Q - Terrà
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i quaderni di<br />
terrà<br />
Q
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Tra gli appunti di molti viaggiatori si legge spesso lo stesso commento: «Per essere amata, la Sicilia dev’essere<br />
visitata e vissuta». Ed è proprio vero, perché nell’Isola del mare e del vulcano, ma anche dell’entroterra<br />
imprevedibile, si fondono in un tutt’uno i quattro elementi empedoclei: aria, acqua, terra e fuoco.<br />
Difficile impresa, allora, affidare tutta la complessità di cui siamo capaci alle poche pagine di una rivista.<br />
Tuttavia ci proviamo lo stesso, consapevoli dell’approssimazione cui andiamo incontro, ma con il desiderio<br />
di mostrare almeno uno dei tanti volti della Sicilia.<br />
Da un anno la nostra voce si chiama <strong>Terrà</strong>, il bimestrale che pubblichiamo come assessorato regionale<br />
Agricoltura e Foreste.<br />
Oggi ci presentiamo ai lettori con uno Speciale. Come dire che, dopo sette cartoline, per una volta scriviamo<br />
una lettera. I Quaderni di <strong>Terrà</strong> rappresentano un focus su due settori, fra i tanti, caratteristici della<br />
Sicilia agricola: la viticoltura e l’olivicoltura.<br />
Una scelta non casuale, a dire il vero, ma determinata dalla nostra presenza, tra il 6 e il 10 aprile, a Vinitaly<br />
e Sol, le due fiere veronesi dedicate rispettivamente all’enologia e agli oli. Abbiamo pensato, infatti,<br />
che la pubblicazione di un volume ad hoc fosse un buon modo per accompagnare le migliori aziende isolane<br />
nell’annuale confronto con le colleghe europee. Ci sembrava giusto raccontare al pubblico, attraverso<br />
una apposita pubblicazione, il contesto in cui nascono le nostre produzioni di punta.<br />
E allora affidiamo ai lettori un’ampia riflessione presentata in una raffinata veste grafica, in cui le fotografie<br />
giocano un ruolo determinante, come accompagnatrici per l’immaginazione. I Quaderni regalano un<br />
omaggio ai produttori siciliani. Affidano un ricordo ai tanti che conoscono l’Isola. Rivolgono un invito a visitarci<br />
a tutti i viaggiatori ancora scettici.<br />
Concentrandoci sul vino e sull’olio, del resto, parliamo ovviamente anche del turismo. Non il turismo di<br />
massa, che si concentra lungo le coste e che, spesso, si accontenta del “mordi e fuggi”. Chiediamo l’attenzione<br />
di quanti sentono il viaggio come possibilità di scoperta, spinti dalla curiosità di confrontarsi con<br />
il caleidoscopio di differenze che animano la Sicilia.<br />
Per questa ragione, una sezione dei Quaderni è dedicata alle undici Strade e rotte del vino siciliane, che<br />
rappresentano il luogo di raccordo del turismo enogastronomico. E abbiamo il piacere di annunciare che,<br />
molto presto, partirà un progetto simile dedicato alle varietà di olio.<br />
Sono convinto, del resto, che sorbire un bicchiere di buon vino o assaporare il nostro pane e olio aiutino<br />
ad aprire una finestra sull’identità dell’Isola.<br />
Innocenzo Leontini assessore all’Agricoltura e Foreste della Regione siciliana
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
DIRETTORE EDITORIALE Innocenzo Leontini<br />
DIRETTORE SCIENTIFICO Dario Cartabellotta<br />
DIRETTORE RESPONSABILE Stefania Sgarlata<br />
REDAZIONE E COORDINAMENTO Marina Di Leo<br />
COLLABORAZIONI REDAZIONALI Alessia Di Grigoli,<br />
Daniela Gambino, Simona Licandro, Valentina Madonia<br />
FOTOGRAFIE Luigi Nifosì, Alessandro Nigro<br />
IMPAGINAZIONE Giusi Adelfio<br />
COLLABORAZIONE TECNICA Carlo Cottone<br />
AMMINISTRAZIONE Enrico Fuggetta, Francesca Massaro<br />
SEGRETERIA Severino Moschetti<br />
i quaderni di terrà © numero 1<br />
editi dall’assessorato Agricoltura e Foreste<br />
della Regione siciliana<br />
Dipartimento Interventi strutturali<br />
Servizio IX - Servizi allo Sviluppo<br />
Chiuso in redazione il 9 marzo 2006<br />
Testi e illustrazioni del Quaderno potranno essere utilizzati previo consenso<br />
e citando la fonte. <strong>Terrà</strong> si dichiara disponibile a regolare eventuali pendenze<br />
relative a fotografie i cui detentori dei diritti non sia stato possibile reperire.<br />
Il contenuto dei testi non esprime necessariamente la posizione dell’Assessorato.<br />
Redazione: via Lo Bianco, 1 - 90144 Palermo<br />
tel. 0916702100 - fax 091525893<br />
terra.direzione@regione.sicilia.it<br />
terra.redazione@regione.sicilia.it<br />
terra.progetto@regione.sicilia.it<br />
terra.distribuzione@regione.sicilia.it
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
3 PRESENTAZIONE Innocenzo Leontini<br />
VINO<br />
6 MESSAGGIO IN BOTTIGLIA Nino Panicola<br />
10 COME SALVARE LA VITE Giuseppe Spartà<br />
13 SELEZIONE CLONALE, LUCI E OMBRE Daniela Bica e Dario Cartabellotta<br />
16 IL LIEVITO FA BUON VINO Giacomo Ansaldi<br />
18 RITORNO AL FUTURO MADE IN SICILY Giuseppe Spartà e Eugenio De Vita<br />
20 LE MILLE E UNA BOTTE Andrea Zanfi<br />
22 UN BRINDISI AL NETWORK Pietro Miosi<br />
24 LE TRE T DEL SUCCESSO Valentina Madonia<br />
LE STRADE E LE ROTTE DEL VINO<br />
26 IL VINO SICILIANO FA STRADA Dario Di Bernardi<br />
29 SI VINCE ANDANDO “A RETE” Antonella Artista<br />
30 ISTITUIRE NON BASTA Giuseppe Bursi e Claudia Di Maio<br />
32 GLI ITINERARI<br />
L’ULIVO E L’OLIO<br />
44 L’ULIVO COME METAFORA Margherita Caracappa<br />
46 I NUMERI DEI PATRIARCHI VERDI Rosario Schicchi<br />
48 INNOVARE PER CRESCERE Antonio Cimato<br />
50 IL SEGRETO DELLA CHIOMA PIATTA Tiziano Caruso<br />
53 SARÀ MINUTA, MA È GRANDE Pippo Ricciardo<br />
54 ECCO IL FRITTO D’AROMI Dino Catagnano<br />
57 UNA DOP DAVVERO VULCANICA Giuseppe Pennino<br />
58 UN SAPORE IRRINUNCIABILE Ciccio Sultano<br />
60 UN’OLIVA TIRA L’ALTRA Felice Crescente<br />
62 OLIO D’ARTISTA Carmelo Pagano
«Il vino parla. Lo sanno tutti. […]<br />
È ventriloquo. Ha un milione<br />
di voci. Scioglie la lingua, svela<br />
segreti che non avresti mai voluto<br />
raccontare, segreti che non sapevi<br />
nemmeno di conoscere.<br />
Grida, declama, sussurra.<br />
Racconta grandi cose, progetti<br />
meravigliosi, amori tragici<br />
e tradimenti terribili.<br />
Ride a crepapelle.<br />
Soffoca piano una risata fra sé».<br />
Joanne Harris
Le alterne vicende di mercato che si riferiscono<br />
ai vini made in Sicily ci comunicano<br />
quanto segue: la piattaforma ampelografica<br />
regionale è attualmente di circa<br />
117.000 ettari, a cui bisogna aggiungerne<br />
circa 22.000 in portafoglio e altri 1.620 di<br />
nuovi impianti in corso di assegnazione.<br />
Traduzione del dato: in Sicilia l’imprenditore<br />
agricolo “crede” ancora nella vite e investe<br />
in questo settore. La produzione d’uva<br />
complessiva è quantificabile in circa 9 milioni<br />
di quintali, dai quali si ottengono circa<br />
5 milioni e mezzo di ettolitri di vino (oltre 10<br />
milioni negli anni Ottanta) e quasi un milione<br />
e mezzo di ettolitri di mosto. Il concetto<br />
è chiaro: la produzione in vino è decisamente<br />
dimezzata rispetto a un decennio<br />
addietro. Il 66% delle uve è a bacca bianca,<br />
mentre il 34% è nera, e la lettura di<br />
questo dato fa capire che si sta abbandonando<br />
l’allevamento di uve bianche, tipo<br />
trebbiano e catarratto, mentre si investe<br />
sempre di più in nuovi impianti di uve nere,<br />
autoctone e alloctone.<br />
La produzione di vini Doc continua a rimanere<br />
assai limitata, quasi 200.000 ettolitri.<br />
Anche questo dato ha una sua chiave di<br />
lettura: è molto più facile vendere il vino<br />
con la Indicazione geografica tipica “Sicilia”,<br />
ormai apprezzata dal consumatore,<br />
piuttosto che nobilitare il prodotto con una<br />
Denominazione di origine controllata che<br />
non fa intendere chiaramente la sua provenienza<br />
siciliana.<br />
Decisamente sconfortanti le cifre relative<br />
alle esportazioni di masse vinose sfuse,<br />
solo 440.000 ettolitri (alla fine degli anni<br />
Novanta il dato era di oltre 1,2 milioni di ettolitri).<br />
Anche in questo caso occorre rilevare<br />
le problematiche internazionali che hanno<br />
prodotto una simile débâcle: la concorrenza<br />
della Spagna e delle nazioni sudamericane<br />
innanzitutto. Con prezzi decisamente<br />
più competitivi rispetto ai vini siciliani<br />
questi paesi di lingua spagnola hanno<br />
letteralmente conquistato in un decennio<br />
un mercato che era quasi totalmente siciliano.<br />
Impossibile cercare di reagire in termini<br />
di leale concorrenza, vista la scarsa, o<br />
inesistente, tutela della manodopera locale<br />
di questi paesi, unitamente a una moderna<br />
visione della viticoltura (leggi estrema meccanizzazione)<br />
e dell’enologia moderna.<br />
Occorre aggiungere un dato assai interessante,<br />
molto spesso poco considerato:<br />
la media vitata di ogni singolo produttore<br />
nostrano è di circa 1,3 ettari,<br />
Nonostante le difficoltà dell’ultimo<br />
biennio, il vino siciliano fattura<br />
800 milioni di euro l’anno e impiega<br />
30.000 addetti. Trend positivo pure<br />
nell’esportazione in Usa e Germania<br />
MESSAGGIO IN BOTTIGLIA<br />
di NINO PANICOLA<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Per fronteggiare<br />
la concorrenza<br />
internazionale<br />
occorre ridurre<br />
i costi di gestione<br />
e investire nella<br />
meccanizzazione.<br />
Le istituzioni<br />
dovrebbero aiutare<br />
le cantine sociali<br />
a portare sul mercato<br />
le loro produzioni<br />
contro i 7 della Francia e i ben 300 dell’Australia,<br />
dell’Argentina e del Cile. In pratica i<br />
ridotti costi di gestione sono un vero atout<br />
in mano alla concorrenza. Si aggiunga che<br />
in Sicilia per ogni ettaro di vigneto sono necessarie<br />
400 ore di lavoro da parte degli<br />
addetti, tempi che la meccanizzazione potrebbe<br />
addirittura dimezzare.<br />
Le aziende che producono vini confezionati<br />
sono oggi circa 400, tra cui 50<br />
cantine sociali. Mi piace soffermarmi sulle<br />
cantine sociali per valutare un altro dato:<br />
ancora oggi il 75% della produzione regionale<br />
è ammassata presso le cantine sociali.<br />
In parole povere, le strutture cooperativistiche<br />
continuano a far la parte del leone<br />
nei confronti dell’imprenditore agricolo che<br />
conferisce le proprie uve presso le cantine<br />
di cui è socio. Ma la stragrande parte delle<br />
cantine sociali soffre di problemi relativi alla<br />
commercializzazione: detto in soldoni,<br />
non sanno collocare bene sui mercati né i<br />
vini sfusi, né i loro prodotti confezionati.<br />
Questo problema non è recente, tanto che<br />
nel lontano 1987, all’inaugurazione del Vinitaly,<br />
l’allora assessore regionale dell’Agricoltura,<br />
all’unisono col ministro dell’Agricoltura,<br />
invitò i presidenti e i consiglieri di amministrazione<br />
delle cantine sociali presenti<br />
(all’epoca almeno 150 aziende) a organizzarsi<br />
per la vendita di vini confezionati, sottolineando<br />
che gli aiuti dell’Unione europea<br />
non sarebbero stati eterni. Orbene, a vent’anni<br />
da quel giorno, l’invito è sempre attuale.<br />
Ma forse sarà opportuno che le istituzioni<br />
realizzino le condizioni per collaborare<br />
di più e meglio con le cantine sociali,<br />
vista l’incapacità dimostrata da queste ultime<br />
nell’affrontare le normali problematiche<br />
commerciali. A mio avviso le istituzioni potrebbero<br />
anche prevedere una compartecipazione<br />
ai costi relativi all’inserimento in<br />
organico delle cantine cooperative della figura<br />
di un responsabile commerciale, magari<br />
creando un albo di consulenti per questo<br />
settore.<br />
Ritorno al dato delle aziende vinicole<br />
private, ormai un punto di forza della<br />
nostra economia: dicevamo ben 400 cantine<br />
e tante altre in fase di realizzazione.<br />
Ogni cantina è un vero riferimento di produzione<br />
qualitativa territoriale, con una<br />
produzione vinicola di elevato livello viticolo<br />
ed enologico. Anche in questo segmento<br />
la buona volontà sembra tanta, ma le<br />
idee chiare poche. Franco Picone – titolare<br />
dell’omonima enoteca di Palermo e depo-<br />
pagina7 SPECIALE
sitario regionale del prestigioso circuito internazionale<br />
di esercizi che prende il nome<br />
di Vinarius – sostiene che dietro la porta<br />
della sua enoteca c’è ogni giorno un nuovo<br />
produttore pronto a consegnargli una campionatura<br />
di vini pregandolo di degustarli e<br />
di valutarli opportunamente per procedere<br />
alla successiva consistente fornitura. «In<br />
mezzo ai vini proposti – aggiunge Picone<br />
sconsolato – c’è quasi sempre un vino da<br />
10 euro e oltre. Inutile spiegare a questi<br />
produttori che una bottiglia di 12 euro, viene<br />
ricaricata normalmente del 30% e arriva<br />
sugli scaffali a 15-16 euro, entrando così in<br />
competizione con altri vini assai più famosi,<br />
premiati nelle guide e nei concorsi, quindi<br />
più ricercati».<br />
Le conclusioni sono facili da tirare. Altri<br />
enotecari, presenti nelle aree commerciali<br />
di Milano, riferiscono che il vino siciliano<br />
più gettonato è il Nero d’Avola in generale,<br />
ma molte richieste riguardano i vini premiati<br />
nelle principali guide nazionali. E quando<br />
si parla di guide, sia chiaro che il riferimento<br />
è quasi esclusivamente a Gambero<br />
Rosso e Luca Maroni.<br />
Un’altra curiosità: buona parte delle cantine<br />
private realizzate recentemente sono<br />
di proprietà di benestanti professionisti<br />
e possidenti. Fin qui nulla di strano,<br />
ma alcuni tra costoro sono convinti di<br />
poter gestire l’attività della propria cantina<br />
come hobby, nei ritagli di tempo o affidandone<br />
le sorti a parenti prossimi che<br />
magari non sono proprio dei veri esperti.<br />
I risultati (decisamente negativi) non<br />
tardano a giungere. Qualche altro imprenditore<br />
ha realizzato un vero e proprio<br />
investimento immobiliare approfittando<br />
delle agevolazioni previste da alcune<br />
leggi (488, Patti Territoriali, etc.), ma non<br />
ha capito che per arrivare a fatturare cifre<br />
di una certa entità c’è bisogno non solo di<br />
un enologo capace e responsabile (non<br />
necessariamente il grande nome nazionale<br />
da retribuire con compensi inusitati), ma<br />
anche di maestranze specializzate, di impiegati<br />
e, soprattutto, di esperti in marketing<br />
e in commerciale.<br />
I dati esposti dimostrano le potenzialità<br />
del vino siciliano, ma anche le problematiche<br />
che ne rallentano l’affermazione sui<br />
mercati. Malgrado questi freni alle vendite,<br />
l’Isola vinicola fattura qualcosa come 800<br />
milioni di euro l’anno, con ben 30.000 addetti;<br />
e l’incremento occupazionale è assai<br />
confortante, misurabile nel 20%. La crisi di<br />
questi ultimi due anni non ha, ahimé, favorito<br />
l’esportazione, ma sembra che la congiuntura<br />
sia già stata superata: tedeschi e<br />
americani hanno ricominciato a bere vini siciliani<br />
con un trend positivo entusiasmante.<br />
Consigli strategici<br />
Qual è la strategia da seguire per i prossimi<br />
anni? Le cantine sociali dovranno<br />
dotarsi di agronomi ed enologi preparati,<br />
rivolgendosi eventualmente anche a<br />
consulenti esterni: un bravo tecnico oggi<br />
è in condizione di controllare la qualità in<br />
pagina8 SPECIALE<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
tutto il ciclo produttivo, suggerendo ai soci<br />
le uve più interessanti da allevare, valutando<br />
i giusti tempi di maturazione e di vendemmia.<br />
Ma non basta, la cantina deve<br />
dotarsi anche di un esperto commerciale<br />
che possa a medio termine introdurre i vini<br />
confezionati sui mercati e nella grande distribuzione<br />
organizzata.<br />
I privati, invece, dovranno puntare su qualità<br />
estrema in cantina, marketing, pubbliche<br />
relazioni e oculate partecipazioni a fiere.<br />
Chi vuol fare l’imprenditore vinicolo deve<br />
aver sempre presente il vero traguardo<br />
da raggiungere, cioè che i suoi vini siano richiesti<br />
dal consumatore. Occorre quindi<br />
studiare strategie di marketing, selezionare<br />
agenti e distributori, curare l’immagine e il<br />
packaging, cercare di proporre vini con un<br />
buon rapporto qualità-prezzo, non pensare<br />
che necessariamente nella propria azienda<br />
vinicola si debbano produrre capolavori<br />
inestimabili da collezionare e/o vini d’autore<br />
da proporre alle aste Christie’s.<br />
Un altro invito alle cantine sociali e alle<br />
aziende vitivinicole private: non dimenticate<br />
le sperimentazioni viticole ed enologiche.<br />
E ancora, siate aperti alle innovazioni<br />
tecnologiche, partecipate a convegni,<br />
tavole rotonde e seminari. Cercate di<br />
mantenere buoni rapporti con la stampa<br />
di settore e non, invitate spesso qualche<br />
giornalista a visitare la vostra cantina.<br />
Le istituzioni, da parte loro, dovranno essere<br />
più presenti soprattutto in ambito<br />
comunitario per tutelare i propri interessi,<br />
piuttosto che pensare di lenire le ferite<br />
del comparto a causa delle ineluttabili<br />
leggi di mercato che favoriscono chi<br />
vende a basso prezzo. Meglio prevenire…<br />
A questo impegno di sapore squisitamente<br />
politico, abbinerei una maggiore presenza<br />
nelle piazze fieristiche internazionali. A mio<br />
avviso è il momento di presentare in tutte<br />
le principali vetrine-mercato del mondo i vini<br />
siciliani di oggi, organoletticamente in linea<br />
coi desideri dei consumatori, tecnicamente<br />
sempre più perfetti, e con un rapporto<br />
qualità-prezzo soddisfacente. Grazie<br />
all’eccellente lavoro di sperimentazione sui<br />
campi e in cantina, oltre che con la partecipazione<br />
alle fiere, anche l’Istituto regionale<br />
della Vite e del Vino ha permesso alla Sicilia<br />
vinicola di essere finalmente competitiva.<br />
Bisogna continuare a investire in questa<br />
direzione, specie ora che il volano della<br />
qualità si è finalmente avviato e che il<br />
comparto vitivinicolo sembra destinato a<br />
un futuro importante.<br />
Il leader Nero d’Avola<br />
Si è consolidata una preferenza considerevole<br />
da parte del consumatore verso<br />
i vini siciliani ottenuti da uve autoctone:<br />
tra i rossi, il ruolo di leader spetta al<br />
Nero d’Avola. Secondo dati recenti, oggi<br />
questa uva a bacca nera è il secondo vitigno<br />
allevato in Sicilia, con 17.500 ettari<br />
(14,9% sulla base regionale). Al primo posto<br />
c’è il Catarratto, uva bianca, che è in testa<br />
con il 36,6 %.
||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />
Una serra per tutte le stagioni<br />
Sempre più frequentemente<br />
l’uva da tavola viene coltivata<br />
all’interno delle serre<br />
dove però, durante l’estate,<br />
le stagioni intermedie<br />
e persino nelle belle giornate<br />
invernali, si raggiungono<br />
forti umidità ed eccessive<br />
temperature.<br />
Questo grave inconveniente viene adesso evitato<br />
con l’apertura totale del tetto della serra messa a<br />
Il Nero d’Avola, detto anche Calabrese, è il<br />
vitigno che è maggiormente piaciuto a tutti,<br />
imprenditori del Nord e consumatori in testa,<br />
e in effetti si tratta di un vino notevole<br />
con caratteristiche organolettiche di grande<br />
rilievo. Contrariamente ad altri vitigni facilmente<br />
“esportabili” nelle varie zone d’Italia<br />
e del mondo, il Nero d’Avola esprime il suo<br />
massimo quando viene allevato nella struggente<br />
meteorologia mediterranea siciliana.<br />
Oggi con le uve Nero d’Avola si realizza almeno<br />
una decina di prodotti con caratteristiche<br />
differenti, da vini monovarietali a<br />
blend vari, a vini barricati, novelli, rosati,<br />
perfino passiti e liquorosi, Marsala (ruby),<br />
etc. Il Nero d’Avola, inoltre, è il vitigno base<br />
nella composizione del Cerasuolo di Vittoria,<br />
il primo vino Docg della Sicilia.<br />
punto dal Consorzio di ricerca Ites.<br />
Una versione della serra particolarmente indicata<br />
per l’uva da tavola e, nel Nord Italia, anche per<br />
l’olivo ornamentale è quella che permette di scoprire<br />
il film mantenendo la protezione dalla grandine, dai<br />
vettori dei virus e dall’eccessiva insolazione.<br />
Per ciascuna metà del tetto, il film, avvolto in un<br />
tubo posto al colmo, viene collegato alla rete<br />
antigrandine (o antiafide o ombreggiante) avvolta in<br />
un altro tubo posto alla gronda. La rotazione dei<br />
due tubi in un senso avvolge la rete alla gronda<br />
tirando il film che, svolgendosi dal suo rullo, si<br />
chiude per proteggere la serra dal freddo e dalla<br />
pioggia. La rotazione in senso opposto scopre la<br />
Un momento<br />
della vendemmia<br />
Nel disegno,<br />
la serra<br />
a scopertura<br />
totale messa<br />
a punto<br />
dal Consorzio Ites<br />
serra dal film, che viene sostituito dalla rete per<br />
mantenere la protezione. Durante l’estate il film<br />
avvolto resta al riparo dai raggi ultravioletti.<br />
L’innovazione può essere realizzata in tutte le<br />
dimensioni, numero di navate, passo tra gli archi<br />
oggi in commercio. Può essere anche<br />
applicata alle serre esistenti. La serra al momento<br />
viene prodotta in Toscana e in Lazio.<br />
[Orazio Scrofani]<br />
Film<br />
Rete antigrandine<br />
Da quanto esposto non è difficile affermare<br />
che il Nero d’Avola sia un vino tra i più<br />
trendy sul mercato. Quello che non si detto<br />
abbastanza è che le ricerche scientifiche,<br />
portate avanti ormai da diversi anni<br />
dai massimi scienziati del globo, dimostrano<br />
che i vini siciliani hanno il massimo contenuto<br />
di resveratrolo finora riscontrato. Il<br />
resveratrolo, presente nelle bucce dell’uva<br />
e con maggiore quantità nelle nere, svolge<br />
un ruolo di primissimo piano nella prevenzione<br />
delle malattie cardiovascolari e tumorali.<br />
È una notizia importante, da non tenere<br />
certo riservata. Forse, se finora non le<br />
è stato dato il giusto risalto, è anche perché<br />
la concorrenza teme che potrebbe indirizzare<br />
le scelte dei consumatori verso i vini<br />
siciliani.<br />
pagina9 SPECIALE
COME SALVARE LA VITE<br />
Selezione clonale, recupero e conservazione<br />
della biodiversità: queste le parole<br />
chiave del progetto di “Valorizzazione<br />
dei vitigni autoctoni siciliani”, che<br />
i Servizi allo Sviluppo dell’assessorato<br />
Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />
hanno avviato in collaborazione con istituzioni<br />
di ricerca tra le più qualificate del<br />
settore a livello nazionale: le Università di<br />
Milano, di Palermo e della Basilicata, il Cra<br />
di Roma, l’Enosis e il Coribia (Consorzio<br />
sul rischio biologico in agricoltura).<br />
Con queste partnership nei prossimi anni è<br />
previsto il recupero e la valorizzazione dei<br />
vitigni autoctoni siciliani in termini di utilizzazione<br />
viticola, enologica e commerciale,<br />
ma anche lo studio e la valutazione della risposta<br />
agronomica, enologica e qualitativa<br />
dei vitigni in relazione al terroir e l’ottenimento<br />
di cloni di vitigni autoctoni omologati,<br />
nonché la loro iscrizione nelle liste delle<br />
varietà autorizzate.<br />
Uno dei capisaldi del progetto è il miglioramento<br />
genetico mediante selezione<br />
clonale delle varietà che mostrano la<br />
presenza di numerosi biotipi. Questo<br />
programma, condotto per i due gruppi di vitigni<br />
costituiti dalle varietà di interesse regionale<br />
e da quelle di interesse locale, prevede<br />
l’identificazione di diversi “presunti<br />
cloni” per ciascun vitigno in esame, la loro<br />
collocazione in vigneti sperimentali (i campi<br />
di confronto e omologazione per il progetto<br />
si trovano a Marsala, in contrada Biesina,<br />
e a Ragusa, in contrada Canicarao) e<br />
le successive indagini agronomiche ed<br />
enologiche, indispensabili all’adempimento<br />
delle normative che regolano l’attività di selezione<br />
clonale in Italia. Per tale attività, nel<br />
pagina10SPECIALE<br />
L’assessorato regionale Agricoltura<br />
insieme a importanti istituti<br />
di ricerca porta avanti un progetto<br />
per recuperare e valorizzare<br />
il tesoro di vitigni autoctoni siciliani<br />
di GIUSEPPE SPARTÀ*<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Il miglioramento<br />
genetico e la selezione<br />
sanitaria rientrano<br />
negli obiettivi<br />
principali<br />
del programma<br />
I presunti cloni<br />
devono prima<br />
superare i test virali<br />
periodo 2003-2005 è stato possibile effettuare<br />
una intensa ricognizione sul patrimonio<br />
ampelografico dell’Isola che ha portato<br />
alla individuazione di oltre 3.500 ceppi.<br />
Altro aspetto riguarda il recupero e la conservazione<br />
della biodiversità della piattaforma<br />
ampelografica siciliana. Numerose<br />
notizie storiche fanno emergere chiaramente<br />
come il patrimonio di vitigni autoctoni<br />
siciliani sia molto più ricco di quello<br />
che oggi conosciamo. L’attività condotta finora<br />
ha portato alla segnalazione di oltre<br />
140 piante in rappresentanza di 46 vitigni<br />
antichi.<br />
Strettamente connessa alla selezione genetica<br />
è la selezione sanitaria. Le piante<br />
precedentemente individuate dai tecnici<br />
dei Servizi allo Sviluppo sono state sottoposte<br />
a controllo visivo da parte dei ricercatori<br />
del Cra di Roma al fine di distinguere<br />
le piante con assenza di sintomatologie<br />
di origine virale. Su queste sono state effettuate<br />
analisi sierologiche (ELISA), molecolari<br />
(RT-PCR) e saggi su indicatori biologici necessari<br />
a garantire l’assenza dei principali<br />
agenti virali e virus simili. A seguito delle<br />
analisi ELISA e PCR sono risultate negative<br />
novanta piante tra quelle complessivamente<br />
individuate. Per i “presunti cloni” validi<br />
dal punto di vista agronomico ed enologico,<br />
e risultati sanitariamente idonei, sarà<br />
fatta richiesta di omologazione. Nel prosieguo<br />
del progetto, per le varietà di cui non è<br />
possibile reperire materiale sanitariamente<br />
valido è previsto il risanamento dei “presunti<br />
cloni” che presentano buone caratteristiche<br />
agronomiche ed enologiche ricorrendo<br />
a tecniche come la termoterapia in vivo<br />
e la coltura d’apice.
