DIEGO DALLA VERDE - Ssai - Ministero Dell'Interno
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<strong>DIEGO</strong> <strong>DALLA</strong> <strong>VERDE</strong><br />
LE “ALTRE MAFIE”.<br />
CENNI STORICI SULL’ORIGINE E L’EVOLUZIONE DI<br />
CAMORRA, ‘NDRANGHETA E<br />
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA PUGLIESE<br />
1
INTRODUZIONE...............................................................................................pag. 3<br />
1. La camorra campana<br />
1.1 Origini.........................................................................................................pag, 5<br />
1.2 Raffaele Cutolo e l’esperienza della N.C.O.........................................pag. 16<br />
1.3 Relazioni equivoche: il sequestro di Ciro Cirillo ...............................pag. 22<br />
1.4 Elementi distintivi ..................................................................................pag. 28<br />
2. La ‘ndrangheta calabrese<br />
2.1 Genesi storica ..........................................................................................pag. 38<br />
2.2 Fascismo e Dopoguerra .........................................................................pag. 47<br />
2.3 Il “momento magico” degli anni sessanta ..........................................pag. 58<br />
2.4 Colonizzazione........................................................................................pag. 64<br />
2.5 Peculiarità.................................................................................................pag. 70<br />
3. La “quarta mafia” pugliese<br />
3.1 Puglia regione mafiosa? .........................................................................pag. 83<br />
3.2 Imitazione e originalità ..........................................................................pag. 92<br />
3.3 Il contrabbando .....................................................................................pag. 100<br />
3.4 Caratteristiche........................................................................................pag. 104<br />
FONTI ...............................................................................................................pag. 118<br />
BIBLIOGRAFIA..............................................................................................pag. 126<br />
2
INTRODUZIONE<br />
Quando si parla di “mafia” si fa comunemente riferimento a quella<br />
particolare forma di criminalità organizzata sviluppatasi in Sicilia a partire<br />
dall’800 e, come è noto, assurta all’interesse dell’opinione pubblica nazionale<br />
in ragione del suo apparentemente inarrestabile sviluppo criminale,<br />
cominciato con la fine della seconda guerra mondiale e culminato nella<br />
“politica” stragista di matrice corleonese degli anni ’90.<br />
Ma, in realtà, in particolare a partire dalla seconda metà del secolo<br />
scorso, gli Organismi a vario titolo deputati al contrasto alla criminalità<br />
organizzata hanno dovuto registrare, con riferimento ad altre, differenti<br />
consorterie criminali di origine meridionale – ‘ndrangheta calabrese, camorra<br />
campana e “quarta mafia” pugliese - un’escalation decisamente significativa,<br />
in termini di organizzazione, strategie di sviluppo, capacità di controllo del<br />
territorio nelle zone indigene, prospettive di penetrazione in nuovi mercati<br />
criminali, potenza militare, capacità di infiltrazione politica ed economica,<br />
attitudine alla dimensione di “impresa criminale”, sinergie criminali<br />
nazionali ed internazionali, che hanno finito con l’avvicinare oltre le più<br />
pessimistiche previsioni le potenzialità criminali di queste organizzazioni a<br />
quelle della sempre temibile “Cosa Nostra” siciliana.<br />
Proprio in Piemonte, ad esempio, territorio apparentemente “lontano”,<br />
per storia, cultura, convenzioni sociali, dalle aree del Mezzogiorno, si è a più<br />
riprese registrata una significativa presenza della ‘ndrangheta, probabilmente<br />
in ragione della massiccia immigrazione calabrese verso le aree più<br />
industrializzate del paese, ma anche di una certa politica “giudiziaria” che ha<br />
destinato all’obbligo di dimora in comuni piemontesi numerosi capi bastone<br />
calabresi, in base all’ottimistica aspettativa, purtroppo puntualmente<br />
disattesa dall’evidenza dei fatti, che questi non avrebbero saputo riprodurre il<br />
complesso sistema organizzativo ed il tessuto di valori guida delle rispettive<br />
consorterie in aree diverse dal territorio originario e non ancora colonizzate<br />
dalla criminalità di tipo mafioso.<br />
Proprio per esigenze di approfondimento a questo riguardo, connesse<br />
all’incarico professionale rivestito e all’interesse personale per le<br />
fenomenologie mafiose, ho ritenuto dunque di operare una sintesi<br />
dell’evoluzione di queste organizzazioni criminali, di taglio esclusivamente<br />
storico-sociale, non proponendosi il presente lavoro di analizzare l’attività<br />
3
delle predette organizzazioni criminali mediante l’analisi di indicatori<br />
statistici, ma piuttosto di approfondirne origine ed evoluzione allo scopo di<br />
migliorarne la comprensione dell’attuale configurazione.<br />
Obiettivo della presente monografia è dimostrare che i caratteri<br />
peculiari e le diverse strategie evolutive di queste tre organizzazioni si<br />
traducono in una spiccata originalità criminale, troppo spesso sottovalutata e<br />
erroneamente celata dall’asserzione, peraltro infondata e conseguentemente<br />
foriera di giudizi e valutazioni fuorvianti, secondo cui le stesse altro non<br />
sarebbero che semplici “variabili” regionali della mafia siciliana.<br />
4
1.1 Origini<br />
La Camorra campana<br />
Secondo il Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri di<br />
Raffaele D’Ambra, il termine “camorra” significa “il denaro o la cosa esatta<br />
dal camorrista” 1 sottintendendo quindi un pagamento forzato cui ci si<br />
adeguerebbe per non incorrere in ritorsioni violente.<br />
Il significato corrente nella lingua italiana è invece: “lega di persone<br />
disoneste per ottenere illecitamente favori o guadagni ingiusti o anche<br />
l’insieme delle loro arti e delle loro azioni, un accordo per usare soperchierie,<br />
un agire ingiustamente a vantaggio proprio ed a danno altrui”. 2<br />
Dunque dal concetto di frutto dell’estorsione (cui di conseguenza è<br />
associata un’attività delinquenziale) 3 , proprio del dialetto napoletano di fine<br />
‘800, nel passaggio all’italiano si assiste all’adozione di un significato che ne<br />
evidenzia maggiormente la componente organizzativa; se quindi al termine<br />
“mafia” storicamente si fa corrispondere in primis un comportamento, una<br />
forma mentis, 4 per definire la parola “camorra” si è fatto ricorso, già nel<br />
passato, ad un’attività illecita (esercitare l’estorsione), ad una peculiare<br />
modalità d’azione ed in ultima istanza ad una organizzazione<br />
delinquenziale. 5<br />
Storicamente si ritiene che la genesi della camorra sia da ricercarsi nella<br />
Napoli dei primi anni dell’800; Galasso si spinge ad osservare che la fase di<br />
gestazione del fenomeno risalirebbe addirittura al secolo precedente, in<br />
funzione del rafforzamento, a livello dell’amministrazione comunale, dei ceti<br />
professionistici e dell’alta borghesia, a discapito di artigiani e commercianti<br />
che erano invece tradizionalmente molto solidi nei quartieri popolari.<br />
1 R.D’Ambra, Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri, Napoli, 1873.<br />
2 Dizionario enciclopedico italiano, Istituto Enciclopedico Italiano Treccani, Roma 1961, ad nomen.<br />
3 “lo scopo della camorra è quello di estorquere denaro [...] Il camorrista profittando della pusillanimità di<br />
alcuni estorque il danaro a titolo di prezzo della sua protezione” (Corte d’appello di Catanzaro Sezione di<br />
Accusa, Sentenza emessa nei confronti di Calarco Domenico più 48, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 119, 19<br />
agosto 1885).<br />
4 A questo proposito si vedano F.Lestingi, La mafia in Sicilia, in “Archivio di psichiatria, scienze penali, e<br />
antropologia criminale”, 1880 (cit. in R.Canosa, Storia della criminalità in Italia 1845-1945, Einaudi, Torino<br />
1991, pp. 98-99 nota) G.M. Puglia, Il mafioso non è un associato per delinquere, in “La scuola positiva”, 1930<br />
(cit. in R.Canosa, op.cit., p.293 nota) e H.Hess, Mafia, Laterza, Roma-Bari 1984.<br />
5 Cfr. I.Sales, La camorra le camorre, II edizione rivista e accresciuta, Editori Riuniti, Roma 1993, p.23.
“Il loro prevalere segnò un distacco via via più netto tra il potere<br />
cittadino e la massa di popolazione in meno felici condizioni. Di conseguenza<br />
ci fu un allentamento della disciplina sociale, di quella disciplina che fino ad<br />
allora si era mantenuta. Ed è in questa condizione che le prepotenze, gli<br />
abusi, le estorsioni – certamente largamente praticati – possono essersi<br />
coagulati in ciò che poi è stata la camorra”. 6<br />
E’ peraltro opportuno ricordare che la ricostruzione operata da Galasso<br />
è stata ritenuta poco convincente da Isaia Sales, che ne ha contestato il riferire<br />
l’origine camorrista ad un’espressione di quel disordine sociale scaturito<br />
dall’incapacità del governo della città di gestire il malcontento serpeggiante<br />
tra il popolino. Al contrario “l’impressione è che essa rappresenti un “ordine”<br />
nel disordine sociale, che essa disciplini e contenga a suo modo la violenza<br />
spontanea che si sprigiona dalle condizioni miserevoli in cui viveva gran<br />
parte della popolazione”. 7<br />
Per Sales la camorra trarrebbe invece la sua origine dalle particolari<br />
circostanze politiche ed economiche che investirono la città di Napoli a<br />
seguito del tentativo repubblicano del 1799 che, se da un lato permise un<br />
incremento del peso politico della plebe, dall’altro determinò un<br />
peggioramento delle condizioni di vita della stessa a seguito del crollo di<br />
un’economia che si fondava principalmente proprio sul servizio a quel ceto<br />
nobiliare e alto borghese che le condizioni di disordine della Napoli dei primi<br />
anni dell’800 avevano allontanato dalla città. Se a questo malessere sociale si<br />
aggiunge la strategia dei Borboni (che restaureranno la monarchia nel 1815),<br />
di fomentazione del conflitto tra popolino e ceto liberale responsabile dei<br />
moti del 1799, anche mediante il ricorso ad una sorta di tolleranza poliziesca<br />
nei confronti delle attività illecite del primo, si comprende come si possa<br />
arrivare a sostenere che la camorra fu una sorta di società segreta criminale,<br />
alleata del potere in funzione anti- liberale, all’interno della quale si aggregò<br />
tutto il malessere sociale degli strati più violenti della plebe e che si<br />
contrappose ad altre società segrete, espressione della borghesia e della<br />
nobiltà, quali la Carboneria e la Massoneria.<br />
E’ opportuno sottolineare che il rapporto con il potere costituito non si<br />
esaurisce con l’episodio della restaurazione della monarchia borbonica,<br />
essendo questo un tratto distintivo della modalità d’azione della camorra,<br />
centrale e manifesto, dalla sua lontana origine storica sino a giorni più<br />
6 G.Galasso, Intervista sulla storia di Napoli, a cura di P.Allum, Laterza, Bari 1978, p.203.<br />
7 I. Sales, op.cit., p.34.<br />
6
ecenti 8 . Proprio la necessità di instaurare un rapporto organico con la plebe e<br />
la consapevolezza del carattere mercenario della camorra 9 , indurrà,<br />
all’indomani della sconfitta nella rivoluzione del 1848 10 , anche i liberali a<br />
cercare un collegamento con i suoi esponenti in chiave antiborbonica; 11 tale<br />
vincolo culminerà nel gravissimo episodio del 1860, quando il prefetto<br />
Liborio Romano, in attesa dell’arrivo delle armate di Garibaldi, riterrà<br />
inevitabile arruolare nella Guardia Nazionale esponenti della camorra, con lo<br />
scopo di reprimere i saccheggi e la mobilitazione sanfedista 12 . Proprio<br />
l’investitura camorristica operata da Liborio Romano ha indotto Luciano<br />
Violante ad affermare: “rispetto a Cosa Nostra, per la camorra il rapporto<br />
storico con il potere politico nasce ufficialmente”. 13<br />
Sugli effetti dell’inquinamento camorristico delle forze di pubblica<br />
sicurezza, scaturiti dalla scelta del prefetto Romano, si sofferma un rapporto<br />
di polizia del 1861: “appartenenti alla camorra portanti il berretto delle<br />
Guardie nazionali e armati come sogliono di bastone animato [...] Gente<br />
facinorosa e ladra che si fa pagare dallo Stato un lavoro che non fa”. 14<br />
Ma di una compenetrazione tra camorra e politica e di un utilizzo<br />
strumentale alle proprie esigenze della seconda da parte della prima si trova<br />
anche traccia durante le prime elezioni della democrazia postunitaria e, nel<br />
1904, nell’acquisto dei voti e negli episodi intimidatori ai danni dell’elettorato<br />
del deputato socialista Ettore Ciccotti, poi non rieletto 15 .<br />
Gli episodi del 1860 chiariscono comunque perfettamente il rapporto<br />
tra la camorra e la plebe: “la camorra riesce a contenere il popolo e ad<br />
8 Mi riferisco in particolare al caso Cirillo che verrà analizzato in seguito.<br />
9 “Dietro pagamento la camorra è disposta a tutto” (I.Sales, op.cit., p.45).<br />
10 I moti del 1848 a Napoli erano infatti stati contraddistinti da un atteggiamento passivo ed in alcuni casi<br />
apertamente sfavorevole da parte delle classi popolari.<br />
11 Cfr. I. Sales, op.cit., p.45.<br />
12 Il 24 giugno del 1860 Francesco II di Borbone, costretto dalle imprese di Garibaldi, aveva promulgato la<br />
costituzione del 1848, ma la situazione dell’ordine pubblico degenerò con grande rapidità, al punto che venne<br />
proclamato lo stato d’assedio durante la notte del 26. Sembrava imminente il saccheggio sistematico della città<br />
da parte delle classi meno abbienti; la decisione di Liborio Romano, anche se moralmente assai discutibile<br />
ottenne il risultato auspicato. A questo proposito Monnier ha osservato: “Francesco II se ne andò [...] senza<br />
trombe e tamburi e Garibaldi giunse senza colpi di fucile. E tutto ciò grazie ai camorristi.” (M.Monnier, La<br />
camorra, notizie storiche raccolte e documentate, Berisio, Napoli 1965, p.128) Sull’indispensabile contributo<br />
degli uomini della camorra in occasione della rivoluzione del 1860 si è soffermato anche lo storico borbonico<br />
Giacinto De Sivo che si è spinto a definire i moti come “la rivolta dei camorristi” ( G. De Sivo, Storia delle<br />
Due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste 1868, vol. II, p.98).<br />
13 L.Violante, Non è la piovra. Dodici tesi sulle mafie italiane, Einaudi, Torino 1994, p.67, il corsivo è mio.<br />
14 Archivio di Stato di Napoli, AP, f.202, fasc.4, Compimento dello stato dei camorristi di questa città,<br />
trasmesso dal Questore al <strong>Ministero</strong> dell’Interno il 21 giugno 1861, citato in M.Marmo, Economia e politica<br />
della camorra napoletana nel secolo XIX, in “Quaderni dell’Istituto universitario orientale di Napoli”, 2, 1988,<br />
p.107.<br />
15 Cfr. I. Sales, op.cit., pp.45 e 101.<br />
7
allearselo, dimostrando così di essere “l’unico vero potere popolare”. [...] fino<br />
al 1860, la camorra viene dalla plebe e trova il suo potere nella plebe. I<br />
camorristi in genere sono dei senza-mestieri che vivono esclusivamente del<br />
controllo delle attività illegali. Esercitano una funzione di ordine e di<br />
controllo sociale, di cui di volta in volta si serve il potere costituito, il tratto<br />
mercenario è molto marcato”. 16<br />
Passando poi ad analizzare l’argomento della penetrazione e della<br />
diffusione nel tessuto urbano della città, secondo un’inchiesta della Prefettura<br />
di Napoli del 1875 17 , parrebbe esagerata l’affermazione, di matrice<br />
pubblicistica e letteraria, secondo cui la camorra era, all’epoca, capillarmente<br />
presente in tutto il capoluogo campano con eguale forza ed influenza;<br />
esaminando l’indagine, emerge che i quartieri con la maggiore presenza<br />
camorristica erano Mercato, Vicaria, Porto, e poi, in misura più blanda,<br />
Pendino, Montecalvario e Stella 18 . Alla luce di tali evidenze emerge ancora<br />
una volta il carattere popolare della camorra, che esercitava una presenza più<br />
forte proprio in quelle parti della città dove era maggiore la presenza delle<br />
classi meno abbienti, e dove le condizioni socio economiche erano peggiori.<br />
Allo scopo di analizzare l’evoluzione del fenomeno, Isaia Sales ha<br />
utilizzato uno schema di periodizzazione della storia della camorra che si<br />
fonda su cinque distinte fasi storiche 19 : il primo periodo comincia agli inizi<br />
dell’ottocento e si conclude con l’Unità d’Italia e corrisponde alla nascita e<br />
alla legittimazione della camorra nella sua veste di unica portavoce degli<br />
interessi del popolo; il periodo successivo, che si apre con le repressioni<br />
postunitarie 20 e si conclude agli inizi del Novecento, è caratterizzato da una<br />
notevole espansione che Sales imputa agli allargamenti del 1882 e del 1889<br />
del suffragio elettorale. Sarebbe inoltre riconducibile a questa fase storica un<br />
primo allontanamento della camorra dalla sua classe di origine, a seguito del<br />
16 Ivi, pp.93-94.<br />
17 Cfr. L.Mascilli-Migliorini, Povertà e criminalità a Napoli dopo l’unificazione: il questionario sulla camorra<br />
del 1875, in Archivio storico della provincia napoletana, 1980.<br />
18 Si tenga presente che la città nel 1875 era suddivisa in dodici quartieri; anche considerando che nell’analisi di<br />
Mascilli-Migliorini mancano le risposte al questionario dei quartieri Avvocata e San Carlo all’Arena, peraltro<br />
quartieri “esterni”, pare corretto dissentire dall’affermazione secondo cui la camorra aveva a Napoli una<br />
distribuzione completamente omogenea.<br />
19 Cfr. I. Sales, op.cit., pp.85-87.<br />
20 Si pensi all’epurazione posta in essere da Silvio Spaventa a Napoli a partire dal 1861 (Cfr. L.Violante, Non è<br />
la piovra, cit. p.68), o alle repressioni del 1862 a Caserta con l’arresto di centinaia di camorristi (Cfr. I. Sales,<br />
op.cit., p.83) e alle successive ondate repressive del 1874, 1877, 1883 (Ivi, p.95). Una tale politica di<br />
persecuzione del fenomeno è da ricercarsi sia nell’identificazione nella camorra nei vizi borbonici, sia<br />
nell’atteggiamento dei suoi aderenti dopo l’instaurazione della repubblica; essi infatti “tornarono alle loro opere<br />
consuete servendosi delle acquistate benemerenze politiche per esercitare e organizzare su vasta scala il<br />
contrabbando sotto il nome di Garibaldi” (M. Monnier, op.cit., p. 130)<br />
8
suo impegno in alcune attività commerciali e del coinvolgimento nel sistema<br />
degli appalti per i servizi comunali e nell’edilizia, che la conducono<br />
inevitabilmente ad entrare in contatto con entità economiche e politiche di<br />
più alto livello. E’ un periodo di grandi cambiamenti anche nel modo di porsi<br />
dei camorristi che, nella loro ricerca di legittimazione, avvertono l’esigenza di<br />
fornire una rappresentazione di se stessi meno popolana, maggiormente<br />
ricercata e più simile ai benestanti 21 . Per fornire un semplice esempio, si<br />
osservi che il capo della camorra di quegli anni, Ciccio Cappuccio, era<br />
addirittura stato soprannominato “’o signorino,” appellativo decisamente in<br />
controtendenza rispetto agli anni della camorra del popolo, 22 ma ormai il<br />
nuovo modello di riferimento è quello che viene definito lo sciammeria, vale a<br />
dire il camorrista imborghesito. 23<br />
Su questa mutazione di interessi e di stile, si sofferma anche l’inchiesta<br />
della Prefettura di Napoli sulla penetrazione territoriale; in una delle risposte<br />
al questionario si legge: “da un lato si assiste [...]a un numero minore di reati<br />
legati al piccolo contrabbando, ma, d’altra parte, aumenta corrispettivamente<br />
la camorra “in guanti gialli”, quella cioè esercitata su grandi interessi<br />
economici e che poteva giovarsi di protezioni più elevate.[...] I mestieri svolti<br />
[...] indicano ancora la presenza di classi infime, ma già si segnala una<br />
partecipazione di piccola borghesia e di appartenenti alle classi elevate”. 24<br />
Il terzo periodo prende il via alla conclusione dell’inchiesta Saredo 25<br />
per concludersi al termine della seconda guerra mondiale; è questa una fase<br />
storica di notevole diminuzione della forza della camorra, le cui cause vanno<br />
ricercate in una serie di avvenimenti politici (i governi Giolitti con la<br />
sottrazione alla camorra di parte della sua base sociale 26 , la progressiva<br />
21<br />
Si noti che dopo il 1875 viene addirittura accantonata l’usanza di vestirsi e pettinarsi in quel modo particolare<br />
che, come una sorta di uniforme, caratterizzava il camorrista agli occhi degli altri uomini.<br />
22<br />
Cfr. I. Sales, op.cit., p. 96.<br />
23<br />
Cfr. A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi, Luigi Piero edizioni, Napoli 1897, p. 156.<br />
24<br />
L. Mascilli-Migliorini, op.cit., p.573.<br />
25<br />
Nel 1901, a seguito degli scandali politici verificatisi a Napoli, legati ad un sistema visceralmente corrotto e<br />
clientelare e culminati nelle dimissioni dell’onorevole Agnello Alberto Casale, il governo nominò una<br />
commissione d’inchiesta presieduta dal presidente del Consiglio di Stato, Giuseppe Saredo.( Cfr. L. Violante,<br />
Non è la piovra, cit., pp.63-64). Secondo la Commissione Saredo la camorra era profondamente mutata; le sue<br />
origini ottocentesche proletarie erano state sostituite, grazie all’ignavia dello Stato, da una nuova classe di<br />
camorristi di estrazione borghese, abili nell’infiltrazione nella pubblica amministrazione ed in generale in<br />
qualsiasi livello della società. (Cfr. Regia Commissione d’inchiesta per Napoli, Relazione sull’amministrazione<br />
comunale (relatore senatore G.Saredo), 1901, parte I, pp.49-50)<br />
26<br />
A questo proposito è molto interessante l’osservazione di Sales secondo cui il nuovo sistema politico, oltre<br />
ad essere innegabilmente più affine alle classi popolari rispetto al passato, supera la camorra nel suo essere<br />
espressione delle componenti più povere della società in quanto oltre che offrire la protezione, cosa che già fa<br />
la stessa camorra, è in grado di garantire quella promozione sociale che sino a quel momento era stata solo un<br />
miraggio. (Cfr. I. Sales, op.cit., p.109).<br />
9
avanzata del movimento socialista 27 , la repressione voluta da Mussolini 28 ),<br />
sociali (l’emigrazione di fine secolo, con un’oggettiva diminuzione numerica<br />
dei più poveri, il miglioramento generale delle condizioni di vita, anche<br />
associato al risanamento urbano di alcune fra le zone più miserevoli di<br />
Napoli), giudiziari (il processo Cuocolo 29 e la pesante repressione ad esso<br />
seguita).<br />
Dunque, per quanto la camorra si sia sforzata di avviare rapporti<br />
organici con l’autorità costituita e le classi superiori, questo suo tentativo di<br />
partecipazione attiva al sistema di potere non si concretizza, perlomeno non<br />
completamente; quella camorristica è un’integrazione improntata alla<br />
subalternità, poichè il suo essere intrinsecamente mercenaria la relega ad una<br />
semplice funzione di servizio che non può essere durevole.<br />
Conseguentemente il sistema di potere alterna fasi in cui se ne serve<br />
attivamente ad altre in cui la disconosce, il tutto in funzione dei propri<br />
interessi; la camorra non riesce nel suo intento di “saltare il fosso” che separa<br />
le classi meno abbienti dal resto della società non potendo quindi realizzare<br />
l’obiettivo di rappresentare i valori della società nel suo complesso, ma<br />
rimanendo invece allo stadio incompiuto di quello che Sales definisce “un<br />
illegalismo popolare di massa” 30 .<br />
“Nel processo Cuocolo, ad esempio, sono coinvolti gli stessi uomini che<br />
nel 1904, in combutta con il prefetto, avevano impedito la rielezione di<br />
Ciccotti e che ora venivano giudicati come volgari delinquenti. E’ ancora nelle<br />
mani del ceto dominante far considerare la camorra come delinquenza o<br />
come sfera ambigua ma necessaria del potere”. 31<br />
27 Peraltro è documentato che, già nel 1898, in occasione delle proteste di piazza seguite alle cannonate<br />
milanesi di Bava Beccaris, la plebe non era più strumentalizzata dalla camorra, ma seguiva gli indirizzi dettati<br />
proprio dal partito socialista.<br />
28 Gli anni del regime fascista rappresentarono un’aperta rottura nella storia della camorra. La<br />
monopolizzazione della violenza che caratterizzò il regime di Mussolini, a fronte dell’ inconsistenza di una<br />
camorra enormemente indebolita a seguito delle mutate condizioni sociali e politiche dei primi decenni del<br />
Novecento furono determinanti nel permettere un’operazione di repressione ben più agevole di quanto lo fu in<br />
Sicilia con la mafia. Questo anche in considerazione dell’assenza in Campania, fatte salve alcune zone del<br />
casertano, di un forte movimento contadino che si opponesse ai fascisti. (Cfr. I Sales, op.cit., pp.122-123 e G.<br />
Capobianco, Appunti sulle origini del fascismo in Terra di Lavoro e momenti della Resistenza operaia e<br />
popolare 1921-1923, a cura della Federazione comunista di Caserta, 1983, pp. 10-11)<br />
29 Nel 1911 si celebra il cosiddetto processo Cuocolo, vero e proprio processo alla camorra, scaturito dalla<br />
barbara uccisione di Gennaro Cuocolo e della moglie che erano stati condannati a morte dalla “Gran Mamma”,<br />
il tribunale della Camorra.(Cfr, I.Sales, op.cit., p.73).<br />
30 Ivi, p.104.<br />
31 Ivi, p.103.<br />
10
La ricomparsa della camorra 32 dopo la repressione fascista coincide con<br />
l’inizio della sua quarta fase storica, che sarebbe caratterizzata da una più<br />
marcata origine provinciale 33 piuttosto che napoletana in senso stretto; gli<br />
anni cinquanta sono anche gli anni dell’esplosione del contrabbando 34 ,<br />
attività illecita in cui la camorra si specializza. Complessivamente pare<br />
corretto rimarcare che in questo periodo si consolida una sorta di subalternità<br />
della camorra rispetto all’enorme potere che va acquisendo Cosa Nostra (i cui<br />
tentacoli si estenderanno poi sino a Napoli proprio in funzione<br />
