

12<br />

46<br />

65<br />

Piante individuate<br />

2638<br />

886<br />

143<br />

3667<br />

pagina11SPECIALE


La caratterizzazione enologica delle varietà<br />

autoctone si basa sullo studio della<br />

composizione varietale delle uve, con<br />

esecuzione di microvinificazioni, e sullo studio<br />

dell’influenza delle caratteristiche ambientali<br />

e colturali sulla sintesi dei metaboliti<br />

primari e secondari delle varietà autoctone<br />

e dei biotipi individuati. Gli studi saranno<br />

effettuati nel laboratorio di controllo e ricerca<br />

appositamente realizzato, previa definizione<br />

di protocolli enologici destinati a esaltare<br />

il livello qualitativo dei vini siciliani prodotti<br />

con uve autoctone. Il laboratorio sarà<br />

dotato di strumentazione analitica avanzata,<br />

utilizzabile anche per ricerche nel campo<br />

della sicurezza alimentare, e comprenderà<br />

una sezione di analisi molecolari indispensabile<br />

sia per le ricerche sulle influenze<br />

ambientali sia per la caratterizzazione di<br />

lieviti, batteri enologici ed eventuali altri<br />

agenti che interessano la vite e il vino.<br />

Il materiale di propagazione selezionato<br />

“base” e “certificato”, di elevato potenziale<br />

qualitativo e con adeguato stato sanitario,<br />

omologato e iscritto nel Registro nazionale<br />

delle varietà di vite, potrà essere così offerto<br />

rispettivamente ai vivaisti e ai viticoltori.<br />

Nell’ambito del progetto, il Vivaio governativo<br />

“Federico Paulsen” curerà la conservazione<br />

in purezza genetica e sanitaria del<br />

materiale omologato. Provvederà inoltre<br />

alla premoltiplicazione dei cloni meritevoli<br />

di diffusione, da cui poi produrre materiale<br />

di base da destinare ai vivaisti.<br />

Il progetto prevede inoltre studi e ricerche<br />

sui microrganismi autoctoni dei vitigni siciliani,<br />

poiché è ampiamente dimostrato<br />

che ceppi differenti di lieviti vinari, metabolizzando<br />

i costituenti del succo d’uva, producono<br />

numerosi composti volatili in grado<br />

di influenzare l’aroma e il flavour di un vino<br />

in maniera significativa. In questo contesto<br />

la selezione di ceppi di lievito starter in grado<br />

di dominare la fermentazione è diventata<br />

la chiave di lettura della moderna vinificazione.<br />

Il progetto si occuperà della caratterizzazione<br />

di lieviti naturali dell’uva della<br />

specie vinaria più importante, Saccharomyces<br />

cerevisiae, focalizzando l’interesse<br />

su due dei più importanti vitigni siciliani, il<br />

Nero d’Avola e l’Inzolia.<br />

Elemento di grande attualità è lo studio degli<br />

effetti salutistici e della sicurezza alimentare<br />

dei vini siciliani. In dettaglio saranno<br />

valutati gli effetti terapeutici e antitumorali<br />

del transresveratrolo e di composti a<br />

struttura stilbenica, la loro concentrazione<br />

nelle uve autoctone siciliane e la correlazione<br />

tra il loro contenuto e alcune variabili<br />

quali l’ambiente di coltivazione, le pratiche<br />

colturali del vigneto, i metodi di produzione<br />

del vino e i fattori genetici rappresentati<br />

dal vitigno.<br />

È stata prevista infine una precisa strategia<br />

comunicativa che, giocando intorno al<br />

concetto di verità, ha visto il lancio del progetto<br />

Vinum Verum.<br />

«Vinum Verum – sostiene Andrea Zanfi,<br />

consulente per la comunicazione del progetto<br />

e ideatore della campagna – non è<br />

pagina12SPECIALE<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

una semplice definizione, o un logo. È un<br />

grande contenitore, dove la memoria si sposa<br />

con la scienza e con la comunicazione di<br />

un patrimonio vitivinicolo perpetuatosi miracolosamente<br />

nel tempo. Un patrimonio che<br />

appartiene alla Sicilia, come le appartengono<br />

i templi, il mare e gli Dei».<br />

«La Sicilia – conclude Zanfi – è partita dalla<br />

verità di ciò che doveva comunicare, ricercando<br />

proprio nel linguaggio della storia<br />

sillogismi che potessero accostarla alla<br />

grande tradizione che il vino ha nell’Isola. Il<br />

vino avvicina, in questa chiave, a una sorta<br />

di “verità inconfutabile” che tracci la storia<br />

del vino dalla pianta alla bottiglia in un percorso<br />

di rintracciabilità e garanzia per il consumatore<br />

finale». Il progetto cercherà infatti<br />

di raccontare la verità sulle origini della viticoltura<br />

in Sicilia con la sua memoria vitivinicola,<br />

provando a collegare queste componenti<br />

storiche all’idea progettuale di valorizzazione<br />

dei vitigni autoctoni siciliani, con<br />

l’intento di costruire un unico contenitore<br />

capace di racchiudere ogni singola fase di<br />

ricerca e di sviluppo dei programmi scientifici,<br />

di divulgazione dei risultati e delle strategie<br />

di marketing e di comunicazione a essi<br />

abbinati.<br />

* Responsabile dell’Unità operativa 45<br />

Sperimentazione e Ricerca applicata dell’assessorato<br />

Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />

gsparta@regione.sicilia.it<br />

Aspetti sanitari<br />

nei primi due anni di attività<br />

Piante individuate in campo 3667<br />

Test sanitari eseguiti 2567<br />

Piante risultate negative<br />

alle analisi ELISA e PCR 90<br />

Cultivar rappresentate Albanello,<br />

Alicante, Catarratto, Carricante, Grillo,<br />

Grecanico, Inzolia, Minnella Bianca,<br />

Moscato Bianco, Nero d’Avola, Nerello<br />

Cappuccio, Nerello Mascalese, Nocera,<br />

Perricone, Reliquie (2)<br />

I vitigni autoctoni siciliani<br />

Autoctoni di interesse regionale<br />

Catarratto, Frappato, Grecanico, Grillo,<br />

Inzolia, Nero d’Avola, Nerello Mascalese<br />

Autoctoni di interesse locale<br />

Albanello, Alicante, Carricante, Corinto,<br />

Damaschino, Perricone, Malvasia di Lipari,<br />

Minnella bianca, Moscato bianco, Nerello<br />

Cappuccio, Nocera, Zibibbo<br />

Autoctoni antichi “reliquia”<br />

(in corso di identificazione)<br />

Alzano, Anonima, Barbarossa, Bottone<br />

Gallo, Bracaù o Grecaù, Canina,<br />

Carnuffino, Cornicchiola, Catanese nera,<br />

Coda di volpe, Cori di palummu, Dolcetta,<br />

Dunnuni, Grossonero, Fiore d’arancio,<br />

Fumusa, Inzolia nera, Lucignola, Maiulina,<br />

Marsigliana, Minnavacchina, Minnella<br />

nera, Montonico nero, Muscatedda,<br />

Nivureddu, Olivetta, Oriddru, Orisi,<br />

Precoce, Preventivo, Prunesta, Racina<br />

di vento, Racinedda, Recunu, Regina,<br />

Rosata, Rucignola, Scassabutti, Sultanina,<br />

Tallone, Tintorè o Ibisu, Verbo rosso,<br />

Visparola, Vitraruolo, Zu’ Matteo, Zuccarato


SELEZIONE CLONALE, LUCI E OMBRE<br />

Il miglioramento della viticoltura è<br />

strettamente legato alla scelta e alla<br />

selezione del materiale di moltiplicazione<br />

(portinnesti e marze) da utilizzare<br />

per i nuovi impianti. Alla selezione<br />

naturale avvenuta nel corso di millenni,<br />

l’uomo ha spesso affiancato la cosiddetta<br />

“selezione massale”, consistente nell’individuazione,<br />

tramite screening visivo, selezione<br />

e moltiplicazione dei ceppi di vite ritenuti<br />

migliori, nell’ambito di ciascuna varietà,<br />

sulla base di parametri legati alla<br />

produttività, al vigore della pianta o ancora<br />

al suo stato sanitario.<br />

Selezionare significa compiere delle scelte<br />

in funzione degli obiettivi finali che si intendono<br />

perseguire, che in ogni caso non possono<br />

prescindere da una profonda conoscenza<br />

delle caratteristiche del vitigno oggetto<br />

di studio e dei suoi areali di coltivazione.<br />

Solo se si parte da questa condizione è<br />

infatti possibile effettuare in maniera seria<br />

e accurata la preselezione di biotipi rappresentativi<br />

della variabilità di un vitigno, salvaguardando<br />

da un lato la biodiversità intravarietale<br />

e, dall’altro, evitando l’inutile<br />

omologazione di cloni “fotocopia” che andrebbero<br />

ad appesantire in termini di gestione<br />

e costi la filiera vivaistica (nuclei di<br />

premoltiplicazione, vivai, ecc.).<br />

Ciascuna vite selezionata e la sua discendenza<br />

ottenuta tramite propagazione agamica<br />

costituisce un “clone” (composto<br />

quindi da piante geneticamente identiche<br />

tra di loro), e la selezione che si effettua<br />

viene chiamata “selezione clonale”.<br />

In Italia l’attività di selezione clonale si sviluppò<br />

nei primi anni ’70 del secolo scorso,<br />

dietro iniziativa prima del Consiglio nazionale<br />

delle ricerche e poi dell’allora ministe-<br />

Le scelte vanno fatte in funzione<br />

degli obiettivi da perseguire,<br />

che comunque devono basarsi<br />

sulla conoscenza dei vitigni<br />

e dei loro areali di coltivazione<br />

di DANIELA BICA* E DARIO CARTABELLOTTA**<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Il principio di fondo<br />

è quello di favorire<br />

la biodiversità<br />

ed evitare<br />

l’omologazione<br />

di cloni “fotocopia”<br />

Sul piano normativo<br />

un nuovo<br />

protocollo tecnico<br />

stabilisce gli standard<br />

A sinistra<br />

Catarratto<br />

comune,<br />

a destra<br />

Nero d’Avola<br />

ro Agricoltura e Foreste, oggi ministero per<br />

le Politiche agricole e forestali. Lo scopo<br />

era quello di fornire ai viticoltori materiale di<br />

propagazione (vitigni e portinnesti) di sicura<br />

identità genetica, con caratteristiche<br />

produttive positive e con un buono stato<br />

sanitario. Successivamente anche enti regionali<br />

e privati sono stati coinvolti nel lavoro<br />

di selezione clonale, acquisendo competenze<br />

tecniche ed economiche.<br />

Con il passare degli anni si è assistito a<br />

un’evoluzione delle metodologie e degli<br />

orientamenti di selezione clonale, spesso<br />

accompagnati da modifiche e integrazioni<br />

del quadro legislativo di riferimento.<br />

A livello normativo particolare importanza<br />

assume l’istituzione del “Catalogo nazionale<br />

delle varietà di vite” presso il Maf (Dpr<br />

1164 del 24.12.69) e del “Comitato nazionale<br />

per l’esame delle varietà di viti” (istituito<br />

in base al Reg. Cee 2314/72), successivamente<br />

divenuto “Comitato nazionale per<br />

la classificazione delle varietà di viti” (Dm<br />

28 dicembre 2001). I compiti di tale Comitato<br />

sono raggruppati in tre punti: svolgere<br />

attività di controllo sulla corretta applicazione<br />

delle procedure per l’ottenimento delle<br />

selezioni clonali delle varietà di vite; pronunciare<br />

pareri sull’omologazione delle selezioni<br />

clonali, sull’iscrizione di varietà di viti<br />

e cloni omologati nel Catalogo delle varietà,<br />

sulle eventuali sinonimie e omonimie<br />

dei vitigni, nonché «sulle variazioni della<br />

struttura e dell’organizzazione del Catalogo<br />

nazionale delle varietà di vite»; formulare<br />

pareri, dietro richiesta del Mipaf, in merito<br />

alle problematiche legate alla commercializzazione<br />

dei materiali di moltiplicazione<br />

della vite.<br />

La procedura per l’ottenimento e l’iscrizio-<br />

pagina13SPECIALE


ne delle selezioni clonali al Catalogo nazionale<br />

è regolamentata dal decreto 22 dicembre<br />

1997 del ministero per le Politiche<br />

agricole e forestali, che con il decreto 6<br />

febbraio 2001 ha successivamente approvato<br />

il protocollo tecnico di selezione clonale,<br />

dietro parere favorevole espresso da<br />

parte del Comitato nazionale delle varietà<br />

di vite.<br />

Si tratta in effetti di un nuovo protocollo tecnico<br />

che sostituisce, per le nuove selezioni<br />

clonali, quello precedente giudicato oramai<br />

obsoleto dagli operatori del settore per i<br />

lunghi tempi di selezione, non più rispondenti<br />

all’attuale dinamicità del comparto viticolo,<br />

e per gli aspetti virologici, assolutamente<br />

lontani dagli standard sanitari oggi<br />

richiesti per il materiale di propagazione.<br />

Se il nuovo protocollo semplifica alcune<br />

procedure della precedente metodologia di<br />

selezione clonale, quali ad esempio la riduzione<br />

da due a uno dei campi di confronto<br />

e omologazione e dei portinnesti da utilizzare,<br />

dall’altro alcune modifiche introdotte<br />

deludono le aspettative di molti addetti ai<br />

lavori. Uno dei motivi di insoddisfazione riguarda<br />

i controlli virologici da effettuare<br />

sulle piante scelte, per i quali si rimanda ai<br />

«test previsti dal protocollo sanitario»: fino<br />

ad oggi però non esiste un protocollo sanitario<br />

ufficialmente riconosciuto a livello nazionale<br />

e/o europeo. Questa lacuna ha<br />

causato un’assoluta discrezionalità nel fissare<br />

lo standard minimo sanitario delle proprie<br />

selezioni clonali da parte di ciascun<br />

Paese europeo, con il rischio di far entrare<br />

in Italia materiale clonale con un livello sanitario<br />

decisamente inferiore rispetto a<br />

quello convenzionalmente stabilito, a livello<br />

nazionale, all’interno di ciascuna categoria<br />

di materiale di propagazione.<br />

Per quanto concerne le indagini agronomiche<br />

ed enologiche, non è più prevista nel<br />

campo di omologazione la presenza di<br />

piante testimoni di riferimento (materiale<br />

standard della varietà o eventuale discendenza<br />

di cloni già omologati) a cui paragonare<br />

i parametri misurati sui cloni in selezione.<br />

Se a ciò si aggiunge che i rilievi e le<br />

pagina14SPECIALE<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

In Italia l’attività<br />

di selezione clonale<br />

si sviluppò<br />

nei primi anni ’70<br />

del secolo scorso<br />

per iniziativa del Cnr<br />

e dell’allora ministero<br />

Agricoltura e Foreste<br />

analisi sulle discendenze dei presunti cloni<br />

devono essere eseguiti per il carattere (o i<br />

caratteri) per il quale si sta effettuando la<br />

selezione, si comprende come sia complesso<br />

e difficile valutare le qualità potenziali<br />

complessive della nuova selezione.<br />

Nell’ambito invece dei rilievi analitici previsti<br />

dal protocollo ai fini enologici, per i vitigni a<br />

bacca rossa sono richiesti alcuni parametri<br />

(profilo degli antociani della buccia, degli<br />

acidi idrossicinnamici e dei flavonoli delle<br />

bucce) che, se hanno una certa validità e<br />

importanza per la caratterizzazione varietale,<br />

ben poco servono ai fini di una discriminazione<br />

clonale. Nulla viene invece detto a<br />

proposito dei vitigni ad aroma primario.<br />

Queste e altre osservazioni hanno spinto i<br />

costitutori riuniti nell’Acovit (Associazione<br />

costitutori viticoli italiani), con sede a San<br />

Michele all’Adige (TN), a presentare al ministero<br />

delle Politiche agricole e forestali<br />

una proposta di modifica del protocollo tecnico<br />

la quale, oltre a variazioni e/o integrazioni<br />

dei punti sopra riportati, prevede l’innalzamento<br />

a 25 del numero minimo di viti<br />

per ciascun presunto clone presente nel<br />

campo di omologazione, e fissa in 80-100<br />

kg il quantitativo minimo di uva sul quale<br />

effettuare le prove di microvinificazione.<br />

L’Acovit ha inoltre elaborato una proposta<br />

di protocollo sanitario i cui requisiti minimi<br />

per la selezione clonale e la richiesta di<br />

omologazione in Italia sono i seguenti: assenza<br />

dei virus agenti della degenerazione<br />

infettiva della vite (GFLV) e del mosaico<br />

dell’arabis (ArMV); assenza dei virus<br />

GLRaV-1, GLRaV-2 e GLRaV-3 associati<br />

ai sintomi di accartocciamento fogliare;<br />

assenza dei sintomi di accartocciamento<br />

fogliare con saggio biologico su viti indicatrici<br />

(Barbera, Cabernet sauvignon, Cabernet<br />

franc o altra V. vinifera sensibile);<br />

assenza dei virus GVA e GVB associati rispettivamente<br />

ai sintomi delle sindromi del<br />

legno riccio Kober stem grooving e Corky<br />

bark; assenza dei sintomi della sindrome<br />

Kober stem grooving del legno riccio con<br />

saggio biologico su Kober 5BB; assenza<br />

del virus agente della maculatura infettiva o


||||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />

Protocollo tecnico<br />

di selezione clonale<br />

Decreto ministeriale 6 febbraio 2001<br />

1. Indicazione delle caratteristiche di base per le<br />

quali viene effettuata la selezione clonale.<br />

2. Individuazione e scelta delle piante madri dei<br />

presunti cloni in base alle suddette caratteristiche.<br />

3. Esecuzione, sulle piante scelte, dei test previsti<br />

dal protocollo fitosanitario.<br />

4. Costituzione di almeno un vigneto di<br />

moltiplicazione, con un minimo di venti ceppi per<br />

ogni biotipo, su un portinnesto. Il campo dovrà<br />

essere costituito preferibilmente nella zona di<br />

fleck (GFkV) solamente per i portinnesti.<br />

Secondo tale protocollo l’assenza degli<br />

agenti virali summenzionati deve essere<br />

verificata tramite saggi sierologici (ELISA)<br />

e/o test biomolecolari (PCR), rimanendo<br />

responsabilità del costitutore la verifica e<br />

la veridicità dello stato sanitario dichiarato,<br />

che deve essere comunque certificato<br />

da Istituzioni pubbliche riconosciute competenti.<br />

I requisiti sanitari sopra riportati costituiscono<br />

il livello minimo sanitario attualmente indispensabile<br />

per la presentazione della richiesta<br />

di omologazione al Comitato Nazionale<br />

per la Classificazione delle Varietà<br />

di Viti, ma è auspicabile che quanto prima<br />

si arrivi alla pubblicazione di una normativa<br />

di riferimento.<br />

individuazione o diffusione del vitigno in selezione<br />

o comunque vocata e il terreno dovrà essere<br />

esente da nematodi vettori. I ceppi risultati positivi<br />

ai test fitosanitari dovranno essere propagati<br />

separatamente.<br />

5. Effettuazione di rilievi e analisi sulle<br />

discendenze dei presunti cloni per almeno tre<br />

annate al fine di verificare la persistenza, dopo la<br />

propagazione, del/i carattere/i per il quale/i si è<br />

effettuata la selezione.<br />

6. Per i vitigni a uva da vino, al fine di verificare le<br />

potenzialità enologiche del presunto clone,<br />

dovranno essere effettuate le seguenti analisi:<br />

I. Varietà con uva a bacca colorata:<br />

a. profilo degli antociani della buccia.<br />

Catarratto lucido<br />

Se il candidato clone è dotato di polpa colorata,<br />

è necessario determinare anche il profilo degli<br />

antociani di questa parte dell'acino;<br />

b. profilo degli acidi idrossicinnamici legati<br />

all'acido tartarico della buccia e della polpa;<br />

c. profilo dei flavonoli della buccia;<br />

d. indici di antociani totali a maturazione;<br />

e. curve di maturazione degli zuccheri, degli acidi<br />

fissi, dell'acidità titolabile e del pH;<br />

f.microvinificazione per almeno due annate<br />

con analisi chimiche e sensoriali.<br />

II. Varietà con uva a bacca bianca:<br />

a. curve di maturazione degli zuccheri, degli acidi<br />

fissi, dell'acidità titolabile e del pH;<br />

b. microvinificazione per almeno due annate con<br />

analisi chimiche e sensoriali.<br />

Per quanto concerne infine la selezione<br />

delle cultivar di interesse locale e di limitata<br />

coltivazione, alcuni ricercatori hanno<br />

proposto di utilizzare protocolli meno impegnativi,<br />

che privilegino gli aspetti agronomici,<br />

limitino la valutazione enologica solo ai<br />

mosti e prevedano il ricorso ai semplici<br />

saggi sierologici (ELISA) per gli aspetti sanitari.<br />

Tale ipotesi, peraltro condivisa, consentirebbe<br />

di ridurre notevolmente i costi di<br />

selezione e di disporre di materiale di propagazione<br />

di discreta qualità, per il quale<br />

però dovrebbe essere individuata una nuova<br />

categoria.<br />

* Dirigente dell’assessorato Agricoltura e Foreste,<br />

Servizio IX - Servizi allo Sviluppo<br />

d.bica@regione.sicilia.it<br />

** Dirigente responsabile<br />

del Servizio IX - Servizi allo Sviluppo<br />

pagina15SPECIALE


È partita la ricerca sui lieviti autoctoni di<br />

Nero d’Avola. Il primo anno di studio è<br />

iniziato con il prelievo di acini in tre diverse<br />

zone di produzione nel territorio<br />

siciliano: le province di Caltanissetta, Ragusa<br />

e Trapani. La raccolta delle uve è stata<br />

effettuata in modo da ottenere campioni<br />

differenziati, tali da rappresentare la “biodiversità<br />

naturale” dell’ambiente del vitigno in<br />

studio. Allo scopo di ricoprire una vasta superficie,<br />

per ogni areale sono state scelte<br />

cinque aziende il più possibile distanti tra loro.<br />

In ogni azienda, poi, sono state selezionate<br />

random dieci piante di vite – anche in<br />

questo caso lontane l’una dall’altra – da cui<br />

sono stati prelevati sterilmente campioni di<br />

uva, che sono stati pigiati e lasciati fermentare<br />

spontaneamente. Dai mosti in fermentazione,<br />

in appropriati terreni sintetici, sono<br />

stati isolati i lieviti di interesse enologico<br />

(Saccharomyces) protagonisti dei processi<br />

di trasformazione.<br />

Dei circa duemila ceppi isolati, oltre trecento<br />

sono risultati Saccharomyces (cerevisiae,<br />

bayanus, pastorianus, paradoxus)<br />

e sono stati confrontati in fermentazione<br />

di laboratorio di mosto Nero d’Avola per<br />

parametri enologici di interesse, dal vigore<br />

fermentativo e potere alcoligeno alla capacità<br />

di produrre etabolici correlati alla qualità<br />

organolettica del vino. I vini sperimentali<br />

ottenuti con i ceppi di Saccharomyces sono<br />

stati analizzati in gas-cromatografia per il<br />

contenuto di alcoli superiori, acetoino, acetaldeide,<br />

acetato di etile e acido acetico.<br />

pagina16SPECIALE<br />

Bicchieri dal gusto inconfondibile<br />

e non solo per merito dei vitigni<br />

Lavori in corso per conoscere<br />

i Saccharomyces, protagonisti<br />

della trasformazione dei mosti<br />

IL LIEVITO FA BUON VINO<br />

di GIACOMO ANSALDI*<br />

Interessanti<br />

i primi esiti:<br />

i ceppi nostrani<br />

presentano<br />

un’alta<br />

variabilità<br />

genetica<br />

legata all’areale<br />

d’origine<br />

Acini studiati<br />

con tecniche<br />

tradizionali<br />

e al contempo<br />

d’avanguardia<br />

L’analisi statistica dei dati evidenzia un’elevata<br />

variabilità di ceppo, in particolar modo<br />

per la produzione di acetaldeide, acetato di<br />

etile, isobutanolo e alcol D-amilico. Una variabilità<br />

minore si registra, invece, per la<br />

produzione di n-propanolo e acetoino.<br />

Il comportamento dei Saccharomyces<br />

da Nero d’Avola nei riguardi dei parametri<br />

tecnologici fin qui valutati ha rivelato<br />

l’esistenza di una variabilità di ceppo<br />

decisamente significativa tanto da poter<br />

affermare che le fermentazioni dello stesso<br />

mosto di partenza producono vini sperimentali<br />

sostanzialmente differenti. Tale<br />

mutevolezza è imputabile unicamente alla<br />

componente “ceppo di lievito” usato come<br />

starter per condurre il processo fermentativo.<br />

Allo scopo di verificare se alla variabilità<br />

tecnologica si associasse diversità genetica,<br />

i ceppi di Saccharomyces sono stati<br />

caratterizzati utilizzando analisi Rapd-<br />

Pcr. I ceppi sono risultati per la maggior<br />

parte diversi, esibendo profili molecolari<br />

molto variabili tra loro. Dunque, tutti i profili<br />

risultati diversi sono stati analizzati statisticamente<br />

mediante analisi cluster. I ceppi<br />

risultano distribuiti in due gruppi principali,<br />

caratterizzati da una similarità piuttosto<br />

bassa (37%). Più in dettaglio, sono stati individuati<br />

nove sottogruppi.<br />

La distribuzione dei ceppi in alcuni sottogruppi<br />

è risultata strettamente correlata all’area<br />

di provenienza, soprattutto per i<br />

campioni isolati nelle aree di Caltanissetta<br />

e di Ragusa.