Piante rilevate nel periodo 2003-2005<br />
Vitigni autoctoni<br />
Regionali<br />
Locali<br />
Antichi<br />
Totale<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Numero<br />
7<br />
12<br />
46<br />
65<br />
Piante individuate<br />
2638<br />
886<br />
143<br />
3667<br />
pagina11SPECIALE
La caratterizzazione enologica delle varietà<br />
autoctone si basa sullo studio della<br />
composizione varietale delle uve, con<br />
esecuzione di microvinificazioni, e sullo studio<br />
dell’influenza delle caratteristiche ambientali<br />
e colturali sulla sintesi dei metaboliti<br />
primari e secondari delle varietà autoctone<br />
e dei biotipi individuati. Gli studi saranno<br />
effettuati nel laboratorio di controllo e ricerca<br />
appositamente realizzato, previa definizione<br />
di protocolli enologici destinati a esaltare<br />
il livello qualitativo dei vini siciliani prodotti<br />
con uve autoctone. Il laboratorio sarà<br />
dotato di strumentazione analitica avanzata,<br />
utilizzabile anche per ricerche nel campo<br />
della sicurezza alimentare, e comprenderà<br />
una sezione di analisi molecolari indispensabile<br />
sia per le ricerche sulle influenze<br />
ambientali sia per la caratterizzazione di<br />
lieviti, batteri enologici ed eventuali altri<br />
agenti che interessano la vite e il vino.<br />
Il materiale di propagazione selezionato<br />
“base” e “certificato”, di elevato potenziale<br />
qualitativo e con adeguato stato sanitario,<br />
omologato e iscritto nel Registro nazionale<br />
delle varietà di vite, potrà essere così offerto<br />
rispettivamente ai vivaisti e ai viticoltori.<br />
Nell’ambito del progetto, il Vivaio governativo<br />
“Federico Paulsen” curerà la conservazione<br />
in purezza genetica e sanitaria del<br />
materiale omologato. Provvederà inoltre<br />
alla premoltiplicazione dei cloni meritevoli<br />
di diffusione, da cui poi produrre materiale<br />
di base da destinare ai vivaisti.<br />
Il progetto prevede inoltre studi e ricerche<br />
sui microrganismi autoctoni dei vitigni siciliani,<br />
poiché è ampiamente dimostrato<br />
che ceppi differenti di lieviti vinari, metabolizzando<br />
i costituenti del succo d’uva, producono<br />
numerosi composti volatili in grado<br />
di influenzare l’aroma e il flavour di un vino<br />
in maniera significativa. In questo contesto<br />
la selezione di ceppi di lievito starter in grado<br />
di dominare la fermentazione è diventata<br />
la chiave di lettura della moderna vinificazione.<br />
Il progetto si occuperà della caratterizzazione<br />
di lieviti naturali dell’uva della<br />
specie vinaria più importante, Saccharomyces<br />
cerevisiae, focalizzando l’interesse<br />
su due dei più importanti vitigni siciliani, il<br />
Nero d’Avola e l’Inzolia.<br />
Elemento di grande attualità è lo studio degli<br />
effetti salutistici e della sicurezza alimentare<br />
dei vini siciliani. In dettaglio saranno<br />
valutati gli effetti terapeutici e antitumorali<br />
del transresveratrolo e di composti a<br />
struttura stilbenica, la loro concentrazione<br />
nelle uve autoctone siciliane e la correlazione<br />
tra il loro contenuto e alcune variabili<br />
quali l’ambiente di coltivazione, le pratiche<br />
colturali del vigneto, i metodi di produzione<br />
del vino e i fattori genetici rappresentati<br />
dal vitigno.<br />
È stata prevista infine una precisa strategia<br />
comunicativa che, giocando intorno al<br />
concetto di verità, ha visto il lancio del progetto<br />
Vinum Verum.<br />
«Vinum Verum – sostiene Andrea Zanfi,<br />
consulente per la comunicazione del progetto<br />
e ideatore della campagna – non è<br />
pagina12SPECIALE<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
una semplice definizione, o un logo. È un<br />
grande contenitore, dove la memoria si sposa<br />
con la scienza e con la comunicazione di<br />
un patrimonio vitivinicolo perpetuatosi miracolosamente<br />
nel tempo. Un patrimonio che<br />
appartiene alla Sicilia, come le appartengono<br />
i templi, il mare e gli Dei».<br />
«La Sicilia – conclude Zanfi – è partita dalla<br />
verità di ciò che doveva comunicare, ricercando<br />
proprio nel linguaggio della storia<br />
sillogismi che potessero accostarla alla<br />
grande tradizione che il vino ha nell’Isola. Il<br />
vino avvicina, in questa chiave, a una sorta<br />
di “verità inconfutabile” che tracci la storia<br />
del vino dalla pianta alla bottiglia in un percorso<br />
di rintracciabilità e garanzia per il consumatore<br />
finale». Il progetto cercherà infatti<br />
di raccontare la verità sulle origini della viticoltura<br />
in Sicilia con la sua memoria vitivinicola,<br />
provando a collegare queste componenti<br />
storiche all’idea progettuale di valorizzazione<br />
dei vitigni autoctoni siciliani, con<br />
l’intento di costruire un unico contenitore<br />
capace di racchiudere ogni singola fase di<br />
ricerca e di sviluppo dei programmi scientifici,<br />
di divulgazione dei risultati e delle strategie<br />
di marketing e di comunicazione a essi<br />
abbinati.<br />
* Responsabile dell’Unità operativa 45<br />
Sperimentazione e Ricerca applicata dell’assessorato<br />
Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />
gsparta@regione.sicilia.it<br />
Aspetti sanitari<br />
nei primi due anni di attività<br />
Piante individuate in campo 3667<br />
Test sanitari eseguiti 2567<br />
Piante risultate negative<br />
alle analisi ELISA e PCR 90<br />
Cultivar rappresentate Albanello,<br />
Alicante, Catarratto, Carricante, Grillo,<br />
Grecanico, Inzolia, Minnella Bianca,<br />
Moscato Bianco, Nero d’Avola, Nerello<br />
Cappuccio, Nerello Mascalese, Nocera,<br />
Perricone, Reliquie (2)<br />
I vitigni autoctoni siciliani<br />
Autoctoni di interesse regionale<br />
Catarratto, Frappato, Grecanico, Grillo,<br />
Inzolia, Nero d’Avola, Nerello Mascalese<br />
Autoctoni di interesse locale<br />
Albanello, Alicante, Carricante, Corinto,<br />
Damaschino, Perricone, Malvasia di Lipari,<br />
Minnella bianca, Moscato bianco, Nerello<br />
Cappuccio, Nocera, Zibibbo<br />
Autoctoni antichi “reliquia”<br />
(in corso di identificazione)<br />
Alzano, Anonima, Barbarossa, Bottone<br />
Gallo, Bracaù o Grecaù, Canina,<br />
Carnuffino, Cornicchiola, Catanese nera,<br />
Coda di volpe, Cori di palummu, Dolcetta,<br />
Dunnuni, Grossonero, Fiore d’arancio,<br />
Fumusa, Inzolia nera, Lucignola, Maiulina,<br />
Marsigliana, Minnavacchina, Minnella<br />
nera, Montonico nero, Muscatedda,<br />
Nivureddu, Olivetta, Oriddru, Orisi,<br />
Precoce, Preventivo, Prunesta, Racina<br />
di vento, Racinedda, Recunu, Regina,<br />
Rosata, Rucignola, Scassabutti, Sultanina,<br />
Tallone, Tintorè o Ibisu, Verbo rosso,<br />
Visparola, Vitraruolo, Zu’ Matteo, Zuccarato
SELEZIONE CLONALE, LUCI E OMBRE<br />
Il miglioramento della viticoltura è<br />
strettamente legato alla scelta e alla<br />
selezione del materiale di moltiplicazione<br />
(portinnesti e marze) da utilizzare<br />
per i nuovi impianti. Alla selezione<br />
naturale avvenuta nel corso di millenni,<br />
l’uomo ha spesso affiancato la cosiddetta<br />
“selezione massale”, consistente nell’individuazione,<br />
tramite screening visivo, selezione<br />
e moltiplicazione dei ceppi di vite ritenuti<br />
migliori, nell’ambito di ciascuna varietà,<br />
sulla base di parametri legati alla<br />
produttività, al vigore della pianta o ancora<br />
al suo stato sanitario.<br />
Selezionare significa compiere delle scelte<br />
in funzione degli obiettivi finali che si intendono<br />
perseguire, che in ogni caso non possono<br />
prescindere da una profonda conoscenza<br />
delle caratteristiche del vitigno oggetto<br />
di studio e dei suoi areali di coltivazione.<br />
Solo se si parte da questa condizione è<br />
infatti possibile effettuare in maniera seria<br />
e accurata la preselezione di biotipi rappresentativi<br />
della variabilità di un vitigno, salvaguardando<br />
da un lato la biodiversità intravarietale<br />
e, dall’altro, evitando l’inutile<br />
omologazione di cloni “fotocopia” che andrebbero<br />
ad appesantire in termini di gestione<br />
e costi la filiera vivaistica (nuclei di<br />
premoltiplicazione, vivai, ecc.).<br />
Ciascuna vite selezionata e la sua discendenza<br />
ottenuta tramite propagazione agamica<br />
costituisce un “clone” (composto<br />
quindi da piante geneticamente identiche<br />
tra di loro), e la selezione che si effettua<br />
viene chiamata “selezione clonale”.<br />
In Italia l’attività di selezione clonale si sviluppò<br />
nei primi anni ’70 del secolo scorso,<br />
dietro iniziativa prima del Consiglio nazionale<br />
delle ricerche e poi dell’allora ministe-<br />
Le scelte vanno fatte in funzione<br />
degli obiettivi da perseguire,<br />
che comunque devono basarsi<br />
sulla conoscenza dei vitigni<br />
e dei loro areali di coltivazione<br />
di DANIELA BICA* E DARIO CARTABELLOTTA**<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Il principio di fondo<br />
è quello di favorire<br />
la biodiversità<br />
ed evitare<br />
l’omologazione<br />
di cloni “fotocopia”<br />
Sul piano normativo<br />
un nuovo<br />
protocollo tecnico<br />
stabilisce gli standard<br />
A sinistra<br />
Catarratto<br />
comune,<br />
a destra<br />
Nero d’Avola<br />
ro Agricoltura e Foreste, oggi ministero per<br />
le Politiche agricole e forestali. Lo scopo<br />
era quello di fornire ai viticoltori materiale di<br />
propagazione (vitigni e portinnesti) di sicura<br />
identità genetica, con caratteristiche<br />
produttive positive e con un buono stato<br />
sanitario. Successivamente anche enti regionali<br />
e privati sono stati coinvolti nel lavoro<br />
di selezione clonale, acquisendo competenze<br />
tecniche ed economiche.<br />
Con il passare degli anni si è assistito a<br />
un’evoluzione delle metodologie e degli<br />
orientamenti di selezione clonale, spesso<br />
accompagnati da modifiche e integrazioni<br />
del quadro legislativo di riferimento.<br />
A livello normativo particolare importanza<br />
assume l’istituzione del “Catalogo nazionale<br />
delle varietà di vite” presso il Maf (Dpr<br />
1164 del 24.12.69) e del “Comitato nazionale<br />
per l’esame delle varietà di viti” (istituito<br />
in base al Reg. Cee 2314/72), successivamente<br />
divenuto “Comitato nazionale per<br />
la classificazione delle varietà di viti” (Dm<br />
28 dicembre 2001). I compiti di tale Comitato<br />
sono raggruppati in tre punti: svolgere<br />
attività di controllo sulla corretta applicazione<br />
delle procedure per l’ottenimento delle<br />
selezioni clonali delle varietà di vite; pronunciare<br />
pareri sull’omologazione delle selezioni<br />
clonali, sull’iscrizione di varietà di viti<br />
e cloni omologati nel Catalogo delle varietà,<br />
sulle eventuali sinonimie e omonimie<br />
dei vitigni, nonché «sulle variazioni della<br />
struttura e dell’organizzazione del Catalogo<br />
nazionale delle varietà di vite»; formulare<br />
pareri, dietro richiesta del Mipaf, in merito<br />
alle problematiche legate alla commercializzazione<br />
dei materiali di moltiplicazione<br />
della vite.<br />
La procedura per l’ottenimento e l’iscrizio-<br />
pagina13SPECIALE
ne delle selezioni clonali al Catalogo nazionale<br />
è regolamentata dal decreto 22 dicembre<br />
1997 del ministero per le Politiche<br />
agricole e forestali, che con il decreto 6<br />
febbraio 2001 ha successivamente approvato<br />
il protocollo tecnico di selezione clonale,<br />
dietro parere favorevole espresso da<br />
parte del Comitato nazionale delle varietà<br />
di vite.<br />
Si tratta in effetti di un nuovo protocollo tecnico<br />
che sostituisce, per le nuove selezioni<br />
clonali, quello precedente giudicato oramai<br />
obsoleto dagli operatori del settore per i<br />
lunghi tempi di selezione, non più rispondenti<br />
all’attuale dinamicità del comparto viticolo,<br />
e per gli aspetti virologici, assolutamente<br />
lontani dagli standard sanitari oggi<br />
richiesti per il materiale di propagazione.<br />
Se il nuovo protocollo semplifica alcune<br />
procedure della precedente metodologia di<br />
selezione clonale, quali ad esempio la riduzione<br />
da due a uno dei campi di confronto<br />
e omologazione e dei portinnesti da utilizzare,<br />
dall’altro alcune modifiche introdotte<br />
deludono le aspettative di molti addetti ai<br />
lavori. Uno dei motivi di insoddisfazione riguarda<br />
i controlli virologici da effettuare<br />
sulle piante scelte, per i quali si rimanda ai<br />
«test previsti dal protocollo sanitario»: fino<br />
ad oggi però non esiste un protocollo sanitario<br />
ufficialmente riconosciuto a livello nazionale<br />
e/o europeo. Questa lacuna ha<br />
causato un’assoluta discrezionalità nel fissare<br />
lo standard minimo sanitario delle proprie<br />
selezioni clonali da parte di ciascun<br />
Paese europeo, con il rischio di far entrare<br />
in Italia materiale clonale con un livello sanitario<br />
decisamente inferiore rispetto a<br />
quello convenzionalmente stabilito, a livello<br />
nazionale, all’interno di ciascuna categoria<br />
di materiale di propagazione.<br />
Per quanto concerne le indagini agronomiche<br />
ed enologiche, non è più prevista nel<br />
campo di omologazione la presenza di<br />
piante testimoni di riferimento (materiale<br />
standard della varietà o eventuale discendenza<br />
di cloni già omologati) a cui paragonare<br />
i parametri misurati sui cloni in selezione.<br />
Se a ciò si aggiunge che i rilievi e le<br />
pagina14SPECIALE<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
In Italia l’attività<br />
di selezione clonale<br />
si sviluppò<br />
nei primi anni ’70<br />
del secolo scorso<br />
per iniziativa del Cnr<br />
e dell’allora ministero<br />
Agricoltura e Foreste<br />
analisi sulle discendenze dei presunti cloni<br />
devono essere eseguiti per il carattere (o i<br />
caratteri) per il quale si sta effettuando la<br />
selezione, si comprende come sia complesso<br />
e difficile valutare le qualità potenziali<br />
complessive della nuova selezione.<br />
Nell’ambito invece dei rilievi analitici previsti<br />
dal protocollo ai fini enologici, per i vitigni a<br />
bacca rossa sono richiesti alcuni parametri<br />
(profilo degli antociani della buccia, degli<br />
acidi idrossicinnamici e dei flavonoli delle<br />
bucce) che, se hanno una certa validità e<br />
importanza per la caratterizzazione varietale,<br />
ben poco servono ai fini di una discriminazione<br />
clonale. Nulla viene invece detto a<br />
proposito dei vitigni ad aroma primario.<br />
Queste e altre osservazioni hanno spinto i<br />
costitutori riuniti nell’Acovit (Associazione<br />
costitutori viticoli italiani), con sede a San<br />
Michele all’Adige (TN), a presentare al ministero<br />
delle Politiche agricole e forestali<br />
una proposta di modifica del protocollo tecnico<br />
la quale, oltre a variazioni e/o integrazioni<br />
dei punti sopra riportati, prevede l’innalzamento<br />
a 25 del numero minimo di viti<br />
per ciascun presunto clone presente nel<br />
campo di omologazione, e fissa in 80-100<br />
kg il quantitativo minimo di uva sul quale<br />
effettuare le prove di microvinificazione.<br />
L’Acovit ha inoltre elaborato una proposta<br />
di protocollo sanitario i cui requisiti minimi<br />
per la selezione clonale e la richiesta di<br />
omologazione in Italia sono i seguenti: assenza<br />
dei virus agenti della degenerazione<br />
infettiva della vite (GFLV) e del mosaico<br />
dell’arabis (ArMV); assenza dei virus<br />
GLRaV-1, GLRaV-2 e GLRaV-3 associati<br />
ai sintomi di accartocciamento fogliare;<br />
assenza dei sintomi di accartocciamento<br />
fogliare con saggio biologico su viti indicatrici<br />
(Barbera, Cabernet sauvignon, Cabernet<br />
franc o altra V. vinifera sensibile);<br />
assenza dei virus GVA e GVB associati rispettivamente<br />
ai sintomi delle sindromi del<br />
legno riccio Kober stem grooving e Corky<br />
bark; assenza dei sintomi della sindrome<br />
Kober stem grooving del legno riccio con<br />
saggio biologico su Kober 5BB; assenza<br />
del virus agente della maculatura infettiva o
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />
Protocollo tecnico<br />
di selezione clonale<br />
Decreto ministeriale 6 febbraio 2001<br />
1. Indicazione delle caratteristiche di base per le<br />
quali viene effettuata la selezione clonale.<br />
2. Individuazione e scelta delle piante madri dei<br />
presunti cloni in base alle suddette caratteristiche.<br />
3. Esecuzione, sulle piante scelte, dei test previsti<br />
dal protocollo fitosanitario.<br />
4. Costituzione di almeno un vigneto di<br />
moltiplicazione, con un minimo di venti ceppi per<br />
ogni biotipo, su un portinnesto. Il campo dovrà<br />
essere costituito preferibilmente nella zona di<br />
fleck (GFkV) solamente per i portinnesti.<br />
Secondo tale protocollo l’assenza degli<br />
agenti virali summenzionati deve essere<br />
verificata tramite saggi sierologici (ELISA)<br />
e/o test biomolecolari (PCR), rimanendo<br />
responsabilità del costitutore la verifica e<br />
la veridicità dello stato sanitario dichiarato,<br />
che deve essere comunque certificato<br />
da Istituzioni pubbliche riconosciute competenti.<br />
I requisiti sanitari sopra riportati costituiscono<br />
il livello minimo sanitario attualmente indispensabile<br />
per la presentazione della richiesta<br />
di omologazione al Comitato Nazionale<br />
per la Classificazione delle Varietà<br />
di Viti, ma è auspicabile che quanto prima<br />
si arrivi alla pubblicazione di una normativa<br />
di riferimento.<br />
individuazione o diffusione del vitigno in selezione<br />
o comunque vocata e il terreno dovrà essere<br />
esente da nematodi vettori. I ceppi risultati positivi<br />
ai test fitosanitari dovranno essere propagati<br />
separatamente.<br />
5. Effettuazione di rilievi e analisi sulle<br />
discendenze dei presunti cloni per almeno tre<br />
annate al fine di verificare la persistenza, dopo la<br />
propagazione, del/i carattere/i per il quale/i si è<br />
effettuata la selezione.<br />
6. Per i vitigni a uva da vino, al fine di verificare le<br />
potenzialità enologiche del presunto clone,<br />
dovranno essere effettuate le seguenti analisi:<br />
I. Varietà con uva a bacca colorata:<br />
a. profilo degli antociani della buccia.<br />
Catarratto lucido<br />
Se il candidato clone è dotato di polpa colorata,<br />
è necessario determinare anche il profilo degli<br />
antociani di questa parte dell'acino;<br />
b. profilo degli acidi idrossicinnamici legati<br />
all'acido tartarico della buccia e della polpa;<br />
c. profilo dei flavonoli della buccia;<br />
d. indici di antociani totali a maturazione;<br />
e. curve di maturazione degli zuccheri, degli acidi<br />
fissi, dell'acidità titolabile e del pH;<br />
f.microvinificazione per almeno due annate<br />
con analisi chimiche e sensoriali.<br />
II. Varietà con uva a bacca bianca:<br />
a. curve di maturazione degli zuccheri, degli acidi<br />
fissi, dell'acidità titolabile e del pH;<br />
b. microvinificazione per almeno due annate con<br />
analisi chimiche e sensoriali.<br />
Per quanto concerne infine la selezione<br />
delle cultivar di interesse locale e di limitata<br />
coltivazione, alcuni ricercatori hanno<br />
proposto di utilizzare protocolli meno impegnativi,<br />
che privilegino gli aspetti agronomici,<br />
limitino la valutazione enologica solo ai<br />
mosti e prevedano il ricorso ai semplici<br />
saggi sierologici (ELISA) per gli aspetti sanitari.<br />
Tale ipotesi, peraltro condivisa, consentirebbe<br />
di ridurre notevolmente i costi di<br />
selezione e di disporre di materiale di propagazione<br />
di discreta qualità, per il quale<br />
però dovrebbe essere individuata una nuova<br />
categoria.<br />
* Dirigente dell’assessorato Agricoltura e Foreste,<br />
Servizio IX - Servizi allo Sviluppo<br />
d.bica@regione.sicilia.it<br />
** Dirigente responsabile<br />
del Servizio IX - Servizi allo Sviluppo<br />
pagina15SPECIALE
È partita la ricerca sui lieviti autoctoni di<br />
Nero d’Avola. Il primo anno di studio è<br />
iniziato con il prelievo di acini in tre diverse<br />
zone di produzione nel territorio<br />
siciliano: le province di Caltanissetta, Ragusa<br />
e Trapani. La raccolta delle uve è stata<br />
effettuata in modo da ottenere campioni<br />
differenziati, tali da rappresentare la “biodiversità<br />
naturale” dell’ambiente del vitigno in<br />
studio. Allo scopo di ricoprire una vasta superficie,<br />
per ogni areale sono state scelte<br />
cinque aziende il più possibile distanti tra loro.<br />
In ogni azienda, poi, sono state selezionate<br />
random dieci piante di vite – anche in<br />
questo caso lontane l’una dall’altra – da cui<br />
sono stati prelevati sterilmente campioni di<br />
uva, che sono stati pigiati e lasciati fermentare<br />
spontaneamente. Dai mosti in fermentazione,<br />
in appropriati terreni sintetici, sono<br />
stati isolati i lieviti di interesse enologico<br />
(Saccharomyces) protagonisti dei processi<br />
di trasformazione.<br />
Dei circa duemila ceppi isolati, oltre trecento<br />
sono risultati Saccharomyces (cerevisiae,<br />
bayanus, pastorianus, paradoxus)<br />
e sono stati confrontati in fermentazione<br />
di laboratorio di mosto Nero d’Avola per<br />
parametri enologici di interesse, dal vigore<br />
fermentativo e potere alcoligeno alla capacità<br />
di produrre etabolici correlati alla qualità<br />
organolettica del vino. I vini sperimentali<br />
ottenuti con i ceppi di Saccharomyces sono<br />
stati analizzati in gas-cromatografia per il<br />
contenuto di alcoli superiori, acetoino, acetaldeide,<br />
acetato di etile e acido acetico.<br />
pagina16SPECIALE<br />
Bicchieri dal gusto inconfondibile<br />
e non solo per merito dei vitigni<br />
Lavori in corso per conoscere<br />
i Saccharomyces, protagonisti<br />
della trasformazione dei mosti<br />
IL LIEVITO FA BUON VINO<br />
di GIACOMO ANSALDI*<br />
Interessanti<br />
i primi esiti:<br />
i ceppi nostrani<br />
presentano<br />
un’alta<br />
variabilità<br />
genetica<br />
legata all’areale<br />
d’origine<br />
Acini studiati<br />
con tecniche<br />
tradizionali<br />
e al contempo<br />
d’avanguardia<br />
L’analisi statistica dei dati evidenzia un’elevata<br />
variabilità di ceppo, in particolar modo<br />
per la produzione di acetaldeide, acetato di<br />
etile, isobutanolo e alcol D-amilico. Una variabilità<br />
minore si registra, invece, per la<br />
produzione di n-propanolo e acetoino.<br />
Il comportamento dei Saccharomyces<br />
da Nero d’Avola nei riguardi dei parametri<br />
tecnologici fin qui valutati ha rivelato<br />
l’esistenza di una variabilità di ceppo<br />
decisamente significativa tanto da poter<br />
affermare che le fermentazioni dello stesso<br />
mosto di partenza producono vini sperimentali<br />
sostanzialmente differenti. Tale<br />
mutevolezza è imputabile unicamente alla<br />
componente “ceppo di lievito” usato come<br />
starter per condurre il processo fermentativo.<br />
Allo scopo di verificare se alla variabilità<br />
tecnologica si associasse diversità genetica,<br />
i ceppi di Saccharomyces sono stati<br />
caratterizzati utilizzando analisi Rapd-<br />
Pcr. I ceppi sono risultati per la maggior<br />
parte diversi, esibendo profili molecolari<br />
molto variabili tra loro. Dunque, tutti i profili<br />
risultati diversi sono stati analizzati statisticamente<br />
mediante analisi cluster. I ceppi<br />
risultano distribuiti in due gruppi principali,<br />
caratterizzati da una similarità piuttosto<br />
bassa (37%). Più in dettaglio, sono stati individuati<br />
nove sottogruppi.<br />
La distribuzione dei ceppi in alcuni sottogruppi<br />
è risultata strettamente correlata all’area<br />
di provenienza, soprattutto per i<br />
campioni isolati nelle aree di Caltanissetta<br />
e di Ragusa.
Particolare è la distribuzione dei ceppi all’interno<br />
del gruppo costituito da lieviti appartenenti<br />
alla stessa vigna. Altri due gruppi sono<br />
costituiti soprattutto dai ceppi provenienti<br />
dalle diverse vigne dell’area di Caltanissetta.<br />
I ceppi isolati dai campionamenti del<br />
Trapanese sono risultati distribuiti in sottogruppi<br />
maggiormente eterogenei e includono<br />
lieviti provenienti da aree diverse.<br />
La tendenziale corrispondenza dei lieviti con<br />
l’areale di origine ha spinto i ricercatori a verificare<br />
se questo polimorfismo genetico fosse<br />
riscontrabile anche nelle piante di vite di<br />
Nero d’Avola campionate. Pertanto è stata<br />
effettuata la caratterizzazione genetica dei<br />
vigneti scelti per l’isolamento dei lieviti autoctoni.<br />
Nello svolgimento della ricerca è<br />
stato tenuto presente sia il fatto che la vite<br />
(Vitis vinifera L) è una specie a propagazione<br />
vegetativa, sia il fatto che in passato<br />
l’identificazione di varietà veniva effettuata<br />
per caratteri ampelografici. Nell’ultimo decennio,<br />
invece, viene usata con maggiore<br />
successo la variazione genetica. Marcatori<br />
molecolari, quali RFLP, ISSR, SSR e AFLP sono<br />
stati utilizzati in differenti studi su Vitis vinifera<br />
per discriminare tra diverse cultivar. Ancora<br />
poche ricerche, invece, si sono focalizzate<br />
sullo studio della variazione genetica a livello<br />
della stessa cultivar, ma le poche condotte<br />
hanno mostrato una buona potenzialità<br />
per identificare una specifica varietà e per<br />
distinguere differenti cloni o biotipi.<br />
In tal senso, per individuare differenti biotipi<br />
di Nero d’Avola e verificarne le potenzialità<br />
in combinazione con i lieviti Saccharomyces<br />
isolati e selezionati negli areali oggetto<br />
di studio, sono stati effettuati campionamenti<br />
di materiale vegetale fresco (foglie<br />
giovani) sia in situ (areale di Ragusa) che<br />
ex situ sulle stesse piante utilizzate per il<br />
I risultati<br />
della ricerca<br />
potranno essere<br />
utilizzati<br />
per individuare,<br />
d’accordo<br />
con le analisi<br />
ampelografiche,<br />
quattro o cinque<br />
biotipi<br />
di Nero d’Avola<br />
da impiegare<br />
in micro<br />
fermentazioni<br />
campionamento dei grappoli presso i quindici<br />
vigneti oggetto d’esame.<br />
Il Dna è stato estratto da foglie giovani<br />
congelate. Le metodiche mature utilizzate<br />
nel corso del primo anno per le analisi<br />
genetiche sono state i marcatori AFLP<br />
(Amplified Fragments Lenght Polymorphism)<br />
e i marcatori SSR (Simple Sequenze<br />
Repeat) o microsatelliti.<br />
Le metodiche tradizionali sono state alternate<br />
a quelle più innovative. Dunque, si è<br />
fatto ricorso sia all’elettroforesi verticale con<br />
gel di acrilammide e agarosio (1,3%) per la<br />
separazione dei frammenti amplificati in<br />
PCR, sia a metodiche che sfruttano primer<br />
fluorescenti e anche all’analisi dei frammenti<br />
amplificati grazie all’ausilio di un sequenziatore<br />
di Dna che nel nostro caso è<br />
stato l’Abi Prism 373.<br />
Per concludere, i risultati del primo anno<br />
hanno mostrato una buona variazione<br />
genetica tra genotipi provenienti da differenti<br />
areali. La variazione si riduce passando<br />
al confronto tra differenti vigneti dello<br />
stesso areale fino a diventare quasi nulla<br />
nel confronto tra piante dello stesso vigneto.<br />
L’areale ragusano in particolare mostra una<br />
variazione genetica rispetto agli altri due<br />
pari a circa il 35%. I risultati della caratterizzazione<br />
dei lieviti isolati e la variabilità genetica<br />
dei vigneti potranno essere utilizzati<br />
per individuare (d’accordo con le analisi<br />
ampelografiche) quattro o cinque biotipi di<br />
Nero d’Avola da impiegare in micro-fermentazioni<br />
con ceppi isolati e selezionati.<br />
*Funzionario dell’assessorato regionale Agricoltura<br />
e Foreste Servizio IX<br />
giacomoansaldi@regione.sicilia.it<br />
Referenti scientifici del progetto:<br />
Patrizia Romano e Francesco Sunseri<br />
del dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie<br />
Agro-Forestali dell’Università della Basilicata<br />
pagina17SPECIALE
Parola d’ordine: potenziamento della<br />
coltura in zone impervie. Viene esteso<br />
agli oliveti e ai noccioleti il progetto dell’assessorato<br />
regionale Agricoltura e<br />
Foreste, originariamente mirato alla meccanizzazione<br />
dei soli vigneti difficilmente<br />
raggiungibili. Le aree interessate restano<br />
quelle di sempre: l’isola di Pantelleria, le<br />
Eolie, le pendici dell’Etna e i Nebrodi.<br />
Negli ultimi decenni, le zone terrazzate e a<br />
declivi hanno conosciuto una notevole riduzione<br />
delle superfici coltivate. Colpa della<br />
difficoltà sempre maggiore di reperire<br />
manodopera disposta a lavorare su terreni<br />
dalla morfologia complessa.<br />
Un esempio tipico è quello della viticoltura<br />
pantesca. Nel corso della sua storia,<br />
la produzione vinicola di Pantelleria ha conosciuto<br />
alterne vicende. Se per un lungo<br />
periodo, interrotto dalle distruzioni causate<br />
dalla fillossera negli anni Trenta, essa è<br />
stata una delle primarie fonti di sostentamento,<br />
oggi si assiste al progressivo abbandono<br />
della coltivazione della vite. Ed è<br />
una situazione che contrasta con l’accresciuto<br />
interesse nei confronti dei prodotti di<br />
Pantelleria e soprattutto dei suoi vini.<br />
Nell’isola è presente quasi esclusivamente<br />
la varietà Zibibbo o Moscato d’Alessandria<br />
da cui si ottengono il Moscato e il Passito.<br />
Per difendere questo patrimonio nel 1997<br />
si è costituito il Consorzio per la tutela e la<br />
valorizzazione dei vini Doc dell’isola di<br />
Pantelleria, che rappresenta il 75 per cento<br />
della produzione; secondo il nuovo disciplinare<br />
le Doc Moscato di Pantelleria e Passito<br />
di Pantelleria vengono riservate ai prodotti<br />
provenienti da uve appassite naturalmente<br />
e che non hanno usufruito di alcun<br />
arricchimento. Entrambi devono essere imbottigliati<br />
nell’isola salvo le deroghe previste.<br />
Le altre tipologie di vino, comunque provenienti<br />
da uve Zibibbo, fruiscono della Doc<br />
Pantelleria e possono essere imbottigliate<br />
all’interno del territorio regionale della Sicilia.<br />
Oggi i produttori iscritti alla Doc sono<br />
364; ma la frammentazione dei vigneti<br />
rende complessa la coltura e l’età media<br />
degli addetti al settore è molto elevata. Del<br />
resto la piovosità è scarsa e non esistono<br />
forme di meccanizzazione diffusa.<br />
Dunque, se il progredire dei tempi condanna<br />
a morte le produzioni tipiche e i sapori<br />
dell’infanzia, la difesa della biodiversità<br />
passa adesso dall’impiego di tecnologie all’avanguardia.<br />
Nasce in quest’ottica il finanziamento<br />
pagina18SPECIALE<br />
La tecnologia si mette al servizio<br />
della tradizione. Al via un progetto<br />
globale di meccanizzazione<br />
per coltivare più agevolmente<br />
i terreni delle zone impervie<br />
RITORNO AL FUTURO MADE IN SICILY<br />
di GIUSEPPE SPARTÀ* E EUGENIO DE VITA**<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Tre gli anni<br />
di ricerche<br />
e sperimentazioni<br />
finanziate<br />
dall’assessorato<br />
regionale<br />
Agricoltura<br />
e portate<br />
avanti<br />
dall’Università<br />
degli Studi<br />
di Palermo<br />
Il piano, nato<br />
per i vigneti<br />
terrazzati,<br />
è stato esteso<br />
a uliveti<br />
e noccioleti<br />
regionale a un progetto per lo sviluppo<br />
della meccanizzazione al servizio dell’agricoltura<br />
in terreni malagevoli. Una scelta<br />
non nuova, sicuramente, ma declinata in<br />
modo innovativo: si sta promuovendo la razionalizzazione<br />
sistematica degli impianti<br />
unita all’impiego di strumentazioni tali da<br />
sopperire alla mancanza di tempo e alla<br />
carenza di manodopera.<br />
Nella sua prima veste, il progetto è stato<br />
presentato a Pantelleria all’inizio di luglio<br />
2005. L’isola, che vanta prodotti conosciuti<br />
in tutto il mondo – si pensi al passito, al<br />
moscato e allo zibibbo, ma anche ai capperi<br />
e all’olio –, diventa simbolo della necessità<br />
di tutelare la tipicità. Rendere sostenibile,<br />
attraverso l’ingegneria rurale, la<br />
produzione agricola pare oggi il mezzo<br />
prioritario per promuoverne la conservazione<br />
del territorio ai fini della crescita economica<br />
e dell’incremento occupazionale.<br />
La sperimentazione si svolgerà nel triennio<br />
2006-2008 e vede già protagonisti l’assessorato<br />
regionale Agricoltura e Foreste, il dipartimento<br />
di Ingegneria e Tecnologie<br />
Agro-Forestali (Itaf) - sezione Meccanica<br />
dell’Università degli Studi di Palermo e il dipartimento<br />
di Economia dei Sistemi Agro-<br />
Forestali dello stesso ateneo.<br />
Da un’analisi condotta proprio a Pantelleria,<br />
si evincono le numerose difficoltà che<br />
la progettazione dell’agricoltura futuristica<br />
comporterà. In primo luogo, è necessario<br />
ribadire il particolare assetto degli spazi<br />
agricoli. Si tratta, infatti, di terrazze di larghezza<br />
limitata. Le interfile dei vigneti hanno<br />
dimensioni ridotte, anche a causa dell’ingombro<br />
della vegetazione, e i passaggi<br />
tra una terrazza e l’altra sono stretti e in notevole<br />
pendenza. Tali caratteristiche determinano<br />
la necessità di predisporre meccanismi<br />
di sicurezza infallibili per garantire<br />
l’incolumità dell’operatore. Si sta pensando,<br />
in particolare, a sistemi di bloccaggio<br />
dei cingoli in caso di caduta del conduttore.<br />
Nella scelta della macchina motrice si<br />
dovrà tener conto anche del concetto di<br />
“centrale mobile di potenza”, non dimenticando<br />
la necessità di dimensioni ridotte.<br />
Pertanto ci si orienta verso la scelta<br />
di una piccola macchina cingolata, dotata<br />
di sollevatore idraulico per l’uso di attrezzi<br />
portati, di una presa di potenza per l’azionamento<br />
di utensili e di una pompa idraulica<br />
dotata di un sistema oleopneumatico indipendente<br />
dalle altre funzioni della macchina<br />
per il comando di attrezzi speciali.