dell’affiliazione dei contrabbandieri campani).<br />
Infine si arriva al quinto periodo, l’attuale, che Sales fa cominciare<br />
all’inizio degli anni sessanta, contestualmente alle prime tracce della<br />
modernizzazione del Sud .<br />
All’inizio di questa fase, non esiste ancora una camorra con una<br />
struttura centralizzata, ma piuttosto sono presenti sul territorio napoletano<br />
vari gruppi indipendenti che si spartiscono, per zone di competenza, il<br />
controllo sulle attività illegali; si tratta a tutti gli effetti di una criminalità che<br />
è ad un livello organizzativo più elevato rispetto a quella comune, ma è<br />
ancora ben lontana dalla complessità rappresentata dal modello siciliano del<br />
periodo.<br />
32 Si tenga presente che l’immediato dopoguerra non vede la presenza di una camorra “organizzata” sulla<br />
falsariga di quella risorgimentale, ma a ricomparire sono i singoli camorristi che vanno a rioccupare le<br />
posizioni di controllo dei traffici illeciti ad un livello comunque molto basso. Se si considera che è pressoché<br />
totalmente assente anche la “presenza politica” della camorra (nessun indirizzo sui grandi temi del dopoguerra),<br />
è forse più corretto classificare queste entità sopravvissute al fascismo nella categoria del gangsterismo.<br />
33 E’ all’inizio degli anni cinquanta che fanno la loro comparsa a Napoli i cosiddetti “guappi di provincia” (Cfr.<br />
I.Sales, op.cit., p.134) a seguito del boom delle produzioni ortofrutticole da esportazione di alcuni comuni<br />
agricoli vicini al capoluogo campano. Il loro ruolo è quello di “fare il prezzo” della merce che arriva sulla<br />
piazza di Napoli, unilateralmente, senza alcuna logica di mercato riferibile alla domanda e all’offerta. Si tratta<br />
di individui che detengono il monopolio del prodotto da contrattare e delle relazioni sia con i produttori che con<br />
i grandi distributori, mediante “una regolazione violenta e autoritaria di rapporti commerciali tra un mercato<br />
fortemente attivo e un’offerta enormemente spezzettata, un punto di riferimento nell’impatto agricolturamercato,<br />
nell’assenza di moderne strutture mercantili e nella subalternità, in questa fase di ripresa economica,<br />
della campagna alla città.”(Ivi, p.135). Altri ambiti dove questa nuova camorra esercita un ruolo di mediazione<br />
sono il commercio di tessuti, la produzione e distribuzione del latte e la macellazione clandestina di carni. (Cfr.<br />
G.Tutino, Camorra 1957, in “Nord e Sud”, n.35, dicembre 1957, pp.75-90.)<br />
34 L’enorme numero di bombardamenti subiti dalla città di Napoli tra il 1940 ed il 1943 aveva delineato una<br />
situazione sociale ai limiti della sopravvivenza per le classi meno abbienti; a questo proposito Paolo Ricci ha<br />
scritto: “La plebe di Napoli nel 1943 pareva la plebe della città viceregnale” (P.Ricci, La nuova camorra porta<br />
la pistola sotto l’ascella, in “Vie Nuove”, n.20, 1959). Siffatta situazione aveva determinato un ricorso di<br />
massa ai traffici illegali, tra cui ovviamente il contrabbando; la peculiarità è che nonostante la guerra finisca,<br />
questo massiccio ricorso all’illecito non si esaurisce come in altre parti d’Italia, ma, soprattutto per il<br />
contrabbando di tabacchi, esplode prima con i furti nei depositi alleati e poi con la nascita di piccole fabbriche<br />
che si dedicano alla produzione illegale. Tuttavia, almeno in questa fase, la direzione del traffico di sigarette<br />
non sarà prerogativa della camorra, che è ancora troppo debole, ma come ha osservato Sales “In assenza di una<br />
forte organizzazione criminale locale, Napoli per due decenni sarà terreno di conquista della mala<br />
internazionale. Siciliani, genovesi, corsi, marsigliesi si alterneranno nel controllo del contrabbando di<br />
sigarette.” (I.Sales, op.cit., p.132).<br />
11
La svolta si verifica nel 1960, a seguito di un evento politico<br />
internazionale quale è il passaggio del Marocco alla monarchia; ciò determina<br />
la chiusura del porto franco di Tangeri ed il conseguente spostamento del<br />
grande contrabbando di tabacchi dalla via tirrenica a quella adriatica. Questo<br />
accadimento è responsabile di notevoli cambiamenti nel costo del prodotto e<br />
nelle modalità di pagamento dello stesso: le organizzazioni acquirenti<br />
avrebbero da quel momento in poi versato in anticipo la metà del costo<br />
dell’intero carico e pagato l’importo del nolo della nave. 35<br />
Quindi, per quanto la camorra, sin dal dopoguerra, fosse stata<br />
protagonista nel mercato illegale del contrabbando, le diviene ora<br />
impossibile, a fronte delle mutate condizioni dello stesso, continuare a<br />
gestirlo efficientemente, soprattutto perchè essa non è forte a sufficienza dal<br />
punto di vista economico.<br />
“Il mutare del sistema finanziario negli scambi di tabacchi lavorati<br />
esteri comporterà l’ingresso sulla scena di nuovi protagonisti”. 36<br />
Se, a tale modifica “strutturale” delle condizioni di questo mercato<br />
illecito, si aggiunge che Cosa Nostra siciliana deteneva notevoli disponibilità<br />
di capitali da investire, frutto delle proprie attività illegali connesse alla<br />
speculazione edilizia di Palermo, che molti boss siciliani vennero inviati in<br />
quegli anni al confino proprio a Napoli e che il contrabbando è attività illecita<br />
per definizione non legata ad un singolo contesto, ma che necessita di<br />
strutture logistiche extraterritoriali, si può arrivare a comprendere quali siano<br />
stati i presupposti di quel fenomeno che è stato definito “mafizzazione” della<br />
camorra 37 .<br />
La concatenazione di questi elementi apparentemente distinti è dunque<br />
responsabile dell’evoluzione della camorra a fenomeno criminale di spicco; i<br />
boss siciliani, non appena giunti a Napoli, allacciano immediatamente<br />
rapporti di comparaggio con le cosche locali. Si noti, peraltro, che quella di<br />
Cosa Nostra è una strategia assolutamente innovativa rispetto ad un passato<br />
che mai aveva visto la collaborazione tra i due sodalizi, separati da un<br />
profondo gap culturale e comportamentale.<br />
Il boss della vecchia mafia non amava l’ostentazione, parlava poco,<br />
minimizzava la sua influenza e la riservatezza caratterizzava il suo potere e i<br />
suoi consumi. Il camorrista invece non aveva riservatezze, ostentava con<br />
anelli d’oro e penne stilografiche lucenti una agiatezza e una cultura che non<br />
35 La malavita organizzata in Campania, in “Nord e sud”, aprile-giugno 1982, n.18, p.12, il corsivo è mio.<br />
36 R. Gorgoni, Periferia infinita. Storie d’altra mafia, Argo, Lecce 1995, p.256.<br />
37 Cfr., I. Sales, op.cit., pp. 142-146.<br />
12
aveva, si esibiva nelle tirate e zumpate, tutte manifestazioni chiassose perchè<br />
praticate in pubblico. 38<br />
Queste notevoli differenze avevano originato una profonda avversione<br />
tra le due entità criminali che si manifestavano anche negli Stati Uniti, dove<br />
tra Cosa Nostra americana e la Mano Nera (organizzazione composta e<br />
diretta da campani) i rapporti erano talmente tesi dal finire col degenerare in<br />
guerra aperta. Michele Pantaleone ha rilevato che fu importantissimo il ruolo<br />
di mediazione giocato, sia nel contesto americano che in quello italiano, dal<br />
boss Lucky Luciano, che, non a caso, dopo la guerra e le espulsioni da Cuba e<br />
dagli Stati Uniti decise di stabilirsi proprio a Napoli, nonostante fosse di<br />
origine siciliana. 39<br />
Ma aldilà di tali considerazioni legate al passato, è opportuno osservare<br />
che la relazione che legherà mafia e camorra avrà comunque caratteristiche<br />
asimmetriche, essendo chiaro il predominio di Cosa Nostra, che si serve della<br />
manovalanza camorristica, anche in chiave militare nel conflitto con i<br />
marsigliesi, ma che non rinuncia al monopolio organizzativo del<br />
contrabbando prima e del traffico di stupefacenti poi. La prima Commissione<br />
parlamentare antimafia ha sintetizzato il rapporto mafia - camorra di questa<br />
fase definendolo una “collaborazione intermedia nella quale la camorra<br />
giocava una buona parte dei suoi interessi economici e si accontentava di<br />
lauti profitti, mentre la mafia organizzava”. 40<br />
Alla “collaborazione intermedia,” propria di tutti gli anni sessanta, si<br />
sostituisce poi un modello improntato a quella che Lupo definisce “strategia<br />
di internalizzazione,” 41 cioè il ricorso di Cosa Nostra ad una vera e propria<br />
affiliazione di soggetti esterni, con il duplice scopo di riprodurre su territori<br />
non tradizionali le sue strutture classiche e contestualmente di ridurre le<br />
possibilità di scontro con la criminalità autoctona, che essendo inglobata<br />
diviene essa stessa parte dell’universo mafioso siciliano.<br />
Per Tommaso Buscetta: “inizialmente i rapporti dei suddetti [i<br />
camorristi n.d.r.] con elementi di Cosa Nostra erano solo di affari e<br />
38<br />
M.Pantaleone, Poi arrivò Lucky Luciano e anche Napoli fu Cosa Nostra, in “I Siciliani”, marzo 1983,<br />
pp.166-167.<br />
39<br />
Ibidem. E’ opportuno precisare che la decisione di Luciano scaturisce sia dall’aver preso coscienza<br />
dell’enorme importanza che Napoli può rivestire per il mondo dell’illegalità, ma anche da una valutazione<br />
strategica che lo induce a evitare pericolose intromissioni nei delicati equilibri di Cosa Nostra a Palermo.<br />
Peraltro è documentato lo stretto rapporto che lo lega ai fratelli La Barbera, protagonisti della prima guerra di<br />
mafia, in ordine al traffico di stupefacenti.<br />
40<br />
Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia (legge 20 dicembre 1962, n.1720,<br />
Atti della Commissione, AP, Camera dei Deputati, VI legislatura, doc.XXIII, n. 2, Tipografia del Senato, Roma<br />
1976, pp.414-415.<br />
41<br />
Cfr S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli Editore, Roma 1996, p.236.<br />
13
iguardavano soprattutto il contrabbando di tabacchi; in seguito i legami con<br />
Pippo Calò, con i Corleonesi, e con i Greco di Ciaculli sono divenuti tanto<br />
intensi che anche i napoletani, unico esempio finora noto, sono divenuti<br />
appartenenti alla Cosa Nostra di Palermo a pieno titolo”. 42<br />
Anche i magistrati di Palermo si sono soffermati sulla strategia posta in<br />
essere da Cosa Nostra nei confronti del contrabbando e della camorra,<br />
osservando: “la mafia, infatti, allo scopo di assumere il controllo e la<br />
direzione dell’intero traffico di tabacchi, non disdegnava di reclutare come<br />
uomini d’onore semplici “sigarettai” il cui unico merito era quello di essere<br />
esperti contrabbandieri, a prescindere dal possesso dei requisiti che<br />
solitamente venivano richiesti agli aspiranti uomini d’onore”. 43<br />
Peraltro pare che, nonostante le affiliazioni, i rapporti tra napoletani e<br />
siciliani non fossero dei migliori; per Calderone: “l’accordo tra siciliani e<br />
napoletani per la gestione del contrabbando di sigarette non durò comunque<br />
a lungo. Si erano creati troppi contrasti. Era diventato impossibile controllare<br />
che tutti mantenessero fede agli impegni presi. I napoletani, come al solito,<br />
facevano i furbi. A ogni turno, cercavano di scaricare molte più casse di<br />
quelle stabilite. Eravamo nel 1979, e c’era pure la droga che attirava gli<br />
uomini d’onore più potenti”. 44<br />
Calderone, in questo passaggio, pone dunque l’accento sull’importanza<br />
che rivestirà il business del traffico di stupefacenti; l’esperienza del<br />
contrabbando, con le sue reti organizzative già strutturate da anni e con il<br />
knowledge degli uomini che se ne occupano, si presta ottimamente ad essere<br />
riconvertita nel ricco mercato della droga. 45<br />
Per Sales, “è con il ruolo occupato nel traffico internazionale della<br />
droga, alla metà degli anni settanta, grazie all’unificazione che avviene tra le<br />
reti del contrabbando e quelle dei traffici di droga, che la camorra comincia a<br />
varcare i confini campani, a crearsi una sua precisa identità mafiosa, a<br />
divenire, cioè, un’organizzazione di quadri criminali di una certa consistenza.<br />
Il traffico di droga sprovincializza i delinquenti campani e dà loro una<br />
dimensione nuova nella gerarchia criminale”. 46<br />
42<br />
C. Stajano (a cura di), Mafia. L’atto di accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti, Roma 1986,p. 95.<br />
43<br />
Ivi, p.92.<br />
44<br />
P. Arlacchi, Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone,<br />
Mondadori, Milano 1992, p.121.<br />
45<br />
Cfr. C. Guglielmucci, Economia della società camorristica, in F. Barbagallo, (a cura di), Camorra e<br />
criminalità organizzata in Campania, Liguori, Napoli 1988, p. 119.<br />
46<br />
I. Sales, op.cit., p.148.<br />
14
Si tratterebbe quindi di un doppio salto di qualità effettuato dalla<br />
camorra, prima, all’inizio degli anni sessanta, mediante la collaborazione con<br />
la mafia siciliana nella gestione del contrabbando e poi, verso la metà del<br />
decennio successivo, con l’ingresso nel mercato degli stupefacenti.<br />
La mafizzazione della camorra è dunque direttamente responsabile<br />
dell’evoluzione dei sodalizi criminali napoletani che assumono una struttura<br />
analoga alle cosche siciliane, con un forte familismo e legami interni molto<br />
robusti. Ciò in virtù del fatto che controllare mercati illegali ad elevata<br />
complessità necessita di un’organizzazione criminale strutturata, in grado di<br />
garantire il notevole rischio d’impresa ad essi connesso; inoltre essere i<br />
fiduciari a Napoli di Cosa Nostra, significa lavorare sotto l’ombrello di quel<br />
marchio di garanzia che identifica la mafia siciliana in tutto il mondo e<br />
conseguentemente assumerne le caratteristiche.<br />
Siffatta evoluzione della camorra fa sì che la sua attività non si<br />
esaurisca con il controllo del rifornimento di altri mercati, gestito in società<br />
con Cosa Nostra, andando altresì ad investire un ambito locale di proporzioni<br />
enormi se solo si pensa che, da uno studio effettuato nel 1982 da Pci e Fgci in<br />
merito al traffico di droga in Campania, si delinea la fotografia di un mercato<br />
che fornisce profitti per quattrocento miliardi l’anno e una liquidità circolante<br />
tra i 10000 e i 15000 miliardi di vecchie lire. 47<br />
Inoltre, la possibilità di gestire, a scopo di riciclaggio, ingenti capitali in<br />
un primo momento riferibili perlopiù ad attività di Cosa Nostra, ma poi<br />
frutto dell’impegno diretto della camorra nel contrabbando e nel traffico di<br />
stupefacenti, fa sì che essa, in questi anni, assuma caratteristiche di<br />
modernità soprattutto in ordine alle proprie capacità imprenditoriali. Gli<br />
enormi profitti derivanti da sigarette e droga le hanno finalmente permesso<br />
di legittimarsi socialmente, abbattendo quella storica barriera che la separava<br />
dalle classi dominanti ed entrando quindi in contatto con quei ceti economici,<br />
finanziari e politici di Napoli e dintorni, il cui appoggio permette, per la<br />
prima volta, un attivo impegno nell’ambito della speculazione edilizia che si<br />
concreterà in un controllo capillare degli appalti e nel monopolio della<br />
costruzione di immobili nelle zone sottoposte ad un maggiore controllo<br />
camorristico.<br />
Questa attitudine affaristica, sino ad ora sconosciuta all’organizzazione<br />
criminale campana, arriva ad investire a trecentosessanta gradi l’illegalità<br />
sottesa alla realtà napoletana e soprattutto della sua provincia; sono infatti<br />
47 Cfr. Droga e camorra in Campania, Coop.Editrice Sintesi, Napoli 1982, p.64.<br />
15
documentati interessi anche nella gestione delle bische e dei locali notturni,<br />
nel racket, nel mercato di prodotti ortofrutticoli e nelle agenzie immobiliari. 48<br />
Peraltro è opportuno sottolineare che il traffico di stupefacenti, se da un<br />
lato, in virtù degli enormi guadagni ad esso connessi, ha permesso alla<br />
camorra di assurgere al ruolo di grande criminalità organizzata, dall’altro,<br />
destando un forte allarme sociale, ha rotto quel fronte compatto della<br />
subcultura dell’illegalità che sino a quel momento aveva permesso la<br />
sopravvivenza secolare di mercati pubblici illeciti, ha posto in essere la fine<br />
della tolleranza istituzionale e piccolo borghese che sino ai tempi del semplice<br />
contrabbando era stata una caratteristica di Napoli e dintorni.<br />
Molti studiosi del fenomeno usano fare originare la fase<br />
imprenditoriale della camorra con la gestione illegale della ricostruzione post<br />
terremoto del 1980; in realtà, come si è visto, questa fase era già iniziata in<br />
sordina agli inizi degli anni settanta, e si era consolidata con il precipuo ruolo<br />
economico assunto dal sistema delle autonomie locali in quegli anni, ruolo<br />
semplicemente accresciuto dal terremoto. Con il terremoto l’Italia scopre la<br />
camorra, ma non è che il terremoto abbia dato inizio alla camorra come<br />
impresa. 49<br />
1.2 Raffaele Cutolo e l’esperienza della N.C.O.<br />
“Mentre, dunque, si stava consolidando un lento processo di<br />
mafizzazione della camorra grazie alla riconversione del traffico di sigarette<br />
in quello della droga, veniva alla luce un altro tipo di organizzazione<br />
delinquenziale ad opera di Raffaele Cutolo: la Nuova Camorra Organizzata.<br />
E’ questo tipo di organizzazione che va attentamente studiata, perchè<br />
difficilmente assimilabile all’altra camorra, avendo caratteristiche e<br />
motivazioni del tutto diverse. Il terremoto del novembre ’80 trova già<br />
operanti questi due tipi di camorra, che schematicamente si possono definire<br />
l’uno camorra-impresa e l’altro camorra-massa; l’uno a più spiccate<br />
caratteristiche mafiose, l’altro a più spiccate caratteristiche sociali”. 50<br />
Sino all’inizio degli anni ottanta, la camorra non si impone<br />
all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale, per quanto nella sua zona di<br />
origine si percepisca già da tempo la sua ingombrante presenza; l’opinione<br />
48 Cfr. I. Sales, op.cit., pp.149-150.<br />
49 Ivi, pp. 150-151.<br />
50 Ivi, pp.161-162.<br />
16
comune era ancora di considerarla fenomeno tradizionale-culturale, legato ad<br />
una particolare realtà geografica, e conseguentemente destinato a scomparire<br />
con l’evoluzione socioeconomica di quel contesto, sicuramente non<br />
paragonabile, in termini di pericolosità sociale, a Cosa Nostra.<br />
In occasione del grave sisma che colpisce Campania e Basilicata nel<br />
novembre del 1980, finalmente il dibattito politico e sociale esplode. Ciò<br />
avviene innanzitutto in seguito ai violenti scontri tra detenuti appartenenti a<br />
schieramenti rivali, verificatisi nel carcere di Poggioreale nei momenti di<br />
panico che seguono il terremoto – circostanza che permette di prendere<br />
coscienza del fatto che in Campania si sta combattendo una vera e propria<br />
guerra di camorra - e poi, più tardi, in relazione alle palesi infiltrazioni<br />
camorristiche nell’opera di primo soccorso e ricostruzione. 51<br />
Eclatante è soprattutto l’azione della Nuova Camorra Organizzata di<br />
Raffaele Cutolo, organizzazione peraltro non nuova ma presente sul territorio<br />
campano già da alcuni anni.<br />
L’origine di questo sodalizio sarebbe da ricercarsi nel mondo<br />
carcerario, ambiente storicamente fertile per la germinazione e lo sviluppo<br />
della fenomenologia camorristica 52 . Luciano Violante a questo proposito ha<br />
osservato che “nella cultura camorristica entrare in carcere è un segno di<br />
valore, significa che si sono commessi reati gravi; è perciò abituale vantarsi<br />
delle detenzioni subite[...] La camorra non ha organizzazioni ben strutturate,<br />
nè affidabili criteri di selezione degli affiliati, nè cerimonie iniziatiche<br />
particolarmente radicate. Il carcere diventa così un banco di prova che<br />
supplisce alla mancanza di altri criteri e procedure di selezione. Il passaggio<br />
attraverso il carcere mostra la qualità criminale del camorrista, il suo<br />
comportamento in carcere dimostra se è in grado di comportarsi “bene” in<br />
condizioni di difficoltà.[...] Conta anche lo stretto rapporto tra camorra e<br />
malavita, il ruolo storico di “governo” della malavita minore”. 53<br />
Raffaele Cutolo inizia il progetto “NCO” proprio dal carcere, mediante<br />
l’affiliazione di molti detenuti a cui vengono assicurati, in cambio della lealtà<br />
all’organizzazione, concreti aiuti alle famiglie, assistenza finanziaria e legale,<br />
solidarietà da parte degli altri membri del clan per migliorare le proprie<br />
condizioni di permanenza in prigione.<br />
51<br />
Cfr. R. Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove. Radicamento ed espansione, Donzelli editore, Roma 1998,<br />
p.165.<br />
52<br />
Sull’importanza dell’ambiente carcerario sin dalle origini della camorra, si veda I. Sales, op.cit., pp.88 e sgg.<br />
53<br />
L. Violante, Non è la piovra, cit., pp.141-142.<br />
17
La Commissione Parlamentare antimafia, nella Relazione sulla Camorra<br />
del 1993, a proposito della Nuova Camorra Organizzata rileva: ad un ceto<br />
delinquenziale sbandato e fatto spesso di giovani disperati, Cutolo offre<br />
rituali di adesione, carriere criminali, salario, protezione in carcere e fuori. Si<br />
ispira ai rituali della camorra ottocentesca, rivendicando una continuità e una<br />
legittimità che altri non hanno. Istituisce un tribunale interno, invia vaglia di<br />
sostentamento ai detenuti più poveri e mantiene le loro famiglie. [...] Vive di<br />
estorsioni, realizzate anche attraverso la tecnica del porta-a-porta. Impone<br />
una tassa su ogni cassa di sigarette che sbarca. Vuole imporsi ai siciliani, che<br />
non si sottomettono. Impera con la violenza più spietata. 54<br />
Dunque uno dei principali capisaldi del sodalizio criminale promosso<br />
da Raffele Cutolo è da ricercarsi nel suo essere un’organizzazione illegale del<br />
tutto autoctona, che si contrappone all’egemonia posta in essere da Cosa<br />
Nostra sulle cosche campane e conseguentemente si scontra con quei gruppi<br />
camorristici che restano in relazione con quest’ultima.<br />
Proprio a tale scopo è da interpretarsi l’intimo rapporto di Cutolo con<br />
la ‘ndrangheta calabrese; 55 le testimonianze di alcuni pentiti gli hanno<br />
addirittura attribuito una vera e propria affiliazione alla stessa, che sarebbe<br />
avvenuta nel carcere di Poggioreale sotto l’egida di importanti boss calabresi<br />
quali Piromalli, De Stefano e Mammoliti. 56<br />
L’organizzazione calabrese sarebbe dunque l’originario modello<br />
organizzativo a cui si ispira Cutolo, anche se l’evoluzione della Nuova<br />
Camorra Organizzata sarà poi contraddistinta da caratteristiche ben diverse<br />
dalla ‘ndrangheta; 57 ma, a prescindere dallo schema logistico di riferimento, è<br />
il forte rapporto che lega Camorra di Cutolo e ‘Ndrangheta a influenzare gli<br />
equilibri criminali del sud di questi anni.<br />
“L’asse Cutolo – De Stefano caratterizzò per un lungo periodo (1977-<br />
1982) l’assetto della criminalità organizzata nell’intero meridione d’Italia,<br />
influenzando le più rilevanti vicende delittuose, come omicidi, traffico di<br />
droga, sequestri di persona”. 58<br />
54 Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, (relatore Luciano Violante), approvata a<br />
maggioranza il 21 dicembre 1993. A.P., Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc.<br />
XXIII, n.12, Roma 1993, pp.43-44.<br />
55 Cfr. E. Ciconte, ‘Ndrangheta dall’Unità a oggi, Laterza, Roma-Bari 1992.<br />
56 Cfr. Tribunale di Reggio Calabria, Procedimento penale n.46/93 r.g.n.r. D.D.A. a carico di Condello P. ed<br />
altri, Procura della Repubblica, Direzione Distrettuale Antimafia, Reggio Calabria 1995, p.4741.<br />
57 Si pensi, solo per fare l’esempio più ovvio, al familismo su cui si basa la struttura delle cosche calabresi, ben<br />
più di quelle siciliane, contrapposto alla struttura aperta di massa della NCO, che affilia indipendentemente dai<br />
legami di sangue.<br />
58 Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza sentenza contro Albanese M. più 190, Reggio Calabria 1988, pp.<br />
188-189.<br />
18
E’ comunque interessante porre l’accento sull’intreccio di caratteristiche<br />
che stanno alla base della NCO: contrapposizione allo straniero colonizzatore,<br />
in particolare siciliano, compattamento intorno a comuni codici antropologici<br />
e culturali, riferibili all’antica tradizione camorristica ottocentesca, ricorso al<br />
modello ‘ndranghetistico nella scelta delle caratteristiche organizzative e<br />
normative. Raffaele Cutolo, mediante l’impiego di questi elementi, ha tentato<br />
di pervenire ad “un’identità regionale su basi delinquenziali”. 59<br />
“Mi auguro che continui la nostra storia perchè sia io che voi tutti<br />
abbiamo dimostrato e rivelato quale sia la forza del nostro animo e del nostro<br />
carattere che rinnovando i fasti antichi di Napoli e della Campania abbiamo<br />
restituito un popolo alla sua dignità... per imporre noi il destino della nostra<br />
Campania con il simbolo del Vesuvio”. 60<br />
Nel passaggio precedente emerge con assoluta chiarezza il tentativo<br />
posto in essere da Cutolo di strumentalizzare l’identità regionale in funzione<br />
aggregante, mediante il ricorso a richiami simbolici appartenenti al codice<br />
culturale campano. Tale elemento si combina perfettamente con la<br />
propensione della NCO a difendere i più poveri ed indifesi poichè dà luogo<br />
ad una sorta di filosofia della criminalità, nei cui valori si identificano i suoi<br />
aderenti e che in tal modo giustificano agli occhi della società il proprio agire<br />
fuori legge 61 . Cutolo è probabilmente stato il solo boss malavitoso “ad avere<br />
elaborato una sorta di filosofia, una teoria capace , a modo suo, di supportare<br />
la prassi quotidiana delle violenze”. 62<br />
Tra il febbraio del 1978 e il maggio 1979, Cutolo è latitante a seguito<br />
dell’evasione dall’ospedale psichiatrico di Aversa; in questo breve periodo<br />
riesce a strutturare la NCO in modo verticistico, a nominare rappresentanti a<br />
capo delle province di Napoli, Salerno e Caserta, a estendere il proprio potere<br />
su tutta la Campania, a stringere rapporti con la mala milanese di Turatello e<br />