Particolare è la distribuzione dei ceppi all’interno<br />

del gruppo costituito da lieviti appartenenti<br />

alla stessa vigna. Altri due gruppi sono<br />

costituiti soprattutto dai ceppi provenienti<br />

dalle diverse vigne dell’area di Caltanissetta.<br />

I ceppi isolati dai campionamenti del<br />

Trapanese sono risultati distribuiti in sottogruppi<br />

maggiormente eterogenei e includono<br />

lieviti provenienti da aree diverse.<br />

La tendenziale corrispondenza dei lieviti con<br />

l’areale di origine ha spinto i ricercatori a verificare<br />

se questo polimorfismo genetico fosse<br />

riscontrabile anche nelle piante di vite di<br />

Nero d’Avola campionate. Pertanto è stata<br />

effettuata la caratterizzazione genetica dei<br />

vigneti scelti per l’isolamento dei lieviti autoctoni.<br />

Nello svolgimento della ricerca è<br />

stato tenuto presente sia il fatto che la vite<br />

(Vitis vinifera L) è una specie a propagazione<br />

vegetativa, sia il fatto che in passato<br />

l’identificazione di varietà veniva effettuata<br />

per caratteri ampelografici. Nell’ultimo decennio,<br />

invece, viene usata con maggiore<br />

successo la variazione genetica. Marcatori<br />

molecolari, quali RFLP, ISSR, SSR e AFLP sono<br />

stati utilizzati in differenti studi su Vitis vinifera<br />

per discriminare tra diverse cultivar. Ancora<br />

poche ricerche, invece, si sono focalizzate<br />

sullo studio della variazione genetica a livello<br />

della stessa cultivar, ma le poche condotte<br />

hanno mostrato una buona potenzialità<br />

per identificare una specifica varietà e per<br />

distinguere differenti cloni o biotipi.<br />

In tal senso, per individuare differenti biotipi<br />

di Nero d’Avola e verificarne le potenzialità<br />

in combinazione con i lieviti Saccharomyces<br />

isolati e selezionati negli areali oggetto<br />

di studio, sono stati effettuati campionamenti<br />

di materiale vegetale fresco (foglie<br />

giovani) sia in situ (areale di Ragusa) che<br />

ex situ sulle stesse piante utilizzate per il<br />

I risultati<br />

della ricerca<br />

potranno essere<br />

utilizzati<br />

per individuare,<br />

d’accordo<br />

con le analisi<br />

ampelografiche,<br />

quattro o cinque<br />

biotipi<br />

di Nero d’Avola<br />

da impiegare<br />

in micro<br />

fermentazioni<br />

campionamento dei grappoli presso i quindici<br />

vigneti oggetto d’esame.<br />

Il Dna è stato estratto da foglie giovani<br />

congelate. Le metodiche mature utilizzate<br />

nel corso del primo anno per le analisi<br />

genetiche sono state i marcatori AFLP<br />

(Amplified Fragments Lenght Polymorphism)<br />

e i marcatori SSR (Simple Sequenze<br />

Repeat) o microsatelliti.<br />

Le metodiche tradizionali sono state alternate<br />

a quelle più innovative. Dunque, si è<br />

fatto ricorso sia all’elettroforesi verticale con<br />

gel di acrilammide e agarosio (1,3%) per la<br />

separazione dei frammenti amplificati in<br />

PCR, sia a metodiche che sfruttano primer<br />

fluorescenti e anche all’analisi dei frammenti<br />

amplificati grazie all’ausilio di un sequenziatore<br />

di Dna che nel nostro caso è<br />

stato l’Abi Prism 373.<br />

Per concludere, i risultati del primo anno<br />

hanno mostrato una buona variazione<br />

genetica tra genotipi provenienti da differenti<br />

areali. La variazione si riduce passando<br />

al confronto tra differenti vigneti dello<br />

stesso areale fino a diventare quasi nulla<br />

nel confronto tra piante dello stesso vigneto.<br />

L’areale ragusano in particolare mostra una<br />

variazione genetica rispetto agli altri due<br />

pari a circa il 35%. I risultati della caratterizzazione<br />

dei lieviti isolati e la variabilità genetica<br />

dei vigneti potranno essere utilizzati<br />

per individuare (d’accordo con le analisi<br />

ampelografiche) quattro o cinque biotipi di<br />

Nero d’Avola da impiegare in micro-fermentazioni<br />

con ceppi isolati e selezionati.<br />

*Funzionario dell’assessorato regionale Agricoltura<br />

e Foreste Servizio IX<br />

giacomoansaldi@regione.sicilia.it<br />

Referenti scientifici del progetto:<br />

Patrizia Romano e Francesco Sunseri<br />

del dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie<br />

Agro-Forestali dell’Università della Basilicata<br />

pagina17SPECIALE


Parola d’ordine: potenziamento della<br />

coltura in zone impervie. Viene esteso<br />

agli oliveti e ai noccioleti il progetto dell’assessorato<br />

regionale Agricoltura e<br />

Foreste, originariamente mirato alla meccanizzazione<br />

dei soli vigneti difficilmente<br />

raggiungibili. Le aree interessate restano<br />

quelle di sempre: l’isola di Pantelleria, le<br />

Eolie, le pendici dell’Etna e i Nebrodi.<br />

Negli ultimi decenni, le zone terrazzate e a<br />

declivi hanno conosciuto una notevole riduzione<br />

delle superfici coltivate. Colpa della<br />

difficoltà sempre maggiore di reperire<br />

manodopera disposta a lavorare su terreni<br />

dalla morfologia complessa.<br />

Un esempio tipico è quello della viticoltura<br />

pantesca. Nel corso della sua storia,<br />

la produzione vinicola di Pantelleria ha conosciuto<br />

alterne vicende. Se per un lungo<br />

periodo, interrotto dalle distruzioni causate<br />

dalla fillossera negli anni Trenta, essa è<br />

stata una delle primarie fonti di sostentamento,<br />

oggi si assiste al progressivo abbandono<br />

della coltivazione della vite. Ed è<br />

una situazione che contrasta con l’accresciuto<br />

interesse nei confronti dei prodotti di<br />

Pantelleria e soprattutto dei suoi vini.<br />

Nell’isola è presente quasi esclusivamente<br />

la varietà Zibibbo o Moscato d’Alessandria<br />

da cui si ottengono il Moscato e il Passito.<br />

Per difendere questo patrimonio nel 1997<br />

si è costituito il Consorzio per la tutela e la<br />

valorizzazione dei vini Doc dell’isola di<br />

Pantelleria, che rappresenta il 75 per cento<br />

della produzione; secondo il nuovo disciplinare<br />

le Doc Moscato di Pantelleria e Passito<br />

di Pantelleria vengono riservate ai prodotti<br />

provenienti da uve appassite naturalmente<br />

e che non hanno usufruito di alcun<br />

arricchimento. Entrambi devono essere imbottigliati<br />

nell’isola salvo le deroghe previste.<br />

Le altre tipologie di vino, comunque provenienti<br />

da uve Zibibbo, fruiscono della Doc<br />

Pantelleria e possono essere imbottigliate<br />

all’interno del territorio regionale della Sicilia.<br />

Oggi i produttori iscritti alla Doc sono<br />

364; ma la frammentazione dei vigneti<br />

rende complessa la coltura e l’età media<br />

degli addetti al settore è molto elevata. Del<br />

resto la piovosità è scarsa e non esistono<br />

forme di meccanizzazione diffusa.<br />

Dunque, se il progredire dei tempi condanna<br />

a morte le produzioni tipiche e i sapori<br />

dell’infanzia, la difesa della biodiversità<br />

passa adesso dall’impiego di tecnologie all’avanguardia.<br />

Nasce in quest’ottica il finanziamento<br />

pagina18SPECIALE<br />

La tecnologia si mette al servizio<br />

della tradizione. Al via un progetto<br />

globale di meccanizzazione<br />

per coltivare più agevolmente<br />

i terreni delle zone impervie<br />

RITORNO AL FUTURO MADE IN SICILY<br />

di GIUSEPPE SPARTÀ* E EUGENIO DE VITA**<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Tre gli anni<br />

di ricerche<br />

e sperimentazioni<br />

finanziate<br />

dall’assessorato<br />

regionale<br />

Agricoltura<br />

e portate<br />

avanti<br />

dall’Università<br />

degli Studi<br />

di Palermo<br />

Il piano, nato<br />

per i vigneti<br />

terrazzati,<br />

è stato esteso<br />

a uliveti<br />

e noccioleti<br />

regionale a un progetto per lo sviluppo<br />

della meccanizzazione al servizio dell’agricoltura<br />

in terreni malagevoli. Una scelta<br />

non nuova, sicuramente, ma declinata in<br />

modo innovativo: si sta promuovendo la razionalizzazione<br />

sistematica degli impianti<br />

unita all’impiego di strumentazioni tali da<br />

sopperire alla mancanza di tempo e alla<br />

carenza di manodopera.<br />

Nella sua prima veste, il progetto è stato<br />

presentato a Pantelleria all’inizio di luglio<br />

2005. L’isola, che vanta prodotti conosciuti<br />

in tutto il mondo – si pensi al passito, al<br />

moscato e allo zibibbo, ma anche ai capperi<br />

e all’olio –, diventa simbolo della necessità<br />

di tutelare la tipicità. Rendere sostenibile,<br />

attraverso l’ingegneria rurale, la<br />

produzione agricola pare oggi il mezzo<br />

prioritario per promuoverne la conservazione<br />

del territorio ai fini della crescita economica<br />

e dell’incremento occupazionale.<br />

La sperimentazione si svolgerà nel triennio<br />

2006-2008 e vede già protagonisti l’assessorato<br />

regionale Agricoltura e Foreste, il dipartimento<br />

di Ingegneria e Tecnologie<br />

Agro-Forestali (Itaf) - sezione Meccanica<br />

dell’Università degli Studi di Palermo e il dipartimento<br />

di Economia dei Sistemi Agro-<br />

Forestali dello stesso ateneo.<br />

Da un’analisi condotta proprio a Pantelleria,<br />

si evincono le numerose difficoltà che<br />

la progettazione dell’agricoltura futuristica<br />

comporterà. In primo luogo, è necessario<br />

ribadire il particolare assetto degli spazi<br />

agricoli. Si tratta, infatti, di terrazze di larghezza<br />

limitata. Le interfile dei vigneti hanno<br />

dimensioni ridotte, anche a causa dell’ingombro<br />

della vegetazione, e i passaggi<br />

tra una terrazza e l’altra sono stretti e in notevole<br />

pendenza. Tali caratteristiche determinano<br />

la necessità di predisporre meccanismi<br />

di sicurezza infallibili per garantire<br />

l’incolumità dell’operatore. Si sta pensando,<br />

in particolare, a sistemi di bloccaggio<br />

dei cingoli in caso di caduta del conduttore.<br />

Nella scelta della macchina motrice si<br />

dovrà tener conto anche del concetto di<br />

“centrale mobile di potenza”, non dimenticando<br />

la necessità di dimensioni ridotte.<br />

Pertanto ci si orienta verso la scelta<br />

di una piccola macchina cingolata, dotata<br />

di sollevatore idraulico per l’uso di attrezzi<br />

portati, di una presa di potenza per l’azionamento<br />

di utensili e di una pompa idraulica<br />

dotata di un sistema oleopneumatico indipendente<br />

dalle altre funzioni della macchina<br />

per il comando di attrezzi speciali.


||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />

Gli aratri del domani<br />

Brevi note tecniche sule macchine<br />

che si prevede di impiegare nella coltivazione<br />

dei vigneti panteschi:<br />

– Unità motrice cingolata UT 60 della potenza di<br />

45 kW, dotata di cingoli in acciaio con soprasuole<br />

in gomma intercambiabili. La larghezza totale<br />

esterna dei cingoli è di 0,83 m, la larghezza del<br />

compartimento motore di 0,76 m e la lunghezza<br />

totale con sollevatore di 2,10 m.<br />

L’oggi che presto sarà ieri<br />

Il sistema di coltura più diffuso a Pantelleria<br />

è il tipico “alberello pantesco”<br />

piantato in una “conca” che serve da riparo<br />

contro il vento e da riserva idrica<br />

perché permette l’accumulo di rugiada<br />

(si tratta dell’antica tecnica dell’aridocoltura).<br />

Solo il 5% dei vigneti, quello degli<br />

appezzamenti pianeggianti, è allevato<br />

con il moderno sistema “a controspalliera<br />

bassa”. Il 75% dei vigneti panteschi si trova<br />

su terreni in forte pendenza, per lo più<br />

sistemati a terrazze delimitate dai tipici<br />

muretti a secco.<br />

Le operazioni che richiedono il numero<br />

maggiore di contadini sono le lavorazioni<br />

del terreno, cioè la zappatura manuale delle<br />

conche, la prepotatura e potatura invernale<br />

e la raccolta. La zappatura manuale<br />

della conca, indispensabile per garantire<br />

l’adeguata produttività della pianta, è un intervento<br />

particolarmente oneroso che molti<br />

viticoltori, al fine di ridurre l’impiego di<br />

manodopera, tendono oggi ad abbandonare.<br />

E l’impiego di motocoltivatori a organi<br />

– Vangatrice a quattro vanghe, dotata di<br />

trasmissione cardanica e frizione parastrappi; la<br />

larghezza totale è di 0,85 m.<br />

– Aratro coltivatore a cinque corpi.<br />

– Trinciatutto; l’attrezzo è dotato di aggancio<br />

speciale per contenere al massimo la lunghezza<br />

totale della macchina e favorire la rotazione<br />

all’uscita del filare.<br />

– Irroratrice dotata di dodici ugelli provvisti di<br />

antigoccia. Il ventilatore è di tipo assiale.<br />

Il serbatoio, in vetroresina, ha una capacità di<br />

200 litri.<br />

Uno scorcio<br />

di Pantelleria<br />

con i tipici<br />

terrazzamenti<br />

L’intero apparato nebulizzatore è appoggiato<br />

direttamente sui cingoli.<br />

– Impolveratore per effettuare i trattamenti in<br />

polvere.<br />

– Caricatore con cassone inox a ribaltamento<br />

idraulico (per trasporto prodotto); la portata utile è<br />

di 400 kg, l’altezza massima di scarico di 2,40 m<br />

e la larghezza totale di 1 m.<br />

– Cassone per trasporto materiali o cassette<br />

a ribaltamento idraulico appoggiato direttamente<br />

sui cingoli.<br />

– Retroescavatore con stabilizzatori.<br />

rotanti causa, alla lunga, fenomeni di<br />

astrutturalità che determinato la riduzione<br />

della fertilità del terreno.<br />

Due le fasi della potatura: la prima, un mese<br />

dopo la raccolta, consiste nell’accorciare<br />

a circa 20-30 cm i tralci ancora erbacei.<br />

La seconda, eseguita nel periodo dicembre-gennaio,<br />

consiste invece nel definitivo<br />

taglio dei tralci. Anche la raccolta dell’uva<br />

avviene in due fasi. Nella seconda – terza<br />

decade di agosto – viene raccolto il 20-<br />

30% della produzione totale destinata all’appassimento<br />

(per la produzione del Passito).<br />

Un’operazione lenta, che richiede il<br />

50% della manodopera: i grappoli migliori<br />

devono essere scelti con cura e sistemati<br />

con delicatezza nelle cassette. La restante<br />

parte della produzione è destinata direttamente<br />

alla vinificazione.<br />

* Responsabile dell’Unità operativa 45<br />

Sperimentazione e Ricerca applicata<br />

dell’assessorato regionale Agricoltura e Foreste<br />

gsparta@regione.sicilia.it<br />

** Unità operativa 105 di Castelvetrano<br />

dell’assessorato regionale Agricoltura e Foreste<br />

soat78@regione.sicilia.it<br />

pagina19SPECIALE


di ANDREA ZANFI<br />

Mi sono avvicinato alla Sicilia per scrivere<br />

un libro sul vino, e per farlo l’ho girata<br />

tutta, in lungo e in largo, come un attento<br />

viaggiatore d’altri tempi, uno di quelli<br />

che s’accostavano a un’Italia molto diversa<br />

dall’attuale, la splendida Italia del<br />

Grand Tour.<br />

Se ricordo bene, il viaggio fu organizzato<br />

con l’intento di conoscere l’evoluzione enologica<br />

siciliana, arricchendo la mia conoscenza<br />

e appagando la mia famelica curiosità.<br />

Ogni cosa doveva contribuire all’approfondimento<br />

di una quanto mai improvvisata<br />

e lontanissima conoscenza che avevo<br />

avuto, venti anni prima, di questo territorio<br />

riuscendo magari, questa volta, a carpirne<br />

l’essenza, l’anima stessa.<br />

Appena arrivato, ebbi subito una certezza:<br />

la Sicilia è una terra che, fino a quando non<br />

pagina20SPECIALE<br />

Fra autostrade e trazzere,<br />

bagli e castelli, una guida<br />

dedicata alla Sicilia del vino<br />

I ricordi di un viaggiatore<br />

folgorato dal fascino dell’Isola<br />

LE MILLE E UNA BOTTE<br />

la vivi, non puoi nemmeno immaginarla nella<br />

sua completezza; giorno dopo giorno,<br />

man mano che la osservi, ti accorgi di aver<br />

espresso giudizi affrettati, qualunquisti, superficiali,<br />

che ti hanno condotto persino a tipicizzare<br />

o inquadrare un pensiero più vicino<br />

a uno stereotipo che alla nuda e cruda<br />

realtà.<br />

Presto scoprii anche che è un’isola facile da<br />

amare e odiare nello stesso momento, ma<br />

che sicuramente non ti lascia indifferente.<br />

Sapevo benissimo che mi stavo avvicinando<br />

a un territorio ricco di storia, di tradizioni<br />

forgiate e consolidate al cospetto del tempo,<br />

e non soltanto per la sua strategica posizione<br />

geografica, ma anche per il suo clima<br />

e la sua natura.<br />

Graffiti, templi, bagli, castelli, rocche,<br />

leggende e miti si sono mostrati ai miei


occhi in un museo senza un tetto, posto<br />

sotto la cupola celeste e illuminato da un<br />

cielo stellato che nelle sere di primavera assomiglia<br />

a un manto di velluto adorno di<br />

diamanti.<br />

È così che sono voluto rimanere in questa<br />

Sicilia che sa alternare autostrade a “trazzere”<br />

adornandosi di mosaici composti da<br />

cromie di culture e genti diverse.<br />

Devono essere state le diverse dominazioni<br />

a trasmettere questa miriade d’elementi<br />

che impreziosiscono le abitudini e gli usi dei<br />

siciliani, i quali, inconsciamente e giornalmente,<br />

si abbeverano al fontanile della storia<br />

e dell’arte su una tavola ricca di sapori<br />

unici.<br />

Quel libro sui vini alla fine l’ho scritto e pubblicato,<br />

e devo dire che ha riscontrato un<br />

buon successo, ma c’era un però in quelle<br />

storie raccontate sui vignaioli siciliani e<br />

c’era un però anche in quel mio modo di descrivere<br />

il mondo del vino. Quel mio lavoro<br />

editoriale aveva una pecca: non rappresentava,<br />

e forse non avrebbe potuto farlo, tutto<br />

ciò che avevo visto nel mio viaggio. In quelle<br />

pagine avevo sì velatamente raccontato<br />

la sicilianità dei personaggi con i quali ero<br />

venuto a contatto, ma non avevo potuto<br />

narrare da che cosa essa scaturisse.<br />

Cosa fare? Pensai allora di scrivere una<br />

guida che fosse come un consigliere tascabile<br />

per l’enoturista desideroso di scoprire<br />

le infinite isole che compongono la Sicilia;<br />

l’idea era quella di prendere il viaggiatore<br />

per mano e di condurlo nei posti e nelle<br />

realtà che io avevo osservato da “curioso”.<br />

Cogliendo spunto dal mondo vitivinicolo<br />

ho quindi cercato – con la collaborazione<br />

di Gaetano Basile, Alfredo Vassallo e Antonio<br />

Mirabella – di immaginare un Grand<br />

Tour e di fornire agli enoappassionati uno<br />

stimolatore culturale oltre che una sorta di<br />

bussola per farli navigare tra le righe di questa<br />

terra unica, costellata di cantine che<br />

operano con maestria, impegno e dedizione.<br />

È nata così la Guida ai vini di Sicilia, in<br />

cui si racconta l’altra faccia dell’Isola, quella<br />

dei Nebrodi o delle Madonie, che sono le ultime<br />

propaggini dell’Appennino continentale<br />

italiano, andando a scoprire cosa vi fosse<br />

su quelle colline che finiscono là dove comincia<br />

il mare e sulle quali si trova la Sicilia<br />

di Menfi, di San Giuseppe Jato, di Marsala,<br />

di Erice, di Noto, di Siracusa e Ragusa, dell’Etna,<br />

del Belice e dell’Agrigentino.<br />

Una Sicilia che alterna al giallo oro delle<br />

messi il verde delle vigne e dell’olivo.<br />

Una terra che – come dicevo – deve essere<br />

esplorata, ma di cui vorrei dare una<br />

prima idea attraverso una citazione riportata<br />

nella mia guida: «Dal tempo di Proserpina,<br />

la Sicilia è stata la casa dei fiori. Si dice<br />

che le Dee vergini, Proserpina, Minerva e<br />

Diana, tesserono una tonaca di fiori variopinti<br />

per il padre Giove… Ora capisco perché<br />

gli Dei hanno tanto amato la Sicilia».<br />

Scriveva così, nel 1880, una “Milady in Sicilia”,<br />

al secolo Frances Elliot.<br />

Per raccontare tutto ciò che ho visto, studiato<br />

e amato, le 120 pagine che ho avuto<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Un consigliere<br />

tascabile<br />

per esplorare<br />

l’affascinante<br />

mosaico<br />

di territori<br />

che vanno<br />

da Marsala<br />

a Ragusa<br />

passando<br />

per i Nebrodi<br />

e le Madonie,<br />

le ultime<br />

montagne<br />

del Vecchio<br />

Continente<br />

a disposizione sono un numero risibile rispetto<br />

a quanto sarebbe stato necessario,<br />

ma credo che esistano pubblicazioni con<br />

un valore che va ben oltre il loro spessore,<br />

il formato o il livello informativo che hanno<br />

saputo proporre. Sono libri che sanno<br />

orientare e che pur essendo piccoli diventano<br />

punti di riferimento consentendo di impostare<br />

nuovi ragionamenti al fine di generare<br />

nuove idee; una specie di “testata<br />

d’angolo” su cui costruire ipotesi per un futuro<br />

comunicativo diverso, che travalica i<br />

confini della scrittura e idealmente traccia<br />

un percorso che conduce alla scoperta di<br />

più ambiziosi obiettivi.<br />

Penso che anche la mia fatica editoriale<br />

possa essere annoverata tra queste<br />

pubblicazioni, rappresentando un primo<br />

ma sostanziale passo verso l’integrazione<br />

del mondo del vino, al quale sono particolarmente<br />

legato, con il più complesso sistema<br />

siciliano. Del resto per me è stato piacevole<br />

collaborare con l’assessorato regionale<br />

all’Agricoltura avviando un ragionamento<br />

più ampio e profondo sul sistema vitivinicolo<br />

di quest’Isola, riuscendo a inserirlo<br />

all’interno del meccanismo territoriale<br />

dal quale nasce. Come devo ammettere<br />

che è altrettanto piacevole riuscire a stimolare<br />

chi ama viaggiare per terre che sanno<br />

raccontarsi e che sarebbe riduttivo identificare<br />

con una etichetta o con una semplice<br />

bottiglia di vino.<br />

Indubbiamente la Sicilia è una di queste<br />

terre; è una terra che sa stregare gli appassionati<br />

viaggiatori offrendo percorsi sensoriali<br />

unici che interagiscono con splendidi<br />

itinerari archeologici, naturalistici e gastronomici.<br />

Avrei voluto creare un circuito completo,<br />

comprensivo di tutto, dando spazio<br />

agli aspetti naturalistici per far sapere<br />

che la Sicilia è la regione italiana a più alta<br />

densità di parchi e riserve naturali (77)<br />

in proporzione alla sua superficie; per far<br />

sapere che il 62% del territorio isolano è a<br />

carattere collinare, il 24% montuoso, e solo<br />

il 14 % è costituito da pianure; per far<br />

sapere che la lunghezza complessiva delle<br />

coste siciliane supera i 1000 km e che<br />

la vetta più alta è costituita dai circa 3350<br />

metri dell’Etna, il più grande vulcano attivo<br />

d’Europa.<br />

Avrei voluto avere spazio per raccontare la<br />

poliedricità di questa terra. Avrei voluto raccontare<br />

l’antica arte culinaria dell’Isola, capace<br />

di rappresentare l’amalgama perfetto<br />

delle culture che vi approdarono da ogni<br />

angolo del Mediterraneo e che si ritrova,<br />

ancora oggi, sulle tavole dei siciliani.<br />

Una cosa, però, spero di essere riuscito a<br />

trasmetterla: la Sicilia è una terra composita,<br />

contraddistinta da segni e segnali forti<br />

che devono essere letti fra un alternarsi di<br />

saperi e sapori. Una terra che svela i suoi<br />

più intimi segreti solo a chi ha davvero voglia<br />

di approfondire, di andare oltre le apparenze,<br />

oltre anche gli spunti offerti dalla mia<br />

guida, che mi auguro serva almeno a far percepire<br />

le grandi potenzialità di quest’isola.<br />

pagina21SPECIALE


UN BRINDISI AL NETWORK<br />

di PIETRO MIOSI*<br />

È stata pubblicata la graduatoria delle<br />

enoteche locali da inserire nel network<br />

che l’assessorato Agricoltura della Regione<br />

siciliana, attraverso il Servizio VIII “Tutela,<br />

promozione e valorizzazione dei prodotti<br />

agroalimentari”, costituirà nei prossimi<br />

mesi. Il network siciliano, che rientra nell’ambito<br />

di un’ampia strategia di promozione<br />

del territorio, comprenderà un totale di<br />

undici enoteche.<br />

La misura 4.13 “Commercializzazione di<br />

prodotti di qualità”, sottomisura A “Sostegno<br />

alla commercializzazione di prodotti<br />

regionali di qualità”, prevede la realizzazione<br />

delle due sedi dell’enoteca regionale,<br />

una ad Alcamo e l’altra a Castiglione di Sicilia,<br />

e di un network di enoteche locali da<br />

realizzare all’interno delle Strade del vino<br />

riconosciute dalla Regione o in via di riconoscimento.<br />

Si tratta di un valido esempio<br />

di sinergia tra il settore pubblico e quello<br />

privato: al primo spetta il finanziamento<br />

dell’opera e la definizione delle strategie di<br />

fondo, mentre nelle competenze del secondo<br />

rientra la conduzione dell’enoteca,<br />

che dovrebbe tener in debito conto i comitati<br />

di gestione delle Strade del vino e le varie<br />

espressioni imprenditoriali del territorio.<br />

I sedici progetti presentati dagli enti locali<br />

(Province e Comuni) sono state valutati da<br />

un’apposita commissione sulla base dei<br />

seguenti criteri:<br />

valenza storica, artistica e culturale dell’edificio<br />

oggetto dell’intervento. Per dimostrarlo<br />

i beneficiari hanno presentato una<br />

dichiarazione di interesse culturale rilasciata<br />

dalla soprintendenza ai Beni culturali e il<br />

nullaosta della soprintendenza qualora<br />

sussistano vincoli architettonici;<br />

fattibilità tecnico-amministrativa del<br />

progetto (i tempi di cantierabilità e quindi<br />

di impegnabilità e di spendibilità delle relative<br />

risorse) tenuto conto delle esigenze<br />

dell’assessorato di impegnare e spendere<br />

le risorse del Por Sicilia 2000-2006 nei<br />

tempi previsti;<br />

qualità dell’ipotesi gestionale relativa<br />

agli aspetti di carattere amministrativo, societario,<br />

economico e finanziario della gestione.<br />

Dei sedici progetti presentati per le enoteche<br />

locali ben nove hanno dimostrato di<br />

possedere i requisiti richiesti dal bando. La<br />

dotazione finanziaria pubblica prevista è di<br />

3.400.000 euro, 500.000 euro per ciascuna<br />

sede dell’enoteca regionale, mentre per<br />

ogni singola enoteca locale l’importo massi-<br />

pagina22SPECIALE<br />

In via di realizzazione nell’Isola<br />

la rete di enoteche locali:<br />

nove strutture che affiancheranno<br />

le Strade del vino in un circolo<br />

virtuoso di promozione del territorio<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Previste anche<br />

due sedi<br />

regionali<br />

una ad Alcamo,<br />

che sarà<br />

inaugurata<br />

a settembre,<br />

e l’altra<br />

a Castiglione<br />

di Sicilia,<br />

che però<br />

deve ancora<br />

essere<br />

ristrutturata<br />

mo finanziabile è di 300.000 euro, pari al<br />

100% della spesa ammissibile.<br />

L’obiettivo principale dell’intervento è quello<br />

di valorizzare i vini siciliani di qualità e il sistema<br />

territorio al fine di promuovere lo sviluppo<br />

rurale di determinate aree geografiche<br />

e la conoscenza del patrimonio agricolo,<br />

ambientale e culturale.<br />

Gli operatori che gestiranno le enoteche<br />

locali dovranno essere i veri e propri animatori<br />

degli itinerari enogastronomici.<br />

L’enoteca è chiamata a rappresentare il<br />

territorio attraverso la ricchezza dei suoi<br />

sapori, a divulgare correttamente le informazioni,<br />

sotto il profilo tecnico-scientifico e<br />

storico, e a promuovere eventi di animazione<br />

culturale.<br />

Quindi è importante che il singolo produttore<br />

o imprenditore aderente alla Strada senta<br />

propria la struttura e veda in essa non<br />

solo una vetrina, ma anche un luogo in cui<br />

organizzare iniziative, incontrare operatori<br />

della stampa, esperti del settore e clienti.<br />

La strategia dell’assessorato comporta<br />

inoltre la promozione del sistema enoteche<br />

siciliane anche in ambito nazionale e internazionale,<br />

al fine di mettere a punto un piano<br />

di marketing che preveda la diffusione<br />

mediatica dell’iniziativa del network. A tale<br />

scopo verranno coinvolti tutti gli attori, sia<br />

pubblici che privati, si organizzeranno educational<br />

di giornalisti e tour operator, e si<br />

prenderà parte alle più importanti manifestazioni<br />

dedicate al turismo enogastronomico<br />

e al mondo del vino.<br />

Mentre una delle due sedi dell’enoteca regionale,<br />

quella di Alcamo, ha già avuto<br />

l’approvazione del decreto per il finanziamento,<br />

e potrà essere inaugurata entro il<br />

prossimo mese di settembre, per quella di<br />

Castiglione di Sicilia, che avrà sede nel<br />

castello di Castiglione, non si ha ancora<br />

una data certa di realizzazione perché<br />

l’edificio deve ancora essere ristrutturato<br />

e, come da bando, le spese per la ristrutturazione<br />

non sono ammissibili a finanziamento.<br />

LA LISTA DEI COMPITI<br />

Le azioni per mezzo delle quali le<br />

enoteche locali si propongono di valorizzare<br />

i vini siciliani di qualità, legandoli<br />

al territorio di provenienza,<br />

sono le seguenti:<br />

• organizzazione di manifestazioni attraverso<br />

le quali veicolare il marchio dell’enoteca<br />

e promuovere tutte le risorse del


||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />

Graduatoria<br />

dei progetti ammessi<br />

1. Ente proponente Comune di Menfi<br />

Nome della Strada Strada del vino Terre Sicane<br />

Edificio Palazzo Planeta<br />

Ubicazione Menfi<br />

2. Ente proponente Comune di Marsala<br />

Nome della Strada Strada del vino<br />

di Marsala-Terre d’Occidente<br />

Edificio Palazzo Fici<br />

Ubicazione Marsala<br />

3. Ente proponente Comune di Vittoria<br />

Nome della Strada Strada del vino<br />

Cerasuolo di Vittoria “dal barocco al liberty”<br />

territorio con particolare attenzione a<br />

quelle paesaggistico-ambientali, culturali<br />

e turistico-ricettive;<br />

• organizzazione di workshop tra operatori<br />

del settore vinicolo siciliano e giornalisti<br />

italiani e stranieri;<br />

• organizzazione di degustazioni dei vini<br />

siciliani in abbinamento ai prodotti tipici<br />

nell’ambito di eventi culturali (mostre fotografiche<br />

e di pittura, presentazioni di libri,<br />

consegna di premi);<br />

• organizzazione di visite guidate e attività<br />

informative rivolte ai consumatori finali<br />

(proiezione di video, realizzazione di reda-<br />

|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />

IL CASTELLO DEI CONTI DI MODICA<br />

Un castello del 1350, costruito sotto Enrico e Federico Chiaramonte, appartenuto<br />

alle più importanti famiglie di Alcamo e testimonianza del periodo aureo vissuto<br />

dalla cittadina nel periodo dei conti di Modica.<br />

L’edificio sorge nella vasta piazza della Repubblica, antica piazza d’armi della gendarmeria aragonese.<br />