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />
Gli aratri del domani<br />
Brevi note tecniche sule macchine<br />
che si prevede di impiegare nella coltivazione<br />
dei vigneti panteschi:<br />
– Unità motrice cingolata UT 60 della potenza di<br />
45 kW, dotata di cingoli in acciaio con soprasuole<br />
in gomma intercambiabili. La larghezza totale<br />
esterna dei cingoli è di 0,83 m, la larghezza del<br />
compartimento motore di 0,76 m e la lunghezza<br />
totale con sollevatore di 2,10 m.<br />
L’oggi che presto sarà ieri<br />
Il sistema di coltura più diffuso a Pantelleria<br />
è il tipico “alberello pantesco”<br />
piantato in una “conca” che serve da riparo<br />
contro il vento e da riserva idrica<br />
perché permette l’accumulo di rugiada<br />
(si tratta dell’antica tecnica dell’aridocoltura).<br />
Solo il 5% dei vigneti, quello degli<br />
appezzamenti pianeggianti, è allevato<br />
con il moderno sistema “a controspalliera<br />
bassa”. Il 75% dei vigneti panteschi si trova<br />
su terreni in forte pendenza, per lo più<br />
sistemati a terrazze delimitate dai tipici<br />
muretti a secco.<br />
Le operazioni che richiedono il numero<br />
maggiore di contadini sono le lavorazioni<br />
del terreno, cioè la zappatura manuale delle<br />
conche, la prepotatura e potatura invernale<br />
e la raccolta. La zappatura manuale<br />
della conca, indispensabile per garantire<br />
l’adeguata produttività della pianta, è un intervento<br />
particolarmente oneroso che molti<br />
viticoltori, al fine di ridurre l’impiego di<br />
manodopera, tendono oggi ad abbandonare.<br />
E l’impiego di motocoltivatori a organi<br />
– Vangatrice a quattro vanghe, dotata di<br />
trasmissione cardanica e frizione parastrappi; la<br />
larghezza totale è di 0,85 m.<br />
– Aratro coltivatore a cinque corpi.<br />
– Trinciatutto; l’attrezzo è dotato di aggancio<br />
speciale per contenere al massimo la lunghezza<br />
totale della macchina e favorire la rotazione<br />
all’uscita del filare.<br />
– Irroratrice dotata di dodici ugelli provvisti di<br />
antigoccia. Il ventilatore è di tipo assiale.<br />
Il serbatoio, in vetroresina, ha una capacità di<br />
200 litri.<br />
Uno scorcio<br />
di Pantelleria<br />
con i tipici<br />
terrazzamenti<br />
L’intero apparato nebulizzatore è appoggiato<br />
direttamente sui cingoli.<br />
– Impolveratore per effettuare i trattamenti in<br />
polvere.<br />
– Caricatore con cassone inox a ribaltamento<br />
idraulico (per trasporto prodotto); la portata utile è<br />
di 400 kg, l’altezza massima di scarico di 2,40 m<br />
e la larghezza totale di 1 m.<br />
– Cassone per trasporto materiali o cassette<br />
a ribaltamento idraulico appoggiato direttamente<br />
sui cingoli.<br />
– Retroescavatore con stabilizzatori.<br />
rotanti causa, alla lunga, fenomeni di<br />
astrutturalità che determinato la riduzione<br />
della fertilità del terreno.<br />
Due le fasi della potatura: la prima, un mese<br />
dopo la raccolta, consiste nell’accorciare<br />
a circa 20-30 cm i tralci ancora erbacei.<br />
La seconda, eseguita nel periodo dicembre-gennaio,<br />
consiste invece nel definitivo<br />
taglio dei tralci. Anche la raccolta dell’uva<br />
avviene in due fasi. Nella seconda – terza<br />
decade di agosto – viene raccolto il 20-<br />
30% della produzione totale destinata all’appassimento<br />
(per la produzione del Passito).<br />
Un’operazione lenta, che richiede il<br />
50% della manodopera: i grappoli migliori<br />
devono essere scelti con cura e sistemati<br />
con delicatezza nelle cassette. La restante<br />
parte della produzione è destinata direttamente<br />
alla vinificazione.<br />
* Responsabile dell’Unità operativa 45<br />
Sperimentazione e Ricerca applicata<br />
dell’assessorato regionale Agricoltura e Foreste<br />
gsparta@regione.sicilia.it<br />
** Unità operativa 105 di Castelvetrano<br />
dell’assessorato regionale Agricoltura e Foreste<br />
soat78@regione.sicilia.it<br />
pagina19SPECIALE
di ANDREA ZANFI<br />
Mi sono avvicinato alla Sicilia per scrivere<br />
un libro sul vino, e per farlo l’ho girata<br />
tutta, in lungo e in largo, come un attento<br />
viaggiatore d’altri tempi, uno di quelli<br />
che s’accostavano a un’Italia molto diversa<br />
dall’attuale, la splendida Italia del<br />
Grand Tour.<br />
Se ricordo bene, il viaggio fu organizzato<br />
con l’intento di conoscere l’evoluzione enologica<br />
siciliana, arricchendo la mia conoscenza<br />
e appagando la mia famelica curiosità.<br />
Ogni cosa doveva contribuire all’approfondimento<br />
di una quanto mai improvvisata<br />
e lontanissima conoscenza che avevo<br />
avuto, venti anni prima, di questo territorio<br />
riuscendo magari, questa volta, a carpirne<br />
l’essenza, l’anima stessa.<br />
Appena arrivato, ebbi subito una certezza:<br />
la Sicilia è una terra che, fino a quando non<br />
pagina20SPECIALE<br />
Fra autostrade e trazzere,<br />
bagli e castelli, una guida<br />
dedicata alla Sicilia del vino<br />
I ricordi di un viaggiatore<br />
folgorato dal fascino dell’Isola<br />
LE MILLE E UNA BOTTE<br />
la vivi, non puoi nemmeno immaginarla nella<br />
sua completezza; giorno dopo giorno,<br />
man mano che la osservi, ti accorgi di aver<br />
espresso giudizi affrettati, qualunquisti, superficiali,<br />
che ti hanno condotto persino a tipicizzare<br />
o inquadrare un pensiero più vicino<br />
a uno stereotipo che alla nuda e cruda<br />
realtà.<br />
Presto scoprii anche che è un’isola facile da<br />
amare e odiare nello stesso momento, ma<br />
che sicuramente non ti lascia indifferente.<br />
Sapevo benissimo che mi stavo avvicinando<br />
a un territorio ricco di storia, di tradizioni<br />
forgiate e consolidate al cospetto del tempo,<br />
e non soltanto per la sua strategica posizione<br />
geografica, ma anche per il suo clima<br />
e la sua natura.<br />
Graffiti, templi, bagli, castelli, rocche,<br />
leggende e miti si sono mostrati ai miei
occhi in un museo senza un tetto, posto<br />
sotto la cupola celeste e illuminato da un<br />
cielo stellato che nelle sere di primavera assomiglia<br />
a un manto di velluto adorno di<br />
diamanti.<br />
È così che sono voluto rimanere in questa<br />
Sicilia che sa alternare autostrade a “trazzere”<br />
adornandosi di mosaici composti da<br />
cromie di culture e genti diverse.<br />
Devono essere state le diverse dominazioni<br />
a trasmettere questa miriade d’elementi<br />
che impreziosiscono le abitudini e gli usi dei<br />
siciliani, i quali, inconsciamente e giornalmente,<br />
si abbeverano al fontanile della storia<br />
e dell’arte su una tavola ricca di sapori<br />
unici.<br />
Quel libro sui vini alla fine l’ho scritto e pubblicato,<br />
e devo dire che ha riscontrato un<br />
buon successo, ma c’era un però in quelle<br />
storie raccontate sui vignaioli siciliani e<br />
c’era un però anche in quel mio modo di descrivere<br />
il mondo del vino. Quel mio lavoro<br />
editoriale aveva una pecca: non rappresentava,<br />
e forse non avrebbe potuto farlo, tutto<br />
ciò che avevo visto nel mio viaggio. In quelle<br />
pagine avevo sì velatamente raccontato<br />
la sicilianità dei personaggi con i quali ero<br />
venuto a contatto, ma non avevo potuto<br />
narrare da che cosa essa scaturisse.<br />
Cosa fare? Pensai allora di scrivere una<br />
guida che fosse come un consigliere tascabile<br />
per l’enoturista desideroso di scoprire<br />
le infinite isole che compongono la Sicilia;<br />
l’idea era quella di prendere il viaggiatore<br />
per mano e di condurlo nei posti e nelle<br />
realtà che io avevo osservato da “curioso”.<br />
Cogliendo spunto dal mondo vitivinicolo<br />
ho quindi cercato – con la collaborazione<br />
di Gaetano Basile, Alfredo Vassallo e Antonio<br />
Mirabella – di immaginare un Grand<br />
Tour e di fornire agli enoappassionati uno<br />
stimolatore culturale oltre che una sorta di<br />
bussola per farli navigare tra le righe di questa<br />
terra unica, costellata di cantine che<br />
operano con maestria, impegno e dedizione.<br />
È nata così la Guida ai vini di Sicilia, in<br />
cui si racconta l’altra faccia dell’Isola, quella<br />
dei Nebrodi o delle Madonie, che sono le ultime<br />
propaggini dell’Appennino continentale<br />
italiano, andando a scoprire cosa vi fosse<br />
su quelle colline che finiscono là dove comincia<br />
il mare e sulle quali si trova la Sicilia<br />
di Menfi, di San Giuseppe Jato, di Marsala,<br />
di Erice, di Noto, di Siracusa e Ragusa, dell’Etna,<br />
del Belice e dell’Agrigentino.<br />
Una Sicilia che alterna al giallo oro delle<br />
messi il verde delle vigne e dell’olivo.<br />
Una terra che – come dicevo – deve essere<br />
esplorata, ma di cui vorrei dare una<br />
prima idea attraverso una citazione riportata<br />
nella mia guida: «Dal tempo di Proserpina,<br />
la Sicilia è stata la casa dei fiori. Si dice<br />
che le Dee vergini, Proserpina, Minerva e<br />
Diana, tesserono una tonaca di fiori variopinti<br />
per il padre Giove… Ora capisco perché<br />
gli Dei hanno tanto amato la Sicilia».<br />
Scriveva così, nel 1880, una “Milady in Sicilia”,<br />
al secolo Frances Elliot.<br />
Per raccontare tutto ciò che ho visto, studiato<br />
e amato, le 120 pagine che ho avuto<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Un consigliere<br />
tascabile<br />
per esplorare<br />
l’affascinante<br />
mosaico<br />
di territori<br />
che vanno<br />
da Marsala<br />
a Ragusa<br />
passando<br />
per i Nebrodi<br />
e le Madonie,<br />
le ultime<br />
montagne<br />
del Vecchio<br />
Continente<br />
a disposizione sono un numero risibile rispetto<br />
a quanto sarebbe stato necessario,<br />
ma credo che esistano pubblicazioni con<br />
un valore che va ben oltre il loro spessore,<br />
il formato o il livello informativo che hanno<br />
saputo proporre. Sono libri che sanno<br />
orientare e che pur essendo piccoli diventano<br />
punti di riferimento consentendo di impostare<br />
nuovi ragionamenti al fine di generare<br />
nuove idee; una specie di “testata<br />
d’angolo” su cui costruire ipotesi per un futuro<br />
comunicativo diverso, che travalica i<br />
confini della scrittura e idealmente traccia<br />
un percorso che conduce alla scoperta di<br />
più ambiziosi obiettivi.<br />
Penso che anche la mia fatica editoriale<br />
possa essere annoverata tra queste<br />
pubblicazioni, rappresentando un primo<br />
ma sostanziale passo verso l’integrazione<br />
del mondo del vino, al quale sono particolarmente<br />
legato, con il più complesso sistema<br />
siciliano. Del resto per me è stato piacevole<br />
collaborare con l’assessorato regionale<br />
all’Agricoltura avviando un ragionamento<br />
più ampio e profondo sul sistema vitivinicolo<br />
di quest’Isola, riuscendo a inserirlo<br />
all’interno del meccanismo territoriale<br />
dal quale nasce. Come devo ammettere<br />
che è altrettanto piacevole riuscire a stimolare<br />
chi ama viaggiare per terre che sanno<br />
raccontarsi e che sarebbe riduttivo identificare<br />
con una etichetta o con una semplice<br />
bottiglia di vino.<br />
Indubbiamente la Sicilia è una di queste<br />
terre; è una terra che sa stregare gli appassionati<br />
viaggiatori offrendo percorsi sensoriali<br />
unici che interagiscono con splendidi<br />
itinerari archeologici, naturalistici e gastronomici.<br />
Avrei voluto creare un circuito completo,<br />
comprensivo di tutto, dando spazio<br />
agli aspetti naturalistici per far sapere<br />
che la Sicilia è la regione italiana a più alta<br />
densità di parchi e riserve naturali (77)<br />
in proporzione alla sua superficie; per far<br />
sapere che il 62% del territorio isolano è a<br />
carattere collinare, il 24% montuoso, e solo<br />
il 14 % è costituito da pianure; per far<br />
sapere che la lunghezza complessiva delle<br />
coste siciliane supera i 1000 km e che<br />
la vetta più alta è costituita dai circa 3350<br />
metri dell’Etna, il più grande vulcano attivo<br />
d’Europa.<br />
Avrei voluto avere spazio per raccontare la<br />
poliedricità di questa terra. Avrei voluto raccontare<br />
l’antica arte culinaria dell’Isola, capace<br />
di rappresentare l’amalgama perfetto<br />
delle culture che vi approdarono da ogni<br />
angolo del Mediterraneo e che si ritrova,<br />
ancora oggi, sulle tavole dei siciliani.<br />
Una cosa, però, spero di essere riuscito a<br />
trasmetterla: la Sicilia è una terra composita,<br />
contraddistinta da segni e segnali forti<br />
che devono essere letti fra un alternarsi di<br />
saperi e sapori. Una terra che svela i suoi<br />
più intimi segreti solo a chi ha davvero voglia<br />
di approfondire, di andare oltre le apparenze,<br />
oltre anche gli spunti offerti dalla mia<br />
guida, che mi auguro serva almeno a far percepire<br />
le grandi potenzialità di quest’isola.<br />
pagina21SPECIALE
UN BRINDISI AL NETWORK<br />
di PIETRO MIOSI*<br />
È stata pubblicata la graduatoria delle<br />
enoteche locali da inserire nel network<br />
che l’assessorato Agricoltura della Regione<br />
siciliana, attraverso il Servizio VIII “Tutela,<br />
promozione e valorizzazione dei prodotti<br />
agroalimentari”, costituirà nei prossimi<br />
mesi. Il network siciliano, che rientra nell’ambito<br />
di un’ampia strategia di promozione<br />
del territorio, comprenderà un totale di<br />
undici enoteche.<br />
La misura 4.13 “Commercializzazione di<br />
prodotti di qualità”, sottomisura A “Sostegno<br />
alla commercializzazione di prodotti<br />
regionali di qualità”, prevede la realizzazione<br />
delle due sedi dell’enoteca regionale,<br />
una ad Alcamo e l’altra a Castiglione di Sicilia,<br />
e di un network di enoteche locali da<br />
realizzare all’interno delle Strade del vino<br />
riconosciute dalla Regione o in via di riconoscimento.<br />
Si tratta di un valido esempio<br />
di sinergia tra il settore pubblico e quello<br />
privato: al primo spetta il finanziamento<br />
dell’opera e la definizione delle strategie di<br />
fondo, mentre nelle competenze del secondo<br />
rientra la conduzione dell’enoteca,<br />
che dovrebbe tener in debito conto i comitati<br />
di gestione delle Strade del vino e le varie<br />
espressioni imprenditoriali del territorio.<br />
I sedici progetti presentati dagli enti locali<br />
(Province e Comuni) sono state valutati da<br />
un’apposita commissione sulla base dei<br />
seguenti criteri:<br />
valenza storica, artistica e culturale dell’edificio<br />
oggetto dell’intervento. Per dimostrarlo<br />
i beneficiari hanno presentato una<br />
dichiarazione di interesse culturale rilasciata<br />
dalla soprintendenza ai Beni culturali e il<br />
nullaosta della soprintendenza qualora<br />
sussistano vincoli architettonici;<br />
fattibilità tecnico-amministrativa del<br />
progetto (i tempi di cantierabilità e quindi<br />
di impegnabilità e di spendibilità delle relative<br />
risorse) tenuto conto delle esigenze<br />
dell’assessorato di impegnare e spendere<br />
le risorse del Por Sicilia 2000-2006 nei<br />
tempi previsti;<br />
qualità dell’ipotesi gestionale relativa<br />
agli aspetti di carattere amministrativo, societario,<br />
economico e finanziario della gestione.<br />
Dei sedici progetti presentati per le enoteche<br />
locali ben nove hanno dimostrato di<br />
possedere i requisiti richiesti dal bando. La<br />
dotazione finanziaria pubblica prevista è di<br />
3.400.000 euro, 500.000 euro per ciascuna<br />
sede dell’enoteca regionale, mentre per<br />
ogni singola enoteca locale l’importo massi-<br />
pagina22SPECIALE<br />
In via di realizzazione nell’Isola<br />
la rete di enoteche locali:<br />
nove strutture che affiancheranno<br />
le Strade del vino in un circolo<br />
virtuoso di promozione del territorio<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Previste anche<br />
due sedi<br />
regionali<br />
una ad Alcamo,<br />
che sarà<br />
inaugurata<br />
a settembre,<br />
e l’altra<br />
a Castiglione<br />
di Sicilia,<br />
che però<br />
deve ancora<br />
essere<br />
ristrutturata<br />
mo finanziabile è di 300.000 euro, pari al<br />
100% della spesa ammissibile.<br />
L’obiettivo principale dell’intervento è quello<br />
di valorizzare i vini siciliani di qualità e il sistema<br />
territorio al fine di promuovere lo sviluppo<br />
rurale di determinate aree geografiche<br />
e la conoscenza del patrimonio agricolo,<br />
ambientale e culturale.<br />
Gli operatori che gestiranno le enoteche<br />
locali dovranno essere i veri e propri animatori<br />
degli itinerari enogastronomici.<br />
L’enoteca è chiamata a rappresentare il<br />
territorio attraverso la ricchezza dei suoi<br />
sapori, a divulgare correttamente le informazioni,<br />
sotto il profilo tecnico-scientifico e<br />
storico, e a promuovere eventi di animazione<br />
culturale.<br />
Quindi è importante che il singolo produttore<br />
o imprenditore aderente alla Strada senta<br />
propria la struttura e veda in essa non<br />
solo una vetrina, ma anche un luogo in cui<br />
organizzare iniziative, incontrare operatori<br />
della stampa, esperti del settore e clienti.<br />
La strategia dell’assessorato comporta<br />
inoltre la promozione del sistema enoteche<br />
siciliane anche in ambito nazionale e internazionale,<br />
al fine di mettere a punto un piano<br />
di marketing che preveda la diffusione<br />
mediatica dell’iniziativa del network. A tale<br />
scopo verranno coinvolti tutti gli attori, sia<br />
pubblici che privati, si organizzeranno educational<br />
di giornalisti e tour operator, e si<br />
prenderà parte alle più importanti manifestazioni<br />
dedicate al turismo enogastronomico<br />
e al mondo del vino.<br />
Mentre una delle due sedi dell’enoteca regionale,<br />
quella di Alcamo, ha già avuto<br />
l’approvazione del decreto per il finanziamento,<br />
e potrà essere inaugurata entro il<br />
prossimo mese di settembre, per quella di<br />
Castiglione di Sicilia, che avrà sede nel<br />
castello di Castiglione, non si ha ancora<br />
una data certa di realizzazione perché<br />
l’edificio deve ancora essere ristrutturato<br />
e, come da bando, le spese per la ristrutturazione<br />
non sono ammissibili a finanziamento.<br />
LA LISTA DEI COMPITI<br />
Le azioni per mezzo delle quali le<br />
enoteche locali si propongono di valorizzare<br />
i vini siciliani di qualità, legandoli<br />
al territorio di provenienza,<br />
sono le seguenti:<br />
• organizzazione di manifestazioni attraverso<br />
le quali veicolare il marchio dell’enoteca<br />
e promuovere tutte le risorse del
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />
Graduatoria<br />
dei progetti ammessi<br />
1. Ente proponente Comune di Menfi<br />
Nome della Strada Strada del vino Terre Sicane<br />
Edificio Palazzo Planeta<br />
Ubicazione Menfi<br />
2. Ente proponente Comune di Marsala<br />
Nome della Strada Strada del vino<br />
di Marsala-Terre d’Occidente<br />
Edificio Palazzo Fici<br />
Ubicazione Marsala<br />
3. Ente proponente Comune di Vittoria<br />
Nome della Strada Strada del vino<br />
Cerasuolo di Vittoria “dal barocco al liberty”<br />
territorio con particolare attenzione a<br />
quelle paesaggistico-ambientali, culturali<br />
e turistico-ricettive;<br />
• organizzazione di workshop tra operatori<br />
del settore vinicolo siciliano e giornalisti<br />
italiani e stranieri;<br />
• organizzazione di degustazioni dei vini<br />
siciliani in abbinamento ai prodotti tipici<br />
nell’ambito di eventi culturali (mostre fotografiche<br />
e di pittura, presentazioni di libri,<br />
consegna di premi);<br />
• organizzazione di visite guidate e attività<br />
informative rivolte ai consumatori finali<br />
(proiezione di video, realizzazione di reda-<br />
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />
IL CASTELLO DEI CONTI DI MODICA<br />
Un castello del 1350, costruito sotto Enrico e Federico Chiaramonte, appartenuto<br />
alle più importanti famiglie di Alcamo e testimonianza del periodo aureo vissuto<br />
dalla cittadina nel periodo dei conti di Modica.<br />
L’edificio sorge nella vasta piazza della Repubblica, antica piazza d’armi della gendarmeria aragonese.<br />
La possente struttura poggia su pianta romboidale; dai quattro spigoli si ergono quattro torri alternate,<br />
due quadrate e due circolari; sulla facciata nord si possono ammirare bifore e trifore di stile gotico;<br />
la facciata ovest è oggi inglobata in corpi edilizi residenziali. A partire dal 1828 il castello dei conti di Modica<br />
è entrato in possesso del Comune di Alcamo e recentemente è stato ristrutturato.<br />
Sarà proprio il castello la sede della prima enoteca regionale siciliana, con annesso wine bar e museo<br />
del vino. L’attività della struttura consisterà nel valorizzare le etichette isolane presentandole ai<br />
consumatori e fornendo servizi ai produttori; il wine bar rappresenta un prolungamento dell’enoteca<br />
e ha l’obiettivo di contribuire a promuovere i vini regionali abbinandoli a sapori e prodotti tipici del territorio;<br />
il museo, infine, proporrà un percorso che, partendo dalle tecniche tradizionali, mostri l’attuale evoluzione<br />
della vitivinicoltura nella Sicilia occidentale. [v.m.]<br />
Edificio Castello Enriquez<br />
Ubicazione Vittoria<br />
4. Ente proponente Comune di Erice<br />
Nome della Strada Strada del vino Erice Doc<br />
Edificio Ex albergo diurno<br />
Ubicazione Erice<br />
5. Ente proponente Comune di Noto<br />
Nome della Strada Strada del vino del Val di Noto<br />
Edificio Loggia del mercato di Palazzo Nicolaci<br />
Ubicazione Noto<br />
6. Ente proponente Comune di Cefalù<br />
Nome della Strada Strada dei vini e dei sapori<br />
delle Madonie sul percorso della targa Florio<br />
Edificio Ex mercato ittico<br />
Ubicazione Cefalù<br />
Il Castello<br />
dei Conti di Modica<br />
ad Alcamo,<br />
sede della prima<br />
enoteca regionale<br />
7. Ente proponente Comune di Butera<br />
Nome della Strada Strada del vino<br />
dei Castelli Nisseni<br />
Edificio Locali annessi al castello arabo-normanno<br />
Ubicazione Butera<br />
8. Ente proponente Provincia regionale<br />
di Messina<br />
Nome della Strada Strade e rotte del vino<br />
della provincia di Messina<br />
Edificio Monastero benedettino<br />
Ubicazione San Placido Calonerò<br />
9. Ente proponente Comune di Ragalna<br />
Nome della Strada Strada del vino dell’Etna<br />
Edificio Palmento Arena<br />
Ubicazione Ragalna<br />
zionali su riviste di settore e di un sito attraverso<br />
il quale veicolare l’immagine dell’enoteca<br />
sui principali circuiti informatici<br />
nazionali);<br />
• esposizione e vendita dei vini;<br />
• organizzazione di eventi in collaborazione<br />
con associazioni di categoria che operano<br />
nel settore turistico-ricettivo;<br />
• organizzazione di seminari;<br />
• collaborazione con istituzioni e enti preposti<br />
alla valorizzazione dei vini.<br />
* Dirigente coordinatore del Servizio VIII,Tutela,<br />
promozione e valorizzazione dei prodotti agricoli<br />
pietromiosi@regione.sicilia.it<br />
pagina23SPECIALE
LE TRE “T” DEL SUCCESSO<br />
Terra, tradizione e talento: sono questi<br />
gli elementi che negli ultimi anni hanno<br />
permesso al settore vitivinicolo di diventare<br />
uno dei più importanti di tutto il<br />
comparto agrolimentare siciliano. Le<br />
peculiarità della Sicilia, attraverso un rinnovato<br />
processo di valorizzazione e promozione,<br />
hanno portato sicuramente a grandi<br />
risultati, sebbene il settore abbia attraversato<br />
diversi momenti di incertezza e debolezza,<br />
anche in tempi recenti. La consapevolezza<br />
delle grandi potenzialità che esso<br />
può offrire all’economia<br />
siciliana ha spinto l’assessorato<br />
regionale Agricoltura<br />
e Foreste a focalizzare<br />
l’attenzione sulla<br />
messa in opera di attività<br />
che non soltanto permettessero<br />
di superare contingenti<br />
periodi di crisi,<br />
ma che, attraverso la<br />
realizzazione di interventi<br />
strutturali, ponessero basi<br />
solide per una crescita<br />
sostenibile del settore. In<br />
questo contesto si inserisce<br />
la recente istituzione<br />
di un fondo di ben 100 milioni da destinare<br />
alla riqualificazione del comparto, previsto<br />
dalla legge n. 19 del 22 dicembre 2005.<br />
Le modalità di utilizzo del fondo, ripartito su<br />
diverse misure, sono state individuate sulla<br />
base di alcune direttrici ben definite che<br />
si ricollegano ai principali portatori di interesse<br />
all’interno del settore.<br />
Le imprese, ovviamente, alle quali sono<br />
destinate le differenti misure accomunate<br />
da obiettivi legati all’aumento della solidità,<br />
alla capitalizzazione delle imprese, all’autofinanziamento,<br />
alla maggiore copertura<br />
dei rischi, all’assistenza tecnica.<br />
Una delle misure, a tal proposito, prevede<br />
l’istituzione di centri di assistenza alle imprese,<br />
specialmente alle cooperative, che<br />
promuovano attività di formazione e aggiornamento<br />
in materia di innovazione tecnologica<br />
e organizzativa, gestione economica<br />
e finanziaria di impresa, accesso ai finanziamenti<br />
anche comunitari, sicurezza e<br />
tutela dei consumatori, tutela dell’ambiente,<br />
igiene e sicurezza sul lavoro e altre materie<br />
connesse al miglioramento delle attività<br />
aziendali, nonché le attività finalizzate<br />
alla certificazione di qualità e al controllo di<br />
gestione delle cooperative. Occorre infatti<br />
convogliare i fattori critici di successo, che<br />
pagina24SPECIALE<br />
Terra, tradizione e talento rendono<br />
la vitivinicoltura siciliana un settore<br />
dalle grandissime potenzialità<br />
L’assessorato regionale Agricoltura<br />
ha istituito un fondo da 100 milioni<br />
di VALENTINA MADONIA<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Le somme<br />
serviranno<br />
a riqualificare<br />
il comparto<br />
e sono destinate<br />
alle imprese<br />
secondo<br />
misure<br />
che vanno<br />
dalla<br />
capitalizzazione<br />
all’assistenza<br />
tecnica<br />
rendono il sistema Sicilia potenzialmente<br />
vincente, verso nuovi modelli organizzativi,<br />
gestionali, tecnologici, capaci di garantire<br />
al settore la possibilità di fronteggiarsi all’interno<br />
di scenari sempre più ampi.<br />
L’altro elemento di cui tener conto sono i<br />
consumatori, sempre più attenti non solo<br />
a cosa consumare ma anche a come è stato<br />
ottenuto il prodotto scelto. La qualità dei<br />
prodotti costituisce infatti, oggi più che mai,<br />
una componente essenziale nell’effettuazione<br />
delle scelte di acquisto da parte dei<br />
consumatori. La Sicilia<br />
senza dubbio gode di<br />
condizioni pedoclimatiche<br />
favorevoli per l’ottenimento<br />
di produzioni di<br />
qualità; è necessario però<br />
offrire ai consumatori<br />
un valore aggiunto, ossia<br />
la garanzia della qualità<br />
non solo del prodotto ma<br />
di tutto il processo produttivo.<br />
Da qui l’importanza<br />
della partecipazione<br />
degli agricoltori ai sistemi<br />
qualità, dalle indicazioni<br />
geografiche e denominazioni<br />
d’origine, all’attestazione di specificità<br />
dei prodotti agricoli e alimentari, alla certificazione<br />
del metodo di produzione, per fare<br />
alcuni esempi.<br />
Infine, ma sicuramente non in ordine di importanza,<br />
l’ambiente: molte misure sono<br />
volte infatti alla salvaguardia di un patrimonio<br />
che, come detto prima, costituisce uno<br />
dei fattori di successo per tutto il comparto<br />
agroalimentare. Non è un caso se circa la<br />
metà delle risorse sono destinate alla realizzazione<br />
di attività volte alla prima introduzione<br />
o al mantenimento del metodo di<br />
produzione integrata con annessi obblighi<br />
di programmazione delle fertilizzazioni,<br />
sulla base del reale fabbisogno delle colture,<br />
e di monitoraggio delle modalità di gestione<br />
del suolo, nonché al rispetto dei vincoli<br />
ambientali e delle limitazioni agli usi<br />
agricoli e alla ricostituzione e al mantenimento<br />
del paesaggio agrario tradizionale.<br />
Tra gli altri elementi portanti del piano, occupano<br />
un posto di rilievo le misure finalizzate<br />
alla realizzazione di programmi sperimentali<br />
e innovativi, nonché al sostegno di<br />
metodi di produzione agricola intesi a migliorare<br />
la qualità dei prodotti e a promuovere<br />
gli stessi in nuovi mercati di sbocco,<br />
sempre nel pieno rispetto dell’ambiente.