Vallanzasca, a rafforzare i legami con la ‘ndrangheta, e addirittura a tentare la<br />
colonizzazione di un’area in espansione come la Puglia, mediante la<br />
creazione di una organizzazione sottomessa alla NCO sul territorio pugliese<br />
con caratteristiche organizzative speculari. 63<br />
59 I. Sales, op.cit., p.177.<br />
60 R. Cutolo, Poesie e pensieri, Berisio, Napoli 1980, p.57.<br />
61 Ecco da dove trarrebbe la sua origine la caratteristica della NCO di dare ampio risalto pubblico alle proprie<br />
attività illecite. “I camorristi scrivono lettere ai giornali, fanno dichiarazioni e soprattutto rivendicano<br />
ripetutamente gli omicidi.” (I. Sales, op.cit., p. 181)<br />
62 F. Durante, Don Raffaele manda a dire, in “Il Piccolo”, 22 giugno 1983.<br />
63 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p.167, 169.<br />
19
L’approfondita analisi dell’ambizioso progetto di Cutolo, teso a<br />
pervenire al controllo onnicomprensivo di tutte le forme di illegalità su un<br />
determinato territorio, ha indotto Sales ad affermare: non si può<br />
assolutamente sottovalutare il fatto che con Cutolo sia stata costruita la più<br />
capillare organizzazione criminale mai pensata, almeno in Italia;<br />
un’organizzazione che non ha paragoni non solo nella storia passata della<br />
camorra, ma dell’intera criminalità internazionale. 64<br />
Anche Lamberti si è soffermato sul progetto cutoliano: “questo<br />
progetto non solo prevedeva la centralizzazione e la direzione unificata della<br />
attività criminale a livello micro e macro, ma aveva due importanti<br />
conseguenze: quella di espandersi su nuovi territori e quella di dar vita, di<br />
impiantare nuove attività criminali”. 65<br />
Ovviamente, le famiglie camorristiche legate da anni a Cosa Nostra non<br />
possono permettere all’organizzazione di Raffaele Cutolo di raggiungere<br />
l’auspicato predominio dei mercati illegali campani; al 1978 risale il tentativo<br />
di Michele Zaza di creare una struttura federativa di tutte le cosche non<br />
facenti parte della NCO, denominata Onorata Fratellanza. A questo primo<br />
tentativo di contrastare la rapida ascesa di Cutolo, segue, in stretta intesa con<br />
Cosa Nostra, la creazione della Nuova Famiglia 66 e, conseguentemente, in<br />
Campania scoppia un conflitto feroce, con un numero di omicidi che non si<br />
discosta da quello della seconda guerra di mafia che si sta combattendo a<br />
Palermo nello stesso periodo. 67 Isaia Sales ha osservato che, all’origine della<br />
guerra di camorra che vive la sua fase più violenta tra il 1977 ed il 1983, ci<br />
sarebbe anche una componente imputabile al tentativo di monopolizzare il<br />
traffico di stupefacenti; le famiglie collegate a Cosa Nostra erano infatti<br />
inizialmente impegnate esclusivamente nel traffico di eroina, mentre pare che<br />
i cutoliani si occupassero del mercato di cocaina, gestito in prima persona<br />
proprio da Cutolo che dal manicomio giudiziario in cui era detenuto teneva<br />
telefonicamente i contatti con i suoi referenti in America del Sud.<br />
L’affermazione secondo cui la NCO preferiva puntare sulla cocaina perchè<br />
sostanza meno pericolosa per gli assuntori e quindi non foriera di un forte<br />
allarme sociale, sarebbe del tutto priva di fondamento. La richiamata<br />
spartizione del traffico di stupefacenti sarebbe invece riferibile alla strategia<br />
64<br />
I. Sales, op.cit., p.163.<br />
65<br />
A. Lamberti, La camorra “impresa”: le nuove strategie economiche e i nuovi assetti organizzativi, in<br />
Barbagallo (a cura di), 1988, p.103.<br />
66<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., pp.19,45.<br />
67<br />
Secondo Sciarrone, tra il 1980 ed il 1984 nella sola Campania vennero commessi 1242 omicidi (Cfr. R.<br />
Sciarrone, op.cit., p.168)<br />
20
di Cosa Nostra volta a lasciare una parte di mercato comunque residuale – la<br />
cocaina è senz’altro meno competitiva in termini di profitto, visto l’elevato<br />
costo e il target d’elite a cui si rivolge – ad altre organizzazioni criminali, in<br />
maniera da diminuire i contrasti con esse. Tale considerazione è avvalorata<br />
proprio dall’interesse che ad un certo punto la NCO comincerà a nutrire nei<br />
confronti del ricco mercato legato all’eroina e che sarà una delle cause dello<br />
scoppio del conflitto con le cosche vicine a Cosa Nostra 68 .<br />
L’esperienza di Cutolo e della NCO si chiuderà proprio per lo<br />
sterminio dei propri affiliati ad opera del clan rivale Alfieri-Galasso che<br />
culminerà nell’uccisione di Vincenzo Casillo, numero due<br />
dell’organizzazione e reggente della stessa durante la detenzione di Cutolo,<br />
in concomitanza con una forte azione di repressione intrapresa dalla<br />
magistratura e dalle forze di Polizia, finalmente divenute coscienti della forza<br />
e della pericolosità della camorra 69 . Ma oltre a queste cause “esterne”<br />
all’organizzazione, si assisterà ad una vera e propria implosione di quella<br />
filosofia improntata alla rivalsa sociale, che tanto successo aveva avuto nel<br />
reclutare un vero e proprio esercito di affiliati, perlopiù molto giovani. La<br />
NCO è l’organizzazione criminale che in assoluto conta il maggior numero di<br />
pentiti, ma non si tratta di pentitismo volto a danneggiare le cosche rivali, alla<br />
Buscetta, ma di una dissociazione, analoga a quella vissuta da molti brigatisti,<br />
che si manifesta nel momento in cui una vera e propria crisi ideologica<br />
investe questo sodalizio. Un pentito dichiarerà: “non vale passare la vita in<br />
carcere per un ideale che non esiste...ho avuto la definitiva conferma, dopo<br />
pochi anni di militanza nella N.C.O. che in realtà tutto ciò che si fa<br />
nell’ambito di essa è a quasi esclusivo vantaggio di pochi camorristi, i quali<br />
soltanto si assicurano una solida posizione economica per sè e per i loro<br />
familiari”. 70<br />
La NCO è dunque stata vittima di se stessa e della sua promessa non<br />
mantenuta, una promessa che non si rivolgeva ad un solo destinatario ma che<br />
potremmo definire - come è stata definita la NCO - “di massa,” perchè<br />
coinvolgeva un’intera classe sociale, quella economicamente più povera e<br />
socialmente più disperata di Napoli e di altre province campane. Queste<br />
persone avevano un sogno inculcato nelle loro menti da quell’astuto<br />
manipolatore che fu Raffaele Cutolo, un sogno di ascesa sociale ed<br />
68 Cfr. I. Sales, op.cit., p.154.<br />
69 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., p.144.<br />
70 Tribunale di Salerno, Ordinanza del giudice Santoro contro Abbruzzese più 140, Salerno 1983.<br />
21
economica, di fuga dagli stenti e dal degrado, un sogno che finì però col<br />
tramutarsi prima nell’incubo della violenza, poi in quello della guerra di<br />
camorra e infine nel carcere.<br />
Pandico, all’indomani del suo pentimento, scriverà a Cutolo: “quando<br />
ti capiterà di essere solo, di non possedere più una massa camorristica, dovrai<br />
ben toglierti la maschera. Suppongo se non altro per tirare il fiato. Altrimenti<br />
finirai per soffocare davanti a tanti morti che gridano ancora: perchè, perchè<br />
siamo morti?” 71<br />
1.3 Relazioni equivoche: il sequestro di Ciro Cirillo<br />
Una delle cause responsabili del declino della NCO è da ricercarsi nel<br />
coinvolgimento della stessa nelle vicende connesse al rapimento di Ciro<br />
Cirillo. 72<br />
Il 27 aprile del 1981 l’assessore all’urbanistica della Regione Campania,<br />
il democristiano Ciro Cirillo, viene sequestrato dalle Brigate Rosse 73 ; la sua<br />
prigionia si concluderà alla fine del mese di luglio dello stesso anno, a fronte<br />
del pagamento di un riscatto, dopo mesi di trattative tra i massimi esponenti<br />
del suo partito, gli stessi brigatisti, i servizi segreti italiani e uomini della<br />
Nuova Camorra Organizzata.<br />
L’intera vicenda è stata affrontata dal giudice Carlo Alemi,<br />
responsabile dell’istruttoria ed estensore della corposa ordinanza di rinvio a<br />
giudizio depositata nel luglio del 1988, che ha approfonditamente delineato i<br />
contorni di una vicenda torbida ed inquietante di cui sono stati protagonisti<br />
sia elementi della criminalità, sia esponenti ai massimi livelli del mondo<br />
legale 74 .<br />
“Il sequestro Cirillo è l’unico caso di cui si abbia notizia, che cioè non è<br />
sfuggito al vaglio dell’opinione pubblica, certo in Italia e forse nel mondo, in<br />
cui esponenti di un partito politico, terroristi, delinquenti, servizi segreti,<br />
71<br />
Cutolo giù la maschera, lettera aperta di Pandico a Cutolo riportata da E. Perez in “Il Mattino”, 31 luglio<br />
1983.<br />
72<br />
Cfr. V. Vasile (a cura di), L’affare Cirillo. L’atto di accusa del giudice Alemi, Editori Riuniti, Roma 1989.<br />
73<br />
“Nel corso dell’azione brigatista vengono uccisi l’appuntato Luigi Carbone, addetto alla tutela dell’assessore<br />
democristiano e l’autista Mario Cancello. E’ ferito il segretario Ciro Fiorillo.” (L. Violante, Non è la piovra,<br />
cit., p. 76)<br />
74<br />
Cfr. Tribunale di Napoli, Ordinanza di rinvio a giudizio del giudice Alemi, depositata il 28 luglio 1988,<br />
Napoli 1988.<br />
22
“pezzi di Stato” hanno strettamente collaborato e si sono reciprocamente<br />
influenzati per liberare un ostaggio dalle mani di una banda criminale”. 75<br />
Aldilà delle interpretazioni di parte in merito all’equivoco rapporto<br />
instaurato con i cutoliani alfine di liberare Cirillo 76 , occorre far luce sulle<br />
motivazioni che indussero questa commistione tra sistemi illegali -<br />
brigatismo, camorra e servizi deviati - ed alta politica; innanzitutto è<br />
fondamentale sgombrare il campo da equivoci e prendere atto del fatto che il<br />
sequestro Cirillo fu un rapimento esclusivamente di matrice politica, posto in<br />
essere da un gruppo eversivo, la colonna napoletana delle BR, che, all’interno<br />
dell’universo del brigatismo rosso italiano, aveva caratteristiche peculiari,<br />
poichè come referente sociale non aveva la classe operaia delle città ad<br />
elevata industrializzazione del nord “sfruttata” dal capitalismo, ma il ben più<br />
eterogeneo sottoproletariato urbano napoletano e le sue composite istanze di<br />
emancipazione sociale. Se questi erano i presupposti, per quale motivo la<br />
vicenda si concluse con un riscatto, come se i rapitori non fossero criminali<br />
politici ma elementi della malavita sarda o calabrese?<br />
L’ordinanza del giudice Alemi evidenzia che, almeno in prima battuta,<br />
non fu infatti richiesto alcun riscatto, ma lo scopo dei brigatisti era orientato<br />
all’”obiettivo politico di un allargamento del consenso attorno alla lotta<br />
armata.” 77 In maniera analoga al caso Moro si intendeva sottoporre un<br />
esponente politico al processo proletario che, nella fattispecie, si sarebbe<br />
dovuto concentrare sulle gravi mancanze della classe dirigente democristiana<br />
in ordine alla ricostruzione dopo il sisma del 1980. La liberazione di Cirillo,<br />
ammesso che fosse stata accordata, avrebbe dovuto corrispondere alla<br />
concessione da parte dello Stato di contropartite sociali, quali “lo<br />
smantellamento dei campi-container di Napoli o evitare la “deportazione”,<br />
come i brigatisti chiamavano il programma di ricostruzione di alloggi per i<br />
terremotati di Napoli nei comuni circostanti”. 78<br />
Inizialmente dunque era del tutto privo di interesse per i brigatisti<br />
intavolare una trattativa fondata su contropartite economiche che<br />
75 I. Sales, op.cit., p. 239.<br />
76 Alcuni esponenti della sinistra hanno affermato che il rischio che Cirillo crollasse e cominciasse a parlare<br />
rivelando notizie scottanti sull’operato democristiano, impose alla DC di fare ricorso a qualsiasi mezzo per<br />
liberarlo, ivi compresa la trattativa con un delinquente del livello di Raffaele Cutolo. Dal canto loro, i servizi<br />
segreti hanno sostenuto che il coinvolgimento nell’affare Cirillo era stato scientemente programmato allo scopo<br />
di poter entrare in contatto con le BR ed effettuare attività di intelligence finalizzata al contrasto del fenomeno.<br />
(Ivi, p. 240).<br />
77 L. Violante, Non è la piovra, cit. p. 76.<br />
78 I. Sales, op.cit., p.241.<br />
23
ineluttabilmente avrebbe coinvolto esclusivamente la famiglia dell’assessore<br />
regionale e non il suo partito politico.<br />
Questa linea strategica mutò radicalmente nel momento in cui le BR<br />
presero coscienza del fatto che la DC, su suggerimento della camorra, non si<br />
limitava ad essere un semplice interlocutore politico, ma era disposta ad<br />
intervenire economicamente pur di addivenire ad una conclusione incruenta<br />
della vicenda; a queste condizioni il riscatto assunse caratteristiche ben<br />
diverse, innanzitutto perchè divenne un vero e proprio esproprio proletario,<br />
ma, soprattutto, perchè avrebbe potuto costituire una prova inoppugnabile<br />
del collegamento tra DC, criminalità organizzata napoletana e settori<br />
dell’imprenditoria campana, che sarebbero stati i finanziatori dell’operazione.<br />
Si era quindi manifestata una situazione che poteva fornire risultati ben al di<br />
sopra delle aspettative iniziali dei rapitori.<br />
La colonna napoletana delle BR, nonostante le notevoli perplessità<br />
sollevate da gruppi brigatisti di altre città, nel prendere atto dell’imprevista<br />
evoluzione vissuta dalla vicenda Cirillo, comprese quindi che si erano creati i<br />
presupposti per trascinare il suo nemico politico per eccellenza in una<br />
trappola che ne avrebbe potuto compromettere profondamente i vertici<br />
nazionali e locali.<br />
Passiamo ora ad esaminare il secondo sistema illegale che entrò in<br />
gioco: i servizi segreti deviati controllati dalla P2. Prima di scendere nel<br />
dettaglio, pare corretto sgombrare il campo da qualsiasi dubbio in merito<br />
all’effettiva partecipazione dei servizi di sicurezza nella trattativa con la<br />
camorra e le BR; tale circostanza è stata infatti esplicitamente riconosciuta sia<br />
dall’allora direttore del SISDE, il Prefetto Parisi 79 , sia dal Generale Mei 80 , suo<br />
omologo per il SISMI, sia dall’onorevole Vincenzo Scotti, 81 nel corso di una<br />
serie di audizioni tenutesi al cospetto della Commissione Parlamentare<br />
antimafia.<br />
Pare innanzitutto corretto sottolineare che non fu il servizio segreto<br />
civile, il SISDE, a divenire protagonista del caso Cirillo, ma quello militare, il<br />
SISMI che, in base ai propri compiti istituzionali, non avrebbe dovuto avere<br />
79 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del prefetto Vincenzo<br />
Parisi, direttore vicario pro-tempore del SISDE, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica,<br />
XI legislatura, Seduta del 10 settembre 1993, Roma 1993, pp. 2622,2651.<br />
80 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del generale Abelardo<br />
Mei, direttore vicario pro-tempore del SISMI, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica,<br />
XI legislatura, Seduta del 10 settembre 1993, Roma 1993, p.2642.<br />
81 Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione dell’onorevole Vincenzo Scotti,<br />
AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 15 luglio 1993, Roma<br />
1993, p.2368.<br />
24
voce in capitolo in una vicenda che atteneva alla criminalità ed alla politica<br />
interna del paese; ciò nonostante, come evidenziato nella relazione del<br />
Comitato Parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza 82 (la<br />
cosiddetta relazione Gualtieri, presidente del Comitato e relatore), furono<br />
proprio esponenti del SISMI a partecipare alla trattativa, su indirizzo della<br />
loggia massonica P2, in funzione di un progetto eversivo che avrebbe dovuto<br />
condurre ad un successivo ricatto nei confronti della Democrazia Cristiana.<br />
Tale affermazione è avvalorata dalla tempistica dell’intervento dei servizi,<br />
che fecero il loro ingresso sulla scena del rapimento solamente nel momento<br />
in cui fu chiaro che alla trattativa con BR e camorra non si sarebbero limitati a<br />
partecipare semplici esponenti politici locali - già peraltro notoriamente in<br />
contatto con la criminalità campana e quindi non ricattabili per queste<br />
equivoche frequentazioni - ma sarebbero state coinvolte anche figure di<br />
spicco del partito di maggioranza relativa.<br />
Per quanto riguarda invece i vantaggi che avrebbe avuto Cutolo ove<br />
avesse fornito la propria collaborazione, nel corso della stessa relazione il<br />
Comitato parlamentare ha precisato che la NCO avrebbe tratto beneficio del<br />
ruolo rivestito nella vicenda, ben aldilà della semplice spartizione del riscatto<br />
con le BR.<br />
“Il riscatto da pagarsi alle Brigate Rosse costituiva solo una parte della<br />
partita, e la concessione di contropartite di altro tipo ai clan camorristici di Cutolo,<br />
elevati a rango di intermediari tra lo Stato e le formazioni terroristiche, era<br />
altrettanto necessaria”. 83<br />
Le ulteriori “contropartite” richiamate nella relazione Gualtieri, sono<br />
state poi individuate dalla Commissione Parlamentare antimafia in un<br />
ingente flusso di denaro, stanziato per la ricostruzione dopo il sisma del 1980<br />
e finito nelle tasche di ditte camorristiche, grazie alla collusione che ha<br />
permesso l’aggiudicazione irregolare dei relativi appalti. 84<br />
Il coinvolgimento nella trattativa di elementi democristiani di primo<br />
piano scaturì dall’aver preso atto che un episodio apparentemente minore,<br />
come il sequestro di un amministratore locale, rischiava di andare a<br />
sconvolgere gli equilibri della corrente dorotea, che dominava il partito sia a<br />
82 Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, Relazione del<br />
Comitato sui problemi relativi all’operato dei servizi di informazione e sicurezza durante il sequestro<br />
dell’assessore democristiano della regione Campania Ciro Cirillo, A.P., IX legislatura, doc. XLVIII n.1,<br />
maggio – luglio 1981, Roma 1984.<br />
83 Ivi, p.12, (il corsivo è mio).<br />
84 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., pp.114-115.<br />
25
livello nazionale con Flaminio Piccoli che localmente col potentissimo<br />
Antonio Gava, amico fraterno di Cirillo. Fu proprio Gava infatti, ad insistere<br />
con i vertici nazionali democristiani per una soluzione improntata alla<br />
trattativa con le BR, anche giocando sul fatto che il PCI, che era stato strenuo<br />
oppositore della trattativa nel caso del rapimento di Aldo Moro, era in quel<br />
momento privo di capacità decisionale, essendo stato estromesso dal governo<br />
dopo la fine del periodo del compromesso storico.<br />
Il grande peso politico esercitato da Gava all’interno del partito fece sì<br />
che a Roma si decidesse di trattare per la liberazione di Cirillo. Proprio a<br />
seguito di questi fatti, il SISMI, o per meglio dire le sue componenti deviate<br />
dalla P2, ritenne di divenire protagonista della vicenda; anche il servizio<br />
segreto militare, come già le Brigate Rosse, aveva quindi preso atto che<br />
l’evoluzione politica del rapimento di Cirillo avrebbe potuto aprire delle<br />
interessanti opportunità in relazione al disegno di colpire la DC.<br />
A questo punto si potrebbe obiettare che, una volta autorizzata la scelta<br />
di trattare da parte dei vertici romani del partito, non si comprende la<br />
necessità di un coinvolgimento diretto dei grandi nomi; sarebbe infatti stato<br />
sufficiente servirsi di esponenti locali del partito, quegli elementi di cui<br />
poc’anzi si ricordavano le frequentazioni equivoche, come Giuliano Granata,<br />
sindaco democristiano del comune di Giugliano. Fu proprio a questo livello<br />
che entrò in gioco la camorra, o meglio Raffaele Cutolo, che percepì il<br />
profilarsi della grande occasione, sfuggita a generazioni di camorristi prima<br />
di lui: entrare in diretto contatto con i più alti rappresentanti del mondo<br />
legale. Ciò avrebbe significato raggiungere finalmente quella legittimazione<br />
pubblica di cui godeva Cosa Nostra in Sicilia e che il carattere mercenario<br />
della camorra ed il proprio retroterra popolare avevano inibito per quasi due<br />
secoli. Cutolo era alla spasmodica ricerca della riconoscenza da parte del<br />
potere costituito; essa avrebbe potuto permettergli il definitivo salto di<br />
qualità che ancora mancava alla Nuova Camorra Organizzata, verticistica,<br />
militarmente efficiente, capillare nel controllo del territorio ma ancora<br />
indissolubilmente legata alle classi basse, ed in contatto con la politica locale<br />
esclusivamente in funzione strumentale alle esigenze di quest’ultima.<br />
L’atteggiamento spregiudicato della classe politica napoletana scaturiva dal<br />
teorema secondo cui “nel rispetto della legge non si governa una realtà così<br />
complessa come Napoli e il suo hinterland” 85 ma era altresì fondato<br />
sull’intima convinzione di una marcata asimmetria, a favore della politica,<br />
85 I. Sales, op.cit., p.244.<br />
26
intrinseca al rapporto con le componenti illegali della società, che erano, in<br />
qualsiasi momento, abbandonabili al proprio destino.<br />
Quando nel carcere di Ascoli Piceno 86 , dove era rinchiuso Cutolo, si<br />
presentarono esponenti della politica e delle forze dell’ordine per chiedere il<br />
suo aiuto nella risoluzione del rapimento di Cirillo, dinnanzi al boss della<br />
NCO si materializzò la grande possibilità; Cutolo quindi non si accontentò di<br />
trattare con uomini del livello di Granata - che venne infatti ricevuto<br />
solamente dal suo braccio destro Corrado Iacolare 87 - ma pretese, in cambio<br />
del proprio interessamento, di entrare in contatto direttamente con i più alti<br />
livelli della corrente dorotea.<br />
Ma, anche nel caso Cirillo, alla fine ebbe la meglio quella caratteristica,<br />
propria della criminalità organizzata campana, di fornire un servizio alle<br />
classi dominanti, in maniera esclusivamente estemporanea. Si ripropose,<br />
come rileva Sales, quel tratto mercenario al cui interno si trova “in nuce la<br />
storia del rapporto tra camorra e Stato.” 88 Infatti, dopo la liberazione<br />
dell’assessore regionale, la corrente dorotea napoletana guadagnò ulteriori<br />
posizioni negli equilibri di potere della DC e non esitò a ripristinare quella<br />
storica asimmetria a suo favore nel rapporto che la legava al sottomondo<br />
dell’illegalità. Proprio questo ennesimo tradimento da parte della politica fu<br />
una delle cause del declino della Nuova Camorra Organizzata, poichè, come<br />
ha riferito il pentito Pasquale Galasso, una volta liberato l’assessore<br />
democristiano, la stessa esca usata in precedenza con Cutolo – gli appalti per<br />
la ricostruzione – venne gettata ai suoi rivali del clan Alfieri, con il preciso<br />
scopo di mettere a tacere Don Raffaele e dissuaderlo dall’avanzare richieste<br />
che avrebbero potuto creare imbarazzo agli esponenti democristiani coinvolti<br />
nell’affaire Cirillo.<br />
Tale opera di persuasione fu realizzata da Carmine Alfieri con<br />
l’eliminazione di Casillo, braccio destro di Cutolo, mediante un’autobomba. 89<br />
Sia il coinvolgimento iniziale della NCO che quello del clan Alfieri sarebbero,<br />
86<br />
Per una precisa ricostruzione della vicenda, cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla<br />
camorra, cit., pp.95-116.<br />
87<br />
Cfr. I. Sales, op.cit., p.244.<br />
88<br />
Ibidem.<br />
89<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />
giustizia Pasquale Galasso, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura,<br />
Seduta del 13 luglio 1993, Roma 1993, p.2256, 2264.. A conferma delle connessioni tra NCO e apparati dello<br />
stato deviati, si osservi che tra gli effetti personali rinvenuti sul cadavere di Casillo risulta anche una tessera dei<br />
servizi segreti (Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p.79)<br />
27
secondo Galasso, frutto di trattative tra camorra ed esponenti della<br />
Democrazia Cristiana legati all’onorevole Gava. 90<br />
La NCO è stata sfruttata e poi abbandonata al suo destino, esattamente<br />
come la camorra ottocentesca che permise l’ingresso a Napoli di Garibaldi, o<br />
quegli esponenti malavitosi che tra il 1904 e il 1911 passarono dalla stretta<br />
collaborazione con il Prefetto di Napoli, al fine di non fare rieleggere il<br />
deputato socialista Ettore Ciccotti, al ruolo di imputati in occasione del<br />
processo Cuocolo.<br />
L’inferiorità palesata dalla camorra nei rapporti con altre entità –<br />
caratteristica comune a tutte le diverse espressioni della stessa che si sono<br />
susseguite nella sua secolare storia - non si esaurisce a livello della politica,<br />
investendo altresì tutte le espressioni criminali con cui essa è venuta in<br />
contatto; come infatti osservava nel 1986 la seconda Commissione<br />
Parlamentare antimafia in relazione al modello espresso dalla NCO, lo stesso<br />
“è stato il più adatto a farne un coacervo, un crocevia di tutte le illegalità<br />
diffuse in Italia e Campania. In pochi anni di ribalta la Nuova Camorra<br />
organizzata ha avuto rapporti con la grande finanza (Calvi), con la P2<br />
(Pazienza), con una parte dei servizi segreti (caso Cirillo), con il terrorismo<br />
(Senzani), con la mafia, la ‘ndrangheta, con la malavita dell’alta Italia. Tutte le<br />
forme destabilizzanti della società campana e italiana si sono intrecciate con<br />
essa e se ne sono servite”. 91<br />
1.4 Elementi distintivi<br />
Si dovrebbe essere ora in grado di riassumere quelle che sono le<br />
caratteristiche più originali della camorra. Troppo spesso si è infatti abusato<br />
di una sua definizione che, semplicisticamente, si limita a configurare come<br />
“mafia campana” una fenomenologia criminale decisamente pregna di<br />
peculiarità che la differenziano profondamente da Cosa Nostra; riprendendo<br />
le parole di Isaia Sales: “essa non va considerata come una variabile regionale<br />
del fenomeno mafioso, perchè si coglierebbe solo un tratto della sua storia<br />
recente. Il suo modo di manifestarsi, di organizzarsi, di produrre criminalità<br />
non è riconducibile del tutto alla tradizione mafiosa [...]. Anzi, un secolo fa si<br />
90<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />
giustizia Pasquale Galasso cit., p. 2256.<br />
91<br />
O. Barrese (a cura di), Relazione della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, relatore A.<br />