La possente struttura poggia su pianta romboidale; dai quattro spigoli si ergono quattro torri alternate,<br />

due quadrate e due circolari; sulla facciata nord si possono ammirare bifore e trifore di stile gotico;<br />

la facciata ovest è oggi inglobata in corpi edilizi residenziali. A partire dal 1828 il castello dei conti di Modica<br />

è entrato in possesso del Comune di Alcamo e recentemente è stato ristrutturato.<br />

Sarà proprio il castello la sede della prima enoteca regionale siciliana, con annesso wine bar e museo<br />

del vino. L’attività della struttura consisterà nel valorizzare le etichette isolane presentandole ai<br />

consumatori e fornendo servizi ai produttori; il wine bar rappresenta un prolungamento dell’enoteca<br />

e ha l’obiettivo di contribuire a promuovere i vini regionali abbinandoli a sapori e prodotti tipici del territorio;<br />

il museo, infine, proporrà un percorso che, partendo dalle tecniche tradizionali, mostri l’attuale evoluzione<br />

della vitivinicoltura nella Sicilia occidentale. [v.m.]<br />

Edificio Castello Enriquez<br />

Ubicazione Vittoria<br />

4. Ente proponente Comune di Erice<br />

Nome della Strada Strada del vino Erice Doc<br />

Edificio Ex albergo diurno<br />

Ubicazione Erice<br />

5. Ente proponente Comune di Noto<br />

Nome della Strada Strada del vino del Val di Noto<br />

Edificio Loggia del mercato di Palazzo Nicolaci<br />

Ubicazione Noto<br />

6. Ente proponente Comune di Cefalù<br />

Nome della Strada Strada dei vini e dei sapori<br />

delle Madonie sul percorso della targa Florio<br />

Edificio Ex mercato ittico<br />

Ubicazione Cefalù<br />

Il Castello<br />

dei Conti di Modica<br />

ad Alcamo,<br />

sede della prima<br />

enoteca regionale<br />

7. Ente proponente Comune di Butera<br />

Nome della Strada Strada del vino<br />

dei Castelli Nisseni<br />

Edificio Locali annessi al castello arabo-normanno<br />

Ubicazione Butera<br />

8. Ente proponente Provincia regionale<br />

di Messina<br />

Nome della Strada Strade e rotte del vino<br />

della provincia di Messina<br />

Edificio Monastero benedettino<br />

Ubicazione San Placido Calonerò<br />

9. Ente proponente Comune di Ragalna<br />

Nome della Strada Strada del vino dell’Etna<br />

Edificio Palmento Arena<br />

Ubicazione Ragalna<br />

zionali su riviste di settore e di un sito attraverso<br />

il quale veicolare l’immagine dell’enoteca<br />

sui principali circuiti informatici<br />

nazionali);<br />

• esposizione e vendita dei vini;<br />

• organizzazione di eventi in collaborazione<br />

con associazioni di categoria che operano<br />

nel settore turistico-ricettivo;<br />

• organizzazione di seminari;<br />

• collaborazione con istituzioni e enti preposti<br />

alla valorizzazione dei vini.<br />

* Dirigente coordinatore del Servizio VIII,Tutela,<br />

promozione e valorizzazione dei prodotti agricoli<br />

pietromiosi@regione.sicilia.it<br />

pagina23SPECIALE


LE TRE “T” DEL SUCCESSO<br />

Terra, tradizione e talento: sono questi<br />

gli elementi che negli ultimi anni hanno<br />

permesso al settore vitivinicolo di diventare<br />

uno dei più importanti di tutto il<br />

comparto agrolimentare siciliano. Le<br />

peculiarità della Sicilia, attraverso un rinnovato<br />

processo di valorizzazione e promozione,<br />

hanno portato sicuramente a grandi<br />

risultati, sebbene il settore abbia attraversato<br />

diversi momenti di incertezza e debolezza,<br />

anche in tempi recenti. La consapevolezza<br />

delle grandi potenzialità che esso<br />

può offrire all’economia<br />

siciliana ha spinto l’assessorato<br />

regionale Agricoltura<br />

e Foreste a focalizzare<br />

l’attenzione sulla<br />

messa in opera di attività<br />

che non soltanto permettessero<br />

di superare contingenti<br />

periodi di crisi,<br />

ma che, attraverso la<br />

realizzazione di interventi<br />

strutturali, ponessero basi<br />

solide per una crescita<br />

sostenibile del settore. In<br />

questo contesto si inserisce<br />

la recente istituzione<br />

di un fondo di ben 100 milioni da destinare<br />

alla riqualificazione del comparto, previsto<br />

dalla legge n. 19 del 22 dicembre 2005.<br />

Le modalità di utilizzo del fondo, ripartito su<br />

diverse misure, sono state individuate sulla<br />

base di alcune direttrici ben definite che<br />

si ricollegano ai principali portatori di interesse<br />

all’interno del settore.<br />

Le imprese, ovviamente, alle quali sono<br />

destinate le differenti misure accomunate<br />

da obiettivi legati all’aumento della solidità,<br />

alla capitalizzazione delle imprese, all’autofinanziamento,<br />

alla maggiore copertura<br />

dei rischi, all’assistenza tecnica.<br />

Una delle misure, a tal proposito, prevede<br />

l’istituzione di centri di assistenza alle imprese,<br />

specialmente alle cooperative, che<br />

promuovano attività di formazione e aggiornamento<br />

in materia di innovazione tecnologica<br />

e organizzativa, gestione economica<br />

e finanziaria di impresa, accesso ai finanziamenti<br />

anche comunitari, sicurezza e<br />

tutela dei consumatori, tutela dell’ambiente,<br />

igiene e sicurezza sul lavoro e altre materie<br />

connesse al miglioramento delle attività<br />

aziendali, nonché le attività finalizzate<br />

alla certificazione di qualità e al controllo di<br />

gestione delle cooperative. Occorre infatti<br />

convogliare i fattori critici di successo, che<br />

pagina24SPECIALE<br />

Terra, tradizione e talento rendono<br />

la vitivinicoltura siciliana un settore<br />

dalle grandissime potenzialità<br />

L’assessorato regionale Agricoltura<br />

ha istituito un fondo da 100 milioni<br />

di VALENTINA MADONIA<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Le somme<br />

serviranno<br />

a riqualificare<br />

il comparto<br />

e sono destinate<br />

alle imprese<br />

secondo<br />

misure<br />

che vanno<br />

dalla<br />

capitalizzazione<br />

all’assistenza<br />

tecnica<br />

rendono il sistema Sicilia potenzialmente<br />

vincente, verso nuovi modelli organizzativi,<br />

gestionali, tecnologici, capaci di garantire<br />

al settore la possibilità di fronteggiarsi all’interno<br />

di scenari sempre più ampi.<br />

L’altro elemento di cui tener conto sono i<br />

consumatori, sempre più attenti non solo<br />

a cosa consumare ma anche a come è stato<br />

ottenuto il prodotto scelto. La qualità dei<br />

prodotti costituisce infatti, oggi più che mai,<br />

una componente essenziale nell’effettuazione<br />

delle scelte di acquisto da parte dei<br />

consumatori. La Sicilia<br />

senza dubbio gode di<br />

condizioni pedoclimatiche<br />

favorevoli per l’ottenimento<br />

di produzioni di<br />

qualità; è necessario però<br />

offrire ai consumatori<br />

un valore aggiunto, ossia<br />

la garanzia della qualità<br />

non solo del prodotto ma<br />

di tutto il processo produttivo.<br />

Da qui l’importanza<br />

della partecipazione<br />

degli agricoltori ai sistemi<br />

qualità, dalle indicazioni<br />

geografiche e denominazioni<br />

d’origine, all’attestazione di specificità<br />

dei prodotti agricoli e alimentari, alla certificazione<br />

del metodo di produzione, per fare<br />

alcuni esempi.<br />

Infine, ma sicuramente non in ordine di importanza,<br />

l’ambiente: molte misure sono<br />

volte infatti alla salvaguardia di un patrimonio<br />

che, come detto prima, costituisce uno<br />

dei fattori di successo per tutto il comparto<br />

agroalimentare. Non è un caso se circa la<br />

metà delle risorse sono destinate alla realizzazione<br />

di attività volte alla prima introduzione<br />

o al mantenimento del metodo di<br />

produzione integrata con annessi obblighi<br />

di programmazione delle fertilizzazioni,<br />

sulla base del reale fabbisogno delle colture,<br />

e di monitoraggio delle modalità di gestione<br />

del suolo, nonché al rispetto dei vincoli<br />

ambientali e delle limitazioni agli usi<br />

agricoli e alla ricostituzione e al mantenimento<br />

del paesaggio agrario tradizionale.<br />

Tra gli altri elementi portanti del piano, occupano<br />

un posto di rilievo le misure finalizzate<br />

alla realizzazione di programmi sperimentali<br />

e innovativi, nonché al sostegno di<br />

metodi di produzione agricola intesi a migliorare<br />

la qualità dei prodotti e a promuovere<br />

gli stessi in nuovi mercati di sbocco,<br />

sempre nel pieno rispetto dell’ambiente.


«Unica nel regno vegetale, la vite rende<br />

il vero sapore della terra intelligibile all’uomo».<br />

Colette<br />

Per rappresentare l’insieme<br />

delle undici Strade e Rotte siciliane<br />

è stato studiato un logo<br />

che collega il piacere del vino<br />

alle risorse artistiche e ambientali<br />

della regione. Nel simbolo<br />

il calice è parte del tempio,<br />

che – secondo recenti indagini<br />

del Coreras (Consorzio<br />

regionale per la ricerca applicata e la sperimentazione)<br />

– risulta il maggior elemento di richiamo<br />

culturale dell’Isola. I colori dominanti, giallo e rosso,<br />

riprendono quelli istituzionali della Regione<br />

siciliana. L’elemento vino è presente in modo incisivo<br />

e rimanda alla degustazione, al gusto, al<br />

sapore. La Sicilia è simbolicamente rappresentata<br />

dal mare e dalla terra, che creano un’intelaiatura<br />

concettuale con la cultura e l’enogastronomia,<br />

sintetizzando così le attrattive dell’Isola per<br />

i turisti italiani e stranieri.<br />

Il logo verrà utilizzato nella cartellonistica stradale<br />

e nelle iniziative promozionali insieme ai loghi<br />

delle singole strade del vino.<br />

Le strade e le rotte del vino siciliane<br />

a cura di Dario Di Bernardi


Un tempo<br />

si degustava<br />

solo nei grandi<br />

ristoranti<br />

oppure<br />

nelle enoteche,<br />

con etichette<br />

spesso troppo<br />

care e ricercate.<br />

Oggi l’approccio<br />

con il calice<br />

è più libero<br />

e schietto<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Marketing territoriale, valorizzazione delle risorse<br />

ambientali, incoraggiamento a nuove forme<br />

di consumo consapevole e più attento alla qualità:<br />

sono questi i principi su cui si basa il sistema<br />

di percorsi enoturistici istituiti dalla Regione<br />

IL VINO SICILIANO FA STRADA<br />

pagina26SPECIALE<br />

di DARIO DI BERNARDI*<br />

L’obiettivo che stiamo perseguendo nell’ambito della legge regionale che regolamenta<br />

le Strade e rotte del vino in Sicilia (L.r. n. 5 del 2 agosto 2002) è di innalzare<br />

sul piano della visibilità la nuova realtà vitivinicola regionale e il suo meraviglioso<br />

paesaggio antropico, utilizzando una sorta di intelaiatura funzionale al territorio<br />

e ai servizi offerti.<br />

Si lavora costantemente su molti aspetti della sperimentazione e della ricerca applicata<br />

in viticoltura, microbiologia ed enologia, e questo ci dà la possibilità di accrescere i<br />

contenuti dell’informazione “Sicilia”, che viene poi proiettata sugli scenari della domanda<br />

nazionale e internazionale. Il progetto, infatti, è nato essenzialmente per favorire le<br />

economie delle imprese siciliane, ma tiene conto anche del feedback che ritorna allo<br />

stesso territorio, soprattutto ai giovani che, ri-conoscendo le proprie risorse, possono<br />

modificare il sistema di forza contrattuale e generare essi stessi una nuova forma di<br />

occupazione nella propria regione.<br />

I trend attuali, registrati dai più accreditati monitoraggi degli orientamenti dei consumatori,<br />

confermano una crescente attenzione verso consumi più consapevoli per tipicità,<br />

per valore salutistico dei prodotti e per ecocompatibilità ambientale.<br />

A differenza del packaging, il sistema vino legato al territorio, se ben costruito e gestito,<br />

non è un fenomeno riproducibile. La strada del vino, che associa gli elementi antropici<br />

del paesaggio alle attività di sperimentazione e innovazione vitivinicola, può<br />

quindi operativamente rappresentare un elemento distintivo e divenire uno straordinario<br />

moltiplicatore di valore anche per altri prodotti regionali nonché per il sistema turismo<br />

nel suo insieme.<br />

Produrre beni e servizi di buona qualità è infatti una condizione necessaria<br />

ma non sufficiente per l’affermazione di una marca. Il binomio vino-territorio indica<br />

invece come, superando le vecchie problematiche dell’immagine e del posizionamento,<br />

si possa entrare con determinazione in una nuova e promettente area<br />

di valori legati al brand Sicilia.


Non serve<br />

imitare i francesi<br />

o i toscani<br />

o la Napa Valley.<br />

Ciò che si deve<br />

proporre<br />

è un’identità<br />

autentica<br />

e irriproducibile.<br />

Bisogna cioè<br />

vendere<br />

la “sicilianità”<br />

come valore positivo<br />

Molte cose sono cambiate in questi ultimi dieci anni nella motivazione al consumo del<br />

vino, dove l’edonismo continua a mantenere la leadership, ma già adesso anche il volto<br />

etico della produzione comincia a sentire gli effetti benefici di un crescente appeal.<br />

Non sottovaluteremo quindi le spinte costanti verso il salutismo che stanno crescendo<br />

simultaneamente alla riduzione dei consumi intesi nel senso tradizionale. Anche i<br />

luoghi della mescita non a caso stanno cambiando. Un tempo si degustava solo nei<br />

grandi ristoranti, con carte dei vini ricche, ma incomprensibili ai più, oppure nelle enoteche<br />

con etichette spesso troppo care e ricercate. Tutte situazioni in cui il rapporto<br />

con il calice era, in un certo senso, “complesso” per le difficoltà d’interpretazione del<br />

vino, e più di recente divenuto davvero difficile per il consumatore, che, seppur appassionato,<br />

si sta scoraggiando di fronte a prezzi che senza dubbio non hanno ancora<br />

trovato un equilibrio nei confronti dell’euro.<br />

Oggi l’approccio con il vino è più libero e schietto, se non addirittura un faccia<br />

a faccia. Si cerca con fare disinvolto la qualità e la propria soddisfazione edonistica<br />

anche tra gli scaffali della Grande Distribuzione. C’è quasi un nuovo piacere<br />

nella scoperta della qualità al prezzo più basso. Il desiderio di una propria personale<br />

cultura del vino, anche in questa nuova direzione, è in costante in aumento: i corsi<br />

per sommelier, un tempo gratuiti e poco frequentati, sono molto richiesti e più impegnativi<br />

anche in termini economici; i wine bar, come le enoteche, sono frequentati<br />

da una clientela giovane, attenta all’offerta, qualche volta disposta a spendere ma in<br />

cambio di una qualità che vuole saper decodificare e comprendere.<br />

Di conseguenza divengono sempre più luoghi elettivi del consumo quei posti dove si<br />

può scegliere e viaggiare alla ricerca di conoscenze, legate a nuove ma anche vecchie<br />

storie, in un rapporto libero con il vino, non stressato dalla pressante figura degli<br />

“intenditori”, che a volte danno l’impressione di voler ricodificare il linguaggio del vino<br />

caricandolo di saccenza (cosa ben diversa dalla conoscenza) e finendo invece per privarlo<br />

della sua natura più semplice e autentica che si traduce in un immediato valore<br />

percepito del prodotto.<br />

Pensare al vino in chiave di marketing territoriale non è antagonistico o opposto ai<br />

criteri della Grande Distribuzione, dove il vino sta oggi vivendo un periodo di protagonismo.<br />

L’andamento del mercato conferma che oggi sia nella GD, sia negli altri luoghi<br />

di approvvigionamento, il vino non si beve, ma si degusta, si prova, si sperimenta.<br />

Un fenomeno di costume oltre che economico. La ricerca dell’emozione, infatti,<br />

è una tendenza che delinea il profilo del consumatore entrando a far parte anche<br />

del suo rapporto con la distribuzione. «Ha già sperimentato tutto – sostiene il sociologo<br />

Giampaolo Fabris –, per questo compra solo le cose che riescono, in una certa misura,<br />

a farlo sognare, a regalargli l’idea, o l’illusione, di un’altra vita; è un cliente difficile,<br />

cerca qualcosa che lo faccia “vibrare dentro”, qualcosa che gli procuri sensazioni».<br />

Il vino, pur non essendo un piacere elitario, può infatti offrire una lussuosa varietà edo-<br />

pagina27SPECIALE


Da sola,<br />

la qualità<br />

del vino<br />

non basta più.<br />

Le aziende<br />

maggiori<br />

lo hanno imparato:<br />

il “brand<br />

territoriale Sicilia”<br />

è in grado<br />

di aumentare<br />

il valore reale<br />

e percepito<br />

delle produzioni.<br />

L’ intera Isola<br />

sta in un bicchiere<br />

nistica: se di qualità, è sempre un’esperienza che stimola il palato, ma anche la fantasia,<br />

evocando mondi e modi di essere, e questo è ancor oggi un buon potenziale d’investimento<br />

in una idea di sicilianità percepita come modello di buon vivere.<br />

Si dice che un bicchiere di buon Chianti è una passeggiata in un podere toscano. E<br />

un bicchiere di Passito, di Marsala, di Etna o di Cerasuolo di Vittoria? Quale paesaggio<br />

della Sicilia, quali emozioni, quali archetipi evocano nel consumatore? È questo il<br />

lavoro che su più fronti, sia pubblici che privati, abbiamo cominciato a costruire per gli<br />

anni a venire.<br />

Le più note imprese regionali accettano di buon grado e addirittura favoriscono un felice<br />

scambio d’interessi tra il packaging aziendale e le politiche rivolte alla valorizzazione<br />

della territorialità, coscienti che una bella scenografia alle spalle incide certamente<br />

sulla percezione qualitativa del prodotto singolo. Sanno che il “brand territoriale<br />

Sicilia” può aumentare il valore reale e percepito e che la qualità del vino, da sola,<br />

non basta più.<br />

La rinnovata vitalità del packaging del vino nello sfondo di un forte connubio vino-territorio<br />

può infatti contribuire a rendere sempre più visibili gli aspetti invisibili del mondo<br />

del bere, per sfruttare appieno le tendenze in atto che stanno rinvigorendo il mercato<br />

vinicolo.<br />

Si va sempre più diffondendo la consapevolezza che è importante adottare comportamenti<br />

salutistici. Il risveglio del sapore tipico è indissolubilmente legato al risveglio<br />

dell’ambiente inteso come esigenza di recupero esistenziale. E, anche se attraverso<br />

una non completa elaborazione intellettuale, siamo convinti che il fenomeno stia già<br />

condizionando la scelta motivazionale, determinando una spinta verso stili di comportamento<br />

e di relazioni interpersonali che riconducono ai prodotti naturali e ai loro percorsi,<br />

rientrando così a pieno titolo nella visione salutistica del bere, nel cui profilo apprezzabili<br />

ricerche di settore indicano la sopravvivenza commerciale del vino.<br />

Dal punto di vista metodologico il SIT realizzato su software ArcWiew GIS dalla<br />

Regione siciliana presso l’Istituto regionale della Vite e del Vino, ma non ancora<br />

completamente a regime, resta un valido strumento operativo, in quanto permette<br />

di rispondere alle numerose richieste che provengono dal variegato mondo<br />

della comunicazione e alle curiosità dei tour operator, che si muovono con ritmi di<br />

produzione non coincidenti con i tempi di raccolta delle informazioni vino-territorioambiente.<br />

Questo è un punto economicamente vitale per quanto riguarda la formazione dei “pacchetti<br />

soggiorno”, laddove l’incidenza del fatturato in generale del “turismo verde” è un<br />

aspetto molto marginale del business turismo, ma con un trend in crescita che ne motiva<br />

un certo interesse. La possibilità di sapere cosa c’è nel territorio attraverso un sistema<br />

efficace e aggiornato crea un immediato contatto che semplifica la definizione<br />

dell’offerta.<br />

Una dislocazione remota del nodo informativo in punti collocati all’interno delle<br />

singole Strade, ad esempio presso le enoteche locali o i punti di accoglienza<br />

o altro, permetterà la realizzazione di un network con flussi di dati in e aut e quindi<br />

un monitoraggio in costante aggiornamento.<br />

Se poi inseriamo questo lavoro nel generale contesto operativo dei settori tecnici preposti<br />

alla valorizzazione del patrimonio vitivinicolo regionale, troviamo nella ricerca –<br />

in particolare, in questi ultimi anni, nella selezione clonale e in quella microbiologica –<br />

un valido riferimento per gli aspetti innovativi dei programmi a sostegno della futura<br />

produzione. Un aspetto importante è che queste iniziative hanno costi bassissimi e valorizzano<br />

le risorse professionali del territorio, creando così le basi per un’economia vitivinicola<br />

reale e permanente.<br />

La crescita del sistema Strade del vino di Sicilia non deve, a nostro avviso, risiedere<br />

nel tentativo di imitare i francesi o i toscani o la Napa Valley. Ciò che si<br />

deve proporre è un’identità autentica e irriproducibile. È questa l’idea vincente<br />

delle Strade del vino: vendere la sicilianità come valore positivo. Costruire una realistica<br />

“glocalizzazione” della ruralità siciliana. Questo non tanto per affermare un principio<br />

filosofico, quanto per il fatto che l’originalità e la novità nel proporsi possono divenire<br />

l’elemento chiave della visibilità.<br />

Con le parole dello storico Fernand Braudel possiamo affermare che il Mediterraneo<br />

ha una forte identità legata al vino, all’olio e al grano. Oggi, per valorizzare<br />

una tradizione viticola tra le più ricche del Mediterraneo, il sistema Strade del vino, nelle<br />

sue componenti pubbliche e private, si è già attivato con l’obiettivo di caratterizzare<br />

e dare contenuti al brand territoriale Sicilia. È per questo che la Regione ha investito<br />

a partire dagli anni Novanta in risorse umane ed economiche, e ha individuato nell’uso<br />

di cartografie digitali, nell’emanazione di una legge regionale, nell’adozione della cartellonistica<br />

e di un logo regionale, un metodo strutturato e in progress per documentare<br />

le emergenze viticole, enologiche, ambientali, culturali e turistiche.<br />

Ridotto all’estrema sintesi l’orientamento oggi condiviso su molti fronti è quello di contribuire<br />

a qualificare e al tempo stesso tutelare il futuro dei vini di Sicilia.<br />

*Dirigente tecnico presso l’Istituto regionale della Vite e del Vino<br />

pagina28SPECIALE


L’enologia<br />

regionale<br />

letta come<br />

“capitale sociale”<br />

su cui investire.<br />

L’indagine<br />

si concentra<br />

sugli aspetti<br />

socioculturali<br />

che rallentano<br />

la crescita<br />

del comparto.<br />

Troppo netta<br />

la separazione<br />

tra pubblico<br />

e privato<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Pubblicati i risultati di una ricerca sulle figure<br />

imprenditoriali della vitivinicoltura siciliana<br />

di qualità e sui percorsi enoturistici. Ipotizzate<br />

alcune linee guida per rendere le Strade del vino<br />

una reale e competitiva occasione di sviluppo<br />

SI VINCE ANDANDO “A RETE”<br />

di ANTONELLA ARTISTA*<br />

Le Strade del vino siciliane, intese come “sistema integrato di offerta turistica”,<br />

rappresentano un caso paradigmatico, sebbene carico di criticità, di “capitale<br />

sociale” entro un territorio definito. Il “capitale sociale” si configura come costrutto<br />

concettuale strategico per lo studio di esperienze di aggregazione nel territorio, fra attori<br />

pubblici e privati, mirate alla costruzione negoziata di “reti di sviluppo”. I percorsi<br />

eno-gastronomico-turistici, infatti, possono rappresentare un’occasione di nevralgica<br />

importanza per estendere e incrementare processi di partecipazione a progetti di sviluppo<br />

a spiccata valenza territoriale.<br />

Sul comparto vitivinicolo e sul tema dell’enoturismo, con particolare riferimento<br />

al contesto siciliano, è stata condotta una ricerca, i cui risultati sono presentati<br />

e analizzati nel recente volume Vino e reti di sviluppo: percorsi enoturistici e figure<br />

imprenditoriali dell’enologia siciliana di qualità (Franco Angeli, Milano 2005). La realtà<br />

vitivinicola siciliana, orientata alle produzioni di qualità, è stata individuata come<br />

campo di osservazione privilegiato per l’analisi di alcune dimensioni critiche dei processi<br />

di sviluppo locale.<br />

L’analisi tracciata in questa pubblicazione, di taglio eminentemente sociologico,<br />

si concentra sugli aspetti socioculturali e politico-istituzionali che costituiscono<br />

un limite alla costruzione di “network di sviluppo” nel territorio. Oltre all’individuazione<br />

delle principali linee di frattura tra versante privato e settore pubblico, la ricerca<br />

ha permesso di tematizzare i fattori che ostacolano o rallentano i processi di partecipazione<br />

collettiva ad azioni di sviluppo, mettendo a fuoco, in particolare, quelli legati alla<br />

capacità degli attori locali di aggregarsi e “fare sistema” in chiave autopropulsiva.<br />

pagina29SPECIALE


Quattro<br />

le province<br />

prese in esame:<br />

Agrigento,<br />

Catania, Palermo<br />

e Trapani.<br />

Sono stati<br />

intervistati<br />

ventidue tra<br />

i maggiori<br />

produttori e<br />

alcuni testimoni<br />

del mondo<br />

delle Istituzioni.<br />

Unico il tema:<br />

politica e sviluppo<br />

Va subito evidenziato, infatti, che le politiche per lo sviluppo socioeconomico delle aree<br />

svantaggiate si traducono spesso in misure distributive a beneficio di interessi particolaristici,<br />

restando in questo modo inefficaci per l’attivazione di processi di sviluppo locale<br />

caratterizzati da coesione, stabilità e diffusività.<br />

L’itinerario di ricerca seguito ha permesso di verificare empiricamente l’esistenza e/o<br />

l’assenza in alcune aree della Sicilia di quei beni pubblici, di natura collettiva e “relazionale”,<br />

che risultano indispensabili per la realizzazione di un progetto di sviluppo<br />

incentrato su risorse e fattori autogeni, e – contestualmente – di mettere in luce<br />

le best practice e i comportamenti strategici da adottare per la costruzione di tali beni<br />

e il loro mantenimento cooperativo.<br />

Per dare all’enoturismo siciliano uno spessore e un respiro internazionale è necessario<br />

inquadrarlo nella cornice di un più ampio progetto di sviluppo locale che, a differenza<br />

della semplice valorizzazione territoriale, si caratterizza per interventi, progetti<br />

e processi di trasformazione che si connotano per il loro aspetto multidimensionale<br />

e integrato, cercando di agire a livello economico, sociale, politico e culturale<br />

in modo da tessere un rapporto di stretta interdipendenza fra queste diverse direttrici<br />

dello sviluppo.<br />

Il corpus testuale esaminato nell’ambito della ricerca è rappresentato dalle interviste<br />

a ventidue imprenditori, tra i maggiori esponenti dell’enologia siciliana<br />

di qualità nelle quattro province oggetto di indagine – Agrigento, Catania,<br />