«Unica nel regno vegetale, la vite rende<br />
il vero sapore della terra intelligibile all’uomo».<br />
Colette<br />
Per rappresentare l’insieme<br />
delle undici Strade e Rotte siciliane<br />
è stato studiato un logo<br />
che collega il piacere del vino<br />
alle risorse artistiche e ambientali<br />
della regione. Nel simbolo<br />
il calice è parte del tempio,<br />
che – secondo recenti indagini<br />
del Coreras (Consorzio<br />
regionale per la ricerca applicata e la sperimentazione)<br />
– risulta il maggior elemento di richiamo<br />
culturale dell’Isola. I colori dominanti, giallo e rosso,<br />
riprendono quelli istituzionali della Regione<br />
siciliana. L’elemento vino è presente in modo incisivo<br />
e rimanda alla degustazione, al gusto, al<br />
sapore. La Sicilia è simbolicamente rappresentata<br />
dal mare e dalla terra, che creano un’intelaiatura<br />
concettuale con la cultura e l’enogastronomia,<br />
sintetizzando così le attrattive dell’Isola per<br />
i turisti italiani e stranieri.<br />
Il logo verrà utilizzato nella cartellonistica stradale<br />
e nelle iniziative promozionali insieme ai loghi<br />
delle singole strade del vino.<br />
Le strade e le rotte del vino siciliane<br />
a cura di Dario Di Bernardi
Un tempo<br />
si degustava<br />
solo nei grandi<br />
ristoranti<br />
oppure<br />
nelle enoteche,<br />
con etichette<br />
spesso troppo<br />
care e ricercate.<br />
Oggi l’approccio<br />
con il calice<br />
è più libero<br />
e schietto<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Marketing territoriale, valorizzazione delle risorse<br />
ambientali, incoraggiamento a nuove forme<br />
di consumo consapevole e più attento alla qualità:<br />
sono questi i principi su cui si basa il sistema<br />
di percorsi enoturistici istituiti dalla Regione<br />
IL VINO SICILIANO FA STRADA<br />
pagina26SPECIALE<br />
di DARIO DI BERNARDI*<br />
L’obiettivo che stiamo perseguendo nell’ambito della legge regionale che regolamenta<br />
le Strade e rotte del vino in Sicilia (L.r. n. 5 del 2 agosto 2002) è di innalzare<br />
sul piano della visibilità la nuova realtà vitivinicola regionale e il suo meraviglioso<br />
paesaggio antropico, utilizzando una sorta di intelaiatura funzionale al territorio<br />
e ai servizi offerti.<br />
Si lavora costantemente su molti aspetti della sperimentazione e della ricerca applicata<br />
in viticoltura, microbiologia ed enologia, e questo ci dà la possibilità di accrescere i<br />
contenuti dell’informazione “Sicilia”, che viene poi proiettata sugli scenari della domanda<br />
nazionale e internazionale. Il progetto, infatti, è nato essenzialmente per favorire le<br />
economie delle imprese siciliane, ma tiene conto anche del feedback che ritorna allo<br />
stesso territorio, soprattutto ai giovani che, ri-conoscendo le proprie risorse, possono<br />
modificare il sistema di forza contrattuale e generare essi stessi una nuova forma di<br />
occupazione nella propria regione.<br />
I trend attuali, registrati dai più accreditati monitoraggi degli orientamenti dei consumatori,<br />
confermano una crescente attenzione verso consumi più consapevoli per tipicità,<br />
per valore salutistico dei prodotti e per ecocompatibilità ambientale.<br />
A differenza del packaging, il sistema vino legato al territorio, se ben costruito e gestito,<br />
non è un fenomeno riproducibile. La strada del vino, che associa gli elementi antropici<br />
del paesaggio alle attività di sperimentazione e innovazione vitivinicola, può<br />
quindi operativamente rappresentare un elemento distintivo e divenire uno straordinario<br />
moltiplicatore di valore anche per altri prodotti regionali nonché per il sistema turismo<br />
nel suo insieme.<br />
Produrre beni e servizi di buona qualità è infatti una condizione necessaria<br />
ma non sufficiente per l’affermazione di una marca. Il binomio vino-territorio indica<br />
invece come, superando le vecchie problematiche dell’immagine e del posizionamento,<br />
si possa entrare con determinazione in una nuova e promettente area<br />
di valori legati al brand Sicilia.
Non serve<br />
imitare i francesi<br />
o i toscani<br />
o la Napa Valley.<br />
Ciò che si deve<br />
proporre<br />
è un’identità<br />
autentica<br />
e irriproducibile.<br />
Bisogna cioè<br />
vendere<br />
la “sicilianità”<br />
come valore positivo<br />
Molte cose sono cambiate in questi ultimi dieci anni nella motivazione al consumo del<br />
vino, dove l’edonismo continua a mantenere la leadership, ma già adesso anche il volto<br />
etico della produzione comincia a sentire gli effetti benefici di un crescente appeal.<br />
Non sottovaluteremo quindi le spinte costanti verso il salutismo che stanno crescendo<br />
simultaneamente alla riduzione dei consumi intesi nel senso tradizionale. Anche i<br />
luoghi della mescita non a caso stanno cambiando. Un tempo si degustava solo nei<br />
grandi ristoranti, con carte dei vini ricche, ma incomprensibili ai più, oppure nelle enoteche<br />
con etichette spesso troppo care e ricercate. Tutte situazioni in cui il rapporto<br />
con il calice era, in un certo senso, “complesso” per le difficoltà d’interpretazione del<br />
vino, e più di recente divenuto davvero difficile per il consumatore, che, seppur appassionato,<br />
si sta scoraggiando di fronte a prezzi che senza dubbio non hanno ancora<br />
trovato un equilibrio nei confronti dell’euro.<br />
Oggi l’approccio con il vino è più libero e schietto, se non addirittura un faccia<br />
a faccia. Si cerca con fare disinvolto la qualità e la propria soddisfazione edonistica<br />
anche tra gli scaffali della Grande Distribuzione. C’è quasi un nuovo piacere<br />
nella scoperta della qualità al prezzo più basso. Il desiderio di una propria personale<br />
cultura del vino, anche in questa nuova direzione, è in costante in aumento: i corsi<br />
per sommelier, un tempo gratuiti e poco frequentati, sono molto richiesti e più impegnativi<br />
anche in termini economici; i wine bar, come le enoteche, sono frequentati<br />
da una clientela giovane, attenta all’offerta, qualche volta disposta a spendere ma in<br />
cambio di una qualità che vuole saper decodificare e comprendere.<br />
Di conseguenza divengono sempre più luoghi elettivi del consumo quei posti dove si<br />
può scegliere e viaggiare alla ricerca di conoscenze, legate a nuove ma anche vecchie<br />
storie, in un rapporto libero con il vino, non stressato dalla pressante figura degli<br />
“intenditori”, che a volte danno l’impressione di voler ricodificare il linguaggio del vino<br />
caricandolo di saccenza (cosa ben diversa dalla conoscenza) e finendo invece per privarlo<br />
della sua natura più semplice e autentica che si traduce in un immediato valore<br />
percepito del prodotto.<br />
Pensare al vino in chiave di marketing territoriale non è antagonistico o opposto ai<br />
criteri della Grande Distribuzione, dove il vino sta oggi vivendo un periodo di protagonismo.<br />
L’andamento del mercato conferma che oggi sia nella GD, sia negli altri luoghi<br />
di approvvigionamento, il vino non si beve, ma si degusta, si prova, si sperimenta.<br />
Un fenomeno di costume oltre che economico. La ricerca dell’emozione, infatti,<br />
è una tendenza che delinea il profilo del consumatore entrando a far parte anche<br />
del suo rapporto con la distribuzione. «Ha già sperimentato tutto – sostiene il sociologo<br />
Giampaolo Fabris –, per questo compra solo le cose che riescono, in una certa misura,<br />
a farlo sognare, a regalargli l’idea, o l’illusione, di un’altra vita; è un cliente difficile,<br />
cerca qualcosa che lo faccia “vibrare dentro”, qualcosa che gli procuri sensazioni».<br />
Il vino, pur non essendo un piacere elitario, può infatti offrire una lussuosa varietà edo-<br />
pagina27SPECIALE
Da sola,<br />
la qualità<br />
del vino<br />
non basta più.<br />
Le aziende<br />
maggiori<br />
lo hanno imparato:<br />
il “brand<br />
territoriale Sicilia”<br />
è in grado<br />
di aumentare<br />
il valore reale<br />
e percepito<br />
delle produzioni.<br />
L’ intera Isola<br />
sta in un bicchiere<br />
nistica: se di qualità, è sempre un’esperienza che stimola il palato, ma anche la fantasia,<br />
evocando mondi e modi di essere, e questo è ancor oggi un buon potenziale d’investimento<br />
in una idea di sicilianità percepita come modello di buon vivere.<br />
Si dice che un bicchiere di buon Chianti è una passeggiata in un podere toscano. E<br />
un bicchiere di Passito, di Marsala, di Etna o di Cerasuolo di Vittoria? Quale paesaggio<br />
della Sicilia, quali emozioni, quali archetipi evocano nel consumatore? È questo il<br />
lavoro che su più fronti, sia pubblici che privati, abbiamo cominciato a costruire per gli<br />
anni a venire.<br />
Le più note imprese regionali accettano di buon grado e addirittura favoriscono un felice<br />
scambio d’interessi tra il packaging aziendale e le politiche rivolte alla valorizzazione<br />
della territorialità, coscienti che una bella scenografia alle spalle incide certamente<br />
sulla percezione qualitativa del prodotto singolo. Sanno che il “brand territoriale<br />
Sicilia” può aumentare il valore reale e percepito e che la qualità del vino, da sola,<br />
non basta più.<br />
La rinnovata vitalità del packaging del vino nello sfondo di un forte connubio vino-territorio<br />
può infatti contribuire a rendere sempre più visibili gli aspetti invisibili del mondo<br />
del bere, per sfruttare appieno le tendenze in atto che stanno rinvigorendo il mercato<br />
vinicolo.<br />
Si va sempre più diffondendo la consapevolezza che è importante adottare comportamenti<br />
salutistici. Il risveglio del sapore tipico è indissolubilmente legato al risveglio<br />
dell’ambiente inteso come esigenza di recupero esistenziale. E, anche se attraverso<br />
una non completa elaborazione intellettuale, siamo convinti che il fenomeno stia già<br />
condizionando la scelta motivazionale, determinando una spinta verso stili di comportamento<br />
e di relazioni interpersonali che riconducono ai prodotti naturali e ai loro percorsi,<br />
rientrando così a pieno titolo nella visione salutistica del bere, nel cui profilo apprezzabili<br />
ricerche di settore indicano la sopravvivenza commerciale del vino.<br />
Dal punto di vista metodologico il SIT realizzato su software ArcWiew GIS dalla<br />
Regione siciliana presso l’Istituto regionale della Vite e del Vino, ma non ancora<br />
completamente a regime, resta un valido strumento operativo, in quanto permette<br />
di rispondere alle numerose richieste che provengono dal variegato mondo<br />
della comunicazione e alle curiosità dei tour operator, che si muovono con ritmi di<br />
produzione non coincidenti con i tempi di raccolta delle informazioni vino-territorioambiente.<br />
Questo è un punto economicamente vitale per quanto riguarda la formazione dei “pacchetti<br />
soggiorno”, laddove l’incidenza del fatturato in generale del “turismo verde” è un<br />
aspetto molto marginale del business turismo, ma con un trend in crescita che ne motiva<br />
un certo interesse. La possibilità di sapere cosa c’è nel territorio attraverso un sistema<br />
efficace e aggiornato crea un immediato contatto che semplifica la definizione<br />
dell’offerta.<br />
Una dislocazione remota del nodo informativo in punti collocati all’interno delle<br />
singole Strade, ad esempio presso le enoteche locali o i punti di accoglienza<br />
o altro, permetterà la realizzazione di un network con flussi di dati in e aut e quindi<br />
un monitoraggio in costante aggiornamento.<br />
Se poi inseriamo questo lavoro nel generale contesto operativo dei settori tecnici preposti<br />
alla valorizzazione del patrimonio vitivinicolo regionale, troviamo nella ricerca –<br />
in particolare, in questi ultimi anni, nella selezione clonale e in quella microbiologica –<br />
un valido riferimento per gli aspetti innovativi dei programmi a sostegno della futura<br />
produzione. Un aspetto importante è che queste iniziative hanno costi bassissimi e valorizzano<br />
le risorse professionali del territorio, creando così le basi per un’economia vitivinicola<br />
reale e permanente.<br />
La crescita del sistema Strade del vino di Sicilia non deve, a nostro avviso, risiedere<br />
nel tentativo di imitare i francesi o i toscani o la Napa Valley. Ciò che si<br />
deve proporre è un’identità autentica e irriproducibile. È questa l’idea vincente<br />
delle Strade del vino: vendere la sicilianità come valore positivo. Costruire una realistica<br />
“glocalizzazione” della ruralità siciliana. Questo non tanto per affermare un principio<br />
filosofico, quanto per il fatto che l’originalità e la novità nel proporsi possono divenire<br />
l’elemento chiave della visibilità.<br />
Con le parole dello storico Fernand Braudel possiamo affermare che il Mediterraneo<br />
ha una forte identità legata al vino, all’olio e al grano. Oggi, per valorizzare<br />
una tradizione viticola tra le più ricche del Mediterraneo, il sistema Strade del vino, nelle<br />
sue componenti pubbliche e private, si è già attivato con l’obiettivo di caratterizzare<br />
e dare contenuti al brand territoriale Sicilia. È per questo che la Regione ha investito<br />
a partire dagli anni Novanta in risorse umane ed economiche, e ha individuato nell’uso<br />
di cartografie digitali, nell’emanazione di una legge regionale, nell’adozione della cartellonistica<br />
e di un logo regionale, un metodo strutturato e in progress per documentare<br />
le emergenze viticole, enologiche, ambientali, culturali e turistiche.<br />
Ridotto all’estrema sintesi l’orientamento oggi condiviso su molti fronti è quello di contribuire<br />
a qualificare e al tempo stesso tutelare il futuro dei vini di Sicilia.<br />
*Dirigente tecnico presso l’Istituto regionale della Vite e del Vino<br />
pagina28SPECIALE
L’enologia<br />
regionale<br />
letta come<br />
“capitale sociale”<br />
su cui investire.<br />
L’indagine<br />
si concentra<br />
sugli aspetti<br />
socioculturali<br />
che rallentano<br />
la crescita<br />
del comparto.<br />
Troppo netta<br />
la separazione<br />
tra pubblico<br />
e privato<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Pubblicati i risultati di una ricerca sulle figure<br />
imprenditoriali della vitivinicoltura siciliana<br />
di qualità e sui percorsi enoturistici. Ipotizzate<br />
alcune linee guida per rendere le Strade del vino<br />
una reale e competitiva occasione di sviluppo<br />
SI VINCE ANDANDO “A RETE”<br />
di ANTONELLA ARTISTA*<br />
Le Strade del vino siciliane, intese come “sistema integrato di offerta turistica”,<br />
rappresentano un caso paradigmatico, sebbene carico di criticità, di “capitale<br />
sociale” entro un territorio definito. Il “capitale sociale” si configura come costrutto<br />
concettuale strategico per lo studio di esperienze di aggregazione nel territorio, fra attori<br />
pubblici e privati, mirate alla costruzione negoziata di “reti di sviluppo”. I percorsi<br />
eno-gastronomico-turistici, infatti, possono rappresentare un’occasione di nevralgica<br />
importanza per estendere e incrementare processi di partecipazione a progetti di sviluppo<br />
a spiccata valenza territoriale.<br />
Sul comparto vitivinicolo e sul tema dell’enoturismo, con particolare riferimento<br />
al contesto siciliano, è stata condotta una ricerca, i cui risultati sono presentati<br />
e analizzati nel recente volume Vino e reti di sviluppo: percorsi enoturistici e figure<br />
imprenditoriali dell’enologia siciliana di qualità (Franco Angeli, Milano 2005). La realtà<br />
vitivinicola siciliana, orientata alle produzioni di qualità, è stata individuata come<br />
campo di osservazione privilegiato per l’analisi di alcune dimensioni critiche dei processi<br />
di sviluppo locale.<br />
L’analisi tracciata in questa pubblicazione, di taglio eminentemente sociologico,<br />
si concentra sugli aspetti socioculturali e politico-istituzionali che costituiscono<br />
un limite alla costruzione di “network di sviluppo” nel territorio. Oltre all’individuazione<br />
delle principali linee di frattura tra versante privato e settore pubblico, la ricerca<br />
ha permesso di tematizzare i fattori che ostacolano o rallentano i processi di partecipazione<br />
collettiva ad azioni di sviluppo, mettendo a fuoco, in particolare, quelli legati alla<br />
capacità degli attori locali di aggregarsi e “fare sistema” in chiave autopropulsiva.<br />
pagina29SPECIALE
Quattro<br />
le province<br />
prese in esame:<br />
Agrigento,<br />
Catania, Palermo<br />
e Trapani.<br />
Sono stati<br />
intervistati<br />
ventidue tra<br />
i maggiori<br />
produttori e<br />
alcuni testimoni<br />
del mondo<br />
delle Istituzioni.<br />
Unico il tema:<br />
politica e sviluppo<br />
Va subito evidenziato, infatti, che le politiche per lo sviluppo socioeconomico delle aree<br />
svantaggiate si traducono spesso in misure distributive a beneficio di interessi particolaristici,<br />
restando in questo modo inefficaci per l’attivazione di processi di sviluppo locale<br />
caratterizzati da coesione, stabilità e diffusività.<br />
L’itinerario di ricerca seguito ha permesso di verificare empiricamente l’esistenza e/o<br />
l’assenza in alcune aree della Sicilia di quei beni pubblici, di natura collettiva e “relazionale”,<br />
che risultano indispensabili per la realizzazione di un progetto di sviluppo<br />
incentrato su risorse e fattori autogeni, e – contestualmente – di mettere in luce<br />
le best practice e i comportamenti strategici da adottare per la costruzione di tali beni<br />
e il loro mantenimento cooperativo.<br />
Per dare all’enoturismo siciliano uno spessore e un respiro internazionale è necessario<br />
inquadrarlo nella cornice di un più ampio progetto di sviluppo locale che, a differenza<br />
della semplice valorizzazione territoriale, si caratterizza per interventi, progetti<br />
e processi di trasformazione che si connotano per il loro aspetto multidimensionale<br />
e integrato, cercando di agire a livello economico, sociale, politico e culturale<br />
in modo da tessere un rapporto di stretta interdipendenza fra queste diverse direttrici<br />
dello sviluppo.<br />
Il corpus testuale esaminato nell’ambito della ricerca è rappresentato dalle interviste<br />
a ventidue imprenditori, tra i maggiori esponenti dell’enologia siciliana<br />
di qualità nelle quattro province oggetto di indagine – Agrigento, Catania,<br />
Palermo e Trapani – e ad alcuni testimoni privilegiati della sfera politico-istituzionale,<br />
responsabili della programmazione e delle politiche pubbliche riguardanti il settore<br />
vitivinicolo, con l’obiettivo di evidenziare le discontinuità e/o i punti di contatto<br />
fra le due sfere e di esaminare criticamente il ruolo delle istituzioni nei processi di<br />
sviluppo locale.<br />
Tra i principali deficit emersi dalla ricerca se ne segnalano alcuni di particolare rilevanza,<br />
evidenziando le resistenze strutturali più critiche all’affermazione del fenomeno<br />
enoturistico in Sicilia.<br />
Innanzitutto, il settore enoturistico non sembra ancora configurarsi come “sistema<br />
integrato di offerta turistica” secondo il modello distrettuale, sia per carenze di natura<br />
infrastrutturale del comparto turistico, dei trasporti, della ristorazione, ecc., sia per<br />
un’anomala dotazione di “capitale sociale”.<br />
Il distretto enoturistico viene descritto dalla maggioranza degli intervistati come un fenomeno<br />
allo stato nascente (fase pre-distrettuale) per la cui implementazione si richiede<br />
un processo di maturazione degli attori coinvolti, ai vari livelli, in direzione di una<br />
cultura dello sviluppo. Il passaggio dall’attuale fase nascente delle Strade del vino siciliane<br />
alla forma distrettuale implica un processo di costruzione partecipata percepito<br />
dagli intervistati come lento e rischioso, poiché, in assenza di un’adeguata pianificazione<br />
e di strategie mirate di gestione, i limiti, le resistenze e le lacune di carattere<br />
strutturale, culturale e politico-istituzionale finirebbero con il prevalere determinando<br />
una tendenza involutiva della realtà in formazione.<br />
Dalle dichiarazioni di alcuni imprenditori intervistati emerge anche l’esigenza di un<br />
soggetto pubblico, individuato nell’amministrazione regionale, che eserciti a livello me-<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Con il riconoscimento delle Strade del vino della<br />
provincia di Messina e del Val di Mazara gli itinerari<br />
siciliani, istituiti dall’assessorato regionale<br />
all’Agricoltura e Foreste su proposta dell’Unità<br />
operativa 23 “Vitivinicoltura”, sono arrivati a quota<br />
undici. Un numero destinato a crescere, tenuto conto<br />
che sono già in corso di riconoscimento la “Strada<br />
Isola Ferdinandea Terre di Sciacca, Burgio,<br />
Caltabellotta e Ribera” e la “Strada dei vini delle<br />
Madonie sul percorso della targa Florio”.<br />
Ma in che modo le Strade e rotte del vino possono<br />
diventare uno strumento di valorizzazione e di sviluppo<br />
per la Sicilia? La legge n. 5 del 2 agosto 2002, che ne ha<br />
regolato l’istituzione, le definisce «itinerari turistici lungo i<br />
quali insistono vigneti, cantine, enoteche, musei della vite<br />
pagina30SPECIALE<br />
Le iniziative dell’assessorato regionale Agricoltura<br />
per lanciare le undici Strade del vino siciliane<br />
promuovendone un’immagine coordinata<br />
e affinando la professionalità degli operatori<br />
ISTITUIRE NON BASTA<br />
di GIUSEPPE BURSI* E CLAUDIA DI MAIO*<br />
e del vino, centri di informazione e accoglienza, aziende<br />
specializzate in produzioni tipiche e di qualità, strutture<br />
turistico ricettive, valori naturali, culturali e ambientali».<br />
L’obiettivo è quindi quello di attirare potenziali visitatori<br />
che, motivati dalla loro passione per il vino, scoprono un<br />
territorio, le sue bellezze naturali e architettoniche, ma<br />
anche la sua cucina, le sue tradizioni, la sua cultura.<br />
Perché le Strade siano realmente fruibili occorre<br />
però renderle operative e promuoverle. È questa la<br />
parte più difficile, come dimostra l’esperienza di altre<br />
regioni che, pur essendo partite prima della Sicilia,<br />
spesso fanno i conti con Strade attivate solo sulla carta.<br />
Esistono per fortuna esempi più edificanti di Strade che<br />
funzionano, operano e sono riuscite a diventare volano<br />
di sviluppo di un territorio. Da queste esperienze
Formazione e<br />
aggiornamento<br />
professionale,<br />
promozione ,<br />
informazione e<br />
comunicazione,<br />
incentivi destinati<br />
alle imprese.<br />
Sono queste<br />
le regole d’oro<br />
per far volare<br />
l’economia<br />
di un settore<br />
che promette<br />
ai suoi addetti<br />
un roseo futuro<br />
ta-locale funzioni di “regia” delle dinamiche endogene di sviluppo, ancorandole a un<br />
indirizzo programmatico e a un paradigma organizzativo che abbiano funzioni di orientamento<br />
e di coordinamento delle diverse iniziative promosse su base locale (Comuni,<br />
Province). Le politiche pubbliche e i connessi interventi operativi a sostegno della<br />
filiera vitivinicola, infatti, non sembrano armonizzarsi nel quadro di un paradigma di sviluppo<br />
integrato e di una visione strategica unitaria imperniati su un modello di management<br />
e di marketing del territorio. Ne deriva che i percorsi del vino e del gusto siciliani,<br />
in assenza di un “modello” di riferimento che ne orienti le strategie di gestione,<br />
promozione e valorizzazione, potrebbero non tradursi in reali occasioni di sviluppo e di<br />
crescita per il territorio.<br />
L’integrazione dei diversi percorsi in un sistema “a rete” rappresenta, inoltre,<br />
un fattore strategico per le politiche di marketing delle Strade del vino, in<br />
quanto da essa dipende la comunicazione di un’immagine coerente e coordinata<br />
della costellazione di realtà enogastronomiche locali e degli itinerari turistici ad esse<br />
connessi. L’attrazione esercitata sul consumatore, infatti, sarà tanto maggiore<br />
quanto più le campagne promopubblicitarie di questi percorsi del gusto si baseranno<br />
sul concetto di brand territoriale, ossia di promozione dell’offerta enogastronomica<br />
e di tipicità del sistema territoriale siciliano, facendo leva sulla nozione di “marca<br />
Sicilia”. La “marca territoriale”, infatti, assolve la funzione fondamentale di coagulare<br />
e portare a sintesi la promozione delle diverse Strade del vino riconosciute,<br />
sfuggendo al rischio di una comunicazione settoriale, parcellizzata e priva di coordinamento.<br />
In conclusione, le undici Strade del vino siciliane finora ufficialmente riconosciute, costituiscono<br />
un primo step in direzione di un sistema integrato di offerta turistica (distretto<br />
eno-gastronomico-turistico) che, tuttavia, necessita di elevare il livello di intersettorialità<br />
e di integrazione reticolare tra i diversi comparti coinvolti e del passaggio a una<br />
fase di implementazione operativa.<br />
Dalla ricerca è emerso altresì, in linea con il Quarto Rapporto del Censis Servizi sul<br />
Turismo del vino [2004], come – a sette anni dall’approvazione della legge nazionale<br />
sulle Strade del vino (L. 268/99) – l’enoturismo necessiti di una decisa azione di rilancio<br />
per consentire alle Strade di mettere definitivamente “a sistema” la loro offerta turistica.<br />
Quattro, in particolare, gli aspetti che andrebbero sviluppati: la formazione e l’aggiornamento<br />
professionale degli operatori impegnati nelle Strade del vino; una più efficace<br />
promozione di sistema; il miglioramento del sistema informativo e di comunicazione;<br />
incentivi alle imprese che fanno accoglienza turistica.<br />
Se queste linee guida saranno efficacemente seguite, il turismo enogastronomico potrà<br />
ampiamente dispiegare anche in Sicilia le proprie potenzialità e divenire una reale<br />
e competitiva occasione di sviluppo.<br />
* Dottore di ricerca in Sociologia (Università di Catania).<br />
Insegna Sociologia dei fenomeni politici nelle Facoltà di Scienze della Formazione<br />
e di Economia dell’Università di Palermo<br />
dobbiamo prendere lo spunto per cercare di organizzare<br />
al meglio i percorsi enoturistici siciliani.<br />
Occorre quindi creare itinerari appetibili dove, al di là<br />
delle bellezze naturali – che per fortuna in Sicilia non<br />
mancano –, occorre proporre servizi e iniziative a uso del<br />
visitatore. È chiaro inoltre che il successo di una Strada<br />
dipende molto dalla professionalità delle aziende<br />
aderenti, ma soprattutto dall’attività di coordinamento dei<br />
Comitati di gestione dei singoli percorsi, che dovranno<br />
garantire una organizzazione adeguata alle esigenze<br />
degli enoturisti. Ecco quindi i centri di informazione,<br />
l’offerta di servizi, la garanzia del rispetto degli standard<br />
di qualità da parte degli aderenti, il materiale<br />
promozionale e in generale tutto ciò che è utile per<br />
ottimizzare la fruizione del territorio.<br />
Al fine di sottolineare l’importanza che può assumere<br />
tale logica di “sistema” e al contempo accrescere la<br />
professionalità degli aderenti, l’Unità operativa 23<br />
dell’assessorato regionale Agricoltura ha avviato nei<br />
mesi di novembre e dicembre 2005 un percorso<br />
formativo-informativo rivolto alle singole Strade.<br />
Nel corso di seminari, della durata di due giorni,<br />
sono stati affrontati diversi temi: dalla legislazione<br />
nazionale e regionale all’importanza di una corretta<br />
cultura dell’accoglienza; sono state inoltre illustrate<br />
le tecniche di promozione aziendale, cercando di far<br />
crescere tra i partecipanti la consapevolezza che il<br />
successo di una Strada dipende essenzialmente dalla<br />
capacità dei singoli di sentirsi protagonisti di un unico<br />
progetto. Altri incontri sono previsti per il 2006 e si pensa<br />
di concludere l’attività con un evento da realizzarsi a<br />
settembre, alla presenza della stampa specializzata,<br />
finalizzato a presentare e promuovere le Strade siciliane.<br />
È stato inoltre pubblicato un bando di gara per il<br />
finanziamento di una serie di misure riguardanti la<br />
creazione di una apposita segnaletica che guidi il<br />
visitatore lungo le Strade, la realizzazione di attrezzati<br />
centri di informazione, l’adeguamento delle cantine ai<br />
requisiti di qualità previsti dai disciplinari. In programma<br />
anche altri interventi finalizzati a promuovere<br />
un’immagine coordinata delle Strade del vino siciliane,<br />
nella consapevolezza che quanto più si riuscirà a fare<br />
“sistema”, tanto maggiori saranno le ricadute positive<br />
non solo per il singolo socio, ma per l’intero territorio.<br />
* Unità operativa n. 23 “Vitivinicoltura”,<br />
assessorato Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />
agri1.viticoltura@regione.sicilia.it<br />
pagina31SPECIALE
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
pagina32SPECIALE<br />
|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />
Strada del vino Monreale Doc<br />
CATARRATTO, OVVERO IL RE DEL PALERMITANO<br />
Nel territorio della provincia di Palermo si coltivano, secondo l’Srrfv-Agea, circa 16.000 ettari di vigneto, con<br />
una produzione media di poco più di 1 milione di ettolitri. Il Catarratto, già descritto in questi luoghi dal Cupani<br />
nel suo Hortus Catholicus (1696) come «vitis uberrima rotundo fructu albo, omnium opprime succosum admodum<br />
dulci», è il vitigno tradizionale bianco maggiormente diffuso. Dagli anni Novanta sono state introdotte varietà innovative<br />
che, insieme ai 1.200 ettari di Nero d’Avola, costituiscono oggi un’ampia base ampelografica orientata alla<br />
produzione di vini moderni e di alta qualità.<br />
Molto del successo dei vini di Sicilia nelle enoteche e nei ristoranti colti diffusi in Italia e nel mondo si deve all’antica<br />
tradizione enologica del territorio palermitano. Già nel Cinquecento, infatti, Tommaso Falzello indicava la piana di Palermo<br />
come una fra le zone più importanti per la produzione vinicola, e i vini della zona sono citati tra i migliori bianchi<br />
dell’Isola anche dal bottigliere di Paolo III Farnese, Sante Laucezio. Alla fine del Settecento il poeta Giovanni Meli<br />
descrive nel suo Ditirammu i vini del Palermitano, tracciando i primi appunti per un’enologia moderna. E dell’eccellenza<br />
di queste produzioni torna a parlare Domenico Scinà nella Topografia di Palermo e dei suoi contorni.<br />
Enrico Alliata, Duca di Salaparuta, è il fondatore delle Cantine che a Casteldaccia hanno dato vita all’intramontabile<br />
mito del Corvo, sulle cui ali il vino di Sicilia ha girato le migliori tavole del mondo. Con il nome di “Colomba bianca”<br />
Topazia Alliata ha espresso meravigliosamente in un’etichetta il segno di grande civiltà che un vino può tracciare<br />
nel e del suo territorio.<br />
Grandi personalità, che hanno fatto grandi famiglie e hanno dato un carattere nobile al rapporto dell’uomo<br />
con il vino, legittimandone il piacere. Molte delle cose che oggi definiamo trendy, lo stesso gusto internazionale<br />
che è anche il modo in cui si apprezza un vino, sono già pienamente vissute nella vita di questi aristocratici gattopardi.<br />
È una grande tradizione, quella dei Conti Tasca d’Almerita. E quanta storia contadina – una storia che ha sempre<br />
affascinato i più interessanti scrittori di cose siciliane – è ancora trasmessa dalle colline palermitane? Queste zone<br />
sono ora identificate come Doc Contea di Sclafani, Contessa Entellina, Monreale, denominazioni che forse<br />
non hanno ancora avuto il giusto risalto, un po’ oscurate dai prestigiosi marchi aziendali.<br />
Oggi nel territorio di Monreale si possono trovare agriturismi di elevatissimo pregio, molte cantine all’avanguardia e<br />
vini di ottima fattura.<br />
DA VEDERE La cittadina di Monreale, a sette chilometri da Palermo e a 320 m di altitudine, è celebre per il<br />
suo Duomo e per l’annesso chiostro benedettino. La visita del complesso richiede almeno un’ora e mezzo, ma è altamente<br />
consigliata.<br />
La chiesa fu fondata nel 1174 dal sovrano normanno Guglielmo II il Buono, che la dedicò alla Madonna. L’edificio<br />
ha una struttura basilicale a tre navate, divise da diciotto colonne di epoca romana. Le pareti sono decorate con<br />
splendidi mosaici, tra i quali spicca l’imponente figura del Cristo pantocratore nel catino absidale. Una curiosità per<br />
gli “enoappassionati” è il mosaico L’ebbrezza di Noè, databile tra la fine del XII e la metà del XIII secolo.