Alinovi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1986, p.65, il corsivo è mio.<br />
28
parlava della mafia come di un’espressione siciliana della camorra. Era<br />
un’analisi sbagliata allora e l’inverso sarebbe sbagliato oggi”. 92<br />
La camorra è una forma di criminalità di cui si sono scientificamente<br />
approfondite le caratteristiche in maniera infinitamente inferiore a quanto si è<br />
fatto per Cosa Nostra, per la quale sono oggi disponibili, oltre che studi<br />
criminologici, storici e sociologici, anche corpose produzioni letterarie,<br />
pubblicistiche e cinematografiche, perlopiù di notevole livello. Nota ancora<br />
Sales che la camorra ha ispirato gli autori solamente sino all’inizio del<br />
Novecento, per poi divenire semplice ambito d’interesse per interventi<br />
giornalistici in occasione di azioni particolarmente eclatanti; alla particolare<br />
attenzione ottocentesca per il fenomeno, imputabile al realismo letterario, 93 al<br />
clima di ispirazione positivista sviluppatosi a Napoli, alla necessità di parlare<br />
dei mali del capoluogo campano originata dall’Unità d’Italia,<br />
all’insegnamento lombrosiano, 94 si è sostituito col nuovo secolo e con<br />
l’avvento della cultura borghese ed operaia “un bisogno di distinzione dalla<br />
plebe, culminato addirittura in atteggiamenti di estraneità, come un’intima<br />
necessità di mantenere le distanze da atteggiamenti, comportamenti, culture e<br />
tradizioni che si ritenevano appartenere a un passato da cancellare, da<br />
superare promuovendo (e lottando per) lo “sviluppo” e il “progresso”” 95<br />
quasi a negare, nell’ansia di proporre un modello di Napoli diversa e<br />
moderna, l’effettiva realtà vissuta dalla città. Questa propensione, comune a<br />
culture diverse, alla “negazione” della plebe napoletana ha finito<br />
inevitabilmente con il coinvolgere la stessa camorra, che della plebe è diretta<br />
diramazione.<br />
A siffatta “rimozione culturale” si è aggiunta la già citata<br />
strumentalizzazione della camorra da parte dei ceti dominanti, caratteristica<br />
peraltro già presente nell’ottocento, che ha dato luogo ad un vero e proprio<br />
controllo politico dei mercati illegali, i quali a Napoli raggiungono<br />
proporzioni per lo meno uguali a quelle dei mercati leciti. 96 Ciò ha<br />
conseguentemente determinato una sorta di monopolio esercitato dalle classi<br />
92 I. Sales, op.cit., p.12. A conferma delle riflessioni di Sales per quanto riguarda la definizione di mafia come<br />
espressione siciliana della camorra, cfr. P. Pezzino, Stato violenza società. Nascita del paradigma mafioso, in<br />
M.Aymard e G.Giarrizzo (a cura di), Storia d’Italia: le Regioni dall’Unità a oggi, vol. 5, La Sicilia, Einaudi,<br />
Torino 1987, pp.905 sgg.<br />
93 Cfr. A. Palermo, La camorra come tema letterario, in AA.VV., Camorra e criminalità in Campania,<br />
Liguori, Napoli 1988.<br />
94 Si pensi agli studi di Abele De Blasio che viviseziona la plebe, e di conseguenza la camorra, quasi essa fosse<br />
un pericoloso insetto velenoso.<br />
95 I. Sales, op.cit., p.14.<br />
96 Cfr. A. Lamberti, in AA.VV., La camorra imprenditrice, Ed. Sintesi, Napoli 1987, p.41.<br />
29
dirigenti per ciò che riguarda le valutazioni sulla pericolosità sociale della<br />
camorra, che ha finito con il fare parlare di questa fenomenologia criminale<br />
esclusivamente in quelle fattispecie in cui le soglie della tolleranza e della<br />
legittimazione dell’illegalità, ovviamente stabilite dagli interessi dei ceti<br />
dominanti, erano state fatalmente oltrepassate.<br />
“Non c’è nessuna parte del mondo occidentale dove l’illegalità abbia<br />
più libero corso che a Napoli e si svolga alla luce del sole, come un tratto<br />
immutabile e naturale di una lunga storia”. 97<br />
Il determinare i confini dell’illegalità in funzione esclusiva degli<br />
interessi dei ceti politici ha dato luogo ad una sorta di schema ciclico che<br />
Sales ha così sintetizzato: “formazione tollerata e pilotata di un mercato<br />
illegale, sua egemonia su questo, tolleranza per la camorra entro certi limiti<br />
oltre i quali si manifesta invece un comportamento fortemente repressivo”. 98<br />
Così si spiegherebbero le periodiche azioni repressive poste in essere<br />
dallo Stato solamente quando il fatidico limite viene superato dalla camorra; 99<br />
sino a quando essa si limita a condividere la gestione dell’illegalità con i ceti<br />
dominanti, non viene considerata socialmente dannosa e di conseguenza non<br />
diviene oggetto privilegiato di approfondite indagini, ma se l’allarme sociale<br />
sale, o le classi dirigenti temono per la propria incolumità, ecco che viene<br />
colpita con forza.<br />
E’ importante osservare che la camorra è un fenomeno criminale che<br />
non ha goduto della continuità storica che ha sempre caratterizzato Cosa<br />
Nostra. Quest’ultima, pur con gli aggiustamenti dovuti al mutare<br />
dell’ambiente circostante, non ha mai reciso il filo conduttore delle sue<br />
caratteristiche e della sua presenza in Sicilia; al contrario tra la setta segreta<br />
napoletana delle origini ottocentesche e la criminalità endemica del<br />
Novecento, aldilà di alcune caratteristiche tutto sommato immutate 100 , sono<br />
comunque molto profonde le differenze, soprattutto per quanto riguarda la<br />
struttura organizzativa.<br />
“Perciò, se per “camorra” si intende il tipo di organizzazione criminale<br />
che ha dominato la vita dei ceti popolari e plebei napoletani per tutto<br />
l’Ottocento, si può dire tranquillamente che essa è iniziata ed è finita<br />
97<br />
F. Rosi, in Centro di documentazione mensa bambini proletari (a cura di), Rassegna stampa sulla camorra,<br />
Ed. Sintesi, Napoli 1982.<br />
98<br />
I. Sales, op.cit., p.17.<br />
99<br />
Negli anni 1860, 1862, 1874, 1883, 1906, 1983, 1984, 1992 oltre che durante il regime fascista, a fronte di<br />
una mafia siciliana che è stata duramente colpita solamente dal prefetto Mori, dopo il 1963 ed a partire dalla<br />
seconda metà degli anni ’80.<br />
100<br />
Mi riferisco nello specifico alle condizioni economiche e sociali, alle modalità peculiari seguite nel rapporto<br />
con la politica, agli atteggiamenti intimidatori, alle attività illecite svolte.<br />
30
nell’Ottocento. Dopo è esistita sempre una particolare attività delinquenziale,<br />
fluida, dedita a diverse attività illegali e anche ad alcune legali, con momenti<br />
di grosso allarme per l’opinione pubblica, non retta da un’organizzazione<br />
centralizzata ma fatta da diverse bande, piccole e grandi, e senza la città di<br />
Napoli in funzione dominante”. 101<br />
Proprio in funzione della caratteristica di comparire e scomparire, a<br />
seconda delle condizioni dell’ambiente circostante, di alternare momenti di<br />
onnipresenza e totale compenetrazione, ad altri improntati alla discrezione,<br />
alla mimetizzazione ed al basso profilo 102 , senza però mai perdere di vista<br />
quelle caratteristiche storiche che ne costituiscono lo scheletro immutabile 103 ,<br />
Isaia Sales ha definito la camorra come “una criminalità carsica” 104 volendo<br />
appunto intendere un fenomeno delinquenziale fortemente capace di reagire<br />
al mutare delle condizioni esterne. Anche Cosa Nostra è sempre stata<br />
abilissima nel reagire prontamente alle novità sociali, ma la peculiarità della<br />
camorra è che essa “non è criminalità che si adatta al nuovo, ma [è]<br />
contemporaneamente emarginata e prodotta dal nuovo”. 105<br />
Anche Violante si è soffermato sul concetto di criminalità carsica<br />
proposto da Sales osservando che nei momenti di difficoltà la camorra<br />
troverebbe rifugio tra gli strati più poveri della popolazione, riuscendo così a<br />
mimetizzarsi con l’illegalità diffusa; al ricomparire di condizioni migliori essa<br />
tornerebbe ad occupare il suo ruolo naturale; tuttavia “non si tratta dei vecchi<br />
clan che riappaiono, come invece è accaduto in Sicilia dopo la lunga<br />
repressione degli anni 1963-1969, o dopo la breve repressione del triennio<br />
1992-1994. I vecchi scompaiono e compaiono nuovi soggetti che applicano il<br />
vecchio modello”. 106<br />
Per quanto riguarda l’origine storica della camorra, che si preferisca<br />
propendere per la ricostruzione di Galasso o per quella di Sales, il dato<br />
inoppugnabile è che essa nasce come fenomeno criminale urbano per poi<br />
espandersi, agli inizi del Novecento, anche nelle campagne; un percorso<br />
decisamente antitetico a quello della mafia siciliana e della ‘ndrangheta che<br />
originano nell’ambiente rurale e conquistano le città solo in una fase<br />
successiva.<br />
101 I. Sales, op.cit., pp. 18-19.<br />
102 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 61.<br />
103 Cfr. A. Lamberti, “Introduzione” a P. Ricci, La Gran Mamma, 150 anni di malavita napoletana, Ed. Sintesi,<br />
Napoli 1983.<br />
104 I. Sales, op.cit., p. 19.<br />
105 Ivi, p.20.<br />
106 L. Violante, Non è la piovra, cit., pp. 61-62.<br />
31
Proprio il differente ambito di gestazione tra queste due espressioni<br />
criminali avrebbe notevolmente influito sulle caratteristiche assunte dai due<br />
sodalizi.<br />
“La camorra si è sempre mostrata con tutte le caratteristiche urbane,<br />
quali il carattere di massa, [...] confuse aspirazioni sociali e ribellistiche, il<br />
bisogno di mostrare pubblicamente la violenza o il dominio di essa, il fare<br />
notare con segni tangibili la propria appartenenza (il modo di vestire, il<br />
gergo, perfino il modo di tagliarsi i capelli).[...] La camorra non si struttura in<br />
cosche chiuse. Il familismo [...] non è determinante [...]. Si diventa camorristi<br />
anche per esempi familiari, ma la base, la cellula della camorra non è mai<br />
esclusivamente o prevalentemente la famiglia”. 107<br />
Tutto ciò a fronte di una mafia siciliana che ha storicamente fatto tesoro<br />
di peculiarità quali la discrezione, il basso profilo, l’organizzazione attorno<br />
alla cellula familiare. A titolo esemplificativo, si osservi il seguente passaggio,<br />
tratto dall’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del boss del<br />
clan Gionta di Torre Annunziata, in cui viene riassunto un episodio che ha<br />
come protagonisti un esponente dello stesso sodalizio ed una pattuglia dei<br />
carabinieri che stava tentando di arrestare altri affiliati: “i militari [...]<br />
venivano ostacolati da [...] che bloccavano l’autovettura di servizio ponendosi<br />
a piedi in mezzo alla strada insieme a Paduano Ciro. Il predetto faceva<br />
addirittura condurre al centro della piazza anche alcuni bambini. Infine il<br />
Paduano, non soddisfatto per lo smacco inflitto alle forze dell’ordine, al fine<br />
di intimidirli per il futuro ed indurli così ad astenersi da ulteriori zelanti<br />
operazioni, ponendo le mani sul finestrino dal lato guida con toni arroganti<br />
pronunciava le seguenti frasi: però non si fa così, dovete stare attenti, con<br />
tutte le persone in mezzo alla strada. State attenti perchè un giorno di questi<br />
potete anche andare a spiaccicarvi contro il muro...non si sa mai....i freni<br />
potrebbero non funzionare...una cosa...l’altra”. 108<br />
Questa marcata ostentazione dell’essere camorrista è semplicemente il<br />
frutto della tradizione o ha un’effettiva utilità? Luciano Violante ha spiegato<br />
questa ricerca di visibilità e questo sfoggio decisamente esagerato di potenza<br />
e prestigio con la mancanza di solidità strutturale e di radicamento sociale dei<br />
clan camorristici; alla luce di tali deficit diverrebbe indispensabile fare ricorso<br />
ad una autorappresentazione “clamorosa” delle proprie potenzialità 109 , che<br />
107 I. Sales, op.cit., pp.37-38.<br />
108 Tribunale di Napoli, Ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Gionta Valentino più 18<br />
per associazione a delinquere di tipo camorristico, Procedimento n.3173/R/91, Napoli 1991, p.49.<br />
109 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 68.<br />
32
finisce poi con il ripercuotersi sullo stesso controllo del territorio,<br />
decisamente più oppressivo di quello esercitato da Cosa Nostra. 110<br />
Per quanto riguarda la struttura organizzativa, è noto che, fatte salve le<br />
esperienze della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, della<br />
Nuova Famiglia di Bardellino-Nuvoletta-Alfieri 111 , e della Nuova Mafia<br />
Campana, 112 la camorra non ha mai assunto una configurazione gerarchica<br />
ma, al contrario, nella sua continua sovrapposizione “di bande che si<br />
compongono, scompongono e ricompongono senza ordine e senza<br />
disciplina,” 113 esprime una struttura pulviscolare. Si potrebbe dire che tale<br />
schema organizzativo le è proprio nei casi in cui essa è realmente e<br />
completamente autoctona, e non vi è l’influenza della criminalità organizzata<br />
di altre regioni; 114 è peraltro opportuno sottolineare che, nei casi in cui tale<br />
influenza è stata presente e si è cercato di realizzare una struttura gerarchica<br />
organizzata, “tutti questi esperimenti “d’ordine” sono cessati dopo pochi<br />
anni per circostanze contingenti, ma anche per le grandi diversità storiche<br />
politiche e sociali tra camorra e Cosa Nostra”. 115<br />
La mancanza di una struttura gerarchica si ripercuote anche sulla stessa<br />
genesi dei singoli clan, operazione soggetta ad un profondo “disordine” che<br />
scaturisce dalla mancanza di regole fisse e formalizzate e che si manifesta<br />
solitamente per scissione di clan preesistenti. Per esempio a seguito<br />
dell’arresto o della malattia di un boss è probabile che alcuni dei suoi<br />
sottoposti tentino di creare un sodalizio concorrente a quello originale, invece<br />
che assumerne la reggenza come invece si fa di norma in Cosa Nostra. Ecco<br />
perchè è possibile che diventino capi anche individui giovani, eventualità da<br />
escludersi per la mafia siciliana, che approfittano delle caratteristiche di<br />
apertura, dinamismo e duttilità, ma anche di profonda instabilità, loro offerte<br />
dal modello camorristico.<br />
In merito all’analisi dell’estensione camorristica sul territorio campano,<br />
occorre sottolineare che le cifre ufficiali sul numero totale di affiliati non sono<br />
110 Cfr. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., pp. 21-22.<br />
111 Organizzazione creata sotto la supervisione di Cosa Nostra per contrastare la NCO e conseguentemente con<br />
caratteristiche affini al sodalizio siciliano.<br />
112 Risalente al tentativo posto in essere da Alfieri nel 1992 di accorpare le varie famiglie campane sotto un<br />
unico marchio.<br />
113 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 58.<br />
114 Mi riferisco alla ‘ndrangheta per la NCO e a Cosa Nostra per la Nuova Famiglia e per la Nuova Mafia<br />
Campana.<br />
115 L. Violante, Non è la piovra, cit., pp.58-59. Alla citazione di Violante, in ordine alle differenze tra camorra e<br />
Cosa Nostra, pare corretto aggiungere anche la ‘ndrangheta, sicuramente fondamentale nell’esperimento NCO,<br />
anche se a sua volta molto diversa dalla camorra.<br />
33
aderenti alla realtà (per difetto). Come infatti evidenziato dalla Commissione<br />
parlamentare antimafia, i clan camorristici sono organizzazioni criminali più<br />
aperte di quanto lo siano i propri omologhi in Cosa Nostra o nella<br />
‘ndrangheta, poichè non adottano rigidi criteri selettivi per l’affiliazione e non<br />
fanno ricorso al ritualismo ed alla manipolazione di codici culturali 116 ; al<br />
contrario proprio “lo stato d’illegalità secolare” che contraddistingue la<br />
componente più disperata della popolazione campana, nonché la cinica<br />
disponibilità a ricorrere anche ai bambini, ha fornito per decenni, e fornisce<br />
tutt’oggi, un bacino di “forza lavoro” che sicuramente non gode della<br />
specializzazione dei membri di altre espressioni criminali, ma è<br />
indubbiamente molto più numeroso di quanto non risulti dall’analisi dei dati<br />
sulle affiliazioni ufficiali. 117<br />
“La camorra è l’unica organizzazione di carattere mafioso che ha<br />
avuto, e continua ad avere, caratteristiche di massa”. 118<br />
La camorra esercita un dominio incontrastato sugli strati più poveri<br />
della popolazione campana; si può dire che essa governa la disperazione<br />
sociale, in maniera del tutto originale rispetto ad esperienze criminali come la<br />
‘ndrangheta e Cosa Nostra 119 , grazie alla sua capacità di fornire<br />
un’occupazione, ovviamente nell’ambito dell’illegalità ed in particolare nello<br />
smercio di droga e nell’industria del falso, a migliaia di disoccupati che senza<br />
di essa morirebbero di fame 120 .<br />
Un’altra caratteristica della camorra risiede nella sua spietatezza e nel<br />
suo cinismo, frutto della totale assenza di regole organizzative e di condotta:<br />
a fronte del guadagno non esiste morale di sorta che possa impedire la<br />
gestione di una particolare nicchia illegale 121 e gli stessi rapporti con la<br />
politica non sono sottoposti ad alcuna pregiudiziale partitica, ma sono<br />
116<br />
Ci si riferisce ovviamente al fenomeno nel suo complesso e non ai casi particolari prima richiamati che<br />
rappresentano delle vere e proprie eccezioni alla consuetudine camorristica.<br />
117<br />
Cfr. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., p. 12.<br />
118<br />
L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 60.<br />
119<br />
Si pensi solo al difficile rapporto tra Cosa Nostra catanese e l’illegalità diffusa rappresentata dai cursoti e<br />
dai carcagnusi.<br />
120<br />
Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 63.<br />
121<br />
A questo proposito si pensi al ben diverso atteggiamento della ‘ndrangheta che, per fornire un esempio, ha<br />
sempre considerato il controllo del mercato della prostituzione come un’attività profondamente immorale e<br />
dunque da non praticare. Emblematico il racconto del collaboratore di giustizia Francesco Fonti che parla di<br />
una riunione appositamente tenuta a Torino nel 1982, cui parteciparono circa 700 esponenti della mafia<br />
calabrese emigrati in Piemonte, proprio per richiamare all’ordine quegli affiliati che se ne occupavano e per<br />
stabilire che in caso di prosecuzione di tale attività si sarebbe provveduto all’espulsione dall’organizzazione ed<br />
addirittura all’eliminazione fisica. (Cfr. Tribunale di Torino, Decreto nella procedura a carico di Rocco Lo<br />
Presti e Paolo Spallitta, Sezione misure di prevenzione, Torino 1996, p.8).<br />
34
esclusivamente funzionali al proprio tornaconto. 122 Non è dunque l’ideologia<br />
a guidare gli uomini della camorra quando stringono legami con la politica,<br />
ma, come ricorda Galasso, essa non sostiene partiti ma individui singoli,<br />
disposti a divenire complici della malavita, e ciò a prescindere dalla loro<br />
connotazione ideologica. 123<br />
Del particolare rapporto mercenario con il potere legale si è già<br />
discusso in maniera approfondita; giova comunque ricordare che nei<br />
confronti della politica le relazioni si sono sempre esaurite a livello locale,<br />
senza mai andare ad investire in alcun modo le grandi vicende nazionali.<br />
L’assenza di omicidi politici di rilevanza nazionale si spiega dunque da<br />
un lato con l’oggettiva incapacità della camorra di intervenire ad alto livello a<br />
causa della debolezza e della mancanza di compattezza intrinseche al<br />
modello pulviscolare, dall’altro con il disinteresse nei confronti di progetti<br />
eversivi fondati sullo scontro aperto con lo Stato; la camorra ha sempre<br />
ambito a collaborare con la politica, ad essere dalla stessa legittimata nel suo<br />
agire, e non a scontrarsi con essa. Dunque, in maniera analoga ai rapporti di<br />
collusione, è esclusivamente l’ambito locale ad essere colpito 124 , non essendo<br />
in genere uomini politici nazionali o rappresentanti delle istituzioni con<br />
elevate responsabilità gli interlocutori di riferimento della camorra.<br />
“La camorra ha un rapporto privilegiato, in genere, con le articolazioni<br />
periferiche della pubblica amministrazione e con gli enti locali. La camorra ha<br />
manifestato quindi una aggressività meno eclatante rispetto a Cosa Nostra,<br />
non solo per le sue caratteristiche strutturali, ma anche perchè i suoi obiettivi<br />
sono tradizionalmente diversi da quelli di Cosa Nostra, meno strategici e più<br />
legati alla convenienza immediata”. 125<br />
Sul fronte economico infine si deve sottolineare la profonda vocazione<br />
imprenditoriale che contraddistingue storicamente la camorra; essa ha<br />
sempre perseguito l’inserimento nei cicli economici sia passivamente, con<br />
l’estorsione, l’usura e le rapine, che attivamente, con il controllo di un<br />
122<br />
Ciò a fronte di una mafia siciliana di cui sono noti lo storico odio nei confronti del partito comunista e la<br />
diffidenza verso l’MSI, erede di quel partito fascista responsabile dell’operazione Mori.<br />
123<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />
giustizia Pasquale Galasso cit., p. 2260.<br />
124<br />
Il giornalista Giancarlo Siani ucciso il 23 settembre 1985 a seguito delle sue denunce contro la ricostruzione<br />
post terremoto; il sindaco di Pagani Marcello Torre assassinato l’11 dicembre 1980 per la sua scarsa<br />
malleabilità all’infiltrazione camorristica; il consigliere del comune di Ottaviano Domenico Beneventano<br />
eliminato il 7 novembre 1980 per i suoi dissidi con Cutolo; il vice questore della squadra mobile di Napoli<br />
Antonio Ammaturo caduto il 15 luglio 1982, ucciso dalle BR con l’aiuto di varie famiglie camorristiche, a<br />
seguito della sua determinazione nel fare chiarezza sul caso Cirillo.<br />
125<br />
L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 72.<br />
35
ventaglio di attività incredibilmente eterogeneo che comprende il gioco<br />
d’azzardo, le bische, il lotto clandestino, il totonero, il contrabbando, lo<br />
spaccio di stupefacenti, il controllo dei mercati agricoli, la macellazione e<br />
l’importazione clandestina di carni, il mercato del latte per arrivare sino<br />
all’enorme business degli appalti e dell’edilizia del dopo terremoto ed al più<br />
recente impegno nelle truffe CEE. 126<br />
Celato tra le pieghe della semplicistica definizione di “mafia campana”<br />
c’è un atteggiamento di sostanziale sottovalutazione che ha la tendenza a<br />
collocare questa fenomenologia criminale ad un livello di pericolosità sociale<br />
nettamente inferiore rispetto a Cosa Nostra. Tale posizione origina<br />
indubbiamente dal carattere profondamente locale della camorra e dal suo<br />
conseguente impegno in un territorio tutto sommato circoscritto alla<br />
Campania, nonchè dalla mancanza di gesti eclatanti nei confronti dello Stato<br />
sullo stile della Cosa Nostra corleonese. Eppure perseverare nella sua<br />
sottovalutazione e adottare la cosiddetta linea dura saltuariamente, solo<br />
quando essa sta andando aldilà dei confini che il mondo legale le ha imposto,<br />
è un errore enorme. Si è detto che la camorra è una criminalità carsica;<br />
bisogna fare in modo che tale caratteristica non continui ad essere propria<br />
anche delle istituzioni che la devono contrastare ma, al contrario, che la linea<br />
di lotta da esse adottata sia nel tempo continuativa ed organica, poichè una<br />
proficua azione nei suoi confronti non si può realizzare solo con l’impegno<br />
delle forze dell’ordine, ma, in considerazione delle sue caratteristiche sociali,<br />
devono intervenire tutti quei soggetti pubblici che a vario titolo possono<br />
partecipare al progetto di miglioramento delle condizioni di vita degli strati<br />
inferiori della società campana. Contestualmente si deve realizzare un’opera<br />
di capillare sensibilizzazione nei confronti del resto di questa società perchè<br />
essa smetta di tollerare, per il proprio tornaconto, quelle attività illecite quali<br />
il contrabbando o l’industria del falso che apparentemente non sembrano<br />
danneggiare nessuno, se non le multinazionali, ma in realtà costituiscono la<br />
base su cui si fonda tutta la struttura camorristica. Questa è l’unica strada da<br />
seguire per separare finalmente la camorra da quell’apparentemente<br />
inesauribile bacino di manodopera criminale dal quale essa attinge, senza<br />
soluzione di continuità, da due secoli. Siamo di fronte ad un problema di<br />
“sviluppo sostenibile” della società campana che deve essere attentamente<br />
programmato poichè la camorra ha sin qui fornito ampie prove della sua<br />
capacità di insediarsi tra le sue pieghe, restandone emarginata anche per<br />
126 Ivi, p. 73.<br />
36
lungo tempo, per poi riemergere come fatto moderno o come segnale violento<br />
della sua sconfitta.<br />
“La camorra [...] sembra un fenomeno criminale più attaccabile da una<br />
modernizzazione totale ma anche il fenomeno criminale più congeniale a una<br />
modernizzazione senza sviluppo. Da un lato sembra più sconfiggibile dallo<br />
sviluppo, dall’altro viene quasi rigenerata dal tipo di sviluppo scelto per il<br />
Mezzogiorno e per Napoli”. 127<br />
127 I. Sales, op.cit., p. 20.<br />
37
2.1 Genesi storica<br />
La ‘Ndrangheta calabrese<br />
“All’indomani dell’unità d’Italia, andavano precisandosi i nomi con i<br />
quali si sarebbero definite in seguito le organizzazioni criminali e le<br />
associazioni a delinquere operanti in due regioni italiane: mafia per la Sicilia,<br />
camorra per Napoli e la Campania. E per la Calabria? Per questa regione il<br />
discorso è più complesso. Nessuna opera teatrale, nessun saggio storico,<br />
nessun libro si occupò in modo specifico delle associazioni a delinquere<br />
operanti in quei territori”. 128<br />
Eppure che in Calabria fosse attiva già a quel tempo una vera e propria<br />
associazione a delinquere è ampiamente dimostrato da una serie di<br />
documenti giudiziari: la Corte d’appello delle Calabrie nel 1889 venne<br />
chiamata a giudicare in merito alle accuse nei confronti di un certo Luigi<br />
Labate accusato di essere “capo di un’associazione di maffiosi”; 129 l’anno<br />
successivo, dinnanzi allo stesso consesso, si discusse l’appello di Carmine<br />
Tripodi, precedentemente condannato per la sua appartenenza ad una<br />
“associazione di malfattori ad oggetto di delinquere contro le persone e la<br />