Palermo e Trapani – e ad alcuni testimoni privilegiati della sfera politico-istituzionale,<br />

responsabili della programmazione e delle politiche pubbliche riguardanti il settore<br />

vitivinicolo, con l’obiettivo di evidenziare le discontinuità e/o i punti di contatto<br />

fra le due sfere e di esaminare criticamente il ruolo delle istituzioni nei processi di<br />

sviluppo locale.<br />

Tra i principali deficit emersi dalla ricerca se ne segnalano alcuni di particolare rilevanza,<br />

evidenziando le resistenze strutturali più critiche all’affermazione del fenomeno<br />

enoturistico in Sicilia.<br />

Innanzitutto, il settore enoturistico non sembra ancora configurarsi come “sistema<br />

integrato di offerta turistica” secondo il modello distrettuale, sia per carenze di natura<br />

infrastrutturale del comparto turistico, dei trasporti, della ristorazione, ecc., sia per<br />

un’anomala dotazione di “capitale sociale”.<br />

Il distretto enoturistico viene descritto dalla maggioranza degli intervistati come un fenomeno<br />

allo stato nascente (fase pre-distrettuale) per la cui implementazione si richiede<br />

un processo di maturazione degli attori coinvolti, ai vari livelli, in direzione di una<br />

cultura dello sviluppo. Il passaggio dall’attuale fase nascente delle Strade del vino siciliane<br />

alla forma distrettuale implica un processo di costruzione partecipata percepito<br />

dagli intervistati come lento e rischioso, poiché, in assenza di un’adeguata pianificazione<br />

e di strategie mirate di gestione, i limiti, le resistenze e le lacune di carattere<br />

strutturale, culturale e politico-istituzionale finirebbero con il prevalere determinando<br />

una tendenza involutiva della realtà in formazione.<br />

Dalle dichiarazioni di alcuni imprenditori intervistati emerge anche l’esigenza di un<br />

soggetto pubblico, individuato nell’amministrazione regionale, che eserciti a livello me-<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Con il riconoscimento delle Strade del vino della<br />

provincia di Messina e del Val di Mazara gli itinerari<br />

siciliani, istituiti dall’assessorato regionale<br />

all’Agricoltura e Foreste su proposta dell’Unità<br />

operativa 23 “Vitivinicoltura”, sono arrivati a quota<br />

undici. Un numero destinato a crescere, tenuto conto<br />

che sono già in corso di riconoscimento la “Strada<br />

Isola Ferdinandea Terre di Sciacca, Burgio,<br />

Caltabellotta e Ribera” e la “Strada dei vini delle<br />

Madonie sul percorso della targa Florio”.<br />

Ma in che modo le Strade e rotte del vino possono<br />

diventare uno strumento di valorizzazione e di sviluppo<br />

per la Sicilia? La legge n. 5 del 2 agosto 2002, che ne ha<br />

regolato l’istituzione, le definisce «itinerari turistici lungo i<br />

quali insistono vigneti, cantine, enoteche, musei della vite<br />

pagina30SPECIALE<br />

Le iniziative dell’assessorato regionale Agricoltura<br />

per lanciare le undici Strade del vino siciliane<br />

promuovendone un’immagine coordinata<br />

e affinando la professionalità degli operatori<br />

ISTITUIRE NON BASTA<br />

di GIUSEPPE BURSI* E CLAUDIA DI MAIO*<br />

e del vino, centri di informazione e accoglienza, aziende<br />

specializzate in produzioni tipiche e di qualità, strutture<br />

turistico ricettive, valori naturali, culturali e ambientali».<br />

L’obiettivo è quindi quello di attirare potenziali visitatori<br />

che, motivati dalla loro passione per il vino, scoprono un<br />

territorio, le sue bellezze naturali e architettoniche, ma<br />

anche la sua cucina, le sue tradizioni, la sua cultura.<br />

Perché le Strade siano realmente fruibili occorre<br />

però renderle operative e promuoverle. È questa la<br />

parte più difficile, come dimostra l’esperienza di altre<br />

regioni che, pur essendo partite prima della Sicilia,<br />

spesso fanno i conti con Strade attivate solo sulla carta.<br />

Esistono per fortuna esempi più edificanti di Strade che<br />

funzionano, operano e sono riuscite a diventare volano<br />

di sviluppo di un territorio. Da queste esperienze


Formazione e<br />

aggiornamento<br />

professionale,<br />

promozione ,<br />

informazione e<br />

comunicazione,<br />

incentivi destinati<br />

alle imprese.<br />

Sono queste<br />

le regole d’oro<br />

per far volare<br />

l’economia<br />

di un settore<br />

che promette<br />

ai suoi addetti<br />

un roseo futuro<br />

ta-locale funzioni di “regia” delle dinamiche endogene di sviluppo, ancorandole a un<br />

indirizzo programmatico e a un paradigma organizzativo che abbiano funzioni di orientamento<br />

e di coordinamento delle diverse iniziative promosse su base locale (Comuni,<br />

Province). Le politiche pubbliche e i connessi interventi operativi a sostegno della<br />

filiera vitivinicola, infatti, non sembrano armonizzarsi nel quadro di un paradigma di sviluppo<br />

integrato e di una visione strategica unitaria imperniati su un modello di management<br />

e di marketing del territorio. Ne deriva che i percorsi del vino e del gusto siciliani,<br />

in assenza di un “modello” di riferimento che ne orienti le strategie di gestione,<br />

promozione e valorizzazione, potrebbero non tradursi in reali occasioni di sviluppo e di<br />

crescita per il territorio.<br />

L’integrazione dei diversi percorsi in un sistema “a rete” rappresenta, inoltre,<br />

un fattore strategico per le politiche di marketing delle Strade del vino, in<br />

quanto da essa dipende la comunicazione di un’immagine coerente e coordinata<br />

della costellazione di realtà enogastronomiche locali e degli itinerari turistici ad esse<br />

connessi. L’attrazione esercitata sul consumatore, infatti, sarà tanto maggiore<br />

quanto più le campagne promopubblicitarie di questi percorsi del gusto si baseranno<br />

sul concetto di brand territoriale, ossia di promozione dell’offerta enogastronomica<br />

e di tipicità del sistema territoriale siciliano, facendo leva sulla nozione di “marca<br />

Sicilia”. La “marca territoriale”, infatti, assolve la funzione fondamentale di coagulare<br />

e portare a sintesi la promozione delle diverse Strade del vino riconosciute,<br />

sfuggendo al rischio di una comunicazione settoriale, parcellizzata e priva di coordinamento.<br />

In conclusione, le undici Strade del vino siciliane finora ufficialmente riconosciute, costituiscono<br />

un primo step in direzione di un sistema integrato di offerta turistica (distretto<br />

eno-gastronomico-turistico) che, tuttavia, necessita di elevare il livello di intersettorialità<br />

e di integrazione reticolare tra i diversi comparti coinvolti e del passaggio a una<br />

fase di implementazione operativa.<br />

Dalla ricerca è emerso altresì, in linea con il Quarto Rapporto del Censis Servizi sul<br />

Turismo del vino [2004], come – a sette anni dall’approvazione della legge nazionale<br />

sulle Strade del vino (L. 268/99) – l’enoturismo necessiti di una decisa azione di rilancio<br />

per consentire alle Strade di mettere definitivamente “a sistema” la loro offerta turistica.<br />

Quattro, in particolare, gli aspetti che andrebbero sviluppati: la formazione e l’aggiornamento<br />

professionale degli operatori impegnati nelle Strade del vino; una più efficace<br />

promozione di sistema; il miglioramento del sistema informativo e di comunicazione;<br />

incentivi alle imprese che fanno accoglienza turistica.<br />

Se queste linee guida saranno efficacemente seguite, il turismo enogastronomico potrà<br />

ampiamente dispiegare anche in Sicilia le proprie potenzialità e divenire una reale<br />

e competitiva occasione di sviluppo.<br />

* Dottore di ricerca in Sociologia (Università di Catania).<br />

Insegna Sociologia dei fenomeni politici nelle Facoltà di Scienze della Formazione<br />

e di Economia dell’Università di Palermo<br />

dobbiamo prendere lo spunto per cercare di organizzare<br />

al meglio i percorsi enoturistici siciliani.<br />

Occorre quindi creare itinerari appetibili dove, al di là<br />

delle bellezze naturali – che per fortuna in Sicilia non<br />

mancano –, occorre proporre servizi e iniziative a uso del<br />

visitatore. È chiaro inoltre che il successo di una Strada<br />

dipende molto dalla professionalità delle aziende<br />

aderenti, ma soprattutto dall’attività di coordinamento dei<br />

Comitati di gestione dei singoli percorsi, che dovranno<br />

garantire una organizzazione adeguata alle esigenze<br />

degli enoturisti. Ecco quindi i centri di informazione,<br />

l’offerta di servizi, la garanzia del rispetto degli standard<br />

di qualità da parte degli aderenti, il materiale<br />

promozionale e in generale tutto ciò che è utile per<br />

ottimizzare la fruizione del territorio.<br />

Al fine di sottolineare l’importanza che può assumere<br />

tale logica di “sistema” e al contempo accrescere la<br />

professionalità degli aderenti, l’Unità operativa 23<br />

dell’assessorato regionale Agricoltura ha avviato nei<br />

mesi di novembre e dicembre 2005 un percorso<br />

formativo-informativo rivolto alle singole Strade.<br />

Nel corso di seminari, della durata di due giorni,<br />

sono stati affrontati diversi temi: dalla legislazione<br />

nazionale e regionale all’importanza di una corretta<br />

cultura dell’accoglienza; sono state inoltre illustrate<br />

le tecniche di promozione aziendale, cercando di far<br />

crescere tra i partecipanti la consapevolezza che il<br />

successo di una Strada dipende essenzialmente dalla<br />

capacità dei singoli di sentirsi protagonisti di un unico<br />

progetto. Altri incontri sono previsti per il 2006 e si pensa<br />

di concludere l’attività con un evento da realizzarsi a<br />

settembre, alla presenza della stampa specializzata,<br />

finalizzato a presentare e promuovere le Strade siciliane.<br />

È stato inoltre pubblicato un bando di gara per il<br />

finanziamento di una serie di misure riguardanti la<br />

creazione di una apposita segnaletica che guidi il<br />

visitatore lungo le Strade, la realizzazione di attrezzati<br />

centri di informazione, l’adeguamento delle cantine ai<br />

requisiti di qualità previsti dai disciplinari. In programma<br />

anche altri interventi finalizzati a promuovere<br />

un’immagine coordinata delle Strade del vino siciliane,<br />

nella consapevolezza che quanto più si riuscirà a fare<br />

“sistema”, tanto maggiori saranno le ricadute positive<br />

non solo per il singolo socio, ma per l’intero territorio.<br />

* Unità operativa n. 23 “Vitivinicoltura”,<br />

assessorato Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />

agri1.viticoltura@regione.sicilia.it<br />

pagina31SPECIALE


i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

pagina32SPECIALE<br />

|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />

Strada del vino Monreale Doc<br />

CATARRATTO, OVVERO IL RE DEL PALERMITANO<br />

Nel territorio della provincia di Palermo si coltivano, secondo l’Srrfv-Agea, circa 16.000 ettari di vigneto, con<br />

una produzione media di poco più di 1 milione di ettolitri. Il Catarratto, già descritto in questi luoghi dal Cupani<br />

nel suo Hortus Catholicus (1696) come «vitis uberrima rotundo fructu albo, omnium opprime succosum admodum<br />

dulci», è il vitigno tradizionale bianco maggiormente diffuso. Dagli anni Novanta sono state introdotte varietà innovative<br />

che, insieme ai 1.200 ettari di Nero d’Avola, costituiscono oggi un’ampia base ampelografica orientata alla<br />

produzione di vini moderni e di alta qualità.<br />

Molto del successo dei vini di Sicilia nelle enoteche e nei ristoranti colti diffusi in Italia e nel mondo si deve all’antica<br />

tradizione enologica del territorio palermitano. Già nel Cinquecento, infatti, Tommaso Falzello indicava la piana di Palermo<br />

come una fra le zone più importanti per la produzione vinicola, e i vini della zona sono citati tra i migliori bianchi<br />

dell’Isola anche dal bottigliere di Paolo III Farnese, Sante Laucezio. Alla fine del Settecento il poeta Giovanni Meli<br />

descrive nel suo Ditirammu i vini del Palermitano, tracciando i primi appunti per un’enologia moderna. E dell’eccellenza<br />

di queste produzioni torna a parlare Domenico Scinà nella Topografia di Palermo e dei suoi contorni.<br />

Enrico Alliata, Duca di Salaparuta, è il fondatore delle Cantine che a Casteldaccia hanno dato vita all’intramontabile<br />

mito del Corvo, sulle cui ali il vino di Sicilia ha girato le migliori tavole del mondo. Con il nome di “Colomba bianca”<br />

Topazia Alliata ha espresso meravigliosamente in un’etichetta il segno di grande civiltà che un vino può tracciare<br />

nel e del suo territorio.<br />

Grandi personalità, che hanno fatto grandi famiglie e hanno dato un carattere nobile al rapporto dell’uomo<br />

con il vino, legittimandone il piacere. Molte delle cose che oggi definiamo trendy, lo stesso gusto internazionale<br />

che è anche il modo in cui si apprezza un vino, sono già pienamente vissute nella vita di questi aristocratici gattopardi.<br />

È una grande tradizione, quella dei Conti Tasca d’Almerita. E quanta storia contadina – una storia che ha sempre<br />

affascinato i più interessanti scrittori di cose siciliane – è ancora trasmessa dalle colline palermitane? Queste zone<br />

sono ora identificate come Doc Contea di Sclafani, Contessa Entellina, Monreale, denominazioni che forse<br />

non hanno ancora avuto il giusto risalto, un po’ oscurate dai prestigiosi marchi aziendali.<br />

Oggi nel territorio di Monreale si possono trovare agriturismi di elevatissimo pregio, molte cantine all’avanguardia e<br />

vini di ottima fattura.<br />

DA VEDERE La cittadina di Monreale, a sette chilometri da Palermo e a 320 m di altitudine, è celebre per il<br />

suo Duomo e per l’annesso chiostro benedettino. La visita del complesso richiede almeno un’ora e mezzo, ma è altamente<br />

consigliata.<br />

La chiesa fu fondata nel 1174 dal sovrano normanno Guglielmo II il Buono, che la dedicò alla Madonna. L’edificio<br />

ha una struttura basilicale a tre navate, divise da diciotto colonne di epoca romana. Le pareti sono decorate con<br />

splendidi mosaici, tra i quali spicca l’imponente figura del Cristo pantocratore nel catino absidale. Una curiosità per<br />

gli “enoappassionati” è il mosaico L’ebbrezza di Noè, databile tra la fine del XII e la metà del XIII secolo.


LE RISORSE<br />

PAESAGGISTICHE<br />

ISOLA<br />

DI PANTELLERIA<br />

ISOLE<br />

DELLO STAGNONE<br />

DI MARSALA<br />

LAGO PREOLA<br />

E GORGHI TONDI<br />

SALINE DI TRAPANI<br />

E PACECO<br />

AREA MARINA<br />

PROTETTA<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />

Strade del vino Alcamo Doc, Erice Doc,<br />

Marsala-Terre d’Occidente e Val di Mazara<br />

TRAPANI SI È FATTA IN QUATTRO<br />

Con i suoi circa 67.400 ettari di vigneto, Trapani è la provincia più vitata d’Italia,<br />

il 57% della superficie dedicata siciliana, e fa registrare ogni anno una produzione<br />

in vino e mosti che mediamente si aggira sui 3 milioni e mezzo di ettolitri.<br />

Il Catarratto è il vitigno storicamente più diffuso e occupa circa il 50%<br />

della superficie coltivata a vigneto.<br />

Tra le uve bianche spiccano anche il Grecanico, l’Inzolia, il Trebbiano,<br />

lo Chardonnay, lo Zibibbo; tra le uve rosse, il Nero d’Avola, con ben 3800 ettari circa,<br />

seguito dal Syrah, con 3000 ettari, e poi dal Merlot, dal Cabernet Sauvignon<br />

e molte altre varietà locali, come Grillo, Perricone, Viognier, Alicante.<br />

BERE TRA JAZZ E ARTE Il disciplinare di produzione della Doc Alcamo è stato recentemente<br />

modificato. Dopo il riconoscimento iniziale come “Alcamo o Bianco Alcamo” (Gu n. 249/72) le mutate condizioni<br />

di mercato, con una domanda nazionale e internazionale sempre più rivolta ai rossi, hanno fatto emergere la<br />

necessità di riscoprire e potenziare questo vino, il cui disciplinare è stato pertanto rivisto nel settembre 1999 (Gu n.<br />

241/99) così da includere, sotto la nuova denominazione “Alcamo”, anche le tipologie rosso e rosato.<br />

La base ampelografica (ovvero la composizione che deve avere il vino per ottenere questa denominazione d’origine)<br />

è stata dunque ampliata per le uve bianche ed estesa alle uve nere, a cominciare dal Nero d’Avola.<br />

Alcamo è sede dell’Enoteca regionale, che si trova presso il Castello dei Conti di Modica nel cuore del centro storico<br />

del paese. Cittadina di particolare dinamismo, è nota per le frequenti rassegne jazz di notevole prestigio. Bellissime<br />

le colline vitate del territorio, testimoni di una civiltà contadina di forte identità, che si tramanda negli uomini, nelle<br />

architetture, nei luoghi, nei vigneti. Le aziende della zona, inoltre, raggiungono elevatissimi livelli qualitativi, non<br />

solo per i vini ma anche per un concetto di ospitalità molto amichevole.<br />

Vicino alla stazione si trovano sorgenti termali attrezzate che meritano un buon bagno di ristoro. E ancora, a pochi<br />

minuti, l’assolutamente imperdibile tempio elimo di Segesta, unico al mondo e in straordinario stato di conservazione,<br />

con il vicino teatro greco artisticamente attivo nel periodo estivo.<br />

Non lontano, sul mare, la bellissima Scopello, con una tonnara considerata uno degli approdi più belli per i naviganti.<br />

L’antico e romantico paesino offre inoltre ottimi servizi di ricettività e ristorazione.<br />

ERICE DA DEGUSTARE Proseguendo sulla costa in direzione di Trapani ha inizio la Strada del vino<br />

Erice Doc: un nome che da solo rievoca miti antichissimi e una storia millenaria. Ma Erice non è solo il fascino medievale<br />

immutato delle sue strade selciate e del suo castello, è anche un territorio (quello dei comuni dell’agro ericino,<br />

appunto) di rara bellezza e di naturale vocazione alla viticoltura grazie alle sue caratteristiche assolutamente straordinarie:<br />

la particolare morfologia dei suoli delle colline che circondano Monte Erice, il clima caldo-asciutto di un territorio<br />

compreso tra i 200 e i 700 metri d’altezza, la continua ventilazione grazie alla brezza marina, l’elevata escursione<br />

termica.<br />

La Strada annovera tra i suoi associati importanti cantine del vino italiano, leader in Sicilia, ma note ormai in tutto il<br />

mondo: Fazio, Cantina sociale di Trapani, Cantina Ericina. Non solo vino, però: il percorso della Erice Doc racchiude<br />

in sé tutte le realtà di eccellenza della zona; solo per citarne alcune, aziende agrituristiche che applicano i principi<br />

della fattoria didattica (agriturismo Borromeo), castelli medievali trasformati in resort di lusso (Torri Pepoli), casali<br />

o bagli da sogno (Corcella) per vacanze indimenticabili, agriturismi dove è ancora possibile trovare l’ospitalità, il calore<br />

e la cucina della più autentica tradizione siciliana (Baglio Fontana e Villa Immacolatella). Insomma, tutto ciò che<br />

è necessario per creare un itinerario affascinante anche agli occhi del turista italiano o straniero più esigente. Primo<br />

scopo della Strada del vino Erice Doc è quindi offrire pacchetti enoturistici con visite guidate, che permettano ai visitatori<br />

di godere non solo dei beni culturali presenti in quest’angolo di Sicilia in concentrazione straordinaria, ma anche<br />

dei suoi beni paesaggistici ed enogastronomici assolutamente unici al mondo.<br />

Molte le iniziative intraprese dalla Strada per promuovere la sua attività nel territorio; una per tutte è stata l’installazione,<br />

durante il periodo estivo, di un gazebo per la degustazione gratuita dei vini Doc Erice presso la stazione a<br />

monte della nuova funivia di Erice vetta, punto di arrivo per migliaia di turisti italiani e stranieri che visitano il suggestivo<br />

paese medievale: una forma di accoglienza molto apprezzata e un’ottima promozione dei vini del territorio, delle<br />

loro origini, delle caratteristiche dei vigneti di provenienza e dei sistemi di produzione. Oltre alla degustazione, per<br />

l’occasione il turista riceve una piantina dettagliata delle strade di Erice con l’indicazione dei percorsi per raggiungere<br />

i principali monumenti e le enoteche dove acquistare i vini degustati.<br />

LE MOLTE FACCE DEL MARSALA Siamo nei territori più vitati della Sicilia e probabilmente d’Italia.<br />

E se ci mettiamo pure Pantelleria, che da qui si raggiunge facilmente in aliscafo, in nave o in aereo, gli elementi<br />

di richiamo di questo territorio diventano talmente numerosi che è difficile dar loro un ordine. Probabilmente, però,<br />

non si sbaglia a mettere al primo posto tra le emozioni di questi luoghi la luminosità e i colori.<br />

È la patria della più estesa Doc della Sicilia, Marsala, che condivide una parte di territorio con la bellissima Erice,<br />

Doc a sua volta, oltre che una Strada del Vino. C’è poi la Doc Delia Nivolelli, oggi Strada del vino Val di Mazara, interessante<br />

terroir per il famoso vitigno Grillo e per la sua antica tradizione enologica. Dulcis in fundo, la Doc Pantelleria<br />

(moscati e passiti, naturali e liquorosi). Ma denominazioni d’origine a parte, non si potrà fare a meno di visitare<br />

pagina33SPECIALE


Mozia, il già famoso giardino dell’utopia di Whitaker, dove il museo di recente restaurato aiuta a leggere l’incredibile<br />

mito che anima ancora questa piccolissima isola.<br />

Conoscere veramente bene il vino Marsala non è impresa facile, perchè si tratta di una realtà complessa che si distingue<br />

in vari tipi, non solo per le diverse durate d’invecchiamento, ma anche per altre particolari caratteristiche codificate<br />

dalla tradizione e dalle esigenze commerciali.<br />

Schematicamente, i vini Marsala si classificano in Fine (con invecchiamento minimo di un anno), Superiore (con invecchiamento<br />

minimo di due anni), Superiore Riserva (con invecchiamento minimo di quattro anni), Vergine e/o<br />

Soleras (con invecchiamento minimo di cinque anni), Vergine e/o Soleras Stravecchio e Vergine e/o Soleras Riserva<br />

(con invecchiamento minimo di dieci anni), Ruby (per il quale non è previsto invecchiamento).<br />

pagina34SPECIALE


MAZARA CROGIUOLO DI CIVILTÀ Il vino Doc Delia Nivolelli, bianco, rosso e spumante, prodotto<br />

nel territorio dei comuni di Mazara del Vallo, Marsala, Petrosino e Salemi, può essere ottenuto dalla vinificazione<br />

delle seguenti varietà: Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Damaschino, Grecanico, Grillo, Inzolia, Merlot, Muller<br />

Thürgau, Nero d’Avola, Pignatello o Perricone, Sangiovese, Sauvignon, Syrah.<br />

La posizione geografica di questa zona, fertile e pianeggiante, la pone storicamente in un rapporto privilegiato con<br />

i paesi del Nord Africa. Divenuta famosa per gli scambi all’epoca dei fenici e per la sua conquista da parte degli arabi,<br />

è ricca di significativi monumenti e siti archeologici.<br />

A Mazara del Vallo è possibile vedere il Satiro danzante, una statua in bronzo e piombo, probabilmente databile intorno<br />

al III-IV secolo a.C., rinvenuta in due pezzi nelle acque del Canale di Sicilia tra il 1997 e il 1998.<br />

pagina35SPECIALE


i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

pagina36SPECIALE<br />

|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />

Strada del vino delle Terre Sicane<br />

CULTURA D’IMPRESA IN BOTTIGLIA<br />

In molti si chiedono se queste terre della provincia di Agrigento, oggi così moderne per cultura d’impresa e<br />

per le architetture dei luoghi del vino, siano state trainate dalla grande rivoluzione enologica siciliana, iniziata<br />

negli anni Novanta, o se ne siano protagoniste di assoluto primo piano. Ma una cosa è indiscutibile, e cioè che in questi<br />

luoghi è in corso un’azione umana capace di guardare al futuro con idee molto chiare e soprattutto con un atteggiamento<br />

responsabile nei confronti dell’ambiente.<br />

La provincia conta oggi 21.000 ettari di vigneto, di cui 5.850 coltivati a Nero d’Avola e 3.180 a Inzolia. È la seconda provincia<br />

per superficie vitata in Sicilia, con ben il 17,9% di quota, e produce circa 1,4 milioni di ettolitri tra vino e mosti.<br />

Trapani a parte, Agrigento da sola fa più che tutto il resto della regione e ha solide basi per produzioni di pregio. Le varietà<br />

nuove ci sono praticamente tutte, anche perché in questi territori si è fatta molta sperimentazione: troviamo dunque<br />

Fiano, Barbera, Viogner, accanto a Chardonnay, Merlot, Syrah, Cabernet e Aglianico.<br />

La strada del vino Terre Sicane è un itinerario-sistema in cui è possibile immergersi nell’atmosfera dell’antica Entella,<br />

che già Silio Italico aveva descritto verdeggiante di grandi vigne, di Adranone e delle mitiche Terme Acqua Pia di Montevago,<br />

o curiosare nel Parco letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa a Santa Margherita Belice, o esplorare il paesaggio<br />

delle colline dolci e fertili che da Menfi degradano verso il Mar d’Africa: terre in cui razze e culture diverse hanno<br />

saputo convivere, realizzando e poi mantenendo nel tempo un felice connubio tra vino e territorio.<br />

LE DOC Nella Doc Santa Margherita di Belice, riconosciuta nel 1996, i vitigni utilizzati sono essenzialmente Inzolia,<br />

Grecanico e Catarratto per i bianchi, e Nero d’Avola, Sangiovese e Cabernet Sauvignon per i rossi. Esiste anche<br />

nei tipi con indicazione del nome di vitigno (Catarratto, Grecanico, Inzolia, Nero d’Avola e Sangiovese).<br />

La Doc Sambuca di Sicilia, riconosciuta nel 1995, è prevista nelle tipologie bianco, rosso (anche riserva), rosato, con<br />

nome di vitigno (Chardonnay, Grecanico, Ansonica o Inzolia, Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon, Sangiovese, Merlot e<br />

Syrah) e passito. La tipologia bianca si basa soprattutto sul vitigno Ansonica o Inzolia (non meno del 50%), la rossa sul<br />

vitigno Nero d’Avola (non meno del 50%).<br />

La Doc Menfi esiste nei tipi bianco, rosso e con nome di vitigno (Chardonnay, Grecanico, Inzolia o Anzonica per i bianchi;<br />

Nero d’Avola, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Syrah e Merlot per i rossi). I vitigni utilizzati per le diverse tipologie<br />

sono Inzolia, Chardonnay, Catarratto bianco lucido e Grecanico, da soli o congiuntamente, per il bianco; Nero d’Avola,<br />

Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah, da soli o congiuntamente, per il rosso.<br />

Riconosciuta nel 1993, la Doc Contessa Entellina ha registrato una progressione ininterrotta dei volumi, che nel 2003<br />

hanno raggiunto i 5.191 ettolitri: quasi il 3% della produzione regionale di vini a denominazione d’origine. Il rosso e il<br />

rosato vengono ottenuti soprattutto da Nero d’Avola (minimo 50%) e/o Syrah, mentre il bianco soprattutto da Ansonica<br />

o Inzolia (minimo 50%). La Doc Contessa Entellina può anche essere seguita da un nome di vitigno, nella fattispecie<br />

Grecanico, Chardonnay, Sauvignon e Ansonica (Inzolia) per bianchi; Merlot e Pinot nero per i rossi.