LE RISORSE<br />
PAESAGGISTICHE<br />
ISOLA<br />
DI PANTELLERIA<br />
ISOLE<br />
DELLO STAGNONE<br />
DI MARSALA<br />
LAGO PREOLA<br />
E GORGHI TONDI<br />
SALINE DI TRAPANI<br />
E PACECO<br />
AREA MARINA<br />
PROTETTA<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />
Strade del vino Alcamo Doc, Erice Doc,<br />
Marsala-Terre d’Occidente e Val di Mazara<br />
TRAPANI SI È FATTA IN QUATTRO<br />
Con i suoi circa 67.400 ettari di vigneto, Trapani è la provincia più vitata d’Italia,<br />
il 57% della superficie dedicata siciliana, e fa registrare ogni anno una produzione<br />
in vino e mosti che mediamente si aggira sui 3 milioni e mezzo di ettolitri.<br />
Il Catarratto è il vitigno storicamente più diffuso e occupa circa il 50%<br />
della superficie coltivata a vigneto.<br />
Tra le uve bianche spiccano anche il Grecanico, l’Inzolia, il Trebbiano,<br />
lo Chardonnay, lo Zibibbo; tra le uve rosse, il Nero d’Avola, con ben 3800 ettari circa,<br />
seguito dal Syrah, con 3000 ettari, e poi dal Merlot, dal Cabernet Sauvignon<br />
e molte altre varietà locali, come Grillo, Perricone, Viognier, Alicante.<br />
BERE TRA JAZZ E ARTE Il disciplinare di produzione della Doc Alcamo è stato recentemente<br />
modificato. Dopo il riconoscimento iniziale come “Alcamo o Bianco Alcamo” (Gu n. 249/72) le mutate condizioni<br />
di mercato, con una domanda nazionale e internazionale sempre più rivolta ai rossi, hanno fatto emergere la<br />
necessità di riscoprire e potenziare questo vino, il cui disciplinare è stato pertanto rivisto nel settembre 1999 (Gu n.<br />
241/99) così da includere, sotto la nuova denominazione “Alcamo”, anche le tipologie rosso e rosato.<br />
La base ampelografica (ovvero la composizione che deve avere il vino per ottenere questa denominazione d’origine)<br />
è stata dunque ampliata per le uve bianche ed estesa alle uve nere, a cominciare dal Nero d’Avola.<br />
Alcamo è sede dell’Enoteca regionale, che si trova presso il Castello dei Conti di Modica nel cuore del centro storico<br />
del paese. Cittadina di particolare dinamismo, è nota per le frequenti rassegne jazz di notevole prestigio. Bellissime<br />
le colline vitate del territorio, testimoni di una civiltà contadina di forte identità, che si tramanda negli uomini, nelle<br />
architetture, nei luoghi, nei vigneti. Le aziende della zona, inoltre, raggiungono elevatissimi livelli qualitativi, non<br />
solo per i vini ma anche per un concetto di ospitalità molto amichevole.<br />
Vicino alla stazione si trovano sorgenti termali attrezzate che meritano un buon bagno di ristoro. E ancora, a pochi<br />
minuti, l’assolutamente imperdibile tempio elimo di Segesta, unico al mondo e in straordinario stato di conservazione,<br />
con il vicino teatro greco artisticamente attivo nel periodo estivo.<br />
Non lontano, sul mare, la bellissima Scopello, con una tonnara considerata uno degli approdi più belli per i naviganti.<br />
L’antico e romantico paesino offre inoltre ottimi servizi di ricettività e ristorazione.<br />
ERICE DA DEGUSTARE Proseguendo sulla costa in direzione di Trapani ha inizio la Strada del vino<br />
Erice Doc: un nome che da solo rievoca miti antichissimi e una storia millenaria. Ma Erice non è solo il fascino medievale<br />
immutato delle sue strade selciate e del suo castello, è anche un territorio (quello dei comuni dell’agro ericino,<br />
appunto) di rara bellezza e di naturale vocazione alla viticoltura grazie alle sue caratteristiche assolutamente straordinarie:<br />
la particolare morfologia dei suoli delle colline che circondano Monte Erice, il clima caldo-asciutto di un territorio<br />
compreso tra i 200 e i 700 metri d’altezza, la continua ventilazione grazie alla brezza marina, l’elevata escursione<br />
termica.<br />
La Strada annovera tra i suoi associati importanti cantine del vino italiano, leader in Sicilia, ma note ormai in tutto il<br />
mondo: Fazio, Cantina sociale di Trapani, Cantina Ericina. Non solo vino, però: il percorso della Erice Doc racchiude<br />
in sé tutte le realtà di eccellenza della zona; solo per citarne alcune, aziende agrituristiche che applicano i principi<br />
della fattoria didattica (agriturismo Borromeo), castelli medievali trasformati in resort di lusso (Torri Pepoli), casali<br />
o bagli da sogno (Corcella) per vacanze indimenticabili, agriturismi dove è ancora possibile trovare l’ospitalità, il calore<br />
e la cucina della più autentica tradizione siciliana (Baglio Fontana e Villa Immacolatella). Insomma, tutto ciò che<br />
è necessario per creare un itinerario affascinante anche agli occhi del turista italiano o straniero più esigente. Primo<br />
scopo della Strada del vino Erice Doc è quindi offrire pacchetti enoturistici con visite guidate, che permettano ai visitatori<br />
di godere non solo dei beni culturali presenti in quest’angolo di Sicilia in concentrazione straordinaria, ma anche<br />
dei suoi beni paesaggistici ed enogastronomici assolutamente unici al mondo.<br />
Molte le iniziative intraprese dalla Strada per promuovere la sua attività nel territorio; una per tutte è stata l’installazione,<br />
durante il periodo estivo, di un gazebo per la degustazione gratuita dei vini Doc Erice presso la stazione a<br />
monte della nuova funivia di Erice vetta, punto di arrivo per migliaia di turisti italiani e stranieri che visitano il suggestivo<br />
paese medievale: una forma di accoglienza molto apprezzata e un’ottima promozione dei vini del territorio, delle<br />
loro origini, delle caratteristiche dei vigneti di provenienza e dei sistemi di produzione. Oltre alla degustazione, per<br />
l’occasione il turista riceve una piantina dettagliata delle strade di Erice con l’indicazione dei percorsi per raggiungere<br />
i principali monumenti e le enoteche dove acquistare i vini degustati.<br />
LE MOLTE FACCE DEL MARSALA Siamo nei territori più vitati della Sicilia e probabilmente d’Italia.<br />
E se ci mettiamo pure Pantelleria, che da qui si raggiunge facilmente in aliscafo, in nave o in aereo, gli elementi<br />
di richiamo di questo territorio diventano talmente numerosi che è difficile dar loro un ordine. Probabilmente, però,<br />
non si sbaglia a mettere al primo posto tra le emozioni di questi luoghi la luminosità e i colori.<br />
È la patria della più estesa Doc della Sicilia, Marsala, che condivide una parte di territorio con la bellissima Erice,<br />
Doc a sua volta, oltre che una Strada del Vino. C’è poi la Doc Delia Nivolelli, oggi Strada del vino Val di Mazara, interessante<br />
terroir per il famoso vitigno Grillo e per la sua antica tradizione enologica. Dulcis in fundo, la Doc Pantelleria<br />
(moscati e passiti, naturali e liquorosi). Ma denominazioni d’origine a parte, non si potrà fare a meno di visitare<br />
pagina33SPECIALE
Mozia, il già famoso giardino dell’utopia di Whitaker, dove il museo di recente restaurato aiuta a leggere l’incredibile<br />
mito che anima ancora questa piccolissima isola.<br />
Conoscere veramente bene il vino Marsala non è impresa facile, perchè si tratta di una realtà complessa che si distingue<br />
in vari tipi, non solo per le diverse durate d’invecchiamento, ma anche per altre particolari caratteristiche codificate<br />
dalla tradizione e dalle esigenze commerciali.<br />
Schematicamente, i vini Marsala si classificano in Fine (con invecchiamento minimo di un anno), Superiore (con invecchiamento<br />
minimo di due anni), Superiore Riserva (con invecchiamento minimo di quattro anni), Vergine e/o<br />
Soleras (con invecchiamento minimo di cinque anni), Vergine e/o Soleras Stravecchio e Vergine e/o Soleras Riserva<br />
(con invecchiamento minimo di dieci anni), Ruby (per il quale non è previsto invecchiamento).<br />
pagina34SPECIALE
MAZARA CROGIUOLO DI CIVILTÀ Il vino Doc Delia Nivolelli, bianco, rosso e spumante, prodotto<br />
nel territorio dei comuni di Mazara del Vallo, Marsala, Petrosino e Salemi, può essere ottenuto dalla vinificazione<br />
delle seguenti varietà: Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Damaschino, Grecanico, Grillo, Inzolia, Merlot, Muller<br />
Thürgau, Nero d’Avola, Pignatello o Perricone, Sangiovese, Sauvignon, Syrah.<br />
La posizione geografica di questa zona, fertile e pianeggiante, la pone storicamente in un rapporto privilegiato con<br />
i paesi del Nord Africa. Divenuta famosa per gli scambi all’epoca dei fenici e per la sua conquista da parte degli arabi,<br />
è ricca di significativi monumenti e siti archeologici.<br />
A Mazara del Vallo è possibile vedere il Satiro danzante, una statua in bronzo e piombo, probabilmente databile intorno<br />
al III-IV secolo a.C., rinvenuta in due pezzi nelle acque del Canale di Sicilia tra il 1997 e il 1998.<br />
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i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
pagina36SPECIALE<br />
|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />
Strada del vino delle Terre Sicane<br />
CULTURA D’IMPRESA IN BOTTIGLIA<br />
In molti si chiedono se queste terre della provincia di Agrigento, oggi così moderne per cultura d’impresa e<br />
per le architetture dei luoghi del vino, siano state trainate dalla grande rivoluzione enologica siciliana, iniziata<br />
negli anni Novanta, o se ne siano protagoniste di assoluto primo piano. Ma una cosa è indiscutibile, e cioè che in questi<br />
luoghi è in corso un’azione umana capace di guardare al futuro con idee molto chiare e soprattutto con un atteggiamento<br />
responsabile nei confronti dell’ambiente.<br />
La provincia conta oggi 21.000 ettari di vigneto, di cui 5.850 coltivati a Nero d’Avola e 3.180 a Inzolia. È la seconda provincia<br />
per superficie vitata in Sicilia, con ben il 17,9% di quota, e produce circa 1,4 milioni di ettolitri tra vino e mosti.<br />
Trapani a parte, Agrigento da sola fa più che tutto il resto della regione e ha solide basi per produzioni di pregio. Le varietà<br />
nuove ci sono praticamente tutte, anche perché in questi territori si è fatta molta sperimentazione: troviamo dunque<br />
Fiano, Barbera, Viogner, accanto a Chardonnay, Merlot, Syrah, Cabernet e Aglianico.<br />
La strada del vino Terre Sicane è un itinerario-sistema in cui è possibile immergersi nell’atmosfera dell’antica Entella,<br />
che già Silio Italico aveva descritto verdeggiante di grandi vigne, di Adranone e delle mitiche Terme Acqua Pia di Montevago,<br />
o curiosare nel Parco letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa a Santa Margherita Belice, o esplorare il paesaggio<br />
delle colline dolci e fertili che da Menfi degradano verso il Mar d’Africa: terre in cui razze e culture diverse hanno<br />
saputo convivere, realizzando e poi mantenendo nel tempo un felice connubio tra vino e territorio.<br />
LE DOC Nella Doc Santa Margherita di Belice, riconosciuta nel 1996, i vitigni utilizzati sono essenzialmente Inzolia,<br />
Grecanico e Catarratto per i bianchi, e Nero d’Avola, Sangiovese e Cabernet Sauvignon per i rossi. Esiste anche<br />
nei tipi con indicazione del nome di vitigno (Catarratto, Grecanico, Inzolia, Nero d’Avola e Sangiovese).<br />
La Doc Sambuca di Sicilia, riconosciuta nel 1995, è prevista nelle tipologie bianco, rosso (anche riserva), rosato, con<br />
nome di vitigno (Chardonnay, Grecanico, Ansonica o Inzolia, Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon, Sangiovese, Merlot e<br />
Syrah) e passito. La tipologia bianca si basa soprattutto sul vitigno Ansonica o Inzolia (non meno del 50%), la rossa sul<br />
vitigno Nero d’Avola (non meno del 50%).<br />
La Doc Menfi esiste nei tipi bianco, rosso e con nome di vitigno (Chardonnay, Grecanico, Inzolia o Anzonica per i bianchi;<br />
Nero d’Avola, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Syrah e Merlot per i rossi). I vitigni utilizzati per le diverse tipologie<br />
sono Inzolia, Chardonnay, Catarratto bianco lucido e Grecanico, da soli o congiuntamente, per il bianco; Nero d’Avola,<br />
Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah, da soli o congiuntamente, per il rosso.<br />
Riconosciuta nel 1993, la Doc Contessa Entellina ha registrato una progressione ininterrotta dei volumi, che nel 2003<br />
hanno raggiunto i 5.191 ettolitri: quasi il 3% della produzione regionale di vini a denominazione d’origine. Il rosso e il<br />
rosato vengono ottenuti soprattutto da Nero d’Avola (minimo 50%) e/o Syrah, mentre il bianco soprattutto da Ansonica<br />
o Inzolia (minimo 50%). La Doc Contessa Entellina può anche essere seguita da un nome di vitigno, nella fattispecie<br />
Grecanico, Chardonnay, Sauvignon e Ansonica (Inzolia) per bianchi; Merlot e Pinot nero per i rossi.
PER GLI AMANTI<br />
DELLA NATURA<br />
in Provincia di Enna<br />
PARCO<br />
DEI NEBRODI<br />
LAGO DI PERGUSA<br />
MONTE ALTESINA<br />
MONTE CAPODARSO<br />
E VALLE DELL’IMERA<br />
MERIDIONALE<br />
ROSSOMANNO -<br />
GROTTASCURA -<br />
BELLIA<br />
SAMBUCHETTI -<br />
CAMPANITO<br />
VALLONE DI PIANO<br />
DELLA CORTE<br />
in Provincia<br />
di Caltanissetta<br />
BIVIERE DI GELA<br />
LAGO SFONDATO<br />
LAGO SOPRANO<br />
MONTE CAPODARSO<br />
E VALLE DELL’IMERA<br />
MERIDIONALE<br />
MONTE CONCA<br />
RISERVA<br />
GEOLOGICA<br />
DI CONTRADA<br />
SCALERI<br />
SUGHERETA<br />
DI NISCEMI<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />
Strada del vino dei Castelli Nisseni<br />
UN MOSAICO DI DELIZIE<br />
LE CITTÀ DA VISITARE Piazza Armerina è una zona di grande interesse archeologico, con la famosa<br />
Villa del Casale, costruzione romana del IV secolo dopo Cristo. Essa rappresenta oggi una straordinaria testimonianza<br />
della vita in epoca romana grazie ai suoi pavimenti mosaicati, famosi in tutto il mondo. Già dal 1997 l’Unesco<br />
l’ha dichiarata Patrimonio inalienabile dell’umanità.<br />
A breve distanza da Piazza Armerina sorge Morgantina dove troviamo i resti di quello che un tempo era un grosso<br />
borgo romano. Il sito antico di Morgantina offre al visitatore il quadro di oltre mille anni di storia, dalla fondazione della<br />
città in età preistorica fino al suo declino, avvenuto nell’età imperiale romana. Nella Sicilia interna, Morgantina è<br />
senza dubbio la città antica meglio conosciuta.<br />
Il Museo archeologico di Caltanissetta illustra la storia dei siti antichi del territorio urbano e extraurbano e di altri centri<br />
della provincia di Caltanissetta, dalla preistoria all’età tardo antica.<br />
Quod Siculis placuit sola Sperlinga negavit, la sola Sperlinga negò ciò che piacque ai siciliani (1292: la rivolta dei Vespri).<br />
Questa frase, scritta sull’arco del vestibolo del castello di Sperlinga, è la chiave di lettura della storia di un intero<br />
paese. Assolutamente da vedere il suggestivo castello, preistorico, arabo e francese, che è il più importante fra i manieri<br />
rupestri di tutta Europa.<br />
LA CULLA DEL NERO D’AVOLA È una delle zone storiche del Nero d’Avola. Con ogni probabilità il<br />
primo grande Nero d’Avola in purezza apprezzato nel mondo – il “Duca Enrico” della Duca di Salaparuta, pioniere del<br />
successo internazionale di questo vitigno – aveva i suoi natali nelle uve di queste zone.<br />
Negli anni Novanta vennero impiantati alcuni campi sperimentali controllati dall’Istituto regionale della Vite e del Vino di<br />
Palermo, dove furono definiti i modelli viticoli e i protocolli enologici che hanno dato vita a quella che oggi è una delle<br />
massime espressioni commerciali dei vini di Sicilia.<br />
LA DOC La denominazione d’origine caratterizzante il comprensorio è la Riesi Doc che prende il nome dal comune<br />
di Riesi, in provincia di Caltanissetta. È presente nelle tipologie bianco, rosso, rosato, superiore, spumante e vendemmia<br />
tardiva.<br />
Il bianco si ottiene da uve Ansonica e Chardonnay, sole o congiuntamente per il 75%, è di color paglierino e ha una gradazione<br />
minima di 11 gradi.<br />
Il rosso si ricava dai vitigni Nero d’Avola e Cabernet Sauvignon, per almeno l’80%, ha un colore rosso rubino intenso e<br />
una gradazione minima di 11,5 gradi.<br />
Il rosato è prodotto grazie all’impiego dei vitigni Nero d’Avola per il 50%-57% e Nerello Mascalese e/o Cabernet Sauvignon<br />
per il 25%-50%, la sua gradazione minima è di 11 gradi.<br />
Lo spumante è indicato per aperitivo e presenta una spuma fine, color paglierino, con gradazione minima di 10,5 gradi.<br />
LA TRADIZIONE GASTRONOMICA Quella della zona è una cucina essenziale, fortemente tradizionale<br />
e perciò dai sapori autentici. Tutto è molto siciliano: da non perdere, la pasta con salsa di pomodoro e melanzane,<br />
le carni e le verdure alla brace, i dolci con la ricotta, come i cannoli e le squisite raviole.<br />
pagina37SPECIALE
NATURA<br />
E PAESAGGIO<br />
RISERVA NATURALE<br />
MACCHIA FORESTA<br />
FIUME IRMINIO<br />
RISERVA NATURALE<br />
PINO D’ALEPPO<br />
CAVAGRANDE<br />
DEL CASSIBILE<br />
COMPLESSO<br />
SPELEOLOGICO<br />
VILLASMUNDO<br />
SANT’ALFIO<br />
FIUME CIANE<br />
E LE SALINE<br />
DI SIRACUSA<br />
GROTTA MONELLO<br />
GROTTA PALOMBARA<br />
OASI FAUNISTICA<br />
DI VENDICARI<br />
PANTALICA,<br />
LA VALLE<br />
DELL’ANAPO,<br />
IL TORRENTE<br />
CAVA GRANDE,<br />
LE SALINE DI PRIOLO<br />
LE DENOMINAZIONI<br />
CERASUOLO<br />
DI VITTORIA DOCG<br />
ELORO DOC<br />
MOSCATO<br />
DI NOTO DOC<br />
MOSCATO<br />
DI SIRACUSA DOC<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
pagina38SPECIALE<br />
|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />
Strada del vino Cerasuolo di Vittoria<br />
Strada del vino Val di Noto<br />
I PERCORSI DEL BAROCCO<br />
Territorio compreso tra le province di Ragusa e Siracusa, di grande intensità per storia, enologia, paesaggi di<br />
raffinata bellezza e gastronomia, in un generale contesto di ricettività turistica di buon livello, con una discreta<br />
diffusione dell’agriturismo. Sono queste le zone di origine di diffusione della vite in Sicilia e probabilmente nel Mediterraneo,<br />
perché anticamente controllate dai greci, che furono gli artefici delle coltivazione della vite e dell’olivo.<br />
Reperti archeologici, come le giare scoperte a Pompei, testimoniano che questi territori – in particolare la zona di Camarina,<br />
già identificata in età romana come “Mesopotanium” – svolsero una funzione di collegamento con il flusso commerciale<br />
dei vini nel II secolo a.C. tra Sicilia, Gallia e Spagna. Oggi c’è un interessante museo a Camarina.<br />
Andrea Bacci nel 1569 cita il vino siracusano – dicendo che aveva il primato presso i cavalieri di Malta – e il Netino, da<br />
Noto, della cui bontà veniva riferito al papa Paolo IV.<br />
LA TRADIZIONE VITIVINICOLA Ragusa ha una superficie coltivata a vite pari a circa 1.250 ettari con<br />
una produzione tra vino e mosti intorno ai 120.000 quintali. Il Nero d’Avola è il vitigno principe, con 941 ettari, seguito dal<br />
Frappato, dallo Chardonnay e dal Cabernet Sauvignon. Ci sono anche alcune centinaia di ettari di Ciliegiolo, che mantiene<br />
una maggiore diffusione nella zona rispetto al Syrah, il quale sta avendo un grande successo in tutta la Sicilia.<br />
Siracusa ha 1.865 ettari di vigneti e 97.000 quintali di prodotto, con una bassa resa di cinquantadue quintali per ettaro.<br />
Il Nero d’Avola è il vitigno più coltivato con circa 1.685 ettari, seguono il Moscato bianco, l’Inzolia, il Merlot e gli altri noti<br />
bordolesi.<br />
Il Nero d’Avola, detto anche Calabrese, proviene dalla zona di Avola e si è poi diffuso prima nelle vicine Noto e Pachino<br />
e infine a macchia d’olio in tutta la Sicilia. Quest’area – un triangolo isoscele avente come base Noto-Ispica e come vertice<br />
Porto Palo – è tradizionalmente una delle zone più vocate della Sicilia per la coltivazione del Nero d’Avola.<br />
La storia della vitivinicoltura a Pachino è legata a don Antonio Starrabba, marchese di Rudinì, annoverato insieme ai Tasca,<br />
Florio, Woodhouse, Ingham, a don Enrico Alliata, ai Camporeale, al barone Spitaleri e al duca d’Aumale come innovatori<br />
dell’industria enologica siciliana.<br />
Le più antiche cantine risalgono alla fine del Seicento. A partire dal Settecento le vasche incominciarono a essere scavate<br />
nella roccia, come tuttora visibile nelle cantine storiche di Pachino (Marzamemi).<br />
LE CARATTERISTICHE DEI VINI DEL TERRITORIO Sono queste le zone di origine del<br />
Nero d’Avola, nobile vitigno che ha reso internazionale l’immagine della moderna Sicilia enologica e che unendosi al<br />
Frappato, altro vitigno caratteristico della zona, ha conquistato la grande vetta della qualità dei vini italiani con la Docg<br />
Cerasuolo di Vittoria, la prima in Sicilia. La prestigiosa denominazione è stata ottenuta, dopo anni di impegno, dagli oltre<br />
trenta viticoltori, vinificatori e imbottigliatori riuniti nel Consorzio di tutela del Cerasuolo di Vittoria. Il disciplinare della<br />
Docg stabilisce le percentuali delle cultivar coinvolte: dal 50 al 70% di Nero d’Avola, che dà forza e struttura, e dal 30 al
50% di Frappato, che conferisce eleganza, morbidezza e sentori fruttati. Fissata anche la resa per ettaro, che non dovrà<br />
superare gli 80 quintali. La vecchia Doc del Cerasuolo verrà rimpiazzata dal “Vittoria Rosso” che prevede etichette<br />
di Nero d’Avola, Frappato, Novello e Inzolia.<br />
L’Eloro Doc prende il nome dalla cittadina di Eloro, in provincia di Siracusa, uno dei luoghi panoramici più belli del Golfo<br />
di Noto, nonché sito archeologico di grande interesse per le testimonianze della civiltà greca che ci ha tramandato. Il rosso<br />
e il rosato si ricavano da uve Nero d’Avola, Pignatello, Frappato, sole o congiuntamente, per il 90%. Il primo è di colore<br />
rosso rubino con riflessi violacei e granati, ha profumo robusto, franco, un po’ etereo, e sapore sapido, giustamente tannico<br />
con un retrogusto asciutto e amarognolo, appena acidulo; la temperatura ideale di servizio è di 18-20°C. Il rosato si<br />
presenta di un colore rosa-grigio, con riflessi granati; ha un profumo è delicato, con aroma di frutta, e un sapore fruttato,<br />
caratteristico, vellutato, leggermente acido; si consiglia di servirlo a 13-15°C. Le tipologie Frappato e Nero d’Avola si ottengono<br />
per il 90% dai corrispondenti vitigni, mentre il Pignatello prevede l’impiego delle stesse uve per l’80%. L’Eloro Doc<br />
di Pachino è prodotto per l’80% da uve Nero d’Avola e per la restante percentuale da uve Frappato e/o Pignatello; all’esame<br />
visivo si presenta di color rosso rubino, granato intenso, con riflessi rosso mattone dopo l’invecchiamento; ha profumo<br />
intenso, muschiato, generoso e un sapore robusto, tannico, con retrogusto vellutato.<br />
I Moscati di Noto e di Siracusa Doc sono vini da meditazione, aromatici, classici, rotondi, vellutati, armonici. Frutto di antica<br />
sapienza, eppure moderni, freschi, con raffinati aromi floreali, hanno una particolare profondità e delicatezza.<br />
Il Moscato di Noto può essere naturale o liquoroso, a seconda se nella sua vinificazione è prevista o meno l’aggiunta<br />
di alcol. Per quanto riguarda le caratteristiche organolettiche, il colore va dal giallo dorato, più o meno intenso,<br />
all’ambrato, il profumo è caratteristico e fragrante, il sapore leggermente aromatico. La temperatura ideale di servizio<br />
è di 11-13°C.<br />
Il Moscato di Siracusa è invece soltanto naturale; ne potrebbe essere l’antenato il famoso “Biblino”, il vino dell’antichità<br />
per eccellenza, noto con la denominazione di Pollio. Il colore è giallo oro vecchio con riflessi ambrati, il profumo<br />
delicato e caratteristico, il sapore dolce, vellutato, gradevole. La temperatura ideale di servizio è di 12-15°C.<br />
ARTE E LETTERATURA Il territorio presenta elementi di notevole richiamo turistico e culturale, tra i quali<br />
spicca il Teatro greco di Siracusa, che ogni anno ospita il ciclo di rappresentazioni classiche organizzato dall’Istituto nazionale<br />
del dramma antico.<br />
Sempre a Siracusa, merita una visita il Museo archeologico regionale Paolo Orsi, fondato nel 1886 con sede in piazza<br />
del Duomo. Nel corso degli anni la collezione si è via via accresciuta rendendo necessaria la progettazione di un nuovo<br />