proprietà [...] tale associazione prese il nome di associazione di picciotti.” 130<br />
All’esplosione del brigantaggio propria del primo decennio postunitario,<br />
si era dunque sostituita, a seguito della repressione posta in essere<br />
dallo Stato, una realtà diversa, fondata su un’associazione a delinquere di<br />
tipo nuovo e destinata a radicarsi nella realtà calabrese in maniera talmente<br />
profonda da sopravvivere, pur con un naturale adeguamento alle nuove<br />
condizioni, sino ai giorni nostri. 131<br />
Affascinante la leggenda, molto diffusa in Calabria 132 , che spiega<br />
l’origine di quella fenomenologia criminale che oggi chiamiamo ‘ndrangheta:<br />
i tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, che facevano parte<br />
della società segreta iberica denominata Garduna di Toledo, durante la prima<br />
metà del quattrocento si stabilirono sull’isola di Favignana e lavorarono sotto<br />
128<br />
E. Ciconte, op.cit., pp. 9-10.<br />
129<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Crocè Paolo più 3, Archivio di Stato di<br />
Catanzaro, v. 285, 22 marzo 1884.<br />
130<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Tripodi Carmine, Archivio di Stato di<br />
Catanzaro, v. 323, 27 agosto 1890.<br />
131 Cfr. E. Ciconte, op.cit., p. 6.<br />
132 Si tratta di una leggenda non scritta che si è tramandata oralmente sino ad oggi.<br />
38
terra, per ventinove anni, allo scopo di redigere le norme di una nuova<br />
consorteria che sarebbe stata attiva sul territorio del mezzogiorno italiano.<br />
Secondo il racconto, al termine del lavoro, i cavalieri ritennero di dividere in<br />
tre parti la nuova associazione generando così la mafia in Sicilia, la camorra<br />
in Campania e la ‘ndrangheta in Calabria. 133<br />
La suggestione ancora attuale 134 di questa leggenda risiede proprio<br />
nella sua caratteristica di essere stata tramandata esclusivamente per via<br />
orale; senza dubbio frutto di fantasia, essa è servita a creare il mito<br />
dell’origine della criminalità calabrese, ad investirla di una nobilitazione, “a<br />
costituire una sorta di albero genealogico con tanto di antenati, a far risalire<br />
nella notte di secoli lontani la nascita – nobile per di più! – e l’esistenza stessa<br />
del vincolo associativo che in questo modo trovava una propria<br />
legittimazione”. 135<br />
Questa fiaba mitologica, a suo modo ingenua ed infantile, è<br />
fondamentale per comprendere la psicologia e la componente emotiva della<br />
‘ndrangheta, per sviscerare i suoi rituali, i suoi giuramenti, i suoi linguaggi<br />
gergali, i percorsi culturali che hanno determinato le leggi, i codici<br />
comportamentali e la visione del mondo “esterno”; è essenziale per<br />
comprendere il cosiddetto comportamento ‘ndranghetista e le radici della<br />
mentalità che lo alimenta, per fornire una spiegazione al perchè tutto ciò, nato<br />
in tempi ormai lontanissimi, sia riuscito a resistere al passare degli anni, al<br />
mutare della società per presentarsi oggi, pur con le ineluttabili<br />
modificazioni, con tratti caratteristici molto simili a quelli delle origini. 136<br />
Storicamente per identificare la criminalità organizzata calabrese si è<br />
fatto ricorso per lungo tempo a termini come maffia e camorra; sfogliando<br />
parte della saggistica e delle sentenze dei tribunali calabresi del periodo<br />
postunitario, si può notare il reiterato utilizzo di formule che fanno<br />
riferimento a questi vocaboli: “sospetti in fatto di ferimenti, camorra e di far<br />
parte di maffiosi” 137 ; “menava vita di bravo e di maffioso” 138 ; “setta dei<br />
133 Cfr. L. Malafarina, La ‘ndrangheta. Il codice segreto, la storia, i miti, i riti e i personaggi, Casa del libro,<br />
Reggio Calabria 1986, pp. 88-92 e S. Di Bella, La nascita della mafia ed il suo ruolo storico, in AA.VV.<br />
Cultura e politica contro la ‘ndrangheta, Pellegrini, Cosenza 1987, pp.21-22.<br />
134 Cfr. G. Falcone, Strutture organizzative, rituali e “baccagghiu” della ‘ndrangheta, in AA.VV., Mafia e<br />
Potere, a cura di S. Di Bella, Rubbettino, Soveria Mannelli 1983, vol I, p.253.<br />
135 E. Ciconte, op.cit., p. 8.<br />
136 Ibidem.<br />
137 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Borgese Rocco, Archivio di Stato di<br />
Catanzaro, v. 315, 25 marzo 1889.<br />
138 Corte d’appello di Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti di Giovinazzo Francesco più<br />
1, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 125, 20 maggio 1887.<br />
39
camorristi” 139 ;“la mala pianta della camorra sia da moltissimi anni arrivata<br />
nelle Calabrie” 140 ; “aggregati nelle fila della mafia” 141 ; “maffia di Santo<br />
Stefano” 142 ; “camorra reggina” 143 .<br />
L’utilizzo frequente del termine camorra più che in riferimento ad un<br />
collegamento con la criminalità campana è spiegabile con il significato che gli<br />
attribuisce Monnier: “La camorra può essere definita l’estorsione<br />
organizzata” 144 e quindi non tanto nell’accezione di organizzazione criminale,<br />
quanto piuttosto in quella di una particolare attività delinquenziale che, come<br />
in Campania, anche in Calabria ne costituisce la funzione fondamentale.<br />
Ma aldilà delle considerazioni in ordine all’utilizzo del vocabolo<br />
camorra, ciò che pare opportuno sottolineare è l’incertezza terminologica<br />
vissuta da giudici e rappresentanti delle forze dell’ordine nel definire<br />
un’associazione a delinquere poco conosciuta, nuova, che si poneva in luce<br />
proprio in quel periodo mantenendo peraltro caratteristiche di estrema<br />
segretezza e riservatezza; quindi oltre all’abuso precedentemente evidenziato<br />
nell’utilizzo di vocaboli riferibili ad altre consorterie criminali all’epoca attive<br />
nel mezzogiorno, è possibile osservare, ancora a livello giudiziario, il ricorso<br />
ad un variegato ventaglio di definizioni che vanno da “associazione appellata<br />
la Malavita,” 145 a “i figli del coraggio,” 146 a “Società nicastrese,” 147 a “famiglia<br />
Montalbano” 148 sino ai più diffusi “onorata società,” 149 che è “la definizione<br />
139 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Calia Michelangelo più 65, Archivio di<br />
Stato di Catanzaro, v. 324, 14 ottobre 1890.<br />
140 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Zagari Antonino più 19, Archivio di Stato<br />
di Catanzaro, v. 372, 22 agosto 1898.<br />
141 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Mangione Bruno più 53, Archivio di Stato<br />
di Catanzaro, v. 405, 2 dicembre 1903.<br />
142 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Favasulli Antonio più 44, Archivio di Stato<br />
di Catanzaro, v. 406, 13 febbraio 1904.<br />
143 A. Niceforo, Il gergo dei normali, nei degenerati e nei criminali, F.lli Bocca, Torino 1897, p. 155.<br />
144 M.Monnier, op.cit., p. 9.<br />
145 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Abate Vincenzo più 86, Archivio di Stato di<br />
Catanzaro, v. 407, 9 marzo 1904.<br />
146 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Aricò Antonio più 56, Archivio di Stato di<br />
Catanzaro, v. 391, 2 agosto 1901.<br />
147 Corte d’appello di Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti di Cantafio Vincenzo più 53,<br />
Archivio di Stato di Catanzaro, v. 129, 25 maggio 1888.<br />
148 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Annaccarato Vincenzo più 93, Archivio di<br />
Stato di Catanzaro, v. 516, 25 novembre 1930; Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di<br />
Faccineri Giuseppe più 20, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 460, 18 gennaio 1916; Corte d’appello delle<br />
Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Lucà Luigi più 38, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 504, 9 luglio<br />
1928; si noti che il termine di “famiglia Montalbano” è stato recentemente utilizzato per definire la criminalità<br />
organizzata calabrese anche da Saverio Strati. (S.Strati, C’era una volta l’onorata società, “Corriere della<br />
Sera”, 10 febbraio 1978; S.Strati, Il selvaggio di Santa Venere, Mondadori, Milano 1987). E’ comunque<br />
opportuno ricordare quanto osservato in merito da Enzo Ciconte: “Tale definizione non è però molto diffusa.<br />
Essa, a quanto sembra, era in uso in alcune località della provincia di Reggio Calabria, soprattutto a Gioia<br />
40
comunemente e più largamente usata per indicare l’associazione mafiosa<br />
calabrese” 150 tra le masse contadine, e “picciotteria” 151 che avrà grande<br />
fortuna e sarà ampiamente impiegato sia nelle sentenze che in diverse<br />
pubblicazioni 152 dei primi anni del Novecento.<br />
In merito all’utilizzo di vocaboli riferibili ad altri sodalizi criminali del<br />
sud, Ciconte ha osservato: “camorra, camorristi, maffia, maffiosi, picciotteria,<br />
picciotti, sembrano richiamare la realtà esistente in Sicilia ed in Campania e<br />
lasciano intendere forme di collegamento e di parentela con quelle<br />
associazioni. Picciotti e camorristi sono i gradi esistenti anche nella mafia e<br />
nella camorra e quindi le definizioni che se ne ricavano sembrano adombrare<br />
una sorta di filiazione delle organizzazioni calabresi da quelle più importanti<br />
operanti da tempo in quelle regioni, in modo particolare dalla camorra”. 153<br />
Apparentemente sembrerebbe quindi che la criminalità organizzata<br />
calabrese viva una sorta di crisi d’identità nell’espressione di tratti originali<br />
ed autonomi; è sicuramente vero che in questo periodo essa è ancora<br />
un’organizzazione molto giovane, tuttavia è riscontrabile, anche in questo<br />
caso, una certa sottovalutazione da parte dei contemporanei che, nella loro<br />
limitata conoscenza di questa nuova forma criminale, trovarono<br />
probabilmente più semplice assimilarla alle già note fenomenologie campane<br />
e siciliane, invece che studiarne in maniera approfondita, a cominciare dalla<br />
definizione, i tratti caratteristici.<br />
Tauro, e circoscritta nel raggio di azione dei comuni ricadenti sotto l’influenza di quella associazione.” (E.<br />
Ciconte, op.cit., p. 16).<br />
149 Ibidem.<br />
150 E. Ciconte, op.cit., p. 16. Ciconte insiste sull’importanza di questa definizione poichè fa riferimento<br />
specificamente al concetto di onore come uno dei capisaldi attorno al quale ruota la struttura sociale e culturale<br />
di una società agraria come quella calabrese di fine Ottocento. Quindi uno dei requisiti fondamentali per<br />
l’appartenenza sarebbe proprio l’essere un uomo onorato, ovverosia un individuo che eserciti il dominio<br />
esclusivo della donna - moglie, figlia, sorella, amante o madre – e che nel caso in cui qualcuno le recasse<br />
offesa, non esiti a lavare l’affronto subito con il sangue. Dunque, nella società calabrese povera ed arretrata, in<br />
cui si nasceva senza diritti e proprietà di alcun tipo, almeno su una cosa gli uomini rivendicavano un dominio<br />
esclusivo: sulla donna. Lo stesso Ciconte osserva ancora che l’appellativo di “onorata società” è stato il più<br />
diffuso tra le masse contadine, che conoscevano bene l’organizzazione criminale, ma paradossalmente è stato<br />
utilizzato solo di rado in sentenze, atti ufficiali, pubblicistica e saggistica sull’argomento (Ivi, p.18).<br />
151 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Scidone Santo più 53, Archivio di Stato di<br />
Catanzaro, v. 386, 27 ottobre 1900. Ma è soprattutto il dispositivo di una sentenza del 1903 delle stessa Corte<br />
d’appello che estende l’utilizzo dell’appellativo di “picciotteria” affermando che le associazioni per delinquere<br />
“sono denominate associazioni della picciotteria e quelli che la compongono sono chiamati picciotti” (Corte<br />
d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Arcidiacono Gregorio più 15, Archivio di Stato di<br />
Catanzaro, v. 403, 1 agosto 1903).<br />
152 Cfr. D. Tarufi, L. De Nobili, C. Lori, La questione agraria e l’emigrazione in Calabria, Barbera, Firenze<br />
1908, pp. 858-859; Si vedano anche E. Morselli, S. De Sanctis, Biografia di un bandito. Giuseppe Musolino di<br />
fronte alla psichiatria e alla sociologia, Treves, Milano 1903, p.216 e L. Ferraioli, Picciotteria, Monteleone<br />
1900.<br />
153 E. Ciconte, op.cit., p. 14.<br />
41
In relazione al termine “’ndrangheta” comunemente utilizzato oggi per<br />
definire la mafia calabrese è opportuno ricordare che secondo Paolo Martino<br />
se ne troverebbe traccia per la prima volta nel 1909 154 ; peraltro tale appellativo<br />
si è definitivamente imposto solo nell’ultimo trentennio, proprio con lo scopo<br />
di identificare e distinguere i sodalizi calabresi da quelli campani e siciliani, 155<br />
a seguito di quella che è stata definita da Franco Martinelli un’operazione<br />
giornalistica 156 .<br />
Sempre per Martino, etimologicamente esso sarebbe frutto della<br />
trasformazione della parola “‘ndranghita”, vocabolo di origine grecanica che<br />
deriva da andraghatos, con cui si indicava l’uomo coraggioso e valoroso;<br />
considerato che alla mafia calabrese potevano aderire solo uomini con queste<br />
caratteristiche ecco come si spiegherebbe la definizione dell’appartenente<br />
come “’ndranghitu” che altro non sarebbe se non una forma fonetica innovata<br />
di andraghatos. 157 Quindi, in origine, tale appellativo aveva caratteristiche<br />
positive e solo successivamente ha acquisito, a seguito di quello che Martino<br />
definisce “un processo di criminalizzazione,” il significato attuale che<br />
connota decisamente una peculiare organizzazione delinquenziale 158 .<br />
Sull’origine del vocabolo ‘ndrangheta, si è soffermato anche Saverio Di<br />
Bella offrendone una spiegazione che pare andare in direzione decisamente<br />
opposta a quella di Martino; infatti esso non avrebbe “nessuna origine nobile:<br />
indica uno dei versi che, in alcune aree della Calabria, accompagnava insieme<br />
al battere delle mani, alcune figure della tarantella e cioè: “e ‘ndrangheta e<br />
‘ndrà”. Gli ‘ndranghetisti sono cioè individuati come uomini ballerini, senza<br />
sostanza, quasi buffoni, rispetto ai vecchi uomini d’onore che si sentono offesi<br />
dall’essere assimilati agli ‘ndranghetisti”. 159<br />
E’ ancora interessante ricordare che recentemente è stata adottata<br />
un’ulteriore definizione per la mafia calabrese, quasi a tramandare la storica<br />
confusione sul nome da attribuirle; per Pantaleone Sergi essa sarebbe infatti<br />
“la Santa” 160 .<br />
Se per ‘ndrangheta si usa intendere l’organizzazione criminale in senso<br />
lato, a livello locale operano le cosiddette ‘ndrine, quelle che nella mafia<br />
siciliana si chiamano cosche e nella camorra clan; anche a questo livello, quasi<br />
154 P. Martino, Per la storia della ‘ndrangheta, Roma 1988, pp. 26-28.<br />
155 Cfr. S. Di Bella, Mafia, ‘ndrangheta e camorra, Guida bibliografica, Rubbettino, Soveria Mannelli 1983 e<br />
G. Pallotta, Dizionario storico della mafia, Newton Compton, Roma 1977.<br />
156 F. Martinelli, La guerra mafiosa, Editori Riuniti, Roma 1981, p.11.<br />
157 P. Martino, Storia della parola ‘ndrangheta, in AA.VV., Le ragioni della mafia, Jaca Book, Milano 1983.<br />
158 P. Martino, Per la storia della ‘ndrangheta, cit., p. 15.<br />
159 S. Di Bella, ‘Ndrangheta: la setta del disonore, Pellegrini, Cosenza 1989, p.8.<br />
160 P. Sergi, La “Santa” violenta, Periferia, Cosenza 1991.<br />
42
a ribadire l’incertezza terminologica di cui si è sinora parlato, esistono infatti<br />
più vocaboli. Oltre ai classici “cosca” e “famiglia”, mutuati dall’esperienza<br />
siciliana ma utilizzati anche in Campania, ed al già citato “’ndrine”, anch’esso<br />
di origine grecanica che significa “uomo di diritto che non piega mai la<br />
schiena” 161 è anche diffuso il vocabolo “fibbia” esteso agli affiliati che<br />
sarebbero definiti “affibiati”. 162<br />
Si è precedentemente posto l’accento sulla trasmissione esclusivamente<br />
orale della leggenda dei tre cavalieri spagnoli; quella di un limitato ricorso<br />
alla scrittura è caratteristica che contraddistingue il sistema di comunicazione<br />
e di trasmissione di idee tra gli associati.<br />
“Sembra quasi che la ‘ndrangheta si sia fermata alla tradizione<br />
orale”. 163<br />
E’ probabile che alla base di tale scelta non vi sia solamente il<br />
diffusissimo analfabetismo dell’epoca, ma anche un’esigenza di segretezza<br />
realizzata mediante il ricorso al linguaggio parlato che oggettivamente non<br />
lascia tracce permanenti come quello scritto. Ecco come si spiegano le<br />
risultanze giudiziarie del periodo secondo cui alcune 164 ‘ndrine basavano la<br />
propria organizzazione su statuti non scritti.<br />
“Questo fatto appalesa l’astuzia della società, la quale per tema che per<br />
una qualsiasi evenienza lo statuto potesse giungere nelle mani della giustizia,<br />
scaltramente eransi astenuti dal compilarlo”. 165<br />
Non si dimentichi inoltre che l’utilizzo della forma orale nella<br />
trasmissione di un messaggio permette di arricchirlo e renderlo efficace, ad<br />
un livello che nessuna forma scritta potrebbe raggiungere, mediante la<br />
gestualità, i silenzi, le parole gergali 166 e dialettali, i doppi sensi, gli<br />
ammiccamenti, il contesto stesso in cui si realizza la comunicazione che non è<br />
casuale ma è frutto di una scelta razionale. Il ricorso ad un peculiare<br />
linguaggio per la comunicazione delle idee, assieme al sistema culturale, ai<br />
161<br />
L. Malafarina, op.cit., p.79.<br />
162<br />
Ibidem. Sull’utilizzo di “fibbie” si sofferma anche Sharo Gambino nel suo La mafia in Calabria. (S.<br />
Gambino, La mafia in Calabria, Edizioni parallelo 38, Reggio Calabria 1975, p. 47).<br />
163<br />
E. Ciconte, op.cit., p. 22.<br />
164<br />
E’ infatti provata la redazione in alcuni casi di statuti scritti; per esempio la ‘ndrina di Nicastro aveva uno<br />
statuto che conteneva “17 articoli riguardanti gli obblighi e doveri degli affiliati, la formola del giuramento, la<br />
parola d’ordine per riconoscersi tra loro e distinguersi da quelli di altre società” (Corte d’appello di Catanzaro<br />
Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti di Cantafio Vincenzo più 53, cit.).<br />
165<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Martino Vincenzo più 46, Archivio di Stato<br />
di Catanzaro, v. 414, 8 giugno 1905.<br />
166<br />
Il gergo ‘ndranghetistico è “u baccagghju”. (Cfr. G. Falcone, Strutture organizzative, rituali e “baccagghiu”<br />
della ‘ndrangheta, cit., pp. 251-273 e S. Gambino, La mafia in Calabria, cit., pp.14-15).<br />
43
codici comportamentali 167 , ai segni distintivi 168 , al ritualismo 169 è strumentale<br />
alla formazione di un’identità di valori che permette il successo del modello<br />
organizzativo ‘ndranghetistico. Come osserva infatti Luigi Lombardi Satriani:<br />
“senza valori, senza quadri di riferimento, senza simboli, nessun gruppo<br />
umano regge”. 170<br />
E’ un problema riconducibile al senso di appartenenza<br />
all’organizzazione; il ricorso ad uno statuto, orale o scritto che sia, conferisce<br />
a qualsiasi attività e decisione una sorta di legittimità 171 e contestualmente<br />
rimarca il carattere elitario della ‘ndrina, poiché per appartenerle bisogna<br />
rispondere a determinate caratteristiche che non tutti posseggono. Per<br />
esempio in uno statuto sequestrato a Catanzaro si prevedeva: “la esclusione<br />
dei pederasti, dei mariti traditi, delle guardie di finanza, di città e carcerarie e<br />
dei carabinieri, e di coloro che non si siano vendicati della grave offesa<br />
dell’onore”. 172<br />
Per Martino, gli statuti ‘ndranghetistici sono complessi “di norme<br />
organizzative penali e rituali” piuttosto affini ai loro omologhi riferibili alle<br />
società segrete appartenenti al modello massonico ed ai codici degli ordini<br />
cavallereschi e delle confraternite medioevali, 173 fondati su un linguaggio<br />
frutto di una sorta di melting-pot tra l’italiano, il calabrese, il napoletano ed il<br />
siciliano “semplice e nel contempo astruso, pieno di doppi sensi, di frasi in<br />
gergo: popolare e insieme d’elite, con molteplici riferimenti religiosi ma anche<br />
167<br />
Tra cui per esempio il ricorso allo sfregio nei confronti di chi si è reso responsabile di qualche mancanza o<br />
di testimoni, rappresentante “il castigo destinato appunto per gli spioni e i traditori” (Corte d’appello delle<br />
Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Greco Francesco più 30, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 384, 17<br />
maggio 1900). Si noti il significato simbolico di una ferita permanente recata al viso, quindi in alcun modo<br />
nascondibile agli occhi della gente, che segna per tutta la vita chi la porta. Altri importanti codici<br />
comportamentali, rilevabili ancora oggi, sono la vendetta e l’omertà. (Cfr. E. Ciconte, op.cit., pp.60-67).<br />
168<br />
Sono molteplici le risultanze giudiziarie che riferiscono dell’abitudine di molti affiliati di farsi tatuare.<br />
“Questa medesima gente avea de’ segni particolari per comprendersi tra di loro […]; la massima parte di essa<br />
era tatuata.” (Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Marino Francesco più 147,<br />
Archivio di Stato di Catanzaro, v. 336, 9 settembre 1905.) Sono altresì note espressioni estetiche di<br />
appartenenza quali “un ciuffo di capelli sulla fronte a guisa di farfalla” (Corte d’appello delle Calabrie,<br />
Sentenza emessa nei confronti di Favasuli Bartolo più 28, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 359, 30 luglio<br />
1896), “d’intorno al collo, per riconoscersi, un fazzoletto annodato” (Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza<br />
emessa nei confronti di Moscatello Pietro più 49, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 394, 22 gennaio 1902), “il<br />
camuffo di seta ed un garofano rosso all’occhiello” (S. Gambino, La mafia in Calabria, cit., p.62).<br />
169<br />
Si pensi alla complessa ritualità che segna l’ingresso del nuovo affiliato, e che viene definita “battesimo”<br />
con un esplicito richiamo al cattolicesimo; oppure, nel caso della promozione al grado di camorrista, al duello,<br />
la cosiddetta “tirata del sangue”, che si deve svolgere tra il candidato ed un altro membro dell’organizzazione<br />
(Cfr. S. Castagna, Tu devi uccidere, a cura di A. Perria, Il Momento, Milano 1967, pp.40-41).<br />
170<br />
L.M. Lombardi Satriani, Stratificazione sociale, dinamica culturale e mafia nel Mezzogiorno<br />
contemporaneo, in AA.VV. Mafia e potere, cit., p.208.<br />
171<br />
Cfr. L. Malafarina, op.cit., p.11.<br />
172<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Bagalà Michele più 86, Archivio di Stato<br />
di Catanzaro, v. 405, 23 novembre 1903.<br />
173<br />
Cfr. P. Martino, Per la storia della ‘ndrangheta, cit., p. 25.<br />
44
con immagini esoteriche difficilmente comprensibili per la cultura dello<br />
‘ndranghetista medio, e proprio per questo pieni di attrattiva, di mistero, di<br />
fascino, di echi sconosciuti. L’ascolto rimanda a risonanze antiche e nel<br />
contempo mai udite prima”. 174<br />
Questo reiterato tentativo di sviluppare un forte senso di appartenenza<br />
risponde ad un’esigenza largamente avvertita dalla gente calabrese nel<br />
periodo dell’unità: sconfiggere un sentimento di insicurezza diffusa 175 che ha<br />
molte origini: dal fenomeno dei briganti e delle truppe che li contrastano, alla<br />
vita su coste che storicamente sono state oggetto di scorribande e che hanno<br />
costretto i loro abitanti a ripiegare verso l’interno della regione, 176 dalle<br />
misere condizioni di vita che non garantiscono neppure la sopravvivenza 177 ,<br />
all’estrema pericolosità delle vie di comunicazione 178 , dalla debolezza<br />
intrinseca alla struttura sociale contadina 179 , ad una terra ostile, soggetta a<br />
tremendi terremoti e devastanti alluvioni, 180 per concludere con una storica<br />
sfiducia nei confronti delle leggi dello Stato, che agli occhi dei ceti meno<br />
abbienti risultano essere “leggi delle classi dominanti e di conseguenza ostili<br />
e antagoniste a quelle delle classi subalterne” 181 .<br />
A fronte di una così elevata insicurezza, “l’esigenza e la richiesta di<br />
protezione costituivano una tensione psicologica e culturale costante, che<br />
attraversava come una corrente invisibile, ma emergente di volta in volta in<br />
un pullulare di simboli, l’intera vita comunitaria”. 182<br />
174<br />
E. Ciconte, op.cit., pp. 27-28.<br />
175<br />
Cfr. J. Meyriat (a cura di), La Calabria, Lerici, Milano 1961, p.308.<br />
176<br />
Cfr. A. Placanica, I caratteri originali e Calabria in idea, in P. Bevilacqua- A. Placanica (a cura di), La<br />
Calabria, Einaudi, Torino 1985, pp.35-38.<br />
177<br />
Secondo la documentazione raccolta da Giovanni Sole nei primi anni dell’unità d’Italia la mortalità infantile<br />
“rimase eccezionalmente alta”. (G. Sole, Viaggio nella Calabria citeriore dell’800. Pagine di storia sociale, a<br />
cura dell’Amministrazione provinciale di Cosenza, Cosenza 1985, pp.291-307).<br />
178<br />
“le Calabrie poteano dirsi estranee tra loro per assoluto difetto di comunicazione. Il viaggio vi era ad ogni<br />
tratto pieno di disagi e di perigli, e se qualche calabrese affidavasi di affrontarli si disponea a far testamento<br />
tanto n’era incerto il rimpatriare.” (Grimaldi in A. Mozzillo, Viaggiatori stranieri nel sud, Edizioni di<br />
Comunità, Milano 1982, p.47).<br />
179<br />
Per Augusto Placanica “ una congiuntura climatica, un cattivo raccolto – peggio un sia pur breve susseguirsi<br />
di annate magre - metteva senz’altro in ginocchio tutta la base della piramide sociale che inglobava – se pur<br />
con differenze – città e campagna.” (A. Placanica, Nel settecento calabrese: fluttuazioni climatico – produttive<br />
e rapporti di classe, in AA.VV., Civiltà di Calabria. Studi in memoria di Filippo De Nobili, a cura di A.<br />
Placanica, Edizioni Effe Emme, Chiaravalle 1976, p.375).<br />
180<br />
Cfr. A. Placanica, L’Iliade funesta. Storia del terremoto calabro – messinese del 1783, Casa del libro, Roma<br />
1982; A.Placanica, Il filosofo e la catastrofe. Un terremoto del settecento, Einaudi, Torino 1985; G.B. Croce,<br />
Dell’amministrazione della giustizia nel circondario di Rossano. Discorso del dì 13 gennaio 1873, Tipografia<br />
l’Indipendenza, Cosenza 1873, p.13).<br />
181<br />
E. Ciconte, op.cit., p. 67.<br />
182<br />