PER GLI AMANTI<br />

DELLA NATURA<br />

in Provincia di Enna<br />

PARCO<br />

DEI NEBRODI<br />

LAGO DI PERGUSA<br />

MONTE ALTESINA<br />

MONTE CAPODARSO<br />

E VALLE DELL’IMERA<br />

MERIDIONALE<br />

ROSSOMANNO -<br />

GROTTASCURA -<br />

BELLIA<br />

SAMBUCHETTI -<br />

CAMPANITO<br />

VALLONE DI PIANO<br />

DELLA CORTE<br />

in Provincia<br />

di Caltanissetta<br />

BIVIERE DI GELA<br />

LAGO SFONDATO<br />

LAGO SOPRANO<br />

MONTE CAPODARSO<br />

E VALLE DELL’IMERA<br />

MERIDIONALE<br />

MONTE CONCA<br />

RISERVA<br />

GEOLOGICA<br />

DI CONTRADA<br />

SCALERI<br />

SUGHERETA<br />

DI NISCEMI<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />

Strada del vino dei Castelli Nisseni<br />

UN MOSAICO DI DELIZIE<br />

LE CITTÀ DA VISITARE Piazza Armerina è una zona di grande interesse archeologico, con la famosa<br />

Villa del Casale, costruzione romana del IV secolo dopo Cristo. Essa rappresenta oggi una straordinaria testimonianza<br />

della vita in epoca romana grazie ai suoi pavimenti mosaicati, famosi in tutto il mondo. Già dal 1997 l’Unesco<br />

l’ha dichiarata Patrimonio inalienabile dell’umanità.<br />

A breve distanza da Piazza Armerina sorge Morgantina dove troviamo i resti di quello che un tempo era un grosso<br />

borgo romano. Il sito antico di Morgantina offre al visitatore il quadro di oltre mille anni di storia, dalla fondazione della<br />

città in età preistorica fino al suo declino, avvenuto nell’età imperiale romana. Nella Sicilia interna, Morgantina è<br />

senza dubbio la città antica meglio conosciuta.<br />

Il Museo archeologico di Caltanissetta illustra la storia dei siti antichi del territorio urbano e extraurbano e di altri centri<br />

della provincia di Caltanissetta, dalla preistoria all’età tardo antica.<br />

Quod Siculis placuit sola Sperlinga negavit, la sola Sperlinga negò ciò che piacque ai siciliani (1292: la rivolta dei Vespri).<br />

Questa frase, scritta sull’arco del vestibolo del castello di Sperlinga, è la chiave di lettura della storia di un intero<br />

paese. Assolutamente da vedere il suggestivo castello, preistorico, arabo e francese, che è il più importante fra i manieri<br />

rupestri di tutta Europa.<br />

LA CULLA DEL NERO D’AVOLA È una delle zone storiche del Nero d’Avola. Con ogni probabilità il<br />

primo grande Nero d’Avola in purezza apprezzato nel mondo – il “Duca Enrico” della Duca di Salaparuta, pioniere del<br />

successo internazionale di questo vitigno – aveva i suoi natali nelle uve di queste zone.<br />

Negli anni Novanta vennero impiantati alcuni campi sperimentali controllati dall’Istituto regionale della Vite e del Vino di<br />

Palermo, dove furono definiti i modelli viticoli e i protocolli enologici che hanno dato vita a quella che oggi è una delle<br />

massime espressioni commerciali dei vini di Sicilia.<br />

LA DOC La denominazione d’origine caratterizzante il comprensorio è la Riesi Doc che prende il nome dal comune<br />

di Riesi, in provincia di Caltanissetta. È presente nelle tipologie bianco, rosso, rosato, superiore, spumante e vendemmia<br />

tardiva.<br />

Il bianco si ottiene da uve Ansonica e Chardonnay, sole o congiuntamente per il 75%, è di color paglierino e ha una gradazione<br />

minima di 11 gradi.<br />

Il rosso si ricava dai vitigni Nero d’Avola e Cabernet Sauvignon, per almeno l’80%, ha un colore rosso rubino intenso e<br />

una gradazione minima di 11,5 gradi.<br />

Il rosato è prodotto grazie all’impiego dei vitigni Nero d’Avola per il 50%-57% e Nerello Mascalese e/o Cabernet Sauvignon<br />

per il 25%-50%, la sua gradazione minima è di 11 gradi.<br />

Lo spumante è indicato per aperitivo e presenta una spuma fine, color paglierino, con gradazione minima di 10,5 gradi.<br />

LA TRADIZIONE GASTRONOMICA Quella della zona è una cucina essenziale, fortemente tradizionale<br />

e perciò dai sapori autentici. Tutto è molto siciliano: da non perdere, la pasta con salsa di pomodoro e melanzane,<br />

le carni e le verdure alla brace, i dolci con la ricotta, come i cannoli e le squisite raviole.<br />

pagina37SPECIALE


NATURA<br />

E PAESAGGIO<br />

RISERVA NATURALE<br />

MACCHIA FORESTA<br />

FIUME IRMINIO<br />

RISERVA NATURALE<br />

PINO D’ALEPPO<br />

CAVAGRANDE<br />

DEL CASSIBILE<br />

COMPLESSO<br />

SPELEOLOGICO<br />

VILLASMUNDO<br />

SANT’ALFIO<br />

FIUME CIANE<br />

E LE SALINE<br />

DI SIRACUSA<br />

GROTTA MONELLO<br />

GROTTA PALOMBARA<br />

OASI FAUNISTICA<br />

DI VENDICARI<br />

PANTALICA,<br />

LA VALLE<br />

DELL’ANAPO,<br />

IL TORRENTE<br />

CAVA GRANDE,<br />

LE SALINE DI PRIOLO<br />

LE DENOMINAZIONI<br />

CERASUOLO<br />

DI VITTORIA DOCG<br />

ELORO DOC<br />

MOSCATO<br />

DI NOTO DOC<br />

MOSCATO<br />

DI SIRACUSA DOC<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

pagina38SPECIALE<br />

|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />

Strada del vino Cerasuolo di Vittoria<br />

Strada del vino Val di Noto<br />

I PERCORSI DEL BAROCCO<br />

Territorio compreso tra le province di Ragusa e Siracusa, di grande intensità per storia, enologia, paesaggi di<br />

raffinata bellezza e gastronomia, in un generale contesto di ricettività turistica di buon livello, con una discreta<br />

diffusione dell’agriturismo. Sono queste le zone di origine di diffusione della vite in Sicilia e probabilmente nel Mediterraneo,<br />

perché anticamente controllate dai greci, che furono gli artefici delle coltivazione della vite e dell’olivo.<br />

Reperti archeologici, come le giare scoperte a Pompei, testimoniano che questi territori – in particolare la zona di Camarina,<br />

già identificata in età romana come “Mesopotanium” – svolsero una funzione di collegamento con il flusso commerciale<br />

dei vini nel II secolo a.C. tra Sicilia, Gallia e Spagna. Oggi c’è un interessante museo a Camarina.<br />

Andrea Bacci nel 1569 cita il vino siracusano – dicendo che aveva il primato presso i cavalieri di Malta – e il Netino, da<br />

Noto, della cui bontà veniva riferito al papa Paolo IV.<br />

LA TRADIZIONE VITIVINICOLA Ragusa ha una superficie coltivata a vite pari a circa 1.250 ettari con<br />

una produzione tra vino e mosti intorno ai 120.000 quintali. Il Nero d’Avola è il vitigno principe, con 941 ettari, seguito dal<br />

Frappato, dallo Chardonnay e dal Cabernet Sauvignon. Ci sono anche alcune centinaia di ettari di Ciliegiolo, che mantiene<br />

una maggiore diffusione nella zona rispetto al Syrah, il quale sta avendo un grande successo in tutta la Sicilia.<br />

Siracusa ha 1.865 ettari di vigneti e 97.000 quintali di prodotto, con una bassa resa di cinquantadue quintali per ettaro.<br />

Il Nero d’Avola è il vitigno più coltivato con circa 1.685 ettari, seguono il Moscato bianco, l’Inzolia, il Merlot e gli altri noti<br />

bordolesi.<br />

Il Nero d’Avola, detto anche Calabrese, proviene dalla zona di Avola e si è poi diffuso prima nelle vicine Noto e Pachino<br />

e infine a macchia d’olio in tutta la Sicilia. Quest’area – un triangolo isoscele avente come base Noto-Ispica e come vertice<br />

Porto Palo – è tradizionalmente una delle zone più vocate della Sicilia per la coltivazione del Nero d’Avola.<br />

La storia della vitivinicoltura a Pachino è legata a don Antonio Starrabba, marchese di Rudinì, annoverato insieme ai Tasca,<br />

Florio, Woodhouse, Ingham, a don Enrico Alliata, ai Camporeale, al barone Spitaleri e al duca d’Aumale come innovatori<br />

dell’industria enologica siciliana.<br />

Le più antiche cantine risalgono alla fine del Seicento. A partire dal Settecento le vasche incominciarono a essere scavate<br />

nella roccia, come tuttora visibile nelle cantine storiche di Pachino (Marzamemi).<br />

LE CARATTERISTICHE DEI VINI DEL TERRITORIO Sono queste le zone di origine del<br />

Nero d’Avola, nobile vitigno che ha reso internazionale l’immagine della moderna Sicilia enologica e che unendosi al<br />

Frappato, altro vitigno caratteristico della zona, ha conquistato la grande vetta della qualità dei vini italiani con la Docg<br />

Cerasuolo di Vittoria, la prima in Sicilia. La prestigiosa denominazione è stata ottenuta, dopo anni di impegno, dagli oltre<br />

trenta viticoltori, vinificatori e imbottigliatori riuniti nel Consorzio di tutela del Cerasuolo di Vittoria. Il disciplinare della<br />

Docg stabilisce le percentuali delle cultivar coinvolte: dal 50 al 70% di Nero d’Avola, che dà forza e struttura, e dal 30 al


50% di Frappato, che conferisce eleganza, morbidezza e sentori fruttati. Fissata anche la resa per ettaro, che non dovrà<br />

superare gli 80 quintali. La vecchia Doc del Cerasuolo verrà rimpiazzata dal “Vittoria Rosso” che prevede etichette<br />

di Nero d’Avola, Frappato, Novello e Inzolia.<br />

L’Eloro Doc prende il nome dalla cittadina di Eloro, in provincia di Siracusa, uno dei luoghi panoramici più belli del Golfo<br />

di Noto, nonché sito archeologico di grande interesse per le testimonianze della civiltà greca che ci ha tramandato. Il rosso<br />

e il rosato si ricavano da uve Nero d’Avola, Pignatello, Frappato, sole o congiuntamente, per il 90%. Il primo è di colore<br />

rosso rubino con riflessi violacei e granati, ha profumo robusto, franco, un po’ etereo, e sapore sapido, giustamente tannico<br />

con un retrogusto asciutto e amarognolo, appena acidulo; la temperatura ideale di servizio è di 18-20°C. Il rosato si<br />

presenta di un colore rosa-grigio, con riflessi granati; ha un profumo è delicato, con aroma di frutta, e un sapore fruttato,<br />

caratteristico, vellutato, leggermente acido; si consiglia di servirlo a 13-15°C. Le tipologie Frappato e Nero d’Avola si ottengono<br />

per il 90% dai corrispondenti vitigni, mentre il Pignatello prevede l’impiego delle stesse uve per l’80%. L’Eloro Doc<br />

di Pachino è prodotto per l’80% da uve Nero d’Avola e per la restante percentuale da uve Frappato e/o Pignatello; all’esame<br />

visivo si presenta di color rosso rubino, granato intenso, con riflessi rosso mattone dopo l’invecchiamento; ha profumo<br />

intenso, muschiato, generoso e un sapore robusto, tannico, con retrogusto vellutato.<br />

I Moscati di Noto e di Siracusa Doc sono vini da meditazione, aromatici, classici, rotondi, vellutati, armonici. Frutto di antica<br />

sapienza, eppure moderni, freschi, con raffinati aromi floreali, hanno una particolare profondità e delicatezza.<br />

Il Moscato di Noto può essere naturale o liquoroso, a seconda se nella sua vinificazione è prevista o meno l’aggiunta<br />

di alcol. Per quanto riguarda le caratteristiche organolettiche, il colore va dal giallo dorato, più o meno intenso,<br />

all’ambrato, il profumo è caratteristico e fragrante, il sapore leggermente aromatico. La temperatura ideale di servizio<br />

è di 11-13°C.<br />

Il Moscato di Siracusa è invece soltanto naturale; ne potrebbe essere l’antenato il famoso “Biblino”, il vino dell’antichità<br />

per eccellenza, noto con la denominazione di Pollio. Il colore è giallo oro vecchio con riflessi ambrati, il profumo<br />

delicato e caratteristico, il sapore dolce, vellutato, gradevole. La temperatura ideale di servizio è di 12-15°C.<br />

ARTE E LETTERATURA Il territorio presenta elementi di notevole richiamo turistico e culturale, tra i quali<br />

spicca il Teatro greco di Siracusa, che ogni anno ospita il ciclo di rappresentazioni classiche organizzato dall’Istituto nazionale<br />

del dramma antico.<br />

Sempre a Siracusa, merita una visita il Museo archeologico regionale Paolo Orsi, fondato nel 1886 con sede in piazza<br />

del Duomo. Nel corso degli anni la collezione si è via via accresciuta rendendo necessaria la progettazione di un nuovo<br />

spazio, nel giardino di villa Landolina. Oggi il museo, disegnato dall’architetto Franco Minissi e inaugurato nel gennaio<br />

1988, dispone di due piani espositivi e di un seminterrato con auditorium. Il materiale esposto, al momento, comprende<br />

reperti risalenti dalla preistoria fino al periodo greco.<br />

Da non perdere poi le cittadine di Modica e di Noto, quest’ultima – soprannominata “giardino di pietra” – è stata universalmente<br />

eletta capitale mondiale del barocco.<br />

Per gli amanti della poesia e della narrativa si consiglia anche una visita al Parco letterario Quasimodo, che si trova a<br />

Modica, e al Parco letterario Elio Vittorini, che ha sede a Siracusa.<br />

LA GASTRONOMIA Produzioni locali da non perdere assolutamente sono il cioccolato di Modica – confezionato<br />

secondo l’antica ricetta azteca, che gli conferisce la caratteristica consistenza granulosa –, i buonissimi formaggi<br />

della provincia, tra cui il Ragusano Dop, e ancora la pasticceria di Noto.<br />

pagina39SPECIALE


SEGUENDO<br />

I SAPORI<br />

Quattro Percorsi<br />

enogastronomici<br />

che rievocano<br />

elementi distintivi<br />

delle zone<br />

interessate:<br />

VIA DELLA ZAGARA<br />

sul versante sud<br />

del vulcano<br />

MAREMONTI<br />

che da Giarre<br />

conduce sino Milo<br />

a oltre mille metri<br />

sul livello del mare<br />

VIA DEI CASTELLI<br />

che arriva<br />

sul versante nord<br />

dell’Etna,<br />

sino a Bronte<br />

LITTORINA<br />

DELL’ETNA,<br />

storico trenino<br />

del 1937,<br />

che da Riposto<br />

si inoltra sino<br />

a Linguaglossa,<br />

per poi giungere<br />

a Bronte.<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

La provincia di Catania ha circa 2.800 ettari di vigneto, coltivati principalmente (80%) a Nerello Mascalese. Seguono<br />

il Nero d’Avola, il Carricante bianco, l’Alicante Bouschet, il Sangiovese e poi l’Inzolia, lo Chardonnay, il<br />

Syrah.<br />

La viticoltura di queste zone vanta origini antichissime, come testimoniato da monete del V secolo a.C. giunte fino a noi.<br />

Sulla particolarità enoica del vulcano ci informava già Strabone (I secolo a.C.), che attribuì l’antica fama enologica della<br />

Sicilia alle virtù dei terreni dell’Etna: le ceneri che periodicamente li ricoprivano favorirebbero, infatti, un’abbondante produzione<br />

di ottime uve. Anche nella monumentale Storia dei Vini d’Italia, scritta da Andrea Bacci nel 1596, venivano citati<br />

i vini prodotti sui colli che circondano Catania, la cui bontà era attribuita alle ceneri dell’Etna.<br />

I vini dell’Etna, nelle tipologie bianco (con l’eventuale qualificazione di bianco superiore), rosso e rosato, sono stati i primi<br />

in Sicilia a ottenere il riconoscimento della denominazione di origine controllata.<br />

La Doc Etna rosso o rosato prevede uve di Nerello Mascalese (minimo 80%) e Nerello Mantellato (Nerello Cappuccio)<br />

fino al 20%. Una recente riscoperta bibliografica ha documentato l’esistenza del Pinot Nero già oltre un secolo addietro<br />

per la produzione di vini di alta qualità.<br />

Il vino bianco è ottenuto da uve di Carricante (minimo 60%) e Catarratto bianco comune o lucido (fino al 40%), con l’eventuale<br />

aggiunta di Trebbiano, Minnella bianca e altri vitigni a bacca bianca non aromatica (fino a un massimo del 15%). Il<br />

bianco superiore è prodotto soprattutto con uve di Carricante (minimo 80%) e Catarratto bianco comune e lucido fino al<br />

20%. Per il bianco superiore e il rosso o rosato è prevista anche l’eventuale aggiunta di altri vitigni non aromatici a bacca<br />

bianca.<br />

La costante opera di sperimentazione e gli investimenti finalizzati all’innovazione in cantina, insieme al carattere gioioso<br />

e ospitale dei suoi abitanti, fanno dell’Etna una delle zone di maggior interesse enoturistico in Sicilia.<br />

PROMOZIONE E COMUNICAZIONE Alle iniziative organizzate sul territorio, la Strada del vino dell’Etna<br />

affianca un’attività di promozione veramente intensa, sia in Italia che all’estero. È stata presente alla Bit di Milano<br />

2006, al Vinitaly di Verona 2005, alla Biteg di Riva del Garda, al Tour & Travel 2005 di Varsavia, ai “Mercatini di Natale”<br />

di Bolzano, inoltre ha preso parte a due importanti workshop, a Londra e a Riga, promossi dalla Provincia regionale<br />

di Catania.<br />

La Strada del vino dell’Etna offre anche un servizio pubblicitario e commerciale attraverso il sito Internet. La sezione dedicata<br />

all’enoteca on line offre a tutte le aziende vitivinicole associate la possibilità di esporre le etichette dei loro prestigiosi<br />

vini, mentre in altre sezioni fornisce gli i aggiornamenti e le news su manifestazioni e appuntamenti nel territorio di<br />

competenza.<br />

Fra i progetti in cantiere, l’allestimento di un Centro informazione presso l’aeroporto di Catania e la realizzazione di un<br />

importante Museo della Vite e del Vino a Piedimonte Etneo.<br />

pagina40SPECIALE<br />

|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />

Strada del vino dell’Etna<br />

ETNA, TERRITORIO DOC


i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />

Strada del vino della provincia di Messina<br />

SULL’ONDA DEL MITO<br />

Per riscoprire il mito di questi luoghi e di questi tratti di mare così vicini alle origini del vino e dei suoi primi viaggi per<br />

mare (IV sec. a.C.) dovremmo ricorrere all’aiuto di Fernand Braudel, che nel suo affascinante libro dal titolo Mediterraneo<br />

ne riporta testimonianza. Ma se in più volessimo ripercorrere le tappe di quelle migliaia di anni che ci riportano<br />

nei luoghi della memoria più antichi e misteriosi, allora dovremo iniziare il nostro viaggio dal Museo archeologico<br />

regionale di Lipari, con la sua sezione preistorica e protostorica che conserva reperti della prima fase del Neolitico<br />

medio.<br />

Certo, i viaggiatori più audaci ci contesteranno che il miglior punto d’osservazione di quel passato è l’isola di Vulcano<br />

o forse ancor di più Stromboli, che con la loro mai sopita attività lanciano verso i cieli stellati delle notti d’agosto<br />

infuocati lapilli, provocando sensazioni che difficilmente si potranno dimenticare.<br />

Così sono anche i vini di questi luoghi, che Andrea Bacci nel 1569 voleva nati dalle feconde colline di Lipari, frutto<br />

dell’interno calore del suolo, tra le storie e le rotte di mare più impegnative e imprevedibili del Mediterraneo, antichi<br />

e inebrianti, raffinati ed eleganti. Ben tre le Doc che ne proteggono la memoria, la Malvasia delle Lipari, il Faro e<br />

recentemente il Mamertino.<br />

Dal punto di vista vitivinicolo la provincia di Messina si distingue anche per un’intensa attività vivaistica localizzata<br />

prevalentemente nella zona di Milazzo, dove ha sede la storica sede della Cantina sperimentale oggi accorpata all’Istituto<br />

regionale della vite e del vino. Milazzo è uno dei tre principali poli della regione per quanto riguarda le attività<br />

di selezione clonale della vite e il livello delle aziende vivaistiche è piuttosto elevato.<br />

Messina ha un po’ meno di 900 ettari di vigneto, con veri e propri tesori enologici legati alla più antica storia commerciale<br />

del vino siciliano. Non ci sono gli stessi grandi numeri delle altre province siciliane, perciò il Nerello, il Nero<br />

d’Avola, le molte uve rosse locali (come il Corinto), la Malvasia delle Lipari, lo stesso Catarratto, l’Inzolia, il Merlot,<br />

il Nero buono, il Lambrusco occupano centinaia quando non decine di ettari.<br />

LE DOC Faro Doc È prodotto esclusivamente nel territorio comunale di Messina, con le uve di Nerello Mascalese,<br />

Nocera, Nerello Cappuccio e con l’eventuale aggiunta di quelle di Calabrese, Gaglioppo e Sangiovese.<br />

Malvasia Doc Fra le molte Malvasie che si possono trovare nel nostro Paese vi è quella “di Lipari”. Le uve di Malvasia,<br />

con una piccola percentuale di Corinto nero si fanno appassire per preparare i tipi “passito” e “liquoroso”. Il tipo<br />

“passito dolce naturale” deve avere una gradazione minima di 18°C e un affinamento obbligatorio di nove mesi.<br />

Il tipo “liquoroso” deve avere una gradazione minima di 20°C e un affinamento di sei mesi.<br />

Mamertino Doc La Doc “Mamertino di Milazzo” o “Mamertino” comprende le tipologie bianco (a base di Grillo, Inzolia<br />

e Catarratto), rosso (a base di Nero d’Avola e Nocera), il monovarietale “Nero d’Avola” e il “Grillo-Inzolia”. Le<br />

prime tre tipologie sono previste anche nei tipi riserva se sottoposti a un periodo obbligatorio di invecchiamento di<br />

due anni.<br />

pagina41SPECIALE


«C’era, proprio a mezza strata tra i due paìsi,<br />

un viottolo di campagna, ammucciato darrè<br />

a un cartellone pubblicitario, che portava a una<br />

casuzza rustica sdirrupata, allato aveva un enorme<br />

ulivo saraceno che la sua para di centinaia d’anni<br />

sicuramente li teneva. […] I rami più bassi<br />

strisciavano e si contorcevano terraterra, rami<br />

che, per quanto tentassero, non ce la facevano<br />

a issarsi verso il cielo e che a un certo punto del<br />

loro avanzare se la ripinsavano e decidevano<br />

di tornare narrè verso il tronco facendo<br />

una specie di curva a gomito o, in certi casi,<br />

un vero e proprio nodo. Poco doppo però<br />

cangiavano idea e tornavano indietro, come<br />

scantati alla vista del tronco potente, ma<br />

spirtusato, abbrusciato, arrugato dagli anni».<br />

Andrea Camilleri<br />

L’ulivo e l’olio<br />

a cura di Dino Catagnano


Sempreverde, longevo, vigoroso, frugale<br />

eppur generoso, l’olivo ha attraversato<br />

i secoli legando la propria storia a<br />

quella della Sicilia. Lo si ritrova un po’<br />

dappertutto: ben pasciuto, curato, perfettamente<br />

allineato in impianti di ultima generazione<br />

o tenacemente abbarbicato in luoghi<br />

impervi e ostili, nodoso, contorto, eppure<br />

lì a testimoniare la sua forza e la sua determinazione,<br />

quale antico custode del territorio.<br />

Straordinaria metafora di una terra<br />

pervasa da molte anime, da mille contrasti,<br />

di una terra permeata di antico e moderno,<br />

di una terra in cui la neve convive col fuoco,<br />

di una terra di olivi e olivastri. Antico<br />

simbolo di sacralità e saggezza, l’ulivo è<br />

oggi il simbolo di una economia agroalimentare<br />

che vuole rinnovarsi e trasformare<br />

i cambiamenti in nuove opportunità di<br />

sviluppo.<br />

Terza regione italiana per superficie investita<br />

e quantitativi di olio prodotto, la<br />

Sicilia negli ultimi anni ha inarrestabilmente<br />

legato il proprio nome alle produzioni di<br />

qualità. Il processo di crescita, frutto dell’impegno<br />

di moderni imprenditori che hanno<br />

saputo coniugare tradizione e innovazione,<br />

è espressione di una serie di lungimiranti<br />

attenzioni che le istituzioni regionali<br />

hanno riservato alla crescita del comparto<br />

e alla sua immagine. L’olivicoltura è infatti<br />

uno dei elementi chiave dell’economia<br />

agricola regionale non solo per l’indotto<br />

che genera e per gli aspetti occupazionali,<br />

ma anche per i rapporti strettissimi col ter-<br />

pagina44SPECIALE<br />

Antico custode di una terra<br />

contraddittoria ma tenace,<br />

è il simbolo di un’economia<br />

che vuole rinnovarsi trovando<br />

nuove opportunità di sviluppo<br />

L’ULIVO COME METAFORA<br />

di MARGHERITA CARACAPPA*<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

ritorio, col paesaggio, con la difesa del suolo,<br />

per l’inscindibile legame che ha con la<br />

storia, la tradizione, la cultura del territorio.<br />

La Sicilia detiene un patrimonio di 18 milioni<br />

di piante, dislocate su una superficie di<br />

160.000 ettari che forniscono annualmente<br />

2 milioni e mezzo di quintali di olive e<br />

500.000 quintali di olio, ed è caratterizzata<br />

da sistemi produttivi molto articolati con valenze<br />

produttive, ambientali, paesaggistiche<br />

e sociali di grande rilievo.<br />

Su questo patrimonio l’amministrazione<br />

regionale ha investito risorse ed<br />

energie a sostegno di una politica di<br />

qualità atta a far fronte ai mutamenti degli<br />

scenari europei e internazionali e al nuovo<br />

contesto che vede gli imprenditori inseriti in<br />

un quadro di competitività internazionale<br />

fortemente agguerrita, sostenendo percorsi<br />

che hanno generato la cultura della qualità,<br />

puntando sulla valorizzazione dei nostri<br />

prodotti.<br />

Ha puntato sull’innalzamento della qualità<br />

intesa quale sintesi di diversi fattori, con<br />

azioni volte al miglioramento della materia<br />

prima e delle condizioni strutturali, ponendo<br />

la dovuta attenzione alle innovazioni di<br />

processo e di prodotto, alla tutela della salute<br />

dell’uomo e dell’ambiente, alla corretta<br />

informazione del consumatore, alla valorizzazione<br />

delle produzioni tipiche e di pregio<br />

e parallelamente alla promozione in ambito<br />

nazionale e internazionale.<br />

E i risultati non si sono fatti attendere, la realtà<br />

olivicola siciliana non ha tardato a farsi


valere assurgendo al ruolo di protagonista<br />

e raccogliendo consensi e riconoscimenti a<br />

livello nazionale e internazionale. La produzione<br />

isolana ha raggiunto punte di eccellenza,<br />

erede di un ricco patrimonio varietale<br />

che è in grado di trasmettere agli oli caratteristiche<br />

che li arricchiscono di variegate<br />

note olfattive, di sfumature e sapori unici.<br />

Il primo grande salto è stato fatto: le capacità<br />

dei nostri imprenditori, la vocazione del<br />

territorio, le sinergie tra pubblico e privato<br />

hanno contribuito a consolidare l’apprezzamento<br />

degli oli siciliani nel mondo, oli Dop,<br />

certificati, tracciati, biologici. Ma il settore<br />

olivicolo, accanto a notevoli punti di forza,<br />

presenta anche debolezze su cui è necessario<br />

intervenire per guardare al futuro con<br />

serenità.<br />

Il momento è alquanto complesso: il cambiamento<br />

dello scenario mondiale, l’evoluzione<br />

dei mercati, i nuovi orientamenti della<br />

PAC, la riforma dell’OCM, la riduzione degli<br />

aiuti di sostegno al reddito pongono le<br />

imprese e le produzioni siciliane di fronte a<br />

nuove e impegnative sfide. S’impone la<br />

messa in atto di nuove strategie e una diversa<br />

capacità imprenditoriale in tutti gli<br />

operatori della filiera per i quali l’innovazione<br />

e la crescita è stata ed è tutt’oggi una<br />

sfida, ma anche una necessità.<br />

La recente creazione dell’Istituto regionale<br />

dell’olivo e dell’olio è un forte segnale<br />

politico di attenzione per il settore<br />

e potrà diventare un valido punto di riferimento<br />

per gli operatori dando un grosso<br />

impulso all’attività di studio, ricerca e sperimentazione,<br />

alla crescita professionale, all’attività<br />

di promozione sui mercati nazionali<br />

ed esteri.<br />

Lo stato di salute dell’agricoltura attuale<br />

non è roseo, il quadro economico che ci offre<br />

evidenzia parecchie criticità: prezzi mediamente<br />

bassi per le produzioni agricole,<br />

costi di produzione in crescita, iniqua distribuzione<br />

tra i soggetti della filiera del valore<br />

che paga il consumatore finale. L’agricoltura<br />

deve adeguarsi al nuovo ruolo, è chiamata<br />

a garantire la qualità e la sicurezza<br />

delle sue produzioni, a salvaguardare, tutelare<br />

e valorizzare il territorio, ad assicura-<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Gli impianti dislocati<br />