spazio, nel giardino di villa Landolina. Oggi il museo, disegnato dall’architetto Franco Minissi e inaugurato nel gennaio<br />
1988, dispone di due piani espositivi e di un seminterrato con auditorium. Il materiale esposto, al momento, comprende<br />
reperti risalenti dalla preistoria fino al periodo greco.<br />
Da non perdere poi le cittadine di Modica e di Noto, quest’ultima – soprannominata “giardino di pietra” – è stata universalmente<br />
eletta capitale mondiale del barocco.<br />
Per gli amanti della poesia e della narrativa si consiglia anche una visita al Parco letterario Quasimodo, che si trova a<br />
Modica, e al Parco letterario Elio Vittorini, che ha sede a Siracusa.<br />
LA GASTRONOMIA Produzioni locali da non perdere assolutamente sono il cioccolato di Modica – confezionato<br />
secondo l’antica ricetta azteca, che gli conferisce la caratteristica consistenza granulosa –, i buonissimi formaggi<br />
della provincia, tra cui il Ragusano Dop, e ancora la pasticceria di Noto.<br />
pagina39SPECIALE
SEGUENDO<br />
I SAPORI<br />
Quattro Percorsi<br />
enogastronomici<br />
che rievocano<br />
elementi distintivi<br />
delle zone<br />
interessate:<br />
VIA DELLA ZAGARA<br />
sul versante sud<br />
del vulcano<br />
MAREMONTI<br />
che da Giarre<br />
conduce sino Milo<br />
a oltre mille metri<br />
sul livello del mare<br />
VIA DEI CASTELLI<br />
che arriva<br />
sul versante nord<br />
dell’Etna,<br />
sino a Bronte<br />
LITTORINA<br />
DELL’ETNA,<br />
storico trenino<br />
del 1937,<br />
che da Riposto<br />
si inoltra sino<br />
a Linguaglossa,<br />
per poi giungere<br />
a Bronte.<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
La provincia di Catania ha circa 2.800 ettari di vigneto, coltivati principalmente (80%) a Nerello Mascalese. Seguono<br />
il Nero d’Avola, il Carricante bianco, l’Alicante Bouschet, il Sangiovese e poi l’Inzolia, lo Chardonnay, il<br />
Syrah.<br />
La viticoltura di queste zone vanta origini antichissime, come testimoniato da monete del V secolo a.C. giunte fino a noi.<br />
Sulla particolarità enoica del vulcano ci informava già Strabone (I secolo a.C.), che attribuì l’antica fama enologica della<br />
Sicilia alle virtù dei terreni dell’Etna: le ceneri che periodicamente li ricoprivano favorirebbero, infatti, un’abbondante produzione<br />
di ottime uve. Anche nella monumentale Storia dei Vini d’Italia, scritta da Andrea Bacci nel 1596, venivano citati<br />
i vini prodotti sui colli che circondano Catania, la cui bontà era attribuita alle ceneri dell’Etna.<br />
I vini dell’Etna, nelle tipologie bianco (con l’eventuale qualificazione di bianco superiore), rosso e rosato, sono stati i primi<br />
in Sicilia a ottenere il riconoscimento della denominazione di origine controllata.<br />
La Doc Etna rosso o rosato prevede uve di Nerello Mascalese (minimo 80%) e Nerello Mantellato (Nerello Cappuccio)<br />
fino al 20%. Una recente riscoperta bibliografica ha documentato l’esistenza del Pinot Nero già oltre un secolo addietro<br />
per la produzione di vini di alta qualità.<br />
Il vino bianco è ottenuto da uve di Carricante (minimo 60%) e Catarratto bianco comune o lucido (fino al 40%), con l’eventuale<br />
aggiunta di Trebbiano, Minnella bianca e altri vitigni a bacca bianca non aromatica (fino a un massimo del 15%). Il<br />
bianco superiore è prodotto soprattutto con uve di Carricante (minimo 80%) e Catarratto bianco comune e lucido fino al<br />
20%. Per il bianco superiore e il rosso o rosato è prevista anche l’eventuale aggiunta di altri vitigni non aromatici a bacca<br />
bianca.<br />
La costante opera di sperimentazione e gli investimenti finalizzati all’innovazione in cantina, insieme al carattere gioioso<br />
e ospitale dei suoi abitanti, fanno dell’Etna una delle zone di maggior interesse enoturistico in Sicilia.<br />
PROMOZIONE E COMUNICAZIONE Alle iniziative organizzate sul territorio, la Strada del vino dell’Etna<br />
affianca un’attività di promozione veramente intensa, sia in Italia che all’estero. È stata presente alla Bit di Milano<br />
2006, al Vinitaly di Verona 2005, alla Biteg di Riva del Garda, al Tour & Travel 2005 di Varsavia, ai “Mercatini di Natale”<br />
di Bolzano, inoltre ha preso parte a due importanti workshop, a Londra e a Riga, promossi dalla Provincia regionale<br />
di Catania.<br />
La Strada del vino dell’Etna offre anche un servizio pubblicitario e commerciale attraverso il sito Internet. La sezione dedicata<br />
all’enoteca on line offre a tutte le aziende vitivinicole associate la possibilità di esporre le etichette dei loro prestigiosi<br />
vini, mentre in altre sezioni fornisce gli i aggiornamenti e le news su manifestazioni e appuntamenti nel territorio di<br />
competenza.<br />
Fra i progetti in cantiere, l’allestimento di un Centro informazione presso l’aeroporto di Catania e la realizzazione di un<br />
importante Museo della Vite e del Vino a Piedimonte Etneo.<br />
pagina40SPECIALE<br />
|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />
Strada del vino dell’Etna<br />
ETNA, TERRITORIO DOC
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
|||||||||||||||||||||||||itinerari<br />
Strada del vino della provincia di Messina<br />
SULL’ONDA DEL MITO<br />
Per riscoprire il mito di questi luoghi e di questi tratti di mare così vicini alle origini del vino e dei suoi primi viaggi per<br />
mare (IV sec. a.C.) dovremmo ricorrere all’aiuto di Fernand Braudel, che nel suo affascinante libro dal titolo Mediterraneo<br />
ne riporta testimonianza. Ma se in più volessimo ripercorrere le tappe di quelle migliaia di anni che ci riportano<br />
nei luoghi della memoria più antichi e misteriosi, allora dovremo iniziare il nostro viaggio dal Museo archeologico<br />
regionale di Lipari, con la sua sezione preistorica e protostorica che conserva reperti della prima fase del Neolitico<br />
medio.<br />
Certo, i viaggiatori più audaci ci contesteranno che il miglior punto d’osservazione di quel passato è l’isola di Vulcano<br />
o forse ancor di più Stromboli, che con la loro mai sopita attività lanciano verso i cieli stellati delle notti d’agosto<br />
infuocati lapilli, provocando sensazioni che difficilmente si potranno dimenticare.<br />
Così sono anche i vini di questi luoghi, che Andrea Bacci nel 1569 voleva nati dalle feconde colline di Lipari, frutto<br />
dell’interno calore del suolo, tra le storie e le rotte di mare più impegnative e imprevedibili del Mediterraneo, antichi<br />
e inebrianti, raffinati ed eleganti. Ben tre le Doc che ne proteggono la memoria, la Malvasia delle Lipari, il Faro e<br />
recentemente il Mamertino.<br />
Dal punto di vista vitivinicolo la provincia di Messina si distingue anche per un’intensa attività vivaistica localizzata<br />
prevalentemente nella zona di Milazzo, dove ha sede la storica sede della Cantina sperimentale oggi accorpata all’Istituto<br />
regionale della vite e del vino. Milazzo è uno dei tre principali poli della regione per quanto riguarda le attività<br />
di selezione clonale della vite e il livello delle aziende vivaistiche è piuttosto elevato.<br />
Messina ha un po’ meno di 900 ettari di vigneto, con veri e propri tesori enologici legati alla più antica storia commerciale<br />
del vino siciliano. Non ci sono gli stessi grandi numeri delle altre province siciliane, perciò il Nerello, il Nero<br />
d’Avola, le molte uve rosse locali (come il Corinto), la Malvasia delle Lipari, lo stesso Catarratto, l’Inzolia, il Merlot,<br />
il Nero buono, il Lambrusco occupano centinaia quando non decine di ettari.<br />
LE DOC Faro Doc È prodotto esclusivamente nel territorio comunale di Messina, con le uve di Nerello Mascalese,<br />
Nocera, Nerello Cappuccio e con l’eventuale aggiunta di quelle di Calabrese, Gaglioppo e Sangiovese.<br />
Malvasia Doc Fra le molte Malvasie che si possono trovare nel nostro Paese vi è quella “di Lipari”. Le uve di Malvasia,<br />
con una piccola percentuale di Corinto nero si fanno appassire per preparare i tipi “passito” e “liquoroso”. Il tipo<br />
“passito dolce naturale” deve avere una gradazione minima di 18°C e un affinamento obbligatorio di nove mesi.<br />
Il tipo “liquoroso” deve avere una gradazione minima di 20°C e un affinamento di sei mesi.<br />
Mamertino Doc La Doc “Mamertino di Milazzo” o “Mamertino” comprende le tipologie bianco (a base di Grillo, Inzolia<br />
e Catarratto), rosso (a base di Nero d’Avola e Nocera), il monovarietale “Nero d’Avola” e il “Grillo-Inzolia”. Le<br />
prime tre tipologie sono previste anche nei tipi riserva se sottoposti a un periodo obbligatorio di invecchiamento di<br />
due anni.<br />
pagina41SPECIALE
«C’era, proprio a mezza strata tra i due paìsi,<br />
un viottolo di campagna, ammucciato darrè<br />
a un cartellone pubblicitario, che portava a una<br />
casuzza rustica sdirrupata, allato aveva un enorme<br />
ulivo saraceno che la sua para di centinaia d’anni<br />
sicuramente li teneva. […] I rami più bassi<br />
strisciavano e si contorcevano terraterra, rami<br />
che, per quanto tentassero, non ce la facevano<br />
a issarsi verso il cielo e che a un certo punto del<br />
loro avanzare se la ripinsavano e decidevano<br />
di tornare narrè verso il tronco facendo<br />
una specie di curva a gomito o, in certi casi,<br />
un vero e proprio nodo. Poco doppo però<br />
cangiavano idea e tornavano indietro, come<br />
scantati alla vista del tronco potente, ma<br />
spirtusato, abbrusciato, arrugato dagli anni».<br />
Andrea Camilleri<br />
L’ulivo e l’olio<br />
a cura di Dino Catagnano
Sempreverde, longevo, vigoroso, frugale<br />
eppur generoso, l’olivo ha attraversato<br />
i secoli legando la propria storia a<br />
quella della Sicilia. Lo si ritrova un po’<br />
dappertutto: ben pasciuto, curato, perfettamente<br />
allineato in impianti di ultima generazione<br />
o tenacemente abbarbicato in luoghi<br />
impervi e ostili, nodoso, contorto, eppure<br />
lì a testimoniare la sua forza e la sua determinazione,<br />
quale antico custode del territorio.<br />
Straordinaria metafora di una terra<br />
pervasa da molte anime, da mille contrasti,<br />
di una terra permeata di antico e moderno,<br />
di una terra in cui la neve convive col fuoco,<br />
di una terra di olivi e olivastri. Antico<br />
simbolo di sacralità e saggezza, l’ulivo è<br />
oggi il simbolo di una economia agroalimentare<br />
che vuole rinnovarsi e trasformare<br />
i cambiamenti in nuove opportunità di<br />
sviluppo.<br />
Terza regione italiana per superficie investita<br />
e quantitativi di olio prodotto, la<br />
Sicilia negli ultimi anni ha inarrestabilmente<br />
legato il proprio nome alle produzioni di<br />
qualità. Il processo di crescita, frutto dell’impegno<br />
di moderni imprenditori che hanno<br />
saputo coniugare tradizione e innovazione,<br />
è espressione di una serie di lungimiranti<br />
attenzioni che le istituzioni regionali<br />
hanno riservato alla crescita del comparto<br />
e alla sua immagine. L’olivicoltura è infatti<br />
uno dei elementi chiave dell’economia<br />
agricola regionale non solo per l’indotto<br />
che genera e per gli aspetti occupazionali,<br />
ma anche per i rapporti strettissimi col ter-<br />
pagina44SPECIALE<br />
Antico custode di una terra<br />
contraddittoria ma tenace,<br />
è il simbolo di un’economia<br />
che vuole rinnovarsi trovando<br />
nuove opportunità di sviluppo<br />
L’ULIVO COME METAFORA<br />
di MARGHERITA CARACAPPA*<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
ritorio, col paesaggio, con la difesa del suolo,<br />
per l’inscindibile legame che ha con la<br />
storia, la tradizione, la cultura del territorio.<br />
La Sicilia detiene un patrimonio di 18 milioni<br />
di piante, dislocate su una superficie di<br />
160.000 ettari che forniscono annualmente<br />
2 milioni e mezzo di quintali di olive e<br />
500.000 quintali di olio, ed è caratterizzata<br />
da sistemi produttivi molto articolati con valenze<br />
produttive, ambientali, paesaggistiche<br />
e sociali di grande rilievo.<br />
Su questo patrimonio l’amministrazione<br />
regionale ha investito risorse ed<br />
energie a sostegno di una politica di<br />
qualità atta a far fronte ai mutamenti degli<br />
scenari europei e internazionali e al nuovo<br />
contesto che vede gli imprenditori inseriti in<br />
un quadro di competitività internazionale<br />
fortemente agguerrita, sostenendo percorsi<br />
che hanno generato la cultura della qualità,<br />
puntando sulla valorizzazione dei nostri<br />
prodotti.<br />
Ha puntato sull’innalzamento della qualità<br />
intesa quale sintesi di diversi fattori, con<br />
azioni volte al miglioramento della materia<br />
prima e delle condizioni strutturali, ponendo<br />
la dovuta attenzione alle innovazioni di<br />
processo e di prodotto, alla tutela della salute<br />
dell’uomo e dell’ambiente, alla corretta<br />
informazione del consumatore, alla valorizzazione<br />
delle produzioni tipiche e di pregio<br />
e parallelamente alla promozione in ambito<br />
nazionale e internazionale.<br />
E i risultati non si sono fatti attendere, la realtà<br />
olivicola siciliana non ha tardato a farsi
valere assurgendo al ruolo di protagonista<br />
e raccogliendo consensi e riconoscimenti a<br />
livello nazionale e internazionale. La produzione<br />
isolana ha raggiunto punte di eccellenza,<br />
erede di un ricco patrimonio varietale<br />
che è in grado di trasmettere agli oli caratteristiche<br />
che li arricchiscono di variegate<br />
note olfattive, di sfumature e sapori unici.<br />
Il primo grande salto è stato fatto: le capacità<br />
dei nostri imprenditori, la vocazione del<br />
territorio, le sinergie tra pubblico e privato<br />
hanno contribuito a consolidare l’apprezzamento<br />
degli oli siciliani nel mondo, oli Dop,<br />
certificati, tracciati, biologici. Ma il settore<br />
olivicolo, accanto a notevoli punti di forza,<br />
presenta anche debolezze su cui è necessario<br />
intervenire per guardare al futuro con<br />
serenità.<br />
Il momento è alquanto complesso: il cambiamento<br />
dello scenario mondiale, l’evoluzione<br />
dei mercati, i nuovi orientamenti della<br />
PAC, la riforma dell’OCM, la riduzione degli<br />
aiuti di sostegno al reddito pongono le<br />
imprese e le produzioni siciliane di fronte a<br />
nuove e impegnative sfide. S’impone la<br />
messa in atto di nuove strategie e una diversa<br />
capacità imprenditoriale in tutti gli<br />
operatori della filiera per i quali l’innovazione<br />
e la crescita è stata ed è tutt’oggi una<br />
sfida, ma anche una necessità.<br />
La recente creazione dell’Istituto regionale<br />
dell’olivo e dell’olio è un forte segnale<br />
politico di attenzione per il settore<br />
e potrà diventare un valido punto di riferimento<br />
per gli operatori dando un grosso<br />
impulso all’attività di studio, ricerca e sperimentazione,<br />
alla crescita professionale, all’attività<br />
di promozione sui mercati nazionali<br />
ed esteri.<br />
Lo stato di salute dell’agricoltura attuale<br />
non è roseo, il quadro economico che ci offre<br />
evidenzia parecchie criticità: prezzi mediamente<br />
bassi per le produzioni agricole,<br />
costi di produzione in crescita, iniqua distribuzione<br />
tra i soggetti della filiera del valore<br />
che paga il consumatore finale. L’agricoltura<br />
deve adeguarsi al nuovo ruolo, è chiamata<br />
a garantire la qualità e la sicurezza<br />
delle sue produzioni, a salvaguardare, tutelare<br />
e valorizzare il territorio, ad assicura-<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Gli impianti dislocati<br />
in Sicilia su 160 mila<br />
ettari forniscono<br />
ogni anno 500 mila<br />
quintali di olio.<br />
La creazione<br />
dell’Istituto regionale<br />
è un segnale<br />
di attenzione<br />
per il settore<br />
e diverrà un punto<br />
di riferimento<br />
per gli operatori<br />
re un modello di gestione in grado di conciliare<br />
il fare impresa con le funzioni sociali<br />
e ambientali, ad avviare processi economici<br />
legati all’identità culturale, territoriale e<br />
di prodotto. Servono pertanto nuovi strumenti<br />
e nuove modalità organizzative per<br />
costruire un sistema più integrato, solido e<br />
competitivo, strettamente legato al territorio,<br />
che poggi su una cultura di impresa<br />
flessibile e capace di rispondere ai cambiamenti,<br />
forte del bagaglio delle proprie conoscenze<br />
ed esperienze.<br />
La nuova sfida per il futuro dovrà trovare il<br />
suo punto di forza in un approccio strategico<br />
che contempli lo sviluppo integrato dei<br />
territori come obiettivo su cui far convergere<br />
competenze e nuove opportunità, per<br />
mobilizzare e valorizzare risorse, valori e<br />
attitudini.<br />
In questa direzione, e in linea con gli obiettivi<br />
di sviluppo fissati nei vertici di Lisbona e<br />
Göteborg e con gli obiettivi nazionali, è stato<br />
avviato il percorso di definizione del nuovo<br />
PSR 2007/2013 attraverso la messa a<br />
punto di una strategia incentrata sulla piena<br />
valorizzazione del contesto rurale nella<br />
sua dimensione sociale ed economica.<br />
Strategia che sarà tanto più incisiva quanto<br />
più si riuscirà a delineare, a livello regionale,<br />
una forte convergenza di azioni e<br />
concentrazione di risorse e quanto più si<br />
riuscirà ad aggregare tutti gli attori del territorio<br />
in un ampio progetto di qualità, sicurezza<br />
e valorizzazione territoriale, che coniugando<br />
ambiente società ed economia<br />
sia in grado di generare processi virtuosi di<br />
sviluppo sostenibile.<br />
Piantare un olivo, dicevano i nostri avi,<br />
è un atto di generosità, perché solo le generazioni<br />
future ne raccoglieranno i frutti.<br />
Vorremmo andar incontro al futuro con la<br />
speranza che questo principio venga sempre<br />
rispettato e che ciascuno, all’interno<br />
del proprio ruolo, si adoperi per accrescere,<br />
salvaguardare e valorizzare l’inestimabile<br />
patrimonio che la storia ci ha tramandato.<br />
* Dirigente del Comparto Olivicolo<br />
assessorato Agricoltura e Foreste<br />
della Regione siciliana<br />
pagina45SPECIALE
L’olivo può essere considerato l’albero<br />
simbolico per eccellenza della civiltà e<br />
del paesaggio mediterraneo umanizzato.<br />
Testimonianze della mitologia, della<br />
storia e della letteratura attestano, infatti, la<br />
grande importanza della specie e del suo<br />
olio nel commercio, nell’alimentazione e<br />
nel costume delle diverse popolazioni. La<br />
coltivazione dell’olivo nel bacino del Mediterraneo<br />
ha seguito l’espansione, da<br />
Oriente a Occidente, delle antiche civiltà,<br />
fenicia, ellenica e romana.<br />
Probabilmente da primitive coltivazioni<br />
localizzate a ovest dell’Iran e a sud del<br />
Caucaso, ebbe inizio l’irradiazione verso<br />
altre aree geografiche e la differenziazione<br />
delle diverse varietà coltivate. Una delle<br />
tappe più fortunate interessò inizialmente<br />
la Grecia e l’Asia Minore. Secondo una tradizione<br />
poetica millenaria si deve alla dea<br />
Atena l’introduzione del primo olivo nell’acropoli<br />
di Atene, mentre quasi certamente<br />
la prima regione italiana a ricevere l’albero<br />
sacro alla dea fu la Sicilia. Lo lascerebbe<br />
pensare anche il mito di Aristeo, figlio<br />
della ninfa Cirene e di Apollo, antica divinità<br />
ellenica che, dopo aver insegnato ai<br />
greci l’arte di ricavare l’olio dall’olivo, si recò<br />
nell’Isola introducendovi la coltivazione<br />
della pianta e l’utilizzazione dell’olio.<br />
In Sicilia l’olivo è stato diffuso ampiamente<br />
in tutte le province, dal livello del<br />
mare fino a dove le condizioni climatiche lo<br />
hanno consentito (circa 800 m), diventando<br />
l’albero che caratterizza uno dei più espressivi<br />
paesaggi agrari siciliani. L’antichità della<br />
coltura è testimoniata sia dalla presenza<br />
di esemplari plurisecolari sia dai toponimi<br />
delle numerose contrade (Marcatogliastro,<br />
Ogliastro, Alivazza, ecc.) in cui la specie è<br />
presente. I più vetusti olivi ricadono, in genere,<br />
nelle aree in cui vive o potenzialmente<br />
può vivere l’oleastro, cioè la varietà selvatica<br />
della specie, che rappresenta un importante<br />
costituente della macchia mediterranea<br />
e sul quale viene innestato.<br />
Il progetto di censimento degli olivi monumentali<br />
è frutto della collaborazione<br />
tra il Dipartimento di Scienze botaniche<br />
di Palermo e il Servizio IX dell’assessorato<br />
Agricoltura e Foreste della Regione<br />
siciliana. Scopo principale è quello di acquisire<br />
elementi conoscitivi per la documentazione,<br />
la salvaguardia e la valorizzazione<br />
di un tesoro vegetale di notevole interesse<br />
culturale, paesaggistico e scientifico,<br />
anche per il prezioso patrimonio gene-<br />
pagina46SPECIALE<br />
Università e assessorato Agricoltura<br />
hanno realizzato un censimento<br />
degli olivi monumentali in Sicilia<br />
con lo scopo di salvaguardare<br />
un prezioso patrimonio vegetale<br />
I NUMERI DEI PATRIARCHI VERDI<br />
di ROSARIO SCHICCHI*<br />
al progetto ha collaborato Giuseppe La Barbera**<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Arrivata<br />
probabilmente<br />
dall’Iran,<br />
questa pianta<br />
ha segnato il percorso<br />
da Oriente<br />
a Occidente<br />
delle antiche civiltà<br />
Nell’Isola è diventato<br />
il simbolo<br />
del paesaggio rurale<br />
tico di cui è depositario.<br />
L’attenzione per gli olivi monumentali si<br />
collega alle più recenti concezioni di lettura<br />
del paesaggio rurale, in cui le componenti<br />
antropologiche sono intimamente connesse<br />
a quelle naturali. I vetusti olivi con la loro<br />
longevità e le ragguardevoli dimensioni<br />
rappresentano un segno concreto per una<br />
migliore comprensione sia del territorio che<br />
li ospita sia delle comunità locali che li hanno<br />
conservati nei secoli. Il censimento dei<br />
grandi olivi riveste, inoltre, grande importanza<br />
per la caratterizzazione del patrimonio<br />
olivicolo siciliano e per lo sviluppo ecoturistico<br />
del territorio, potendo rappresentare<br />
una meta significativa degli itinerari naturalistici<br />
all’interno dei tradizionali agroecosistemi<br />
e delle cosiddette “vie dell’olio”.<br />
Questi “patriarchi verdi”, infatti, hanno<br />
sempre qualcosa di speciale da offrire: la<br />
particolare forma, le dimensioni, l’età o la<br />
memoria di un evento che rende ciascuno<br />
di loro unico e suggestivo.<br />
Il censimento, iniziato nel settembre<br />
2003, si è concluso nel febbraio del<br />
2006. L’insieme dei dati raccolti riguarda<br />
oltre 350 individui, differenti sia per le<br />
caratteristiche dendrometriche sia per il<br />
contesto ambientale in cui vivono. La selezione<br />
degli esemplari più espressivi sotto<br />
l’aspetto della “monumentalità” ha tenuto<br />
conto principalmente dei parametri inerenti<br />
alla misura della circonferenza massima<br />
e di quella rilevata a m 1,30 dal suolo, all’altezza,<br />
allo sviluppo complessivo e, soprattutto,<br />
all’età presunta. Tali parametri<br />
sono stati integrati anche da considerazioni<br />
concernenti la valenza storica, naturalistica<br />
e paesaggistica svolta delle singole<br />
piante. È stato così possibile selezionare<br />
241 ulivi plurisecolari, notevoli per età, forme<br />
e dimensioni. Essi sono localizzati nelle<br />
province di Messina (65), Siracusa (42),<br />
Agrigento (33), Trapani (28), Palermo (23),<br />
Ragusa (16), Catania (16), Caltanissetta<br />
(9) ed Enna (9).<br />
Tra gli olivi più ragguardevoli si possono ricordare<br />
quelli presenti nell’area compresa<br />
tra Tusa, Pettineo e Caronia. In particolare,<br />
nella contrada Predica di quest’ultimo comune<br />
si trova uno degli esemplari più rilevanti:<br />
possiede, infatti, una circonferenza<br />
massima di 10,80 (12,85 m, alla ceppaia) e<br />
un fusto monocormico di 9,30 m a petto<br />
d’uomo, con diverse costolature a margini<br />
arrotondati, cavità e scanalature che, dall’inserzione<br />
della chioma, arrivano a terra.