P. Bevilacqua, Quadri mentali, cultura e rapporti simbolici nella società rurale del Mezzogiorno, “Italia<br />
contemporanea”, 1984, n.154.<br />
45
Questa necessità finisce inevitabilmente con il concretizzarsi,<br />
perlomeno in parte, nell’affiliazione alla ‘ndrangheta, che è<br />
un’organizzazione in grado di offrire contestualmente sia l’auspicata<br />
protezione - ai suoi appartenenti, cui vengono anche garantiti prestigio e<br />
rispetto, ma anche a chi ne rimane fuori e che pagherà una sorta di tassa per<br />
ottenerla – sia – grazie al suo continuo mutuare valori popolari<br />
strumentalmente all’ottenimento di consenso - un vero e proprio<br />
ordinamento giuridico alternativo a quello proposto dallo Stato, che soddisfa<br />
pienamente l’esigenza riferibile alla suggestiva tesi di alcuni studiosi della<br />
cultura folklorica, secondo cui: “le classi subalterne producono un loro<br />
ordinamento giuridico che non coincide con l’ordinamento giuridico dello<br />
Stato nel quale tali classi sono inserite”. 183<br />
Nello Zagnoli a tale proposito ha definito “cultura comune” quella dei<br />
contadini e quella della ‘ndrangheta 184 e per Lombardi Satriani: “la cultura<br />
mafiosa assume i valori folklorici ma li strumentalizza, caricandoli di finalità<br />
ad essi eterogenei[…] il comportamento mafioso […] rinvia ad un articolato<br />
sistema di norme. Questo, a sua volta, fa parte di una organica subcultura”. 185<br />
La capacità della ‘ndrangheta di rappresentare, per i ceti popolari, una<br />
specie di baluardo di istanze ed interessi abitualmente trascurati dallo Stato<br />
ha addirittura assunto in qualche caso contorni al limite dell’irrealtà. Si pensi<br />
solamente a due casi che possono fare sorridere, ma in realtà sono<br />
amaramente rappresentativi del clima di controllo del territorio e delle menti<br />
posto in essere dalla ‘ndrangheta. Il primo si verifica in occasione del<br />
processo nei confronti della ‘ndrina di Maropati, Anoia, Cinquefrondi e<br />
Galatro. Nella sentenza si legge che uno degli affiliati si era associato<br />
“credendo che si trattasse di una società di Mutuo-Soccorso, e poscia, deluso,<br />
non volle più appartenere alla setta”. 186<br />
Il secondo si verifica invece a Cosenza, quando uno degli accusati<br />
dichiara che si era affiliato perché “gli avevano fatto intendere che trattavasi<br />
di entrare in un circolo socialista e che egli così diceva ai compagni per<br />
affiliarli”. 187<br />
183 L.M. Lombadi Satriani, Menzogna e verità nella cultura contadina del Sud, Guida, Napoli 1974, p. 278.<br />
184 Cfr. N. Zagnoli, A proposito di onorata società, in AA.VV., Le ragioni della mafia, cit., p. 69<br />
185 L.M. Lombardi Satriani, Sulla cultura mafiosa e gli immediati dintorni, in AA.VV., Le ragioni della mafia,<br />
cit., p.86.<br />
186 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Adornato Salvatore più 121, Archivio di<br />
Stato di Catanzaro, v. 395, 22 aprile 1902.<br />
187 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Abate Vincenzo più 86, cit.<br />
46
Ciconte ha osservato che alla base di questa ingenuità e di questa<br />
incredibile confusione c’è una distorta interpretazione della ‘ndrangheta che<br />
trae la sua origine dal fatto che essa “è stata vista attraverso la lente<br />
deformante della sua ideologia che aveva tutto l’interesse a far emergere<br />
questi tratti” 188 . In realtà è ampiamente noto che tra i vari reati di cui si resero<br />
colpevoli gli ‘ndranghetisti vi erano anche azioni odiose, che non potevano in<br />
alcun modo fruire della solidarietà della popolazione; per esempio è<br />
disponibile una lunga serie di sentenze nei confronti di affibbiati condannati<br />
per violenza carnale 189 che sottendono un impulso alla violenza fine a se<br />
stessa ed alla mancanza di rispetto nei confronti delle donne che non può che<br />
contrastare con l’immagine che la mafia calabrese ha voluto fornire di se<br />
stessa; “la realtà è diversa dall’immagine. Ma è l’immagine che è prevalsa nel<br />
tempo”. 190<br />
All’indomani dell’unità, nelle menti degli appartenenti alle classi meno<br />
abbienti era radicato un diffuso sentimento di paura mista a profonda<br />
diffidenza nei confronti di qualsiasi forma di rappresentanza del potere<br />
pubblico; fu proprio in quel momento che nacque e poi crebbe una tendenza<br />
all’antistatualismo che era destinata a radicarsi a fondo nella cultura<br />
calabrese. La ‘ndrangheta, astuta e lungimirante, seppe avviare un’opera di<br />
strumentalizzazione di questo sentimento in funzione dei propri fini<br />
delinquenziali così profonda e radicale da essere diffusa ancora ai giorni<br />
nostri.<br />
2.2 Fascismo e Dopoguerra.<br />
Nel paragrafo precedente, si è cercato di analizzare quali siano state le<br />
cause storico-sociali della nascita e dello sviluppo di una fenomenologia<br />
criminale complessa come la mafia calabrese, soffermandosi in particolare sul<br />
188 E. Ciconte, op.cit., p. 76.<br />
189 Si vedano a titolo esemplificativo Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Martino<br />
Vincenzo più 46, cit.; Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Gioffrè Filoreto più 11,<br />
Archivio di Stato di Catanzaro, v. 429, 8 dicembre 1908; Corte di assise di Locri, Sentenza emessa nei<br />
confronti di Macrì Francesco più 141, Archivio di Stato di Catanzaro, b. 4, 6 settembre 1939; Corte d’appello<br />
delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Auteri Felice più 229, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 388,<br />
25 febbraio 1901; Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Costa Giovanni più 10,<br />
Archivio di Stato di Catanzaro, v. 421, 12 luglio 1906; Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei<br />
confronti di Castagna Bruno più 21, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 421, 6 luglio 1906; Corte d’appello di<br />
Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti di Maione Nicola più 68, Archivio di Stato di<br />
Catanzaro, v. 150, 15 dicembre 1896.<br />
190 E. Ciconte, op.cit., p. 87.<br />
47
periodo post-unitario. Considerato che le finalità che si prefigge questo<br />
lavoro non sono prettamente storiche, è possibile a questo punto operare un<br />
salto cronologico sino a tempi più recenti 191 per arrivare così a comprendere<br />
quale sia stato il percorso attraverso il quale questa forma criminale è<br />
pervenuta alle attuali caratteristiche.<br />
Nel capitolo dedicato alla camorra si è visto come, per questa<br />
consorteria, si sia registrata una massiccia repressione statale durante il<br />
periodo del regime fascista che recò notevoli danni alla struttura<br />
organizzativa.<br />
Per quanto riguarda la ‘ndrangheta è invece documentato che,<br />
nonostante gli sforzi del regime, il periodo del ventennio ha rappresentato<br />
non una fase di crisi 192 ma, al contrario, di assestamento delle sue strutture, se<br />
si considera che esso fallì sia nel tentativo di scompaginarne l’organizzazione,<br />
sia in quello di modificare la mentalità di cui si giovava, diffusa nella società<br />
calabrese di quegli anni.<br />
“Il fascismo [...] non riuscì a eliminare i caratteri strutturali, a<br />
modificare i rapporti sociali che stavano a fondamento dello sviluppo<br />
‘ndranghetista. Nè riuscì a incidere sulla mentalità, sulla cultura, sui valori<br />
che [...] costituivano tanta parte della forza d’attrazione della ‘ndrangheta.<br />
L’immaginario collettivo mescolava timore e paura a giudizi positivi, a volte<br />
perfino lusinghieri nei confronti dell’onorata società”. 193<br />
Oltre tutto, l’attività repressiva, proprio per le modalità estremamente<br />
violente con le quali venne intrapresa, non fece altro che acuire il distacco, già<br />
storicamente marcato, tra società ed istituzioni. Certamente alcune ‘ndrine<br />
vennero colpite ma, complessivamente, la ‘ndrangheta continuò ad operare<br />
come prima, anche in funzione di un atteggiamento ambivalente del regime,<br />
che non disdegnava, nonostante la repressione, di tentare di cooptarne i<br />
livelli più alti, vale a dire i capibastone. Ciò allo scopo di stabilire una sorta di<br />
alleanza in funzione persecutoria degli esponenti del movimento operaio e<br />
contadino, che continuavano a rappresentare, agli occhi dei fascisti, il pericolo<br />
più grande. Si osservi a questo proposito quanto affermato da Pasquale<br />
Contartese, sindaco socialista di Rombiolo, a seguito del suo arresto: “i<br />
191 Per una dettagliata analisi del periodo storico che qui si è ritenuto di non approfondire, si rimanda a quella<br />
che è senza dubbio la più completa opera sulla storia della ‘ndrangheta realizzata sino ad oggi che è<br />
‘Ndrangheta dall’Unità ad oggi di Enzo Ciconte. (Cfr. Ivi, pp. 90 – 231).<br />
192 G. Raffaele, Temi e problemi nella letteratura sulla mafia, in AA.VV, Mafia e potere, cit., p.70.<br />
193 E. Ciconte, op.cit., p. 232.<br />
48
protetti sono i signori i quali ci denunciano per associazione a delinquere e<br />
mandano avanti la camorra portando alla miseria i poveri comuni”. 194<br />
Vi fu quindi, da una parte, repressione e, dall’altra, quasi<br />
identificazione tra la realtà mafiosa calabrese e il regime fascista; per un<br />
semplice contadino di Africo: “durante il fascismo i capi si sono accordati”; 195<br />
i “capi” cui si fa riferimento sono ovviamente i vertici ‘ndranghetistici da un<br />
lato e del regime dall’altro.<br />
La ‘ndrangheta, i maggiori rappresentanti del ceto urbano ed i grandi<br />
proprietari terrieri vissero in questi anni una sorta di trasformismo che li<br />
portò a sposare la causa fascista, allo scopo di mantenere immutata la<br />
situazione precedente all’avvento dei movimenti politici popolari 196 ; la<br />
fusione di queste differenti realtà in funzione reazionaria diede luogo ad un<br />
blocco di potere in cui molti esponenti ‘ndranghetistici trovarono spazio.<br />
Ma, aldilà di questa “santa alleanza,” è opportuno ricordare che<br />
almeno sul finire degli anni venti, l’attività repressiva nei confronti della<br />
‘ndrangheta ci fu davvero ed assunse caratteristiche di capillarità, con<br />
l’arresto di moltissimi esponenti e la decapitazione di intere ‘ndrine; il fatto è<br />
che non venne condotta in maniera da garantire frutti duraturi nel tempo, per<br />
esempio con operazioni di educazione alla legalità da realizzare a livello della<br />
società calabrese e soprattutto dei giovani, ma si limitò alla componente<br />
poliziesca, al problema di ordine pubblico 197 , nella assoluta convinzione che<br />
la ‘ndrangheta non fosse l’espressione delinquenziale di una società<br />
intrinsecamente malata, ma una semplice associazione “di malandrini, di<br />
volgari delinquenti dediti al furto, alla grassazione, alla rapina.” 198<br />
Anche la Calabria ha avuto un suo prefetto Mori; si trattò del<br />
maresciallo dei Carabinieri Giuseppe Delfino, un vero e proprio super<br />
investigatore della ‘ndrangheta (che peraltro conosceva molto bene essendo<br />
originario dell’ Aspromonte), passato alla storia con il nome di “massaru<br />
Peppe” per la sua abitudine di ricorrere addirittura ad un travestimento da<br />
pastore per recarsi in montagna a caccia di latitanti. Sulla rettitudine morale<br />
194<br />
A. Carvello, Fascismo e classi contadine in Calabria, in AA.VV., Mezzogiorno e fascismo, Edizioni<br />
scientifiche italiane, Napoli 1978, p.532.<br />
195<br />
C. Stajano, Africo, Einaudi, Torino 1979, p.40.<br />
196<br />
Cfr. A. Carvello, op.cit., p. 527.<br />
197 Peraltro, è sicuramente vero che non rientra tra le caratteristiche della natura del fascismo<br />
l’adozione di politiche di sviluppo ed educazione in zone arretrate e fortemente colpite da fenomeni<br />
delinquenziali.<br />
198 S. Gambino, Mafia. La lunga notte della Calabria, Edizioni quaderni Calabria-oggi, Serra San Bruno 1976,<br />
p.70.<br />
49
del maresciallo Delfino non vi sono dubbi; si pensi che nonostante fosse un<br />
uomo dello Stato, rifiutò l’iscrizione al partito fascista, perdendo così la<br />
possibilità di essere promosso. 199 Tuttavia, se da un lato il maresciallo<br />
perseguitava con tutte le sue forze le varie ‘ndrine, dall’altro è documentato<br />
un suo accordo con il capobastone don Antonio Macrì per evitare che durante<br />
la festa della Madonna di Polsi si verificassero incidenti 200 . L’episodio è<br />
emblematico della profonda ambiguità vissuta dal regime fascista e dai suoi<br />
rappresentanti dinnanzi alla ‘ndrangheta, con i cui vertici si tessono accordi e<br />
contro il cui esercito si combatte.<br />
La dura repressione nei confronti dell’associazionismo politico<br />
popolare, combinata all’oggettivo rafforzamento politico ed economico dei<br />
ceti padronali ed agrari, diede luogo ad una situazione in cui la pressione<br />
esercitata sulle classi meno abbienti divenne insostenibile; per di più, queste<br />
ultime non potevano nemmeno fare ricorso alla valvola di sfogo costituita dai<br />
partiti socialisti e contadini. Il tutto in una cornice politica contraddistinta<br />
dalle storiche ostilità e diffidenze delle popolazioni calabresi nei confronti<br />
dello Stato a cui si era aggiunta la violenza ostentata dal partito fascista nei<br />
confronti dei dissidenti.<br />
“Non c’è da meravigliarsi, dunque, se in molti centri – il fenomeno<br />
ebbe particolari caratteristiche soprattutto nella fascia aspromontana e nella<br />
Jonica reggina – la ‘ndrina rappresentò una forma di organizzazione che<br />
funzionò come un surrogato dell’associazionismo politico vietato dal<br />
fascismo”. 201<br />
Dunque, l’antico antistatualismo, abbinato al recente antifascismo, fece<br />
sì che la ‘ndragheta potesse apparire come l’unica alternativa percorribile per<br />
soddisfare il forte sentimento di riscossa che animava il popolo calabrese.<br />
Ancora una volta essa avrebbe incrementato il numero dei propri adepti,<br />
sfruttando le debolezze di uno Stato che sin dall’ottocento aveva evidenziato<br />
una cronica incapacità di relazionarsi con la società meridionale e la cui<br />
recente deriva totalitaria non aveva fatto altro che aggravare una situazione<br />
già da tempo insostenibile. Se a ciò si aggiunge che i numerosi invii al<br />
domicilio coatto nei confronti degli oppositori del regime - sia che questi<br />
fossero esponenti della sinistra popolare, sia che fossero appartenenti alla<br />
199 Cfr. M. La Cava, Tra i latitanti dell’Aspromonte, “Gazzetta del Popolo”, 30 marzo 1977.<br />
200 Cfr. C. Stajano, Africo, cit., p. 38. Proprio nel cuore dell’Aspromonte sorgeva il santuario della Madonna di<br />
Polsi, luogo ove tradizionalmente si radunavano una volta l’anno i capibastone delle varie ‘ndrine; proprio in<br />
quell’occasione, il tribunale della ‘ndrangheta emetteva le proprie sentenze e dunque, abitualmente, dopo la<br />
festa nei boschi circostanti il santuario si rinvenivano numerosi cadaveri. (Cfr. Ivi, p. 13)<br />
201 E. Ciconte, op.cit., p. 235.<br />
50
‘ndrangheta - determinò quella che Sharo Gambino ha definito “una strana<br />
mescolanza” 202 tra detenuti politici e detenuti comuni, si comprende come al<br />
termine della guerra, alla guida di molte amministrazioni locali calabresi, si<br />
troveranno uomini “che erano passati attraverso l’esperienza<br />
dell’organizzazione ‘ndrangheta”. 203<br />
Sostanzialmente si può affermare che il maggiore danno recato dal<br />
regime alla mafia calabrese fu lo scompaginamento della struttura di alcune<br />
‘ndrine a seguito del massiccio invio di giovani al fronte e del conseguente<br />
indebolimento della base.<br />
Alla fine della guerra, in Calabria si assiste ad un fenomeno analogo a<br />
quello verificatosi nella Sicilia occidentale: “tra il 1943 e il 1945 i mafiosi<br />
furono nominati dal governo militare alleato sindaci di buona parte dei<br />
comuni [...] della provincia di Reggio Calabria”. 204<br />
Il potere esercitato dalla ‘ndrangheta non si era affatto spezzato, anzi la<br />
stessa scelta degli alleati rimarcava la continuità di questa fenomenologia<br />
criminale, rimasta pressoché immutata nella transizione dai governi liberali al<br />
fascismo prima, e da quest’ultimo alla democrazia nel dopoguerra.<br />
Sotto l’aspetto delle attività criminali, la ‘ndrangheta del dopo<br />
liberazione è caratterizzata da una mescolanza di vecchio e nuovo con<br />
l’impegno in una serie di attività commerciali e finanziarie come la borsa nera<br />
ed il contrabbando 205 . Nel 1950, il processo tenutosi presso la Corte d’assise di<br />
Locri nei confronti della ‘ndrina di Siderno permette di prendere contatto con<br />
un classico caso–tipo al fine di comprendere appieno quali siano i connotati<br />
assunti dalla nuova ‘ndrangheta: dagli atti processuali risulta che non<br />
vengono accantonate le vecchie pratiche estorsive nei confronti dei<br />
proprietari di frantoi, si praticano rapine, lesioni, omicidi e furti, questi ultimi<br />
strumentali all’offerta di protezione; le intimidazioni sono all’ordine del<br />
giorno, come i rapporti tra notabili di Locri e Siderno e capibastone; è diffusa<br />
la pratica del monopolio sul collocamento della mano d’opera, mediante<br />
minacce ai datori di lavoro recalcitranti; il boss Antonio Macrì, descritto nella<br />
sentenza come personaggio di rilievo e di tutto rispetto, è talmente potente da<br />
mediare nelle vertenze agrarie tra possidenti e coloni, sostituendosi a tutti gli<br />
effetti ai tribunali. Complessivamente, l’immagine che emerge dalla sentenza<br />
202 S. Gambino, Mafia. La lunga notte della Calabria, cit., p.71.<br />
203 E. Ciconte, op.cit., p. 236.<br />
204 P. Arlacchi, La mafia imprenditrice, cit., p.59.<br />
205 C. Alvaro, I briganti, “Corriere della Sera”, 17 settembre 1955.<br />
51
contro la ‘ndrina di Siderno è quella di un’organizzazione ramificata, potente<br />
che persegue un eterogeneo ventaglio di attività illecite. 206<br />
Gli anni del dopoguerra sono anche quelli in cui la ‘ndrangheta stringe<br />
accordi con i rappresentanti della politica; contrariamente a ciò che accade in<br />
Sicilia però, in Calabria anche i partiti di sinistra, perlomeno inizialmente,<br />
vengono avvicinati dalla malavita. Questo differente atteggiamento tra<br />
‘ndrangheta e Cosa Nostra nei confronti di PSI e PCI è probabilmente<br />
spiegabile con la forte vocazione antifascista assunta da alcune ‘ndrine negli<br />
anni in cui l’associazionismo politico era vietato dal regime e con le<br />
frequentazioni tra ‘ndranghetisti e detenuti politici inviati al confino durante<br />
la repressione. Con il crollo del regime e la nascita di sezioni di partiti di<br />
sinistra in molte zone della Calabria, la ‘ndrangheta visse una sorta di crisi di<br />
legittimità, poichè la sua componente sana, quella composta da antifascisti<br />
che avevano scelto di aderirvi esclusivamente perchè essa rappresentava<br />
l’unica alternativa al regime, decise di abbandonarla per sposare la militanza<br />
politica di sinistra. Se a ciò si aggiunge la storica diffidenza calabrese nei<br />
confronti di Stato, Carabinieri e Polizia e l’avversione delle classi popolari per<br />
i proprietari terrieri, si comprende come il PCI, che nel suo programma<br />
ideologico sintetizzava tutte queste istanze, potesse essere la vera alternativa<br />
all’adesione alle ‘ndrine. Si può dire che la componente della ‘ndrangheta che<br />
rappresentava un potere extralegale in espansione e quindi perseguiva<br />
l’instaurazione di rapporti con un grande partito di governo che avrebbero<br />
permesso la penetrazione nei gangli della politica ad ogni livello, scelse la<br />
Democrazia Cristiana; la parte di essa maggiormente legata al mondo<br />
contadino, alla povertà, alle classi popolari scelse invece la sinistra.<br />
“Gran parte della ‘ndrangheta scelse la Dc e il governo ma una parte, la<br />
“mafia tradizionale”, scelse il Pci”. 207<br />
Come osserva Ciconte: “l’aver mantenuto questi rapporti non fu senza<br />
conseguenze[...] In molte amministrazioni comunali governate dalla sinistra,<br />
nonostante la proclamata estraneità del Pci e del Psi rispetto alla ‘ndrangheta,<br />
le fibbie locali non di rado facevano convergere i loro voti su quegli<br />
amministratori senza che i dirigenti reggini avessero la capacità e la forza di<br />
intervenire in quelle situazioni per porvi rimedio[...]. Una vischiosità di<br />
206 Cfr. Corte di assise di Locri, Sentenza emessa nei confronti di Agostino Giuseppe più 40, Archivio Corte di<br />
appello di Catanzaro. Sezione Penale, 29 dicembre 1950.<br />
207 G. Manfredi, Mafia e società nella fascia ionica della provincia di Reggio Calabria: il “caso” Nicola<br />
D’Agostino, in AA.VV., Mafia e potere, cit, vol. II, p.273.<br />
52
comportamento che indebolì l’azione politica rendendola, in quelle realtà,<br />
fiacca e poco credibile”. 208<br />
La “vischiosità di comportamento” a cui si riferisce Ciconte, trae la sua<br />
origine da una sottovalutazione della ‘ndrangheta, di cui i dirigenti comunisti<br />
furono vittime. Per essi era innanzitutto difficile non tenere conto del suo<br />
essere stata un’organizzazione di solidarietà, di mutuo soccorso, quasi di<br />
autodifesa delle classi popolari; secondariamente, l’opinione diffusa a quel<br />
tempo era che la ‘ndrangheta rivestisse un ruolo di portata decisamente<br />
minore rispetto a quello di Cosa Nostra, 209 e che conseguentemente si potesse<br />
prendere in considerazione l’ipotesi di stringere degli accordi con essa.<br />
La grave ambiguità vissuta dai partiti di sinistra si esaurirà, per il<br />
Partito Comunista, contestualmente alla comprensione della dinamica seguita<br />
dalla ‘ndrangheta nel suo accentuare la propria propensione alla conquista<br />
del potere e conseguentemente nello stringere rapporti organici con la<br />
Democrazia Cristiana e gli agrari. Solo a questo punto il Pci adotterà un<br />
comportamento apertamente ostile alla mafia calabrese, al punto che<br />
qualsiasi esponente coinvolto in inchieste che la riguardino verrà<br />
immediatamente espulso dal partito. 210<br />
Per quanto riguarda il PSI giova ricordare un vivace scontro alla<br />
Camera tra Tambroni e il deputato socialista Rocco Minasi; il Ministro<br />
dell’Interno affermò che durante un processo “uno dei catturati avrebbe<br />
detto: Bisogna votare per i candidati del partito socialista, ma in particolare<br />
per l’onorevole Minasi”. 211<br />
Il processo a cui fa riferimento Tambroni è quello che era stato<br />
celebrato contro la ‘ndrina di Podargoni, durante il quale un imputato aveva<br />
effettivamente testimoniato che “in vista delle politiche del ’53 il capo disse<br />
che avremmo dovuto votare Psi e che ci avrebbe dato tre numeri; infatti il 6<br />
giugno ci diede i numeri di un candidato poi eletto”. 212<br />
La disputa tra Tambroni e Minasi, aldilà dell’asprezza dello scontro<br />
politico - in ossequio al quale ancora oggi non si lesina nel fare ricorso ad<br />
accuse gravissime tra esponenti di maggioranza e opposizione che poi spesso<br />
non trovano riscontri effettivi – getta comunque l’ombra del sospetto in<br />
208 E. Ciconte, op.cit., p. 270.<br />
209 Cfr. J. Meyrat, op.cit., p.308.<br />
210 Si noti che quello comunista è stato l’unico partito ad aver adottato una simile linea di condotta nei confronti<br />
dei propri esponenti accusati di rapporti organici con la mafia.<br />
211 A.P., Camera dei deputati, II legislatura, Intervento dell’on. F. Tambroni, seduta del 6 ottobre 1955, p.<br />
20428.<br />
212 G. Cervigni, Antologia della “fibbia”, “Nord e Sud”, n.18, 1956, p.75.<br />
53
ordine alla effettiva possibilità che anche il PSI fosse entrato a far parte del<br />
gioco delle clientele ‘ndranghetiste.<br />
Per quanto riguarda l’atteggiamento democristiano, si può affermare<br />
che esso non si discosta minimamente da quello tenuto in Sicilia: sfruttare<br />
l’organizzazione militare messa a disposizione dalla criminalità per i propri<br />
fini elettorali. Emblematica a questo riguardo fu la denuncia del deputato<br />
socialista Rocco Minasi, ancora lui, secondo cui il capobastone Vincenzo<br />
Romeo, a Pietrapennata “con il mitra in spalla, faceva la campagna elettorale<br />
in questi termini: “o votate Democrazia Cristiana o vi ammazzo””. 213<br />
La stessa “operazione Marzano,” 214 apparentemente intrapresa con la<br />
ferma volontà dell’allora Ministro dell’Interno Tambroni di porre fine allo<br />
stato di illegalità che contraddistingueva gran parte della Calabria, è stata<br />
interpretata da più parti come una manovra politica, orchestrata dalla DC,<br />
tesa ad indebolire i partiti di destra, e soprattutto il PLI, i quali contavano su<br />
una fitta rete di vecchie clientele che non mancavano di coinvolgere i vertici<br />
213<br />
A.P., Camera dei deputati, II legislatura, Intervento dell’on. R. Minasi, seduta del 4 ottobre 1955, pp. 20190-<br />
94.<br />
214<br />
Nell’estate del 1955, l’allora questore di Reggio Calabria Pietro Sciabica venne sollevato dal suo incarico<br />
direttamente dal ministro Tambroni e sostituito con il giovane questore di Trieste Carmelo Marzano, con il<br />
preciso scopo di fare pulizia dell’ingombrante presenza mafiosa in Calabria. Si è sostenuto che tale improvvisa<br />
decisione scaturì a seguito delle lamentele dell’onorevole Capua, sottosegretario calabrese all’agricoltura del<br />
governo Segni, in relazione ad un episodio che aveva visto protagonista inconsapevole sua moglie, la cui auto<br />
era stata colpita per errore da alcune fucilate.(Cfr. R.S., I banditi sparano per errore contro l’auto del<br />
sottosegretario, “La Nuova Stampa”, 3 settembre 1955). Considerata la reticenza manifestata dalla stessa<br />
signora Capua nel denunciare l’episodio e l’appoggio elettorale da parte della ‘ndrangheta di cui notoriamente<br />
si giovava l’onorevole (Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno Gabinetto, Rapporto del prefetto di Reggio Calabria del 20<br />
settembre 1955, 1953-1956 b.4, fascc. 1066/1-2, Archivio Centrale dello Stato) tale circostanza pare però poco<br />
credibile. Quel che è certo è che il giovane questore si adoperò con grande fermezza, sollevando peraltro non<br />
poche critiche, sia in ordine all’opportunità di mantenere una sorta di stato d’assedio che investiva anche la<br />
popolazione esente da rapporti con la criminalità (Cfr. G. Bocca, Delianova paese del West, “L’Europeo”, a.<br />