in Sicilia su 160 mila<br />

ettari forniscono<br />

ogni anno 500 mila<br />

quintali di olio.<br />

La creazione<br />

dell’Istituto regionale<br />

è un segnale<br />

di attenzione<br />

per il settore<br />

e diverrà un punto<br />

di riferimento<br />

per gli operatori<br />

re un modello di gestione in grado di conciliare<br />

il fare impresa con le funzioni sociali<br />

e ambientali, ad avviare processi economici<br />

legati all’identità culturale, territoriale e<br />

di prodotto. Servono pertanto nuovi strumenti<br />

e nuove modalità organizzative per<br />

costruire un sistema più integrato, solido e<br />

competitivo, strettamente legato al territorio,<br />

che poggi su una cultura di impresa<br />

flessibile e capace di rispondere ai cambiamenti,<br />

forte del bagaglio delle proprie conoscenze<br />

ed esperienze.<br />

La nuova sfida per il futuro dovrà trovare il<br />

suo punto di forza in un approccio strategico<br />

che contempli lo sviluppo integrato dei<br />

territori come obiettivo su cui far convergere<br />

competenze e nuove opportunità, per<br />

mobilizzare e valorizzare risorse, valori e<br />

attitudini.<br />

In questa direzione, e in linea con gli obiettivi<br />

di sviluppo fissati nei vertici di Lisbona e<br />

Göteborg e con gli obiettivi nazionali, è stato<br />

avviato il percorso di definizione del nuovo<br />

PSR 2007/2013 attraverso la messa a<br />

punto di una strategia incentrata sulla piena<br />

valorizzazione del contesto rurale nella<br />

sua dimensione sociale ed economica.<br />

Strategia che sarà tanto più incisiva quanto<br />

più si riuscirà a delineare, a livello regionale,<br />

una forte convergenza di azioni e<br />

concentrazione di risorse e quanto più si<br />

riuscirà ad aggregare tutti gli attori del territorio<br />

in un ampio progetto di qualità, sicurezza<br />

e valorizzazione territoriale, che coniugando<br />

ambiente società ed economia<br />

sia in grado di generare processi virtuosi di<br />

sviluppo sostenibile.<br />

Piantare un olivo, dicevano i nostri avi,<br />

è un atto di generosità, perché solo le generazioni<br />

future ne raccoglieranno i frutti.<br />

Vorremmo andar incontro al futuro con la<br />

speranza che questo principio venga sempre<br />

rispettato e che ciascuno, all’interno<br />

del proprio ruolo, si adoperi per accrescere,<br />

salvaguardare e valorizzare l’inestimabile<br />

patrimonio che la storia ci ha tramandato.<br />

* Dirigente del Comparto Olivicolo<br />

assessorato Agricoltura e Foreste<br />

della Regione siciliana<br />

pagina45SPECIALE


L’olivo può essere considerato l’albero<br />

simbolico per eccellenza della civiltà e<br />

del paesaggio mediterraneo umanizzato.<br />

Testimonianze della mitologia, della<br />

storia e della letteratura attestano, infatti, la<br />

grande importanza della specie e del suo<br />

olio nel commercio, nell’alimentazione e<br />

nel costume delle diverse popolazioni. La<br />

coltivazione dell’olivo nel bacino del Mediterraneo<br />

ha seguito l’espansione, da<br />

Oriente a Occidente, delle antiche civiltà,<br />

fenicia, ellenica e romana.<br />

Probabilmente da primitive coltivazioni<br />

localizzate a ovest dell’Iran e a sud del<br />

Caucaso, ebbe inizio l’irradiazione verso<br />

altre aree geografiche e la differenziazione<br />

delle diverse varietà coltivate. Una delle<br />

tappe più fortunate interessò inizialmente<br />

la Grecia e l’Asia Minore. Secondo una tradizione<br />

poetica millenaria si deve alla dea<br />

Atena l’introduzione del primo olivo nell’acropoli<br />

di Atene, mentre quasi certamente<br />

la prima regione italiana a ricevere l’albero<br />

sacro alla dea fu la Sicilia. Lo lascerebbe<br />

pensare anche il mito di Aristeo, figlio<br />

della ninfa Cirene e di Apollo, antica divinità<br />

ellenica che, dopo aver insegnato ai<br />

greci l’arte di ricavare l’olio dall’olivo, si recò<br />

nell’Isola introducendovi la coltivazione<br />

della pianta e l’utilizzazione dell’olio.<br />

In Sicilia l’olivo è stato diffuso ampiamente<br />

in tutte le province, dal livello del<br />

mare fino a dove le condizioni climatiche lo<br />

hanno consentito (circa 800 m), diventando<br />

l’albero che caratterizza uno dei più espressivi<br />

paesaggi agrari siciliani. L’antichità della<br />

coltura è testimoniata sia dalla presenza<br />

di esemplari plurisecolari sia dai toponimi<br />

delle numerose contrade (Marcatogliastro,<br />

Ogliastro, Alivazza, ecc.) in cui la specie è<br />

presente. I più vetusti olivi ricadono, in genere,<br />

nelle aree in cui vive o potenzialmente<br />

può vivere l’oleastro, cioè la varietà selvatica<br />

della specie, che rappresenta un importante<br />

costituente della macchia mediterranea<br />

e sul quale viene innestato.<br />

Il progetto di censimento degli olivi monumentali<br />

è frutto della collaborazione<br />

tra il Dipartimento di Scienze botaniche<br />

di Palermo e il Servizio IX dell’assessorato<br />

Agricoltura e Foreste della Regione<br />

siciliana. Scopo principale è quello di acquisire<br />

elementi conoscitivi per la documentazione,<br />

la salvaguardia e la valorizzazione<br />

di un tesoro vegetale di notevole interesse<br />

culturale, paesaggistico e scientifico,<br />

anche per il prezioso patrimonio gene-<br />

pagina46SPECIALE<br />

Università e assessorato Agricoltura<br />

hanno realizzato un censimento<br />

degli olivi monumentali in Sicilia<br />

con lo scopo di salvaguardare<br />

un prezioso patrimonio vegetale<br />

I NUMERI DEI PATRIARCHI VERDI<br />

di ROSARIO SCHICCHI*<br />

al progetto ha collaborato Giuseppe La Barbera**<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Arrivata<br />

probabilmente<br />

dall’Iran,<br />

questa pianta<br />

ha segnato il percorso<br />

da Oriente<br />

a Occidente<br />

delle antiche civiltà<br />

Nell’Isola è diventato<br />

il simbolo<br />

del paesaggio rurale<br />

tico di cui è depositario.<br />

L’attenzione per gli olivi monumentali si<br />

collega alle più recenti concezioni di lettura<br />

del paesaggio rurale, in cui le componenti<br />

antropologiche sono intimamente connesse<br />

a quelle naturali. I vetusti olivi con la loro<br />

longevità e le ragguardevoli dimensioni<br />

rappresentano un segno concreto per una<br />

migliore comprensione sia del territorio che<br />

li ospita sia delle comunità locali che li hanno<br />

conservati nei secoli. Il censimento dei<br />

grandi olivi riveste, inoltre, grande importanza<br />

per la caratterizzazione del patrimonio<br />

olivicolo siciliano e per lo sviluppo ecoturistico<br />

del territorio, potendo rappresentare<br />

una meta significativa degli itinerari naturalistici<br />

all’interno dei tradizionali agroecosistemi<br />

e delle cosiddette “vie dell’olio”.<br />

Questi “patriarchi verdi”, infatti, hanno<br />

sempre qualcosa di speciale da offrire: la<br />

particolare forma, le dimensioni, l’età o la<br />

memoria di un evento che rende ciascuno<br />

di loro unico e suggestivo.<br />

Il censimento, iniziato nel settembre<br />

2003, si è concluso nel febbraio del<br />

2006. L’insieme dei dati raccolti riguarda<br />

oltre 350 individui, differenti sia per le<br />

caratteristiche dendrometriche sia per il<br />

contesto ambientale in cui vivono. La selezione<br />

degli esemplari più espressivi sotto<br />

l’aspetto della “monumentalità” ha tenuto<br />

conto principalmente dei parametri inerenti<br />

alla misura della circonferenza massima<br />

e di quella rilevata a m 1,30 dal suolo, all’altezza,<br />

allo sviluppo complessivo e, soprattutto,<br />

all’età presunta. Tali parametri<br />

sono stati integrati anche da considerazioni<br />

concernenti la valenza storica, naturalistica<br />

e paesaggistica svolta delle singole<br />

piante. È stato così possibile selezionare<br />

241 ulivi plurisecolari, notevoli per età, forme<br />

e dimensioni. Essi sono localizzati nelle<br />

province di Messina (65), Siracusa (42),<br />

Agrigento (33), Trapani (28), Palermo (23),<br />

Ragusa (16), Catania (16), Caltanissetta<br />

(9) ed Enna (9).<br />

Tra gli olivi più ragguardevoli si possono ricordare<br />

quelli presenti nell’area compresa<br />

tra Tusa, Pettineo e Caronia. In particolare,<br />

nella contrada Predica di quest’ultimo comune<br />

si trova uno degli esemplari più rilevanti:<br />

possiede, infatti, una circonferenza<br />

massima di 10,80 (12,85 m, alla ceppaia) e<br />

un fusto monocormico di 9,30 m a petto<br />

d’uomo, con diverse costolature a margini<br />

arrotondati, cavità e scanalature che, dall’inserzione<br />

della chioma, arrivano a terra.


Questo esemplare, di oltre 1500 anni, con<br />

molta probabilità può essere considerato<br />

l’ulivo più grande della Sicilia e uno dei più<br />

vecchi d’Italia.<br />

Nel territorio di Siracusa straordinari<br />

olivi si trovano a Buccheri e a Noto. Il<br />

più rappresentativo è certamente quello<br />

di contrada Busulmone che, forte di una<br />

circonferenza di 12,60 m a livello della ceppaia,<br />

e di 7,20 m a petto d’uomo, ha probabilmente<br />

un’età di 1300-1500 anni.<br />

Nell’Agrigentino, oltre ai suggestivi olivi<br />

della Valle dei Templi, sono da ricordare alcune<br />

piante di circa 800-1000 anni presenti<br />

nei comuni di Caltabellotta e Sciacca. Nel<br />

Palermitano, olivi considerevoli si hanno a<br />

Pollina, Caccamo e Vicari (contrada Vallefonda)<br />

dove alcuni individui evidenziano<br />

grandissime ceppaie che raggiungono i 19<br />

metri di circonferenza. Nella provincia di<br />

Catania, tra le piante più belle figura l’ulivo<br />

millenario di Motta S. Anastasia, sito ai<br />

margini dell’omonima via.<br />

Suggestivi per le forme bizzarre e le dimensioni<br />

sono, inoltre, diversi olivi tra<br />

Chiaramonte Gulfi, Acate e Modica (Ragu-<br />

Olivo monumentale<br />

dalla forma<br />

particolarmente<br />

suggestiva<br />

a Chiaramonte Gulfi<br />

sa), come anche quelli della provincia di<br />

Trapani (San Vito Lo Capo, Castellammare<br />

e Castelvetrano). Dai dati sopra riportati,<br />

emerge che in tutto il territorio siciliano il<br />

rapporto tra l’uomo e l’ulivo è abbastanza<br />

storicizzato. Ciò si desume sia dai diversi<br />

segni di cultura materiale, di cui gli ulivi plurisecolari<br />

costituiscono una straordinaria<br />

testimonianza, sia da diverse fonti storiche.<br />

Al riguardo, un prezioso documento è rappresentato<br />

dalle Tabulae Halaesinae che<br />

fanno riferimento alla struttura del paesaggio<br />

agrario tra il III e il I sec. a.C., per un’antica<br />

area dei Nebrodi (Alesa Arconidea) e<br />

del territorio circostante, in cui la coltura<br />

dell’olivo svolgeva un ruolo molto importante.<br />

Le Tabulae funzionavano in modo simile<br />

a un moderno catasto dei terreni, dove<br />

gli ulivi assurgevano quasi al ruolo di<br />

monumenti naturali, attraverso l’incisione<br />

del monogramma alesino sulla corteccia,<br />

come segno durevole di confine.<br />

* Docente di Botanica sistematica, Dipartimento<br />

di Scienze botaniche, Università degli Studi di Palermo<br />

**Dirigente dell’Unità operativa 46 del Servizio IX<br />

agri1.ass_tecnica@regione.sicilia.it<br />

pagina47SPECIALE


Nell’Isola un progetto di ricerca<br />

e sperimentazione nel settore<br />

olivicolo per la selezione clonale,<br />

la salvaguardia della biodiversità,<br />

e il monitoraggio delle Dop<br />

INNOVARE PER CRESCERE<br />

L’assessorato Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />

ha promosso, tra le diverse attività a sostegno<br />

del settore, un progetto di ricerca e sperimentazione<br />

nel comparto olivicolo mirato al trasferimento<br />

di innovazioni agli operatori di filiera. Le<br />

azioni, iniziate dal 2003, riguardano la salvaguardia<br />

delle risorse genetiche autoctone, il miglioramento<br />

genetico di cultivar tradizionali affermate<br />

nelle province di Messina, Ragusa e Catania e il<br />

monitoraggio delle produzioni di oli extravergine di<br />

oliva certificati Dop.<br />

La valorizzazione della biodiversità autoctona,<br />

l’identificazione di “cloni” superiori per produzione<br />

e adattamento a particolari ambienti regionali e<br />

la raccolta di una specifica documentazione che<br />

affermi gli elementi di tipicità degli oli siciliani<br />

prodotti secondo specifici disciplinari intendono<br />

offrire un moderno strumento tecnico scientifico<br />

di sviluppo e di sostenibilità all’olivicoltura che<br />

si realizza in Sicilia.<br />

Il progetto, a forte contenuto innovativo, coordinato<br />

da Vincenzo De Martino, si avvale della<br />

consulenza scientifica di Antonio Cimato,<br />

primo ricercatore del CNR di Firenze (Istituto<br />

per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree<br />

- IVALSA) e delle Unità operative territoriali<br />

di Alcamo, Castelvetrano, Catania, Francavilla di<br />

Sicilia, Ispica, Marsala, Mazara del Vallo, Partanna,<br />

Paternò, Sant’Agata di Militello, San Cipirello<br />

e Sciacca.<br />

Proteggere la biodiversità è sempre più<br />

un imperativo di spessore internazionale;<br />

essa è, infatti, il risultato di lunghi processi<br />

evolutivi che da oltre tre miliardi di<br />

anni permettono alla vita di adattarsi al variare<br />

delle condizioni sulla terra, e costituisce<br />

il serbatoio da cui attinge l’evoluzione<br />

stessa per attuare tutte le modificazioni genetiche<br />

e morfologiche che originano nuove<br />

specie viventi.<br />

In questi ultimi decenni i cambiamenti climatici,<br />

le catastrofi naturali, le scelte della<br />

società (spinta all’urbanizzazione, trasferimento<br />

di tecnologie), nonché le preferenze<br />

dei consumatori e dei produttori (specializzazione<br />

colturale, sostituzione degli impianti<br />

agricoli tradizionali, ecc.) hanno provocato<br />

una notevole riduzione della diversità<br />

naturale e della sua espressione genetica.<br />

Ed è evidente che anche l’olivo non è<br />

stato sottratto a tale evento. Si è, in pratica,<br />

ridotto il range di opzioni per produttori,<br />

operatori del settore e per chiunque si trovi<br />

nella posizione di operare una scelta varietale<br />

che debba rispondere alle nuove<br />

esigenze dei mercati.<br />

pagina48SPECIALE<br />

di ANTONIO CIMATO*<br />

al progetto ha collaborato Vincenzo Di Martino**<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Tra gli obiettivi<br />

la modernizzazione<br />

del sistema anche<br />

attraverso l’utilizzo<br />

di cloni più idonei<br />

agli ambienti<br />

della Sicilia orientale,<br />

diversi dalle cultivar<br />

tradizionali<br />

e di resa superiore<br />

Un nuovo impianto<br />

con gli ulivi<br />

disposti a filari<br />

Nell’ambito del progetto promosso dall’assessorato<br />

Agricoltura e Foreste della Regione<br />

siciliana, le Unità operative presenti<br />

nella zona orientale dell’Isola (Catania,<br />

Ispica, Francavilla di Sicilia, Sant’Agata di<br />

Militello e Caltagirone) hanno realizzato<br />

un’intensa attività di identificazione, recupero<br />

e salvaguardia del patrimonio olivicolo<br />

autoctono. Ad oggi, sono state recuperate<br />

quaranta accessioni. Per garantire la tutela<br />

e il riordino di questo patrimonio genetico,<br />

l’Unità di Caltagirone (CT) ha realizzato<br />

un “nuovo” campo di germoplasma<br />

presso l’Azienda dell’Istituto tecnico<br />

agrario Cocuzza. Per una univoca identificazione<br />

delle piante, oltre ai dati del<br />

passaporto, sono in corso attività per la<br />

descrizione morfologica degli olivi (habitus<br />

vegetativo, foglie, frutti, endocarpo) e<br />

per una valorizzazione agronomica che<br />

prende in esame la produzione, eventuali<br />

tolleranze e/o suscettibilità degli olivi<br />

a stress biotici e abiotici e la valutazione<br />

di oli monovarietali.<br />

Il recupero delle risorse genetiche nasce<br />

dalla inderogabile esigenza di garantire la<br />

sopravvivenza di “un’eredità genetica” a<br />

elevato rischio di estinzione e che potrebbe,<br />

tra l’altro, presentare caratteristiche<br />

produttive diverse e più specifiche.<br />

Selezione clonale Si tratta di una sperimentazione<br />

che rende concreto un altro<br />

obiettivo per il settore olivicolo: quello di<br />

produrre innovazioni per modernizzare la<br />

struttura olivicola attraverso l’utilizzo di<br />

“cloni” più idonei agli ambienti della Sicilia<br />

orientale, diversi dalle cultivar tradizionali<br />

perché di precoce entrata in produzione,<br />

non alternanti, e quindi di superiore produttività<br />

e maggiore efficienza economica.<br />

Le Unità operative presenti in questi territori,<br />

svolgendo un’approfondita indagine tra<br />

gli impianti tradizionali, hanno individuato<br />

“cloni” di olivo dalle caratteristiche agronomiche<br />

diverse rispetto a quelle riconosciute<br />

per le varietà tradizionali coltivate negli ambienti<br />

delle province di Messina, Ragusa e<br />

Catania (Verdella, Minuta, Sant’Agatese,<br />

Ogliarola Messinese, Tonda Iblea, Nocellara<br />

Etnea, Moresca, Verdese). In pratica, per<br />

ciascuna cultivar i tecnici hanno recuperato<br />

da tre a cinque cloni, che sono stati messi<br />

a confronto nel campo sperimentale realizzato<br />

presso l’azienda Principi Grimaldi dell’Ipssar<br />

di Pozzallo (Modica).<br />

Il materiale vegetale “migliorato”, perché ha


fornito risultati agronomici superiori in termini<br />

di quantità e qualità del prodotto, potrà<br />

essere proposto al servizio di certificazione<br />

per renderlo disponibile al settore vivaistico<br />

in vista della successiva diffusione, e sarà<br />

quindi di riferimento per realizzare modelli<br />

olivicoli economicamente più efficienti.<br />

Interventi sulla caratterizzazione<br />

delle Dop siciliane Gli oli siciliani annoverano<br />

tra le loro caratteristiche principali il<br />

saper racchiudere una specificità legata alle<br />

zone di produzione, alle condizioni pedoclimatiche<br />

del territorio e alle cultivar autoctone:<br />

“qualità” che sono state premiate con<br />

il riconoscimento di sei denominazioni<br />

d’origine protetta (Dop).<br />

Il progetto “Interventi sulla caratterizzazione<br />

delle Dop siciliane” – che coinvolge le<br />

Unità operative territoriali di Alcamo, Castelvetrano,<br />

Catania, Francavilla di Sicilia,<br />

Ispica, Marsala, Mazara del Vallo, Partanna,<br />

Paternò, Sant’Agata di Militello, San Cipirello<br />

e Sciacca – ha inteso assicurare agli<br />

oli Dop un sostegno di risultati chimici e di<br />

profili organolettici analizzando, annualmente,<br />

un campione di oltre cento oli prelevati<br />

nelle diverse zone di produzione. Le<br />

analisi, potenziate da informazioni relative<br />

alle produzioni (aree di provenienza, azienda<br />

agricola, epoca di raccolta dei frutti, cultivar,<br />

sistema di frangitura e stato di maturazione<br />

dei frutti), sono inserite in un data-<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Gli oli isolani<br />

racchiudono<br />

una specificità<br />

legata all’area<br />

di produzione,<br />

alle condizioni<br />

pedoclimatiche<br />

del territorio<br />

e al patrimonio<br />

di varietà locali<br />

Olive Moresca,<br />

una varietà<br />

tradizionale siciliana<br />

base che consente di riscontrare e di correlare<br />

ai fattori della produzione le “impronte”<br />

chimiche, organolettiche e salutistiche<br />

che rendono diversi e peculiari gli oli Dop<br />

prodotti in Sicilia.<br />

Così, il database, che attualmente riunisce<br />

informazione di oltre trecento campioni di<br />

olio, costituisce anche un mezzo efficace<br />

per trasferire conoscenze e consentire che<br />

si crei un’interfaccia con quanti, del mondo<br />

della produzione (agricoltori, associazioni<br />

di categoria, consorzi), desiderano aggiornare<br />

i tratti distintivi stagionali degli oli Dop<br />

isolani.<br />

Il recupero delle risorse genetiche assicurerà<br />

la valorizzazione di una biodiversità<br />

spontanea che nel tempo ha acquisito capacità<br />

di produrre e di tracciare i confini dei<br />

territori occupati. Il miglioramento genetico<br />

offrirà al settore un moderno strumento tecnico<br />

di orientamento allo sviluppo sostenibile<br />

dell’olivicoltura siciliana consentendo a<br />

imprenditori e vivaisti di utilizzare materiale<br />

idoneo per i nuovi impianti. Il monitoraggio<br />

degli oli Dop e l’elaborazione in un quadro<br />

unico di riferimento – grazie al database –<br />

consentirà di avvalorare le “impronte” chimiche,<br />

organolettiche e nutrizionali che rendono<br />

questi oli Dop di particolare pregio.<br />

* Istituto per la Valorizzazione del Legno<br />

e delle Specie Arboree (IVALSA), CNR<br />

**Dirigente responsabile dell’Unità operativa 46<br />

del Servizio IX<br />

agri1.ass_tecnica@regione.sicilia.it<br />

pagina49SPECIALE


In olivicoltura la raccolta del prodotto è<br />

l’operazione colturale più dispendiosa<br />

(50 -80% dei costi colturali), per tale motivo<br />

è divenuto indispensabile meccanizzare<br />

questa pratica. La scelta del sistema di<br />

raccolta dall’albero assume carattere strategico,<br />

poiché ad essa sono connesse numerose<br />

altre decisioni che possono condizionare<br />

l’intero ciclo biologico dell’oliveto.<br />

Nei sistemi olivicoli attualmente diffusi la<br />

raccolta viene per lo più effettuata a mano,<br />

agevolata dall’impiego di pettini e/o bacchiatori<br />

pneumatici, o attraverso mezzi<br />

meccanici, con vibratori che agiscono sul<br />

tronco o sulle branche principali; la scelta<br />

del sistema è in genere subordinata a valutazioni<br />

economiche, effettuate sulla base<br />

dei risultati tecnici conseguiti.<br />

Il modello “intensivo” catalano Agli inizi<br />

degli anni Novanta, in Catalogna, sono sta-<br />

pagina50SPECIALE<br />

Meccanizzare la raccolta delle olive<br />

consentirebbe un forte risparmio.<br />

Occorre però selezionare genotipi<br />

e portinnesti che riducano<br />

lo sviluppo vegetativo delle piante<br />

IL SEGRETO DELLA CHIOMA PIATTA<br />

di TIZIANO CARUSO*<br />

te avviate esperienze su un nuovo modello<br />

d’impianto, basato su una cultivar di ridotto<br />

vigore e con chioma relativamente<br />

compatta, l’Arbequina. Tale modello d’impianto<br />

si basa su alcuni presupposti che<br />

prevedono limitata capacità di crescita e<br />

precoce fruttificazione, elevata e costante<br />

produttività degli alberi, impiego di macchine<br />

per la raccolta integrale delle olive, operanti<br />

“in continuo”, che contribuiscono ad<br />

abbattere i costi di raccolta.<br />

Le piante, autoradicate, disposte alla distanza<br />

di 3 per 1,30 m (circa 2.560 piante<br />

per ettaro), sono allevate “in parete continua”.<br />

Sempre sulla medesima tipologia<br />

d’impianto, già da qualche anno, a integrazione<br />

della raccolta meccanica, sono inoltre<br />

in avanzata fase di sperimentazione<br />

prove di potatura meccanica con seghe a<br />

dischi montate su barre portate da trattrici.<br />

I vantaggi che possono essere conseguiti


con tali impianti, rispetto a quelli tradizionali,<br />

sono riconducibili alla maggiore produttività,<br />

alla drastica riduzione dei costi di raccolta<br />

e di potatura e, infine, alla uniformità<br />

qualitativa del prodotto finale, in virtù della<br />

maggiore tempestività nella raccolta.<br />

Ai fini della produttività dell’impianto e dell’ottimizzazione<br />

della raccolta meccanica,<br />

le chiome delle piante devono essere raggiunte<br />

dalla luce solare anche nella parte<br />

inferiore, in modo che la fruttificazione si distribuisca<br />

uniformemente lungo una fascia<br />

produttiva ampia e ben definita. Il limite allo<br />

sviluppo della chioma in senso radiale e<br />

verticale è determinato dalla dimensione<br />

operativa della macchina utilizzata per la<br />

raccolta. Si tratta di una macchina ispirata<br />

al principio di funzionamento della vendemmiatrice<br />

che procede “a cavallo” del filare<br />

e può realizzare, “con continuità”, la<br />

raccolta delle piante del medesimo filare<br />

permettendo, nel frattempo, l’intercettazione<br />

del prodotto.<br />

Le esperienze fino ad oggi condotte evidenziano<br />

la necessità di limitare lo sviluppo<br />

dei grossi rami delle piante disposti ortogonalmente<br />

al filare e di favorire quello<br />

dei rami nel senso del filare. I migliori risultati<br />

si ottengono su piante con branche terminali<br />

sufficientemente flessibili. Al fine di<br />

agevolare l’aderenza delle scaglie del sistema<br />

d’intercettazione delle olive, i primi<br />

50 cm del tronco devono essere privi di ramificazioni.<br />

In questo modo, l’obiettivo dell’appiattimento<br />

della chioma e della formazione<br />

di pareti fruttificanti continue potrà<br />

essere conseguito senza ricorrere agli<br />

onerosi schematismi, tipici delle forme di<br />

allevamento a palmetta. Il prodotto raccolto,<br />

grazie a un sistema di nastri trasportatori,<br />

dopo essere stato pulito dalle foglie<br />

mediante un aspiratore, viene convogliato<br />

in un grosso contenitore.<br />

Le prove sperimentali, condotte su oliveti<br />

intensivi in diverse località, hanno messo in<br />

luce la notevole capacità operativa del suddetto<br />

tipo di macchine (nella raccolta sono<br />

stati impiegati, a seconda dei casi, dai 16 ai<br />

30 secondi per pianta) non disgiunta da<br />

una buona qualità del lavoro effettuato<br />

(percentuali di prodotto raccolto nell’ordine<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Il modello<br />