Questo esemplare, di oltre 1500 anni, con<br />
molta probabilità può essere considerato<br />
l’ulivo più grande della Sicilia e uno dei più<br />
vecchi d’Italia.<br />
Nel territorio di Siracusa straordinari<br />
olivi si trovano a Buccheri e a Noto. Il<br />
più rappresentativo è certamente quello<br />
di contrada Busulmone che, forte di una<br />
circonferenza di 12,60 m a livello della ceppaia,<br />
e di 7,20 m a petto d’uomo, ha probabilmente<br />
un’età di 1300-1500 anni.<br />
Nell’Agrigentino, oltre ai suggestivi olivi<br />
della Valle dei Templi, sono da ricordare alcune<br />
piante di circa 800-1000 anni presenti<br />
nei comuni di Caltabellotta e Sciacca. Nel<br />
Palermitano, olivi considerevoli si hanno a<br />
Pollina, Caccamo e Vicari (contrada Vallefonda)<br />
dove alcuni individui evidenziano<br />
grandissime ceppaie che raggiungono i 19<br />
metri di circonferenza. Nella provincia di<br />
Catania, tra le piante più belle figura l’ulivo<br />
millenario di Motta S. Anastasia, sito ai<br />
margini dell’omonima via.<br />
Suggestivi per le forme bizzarre e le dimensioni<br />
sono, inoltre, diversi olivi tra<br />
Chiaramonte Gulfi, Acate e Modica (Ragu-<br />
Olivo monumentale<br />
dalla forma<br />
particolarmente<br />
suggestiva<br />
a Chiaramonte Gulfi<br />
sa), come anche quelli della provincia di<br />
Trapani (San Vito Lo Capo, Castellammare<br />
e Castelvetrano). Dai dati sopra riportati,<br />
emerge che in tutto il territorio siciliano il<br />
rapporto tra l’uomo e l’ulivo è abbastanza<br />
storicizzato. Ciò si desume sia dai diversi<br />
segni di cultura materiale, di cui gli ulivi plurisecolari<br />
costituiscono una straordinaria<br />
testimonianza, sia da diverse fonti storiche.<br />
Al riguardo, un prezioso documento è rappresentato<br />
dalle Tabulae Halaesinae che<br />
fanno riferimento alla struttura del paesaggio<br />
agrario tra il III e il I sec. a.C., per un’antica<br />
area dei Nebrodi (Alesa Arconidea) e<br />
del territorio circostante, in cui la coltura<br />
dell’olivo svolgeva un ruolo molto importante.<br />
Le Tabulae funzionavano in modo simile<br />
a un moderno catasto dei terreni, dove<br />
gli ulivi assurgevano quasi al ruolo di<br />
monumenti naturali, attraverso l’incisione<br />
del monogramma alesino sulla corteccia,<br />
come segno durevole di confine.<br />
* Docente di Botanica sistematica, Dipartimento<br />
di Scienze botaniche, Università degli Studi di Palermo<br />
**Dirigente dell’Unità operativa 46 del Servizio IX<br />
agri1.ass_tecnica@regione.sicilia.it<br />
pagina47SPECIALE
Nell’Isola un progetto di ricerca<br />
e sperimentazione nel settore<br />
olivicolo per la selezione clonale,<br />
la salvaguardia della biodiversità,<br />
e il monitoraggio delle Dop<br />
INNOVARE PER CRESCERE<br />
L’assessorato Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />
ha promosso, tra le diverse attività a sostegno<br />
del settore, un progetto di ricerca e sperimentazione<br />
nel comparto olivicolo mirato al trasferimento<br />
di innovazioni agli operatori di filiera. Le<br />
azioni, iniziate dal 2003, riguardano la salvaguardia<br />
delle risorse genetiche autoctone, il miglioramento<br />
genetico di cultivar tradizionali affermate<br />
nelle province di Messina, Ragusa e Catania e il<br />
monitoraggio delle produzioni di oli extravergine di<br />
oliva certificati Dop.<br />
La valorizzazione della biodiversità autoctona,<br />
l’identificazione di “cloni” superiori per produzione<br />
e adattamento a particolari ambienti regionali e<br />
la raccolta di una specifica documentazione che<br />
affermi gli elementi di tipicità degli oli siciliani<br />
prodotti secondo specifici disciplinari intendono<br />
offrire un moderno strumento tecnico scientifico<br />
di sviluppo e di sostenibilità all’olivicoltura che<br />
si realizza in Sicilia.<br />
Il progetto, a forte contenuto innovativo, coordinato<br />
da Vincenzo De Martino, si avvale della<br />
consulenza scientifica di Antonio Cimato,<br />
primo ricercatore del CNR di Firenze (Istituto<br />
per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree<br />
- IVALSA) e delle Unità operative territoriali<br />
di Alcamo, Castelvetrano, Catania, Francavilla di<br />
Sicilia, Ispica, Marsala, Mazara del Vallo, Partanna,<br />
Paternò, Sant’Agata di Militello, San Cipirello<br />
e Sciacca.<br />
Proteggere la biodiversità è sempre più<br />
un imperativo di spessore internazionale;<br />
essa è, infatti, il risultato di lunghi processi<br />
evolutivi che da oltre tre miliardi di<br />
anni permettono alla vita di adattarsi al variare<br />
delle condizioni sulla terra, e costituisce<br />
il serbatoio da cui attinge l’evoluzione<br />
stessa per attuare tutte le modificazioni genetiche<br />
e morfologiche che originano nuove<br />
specie viventi.<br />
In questi ultimi decenni i cambiamenti climatici,<br />
le catastrofi naturali, le scelte della<br />
società (spinta all’urbanizzazione, trasferimento<br />
di tecnologie), nonché le preferenze<br />
dei consumatori e dei produttori (specializzazione<br />
colturale, sostituzione degli impianti<br />
agricoli tradizionali, ecc.) hanno provocato<br />
una notevole riduzione della diversità<br />
naturale e della sua espressione genetica.<br />
Ed è evidente che anche l’olivo non è<br />
stato sottratto a tale evento. Si è, in pratica,<br />
ridotto il range di opzioni per produttori,<br />
operatori del settore e per chiunque si trovi<br />
nella posizione di operare una scelta varietale<br />
che debba rispondere alle nuove<br />
esigenze dei mercati.<br />
pagina48SPECIALE<br />
di ANTONIO CIMATO*<br />
al progetto ha collaborato Vincenzo Di Martino**<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Tra gli obiettivi<br />
la modernizzazione<br />
del sistema anche<br />
attraverso l’utilizzo<br />
di cloni più idonei<br />
agli ambienti<br />
della Sicilia orientale,<br />
diversi dalle cultivar<br />
tradizionali<br />
e di resa superiore<br />
Un nuovo impianto<br />
con gli ulivi<br />
disposti a filari<br />
Nell’ambito del progetto promosso dall’assessorato<br />
Agricoltura e Foreste della Regione<br />
siciliana, le Unità operative presenti<br />
nella zona orientale dell’Isola (Catania,<br />
Ispica, Francavilla di Sicilia, Sant’Agata di<br />
Militello e Caltagirone) hanno realizzato<br />
un’intensa attività di identificazione, recupero<br />
e salvaguardia del patrimonio olivicolo<br />
autoctono. Ad oggi, sono state recuperate<br />
quaranta accessioni. Per garantire la tutela<br />
e il riordino di questo patrimonio genetico,<br />
l’Unità di Caltagirone (CT) ha realizzato<br />
un “nuovo” campo di germoplasma<br />
presso l’Azienda dell’Istituto tecnico<br />
agrario Cocuzza. Per una univoca identificazione<br />
delle piante, oltre ai dati del<br />
passaporto, sono in corso attività per la<br />
descrizione morfologica degli olivi (habitus<br />
vegetativo, foglie, frutti, endocarpo) e<br />
per una valorizzazione agronomica che<br />
prende in esame la produzione, eventuali<br />
tolleranze e/o suscettibilità degli olivi<br />
a stress biotici e abiotici e la valutazione<br />
di oli monovarietali.<br />
Il recupero delle risorse genetiche nasce<br />
dalla inderogabile esigenza di garantire la<br />
sopravvivenza di “un’eredità genetica” a<br />
elevato rischio di estinzione e che potrebbe,<br />
tra l’altro, presentare caratteristiche<br />
produttive diverse e più specifiche.<br />
Selezione clonale Si tratta di una sperimentazione<br />
che rende concreto un altro<br />
obiettivo per il settore olivicolo: quello di<br />
produrre innovazioni per modernizzare la<br />
struttura olivicola attraverso l’utilizzo di<br />
“cloni” più idonei agli ambienti della Sicilia<br />
orientale, diversi dalle cultivar tradizionali<br />
perché di precoce entrata in produzione,<br />
non alternanti, e quindi di superiore produttività<br />
e maggiore efficienza economica.<br />
Le Unità operative presenti in questi territori,<br />
svolgendo un’approfondita indagine tra<br />
gli impianti tradizionali, hanno individuato<br />
“cloni” di olivo dalle caratteristiche agronomiche<br />
diverse rispetto a quelle riconosciute<br />
per le varietà tradizionali coltivate negli ambienti<br />
delle province di Messina, Ragusa e<br />
Catania (Verdella, Minuta, Sant’Agatese,<br />
Ogliarola Messinese, Tonda Iblea, Nocellara<br />
Etnea, Moresca, Verdese). In pratica, per<br />
ciascuna cultivar i tecnici hanno recuperato<br />
da tre a cinque cloni, che sono stati messi<br />
a confronto nel campo sperimentale realizzato<br />
presso l’azienda Principi Grimaldi dell’Ipssar<br />
di Pozzallo (Modica).<br />
Il materiale vegetale “migliorato”, perché ha
fornito risultati agronomici superiori in termini<br />
di quantità e qualità del prodotto, potrà<br />
essere proposto al servizio di certificazione<br />
per renderlo disponibile al settore vivaistico<br />
in vista della successiva diffusione, e sarà<br />
quindi di riferimento per realizzare modelli<br />
olivicoli economicamente più efficienti.<br />
Interventi sulla caratterizzazione<br />
delle Dop siciliane Gli oli siciliani annoverano<br />
tra le loro caratteristiche principali il<br />
saper racchiudere una specificità legata alle<br />
zone di produzione, alle condizioni pedoclimatiche<br />
del territorio e alle cultivar autoctone:<br />
“qualità” che sono state premiate con<br />
il riconoscimento di sei denominazioni<br />
d’origine protetta (Dop).<br />
Il progetto “Interventi sulla caratterizzazione<br />
delle Dop siciliane” – che coinvolge le<br />
Unità operative territoriali di Alcamo, Castelvetrano,<br />
Catania, Francavilla di Sicilia,<br />
Ispica, Marsala, Mazara del Vallo, Partanna,<br />
Paternò, Sant’Agata di Militello, San Cipirello<br />
e Sciacca – ha inteso assicurare agli<br />
oli Dop un sostegno di risultati chimici e di<br />
profili organolettici analizzando, annualmente,<br />
un campione di oltre cento oli prelevati<br />
nelle diverse zone di produzione. Le<br />
analisi, potenziate da informazioni relative<br />
alle produzioni (aree di provenienza, azienda<br />
agricola, epoca di raccolta dei frutti, cultivar,<br />
sistema di frangitura e stato di maturazione<br />
dei frutti), sono inserite in un data-<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Gli oli isolani<br />
racchiudono<br />
una specificità<br />
legata all’area<br />
di produzione,<br />
alle condizioni<br />
pedoclimatiche<br />
del territorio<br />
e al patrimonio<br />
di varietà locali<br />
Olive Moresca,<br />
una varietà<br />
tradizionale siciliana<br />
base che consente di riscontrare e di correlare<br />
ai fattori della produzione le “impronte”<br />
chimiche, organolettiche e salutistiche<br />
che rendono diversi e peculiari gli oli Dop<br />
prodotti in Sicilia.<br />
Così, il database, che attualmente riunisce<br />
informazione di oltre trecento campioni di<br />
olio, costituisce anche un mezzo efficace<br />
per trasferire conoscenze e consentire che<br />
si crei un’interfaccia con quanti, del mondo<br />
della produzione (agricoltori, associazioni<br />
di categoria, consorzi), desiderano aggiornare<br />
i tratti distintivi stagionali degli oli Dop<br />
isolani.<br />
Il recupero delle risorse genetiche assicurerà<br />
la valorizzazione di una biodiversità<br />
spontanea che nel tempo ha acquisito capacità<br />
di produrre e di tracciare i confini dei<br />
territori occupati. Il miglioramento genetico<br />
offrirà al settore un moderno strumento tecnico<br />
di orientamento allo sviluppo sostenibile<br />
dell’olivicoltura siciliana consentendo a<br />
imprenditori e vivaisti di utilizzare materiale<br />
idoneo per i nuovi impianti. Il monitoraggio<br />
degli oli Dop e l’elaborazione in un quadro<br />
unico di riferimento – grazie al database –<br />
consentirà di avvalorare le “impronte” chimiche,<br />
organolettiche e nutrizionali che rendono<br />
questi oli Dop di particolare pregio.<br />
* Istituto per la Valorizzazione del Legno<br />
e delle Specie Arboree (IVALSA), CNR<br />
**Dirigente responsabile dell’Unità operativa 46<br />
del Servizio IX<br />
agri1.ass_tecnica@regione.sicilia.it<br />
pagina49SPECIALE
In olivicoltura la raccolta del prodotto è<br />
l’operazione colturale più dispendiosa<br />
(50 -80% dei costi colturali), per tale motivo<br />
è divenuto indispensabile meccanizzare<br />
questa pratica. La scelta del sistema di<br />
raccolta dall’albero assume carattere strategico,<br />
poiché ad essa sono connesse numerose<br />
altre decisioni che possono condizionare<br />
l’intero ciclo biologico dell’oliveto.<br />
Nei sistemi olivicoli attualmente diffusi la<br />
raccolta viene per lo più effettuata a mano,<br />
agevolata dall’impiego di pettini e/o bacchiatori<br />
pneumatici, o attraverso mezzi<br />
meccanici, con vibratori che agiscono sul<br />
tronco o sulle branche principali; la scelta<br />
del sistema è in genere subordinata a valutazioni<br />
economiche, effettuate sulla base<br />
dei risultati tecnici conseguiti.<br />
Il modello “intensivo” catalano Agli inizi<br />
degli anni Novanta, in Catalogna, sono sta-<br />
pagina50SPECIALE<br />
Meccanizzare la raccolta delle olive<br />
consentirebbe un forte risparmio.<br />
Occorre però selezionare genotipi<br />
e portinnesti che riducano<br />
lo sviluppo vegetativo delle piante<br />
IL SEGRETO DELLA CHIOMA PIATTA<br />
di TIZIANO CARUSO*<br />
te avviate esperienze su un nuovo modello<br />
d’impianto, basato su una cultivar di ridotto<br />
vigore e con chioma relativamente<br />
compatta, l’Arbequina. Tale modello d’impianto<br />
si basa su alcuni presupposti che<br />
prevedono limitata capacità di crescita e<br />
precoce fruttificazione, elevata e costante<br />
produttività degli alberi, impiego di macchine<br />
per la raccolta integrale delle olive, operanti<br />
“in continuo”, che contribuiscono ad<br />
abbattere i costi di raccolta.<br />
Le piante, autoradicate, disposte alla distanza<br />
di 3 per 1,30 m (circa 2.560 piante<br />
per ettaro), sono allevate “in parete continua”.<br />
Sempre sulla medesima tipologia<br />
d’impianto, già da qualche anno, a integrazione<br />
della raccolta meccanica, sono inoltre<br />
in avanzata fase di sperimentazione<br />
prove di potatura meccanica con seghe a<br />
dischi montate su barre portate da trattrici.<br />
I vantaggi che possono essere conseguiti
con tali impianti, rispetto a quelli tradizionali,<br />
sono riconducibili alla maggiore produttività,<br />
alla drastica riduzione dei costi di raccolta<br />
e di potatura e, infine, alla uniformità<br />
qualitativa del prodotto finale, in virtù della<br />
maggiore tempestività nella raccolta.<br />
Ai fini della produttività dell’impianto e dell’ottimizzazione<br />
della raccolta meccanica,<br />
le chiome delle piante devono essere raggiunte<br />
dalla luce solare anche nella parte<br />
inferiore, in modo che la fruttificazione si distribuisca<br />
uniformemente lungo una fascia<br />
produttiva ampia e ben definita. Il limite allo<br />
sviluppo della chioma in senso radiale e<br />
verticale è determinato dalla dimensione<br />
operativa della macchina utilizzata per la<br />
raccolta. Si tratta di una macchina ispirata<br />
al principio di funzionamento della vendemmiatrice<br />
che procede “a cavallo” del filare<br />
e può realizzare, “con continuità”, la<br />
raccolta delle piante del medesimo filare<br />
permettendo, nel frattempo, l’intercettazione<br />
del prodotto.<br />
Le esperienze fino ad oggi condotte evidenziano<br />
la necessità di limitare lo sviluppo<br />
dei grossi rami delle piante disposti ortogonalmente<br />
al filare e di favorire quello<br />
dei rami nel senso del filare. I migliori risultati<br />
si ottengono su piante con branche terminali<br />
sufficientemente flessibili. Al fine di<br />
agevolare l’aderenza delle scaglie del sistema<br />
d’intercettazione delle olive, i primi<br />
50 cm del tronco devono essere privi di ramificazioni.<br />
In questo modo, l’obiettivo dell’appiattimento<br />
della chioma e della formazione<br />
di pareti fruttificanti continue potrà<br />
essere conseguito senza ricorrere agli<br />
onerosi schematismi, tipici delle forme di<br />
allevamento a palmetta. Il prodotto raccolto,<br />
grazie a un sistema di nastri trasportatori,<br />
dopo essere stato pulito dalle foglie<br />
mediante un aspiratore, viene convogliato<br />
in un grosso contenitore.<br />
Le prove sperimentali, condotte su oliveti<br />
intensivi in diverse località, hanno messo in<br />
luce la notevole capacità operativa del suddetto<br />
tipo di macchine (nella raccolta sono<br />
stati impiegati, a seconda dei casi, dai 16 ai<br />
30 secondi per pianta) non disgiunta da<br />
una buona qualità del lavoro effettuato<br />
(percentuali di prodotto raccolto nell’ordine<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Il modello<br />
intensivo<br />
catalano,<br />
basato<br />
su una cultivar<br />
piccola<br />
e compatta,<br />
permette<br />
di ricorrere<br />
a una macchina<br />
che lavora<br />
a cavallo<br />
del filare<br />
del 90% e danni modesti per piante opportunamente<br />
predisposte).<br />
Le esperienze in Sicilia Prove condotte<br />
dal Dipartimento di Colture arboree dell’Università<br />
di Palermo nel 2005 presso<br />
una parcella sperimentale (2000 mq) di un<br />
impianto intensivo (2222 piante per ettaro)<br />
di otto anni, costituito con la cultivar Arbequina,<br />
hanno evidenziato che la macchina<br />
scavallatrice ha consentito di raccogliere i<br />
15 quintali di olive complessivamente prodotti<br />
in poco più di un’ora; nel medesimo<br />
intervallo di tempo, manualmente sono<br />
stati raccolti soltanto 12 chili. Il passaggio<br />
della scavallatrice ha determinato un danno<br />
da scorticatura nel 60% circa dei rami<br />
della parte medio-basale della chioma; decisamente<br />
di più modesta entità sono stati<br />
invece i danni causati nella parte medioapicale;<br />
solamente i rami orientati verso<br />
l’interfilare sono stati spezzati dalla macchina<br />
per la raccolta.<br />
Limitazioni alla diffusione del modello<br />
catalano in Sicilia L’uso di piante autoradicate<br />
tutte appartenenti alla stessa cultivar,<br />
caratterizzate da bassa vigoria, trova<br />
giustificazione laddove l’olivicoltura è recente,<br />
e dove quindi non è ancora consolidata<br />
la cultura dei prodotti tipici. Dove, per<br />
contro, l’olivicoltura vanta antiche tradizioni,<br />
non sono da escludere fenomeni di appiattimento<br />
varietale e, di conseguenza, un<br />
impoverimento della diversità qualitativa<br />
delle produzioni olearie. La Sicilia, in particolare,<br />
forte della presenza storica di numerose<br />
varietà di olivo nei vari distretti olivicoli,<br />
risulta essere tra le regioni più attive<br />
nella qualificazione dei prodotti avendo<br />
scelto la strada che ha permesso di ottenere<br />
sostanziali incrementi di valore aggiunto<br />
delle produzioni, attraverso una politica<br />
della qualità (Dop). Tuttavia, è abbastanza<br />
noto a tutti gli operatori del settore che tale<br />
strategia commerciale si adatta per uno<br />
specifico mercato (di elite) la cui ampiezza<br />
è, e sarà sempre più determinata, nel prossimo<br />
futuro, dalla capacità di attrarre nuovi<br />
consumatori delle aree ricche del pianeta e<br />
dalla capacità di fidelizzare il consumatore<br />
pagina51SPECIALE
attraverso un pieno soddisfacimento delle<br />
sue attese, incluse quelle relative al prezzo<br />
da corrispondere.<br />
In tale ottica, e nella consapevolezza che<br />
non tutti i nostri prodotti oleicoli potranno<br />
essere destinati a un mercato di elite, le<br />
strategie di riduzione dei costi di produzione<br />
assumono un aspetto di rilevante importanza<br />
per poter competere con i partner<br />
del bacino del Mediterraneo.<br />
Appare quindi sensato ipotizzare che alla<br />
tipologia di impianti intensivi e adatti alla<br />
meccanizzazione in continuo della potatura<br />
e della raccolta potranno essere destinate<br />
aree non eccessivamente acclivi<br />
(pendenze minori del 15%) e irrigue, ricadenti<br />
anche in comprensori non tradizionalmente<br />
olivetati o in aree ai margini di quelle<br />
tradizionali più vocate. Tenendo conto<br />
della situazione siciliana del comparto in<br />
argomento, è possibile prevedere una certa,<br />
sia pure prudente, diffusione di tali nuovi<br />
modelli colturali più che nei distretti olivicoli<br />
dove la coltura è consolidata, in nuovi<br />
comprensori contraddistinti da soddisfacenti<br />
situazioni pedologiche, orografiche e<br />
con buone disponibilità di acqua per l’irrigazione.<br />
In questi ultimi contesti dovrà tuttavia<br />
essere valutata l’effettiva convenienza<br />
economica dell’olivicoltura rispetto ad<br />
altri indirizzi produttivi.<br />
Importanza del portinnesto ai fini dello<br />
sviluppo degli impianti intensivi In relazione<br />
a quanto appena evidenziato, e nella<br />
consapevolezza che in futuro l’olivicoltura<br />
siciliana sarà sempre più legata all’adozione<br />
di modelli d’impianto idonei alla meccanizzazione<br />
delle operazioni colturali, non<br />
si può prescindere dalla selezione di genotipi,<br />
cultivar e portinnesto, che contribuiscano<br />
a ridurre la mole delle piante.<br />
Mentre nel melo, nel pero e negli agrumi<br />
sono abbastanza noti diversi aspetti dei<br />
meccanismi che contribuiscono al controllo<br />
della crescita vegetativa, nell’olivo le<br />
esperienze finora condotte hanno fornito risposte<br />
non univoche, evidenziando di volta<br />
in volta un diverso ruolo svolto dalla parte<br />
ipogea o epigea, nel determinare com-<br />
pagina52SPECIALE<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Le prove<br />
sperimentali<br />
condotte in Sicilia<br />
dal dipartimento<br />
di Colture arboree<br />
hanno dato<br />
risultati<br />
interessanti.<br />
Ora bisogna<br />
attendere il responso<br />
delle verifiche<br />
agronomiche<br />
effettuate<br />
in condizioni<br />
di pieno campo<br />
A sinistra<br />
selezione clonale<br />
della cultivar<br />
Arbequina,<br />
a destra<br />
un innesto d’ulivo<br />
plessivamente il comportamento vegetativo<br />
della pianta bimembre.<br />
È stata pertanto ravvisata la necessità di<br />
una migliore comprensione dei processi<br />
biologici che possono intervenire nelle relazioni<br />
tra due bionti di vigore opposto nel<br />
controllo della crescita vegetativa complessiva<br />
della pianta innestata.<br />
Recenti ricerche collegiali condotte per la<br />
Sicilia dal Dipartimento di Colture arboree<br />
su specifici genotipi di olivo, licenziati come<br />
portinnesti nanizzanti, hanno mostrato una<br />
effettiva capacità di controllo della crescita<br />
vegetativa del nesto, consentendo di apprezzarne<br />
alcuni meccanismi fondamentali,<br />
sia attinenti agli aspetti morfologici che<br />
ecofisiologici e biomolecolari.<br />
Tra gli aspetti presi in esame nella ricerca<br />
dei meccanismi di azione di riduzione della<br />
crescita vegetativa, quelli che coinvolgono<br />
la capacità di assorbimento e di trasporto<br />
dell’acqua dalle radici alla chioma hanno<br />
dimostrato di svolgere un ruolo importante.<br />
Le modifiche indotte dai portinnesti più de-<br />
boli, e in particolare da uno di essi, hanno<br />
coinvolto le relazioni idriche e biochimiche<br />
interne alla pianta. La minore spinta vegetativa<br />
delle radici si è espressa, in maniera<br />
più o meno indiretta, anche sull’architettura<br />
della chioma attraverso una modifica<br />
sia della lunghezza dei germogli e degli<br />
internodi sia dell’angolo di inserzione<br />
dei rami.<br />
Le ricerche fin qui effettuate hanno contribuito<br />
a evidenziare, tra i possibili meccanismi,<br />
quelli che hanno dimostrato una certa<br />
importanza nel controllo della crescita<br />
vegetativa dell’olivo e che possono essere<br />
utilizzati nelle valutazioni per la selezione<br />
di portinnesti clonali con capacità di controllo<br />
della crescita del nesto.<br />
Il giudizio definitivo sulla possibilità di impiegare<br />
portinnesti “nanizzanti” in olivicoltura,<br />
anche sotto la spinta dei risultati incoraggianti<br />
ottenuti, dovrà tuttavia attendere il<br />
responso delle verifiche agronomiche condotte<br />
su piante in fruttificazione e in condizioni<br />
di pieno campo.<br />
* Dipartimento di Colture Arboree<br />
Università di Palermo
Osservando l’ampio territorio della provincia<br />
di Messina, possiamo affermare<br />
che la pianta arborea che ne contraddistingue<br />
l’agricoltura è senz’altro l’olivo.<br />
In effetti sarebbe più corretto parlare di olivi<br />
per il ricco patrimonio varietale che si è<br />
selezionato nel tempo grazie all’incrocio<br />
con altre specie spontanee del genere<br />
Olea e alla forte stabilità genetica della<br />
specie europea che ha consentito il mantenimento<br />
di una elevata biodiversità.<br />
Ciò si è verificato anche in altre zone olivicole<br />
del mondo come del resto in Italia, dove<br />
nell’ambito di un progetto del Coi (Consiglio<br />
olivicolo internazionale) sono state<br />
identificate e catalogate ben 139 varietà<br />
certe, ma è ovvio che il numero è destinato<br />
ad ampliarsi considerevolmente.<br />
Particolare rilevante è l’origine antichissima<br />
di parecchie cultivar, che con molta<br />
probabilità erano note in epoca fenicia,<br />
greca o romana. Tra queste, la Minuta (o<br />
Nasitana) trova da sempre il suo sito di coltivazione<br />
in alcuni comuni dei Nebrodi: Naso,<br />
Castell’Umberto, Ficarra, Sinagra, Raccuja,<br />
Sant’Angelo di Brolo e altri comuni<br />
costieri. Secondo i dati Agea (Agenzia per<br />
le erogazioni in agricoltura) si riscontrano<br />
oltre 300 mila esemplari di Minuta, di cui<br />
quasi il 50% concentrato a Naso.<br />
Tra le cultivar minori di olivo, la Minuta,<br />
con il suo frutto piccolo, è considerata<br />
tra le più importanti per la vasta diffusione<br />
territoriale che discende da alcune<br />
sue peculiarità: resistenza al freddo e alla<br />
neve (il legno è molto elastico e non teme<br />
rotture causate dal peso della neve ed è<br />
poco suscettibile alla carie), costanza di<br />
produzione, qualità dell’olio elevata per il<br />
suo lieve e complesso fruttato. La pianta<br />
della Minuta è molto vigorosa, e gli olivicoltori<br />
la definiscono “Saracena” per la mole<br />
del tronco e delle branche: basti pensare<br />
che diversi esemplari superano i quattro<br />
metri di circonferenza del tronco all’altezza<br />
di un metro mezzo da terra.<br />
Oggi che negli extravergini di qualità si riscontra<br />
una grande varietà di attributi posi-<br />
Le potenzialità di una cultivar<br />
che per il suo lieve fruttato<br />
e per la resistenza della pianta<br />
rappresenta un punto di forza<br />
del patrimonio olivicolo siciliano<br />
SARÀ MINUTA, MA È GRANDE<br />
di PIPPO RICCIARDO*<br />
Se ne ricava<br />
un olio<br />
di alta qualità<br />
che si presta bene<br />
a condire<br />
piatti a base<br />
di pesce<br />
e verdure amare.<br />
Indicato<br />
nella preparazione<br />
di rustici<br />
e dolci,<br />
è consigliabile<br />
usarlo<br />
nelle fritture<br />
tivi, anche questa cultivar si presenta con<br />
le carte in regola per essere apprezzata<br />
dai degustatori e dai cultori dei buoni oli.<br />
Se non fosse per il suo fruttato e per l’alto<br />
valore salutistico e nutrizionale, determinato<br />
dalla quantità e qualità dei tocoferoli e<br />
dei polifenoli, il suo olio sarebbe poco apprezzato<br />
per la bassa resa (circa il 12-<br />
13%) che si ricava dalle olive.<br />
Ciononostante, la Minuta incontra il favore<br />
di molti consumatori, anche nuovi, che gradiscono<br />
l’olio con il fruttato leggero ma persistente,<br />
floreale, dal gusto poco amaro e<br />
piccante e più mandorlato. Un olio che, insomma,<br />
trova riscontro nelle ricette a base<br />
di pesce, nelle verdure particolarmente<br />
amare, nella preparazione di rustici e persino<br />
di dolci; se ne consiglia l’uso nelle fritture,<br />
per la particolare resistenza al punto<br />
di fumo, nettamente maggiore rispetto agli<br />
oli di semi.<br />
Nelle attività promosse dai Servizi allo<br />
Sviluppo dell’assessorato regionale<br />
Agricoltura e Foreste, la salvaguardia<br />
del germoplasma vegetale è un obiettivo<br />
prioritario. Le peculiarità dell’agricoltura<br />
siciliana, come nel caso della cultivar di<br />
olivo Minuta, sono fondamentali per la difesa<br />
della biodiversità, del territorio e della<br />
grande tradizione olivicola. Slow Food non<br />
ha esitato a fare della Minuta un presidio<br />
ambientale-alimentare per evitarne la dispersione<br />
o addirittura la scomparsa dal<br />
patrimonio olivicolo e vegetale isolano.<br />
Un grande ruolo di sviluppo e affermazione<br />
della cultivar Minuta è demandato ai Servizi<br />
agricoli e alle amministrazioni locali, che<br />
insieme possono condurre efficaci azioni in<br />
favore degli olivicoltori più intraprendenti.<br />
Proprio sulle imprese olivicole che si presentano<br />
adeguatamente sul complesso<br />
mercato dell’olio di oliva e degli extravergini<br />
è necessario far leva per ottenere quella<br />
giusta remunerazione che i prodotti di qualità<br />
siciliani senz’altro meritano.<br />
* Coordinatore della filiera olivicola del Distretto Nebrodi<br />
Unità operativa 70 di Sant’Agata Militello (ME)<br />
assessorato Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />
soat8@regione.sicilia.it<br />
pagina53SPECIALE
ECCO IL FRITTO D’AROMI<br />
L’olio di oliva è il prodotto con la più<br />
ampia variabilità nell’impiego alimentare.<br />
Per i suoi principi nutritivi essenziali<br />
è un alimento di elevato valore biologico,<br />
ma è anche un condimento, in quanto<br />
migliora il sapore delle pietanze. Può essere<br />
inoltre mezzo di cottura e liquido di “governo”,<br />
se si impiega per friggere o per<br />
conservare i cibi.<br />
Negli ultimi anni, soprattutto per l’esigenza<br />
di diversificare l’offerta, il mercato propone<br />
una linea di prodotti aromatizzati a base di<br />
olio di oliva. Si tratta di una vasta gamma<br />
di prodotti preparati per aggiunta di sostanze<br />
che ne mutano le primitive caratteristiche<br />
organolettiche, cosicché sotto l’aspetto<br />
merceologico non può più definirsi olio di<br />
oliva. In un settore che gioca e specula ancor<br />
oggi sugli equivoci lessicali, generati<br />
dalla complessa classificazione merceologica,<br />
l’immissione sul mercato dei cosiddetti<br />
oli aromatizzati può confondere ancor<br />
I condimenti che si aggiungono<br />
agli extravergine, per infusione<br />
o estraendo l’essenza dalla pianta,<br />
danno ai piatti il carattere forte<br />
delle vere essenze mediterranee<br />
di DINO CATAGNANO*<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
L’intensità<br />
delle sensazioni<br />
olfattive<br />
risulta<br />
inebriante.<br />
La gastronomia<br />
può contare<br />
su una risorsa<br />
in grado<br />
di diversificare<br />
le proposte.<br />
Ma non di rado<br />
diventa<br />
un espediente<br />
per nascondere<br />
i difetti<br />
più le cose. Il consumatore si trova a dover<br />
scegliere tra diverse etichette, magari conformi<br />
alle disposizioni di legge, ma poco<br />
eloquenti. Ci si può trovare quindi ad acquistare<br />
un prodotto rettificato come l’olio di<br />
oliva, ritenendolo migliore, al posto di un<br />
extravergine, talvolta perché più caro o<br />
perché ha un marchio più conosciuto. Affidarci<br />
perciò ai nostri sensi, vale a dire alla<br />
capacità di distinguere un olio buono da<br />
uno cattivo, rimane il modo più valido per<br />
trovare la qualità. E se dopo averlo odorato<br />
e assaggiato, percepiamo sensazioni<br />
sgradevoli, non bisogna certo richiedere il<br />
parere dell’esperto per evitare di riacquistarlo.<br />
Recentemente, e in particolare per gli oli<br />
extravergini di oliva, gli specialisti assaggiatori<br />
hanno assunto il vezzo di descrivere<br />
talune sensazioni odorose diverse dal<br />
fruttato, ciò per evidenziare i caratteri di<br />
pregio attribuibili alla diversa origine geo-
grafica o alla varietà. Si sente quindi parlare<br />
di sensazioni di mandorla, pomodoro,<br />
carciofo, mela, timo. Ma non bisogna dimenticare<br />
che la loro percezione è una<br />
prerogativa quasi esclusiva degli esperti;<br />
difficilmente, infatti, un consumatore può<br />
percepirli senza un addestramento specifico.<br />
È importante perciò rilevare che tali<br />
sensazioni possono essere tipiche degli<br />
extravergini di oliva e non dovute all’aggiunta<br />
di sostanze estranee.<br />
Le sensazioni olfattive, retro-olfattive e<br />
gustative dei condimenti all’olio di oliva<br />
sono invece da attribuire all’aggiunta di<br />
aromi o di altri ingredienti. Si utilizzano<br />
perciò diverse essenze officinali o agrumi<br />
per estrarre i cosiddetti oli essenziali. Vale<br />
a dire sostanze d’origine vegetale, profumate,<br />
volatili, solubili nei grassi, insolubili in<br />
acqua, classificati come oli. L’aggiunta si<br />
esegue normalmente per infusione o estraendo<br />