XI, n.37, 11 settembre 1955 e C. Alvaro, Operazione Aspromonte. Psicologia della macchia, “L’Espresso”, a.<br />
I, n.1, 2 ottobre 1955), sia nei confronti delle tecniche poco ortodosse di cui si serviva per indurre a costituirsi i<br />
più pericolosi latitanti (le ammonizioni e il confino anche nei confronti dei famigliari degli stessi). All’opera<br />
rinnovatrice di Marzano non si sottrassero nemmeno numerosi funzionari della questura e delle forze<br />
dell’ordine che vennero allontanati dall’incarico perchè palesemente tolleranti nei confronti delle ‘ndrine e<br />
troppo superficiali nella concessione di passaporti e porti d’arma anche a personaggi decisamente equivoci. I<br />
risultati ottenuti dal giovane questore, supportato da un imponente spiegamento di forze, furono comunque<br />
notevoli (Cfr. G. Rospigliosi, Spezzata in Calabria la”spirale della vendetta”, “Il Tempo”, 27 ottobre 1955 e<br />
G. Selvaggi, Clamorose costituzioni di fuorilegge previste nei prossimi giorni in Calabria, “Il Tempo”, 13<br />
settembre 1955) ma non lo salvarono dalla brusca interruzione dell’”operazione Calabria” comunicata da<br />
Tambroni al Senato il 27 ottobre 1955, 54 giorni dopo l’insediamento di Marzano a Reggio, che sollevò non<br />
pochi interrogativi: “Si ha l’impressione insomma che si sia avuto paura di “andare fino in fondo”, secondo<br />
quanto pur aveva promesso il ministro.”( G. Cervigni, op.cit., e G. Cingari, Storia della Calabria dall’unità ad<br />
oggi, Laterza, Roma – Bari 1982, p.367). Non è credibile che Tambroni potesse pensare di avere debellato la<br />
‘ndrangheta in meno di tre mesi; evidentemente le motivazioni sia dell’inizio che della fine dell’”operazione<br />
Marzano” si devono ricercare ad un livello più elevato della semplice repressione poliziesca.<br />
54
‘ndranghetistici 215 . Per esempio, il giornalista Nicola Adelfi in un articolo de<br />
“La Nuova Stampa” sosteneva che la DC avrebbe tratto un vantaggio<br />
elettorale certo dall’indebolimento della ‘ndrangheta, considerato che i vertici<br />
di quest’ultima sostenevano il Partito Liberale 216 . Addirittura secondo Luigi<br />
Locatelli ad essere danneggiati dalla repressione della mafia calabrese non<br />
sarebbero stati solamente i partiti di centro destra, ma anche la corrente<br />
conservatrice della DC calabrese che era in aperto disaccordo con quella<br />
fanfaniana.<br />
“La destra DC era in maggioranza, sostenuta anche dai liberali, dai<br />
monarchici e dai potenti capi della onorata società, con i quali aveva interessi<br />
comuni da difendere e si opponeva alla linea politica del partito[...]<br />
[L’operazione Marzano n.d.r.] permetteva di raggiungere obiettivi più<br />
lontani: colpire, cioè, i capi mafia che organizzavano la campagna elettorale<br />
degli avversari. Solo eliminando questi “proprietari di voti” la corrente<br />
fanfaniana avrebbe potuto vincere alle prossime elezioni amministrative”. 217<br />
Dello stesso avviso sembra essere “l’Unità”, secondo cui l’operazione<br />
Marzano era volta a “politicizzare la ‘ndrangheta, non ad eliminarla” essendo<br />
stata progettata per colpire sia le correnti ostili agli uomini di Fanfani, sia gli<br />
“uomini che hanno rotto con un determinato ambiente”. 218<br />
Si è fatto sin ora ricorso a citazioni di articoli stampa; non esistono<br />
infatti documenti maggiormente probanti in ordine alla teoria che vuole che<br />
l’operazione Marzano sia stata esclusivamente una manovra politica.<br />
215<br />
Nel Rapporto del prefetto di Reggio Calabria del 20 settembre 1955, in riferimento all’onorevole Capua si<br />
legge testualmente: “egli avrebbe conseguito il suo successo politico mediante il sostegno della malavita locale,<br />
soprattutto nella zona aspromontana della quale egli stesso è originario. [...] Che il Capua abbia cercato di<br />
sostenere in passato elementi non qualificati della provincia non è ignoto. Io stesso venni da lui reiteratamente<br />
ed insistentemente premurato verbalmente [...] perchè fosse concessa una patente automobilistica a tale Princi<br />
Pasquale di Delianova, patente che mi rifiutai recisamente di rilasciare per le non favorevoli informazioni che<br />
riferivano essere il Princi favoreggiatore del latitante Macrì: e il Princi è stato ora assegnato al confino [...]<br />
Neanche ora lo stesso Capua ha saputo sottrarsi ai suoi legami con elementi sospetti della provincia, che,<br />
venuto a Reggio il 14 corrente, ha creduto di poter spezzare una lancia presso l’ispettore generale dott.<br />
Marzano [...] in difesa dell’indipendente sindaco di Condofuri dott. Pizzi (notoriamente suo agente elettorale<br />
nella zona ionica) che, sospetto di favoreggiamento nei riguardi del latitante Romeo, veniva da più giorni<br />
sottoposto a pressanti interrogatori.” Lo stesso rapporto si sofferma anche su Giuseppe Porcino segretario<br />
provinciale del PLI a Reggio che avrebbe “precedenti penali poco edificanti”. (Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno<br />
Gabinetto, Rapporto del prefetto di Reggio Calabria del 20 settembre 1955, cit.). Ma non è questo l’unico caso<br />
di collusioni tra partiti di centro destra e ‘ndrangheta, se solo si considera che perfino la stampa nazionale<br />
riferiva del sostegno mafioso ai candidati di quell’area politica (Cfr. N. Adelfi, La legge della vendetta<br />
insanguina ancora l’Aspromonte, “La Nuova Stampa”, 25 settembre 1955.)<br />
216<br />
Ibidem.<br />
217<br />
L. Locatelli, Dietro la caccia ai banditi lotte fra le correnti democristiane, “L’Espresso”, a. I, n.1, 2 ottobre<br />
1955.<br />
218<br />
R. Longone, Il ministro Tambroni e il sottosegretario Capua in disaccordo nel valutare la situazione<br />
esistente nelle province calabresi, “l’Unità”, 10 settembre 1955.<br />
55
Tuttavia, sia alla luce dell’improvvisa ed inspiegabile interruzione<br />
dell’attività repressiva decisa da Tambroni a soli cinquantaquattro giorni dal<br />
suo inizio, sia in virtù del fatto che la DC calabrese stava effettivamente<br />
vivendo una fase di acuto scontro tra le sue correnti interne 219 , sembrerebbe<br />
perlomeno plausibile sostenere tale interpretazione. Ad ulteriore riprova di<br />
ciò, si tenga conto che la corrente della destra democristiana a Reggio<br />
Calabria uscì dall’operazione Marzano effettivamente indebolita, tanto è vero<br />
che, a partire dal 1956, il fanfaniano Vincelli diverrà prima segretario<br />
provinciale, poi segretario regionale ed infine deputato, 220 peraltro dovendo<br />
fare i conti con una sempre fortissima opposizione interna che lo accusava<br />
addirittura di essere stato favorito dal prefetto Leoluca Longo. Sulla figura di<br />
quest’ultimo si sofferma, con toni decisamente critici, il candidato<br />
democristiano Filippo Rizzo “non si fa mistero che, essendo nativo del luogo,<br />
subisca influenze, specie da parte di parenti ed amici della zona di Palmi,<br />
nell’espletamento delle funzioni. A tal proposito si fa anche il nome del<br />
gestore del teatro di Palmi, sig. Sciarrone che è uno dei soggetti più pericolosi<br />
della zona”. 221<br />
Qui siamo già nel 1959 e, volendo credere a Rizzo, il quadro che sembra<br />
emergere non si discosta assolutamente dalla situazione precedente<br />
all’operazione Marzano, se non per i singoli interpreti: protagonista è sempre<br />
la ‘ndrangheta che continua ad avvantaggiarsi dei propri rapporti con il<br />
potere politico, rappresentato adesso dai nuovi democristiani della corrente<br />
di Fanfani, i quali a loro volta svolgono un ruolo di “cerniera” tra i primi e gli<br />
uomini delle istituzioni: “da una parte i rapporti di esponenti di questo<br />
partito con uomini della ‘ndrangheta e dall’altra con gli apparati dello Stato e<br />
con gli uomini che lo rappresentano”. 222<br />
Visti i risultati, pare veramente calzante la definizione coniata da Sharo<br />
Gambino, secondo cui l’operazione Marzano era stata concepita e realizzata<br />
con una funzione di “taglio delle ali”; a sinistra i comunisti che erano caduti<br />
vittime degli arresti e degli invii al confino come volgari delinquenti, a destra<br />
219 Sul quale si sofferma in maniera molto dettagliata un rapporto del prefetto Oscar Moccia (Cfr. <strong>Ministero</strong><br />
dell’Interno Gabinetto, Rapporto del prefetto di Reggio Calabria del giugno 1953, 1953-1956 b.363, fascc.<br />
6995/66, Archivio Centrale dello Stato)<br />
220 Cfr. AA.VV., I deputati e i senatori del terzo parlamento repubblicano, La navicella, Roma 1958.<br />
221 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno Gabinetto, 1957-1960 b.183, fascc. 15101/66, Archivio Centrale dello Stato.<br />
222 E.Ciconte, op.cit., p. 273.<br />
56
i partiti e la corrente conservatrice della DC che storicamente detenevano i<br />
rapporti con gli uomini della ‘ndrangheta. 223<br />
Dunque, un’operazione di polizia in grande stile, apparentemente<br />
concepita per eliminare in radice un fenomeno delinquenziale che cominciava<br />
ad assumere proporzioni preoccupanti, si concluse con un sostanziale<br />
rafforzamento ‘ndranghetistico 224 - considerato che le vere vittime della<br />
repressione furono solamente “pesci piccoli” e non sicuramente i vertici<br />
dell’onorata società - ma ottenne un grande risultato sotto l’aspetto politico,<br />
con un effettivo ribaltone degli equilibri di potere nella regione a favore dei<br />
fanfaniani. A tali effetti se ne deve aggiungere un altro, apparentemente di<br />
minore importanza, ma in realtà pregno di implicazioni future: il grande<br />
clamore suscitato dall’operazione attirò infatti molti giornalisti ed in quei tre<br />
mesi del 1955 la Calabria divenne protagonista, in negativo, delle prime<br />
pagine di molti giornali nazionali. Ben presto una simile attenzione cominciò<br />
a divenire fastidiosa e ad ogni livello della società calabrese cominciò a<br />
svilupparsi un sentimento di forte insofferenza. Si pensi solo all’appassionato<br />
discorso pronunciato dal procuratore della Repubblica di Reggio in occasione<br />
dell’apertura dell’anno giudiziario del 1956, dove si parla di “una campagna<br />
che ha messo la Calabria all’ordine del giorno della delinquenza mondiale.<br />
[...] articoli pieni di triste fantasia, che accapponavano la pelle, di camorra<br />
organizzata, di feste religiose trasformate in riunioni di assassini, di<br />
delinquenza irresistibile che l’ordinaria polizia non era in grado di<br />
fronteggiare. La conseguenza fu che le su non lodate riviste videro aumentare<br />
la loro tiratura, la povera Calabria vide deviate le normali correnti del traffico<br />
ed il suo nome portato in segno di disprezzo sulle bocche di tutti. [...]<br />
Smettiamola, dunque di additare la nobile provincia di Reggio Calabria come<br />
il covo della peggiore delinquenza e tutta la Calabria come terra dei reietti<br />
della società! In Calabria c’è molta miseria, ma anche molta onestà e la<br />
regione – per costume ed onestà di vita – non è seconda a nessun’altra<br />
regione d’Italia. Ripeto che i calabresi non sono delinquenti [...] perciò io ho il<br />
diritto e il dovere, da questo seggio, di proclamare questa verità e di chiedere<br />
223 S. Gambino, La mafia in Calabria, cit., p. 123.<br />
224 In una relazione ministeriale non firmata del 1959 si evidenzia che “gli omicidi si succedevano l’uno<br />
all’altro con un crescendo impressionante. Le manifestazioni delittuose avevano soprattutto per teatro il<br />
capoluogo. Si uccideva in pieno giorno ed al centro cittadino, all’americana, a volte anche impunemente.”<br />
(<strong>Ministero</strong> dell’Interno Gabinetto, 1957-1960, cit.)<br />
57
a tutti, specialmente a coloro che formano la pubblica opinione, che non si<br />
diffami questa terra e non si diffamino questi cittadini”. 225<br />
Queste parole, per quanto condivisibili, sono senza dubbio figlie di una<br />
sorta di riflesso condizionato nei confronti di quella che è interpretata come<br />
un’aggressione esterna che dà luogo ad un rovesciamento delle<br />
responsabilità.<br />
“L’aggressione non proviene dagli ‘ndranghetisti ma dalla stampa, le<br />
offese al buon nome di Reggio e della Calabria non sono inferte dai delitti e<br />
dalle azioni criminali ma dagli articoli dei giornali che descrivevano gli<br />
episodi di violenza. Si provava vergogna non per quello che era successo, ma<br />
perchè quei fatti erano finiti sulla stampa nazionale”. 226<br />
Dunque, con l’operazione Marzano e con tutto ciò che ne è conseguito,<br />
lo storico solco che separava le popolazioni calabresi dal resto del paese si<br />
acuirà ulteriormente, dando luogo al ricorso a meccanismi di autodifesa,<br />
come quello del procuratore di Reggio, inevitabilmente improntati ad una<br />
palese sottovalutazione del danno sociale determinato dalla ‘ndrangheta, che<br />
finirà col divenire una vera e propria copertura della stessa. Un’eredità che<br />
ancora oggi in Calabria è tristemente avvertibile. 227<br />
2.3 Il “momento magico” degli anni sessanta<br />
Con gli anni sessanta, l’atteggiamento delle ‘ndrine è palesemente<br />
orientato ad una profonda compenetrazione con l’economia legale; i rapporti<br />
con la politica, ben lungi dall’essersi interrotti ma al contrario sempre più<br />
saldi 228 , determinano infatti una situazione in cui i capobastone “scaltri e furbi<br />
225<br />
<strong>Ministero</strong> dell’Interno Gabinetto, 1953-1956 b.293, fascc. 5160/23, Archivio Centrale dello Stato.<br />
226<br />
E. Ciconte, op.cit., p. 290.<br />
227<br />
Cfr. N. Dalla Chiesa, Delitto imperfetto, Mondadori, Milano 1984.<br />
228<br />
I rapporti con la politica sono una costante della storia della ‘ndrangheta che da sempre controlla<br />
capillarmente l’elettorato calabrese; per un approfondimento sulla crescita enorme di questo sistema di<br />
corruzione si rimanda a ’Ndrangheta dall’Unità a oggi di Ciconte che dedica un intero capitolo a questa<br />
tematica. (Cfr. E. Ciconte, op.cit., pp.329- 341). Ciò che pare comunque opportuno ricordare è che il modello<br />
in auge negli anni immediatamente successivi la fine della guerra, che prevedeva comunque una sostanziale<br />
dipendenza delle ‘ndrine rispetto agli esponenti politici, nel periodo tra la fine degli anni settanta e l’inizio del<br />
nuovo decennio si è ribaltato a favore delle cosche. A questo proposito il giudice Saverio Mannino, nel 1983 ha<br />
osservato: “la mafia ormai da tempo non si limita più a convogliare consensi elettorali verso gli uomini politici,<br />
ma elegge direttamente propri rappresentanti negli organi elettivi” (S. Mannino, La strage di Razzà, prefazione<br />
di L. Malafarina, Dimensione 80, Roma 1983, p.18). Si noti inoltre che tale compenetrazione politica non fu<br />
58
non intaccano apertamente il codice penale. Si interessano così delle più<br />
svariate attività, oneste in apparenza, come la mediazione nel commercio<br />
degli agrumi.[...] nessun altro concorrente deve commerciare nelle zone di<br />
rispetto [...] E’ evidente che così operando i capimafia godono di un<br />
superguadagno”. 229<br />
Inevitabile che gli equilibri economici della regione, alla luce di queste<br />
pesanti interferenze, vengano sconvolti; sono anni in cui la politica dello Stato<br />
nei confronti del mezzogiorno è orientata al massiccio trasferimento di fondi,<br />
che dovrebbero essere impiegati per lo sviluppo di realtà oggettivamente<br />
arretrate ed in notevole difficoltà nella competizione di mercato, ma che<br />
finiscono inevitabilmente, in Calabria come in Sicilia, nelle mani della grande<br />
criminalità che controlla i centri di potere incaricati di vigilare sull’utilizzo<br />
del denaro pubblico. Emblematico a questo riguardo il caso della cosiddetta<br />
“integrazione dell’olio”, con il 20% delle somme erogate a sostegno di questo<br />
settore intascate direttamente dalle ‘ndrine 230 ed un mercato olivicolo<br />
totalmente monopolizzato dai “Mammoliti e i Rugolo di Castellace, i quali,<br />
ad ogni stagione olearia (dopo aver impiantato con illeciti profitti imponenti<br />
oleifici), incettano a prezzo vile il prodotto degli uliveti o, in caso di rifiuto,<br />
“sconsigliano” ogni altro aspirante acquirente dal concludere contratti con le<br />
vittime”. 231<br />
Qui emergono chiaramente le due attività delinquenziali preferite dalla<br />
‘ndrangheta: sottrazione illecita di fondi statali irrogati per lo sviluppo del<br />
sud e totale controllo del mercato mediante l’erosione delle posizioni dei<br />
concorrenti con minacce e intimidazioni.<br />
Ma il vero business di questi anni è anche in Calabria l’edilizia con<br />
enormi modificazioni nel panorama degli insediamenti urbani; la costa jonica,<br />
sia nella parte reggina sia nella parte catanzarese, subirà consistenti<br />
modificazioni strutturali che daranno luogo all’abbandono degli antichi centri<br />
urbani ubicati sulle colline a vantaggio di un repentino sviluppo degli<br />
insediamenti abitativi nelle marine 232 . E’ praticamente sottinteso che di questa<br />
rivolta nei confronti di un unico partito, come avvenne in Sicilia, ma coinvolse pressoché tutti i partiti dell’area<br />
di governo, con l’eccezione del solo PCI che, come prima osservato, aveva assunto un atteggiamento di totale<br />
chiusura nei confronti dei tentativi di infiltrazione.<br />
229<br />
<strong>Ministero</strong> dell’Interno Gabinetto, 1957-1960, cit.<br />
230<br />
Cfr. F. Rosso, Ora c’è la mafia delle autostrade, “La Stampa”, 3 marzo 1970.<br />
231<br />
Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di rinvio a giudizio contro De Stefano Paolo più 59, Reggio<br />
Calabria 1978, p. 286.<br />
232<br />
Cfr. R. Monheim, La decadenza dei centri di antica origine e lo sviluppo delle marine ioniche tra il 1861 e<br />
il 1961, in AA.VV. , Territorio e società. Calabria 1750-1950, Lerici, Roma 1978, pp. 79 - 109.<br />
59
crescita i primi ad avvantaggiarsi saranno gli impresari edili collegati alla<br />
‘ndrangheta.<br />
Inoltre, gli anni sessanta e settanta sono contraddistinti da una notevole<br />
propensione dello Stato alla realizzazione di grandi opere pubbliche, come il<br />
completamento dell’autostrada del Sole nel tratto tra Salerno e Reggio<br />
Calabria, il raddoppio della linea ferroviaria Napoli-Reggio Calabria, la<br />
realizzazione dell’arteria di collegamento tra la costa jonica e quella tirrenica,<br />
i lavori aeroportuali ed industriali di Lamezia Terme, la costruzione del<br />
quinto centro siderurgico a Gioia Tauro. Purtroppo tali opere, concepite per<br />
“rompere l’isolamento della regione, per collegare la Calabria al resto del<br />
paese e per dare slancio allo sviluppo economico” 233 finiranno per<br />
rappresentare un boccone prelibato per le ‘ndrine che si inseriranno<br />
capillarmente sia nei lavori di costruzione che in tutte le attività ad essi<br />
collegate, come la vigilanza dei cantieri o i servizi di trasporto, pervenendo al<br />
doppio risultato di realizzare ingenti guadagni e di fornire una<br />
impressionante dimostrazione di forza all’opinione pubblica. Le grandi opere<br />
pubbliche calabresi hanno a tutti gli effetti impresso un nuovo ritmo, più<br />
accelerato, allo sviluppo delle cosche. 234<br />
233 E. Ciconte, op.cit., p.299.<br />
234 Cfr. A Madeo, Calabria: l’industria della mafia, “Corriere della Sera”, 14 maggio 1970. Peculiari le<br />
modalità di infiltrazione della ‘ndrangheta nei subappalti delle grandi opere; tutte le risultanze dimostrano<br />
infatti che le ditte del nord vincitrici delle gare d’appalto nazionali “non furono avvicinate, ma avvicinarono<br />
direttamente di loro spontanea iniziativa, i capibastone e con loro trattarono” (E. Ciconte, op.cit., p. 300).<br />
Secondo l’allora questore di Reggio, Emilio Santillo, le imprese del nord “prima di iniziare le opere, si<br />
rivolgono agli esponenti mafiosi delle zone in cui sono ubicati i cantieri” ( L. Malafarina, Il canto della lupara,<br />
Edizioni parallelo 38, Reggio Calabria 1981, p. 61) in conformità ad una sorta di “capitolazione in partenza”<br />
(P. Paoli, Le mani sulla Calabria, “Il resto del Carlino”, 22 ottobre 1977) che dotò le ‘ndrine di una forza<br />
enorme. Enzo Ciconte ha schematizzato le tappe obbligate nel processo di inserimento: “contatti preventivi con<br />
la cosca locale ancor prima dell’installazione dei cantieri e pagamento della mazzetta in cambio di protezione;<br />
successiva assunzione di ‘ndranghetisti come guardiani; infine, subappalto dei lavori di sbancamento e di<br />
trasporto del materiale inerte, nonchè forniture di materiale di varia natura, a cominciare dal pietrisco e dalla<br />
sabbia” (E. Ciconte, op.cit., pp. 300-301). Inoltre, ben presto le imprese appaltanti presero coscienza del costo<br />
d’impresa costituito dall’infiltrazione mafiosa, dando così luogo a continue richieste allo Stato della revisione<br />
dei compensi concordati in sede di gara. Osservava ancora Santillo “E’ una situazione paradossale. Le imprese<br />
non terminano mai i lavori nel tempo previsto ed accusano la mafia di ritardarli. In realtà c’è una specie di<br />
collusione, per cui grazie ai ritardi le imprese riescono ad ottenere altri milioni dalle perizie suppletive.” (F.<br />
Rosso, op.cit.). Il commissario Franco Sirleo era addirittura arrivato ad osservare che ormai “ è stata<br />
istituzionalizzata la lievitazione del circa quindici per cento per tangente pro – mafia per tutti i lavori dello<br />
Stato e degli enti pubblici nella provincia reggina” (L. Malafarina, ‘Ndrangheta alla sbarra, Dimensione 80,<br />
Roma 1981, p.184). E’ comunque noto che questo gioco perverso era ampiamente conosciuto dagli organi<br />
statali che gestivano i fondi che però si adeguavano ad un circolo vizioso che accontentava le ‘ndrine, le quali<br />
guadagnavano il denaro delle tangenti ed eseguivano i subappalti, e le imprese, che incassavano i fondi<br />
aggiuntivi, risparmiavano sulla manodopera, anch’essa soggetta al giogo mafioso, e soprattutto portavano a<br />
termine i lavori senza incidenti. Per un approfondimento sul modus operandi seguito dalle imprese appaltatrici,<br />
si rimanda all’approfondita ed interessante analisi realizzata da Rocco Sciarrone in ordine alla sconcertante<br />
vicenda della Piana di Gioia Tauro, dove si tentò di realizzare prima il quinto centro siderurgico italiano, poi,<br />
60
Per Alfonso Madeo, gli anni sessanta hanno rappresentato per la<br />
‘ndrangheta il “momento magico” 235 di una crescita che nel decennio<br />
successivo avrebbe permesso l’ulteriore salto di qualità al rango di “mafia<br />
imprenditrice” 236 , per la realizzazione di quello che Tuccio ha definito “il<br />
nuovo volto della mafia”. 237<br />
Infatti, oltre all’edilizia e alle opere pubbliche, attorno al 1965 si<br />
presentò un nuovo interessante business, quello del contrabbando di tabacchi,<br />
a seguito di un’efficace azione della Guardia di Finanza che aveva reso<br />
insicure le coste siciliane, tradizionali aree di sbarco. Inevitabile lo<br />
spostamento delle rotte sulle coste calabresi, in particolare sullo Jonio a<br />
Crotone, nella Locride e a Gioiosa Jonica e sul Tirreno a Lamezia Terme. 238 Lo<br />
sviluppo di questa attività criminosa fu tale che agli inizi del decennio<br />
successivo sembrava addirittura che la ‘ndrangheta si fosse resa autonoma<br />
dalla mafia siciliana. 239 L’attività di enterprise syndicate costituita dal<br />
contrabbando prima e dal traffico di stupefacenti poi, anche se almeno<br />
inizialmente ridotta ad un semplice ruolo di servizio nei confronti della più<br />
potente mafia siciliana, proiettò la ‘ndrangheta al di fuori dei propri confini<br />
tradizionali; le conferì una nuova dimensione, più complessa e pericolosa,<br />
grazie agli stretti rapporti intrattenuti con esponenti di Cosa Nostra e della<br />
camorra, con la quale, durante la seconda metà degli anni settanta, si<br />
realizzerà l’ambizioso progetto della NCO di Raffaele Cutolo, di cui si è<br />
fornita un’ampia analisi in precedenza.<br />
“Fu nel 1974, nel manicomio giudiziario di Sant’Eframo che Cutolo<br />
pensò “di fondare una nova camorra che ha organizzato sul modello della<br />
‘ndrangheta calabrese”, assimilandone il sistema e il rituale”. 240<br />
una grande centrale termoelettrica a carbone ed infine, con lo scopo di non lasciare inutilizzato il grande porto<br />
industriale a suo tempo pensato come infrastruttura per il quinto centro siderurgico, il maggiore polo del<br />
Mediterraneo nell’attività di transhipment. I primi due progetti sono stati abbandonati proprio a seguito della<br />
insostenibile presenza ‘ndranghetista e dell’appurata collusione con le ditte titolari degli appalti, mentre il terzo,<br />
partito nel 1994, pare funzionare, grazie alla politica di estremo rigore e di esecuzione di tutti i lavori in totale<br />
autonomia, proprio per evitare l’infiltrazione, adottata dalla Contship Italia, gruppo concessionario dell’area<br />
portuale. (Cfr. R. Sciarrone, op.cit., pp. 53 – 63).<br />
235<br />
A. Madeo, Nasce la mafia dalle scarpe lucide, “Corriere della Sera”, 16 luglio 1974.<br />
236<br />
Cfr. P. Arlacchi, La mafia imprenditrice, cit.<br />
237<br />
G. Tuccio, Esperienze giudiziarie, con particolare riguardo alla valutazione delle prove, in C.S.M.,<br />
Riflessioni ed esperienze del fenomeno mafioso, Jasillo, Roma 1983, p.113.<br />
238<br />
C. Cavaliere, Una tranquilla città, prefazione di S. Di Bella, La Modernissima, Lamezia Terme 1989, p. 50.<br />
239<br />
Cfr. A. Madeo, Nasce la mafia dalle scarpe lucide, cit.<br />
240<br />
V. Macrì – A. Lombardo, Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza sentenza contro Albanese Mario più<br />
190, 1988, p.187, il corsivo è mio.<br />
61
Ma il ventaglio di interessi della ‘ndrangheta non si fermava qui; si<br />
pensi solamente alla compenetrazione capillare nel settore dei forestali,<br />
gestito dalla Regione Calabria, e particolarmente permeabile all’infiltrazione<br />
mafiosa 241 sia a livello gestionale che nella formazione delle squadre di<br />
operai, spesso costituite in grande maggioranza da diffidati dalla polizia, 242 a<br />
riprova del fatto che la ‘ndrangheta ha sempre palesato una notevole<br />
propensione al controllo del mercato del lavoro. 243<br />
Da non sottovalutare inoltre un settore fondamentale dell’economia<br />
calabrese: l’agricoltura che viene controllata dal basso, con il caporalato della<br />
manodopera, e dall’alto con una vera e propria trasformazione in proprietari<br />