intensivo<br />

catalano,<br />

basato<br />

su una cultivar<br />

piccola<br />

e compatta,<br />

permette<br />

di ricorrere<br />

a una macchina<br />

che lavora<br />

a cavallo<br />

del filare<br />

del 90% e danni modesti per piante opportunamente<br />

predisposte).<br />

Le esperienze in Sicilia Prove condotte<br />

dal Dipartimento di Colture arboree dell’Università<br />

di Palermo nel 2005 presso<br />

una parcella sperimentale (2000 mq) di un<br />

impianto intensivo (2222 piante per ettaro)<br />

di otto anni, costituito con la cultivar Arbequina,<br />

hanno evidenziato che la macchina<br />

scavallatrice ha consentito di raccogliere i<br />

15 quintali di olive complessivamente prodotti<br />

in poco più di un’ora; nel medesimo<br />

intervallo di tempo, manualmente sono<br />

stati raccolti soltanto 12 chili. Il passaggio<br />

della scavallatrice ha determinato un danno<br />

da scorticatura nel 60% circa dei rami<br />

della parte medio-basale della chioma; decisamente<br />

di più modesta entità sono stati<br />

invece i danni causati nella parte medioapicale;<br />

solamente i rami orientati verso<br />

l’interfilare sono stati spezzati dalla macchina<br />

per la raccolta.<br />

Limitazioni alla diffusione del modello<br />

catalano in Sicilia L’uso di piante autoradicate<br />

tutte appartenenti alla stessa cultivar,<br />

caratterizzate da bassa vigoria, trova<br />

giustificazione laddove l’olivicoltura è recente,<br />

e dove quindi non è ancora consolidata<br />

la cultura dei prodotti tipici. Dove, per<br />

contro, l’olivicoltura vanta antiche tradizioni,<br />

non sono da escludere fenomeni di appiattimento<br />

varietale e, di conseguenza, un<br />

impoverimento della diversità qualitativa<br />

delle produzioni olearie. La Sicilia, in particolare,<br />

forte della presenza storica di numerose<br />

varietà di olivo nei vari distretti olivicoli,<br />

risulta essere tra le regioni più attive<br />

nella qualificazione dei prodotti avendo<br />

scelto la strada che ha permesso di ottenere<br />

sostanziali incrementi di valore aggiunto<br />

delle produzioni, attraverso una politica<br />

della qualità (Dop). Tuttavia, è abbastanza<br />

noto a tutti gli operatori del settore che tale<br />

strategia commerciale si adatta per uno<br />

specifico mercato (di elite) la cui ampiezza<br />

è, e sarà sempre più determinata, nel prossimo<br />

futuro, dalla capacità di attrarre nuovi<br />

consumatori delle aree ricche del pianeta e<br />

dalla capacità di fidelizzare il consumatore<br />

pagina51SPECIALE


attraverso un pieno soddisfacimento delle<br />

sue attese, incluse quelle relative al prezzo<br />

da corrispondere.<br />

In tale ottica, e nella consapevolezza che<br />

non tutti i nostri prodotti oleicoli potranno<br />

essere destinati a un mercato di elite, le<br />

strategie di riduzione dei costi di produzione<br />

assumono un aspetto di rilevante importanza<br />

per poter competere con i partner<br />

del bacino del Mediterraneo.<br />

Appare quindi sensato ipotizzare che alla<br />

tipologia di impianti intensivi e adatti alla<br />

meccanizzazione in continuo della potatura<br />

e della raccolta potranno essere destinate<br />

aree non eccessivamente acclivi<br />

(pendenze minori del 15%) e irrigue, ricadenti<br />

anche in comprensori non tradizionalmente<br />

olivetati o in aree ai margini di quelle<br />

tradizionali più vocate. Tenendo conto<br />

della situazione siciliana del comparto in<br />

argomento, è possibile prevedere una certa,<br />

sia pure prudente, diffusione di tali nuovi<br />

modelli colturali più che nei distretti olivicoli<br />

dove la coltura è consolidata, in nuovi<br />

comprensori contraddistinti da soddisfacenti<br />

situazioni pedologiche, orografiche e<br />

con buone disponibilità di acqua per l’irrigazione.<br />

In questi ultimi contesti dovrà tuttavia<br />

essere valutata l’effettiva convenienza<br />

economica dell’olivicoltura rispetto ad<br />

altri indirizzi produttivi.<br />

Importanza del portinnesto ai fini dello<br />

sviluppo degli impianti intensivi In relazione<br />

a quanto appena evidenziato, e nella<br />

consapevolezza che in futuro l’olivicoltura<br />

siciliana sarà sempre più legata all’adozione<br />

di modelli d’impianto idonei alla meccanizzazione<br />

delle operazioni colturali, non<br />

si può prescindere dalla selezione di genotipi,<br />

cultivar e portinnesto, che contribuiscano<br />

a ridurre la mole delle piante.<br />

Mentre nel melo, nel pero e negli agrumi<br />

sono abbastanza noti diversi aspetti dei<br />

meccanismi che contribuiscono al controllo<br />

della crescita vegetativa, nell’olivo le<br />

esperienze finora condotte hanno fornito risposte<br />

non univoche, evidenziando di volta<br />

in volta un diverso ruolo svolto dalla parte<br />

ipogea o epigea, nel determinare com-<br />

pagina52SPECIALE<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Le prove<br />

sperimentali<br />

condotte in Sicilia<br />

dal dipartimento<br />

di Colture arboree<br />

hanno dato<br />

risultati<br />

interessanti.<br />

Ora bisogna<br />

attendere il responso<br />

delle verifiche<br />

agronomiche<br />

effettuate<br />

in condizioni<br />

di pieno campo<br />

A sinistra<br />

selezione clonale<br />

della cultivar<br />

Arbequina,<br />

a destra<br />

un innesto d’ulivo<br />

plessivamente il comportamento vegetativo<br />

della pianta bimembre.<br />

È stata pertanto ravvisata la necessità di<br />

una migliore comprensione dei processi<br />

biologici che possono intervenire nelle relazioni<br />

tra due bionti di vigore opposto nel<br />

controllo della crescita vegetativa complessiva<br />

della pianta innestata.<br />

Recenti ricerche collegiali condotte per la<br />

Sicilia dal Dipartimento di Colture arboree<br />

su specifici genotipi di olivo, licenziati come<br />

portinnesti nanizzanti, hanno mostrato una<br />

effettiva capacità di controllo della crescita<br />

vegetativa del nesto, consentendo di apprezzarne<br />

alcuni meccanismi fondamentali,<br />

sia attinenti agli aspetti morfologici che<br />

ecofisiologici e biomolecolari.<br />

Tra gli aspetti presi in esame nella ricerca<br />

dei meccanismi di azione di riduzione della<br />

crescita vegetativa, quelli che coinvolgono<br />

la capacità di assorbimento e di trasporto<br />

dell’acqua dalle radici alla chioma hanno<br />

dimostrato di svolgere un ruolo importante.<br />

Le modifiche indotte dai portinnesti più de-<br />

boli, e in particolare da uno di essi, hanno<br />

coinvolto le relazioni idriche e biochimiche<br />

interne alla pianta. La minore spinta vegetativa<br />

delle radici si è espressa, in maniera<br />

più o meno indiretta, anche sull’architettura<br />

della chioma attraverso una modifica<br />

sia della lunghezza dei germogli e degli<br />

internodi sia dell’angolo di inserzione<br />

dei rami.<br />

Le ricerche fin qui effettuate hanno contribuito<br />

a evidenziare, tra i possibili meccanismi,<br />

quelli che hanno dimostrato una certa<br />

importanza nel controllo della crescita<br />

vegetativa dell’olivo e che possono essere<br />

utilizzati nelle valutazioni per la selezione<br />

di portinnesti clonali con capacità di controllo<br />

della crescita del nesto.<br />

Il giudizio definitivo sulla possibilità di impiegare<br />

portinnesti “nanizzanti” in olivicoltura,<br />

anche sotto la spinta dei risultati incoraggianti<br />

ottenuti, dovrà tuttavia attendere il<br />

responso delle verifiche agronomiche condotte<br />

su piante in fruttificazione e in condizioni<br />

di pieno campo.<br />

* Dipartimento di Colture Arboree<br />

Università di Palermo


Osservando l’ampio territorio della provincia<br />

di Messina, possiamo affermare<br />

che la pianta arborea che ne contraddistingue<br />

l’agricoltura è senz’altro l’olivo.<br />

In effetti sarebbe più corretto parlare di olivi<br />

per il ricco patrimonio varietale che si è<br />

selezionato nel tempo grazie all’incrocio<br />

con altre specie spontanee del genere<br />

Olea e alla forte stabilità genetica della<br />

specie europea che ha consentito il mantenimento<br />

di una elevata biodiversità.<br />

Ciò si è verificato anche in altre zone olivicole<br />

del mondo come del resto in Italia, dove<br />

nell’ambito di un progetto del Coi (Consiglio<br />

olivicolo internazionale) sono state<br />

identificate e catalogate ben 139 varietà<br />

certe, ma è ovvio che il numero è destinato<br />

ad ampliarsi considerevolmente.<br />

Particolare rilevante è l’origine antichissima<br />

di parecchie cultivar, che con molta<br />

probabilità erano note in epoca fenicia,<br />

greca o romana. Tra queste, la Minuta (o<br />

Nasitana) trova da sempre il suo sito di coltivazione<br />

in alcuni comuni dei Nebrodi: Naso,<br />

Castell’Umberto, Ficarra, Sinagra, Raccuja,<br />

Sant’Angelo di Brolo e altri comuni<br />

costieri. Secondo i dati Agea (Agenzia per<br />

le erogazioni in agricoltura) si riscontrano<br />

oltre 300 mila esemplari di Minuta, di cui<br />

quasi il 50% concentrato a Naso.<br />

Tra le cultivar minori di olivo, la Minuta,<br />

con il suo frutto piccolo, è considerata<br />

tra le più importanti per la vasta diffusione<br />

territoriale che discende da alcune<br />

sue peculiarità: resistenza al freddo e alla<br />

neve (il legno è molto elastico e non teme<br />

rotture causate dal peso della neve ed è<br />

poco suscettibile alla carie), costanza di<br />

produzione, qualità dell’olio elevata per il<br />

suo lieve e complesso fruttato. La pianta<br />

della Minuta è molto vigorosa, e gli olivicoltori<br />

la definiscono “Saracena” per la mole<br />

del tronco e delle branche: basti pensare<br />

che diversi esemplari superano i quattro<br />

metri di circonferenza del tronco all’altezza<br />

di un metro mezzo da terra.<br />

Oggi che negli extravergini di qualità si riscontra<br />

una grande varietà di attributi posi-<br />

Le potenzialità di una cultivar<br />

che per il suo lieve fruttato<br />

e per la resistenza della pianta<br />

rappresenta un punto di forza<br />

del patrimonio olivicolo siciliano<br />

SARÀ MINUTA, MA È GRANDE<br />

di PIPPO RICCIARDO*<br />

Se ne ricava<br />

un olio<br />

di alta qualità<br />

che si presta bene<br />

a condire<br />

piatti a base<br />

di pesce<br />

e verdure amare.<br />

Indicato<br />

nella preparazione<br />

di rustici<br />

e dolci,<br />

è consigliabile<br />

usarlo<br />

nelle fritture<br />

tivi, anche questa cultivar si presenta con<br />

le carte in regola per essere apprezzata<br />

dai degustatori e dai cultori dei buoni oli.<br />

Se non fosse per il suo fruttato e per l’alto<br />

valore salutistico e nutrizionale, determinato<br />

dalla quantità e qualità dei tocoferoli e<br />

dei polifenoli, il suo olio sarebbe poco apprezzato<br />

per la bassa resa (circa il 12-<br />

13%) che si ricava dalle olive.<br />

Ciononostante, la Minuta incontra il favore<br />

di molti consumatori, anche nuovi, che gradiscono<br />

l’olio con il fruttato leggero ma persistente,<br />

floreale, dal gusto poco amaro e<br />

piccante e più mandorlato. Un olio che, insomma,<br />

trova riscontro nelle ricette a base<br />

di pesce, nelle verdure particolarmente<br />

amare, nella preparazione di rustici e persino<br />

di dolci; se ne consiglia l’uso nelle fritture,<br />

per la particolare resistenza al punto<br />

di fumo, nettamente maggiore rispetto agli<br />

oli di semi.<br />

Nelle attività promosse dai Servizi allo<br />

Sviluppo dell’assessorato regionale<br />

Agricoltura e Foreste, la salvaguardia<br />

del germoplasma vegetale è un obiettivo<br />

prioritario. Le peculiarità dell’agricoltura<br />

siciliana, come nel caso della cultivar di<br />

olivo Minuta, sono fondamentali per la difesa<br />

della biodiversità, del territorio e della<br />

grande tradizione olivicola. Slow Food non<br />

ha esitato a fare della Minuta un presidio<br />

ambientale-alimentare per evitarne la dispersione<br />

o addirittura la scomparsa dal<br />

patrimonio olivicolo e vegetale isolano.<br />

Un grande ruolo di sviluppo e affermazione<br />

della cultivar Minuta è demandato ai Servizi<br />

agricoli e alle amministrazioni locali, che<br />

insieme possono condurre efficaci azioni in<br />

favore degli olivicoltori più intraprendenti.<br />

Proprio sulle imprese olivicole che si presentano<br />

adeguatamente sul complesso<br />

mercato dell’olio di oliva e degli extravergini<br />

è necessario far leva per ottenere quella<br />

giusta remunerazione che i prodotti di qualità<br />

siciliani senz’altro meritano.<br />

* Coordinatore della filiera olivicola del Distretto Nebrodi<br />

Unità operativa 70 di Sant’Agata Militello (ME)<br />

assessorato Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />

soat8@regione.sicilia.it<br />

pagina53SPECIALE


ECCO IL FRITTO D’AROMI<br />

L’olio di oliva è il prodotto con la più<br />

ampia variabilità nell’impiego alimentare.<br />

Per i suoi principi nutritivi essenziali<br />

è un alimento di elevato valore biologico,<br />

ma è anche un condimento, in quanto<br />

migliora il sapore delle pietanze. Può essere<br />

inoltre mezzo di cottura e liquido di “governo”,<br />

se si impiega per friggere o per<br />

conservare i cibi.<br />

Negli ultimi anni, soprattutto per l’esigenza<br />

di diversificare l’offerta, il mercato propone<br />

una linea di prodotti aromatizzati a base di<br />

olio di oliva. Si tratta di una vasta gamma<br />

di prodotti preparati per aggiunta di sostanze<br />

che ne mutano le primitive caratteristiche<br />

organolettiche, cosicché sotto l’aspetto<br />

merceologico non può più definirsi olio di<br />

oliva. In un settore che gioca e specula ancor<br />

oggi sugli equivoci lessicali, generati<br />

dalla complessa classificazione merceologica,<br />

l’immissione sul mercato dei cosiddetti<br />

oli aromatizzati può confondere ancor<br />

I condimenti che si aggiungono<br />

agli extravergine, per infusione<br />

o estraendo l’essenza dalla pianta,<br />

danno ai piatti il carattere forte<br />

delle vere essenze mediterranee<br />

di DINO CATAGNANO*<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

L’intensità<br />

delle sensazioni<br />

olfattive<br />

risulta<br />

inebriante.<br />

La gastronomia<br />

può contare<br />

su una risorsa<br />

in grado<br />

di diversificare<br />

le proposte.<br />

Ma non di rado<br />

diventa<br />

un espediente<br />

per nascondere<br />

i difetti<br />

più le cose. Il consumatore si trova a dover<br />

scegliere tra diverse etichette, magari conformi<br />

alle disposizioni di legge, ma poco<br />

eloquenti. Ci si può trovare quindi ad acquistare<br />

un prodotto rettificato come l’olio di<br />

oliva, ritenendolo migliore, al posto di un<br />

extravergine, talvolta perché più caro o<br />

perché ha un marchio più conosciuto. Affidarci<br />

perciò ai nostri sensi, vale a dire alla<br />

capacità di distinguere un olio buono da<br />

uno cattivo, rimane il modo più valido per<br />

trovare la qualità. E se dopo averlo odorato<br />

e assaggiato, percepiamo sensazioni<br />

sgradevoli, non bisogna certo richiedere il<br />

parere dell’esperto per evitare di riacquistarlo.<br />

Recentemente, e in particolare per gli oli<br />

extravergini di oliva, gli specialisti assaggiatori<br />

hanno assunto il vezzo di descrivere<br />

talune sensazioni odorose diverse dal<br />

fruttato, ciò per evidenziare i caratteri di<br />

pregio attribuibili alla diversa origine geo-


grafica o alla varietà. Si sente quindi parlare<br />

di sensazioni di mandorla, pomodoro,<br />

carciofo, mela, timo. Ma non bisogna dimenticare<br />

che la loro percezione è una<br />

prerogativa quasi esclusiva degli esperti;<br />

difficilmente, infatti, un consumatore può<br />

percepirli senza un addestramento specifico.<br />

È importante perciò rilevare che tali<br />

sensazioni possono essere tipiche degli<br />

extravergini di oliva e non dovute all’aggiunta<br />

di sostanze estranee.<br />

Le sensazioni olfattive, retro-olfattive e<br />

gustative dei condimenti all’olio di oliva<br />

sono invece da attribuire all’aggiunta di<br />

aromi o di altri ingredienti. Si utilizzano<br />

perciò diverse essenze officinali o agrumi<br />

per estrarre i cosiddetti oli essenziali. Vale<br />

a dire sostanze d’origine vegetale, profumate,<br />

volatili, solubili nei grassi, insolubili in<br />

acqua, classificati come oli. L’aggiunta si<br />

esegue normalmente per infusione o estraendo<br />

l’essenza dalla pianta aromatizzante<br />

e lavorandola assieme alla pasta di olive.<br />

In ambedue i casi si utilizzano le parti di<br />

pianta – foglie, fiori, frutti – più ricchi di essenze.<br />

Meno diffusa almeno nelle piccole<br />

aziende è l’aggiunta diretta di olio essenziale.<br />

Nel primo caso, si parla di enfleurage,<br />

che consiste nel deporre il vegetale (di<br />

solito dei fiori) su uno strato di grasso –<br />

l’olio – che si impregna di sostanze odorose.<br />

Nel secondo caso, la pianta aromatizzante<br />

è lavorata in frantoio assieme alle olive.<br />

Le essenze, grazie alla loro liposolubilità,<br />

sono estratte per centrifugazione con<br />

l’olio, il che richiede una grande maestria e<br />

una lunga esperienza dell’operatore.<br />

La creatività dei produttori propone un’ampia<br />

gamma di condimenti, all’aroma di origano,<br />

salvia, basilico, rosmarino, timo, e<br />

poi al limone, all’arancia, al peperoncino,<br />

solo per elencarne alcuni. Si possono ac-<br />

quistare negli esclusivi negozi d’alta gastronomia<br />

o negli hard discount che, come<br />

sempre succede, ne offrono di buoni e di<br />

pessimi. Ed essendo l’elemento base passibile<br />

di svariate sofisticazioni e frodi, non<br />

di rado i condimenti aromatizzati sono diventati<br />

un espediente per nascondere i difetti,<br />

talora piuttosto evidenti, di partite di<br />

olio di oliva vergine o lampante, diversamente<br />

da destinare alla raffinazione.<br />

I condimenti all’olio extravergine di oliva di<br />

qualità si propongono al cliente con ottime<br />

referenze e non sono da considerare né<br />

succedanei né antagonisti del prodotto non<br />

aromatizzato, piuttosto una risorsa in più. E<br />

se l’extravergine di oliva è già entrato molto<br />

dignitosamente nell’alta cucina, per i<br />

condimenti aromatizzati si può parlare solo<br />

di una buona prospettiva. L’intensità delle<br />

sensazioni olfattive può essere davvero<br />

inebriante e certamente diversa rispetto a<br />

quella che può ottenere un cuoco attraverso<br />

il procedimento dell’infusione o con l’aggiunta<br />

diretta dell’erba aromatica. La gastronomia<br />

può contare quindi su una risorsa<br />

in grado di diversificare le proposte e<br />

aggiungere ai piatti il carattere forte delle<br />

essenze mediterranee.<br />

I migliori condimenti aromatizzati si ottengono<br />

da partite di olive o da olio di<br />

eccellenti caratteristiche e da piante o<br />

essenze aromatiche di elevata qualità.<br />

Non si può pensare di ottenere buoni prodotti<br />

partendo da oli difettosi o da essenze<br />

di scadente qualità. E ancora una volta il<br />

consumatore dovrà avere una elevata cultura<br />

alimentare e una sufficiente capacità<br />

percettiva per riconoscere se un olio irrancidito,<br />

avvinato o muffito è stato mascherato<br />

dall’aggiunta di aromi.<br />

L’etichettatura dei condimenti all’olio di oliva<br />

è regolata dal Decreto legislativo 27<br />

pagina55SPECIALE


gennaio 1992, n. 109, che norma la presentazione<br />

e pubblicità dei prodotti alimentari,<br />

ovvero, l’insieme delle menzioni, delle<br />

indicazioni o dei simboli da riportare direttamente<br />

sulla confezione. Per tutelare il<br />

consumatore gli aromatizzati sono denominati<br />

condimenti, nonostante contengano<br />

per oltre il 99% olio di oliva, ed è prevista<br />

inoltre l’indicazione obbligatoria degli ingredienti,<br />

ad esempio: olio extravergine e origano<br />

(fiori).<br />

In fatto di tutela dalla salute del consumatore<br />

i condimenti all’olio di oliva<br />

non dovrebbero far sorgere molti interrogativi.<br />

Le virtù nutrizionali della<br />

loro parte principale sono ampiamente<br />

descritte. Ed è recente la notizia dell’azione<br />

antinfiammatoria e antitumorale<br />

svolta da un composto dell’extravergine<br />

denominato oleocantale, che al pari dell’ibuprofene<br />

– un farmaco antinfiammatorio<br />

capace di inibire l’attività degli enzimi<br />

ciclooxigenasi-1 (COX-1) e cicloossigenasi-2<br />

(COX-2) – potrebbe ulteriormente rafforzare<br />

il suo valore alimentare. Meno conosciuti<br />

sono gli effetti degli oli essenziali<br />

introdotti nell’organismo con i condimenti<br />

aromatizzati. Di certo si sa che<br />

pagina56SPECIALE<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Dall’alto a sinistra,<br />

e procedendo<br />

in senso orario<br />

piante di basilico,<br />

salvia, peperoncino<br />

e origano,<br />

tutte essenze<br />

utilizzate<br />

per aromatizzare<br />

gli oli<br />

molte essenze sono utilizzate anche per<br />

scopi omeopatici nel trattamento di alcuni<br />

disturbi. Il basilico, per esempio, è impiegato<br />

negli stati febbrili associati a raffreddore<br />

e influenza, nella digestione lenta,<br />

nella nausea e nei crampi addominali,<br />

e proficuamente anche nelle emicranie e<br />

nell’insonnia. Il rosmarino si può indicare<br />

per l’astenia, la colecistite, l’ittero, la congestione<br />

epatica, i calcoli biliari, le mestruazioni<br />

insufficienti, le emicranie digestive,<br />

la gotta e i reumatismi. L’origano,<br />

invece, per gli spasmi e le fermentazioni<br />

intestinali, le affezioni respiratorie e i disturbi<br />

del tubo digerente, in quanto stimola<br />

la secrezione gastrica.<br />

Le essenze utilizzate per la preparazione<br />

dei condimenti all’olio di oliva provengono<br />

dalla flora spontanea o dalle<br />

coltivazioni tipiche del territorio di produzione,<br />

perciò ne sono l’espressione. È logico<br />

pensare che possano diventare un modo<br />

per caratterizzare e valorizzare la cucina<br />

locale e uno spunto per la creazione di<br />

nuovi piatti.<br />

* Dirigente dell’assessorato<br />

regionale Agricoltura e Foreste<br />

Unità operativa 102 - Sciacca<br />

soat76@regione.sicilia.it


Via dell’olivo millenario è una stretta e<br />

scoscesa stradina lastricata di pietra<br />

lavica che in poche centinaia di metri<br />

conduce dall’abitato di Motta Sant’Anastasia,<br />

un piccolo centro alle falde dell’Etna,<br />

fino a un luogo in cui la natura e le vicissitudini<br />

della storia – o, meglio, la fortuna<br />

– hanno fatto arrivare a noi quello che<br />

potremmo chiamare un vero e proprio<br />

monumento vegetale: uno degli olivi più<br />

antichi dell’area etnea. La pianta si erge<br />

proprio ai piedi della torre<br />

medievale e rivolge il suo<br />

sguardo al mare, da un lato,<br />

e al vulcano, dall’altro.<br />

Da qui prenderemo il via<br />

per affrontare questo breve<br />

viaggio nella terra dell’Etna,<br />

alla scoperta di uno<br />

degli aspetti più intimamente<br />

connessi alla vita<br />

delle popolazioni del luogo:<br />

la coltura dell’olivo.<br />

Fenici e greci introdussero<br />

in Sicilia la coltivazione<br />

dell’olivo, migliorando<br />

quella che probabilmente<br />

era già una consuetudine<br />

delle popolazioni<br />

più antiche: utilizzare i frutti degli ogliastri<br />

e forse di qualche varietà già ben definita.<br />

Anche le pendici dell’Etna furono interessate<br />

da questa attività: l’importanza della<br />

produzione oleicola della zona è testimoniata<br />

già nell’opera di Pietro Bembo De<br />

Aetna, in cui ne descrive i pregi e la bontà.<br />

E del resto, indietreggiando fino al mito,<br />

si ricorda Ulisse che, approdato sulla<br />

costa ionica, accecò Polifemo proprio con<br />

un tronco di ogliastro.<br />

Così, grazie alla selezione naturale e alla<br />

perizia di quanti si dedicarono a questa<br />

coltivazione, venne moltiplicata e diffusa<br />

una varietà oggi fra le più importanti in termini<br />

economici dell’intero panorama olivicolo<br />

italiano: la Nocellara dell’Etna.<br />

Il reticolo di muretti a secco in pietra<br />

lavica, caratteristici del panorama etneo,<br />

racchiude oggi più di un milione<br />

di olivi, coltivati grazie all’impegno di centinaia<br />

di piccoli produttori ai quali viene<br />

anche affidato il destino paesaggistico e<br />

ambientale di questi versanti. Qui l’ulivo<br />

ha trovato un sito ideale di riproduzione e<br />

coltivazione. Tanto da riuscire a essere<br />

presente anche a quote eccezionali – fin<br />

Risale e tre anni fa il riconoscimento<br />

della Denominazione Monte Etna<br />

Un’opportunità che gli olivicoltori<br />

del comprensorio hanno ben colto.<br />

A tutto vantaggio della qualità<br />

UNA DOP DAVVERO VULCANICA<br />

di GIUSEPPE PENNINO*<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Dal felice connubio<br />