l’essenza dalla pianta aromatizzante<br />
e lavorandola assieme alla pasta di olive.<br />
In ambedue i casi si utilizzano le parti di<br />
pianta – foglie, fiori, frutti – più ricchi di essenze.<br />
Meno diffusa almeno nelle piccole<br />
aziende è l’aggiunta diretta di olio essenziale.<br />
Nel primo caso, si parla di enfleurage,<br />
che consiste nel deporre il vegetale (di<br />
solito dei fiori) su uno strato di grasso –<br />
l’olio – che si impregna di sostanze odorose.<br />
Nel secondo caso, la pianta aromatizzante<br />
è lavorata in frantoio assieme alle olive.<br />
Le essenze, grazie alla loro liposolubilità,<br />
sono estratte per centrifugazione con<br />
l’olio, il che richiede una grande maestria e<br />
una lunga esperienza dell’operatore.<br />
La creatività dei produttori propone un’ampia<br />
gamma di condimenti, all’aroma di origano,<br />
salvia, basilico, rosmarino, timo, e<br />
poi al limone, all’arancia, al peperoncino,<br />
solo per elencarne alcuni. Si possono ac-<br />
quistare negli esclusivi negozi d’alta gastronomia<br />
o negli hard discount che, come<br />
sempre succede, ne offrono di buoni e di<br />
pessimi. Ed essendo l’elemento base passibile<br />
di svariate sofisticazioni e frodi, non<br />
di rado i condimenti aromatizzati sono diventati<br />
un espediente per nascondere i difetti,<br />
talora piuttosto evidenti, di partite di<br />
olio di oliva vergine o lampante, diversamente<br />
da destinare alla raffinazione.<br />
I condimenti all’olio extravergine di oliva di<br />
qualità si propongono al cliente con ottime<br />
referenze e non sono da considerare né<br />
succedanei né antagonisti del prodotto non<br />
aromatizzato, piuttosto una risorsa in più. E<br />
se l’extravergine di oliva è già entrato molto<br />
dignitosamente nell’alta cucina, per i<br />
condimenti aromatizzati si può parlare solo<br />
di una buona prospettiva. L’intensità delle<br />
sensazioni olfattive può essere davvero<br />
inebriante e certamente diversa rispetto a<br />
quella che può ottenere un cuoco attraverso<br />
il procedimento dell’infusione o con l’aggiunta<br />
diretta dell’erba aromatica. La gastronomia<br />
può contare quindi su una risorsa<br />
in grado di diversificare le proposte e<br />
aggiungere ai piatti il carattere forte delle<br />
essenze mediterranee.<br />
I migliori condimenti aromatizzati si ottengono<br />
da partite di olive o da olio di<br />
eccellenti caratteristiche e da piante o<br />
essenze aromatiche di elevata qualità.<br />
Non si può pensare di ottenere buoni prodotti<br />
partendo da oli difettosi o da essenze<br />
di scadente qualità. E ancora una volta il<br />
consumatore dovrà avere una elevata cultura<br />
alimentare e una sufficiente capacità<br />
percettiva per riconoscere se un olio irrancidito,<br />
avvinato o muffito è stato mascherato<br />
dall’aggiunta di aromi.<br />
L’etichettatura dei condimenti all’olio di oliva<br />
è regolata dal Decreto legislativo 27<br />
pagina55SPECIALE
gennaio 1992, n. 109, che norma la presentazione<br />
e pubblicità dei prodotti alimentari,<br />
ovvero, l’insieme delle menzioni, delle<br />
indicazioni o dei simboli da riportare direttamente<br />
sulla confezione. Per tutelare il<br />
consumatore gli aromatizzati sono denominati<br />
condimenti, nonostante contengano<br />
per oltre il 99% olio di oliva, ed è prevista<br />
inoltre l’indicazione obbligatoria degli ingredienti,<br />
ad esempio: olio extravergine e origano<br />
(fiori).<br />
In fatto di tutela dalla salute del consumatore<br />
i condimenti all’olio di oliva<br />
non dovrebbero far sorgere molti interrogativi.<br />
Le virtù nutrizionali della<br />
loro parte principale sono ampiamente<br />
descritte. Ed è recente la notizia dell’azione<br />
antinfiammatoria e antitumorale<br />
svolta da un composto dell’extravergine<br />
denominato oleocantale, che al pari dell’ibuprofene<br />
– un farmaco antinfiammatorio<br />
capace di inibire l’attività degli enzimi<br />
ciclooxigenasi-1 (COX-1) e cicloossigenasi-2<br />
(COX-2) – potrebbe ulteriormente rafforzare<br />
il suo valore alimentare. Meno conosciuti<br />
sono gli effetti degli oli essenziali<br />
introdotti nell’organismo con i condimenti<br />
aromatizzati. Di certo si sa che<br />
pagina56SPECIALE<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Dall’alto a sinistra,<br />
e procedendo<br />
in senso orario<br />
piante di basilico,<br />
salvia, peperoncino<br />
e origano,<br />
tutte essenze<br />
utilizzate<br />
per aromatizzare<br />
gli oli<br />
molte essenze sono utilizzate anche per<br />
scopi omeopatici nel trattamento di alcuni<br />
disturbi. Il basilico, per esempio, è impiegato<br />
negli stati febbrili associati a raffreddore<br />
e influenza, nella digestione lenta,<br />
nella nausea e nei crampi addominali,<br />
e proficuamente anche nelle emicranie e<br />
nell’insonnia. Il rosmarino si può indicare<br />
per l’astenia, la colecistite, l’ittero, la congestione<br />
epatica, i calcoli biliari, le mestruazioni<br />
insufficienti, le emicranie digestive,<br />
la gotta e i reumatismi. L’origano,<br />
invece, per gli spasmi e le fermentazioni<br />
intestinali, le affezioni respiratorie e i disturbi<br />
del tubo digerente, in quanto stimola<br />
la secrezione gastrica.<br />
Le essenze utilizzate per la preparazione<br />
dei condimenti all’olio di oliva provengono<br />
dalla flora spontanea o dalle<br />
coltivazioni tipiche del territorio di produzione,<br />
perciò ne sono l’espressione. È logico<br />
pensare che possano diventare un modo<br />
per caratterizzare e valorizzare la cucina<br />
locale e uno spunto per la creazione di<br />
nuovi piatti.<br />
* Dirigente dell’assessorato<br />
regionale Agricoltura e Foreste<br />
Unità operativa 102 - Sciacca<br />
soat76@regione.sicilia.it
Via dell’olivo millenario è una stretta e<br />
scoscesa stradina lastricata di pietra<br />
lavica che in poche centinaia di metri<br />
conduce dall’abitato di Motta Sant’Anastasia,<br />
un piccolo centro alle falde dell’Etna,<br />
fino a un luogo in cui la natura e le vicissitudini<br />
della storia – o, meglio, la fortuna<br />
– hanno fatto arrivare a noi quello che<br />
potremmo chiamare un vero e proprio<br />
monumento vegetale: uno degli olivi più<br />
antichi dell’area etnea. La pianta si erge<br />
proprio ai piedi della torre<br />
medievale e rivolge il suo<br />
sguardo al mare, da un lato,<br />
e al vulcano, dall’altro.<br />
Da qui prenderemo il via<br />
per affrontare questo breve<br />
viaggio nella terra dell’Etna,<br />
alla scoperta di uno<br />
degli aspetti più intimamente<br />
connessi alla vita<br />
delle popolazioni del luogo:<br />
la coltura dell’olivo.<br />
Fenici e greci introdussero<br />
in Sicilia la coltivazione<br />
dell’olivo, migliorando<br />
quella che probabilmente<br />
era già una consuetudine<br />
delle popolazioni<br />
più antiche: utilizzare i frutti degli ogliastri<br />
e forse di qualche varietà già ben definita.<br />
Anche le pendici dell’Etna furono interessate<br />
da questa attività: l’importanza della<br />
produzione oleicola della zona è testimoniata<br />
già nell’opera di Pietro Bembo De<br />
Aetna, in cui ne descrive i pregi e la bontà.<br />
E del resto, indietreggiando fino al mito,<br />
si ricorda Ulisse che, approdato sulla<br />
costa ionica, accecò Polifemo proprio con<br />
un tronco di ogliastro.<br />
Così, grazie alla selezione naturale e alla<br />
perizia di quanti si dedicarono a questa<br />
coltivazione, venne moltiplicata e diffusa<br />
una varietà oggi fra le più importanti in termini<br />
economici dell’intero panorama olivicolo<br />
italiano: la Nocellara dell’Etna.<br />
Il reticolo di muretti a secco in pietra<br />
lavica, caratteristici del panorama etneo,<br />
racchiude oggi più di un milione<br />
di olivi, coltivati grazie all’impegno di centinaia<br />
di piccoli produttori ai quali viene<br />
anche affidato il destino paesaggistico e<br />
ambientale di questi versanti. Qui l’ulivo<br />
ha trovato un sito ideale di riproduzione e<br />
coltivazione. Tanto da riuscire a essere<br />
presente anche a quote eccezionali – fin<br />
Risale e tre anni fa il riconoscimento<br />
della Denominazione Monte Etna<br />
Un’opportunità che gli olivicoltori<br />
del comprensorio hanno ben colto.<br />
A tutto vantaggio della qualità<br />
UNA DOP DAVVERO VULCANICA<br />
di GIUSEPPE PENNINO*<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Dal felice connubio<br />
di varietà secolari<br />
in un territorio<br />
spesso impervio<br />
e irrequieto<br />
nasce un olio<br />
dai sentori erbacei<br />
e mandorlati,<br />
capace<br />
di armonizzare<br />
il piccante<br />
e l’amaro<br />
Nocellara dell’Etna,<br />
una varietà<br />
tra le più importanti<br />
del panorama<br />
olivicolo italiano<br />
oltre i mille metri – dove non sono infrequenti<br />
le nevicate e, tuttavia, il sole splende<br />
per almeno 270 giorni l’anno e una<br />
provvidenziale ventilazione fa superare<br />
anche le estati più torride.<br />
Tradizionalmente compagno di viti, meli,<br />
peri, noccioli e pistacchi, l’olivo dell’Etna è<br />
oggi coltivato anche in grandi e razionali<br />
impianti specializzati. Il suo frutto, particolarmente<br />
pregiato, viene utilizzato, ancora<br />
verde, anche come ottima oliva da mensa.<br />
La Nocellara Etnea ha<br />
come originario areale<br />
di produzione tutto il<br />
versante sud-ovest del<br />
vulcano. Si spinge lungo<br />
il fianco occidentale, fin all’interno<br />
dei comuni più a<br />
nord, dove s’incontra con<br />
un’altra importante varietà:<br />
la Brandofino. Insieme<br />
a questa costituisce la<br />
quasi totalità del patrimonio<br />
olivicolo del comprensorio,<br />
oggi individuato come<br />
area della Dop Monte<br />
Etna.<br />
In un territorio così fortemente<br />
caratterizzato dalla<br />
natura vulcanica del suolo, dal suo clima<br />
e dalla presenza di varietà perfettamente<br />
adattate a tali condizioni, non poteva che<br />
nascere la proposta d’istituire la Dop<br />
Monte Etna. Oggi, a tre anni dalla sua definitiva<br />
approvazione, si constata che i<br />
produttori hanno saputo cogliere al volo<br />
tale opportunità.<br />
Da anni seguiamo, anche grazie a iniziative<br />
mirate al miglioramento della qualità<br />
della produzione olearia, la valorizzazione<br />
di questo settore: oggi la quasi totalità delle<br />
aziende in grado di presentarsi con un<br />
prodotto adeguatamente confezionato ed<br />
etichettato si fregia del marchio Dop, indice<br />
di un raggiunto livello di qualità.<br />
E i consumatori che si avvicineranno a<br />
questi prodotti troveranno piacevolissime<br />
le note di fruttato, i sentori erbacei e mandorlati,<br />
apprezzando l’armonicità del piccante<br />
e dell’amaro scaturiti dal felice connubio<br />
di varietà secolari e di un territorio<br />
spesso impervio e irrequieto, come soltanto<br />
un vulcano sa essere.<br />
* Dirigente dell’assessorato regionale<br />
Agricoltura e Foreste<br />
Unità operativa 72, Catania<br />
soat21@regione.sicilia.it<br />
pagina57SPECIALE
Scrivo queste brevi note sull’olio extravergine<br />
di oliva dopo essere stato onorato<br />
a Siena del Premio dell’ampolla<br />
d’oro da parte dell’Enoteca italiana. Un<br />
premio che mi riempie di gioia, perché mi<br />
investe del ruolo di ambasciatore della mia<br />
terra e perché soprattutto premia l’enorme<br />
valore dei prodotti siciliani.<br />
Difficile per me, e per il lavoro che svolgo,<br />
poter pensare di far a meno dell’olio extravergine<br />
d’oliva. Credo che, se qualcuno mi<br />
imponesse di non usarlo, vivrei una sorta<br />
di lutto. Perché, l’olio, il nostro olio assolutamente<br />
extravergine di oliva (quello ibleo<br />
nel mio caso), è la base e il veicolo attraverso<br />
cui si possono fare viaggiare i sapori,<br />
le temperature, le sensazioni degli ingredienti<br />
di un piatto.<br />
Per noi l’olio non ha alternative, è di oliva,<br />
ma soprattutto è di “casa”. Abbiamo<br />
sempre guardato con diffidenza l’olio delle<br />
grandi distribuzioni, non tanto perché appartenente<br />
a questa o quella marca, quanto<br />
per il suo essere imbrigliato in produzioni<br />
e circuiti che ci allontanano da quella<br />
umanità che lega il frutto – dalla sfrondatura<br />
alla raccolta a mano, dalla frangitura fino<br />
al suo utilizzo – a un rapporto antico e<br />
di fiducia con chi gli alberi li cura, ne segue<br />
le fasi, ne estrae il meglio.<br />
Gli esperti dietologi individuano nell’olio extravergine<br />
d’oliva l’ingrediente necessario<br />
per il nutrimento in gravidanza, capace di<br />
fornire alla madre tutte le risorse per la for-<br />
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||<br />
La ricetta<br />
Tagliatelle Pianogrillo con canocchie,<br />
cipollotto fresco piccante<br />
e olio extravergine di Tonda iblea<br />
Ingredienti per 4 persone<br />
Tagliatelle fresche di cuore di semolino di grano duro e acqua 600 g;<br />
Olio extravergine di Tonda iblea Pianogrillo 50 g; Cipollotto fresco (8<br />
pezzi) 350 g; Prezzemolo 6 g; Pomodorini ciliegia pelati 4; Brodo 10<br />
cl; Peperoncino q.b.; Basilico 4 foglie; Sale q.b.; Canocchie 24-30<br />
Procedimento<br />
Far appassire e colorire in padella il cipollotto con l’olio extravergine<br />
di Tonda iblea Pianogrillo, aggiungere il prezzemolo e il pomodoro<br />
tritato, bagnare con brodo vegetale e aggiungere, fuori<br />
dal fuoco, il basilico, il sale e il peperoncino.<br />
Per ricavare la polpa delle canocchie tagliarle dai due lati e togliere<br />
il carapace superiore, quindi con un cucchiaio o un coltello raschiare<br />
le parti (un piccolo trucco per facilitare tale operazione è<br />
quello di congelare un po’ le cicale affinché la polpa si solidifichi<br />
e si stacchi più facilmente).<br />
Lessare al dente le tagliatelle e saltarle in padella con il cipollotto<br />
e la polpa delle canocchie crude, aggiungendo un filo d’olio di<br />
Tonda iblea.<br />
La ricetta è tratta da: Ciccio Sultano, La mia cucina siciliana,<br />
edizioni GamberoRosso, Roma 2005<br />
pagina58SPECIALE<br />
Insignito dell’Ampolla d’oro<br />
a Siena lo chef di Ragusa ammette:<br />
non posso pensare di far a meno<br />
dell’extravergine di oliva<br />
che per me è quello degli Iblei<br />
UN SAPORE IRRINUNCIABILE<br />
di CICCIO SULTANO*<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
I segreti? L’olio<br />
da degustazione<br />
non va confuso<br />
con quello<br />
usato in cucina.<br />
Soprattutto<br />
non va trattato<br />
alla stregua<br />
di un vino.<br />
Una scelta<br />
sbagliata rischia<br />
di compromettere<br />
l’equilibrio<br />
del piatto<br />
mazione degli organi e dei tessuti necessari<br />
allo sviluppo del feto.<br />
Non solo, gli innumerevoli utilizzi ulteriori<br />
che della pianta e dei suoi derivati sono<br />
stati fatti nel corso dei secoli – da mero<br />
combustile all’impiego nella cosmesi – ne<br />
hanno decretato la gloria facendolo assurgere<br />
ad “Albero della vita”.<br />
Lontani dai romanticismi e per rimanere in<br />
argomento, possiamo dire che oggi l’oliva<br />
ha al proprio servizio una valida tecnologia<br />
che permette, a noi ristoratori come a tutti i<br />
consumatori attenti all’eccellenza del gusto<br />
e alla genuinità, di mantenere tutte le proprietà<br />
attive del prodotto “olio” e soprattutto<br />
di durare nel tempo sconfiggendo i batteri<br />
che ne minacciano la tenuta alimentare<br />
e organolettica. Mi riferisco a lavorazioni<br />
a ciclo continuo per pressione o centrifughe,<br />
con separazione di acqua e sansa tramite<br />
vasche meccaniche, sostituzione del<br />
vuoto con l’azoto e conservazione nei recipienti<br />
in acciaio per inibirne l’ossidazione.<br />
Infine, per completare la filiera di un prodotto<br />
che tutto il mondo ci invidia, sono necessarie<br />
una grande cura nel confezionamento<br />
e una forte spinta imprenditoriale.<br />
Insomma alle nostre aziende va dato il merito<br />
di aver saputo lanciarsi nel mercato dell’olio<br />
con spirito pionieristico. Hanno aperto<br />
la strada per un enorme salto qualitativo<br />
prodigandosi, tramite l’ingegneria, nella custodia<br />
e nella magnificazione della preziosa<br />
eredità lasciataci dai nostri avi di un territorio<br />
ricco di oliveti e generoso di frutti.<br />
L’olio che uso nella mia cucina proviene<br />
solo da aziende aventi come comune denominatore<br />
l’alta qualità e con le quali è<br />
stato possibile creare un circolo virtuoso<br />
basato su forniture all’ingrosso dello stesso<br />
extravergine che poi va a finire nelle preziose<br />
bottiglie etichettate.<br />
Questo per dire che, data l’alta qualità dell’ingrediente,<br />
è sbagliato relegarlo nel ruolo<br />
di prodotto di nicchia: è necessario piuttosto<br />
stabilire strade e scambi per intensificarne<br />
l’utilizzo costante, instaurando un rapporto<br />
diretto fra produttore e distributore-ristoratore.<br />
La forza di un prodotto meraviglioso sta<br />
anche nella sua diffusione capillare.<br />
L’eccezionalità dell’olio extravergine di<br />
oliva ibleo consiste nella capacità di<br />
esprimere personalità con le tipologie di<br />
olive autoctone. Ad esempio, con solo una<br />
cultivar, la Tonda iblea nel Chiaramontano,<br />
si è riusciti, soprattutto grazie alla volontà di<br />
imprenditori coraggiosi, a realizzare un olio
dalla grande personalità carico di pomodoro.<br />
O ancora, con la Moresca (dal sentore<br />
più selvatico), la Biancolilla e la Nocellara<br />
si riescono a ottenere piatti dai temperamenti<br />
ben definiti che permettono di dare<br />
alle portate una precisa territorialità.<br />
Ho citato le cultivar siciliane perché sono<br />
quelle che più mi appartengono, ma ogni<br />
regione ne può vantare altrettante e di pari<br />
prestigio, penso alla Calabria con la Carolea,<br />
e alla pugliese Coratina, fino alla umbro-toscana<br />
Frantoio.<br />
Tutte queste, insieme a molte altre che sarebbe<br />
impossibile citare qui, compongono<br />
la galassia del grasso vegetale più sano e<br />
nutriente che si può mai usare in cucina.<br />
Spesso mi viene chiesto se nel nostro ristorante<br />
abbiamo il cosiddetto carrello degli<br />
oli. Come se il fatto di mettere in bella<br />
mostra le più prestigiose etichette degli<br />
svariati produttori, fosse un indice di autorevolezza<br />
del ristorante. L’olio da degustazione<br />
non può sovrapporsi all’olio della cucina.<br />
Soprattutto non lo si può trattare alla<br />
stregua di un vino associandolo liberamente<br />
alla portata secondo l’umore o la curiosità.<br />
Non va messo nel bicchiere ma all’interno<br />
del piatto. Quindi se l’olio non è quello<br />
giusto può compromettere l’equilibrio del<br />
piatto.<br />
Il mio auspicio, da operatore gastronomico,<br />
è che la professionalità degli operatori, in<br />
sala come in cucina, da cameriere, gourmet<br />
o chef che sia, possa fornire al cliente la giusta<br />
conoscenza del mondo dell’olio, offrendo<br />
le basi per una corretta lettura e quindi<br />
una consapevole fruizione di ciò che mangiamo,<br />
sia per quantità di grassi, sia per<br />
equilibrio di sapori.<br />
Alla domanda del carrello rispondo sempre<br />
che non è importante che l’olio extravergine<br />
d’oliva stia in sala, è molto più importante<br />
che stia in cucina e che venga usato senza<br />
economia. È questa la prova di una pulizia<br />
intellettuale che impone sempre di offrire il<br />
meglio al cliente.<br />
I più svariati grassi vegetali di pessima qualità<br />
vengono spesso e volentieri usati, nella<br />
maggioranza delle strutture, a tutto discapito<br />
della salute degli ospiti. In questo senso,<br />
se di salto culturale si vuole e si deve parlare,<br />
dovremmo cominciare da una regola basilare:<br />
usare solo olio extravergine d’oliva.<br />
La mia, più che una critica, è un appello.<br />
* Chef del ristorante Il Duomo di Ragusa Ibla<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q
In alcune aree del meridione d’Italia,<br />
l’olivicoltura da mensa rappresenta un<br />
comparto produttivo in grado di integrare<br />
il reddito, in alcuni casi molto limitato,<br />
dell’olivicoltura da olio.<br />
In Sicilia, in particolare, gli areali storici per<br />
la coltivazione delle olive da tavola sono<br />
tre. Il primo si trova nel Catanese, nei comuni<br />
alle falde dell’Etna (Adrano, Paternò<br />
e Biancavilla). Il secondo si estende nel<br />
Ragusano ed è rappresentato dalle culti-<br />
pagina60SPECIALE<br />
Olivicoltura da mensa in Sicilia.<br />
I numeri di un settore che cresce:<br />
la produzione isolana copre il 50%<br />
dell’intero fabbisogno nazionale<br />
ma la filiera va migliorata<br />
UN’OLIVA TIRA L’ALTRA<br />
di FELICE CRESCENTE*<br />
Olive da mensa<br />
Nocellara del Belice<br />
var nere Moresca e Tonda iblea. La terza<br />
area – decisamente la più estesa per dimensione<br />
economica, volumi di prodotti<br />
trasformati e potenzialità di sviluppo –<br />
comprende la Valle del Belice e i comuni di<br />
Castelvetrano, Campobello di Mazara e<br />
Partanna.<br />
Ancora oggi, la produzione industriale<br />
rimane concentrata in questa parte del<br />
territorio. Gli oliveti specializzati si estendono<br />
per oltre 14.000 ettari e, da qualche
anno, sono state riconosciute due Dop: la<br />
“Nocellara del Belice”, per le olive da mensa,<br />
e la “Valle del Belice”, per l’olio.<br />
La Sicilia produce annualmente 30.000<br />
tonnellate di olive da tavola con un potenziale<br />
di ben oltre mezzo milione di quintali.<br />
Oltre i due terzi del raccolto sono rappresentati<br />
dalla cultivar della Valle del Belice.<br />
La rimanente quota è costituita dalla Nocellara<br />
Etnea e da isolate produzioni a carattere<br />
artigianale, quasi sempre destinate<br />
al consumo locale.<br />
La produzione isolana rappresenta il<br />
50% dell’olivicoltura da mensa italiana.<br />
Il prodotto interno tuttavia non è sufficiente<br />
a coprire il fabbisogno delle industrie<br />
conserviere nazionali. E il ricorso al mercato<br />
estero, spagnolo e greco in particolare,<br />
risulta necessario. Un fenomeno da ritenersi<br />
legato all’uso della tecnologia e all’organizzazione<br />
del lavoro. La Spagna,<br />
ad esempio, sembra oggi capace di offrire<br />
grandi stock di prodotto anche a prezzi<br />
leggermente più alti rispetto al prodotto<br />
nazionale, garantendo sufficienti standard<br />
qualitativi. Mentre in Sicilia, per lo più, la<br />
trasformazione avviene nel rispetto delle<br />
tecniche tradizionali: olive verdi in salamoia<br />
naturale o con il metodo “sivigliano”, olive<br />
INTERVISTA<br />
a Giuseppe Curaba<br />
presidente del Distretto olivicolo<br />
delle Terre trapanesi<br />
e imprenditore del settore<br />
Incontriamo Giuseppe Curaba, titolare<br />
dell’omonimo Gruppo che da oltre un quarto di<br />
secolo opera nel settore olivicolo e che ora si sta<br />
ingrandendo. All’ingresso della palazzina<br />
direzionale di Contrada Airone, a Castelvetrano, fa<br />
bella mostra un plastico che rappresenta come<br />
sarà lo stabilimento a completamento delle opere.<br />
Senza trionfalismi, ma con moderato ottimismo,<br />
Curaba – che è anche neopresidente del Distretto<br />
olivicolo delle Terre trapanesi – illustra il complesso<br />
progetto che porterà a una lavorazione di 25.000<br />
tonnellate di olive. Inizia lui a parlare: «Si è mai<br />
chiesto come mai i grandi marchi dell’industria<br />
nazionale delle olive da tavola acquistano all’estero?<br />
Quando ho posto questa domanda ai nostri clienti,<br />
mi hanno semplicemente risposto:“In Spagna e in<br />
Grecia troviamo tutte le olive che servono e nelle<br />
tipologie richieste. Quando sarete in grado di fare la<br />
stessa cosa, saremo contenti di venir giù da voi.<br />
Anche perché, paradossalmente, il mercato<br />
internazionale – quello degli Stati Uniti in particolare<br />
– è pieno di olive tipo sicilian style, ma non sempre<br />
di origine isolana. Un problema che dovete risolvere<br />
per salvaguardare l’immagine del vostro prodotto”. Il<br />
nostro nuovo stabilimento si estenderà su un’area di<br />
circa 700.000 metri quadrati e comprenderà, oltre ai<br />
12.000 mq di strutture già realizzate, altri 42.000 mq<br />
coperti. Qui pensiamo di lavorare 25.000 tonnellate<br />
di olive Nocellara del Belice, utilizzando le tecnologie<br />
più avanzate».<br />
Con fare serafico Curaba spiega, passo dopo<br />
A trasformare<br />
il comparto<br />
contribuiranno<br />
le risorse investite<br />
da alcuni gruppi<br />
finanziari<br />
per costruire<br />
una Cittadella.<br />
Suggerimenti<br />
per fronteggiare<br />
la concorrenza<br />
della Spagna<br />
e della Grecia<br />
E IL PRODUTTORE SOGNA L’ITALIA<br />
passo, il layout del progetto. Grandi cisterne<br />
interrate da 100 quintali ciascuna serviranno allo<br />
stoccaggio del prodotto durante la raccolta.<br />
Conclusa tale fase, inizierà il processo di<br />
trasformazione delle olive nelle diverse tipologie. In<br />
particolare si produrranno le COMFIT (nere), molto<br />
apprezzate in Italia e all’estero. Ma in tutto questo –<br />
chiediamo – le aziende della Valle del Belice cosa<br />
ci guadagnano?<br />
«Quest’anno – risponde Curaba – i produttori<br />
hanno ricevuto per le olive un pagamento medio di<br />
un euro al chilo. È stato il prezzo più alto nel mese<br />
di ottobre e in tutta l’area del Mediterraneo,<br />
comprese la Spagna e la Grecia. I produttori<br />
temevano un crollo dei prezzi simile a quello<br />
verificatosi per il vino e l’ortofrutta. L’aver lavorato<br />
oltre il 70% di tutta la produzione del Belice ci ha<br />
permesso di diversificare meglio il prodotto in<br />
funzione delle richieste. Questo non è che l’inizio:<br />
la vera rivoluzione, quando saremo pronti, sarà<br />
dolcificate o nere a ossidazione naturale.<br />
In questo comparto, a differenza di ciò<br />
che avviene per altri comparti produttivi<br />
importanti per l’economia agroalimentare<br />
siciliana, sono poche le strutture capaci di<br />
affrontare in maniera organica e sistematica<br />
tutte le reali problematiche del settore:<br />
la ricerca e la sperimentazione, la trasformazione<br />
industriale nelle diverse tipologie,<br />
la qualità e la sicurezza alimentare,<br />
l’utilizzazione di tecnologie per il packaging,<br />
le innovazione di processo industriale<br />
e di prodotto.<br />
Nella valle del Belice esistono ventisette<br />
aziende specializzate nella trasformazione<br />
delle olive da tavola, molte di queste<br />
sono semplici magazzini che operano<br />
ai livelli più bassi della filiera, altre completano<br />
tutto il ciclo fino al prodotto finito per la<br />
distribuzione.<br />
Ma oggi è in atto una profonda trasformazione<br />
del comparto. Gruppi finanziari<br />
stanno investendo in Sicilia grandi risorse<br />
per la costruzione di una vera e propria Cittadella<br />
delle Olive.<br />
* Dirigente dell’Unità operativa 105 - Castelvetrano<br />
assessorato Agricoltura e Foreste<br />
soat78@regione.sicilia.it<br />
Il plastico che rappresenta come sarà lo stabilimento Curaba dopo i lavori previsti<br />
quella di incrementare la produzione direttamente<br />
negli oliveti, riducendone magari la pezzatura».<br />
Questo significa chiedere ai fornitori di non coltivare<br />
solo “le olive belle grosse”, ma anche frutti da<br />
mensa di media calibratura? «Sì – conferma<br />
Curaba –, le olive di pezzatura grossa hanno un<br />
mercato esclusivamente italiano e non si vendono<br />
in tutte le regioni. Un olivicoltore costretto a<br />
produrre solo “kolossal” non è nelle condizioni di<br />
reggere agli alti costi. Il modello che vogliamo<br />
proporre ai nostri fornitori è basato, come dicevo,<br />
sull’aumento delle rese di olive per ettaro. Strategia<br />
necessarie se si vuole diventare competitivi in Italia<br />
e all’estero. L’aumento della produttività degli<br />
oliveti, da un lato, migliorerà la redditività marginale<br />
delle aziende e, dall’altro, ci consentirà di<br />
trasformarci in un vero e proprio distretto<br />
agroalimentare. A questo proposito vogliamo<br />
sollecitare tutti gli attori del comparto affinché si<br />
attivino per una proficua collaborazione». [f.cr.]<br />
pagina61SPECIALE
Ci si può fidare ad occhi chiusi, è proprio<br />
il caso di dirlo. L’olio extravergine<br />
d’oliva siciliano non teme confronti sotto<br />
l’aspetto qualitativo, e ha le carte in regola<br />
per replicare i successi commerciali<br />
del vino siciliano.<br />
Abbiamo fatto un lungo viaggio attraverso<br />
la Sicilia dei frantoi, dei produttori e confezionatori<br />
dell’extravergine di oliva, incontrando<br />
numerosi operatori del settore, dall’Etna<br />
alle valli Trapanesi e al Val di Mazara,<br />
passando per i monti Iblei e i monti Sicani,<br />
trovando ovunque un comune denominatore:<br />
la grande passione unita all’orgoglio<br />
derivante dalla consapevolezza di<br />
realizzare un prodotto eccellente. È stato<br />
emozionante parlare con alcuni di loro,<br />
quasi come discutere di poesia con un<br />
poeta o di arte con un pittore. Non si tratta<br />
di freddi uomini di azienda che fanno i conti<br />
solamente dal punto di vista economico,<br />
ma di persone che – pur nel rispetto delle<br />
rigide norme previste dai disciplinari di produzione<br />
– dentro la bottiglia, oltre all’olio,<br />
mettono cuore e sensibilità. Dalle parole di<br />
questi artisti della produzione – Perrone di<br />
Sciacca, il principe Paternò Castello di Catania<br />
o Mauceri di Ispica, solo per citarne<br />
alcuni – trapela la consapevolezza che il<br />
loro olio non è un semplice condimento,<br />
ma l’ambasciatore di un territorio ricco di<br />
storia, cultura e tradizioni gastronomiche.<br />
Ma se l’eccellenza dell’extravergine siciliano<br />
non è in discussione, più critica è la situazione<br />
delle aziende produttrici. Dai dati<br />
relativi al sistema olivicolo siciliano risulta<br />
che esso può contare su una superficie<br />
coltivata di circa 138 mila ettari, suddivisa<br />
tra quasi 200 mila imprese. È presente,<br />
dunque, una grande frammentazione, che<br />
impedisce alle ditte più piccole di realizzare<br />
le economie di scala necessarie a far<br />
crescere la loro competitività sul mercato.<br />
In queste aziende, di modeste dimensio-<br />
pagina62SPECIALE<br />
Viaggio nella Sicilia dei frantoi<br />
Qualità e passione in primo piano<br />
ma anche difficoltà dei piccoli<br />
produttori, che restano poco<br />
competitivi sul fronte dei prezzi<br />
OLIO D’ARTISTA<br />
di CARMELO PAGANO<br />
i quaderni di<br />
terrà<br />
Q<br />
Alcune aziende<br />
sono riuscite<br />
a ritagliarsi<br />
una nicchia<br />
di mercato<br />
puntando<br />
sull’eccellenza<br />
dei loro<br />
extravergini<br />
e sul rapporto<br />
diretto con<br />
i consumatori<br />
ni, si riscontrano spesso inefficienze produttive<br />
dovute all’assenza di investimenti<br />
per l’ammodernamento e per la meccanizzazione,<br />
con conseguenti elevati costi<br />
di produzione e quindi del prodotto finito.<br />
Mentre diventa sempre più agguerrita la<br />
concorrenza degli oli vergini ed extravergini<br />
di dubbia provenienza, che – se pur<br />
convenienti dal punto di vista dei prezzi –<br />
non offrono alcuna garanzia in termini di<br />
qualità e sicurezza. Tutto ciò disorienta il<br />
consumatore e svantaggia i piccoli oleifici<br />
siciliani.<br />
Dall’altro lato, alcune aziende isolane sono<br />
riuscite a crearsi un mercato diretto, unendo<br />
all’eccellenza del prodotto la conoscenza<br />
del consumatore, un valore importante<br />
che le imprese di grandi dimensione faticano<br />
a realizzare. È proprio questa la marcia<br />
in più che può dare un giusto riconoscimento<br />
a certi tipi di produzioni rivolte a un<br />
pubblico attento ed esigente, disposto a<br />
spendere un po’ di più per avere un prodotto<br />
genuino e di sicura provenienza.<br />
Tra i limiti di molte aziende c’è anche la<br />
difficoltà a investire nella promozione,<br />
divulgazione e commercializzazione del<br />
prodotto. In questo settore tanto hanno<br />
fatto e fanno le associazioni e i consorzi,<br />
anche con l’aiuto della pubblica amministrazione,<br />
che si è posta come obiettivo la<br />
valorizzazione istituzionale del sistema.<br />
Spesso però ci si scontra con il forte individualismo<br />
degli operatori, tanto che a volte i<br />
consorzi di tutela invece di puntare su un<br />
unico marchio promuovono quelli dei singoli<br />
associati, i quali preferiscono presentarsi<br />
sul mercato con la propria etichetta,<br />
incuranti della confusione che ne deriva.<br />
Un peccato per l’olio siciliano che – indubbiamente<br />
forte sul piano della qualità – meriterebbe<br />
davvero uno sforzo comune per<br />
rafforzare la sua immagine e la sua competitività<br />
sul mercato.
Finito di stampare per conto<br />
dell’assessorato Agricoltura e Foreste della Regione siciliana<br />
nel mese di marzo 2006 dalle Officine Grafiche Riunite<br />
via Prospero Favier, 10 - 90100 Palermo