di varietà secolari<br />

in un territorio<br />

spesso impervio<br />

e irrequieto<br />

nasce un olio<br />

dai sentori erbacei<br />

e mandorlati,<br />

capace<br />

di armonizzare<br />

il piccante<br />

e l’amaro<br />

Nocellara dell’Etna,<br />

una varietà<br />

tra le più importanti<br />

del panorama<br />

olivicolo italiano<br />

oltre i mille metri – dove non sono infrequenti<br />

le nevicate e, tuttavia, il sole splende<br />

per almeno 270 giorni l’anno e una<br />

provvidenziale ventilazione fa superare<br />

anche le estati più torride.<br />

Tradizionalmente compagno di viti, meli,<br />

peri, noccioli e pistacchi, l’olivo dell’Etna è<br />

oggi coltivato anche in grandi e razionali<br />

impianti specializzati. Il suo frutto, particolarmente<br />

pregiato, viene utilizzato, ancora<br />

verde, anche come ottima oliva da mensa.<br />

La Nocellara Etnea ha<br />

come originario areale<br />

di produzione tutto il<br />

versante sud-ovest del<br />

vulcano. Si spinge lungo<br />

il fianco occidentale, fin all’interno<br />

dei comuni più a<br />

nord, dove s’incontra con<br />

un’altra importante varietà:<br />

la Brandofino. Insieme<br />

a questa costituisce la<br />

quasi totalità del patrimonio<br />

olivicolo del comprensorio,<br />

oggi individuato come<br />

area della Dop Monte<br />

Etna.<br />

In un territorio così fortemente<br />

caratterizzato dalla<br />

natura vulcanica del suolo, dal suo clima<br />

e dalla presenza di varietà perfettamente<br />

adattate a tali condizioni, non poteva che<br />

nascere la proposta d’istituire la Dop<br />

Monte Etna. Oggi, a tre anni dalla sua definitiva<br />

approvazione, si constata che i<br />

produttori hanno saputo cogliere al volo<br />

tale opportunità.<br />

Da anni seguiamo, anche grazie a iniziative<br />

mirate al miglioramento della qualità<br />

della produzione olearia, la valorizzazione<br />

di questo settore: oggi la quasi totalità delle<br />

aziende in grado di presentarsi con un<br />

prodotto adeguatamente confezionato ed<br />

etichettato si fregia del marchio Dop, indice<br />

di un raggiunto livello di qualità.<br />

E i consumatori che si avvicineranno a<br />

questi prodotti troveranno piacevolissime<br />

le note di fruttato, i sentori erbacei e mandorlati,<br />

apprezzando l’armonicità del piccante<br />

e dell’amaro scaturiti dal felice connubio<br />

di varietà secolari e di un territorio<br />

spesso impervio e irrequieto, come soltanto<br />

un vulcano sa essere.<br />

* Dirigente dell’assessorato regionale<br />

Agricoltura e Foreste<br />

Unità operativa 72, Catania<br />

soat21@regione.sicilia.it<br />

pagina57SPECIALE


Scrivo queste brevi note sull’olio extravergine<br />

di oliva dopo essere stato onorato<br />

a Siena del Premio dell’ampolla<br />

d’oro da parte dell’Enoteca italiana. Un<br />

premio che mi riempie di gioia, perché mi<br />

investe del ruolo di ambasciatore della mia<br />

terra e perché soprattutto premia l’enorme<br />

valore dei prodotti siciliani.<br />

Difficile per me, e per il lavoro che svolgo,<br />

poter pensare di far a meno dell’olio extravergine<br />

d’oliva. Credo che, se qualcuno mi<br />

imponesse di non usarlo, vivrei una sorta<br />

di lutto. Perché, l’olio, il nostro olio assolutamente<br />

extravergine di oliva (quello ibleo<br />

nel mio caso), è la base e il veicolo attraverso<br />

cui si possono fare viaggiare i sapori,<br />

le temperature, le sensazioni degli ingredienti<br />

di un piatto.<br />

Per noi l’olio non ha alternative, è di oliva,<br />

ma soprattutto è di “casa”. Abbiamo<br />

sempre guardato con diffidenza l’olio delle<br />

grandi distribuzioni, non tanto perché appartenente<br />

a questa o quella marca, quanto<br />

per il suo essere imbrigliato in produzioni<br />

e circuiti che ci allontanano da quella<br />

umanità che lega il frutto – dalla sfrondatura<br />

alla raccolta a mano, dalla frangitura fino<br />

al suo utilizzo – a un rapporto antico e<br />

di fiducia con chi gli alberi li cura, ne segue<br />

le fasi, ne estrae il meglio.<br />

Gli esperti dietologi individuano nell’olio extravergine<br />

d’oliva l’ingrediente necessario<br />

per il nutrimento in gravidanza, capace di<br />

fornire alla madre tutte le risorse per la for-<br />

||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />

La ricetta<br />

Tagliatelle Pianogrillo con canocchie,<br />

cipollotto fresco piccante<br />

e olio extravergine di Tonda iblea<br />

Ingredienti per 4 persone<br />

Tagliatelle fresche di cuore di semolino di grano duro e acqua 600 g;<br />

Olio extravergine di Tonda iblea Pianogrillo 50 g; Cipollotto fresco (8<br />

pezzi) 350 g; Prezzemolo 6 g; Pomodorini ciliegia pelati 4; Brodo 10<br />

cl; Peperoncino q.b.; Basilico 4 foglie; Sale q.b.; Canocchie 24-30<br />

Procedimento<br />

Far appassire e colorire in padella il cipollotto con l’olio extravergine<br />

di Tonda iblea Pianogrillo, aggiungere il prezzemolo e il pomodoro<br />

tritato, bagnare con brodo vegetale e aggiungere, fuori<br />

dal fuoco, il basilico, il sale e il peperoncino.<br />

Per ricavare la polpa delle canocchie tagliarle dai due lati e togliere<br />

il carapace superiore, quindi con un cucchiaio o un coltello raschiare<br />

le parti (un piccolo trucco per facilitare tale operazione è<br />

quello di congelare un po’ le cicale affinché la polpa si solidifichi<br />

e si stacchi più facilmente).<br />

Lessare al dente le tagliatelle e saltarle in padella con il cipollotto<br />

e la polpa delle canocchie crude, aggiungendo un filo d’olio di<br />

Tonda iblea.<br />

La ricetta è tratta da: Ciccio Sultano, La mia cucina siciliana,<br />

edizioni GamberoRosso, Roma 2005<br />

pagina58SPECIALE<br />

Insignito dell’Ampolla d’oro<br />

a Siena lo chef di Ragusa ammette:<br />

non posso pensare di far a meno<br />

dell’extravergine di oliva<br />

che per me è quello degli Iblei<br />

UN SAPORE IRRINUNCIABILE<br />

di CICCIO SULTANO*<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

I segreti? L’olio<br />

da degustazione<br />

non va confuso<br />

con quello<br />

usato in cucina.<br />

Soprattutto<br />

non va trattato<br />

alla stregua<br />

di un vino.<br />

Una scelta<br />

sbagliata rischia<br />

di compromettere<br />

l’equilibrio<br />

del piatto<br />

mazione degli organi e dei tessuti necessari<br />

allo sviluppo del feto.<br />

Non solo, gli innumerevoli utilizzi ulteriori<br />

che della pianta e dei suoi derivati sono<br />

stati fatti nel corso dei secoli – da mero<br />

combustile all’impiego nella cosmesi – ne<br />

hanno decretato la gloria facendolo assurgere<br />

ad “Albero della vita”.<br />

Lontani dai romanticismi e per rimanere in<br />

argomento, possiamo dire che oggi l’oliva<br />

ha al proprio servizio una valida tecnologia<br />

che permette, a noi ristoratori come a tutti i<br />

consumatori attenti all’eccellenza del gusto<br />

e alla genuinità, di mantenere tutte le proprietà<br />

attive del prodotto “olio” e soprattutto<br />

di durare nel tempo sconfiggendo i batteri<br />

che ne minacciano la tenuta alimentare<br />

e organolettica. Mi riferisco a lavorazioni<br />

a ciclo continuo per pressione o centrifughe,<br />

con separazione di acqua e sansa tramite<br />

vasche meccaniche, sostituzione del<br />

vuoto con l’azoto e conservazione nei recipienti<br />

in acciaio per inibirne l’ossidazione.<br />

Infine, per completare la filiera di un prodotto<br />

che tutto il mondo ci invidia, sono necessarie<br />

una grande cura nel confezionamento<br />

e una forte spinta imprenditoriale.<br />

Insomma alle nostre aziende va dato il merito<br />

di aver saputo lanciarsi nel mercato dell’olio<br />

con spirito pionieristico. Hanno aperto<br />

la strada per un enorme salto qualitativo<br />

prodigandosi, tramite l’ingegneria, nella custodia<br />

e nella magnificazione della preziosa<br />

eredità lasciataci dai nostri avi di un territorio<br />

ricco di oliveti e generoso di frutti.<br />

L’olio che uso nella mia cucina proviene<br />

solo da aziende aventi come comune denominatore<br />

l’alta qualità e con le quali è<br />

stato possibile creare un circolo virtuoso<br />

basato su forniture all’ingrosso dello stesso<br />

extravergine che poi va a finire nelle preziose<br />

bottiglie etichettate.<br />

Questo per dire che, data l’alta qualità dell’ingrediente,<br />

è sbagliato relegarlo nel ruolo<br />

di prodotto di nicchia: è necessario piuttosto<br />

stabilire strade e scambi per intensificarne<br />

l’utilizzo costante, instaurando un rapporto<br />

diretto fra produttore e distributore-ristoratore.<br />

La forza di un prodotto meraviglioso sta<br />

anche nella sua diffusione capillare.<br />

L’eccezionalità dell’olio extravergine di<br />

oliva ibleo consiste nella capacità di<br />

esprimere personalità con le tipologie di<br />

olive autoctone. Ad esempio, con solo una<br />

cultivar, la Tonda iblea nel Chiaramontano,<br />

si è riusciti, soprattutto grazie alla volontà di<br />

imprenditori coraggiosi, a realizzare un olio


dalla grande personalità carico di pomodoro.<br />

O ancora, con la Moresca (dal sentore<br />

più selvatico), la Biancolilla e la Nocellara<br />

si riescono a ottenere piatti dai temperamenti<br />

ben definiti che permettono di dare<br />

alle portate una precisa territorialità.<br />

Ho citato le cultivar siciliane perché sono<br />

quelle che più mi appartengono, ma ogni<br />

regione ne può vantare altrettante e di pari<br />

prestigio, penso alla Calabria con la Carolea,<br />

e alla pugliese Coratina, fino alla umbro-toscana<br />

Frantoio.<br />

Tutte queste, insieme a molte altre che sarebbe<br />

impossibile citare qui, compongono<br />

la galassia del grasso vegetale più sano e<br />

nutriente che si può mai usare in cucina.<br />

Spesso mi viene chiesto se nel nostro ristorante<br />

abbiamo il cosiddetto carrello degli<br />

oli. Come se il fatto di mettere in bella<br />

mostra le più prestigiose etichette degli<br />

svariati produttori, fosse un indice di autorevolezza<br />

del ristorante. L’olio da degustazione<br />

non può sovrapporsi all’olio della cucina.<br />

Soprattutto non lo si può trattare alla<br />

stregua di un vino associandolo liberamente<br />

alla portata secondo l’umore o la curiosità.<br />

Non va messo nel bicchiere ma all’interno<br />

del piatto. Quindi se l’olio non è quello<br />

giusto può compromettere l’equilibrio del<br />

piatto.<br />

Il mio auspicio, da operatore gastronomico,<br />

è che la professionalità degli operatori, in<br />

sala come in cucina, da cameriere, gourmet<br />

o chef che sia, possa fornire al cliente la giusta<br />

conoscenza del mondo dell’olio, offrendo<br />

le basi per una corretta lettura e quindi<br />

una consapevole fruizione di ciò che mangiamo,<br />

sia per quantità di grassi, sia per<br />

equilibrio di sapori.<br />

Alla domanda del carrello rispondo sempre<br />

che non è importante che l’olio extravergine<br />

d’oliva stia in sala, è molto più importante<br />

che stia in cucina e che venga usato senza<br />

economia. È questa la prova di una pulizia<br />

intellettuale che impone sempre di offrire il<br />

meglio al cliente.<br />

I più svariati grassi vegetali di pessima qualità<br />

vengono spesso e volentieri usati, nella<br />

maggioranza delle strutture, a tutto discapito<br />

della salute degli ospiti. In questo senso,<br />

se di salto culturale si vuole e si deve parlare,<br />

dovremmo cominciare da una regola basilare:<br />

usare solo olio extravergine d’oliva.<br />

La mia, più che una critica, è un appello.<br />

* Chef del ristorante Il Duomo di Ragusa Ibla<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q


In alcune aree del meridione d’Italia,<br />

l’olivicoltura da mensa rappresenta un<br />

comparto produttivo in grado di integrare<br />

il reddito, in alcuni casi molto limitato,<br />

dell’olivicoltura da olio.<br />

In Sicilia, in particolare, gli areali storici per<br />

la coltivazione delle olive da tavola sono<br />

tre. Il primo si trova nel Catanese, nei comuni<br />

alle falde dell’Etna (Adrano, Paternò<br />

e Biancavilla). Il secondo si estende nel<br />

Ragusano ed è rappresentato dalle culti-<br />

pagina60SPECIALE<br />

Olivicoltura da mensa in Sicilia.<br />

I numeri di un settore che cresce:<br />

la produzione isolana copre il 50%<br />

dell’intero fabbisogno nazionale<br />

ma la filiera va migliorata<br />

UN’OLIVA TIRA L’ALTRA<br />

di FELICE CRESCENTE*<br />

Olive da mensa<br />

Nocellara del Belice<br />

var nere Moresca e Tonda iblea. La terza<br />

area – decisamente la più estesa per dimensione<br />

economica, volumi di prodotti<br />

trasformati e potenzialità di sviluppo –<br />

comprende la Valle del Belice e i comuni di<br />

Castelvetrano, Campobello di Mazara e<br />

Partanna.<br />

Ancora oggi, la produzione industriale<br />

rimane concentrata in questa parte del<br />

territorio. Gli oliveti specializzati si estendono<br />

per oltre 14.000 ettari e, da qualche


anno, sono state riconosciute due Dop: la<br />

“Nocellara del Belice”, per le olive da mensa,<br />

e la “Valle del Belice”, per l’olio.<br />

La Sicilia produce annualmente 30.000<br />

tonnellate di olive da tavola con un potenziale<br />

di ben oltre mezzo milione di quintali.<br />

Oltre i due terzi del raccolto sono rappresentati<br />

dalla cultivar della Valle del Belice.<br />

La rimanente quota è costituita dalla Nocellara<br />

Etnea e da isolate produzioni a carattere<br />

artigianale, quasi sempre destinate<br />

al consumo locale.<br />

La produzione isolana rappresenta il<br />

50% dell’olivicoltura da mensa italiana.<br />

Il prodotto interno tuttavia non è sufficiente<br />

a coprire il fabbisogno delle industrie<br />

conserviere nazionali. E il ricorso al mercato<br />

estero, spagnolo e greco in particolare,<br />

risulta necessario. Un fenomeno da ritenersi<br />

legato all’uso della tecnologia e all’organizzazione<br />

del lavoro. La Spagna,<br />

ad esempio, sembra oggi capace di offrire<br />

grandi stock di prodotto anche a prezzi<br />

leggermente più alti rispetto al prodotto<br />

nazionale, garantendo sufficienti standard<br />

qualitativi. Mentre in Sicilia, per lo più, la<br />

trasformazione avviene nel rispetto delle<br />

tecniche tradizionali: olive verdi in salamoia<br />

naturale o con il metodo “sivigliano”, olive<br />

INTERVISTA<br />

a Giuseppe Curaba<br />

presidente del Distretto olivicolo<br />

delle Terre trapanesi<br />

e imprenditore del settore<br />

Incontriamo Giuseppe Curaba, titolare<br />

dell’omonimo Gruppo che da oltre un quarto di<br />

secolo opera nel settore olivicolo e che ora si sta<br />

ingrandendo. All’ingresso della palazzina<br />

direzionale di Contrada Airone, a Castelvetrano, fa<br />

bella mostra un plastico che rappresenta come<br />

sarà lo stabilimento a completamento delle opere.<br />

Senza trionfalismi, ma con moderato ottimismo,<br />

Curaba – che è anche neopresidente del Distretto<br />

olivicolo delle Terre trapanesi – illustra il complesso<br />

progetto che porterà a una lavorazione di 25.000<br />

tonnellate di olive. Inizia lui a parlare: «Si è mai<br />

chiesto come mai i grandi marchi dell’industria<br />

nazionale delle olive da tavola acquistano all’estero?<br />

Quando ho posto questa domanda ai nostri clienti,<br />

mi hanno semplicemente risposto:“In Spagna e in<br />

Grecia troviamo tutte le olive che servono e nelle<br />

tipologie richieste. Quando sarete in grado di fare la<br />

stessa cosa, saremo contenti di venir giù da voi.<br />

Anche perché, paradossalmente, il mercato<br />

internazionale – quello degli Stati Uniti in particolare<br />

– è pieno di olive tipo sicilian style, ma non sempre<br />

di origine isolana. Un problema che dovete risolvere<br />

per salvaguardare l’immagine del vostro prodotto”. Il<br />

nostro nuovo stabilimento si estenderà su un’area di<br />

circa 700.000 metri quadrati e comprenderà, oltre ai<br />

12.000 mq di strutture già realizzate, altri 42.000 mq<br />

coperti. Qui pensiamo di lavorare 25.000 tonnellate<br />

di olive Nocellara del Belice, utilizzando le tecnologie<br />

più avanzate».<br />

Con fare serafico Curaba spiega, passo dopo<br />

A trasformare<br />

il comparto<br />

contribuiranno<br />

le risorse investite<br />

da alcuni gruppi<br />

finanziari<br />

per costruire<br />

una Cittadella.<br />

Suggerimenti<br />

per fronteggiare<br />

la concorrenza<br />

della Spagna<br />

e della Grecia<br />

E IL PRODUTTORE SOGNA L’ITALIA<br />

passo, il layout del progetto. Grandi cisterne<br />

interrate da 100 quintali ciascuna serviranno allo<br />

stoccaggio del prodotto durante la raccolta.<br />

Conclusa tale fase, inizierà il processo di<br />

trasformazione delle olive nelle diverse tipologie. In<br />

particolare si produrranno le COMFIT (nere), molto<br />

apprezzate in Italia e all’estero. Ma in tutto questo –<br />

chiediamo – le aziende della Valle del Belice cosa<br />

ci guadagnano?<br />

«Quest’anno – risponde Curaba – i produttori<br />

hanno ricevuto per le olive un pagamento medio di<br />

un euro al chilo. È stato il prezzo più alto nel mese<br />

di ottobre e in tutta l’area del Mediterraneo,<br />

comprese la Spagna e la Grecia. I produttori<br />

temevano un crollo dei prezzi simile a quello<br />

verificatosi per il vino e l’ortofrutta. L’aver lavorato<br />

oltre il 70% di tutta la produzione del Belice ci ha<br />

permesso di diversificare meglio il prodotto in<br />

funzione delle richieste. Questo non è che l’inizio:<br />

la vera rivoluzione, quando saremo pronti, sarà<br />

dolcificate o nere a ossidazione naturale.<br />

In questo comparto, a differenza di ciò<br />

che avviene per altri comparti produttivi<br />

importanti per l’economia agroalimentare<br />

siciliana, sono poche le strutture capaci di<br />

affrontare in maniera organica e sistematica<br />

tutte le reali problematiche del settore:<br />

la ricerca e la sperimentazione, la trasformazione<br />

industriale nelle diverse tipologie,<br />

la qualità e la sicurezza alimentare,<br />

l’utilizzazione di tecnologie per il packaging,<br />

le innovazione di processo industriale<br />

e di prodotto.<br />

Nella valle del Belice esistono ventisette<br />

aziende specializzate nella trasformazione<br />

delle olive da tavola, molte di queste<br />

sono semplici magazzini che operano<br />

ai livelli più bassi della filiera, altre completano<br />

tutto il ciclo fino al prodotto finito per la<br />

distribuzione.<br />

Ma oggi è in atto una profonda trasformazione<br />

del comparto. Gruppi finanziari<br />

stanno investendo in Sicilia grandi risorse<br />

per la costruzione di una vera e propria Cittadella<br />

delle Olive.<br />

* Dirigente dell’Unità operativa 105 - Castelvetrano<br />

assessorato Agricoltura e Foreste<br />

soat78@regione.sicilia.it<br />

Il plastico che rappresenta come sarà lo stabilimento Curaba dopo i lavori previsti<br />

quella di incrementare la produzione direttamente<br />

negli oliveti, riducendone magari la pezzatura».<br />

Questo significa chiedere ai fornitori di non coltivare<br />

solo “le olive belle grosse”, ma anche frutti da<br />

mensa di media calibratura? «Sì – conferma<br />

Curaba –, le olive di pezzatura grossa hanno un<br />

mercato esclusivamente italiano e non si vendono<br />

in tutte le regioni. Un olivicoltore costretto a<br />

produrre solo “kolossal” non è nelle condizioni di<br />

reggere agli alti costi. Il modello che vogliamo<br />

proporre ai nostri fornitori è basato, come dicevo,<br />

sull’aumento delle rese di olive per ettaro. Strategia<br />

necessarie se si vuole diventare competitivi in Italia<br />

e all’estero. L’aumento della produttività degli<br />

oliveti, da un lato, migliorerà la redditività marginale<br />

delle aziende e, dall’altro, ci consentirà di<br />

trasformarci in un vero e proprio distretto<br />

agroalimentare. A questo proposito vogliamo<br />

sollecitare tutti gli attori del comparto affinché si<br />

attivino per una proficua collaborazione». [f.cr.]<br />

pagina61SPECIALE


Ci si può fidare ad occhi chiusi, è proprio<br />

il caso di dirlo. L’olio extravergine<br />

d’oliva siciliano non teme confronti sotto<br />

l’aspetto qualitativo, e ha le carte in regola<br />

per replicare i successi commerciali<br />

del vino siciliano.<br />

Abbiamo fatto un lungo viaggio attraverso<br />

la Sicilia dei frantoi, dei produttori e confezionatori<br />

dell’extravergine di oliva, incontrando<br />

numerosi operatori del settore, dall’Etna<br />

alle valli Trapanesi e al Val di Mazara,<br />

passando per i monti Iblei e i monti Sicani,<br />

trovando ovunque un comune denominatore:<br />

la grande passione unita all’orgoglio<br />

derivante dalla consapevolezza di<br />

realizzare un prodotto eccellente. È stato<br />

emozionante parlare con alcuni di loro,<br />

quasi come discutere di poesia con un<br />

poeta o di arte con un pittore. Non si tratta<br />

di freddi uomini di azienda che fanno i conti<br />

solamente dal punto di vista economico,<br />

ma di persone che – pur nel rispetto delle<br />

rigide norme previste dai disciplinari di produzione<br />

– dentro la bottiglia, oltre all’olio,<br />

mettono cuore e sensibilità. Dalle parole di<br />

questi artisti della produzione – Perrone di<br />

Sciacca, il principe Paternò Castello di Catania<br />

o Mauceri di Ispica, solo per citarne<br />

alcuni – trapela la consapevolezza che il<br />

loro olio non è un semplice condimento,<br />

ma l’ambasciatore di un territorio ricco di<br />

storia, cultura e tradizioni gastronomiche.<br />

Ma se l’eccellenza dell’extravergine siciliano<br />

non è in discussione, più critica è la situazione<br />

delle aziende produttrici. Dai dati<br />

relativi al sistema olivicolo siciliano risulta<br />

che esso può contare su una superficie<br />

coltivata di circa 138 mila ettari, suddivisa<br />

tra quasi 200 mila imprese. È presente,<br />

dunque, una grande frammentazione, che<br />

impedisce alle ditte più piccole di realizzare<br />

le economie di scala necessarie a far<br />

crescere la loro competitività sul mercato.<br />

In queste aziende, di modeste dimensio-<br />

pagina62SPECIALE<br />

Viaggio nella Sicilia dei frantoi<br />

Qualità e passione in primo piano<br />

ma anche difficoltà dei piccoli<br />

produttori, che restano poco<br />

competitivi sul fronte dei prezzi<br />

OLIO D’ARTISTA<br />

di CARMELO PAGANO<br />

i quaderni di<br />

terrà<br />

Q<br />

Alcune aziende<br />

sono riuscite<br />

a ritagliarsi<br />

una nicchia<br />

di mercato<br />

puntando<br />

sull’eccellenza<br />

dei loro<br />

extravergini<br />

e sul rapporto<br />

diretto con<br />

i consumatori<br />

ni, si riscontrano spesso inefficienze produttive<br />

dovute all’assenza di investimenti<br />

per l’ammodernamento e per la meccanizzazione,<br />

con conseguenti elevati costi<br />

di produzione e quindi del prodotto finito.<br />

Mentre diventa sempre più agguerrita la<br />

concorrenza degli oli vergini ed extravergini<br />

di dubbia provenienza, che – se pur<br />

convenienti dal punto di vista dei prezzi –<br />

non offrono alcuna garanzia in termini di<br />

qualità e sicurezza. Tutto ciò disorienta il<br />

consumatore e svantaggia i piccoli oleifici<br />

siciliani.<br />

Dall’altro lato, alcune aziende isolane sono<br />

riuscite a crearsi un mercato diretto, unendo<br />

all’eccellenza del prodotto la conoscenza<br />

del consumatore, un valore importante<br />

che le imprese di grandi dimensione faticano<br />

a realizzare. È proprio questa la marcia<br />

in più che può dare un giusto riconoscimento<br />

a certi tipi di produzioni rivolte a un<br />

pubblico attento ed esigente, disposto a<br />

spendere un po’ di più per avere un prodotto<br />

genuino e di sicura provenienza.<br />

Tra i limiti di molte aziende c’è anche la<br />

difficoltà a investire nella promozione,<br />

divulgazione e commercializzazione del<br />

prodotto. In questo settore tanto hanno<br />

fatto e fanno le associazioni e i consorzi,<br />

anche con l’aiuto della pubblica amministrazione,<br />

che si è posta come obiettivo la<br />

valorizzazione istituzionale del sistema.<br />

Spesso però ci si scontra con il forte individualismo<br />

degli operatori, tanto che a volte i<br />

consorzi di tutela invece di puntare su un<br />

unico marchio promuovono quelli dei singoli<br />

associati, i quali preferiscono presentarsi<br />

sul mercato con la propria etichetta,<br />

incuranti della confusione che ne deriva.<br />

Un peccato per l’olio siciliano che – indubbiamente<br />

forte sul piano della qualità – meriterebbe<br />

davvero uno sforzo comune per<br />

rafforzare la sua immagine e la sua competitività<br />

sul mercato.


Finito di stampare per conto<br />

dell’assessorato Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />

nel mese di marzo 2006 dalle Officine Grafiche Riunite<br />

via Prospero Favier, 10 - 90100 Palermo

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