terrieri di alcuni tra i più noti capibastone che però, si noti bene, non sempre<br />
avviene a seguito di una regolare compravendita, ma è invece frutto di<br />
un’appropriazione “ nei fatti di quella terra, con una sorta di innovazione<br />
autoritaria dei negozi giuridici: la loro diventò una proprietà senza titolo.” 244<br />
Ma l’aspetto più grave di questi anni è l’infiltrazione ‘ndranghetistica<br />
ad ogni livello del mondo legale calabrese che darà luogo a quella che<br />
Ciconte ha definito “omertà dall’alto”: “si può parlare di “omertà dall’alto”,<br />
altrettanto se non più importante di quella dal basso. Sulla scena troviamo, in<br />
primo piano, altri protagonisti: sono sempre di più le classi dirigenti,<br />
professionisti, gruppi e ceti sociali che con la ‘ndrangheta ricavano<br />
cointeressenze economiche e di potere. Sono banche, enti pubblici nazionali e<br />
regionali, uomini politici di governo – sindaci o notabili nazionali – a volte<br />
esponenti della Chiesa altre volte della magistratura o delle forze dell’ordine.<br />
E’ questa enorme rete di protezione che ha permesso uno sviluppo della<br />
‘ndrangheta così esteso[...] Si procedette per gradi, ma tutti i gangli vitali<br />
furono avvinghiati in questa rete”. 245<br />
A questo impressionante sviluppo a livello di società, corrisponde<br />
anche un’espansione geografica della mafia calabrese; ultimato il<br />
241 G. Manfredi, I forestali, “Calabria”, nn.41-42, settembre – ottobre 1988.<br />
242 Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di rinvio a giudizio contro De Stefano Paolo più 59, cit., p. 30.<br />
243 Circostanza riscontrabile anche al di fuori dell’ambito strettamente regionale; secondo la ricerca di Rocco<br />
Sciarrone sull’infiltrazione ‘ndrnghetistica in Val di Susa, in Piemonte “la via principale attraverso cui si<br />
afferma il loro potere è appunto il controllo del mercato del lavoro locale. In questo modo essi divengono<br />
imprenditori della protezione: possono dare e togliere lavoro, questo controllo è la loro risorsa principale, e non<br />
è poco”. (R. Sciarrone, op.cit., p. 257).<br />
244 A. Spinosa (a cura di), L.M. Lombardi Satriani, G. Mancini, L. Villari, ‘Ndrangheta la mafia calabrese,<br />
Cappelli, Bologna 1978, p. 20.<br />
245 E. Ciconte, op.cit., p. 307.<br />
62
consolidamento nella provincia di Reggio, 246 le ‘ndrine si affermarono nelle<br />
zone di Catanzaro, Crotone, Lamezia Terme, Vibo Valentia, Soverato e nei<br />
comuni del basso Jonio, per poi colonizzare, più recentemente, Cosenza e<br />
tutto il Tirreno cosentino. 247<br />
La storia di questi anni è anche una storia di aspri scontri nell’universo<br />
‘ndranghetistico; le nuove frontiere del guadagno offerte dagli stupefacenti,<br />
dai sequestri di persona 248 , dai grandi appalti hanno l’effetto di creare una<br />
nuova classe di giovani affibbiati che “tendevano a forzare le cautele e i tempi<br />
lunghi imposti da quei vecchi capibastone il cui prestigio si era affermato e<br />
consolidato nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta”. 249<br />
In maniera analoga a quanto successo in Sicilia nel feroce contrasto tra<br />
il giovane Luciano Liggio ed il vecchio boss Michele Navarra, anche in<br />
Calabria si assiste ad una dialettica di scontro generazionale che determina il<br />
fronteggiarsi delle nuove leve e della vecchia ‘ndrangheta “notabiliare”.<br />
Emblematiche a questo proposito le parole dell’anziano capobastone<br />
Vincenzo Romeo: “i giovani non ci rispettano più. Vogliono guadagnare<br />
subito e molto. Non gradiscono fare anticamera”. 250<br />
Nicola Tranfaglia ha osservato: “l’accelerazione degli affari legata al<br />
boom italiano degli anni Sessanta produce necessariamente una lotta per il<br />
246<br />
A.P. Camera dei deputati, X legislatura, Intervento dell’on. G. Lavorato, seduta del 12 ottobre 1987, pp.<br />
3411-15.<br />
247<br />
E. Ciconte, op.cit., pp. 313-314.<br />
248<br />
E’ questa un’attività illecita decisamente originale; la camorra non se ne è mai occupata e Cosa Nostra, a<br />
parte il periodo della “ricostruzione” dopo la prima guerra di mafia, vi ha fatto raramente ricorso. La<br />
‘ndrangheta ne ha fatto invece un ulteriore fonte di potenza e arricchimento strumentale all’acquisto di “mezzi<br />
di trasporto, pale meccaniche, strutture per impiantare e creare società nel settore dell’edilizia privata” (E.<br />
Ciconte, op.cit., p. 326). Si è trattato di un’attività illecita foriera di un enorme allarme sociale, esercitata in<br />
Calabria ma anche nel Centro-nord, che ha raggiunto proporzioni enormi con ben 620 sequestri effettuati nel<br />
periodo dall’ 1-1-69 al 23-6-89 (Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Sequestri di persona a scopo di estorsione, Roma<br />
1989) anche in virtù delle modalità di esecuzione che prevedevano che l’azione materiale del sequestro venisse<br />
eseguita da una banda operante nella zona ove risiedeva la vittima e poi il periodo di “carcerazione” venisse<br />
invece gestito dalle ‘ndrine “professioniste” direttamente in Calabria, con una vera e propria attività di<br />
compravendita del sequestrato, che veniva passato da banda a banda dietro un compenso in denaro. Ci si è<br />
domandati per quale motivo la criminalità calabrese abbia insistito così a lungo su questa attività delinquenziale<br />
che, rispetto ad altre, è meno remunerativa e ben più pericolosa. Secondo la relazione di minoranza del gennaio<br />
1990 della Commissione antimafia “le ragioni sono certamente più di una. Sul mercato del sequestro entra chi<br />
non può o non sa svolgere altro lavoro criminale. Latitanti pericolosi o persone che pur non disdegnando<br />
l’affare non intendono lasciare la loro attività tradizionale. E’ il caso dei pastori che possono<br />
contemporaneamente guardare le mandrie e custodire un ostaggio.”(Cfr. Commissione Parlamentare sul<br />
fenomeno della mafia (legge 13 settembre 1982, n.646, art.32), Relazione di minoranza del 24 gennaio 1990,<br />
(relatore on. L. Violante), Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, X legislatura, Roma 1990).<br />
249<br />
E. Ciconte, op.cit., p. 318.<br />
250<br />
L. Malafarina, La ‘ndrangheta. Il codice segreto, la storia, i miti, i riti e i personaggi, cit., p. 202.<br />
63
potere anche all’interno dell’organizzazione mafiosa che sfocia in omicidi a<br />
ripetizione, vere e proprie stragi e azioni clamorose”. 251<br />
Questa riflessione ha trovato applicazione in Sicilia con le due guerre di<br />
mafia, in Campania con l’aspro scontro tra NCO e Nuova Famiglia ed anche<br />
in Calabria 252 , dove però, proprio in funzione della particolare struttura<br />
organizzativa che prevede una totale autonomia delle singole ‘ndrine, la lotta<br />
non si limitò a coinvolgere due schieramenti contrapposti, che potremmo<br />
definire il vecchio ed il nuovo, ma si manifestò come uno scontro<br />
continuativo e di inaudita ferocia tra i vari clan. Ciò determinò una situazione<br />
in cui quelli che di volta in volta uscivano vincenti, “si guardarono bene dal<br />
far terra bruciata rispetto al passato. Aggiornarono metodi e tecniche,<br />
sostituirono il coltello – antica arma “nobile” degli ‘ndranghetisti – con il<br />
tritolo e con le armi più sofisticate, si specializzarono nei sequestri di persona<br />
e si diedero al traffico di droga e delle armi – che tante perplessità avevano<br />
provocato nei vecchi capibastone -, ma l’impianto complessivo della struttura<br />
d’elite dell’organizzazione, i valori, le finalità, la cultura, le gerarchie di<br />
comando e i relativi gradi, le affiliazioni, i rapporti familiari e parentali non<br />
furono considerati come anticaglie del passato. Vecchio e nuovo andarono a<br />
braccetto”. 253<br />
2.4 Colonizzazione<br />
La ‘ndrangheta ha dimostrato di avere una forte propensione<br />
all’espansione della propria struttura anche al di fuori dalla tradizionale area<br />
calabrese. Questo è un processo che ha egualmente riguardato sia alcune<br />
251 N. Tranfaglia, La mafia come metodo, “Alfabeta”, n.42, 1982.<br />
252 La vera causa scatenante è in tutti e tre i casi il controllo del mercato illecito in assoluto più remunerativo,<br />
vale a dire il traffico di droga. Si noti che le notevoli analogie riscontrate tra ‘ndrangheta e Cosa Nostra,<br />
arrivano ad estendersi anche all’ipotesi di creare un organismo di coordinamento in Calabria analogo alla<br />
Commissione siciliana. Durante una riunione a Montalto tra i capibastone, Giuseppe Zappia disse: “qui non c’è<br />
‘ndrangheta di Mico Tripodo, non c’è ‘ndrangheta di ‘Ntoni Macrì, non c’è ‘ndrangheta di Peppe Nirta! Si deve<br />
essere tutti uniti, chi vuole stare sta e chi non vuole se ne va!” (G. Marino, La mafia a Montalto, sentenza 2<br />
ottobre 1970 del Tribunale di Locri, “La voce di Calabria”, Reggio Calabria 1971, p.27). E’ questa una<br />
proposta molto moderna, soprattutto in funzione dell’organizzazione calabrese che, come detto, è caratterizzata<br />
dalla grande autonomia delle singole ‘ndrine. Non ottenne però il risultato sperato, considerato che di<br />
un’unificazione totale della ‘ndrangheta non risulta esservi alcuna traccia; alpiù si è fatto ricorso a federazioni<br />
temporanee, sul modello delle esperienze camorriste, atte alla realizzazione di un determinato affare ma poi<br />
destinate a sciogliersi alla sua conclusione.<br />
253 E. Ciconte, op.cit., pp. 324-325.<br />
64
zone italiane, sia paesi esteri come gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia.<br />
L’impressione che emerge è che seguendo la direzione dei flussi migratori la<br />
‘ndrangheta sia riuscita, nel tempo, a ritagliarsi delle nicchie anche nelle<br />
regioni italiane e nei paesi esteri di destinazione degli emigranti.<br />
Numerose ‘ndrine, a partire dagli anni settanta, si sono trasferite<br />
stabilmente nel Centro–nord; secondo il giudice Saverio Mannino è possibile<br />
tracciare una mappa di questa espansione, che vede i Raso di Taurianova a<br />
Pomezia, i Gullace di Taurianova in Liguria, i Cosentino di Cittanova a<br />
Perugia, i Copelli di Gioia Tauro a Torino, i Facchineri di Cittanova a Genova,<br />
i D’Agostino di Canolo e gli Avignone a Roma. 254<br />
Nel 1985, anche la Commissione parlamentare antimafia si è soffermata<br />
sulla strategia espansiva posta in essere dalla ‘ndrangheta rilevando che<br />
all’epoca essa era presente in Liguria con un’attività delinquenziale<br />
prevalentemente incentrata sul riciclaggio, in Lombardia con i sequestri di<br />
persona e il traffico di droga, nel Lazio con il riciclaggio, le estorsioni, i<br />
sequestri e gli stupefacenti ed in Piemonte con attività analoghe.<br />
Il Piemonte costituisce un interessante caso-studio per comprendere i<br />
meccanismi di colonizzazione ‘ndranghetistica 255 , anche in considerazione del<br />
fatto che gli appartengono due tristi primati: innanzitutto l’essere stata la<br />
prima regione ad insediamento “non tradizionale” ove si sia verificato<br />
l’omicidio di un magistrato attivamente impegnato sul fronte della lotta alla<br />
mafia: il procuratore della Repubblica di Torino Bruno Caccia, ucciso nel<br />
maggio 1983 su mandato delle cosche calabresi ivi operanti; 256<br />
secondariamente, nel maggio 1995, il primo comune settentrionale ad essere<br />
stato soggetto ad un provvedimento di scioglimento del consiglio comunale<br />
per infiltrazione mafiosa è stato il comune di Bardonecchia, noto centro<br />
turistico della provincia di Torino. 257<br />
Il Piemonte è la regione italiana, ovviamente ad esclusione della<br />
Calabria, dove la ‘ndrangheta ha potuto realizzare le proprie attività<br />
254<br />
R. Chinnici – S. Mannino, La mafia oggi e la sua collocazione nel più vasto fenomeno della criminalità<br />
organizzata, in C.S.M, 1983, op.cit., p.29.<br />
255<br />
Per cui si rimanda all’approfondita analisi operata da R. Sciarrone nel suo Mafie vecchie mafie nuove. (Cfr.<br />
R. Sciarrone, op.cit., pp. 207-291).<br />
256<br />
Cfr. Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre 1982, n.646, art.32),<br />
Audizione del ministro dell’Interno on. O.L. Scalfaro, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, IX<br />
legislatura, seduta del 30 luglio 1985, Roma 1990<br />
257<br />
Cfr. Prefettura di Torino, Relazione riepilogativa degli accertamenti espletati presso il Comune di<br />
Bardonecchia in esecuzione dell’incarico conferito dal Prefetto della Provincia di Torino con decreto n.<br />
9400058/gab. datato 23.1.95, Torino 1995.<br />
65
criminose con maggiore profitto; inizialmente la presenza ‘ndranghetistica si<br />
è fatta sentire con i sequestri di persona, con ben trentasette rapimenti dal<br />
1973 al 1984. 258 Poi, con il boom del traffico di stupefacenti degli anni ottanta,<br />
l’attenzione dei gruppi criminali calabresi si è spostata in tale direzione. 259 La<br />
diffusione della ‘ndrangheta nel contesto piemontese assume una<br />
conformazione a macchia di leopardo, con ampie zone totalmente esenti dalla<br />
sua influenza, altre dove non si riscontra un vero e proprio radicamento<br />
stabile, ma una semplice presenza di elementi di raccordo con sodalizi<br />
riferibili alle zone di origine e che saltuariamente forniscono un’attività di<br />
assistenza ad alcuni traffici illeciti, senza per questo assumere pienamente le<br />
caratteristiche tradizionali, ed altre ancora dove si configura invece un vero e<br />
proprio controllo del territorio, paragonabile per alcuni aspetti all’esperienza<br />
‘ndranghetistica in Calabria; particolarmente grave la situazione nel Verbano-<br />
Cusio-Ossola, in Valle di Susa, nel Canavese e in alcune zone dell’area<br />
metropolitana torinese 260 .<br />
Secondo la Commissione Parlamentare antimafia le principali attività<br />
criminose della ‘ndrangheta in Piemonte sono il traffico di droga, le<br />
estorsioni, il “totonero” e l’usura e sono documentati suoi tentativi di<br />
inserimento in amministrazioni pubbliche allo scopo di pervenire al controllo<br />
dei lavori pubblici. Anche se vengono fermamente esclusi veri e propri<br />
collegamenti organici tra criminalità e politica locale, sono tuttavia da<br />
registrare alcuni episodi isolati, riferibili alla Val d’Ossola e alla Val di Susa,<br />
che segnalano una tendenza preoccupante all’infiltrazione, soprattutto in<br />
considerazione delle profonde differenze sociali e culturali che caratterizzano<br />
comuni piemontesi e calabresi. 261<br />
Sotto l’aspetto economico non risultano infiltrazioni nell’industria, con<br />
la sola eccezione dell’edilizia, ma piuttosto ad attirare la ‘ndrangheta<br />
sembrano essere attività legate al terziario, con un elevato numero di società<br />
fiduciarie e finanziarie, nate soprattutto negli ultimi anni, che potrebbero<br />
258<br />
Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 207.<br />
259<br />
Cfr. S. Sorbello, Presenza mafiosa in Piemonte, azione preventiva e repressiva, in Consiglio Regionale del<br />
Piemonte 1982, Torino 1983.<br />
260<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Punto di situazione della criminalità organizzata in Piemonte, in<br />
Archivio della Commissione Parlamentare antimafia, XI legislatura, doc. 1098, Roma 1993.<br />
261<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di<br />
stampo mafioso in aree non tradizionali. Schede allegate delle singole regioni, A.P., Camera dei Deputati-<br />
Senato della Repubblica, XI legislatura, Roma 1994, pp. 196, 201-202.<br />
66
appresentare un ottimo modo di realizzare il riciclaggio di denaro sporco. 262<br />
Inoltre: “la vera presenza mafiosa nella regione Piemonte è, certamente,<br />
quella del terzo livello, quella cioè che ricicla, e reinveste i grandi guadagni<br />
provenienti principalmente dal traffico e dallo spaccio di stupefacenti. A<br />
Torino l’attività delle famiglie mafiose consiste nell’acquisto di esercizi<br />
pubblici sull’orlo del fallimento spesso pagando un prezzo<br />
considerevolmente superiore al valore di mercato. I dati relativi agli anni<br />
1991-1992 indicano l’inserimento di personaggi legati ad ambienti mafiosi in<br />
55 esercizi pubblici bene identificabili nella loro tipologia (bar, night club, sala<br />
giochi, discoteca, sartoria, abbigliamento, rivendita di bibite,<br />
assicurazioni)”. 263<br />
In ordine all’analisi delle cause che hanno determinato la diffusione<br />
della ‘ndrangheta in Piemonte, secondo Rocco Sciarrone, che ha<br />
dettagliatamente sviscerato questa tematica, sembrano preponderanti “le tesi<br />
riconducibili alla “metafora del contagio”, vale a dire l’insorgenza della mafia<br />
come conseguenza inattesa di fatti demografici. A parte il ruolo esercitato dal<br />
soggiorno obbligato, è infatti da considerare la presenza di un forte nucleo di<br />
immigrati provenienti dalle aree di tradizionale insediamento mafioso. [...]<br />
Tra le regioni del Centro-Nord, il Piemonte presentava la percentuale più alta<br />
(quasi il 10%), rispetto alla popolazione residente, di individui nati nelle<br />
regioni meridionali di tradizione mafiosa. Lo sviluppo industriale,<br />
soprattutto nell’area metropolitana, e la forte espansione urbanistica, in<br />
particolare nelle località montane di richiamo turistico, hanno attirato, negli<br />
anni cinquanta e sessanta, oltre a centinaia di migliaia di immigrati, anche le<br />
organizzazioni mafiose che hanno trovato favorevoli opportunità per<br />
estendere i traffici illeciti”. 264<br />
A questo proposito è da rilevare che quegli immigrati che hanno<br />
trovato spazio nella grande industria hanno potuto accelerare la propria<br />
integrazione con la nuova realtà grazie all’associazionismo offerto dal<br />
movimento operaio e dal sindacato. 265 Agli altri, essendo in genere sprovvisti<br />
262 Cfr. Guardia di Finanza, Fenomenologia della criminalità organizzata nella regione Piemonte, II Legione,<br />
Comando II Gruppo, Torino, in Archivio della Commissione Parlamentare antimafia, XI legislatura, doc. 1062,<br />
Roma 1993, p. 4.<br />
263 Commissione Parlamentare antimafia, Insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di stampo<br />
mafioso in aree non tradizionali. Schede allegate delle singole regioni, cit., p. 201.<br />
264 R. Sciarrone, op.cit., pp. 211-212.<br />
265 Cfr. P. Arlacchi, Lo sviluppo della grande criminalità nell’Italia settentrionale negli anni ’70 e ’80:<br />
un’ipotesi interpretativa, in Consiglio Regionale del Piemonte 1983, Torino 1983.<br />
67
di qualifiche professionali specifiche, non è rimasto che orientarsi sulla<br />
provincia e ricorrere ad ambiti produttivi di dimensioni minori, come<br />
l’edilizia, con soluzioni lavorative spesso precarie e non regolari, offerte quasi<br />
sempre dai sodalizi criminali che avevano monopolizzato il cosiddetto<br />
“mercato delle braccia”. In altre parole, non potendo godere dei benefici<br />
dell’associazionismo sindacale, a molti immigrati non rimase altra scelta se<br />
non quella di farsi tutelare da quei boss che, giocando sapientemente su una<br />
comunanza di valori e di cultura con i lavoratori meridionali, sembravano gli<br />
unici in grado di fornire loro un minimo di garanzie di sopravvivenza.<br />
Proprio mediante il controllo del mercato del lavoro, i gruppi ‘ndranghetistici<br />
riuscirono a realizzare un network di interessi estesi e condivisi, da cui scaturì<br />
un oggettivo consolidamento del loro potere; non è sicuramente una<br />
coincidenza se le zone ad elevato sviluppo urbanistico, come la Valle di Susa<br />
o il Canavese, sono anche quelle dove accanto a corposi gruppi di immigrati<br />
si rileva la presenza di soggetti criminali calabresi, forti e consolidati, 266 i quali<br />
hanno realizzato un progetto espansivo che Giovana ha così schematizzato:<br />
“conquistare il controllo del subappalto cottimistico di lavori nell’esecuzione<br />
di manufatti edilizi; entrare prepotentemente nel “giro” dell’imprenditoria<br />
del settore attraverso la ramificazione di tale controllo e, adoperando le<br />
tecniche della sopraffazione mafiosa, fondare “colonie” di predominio dell’<br />
“onorata società” in grado di muoversi autonomamente sul mercato della<br />
speculazione”. 267<br />
La Commissione Parlamentare antimafia, nella relazione presentata alla<br />
Presidenza della Camera il 16 aprile 1985, si è dettagliatamente soffermata<br />
anche su un altro aspetto dell’espansione territoriale ‘ndranghetistica: quello<br />
verso l’estero, significando a questo proposito che erano provati “solidi<br />
collegamenti” con l’Australia, gli Stati Uniti ed il Canada. 268 Secondo<br />
Gianfranco Manfredi era molto attiva proprio in Canada e nello Stato di New<br />
York, la ‘ndrangheta di Siderno 269 . Del resto solidi legami con la mafia<br />
americana erano storicamente evidenti se solo si pensa che boss del calibro di<br />
266 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 213.<br />
267 M. Giovana, Considerazioni sulle cause economico – sociali dell’insediamento mafioso in Piemonte, in<br />
Consiglio Regionale del Piemonte 1983, Torino 1983, p. 73..<br />
268 Cfr. Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre 1982, n.646, art.32),<br />
Relazione presentata alla Presidenza della Camera il 16 aprile 1985 (relatore on. A. Alinovi), cit.<br />
269 G. Manfredi, Mafia e società nella fascia ionica della provincia di Reggio Calabria: il “caso” Nicola<br />
D’Agostino, cit., p. 279.<br />
68
Anastasia e Costello erano proprio di origine calabrese. 270 Col passare degli<br />
anni questi rapporti si sono ulteriormente intensificati soprattutto per la<br />
gestione del traffico di droga, come emerge da due operazioni di polizia, del<br />
1982 e del 1988, che hanno coinvolto DEA, FBI, Carabinieri e Guardia di<br />
Finanza e che hanno portato al sequestro complessivo di ingenti quantitativi<br />
di eroina e cocaina e all’arresto di esponenti delle ‘ndrine di Cortale e<br />
Lamezia Terme. 271<br />
L’Australia, che sin dal XIX secolo è stata una terra di forte<br />
immigrazione calabrese con insediamenti che coprono tutta l’isola ma che<br />
sono particolarmente concentrati nel Queensland, nel Victoria e nel Nuovo<br />
Galles del Sud, è stata teatro di due omicidi ‘ndranghetistici eccellenti: nel<br />
1977 è stato ucciso un deputato al Parlamento e nel 1989 il vice capo della<br />
Polizia federale Colin Wincester. Entrambi sono caduti vittime della mafia<br />
calabrese a seguito del loro impegno nelle indagini relative al traffico di<br />
stupefacenti, gestito appunto da questo sodalizio e in particolare dalla ‘ndrina<br />
di Platì che sarebbe ivi presente ed attiva in maniera oltremodo<br />
preponderante. 272<br />
In ordine al Canada il giudice Giuseppe Tuccio ha accertato l’esistenza<br />
di uno stabile rapporto tra la ‘ndrangheta di Gioia Tauro e la famiglia<br />
calabrese emigrata dei Violi, per la gestione del traffico di stupefacenti. 273<br />
A confermare la struttura multiforme assunta dalla mafia calabrese,<br />
sono inoltre documentati contatti con la malavita tunisina, corsa e<br />
marsigliese, per la gestione del contrabbando 274 e, più recentemente, stretti<br />
legami con sodalizi criminali di origine ‘ndranghetistica operanti in Francia,<br />
nel sud del paese, in Germania, nei landern sud-occidentali, 275 in Spagna per il<br />
traffico della droga tra il Nord Africa e l’Europa, in Svizzera per il riciclaggio<br />
270 A. Di Marco, Il fenomeno mafioso tra intervento politico e repressione criminale, Intervento a nome<br />
dell’Associazione magistrati della Calabria alla II Conferenza regionale promossa dal Consiglio Regionale<br />
della Calabria, Mafia Stato Società, Reggio Calabria 1983, p. 10.<br />
271 Cfr. Tribunale di Lamezia Terme, Sentenza contro Raineri Rosario più uno, Lamezia Terme, 8 febbraio<br />
1988; Procura della Repubblica di Lamezia Terme, Istruzione a carico di Notaro Giovanni più 1, Lamezia<br />
Terme 27 febbraio 1985; E. Fantò, Mafia poteri democrazia, introduzione di A. Bassolino, Gangemi, Roma<br />
1991, pp. 53-55; P. Cannizzaro, Micidiale colpo alla mafia dei due mondi, “Gazzetta del Sud”, 2 aprile 1988.<br />
272 S. Gambino, ‘Ndrangheta dossier, Frama sud, Chiaravalle 1986, p.44.<br />
273 L. Malafarina, ‘Ndrangheta alla sbarra, cit., p. 350.<br />
274 Cfr. Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre 1982, n.646, art.32),<br />
Audizione del ministro dell’Interno on. O.L. Scalfaro, cit.<br />
275 Cfr. A.P., Camera dei deputati, X legislatura, Commissione I. Indagine conoscitiva sulla minaccia della<br />
grande criminalità organizzata. Audizione del capo della polizia, prefetto V. Parisi, seduta del 5 giugno 1990,<br />
Roma 1990.<br />
69
dei proventi illeciti 276 . A questi paesi, dopo la caduta del blocco comunista, si<br />
sono aggiunti Polonia, Ungheria ed altri stati dell’Europa orientale che<br />
costituirebbero un interessante “terminale” per la “ripulitura” di denaro<br />
sporco e per transazioni finanziarie incentrate sulla speculazione<br />
monetaria. 277 Da non dimenticare infine la proficua collaborazione con la<br />
criminalità turca, che risalirebbe agli anni ottanta, finalizzata all’importazione<br />
in Italia di eroina 278 .<br />
2.5 Peculiarità<br />
Delineati i più importanti passaggi dell’evoluzione storica della<br />
‘ndrangheta, sia in Calabria che al suo esterno, è ora possibile cercare di<br />
“tirare le somme” in ordine alle caratteristiche peculiari assunte da questo<br />
sodalizio criminale.<br />
Innanzitutto pare essenziale analizzarne la struttura: non gerarchica<br />
come quella di Cosa Nostra, non pulviscolare come quella della camorra, ma<br />
orizzontale, vale a dire con un composito numero di ‘ndrine che si<br />
spartiscono il territorio in totale autonomia le une dalle altre e senza un<br />
organismo di coordinamento, sul modello della Commissione siciliana, che<br />
detti gli indirizzi generali dell’organizzazione. Secondo Luciano Violante, le<br />
cause del ricorso a questo modello organizzativo sarebbero da ricercarsi nelle<br />
stesse caratteristiche geopolitiche della Calabria, con solamente il 9% del<br />
territorio pianeggiante ed un paesaggio complessivamente “accidentato e<br />
tormentato, con torrenti che possono diventare improvvisamente distruttivi,<br />
tendenza alle frane, storiche difficoltà di comunicazione tra i paesi<br />
tradizionalmente arroccati, per la maggior parte, su contrafforti montuosi per<br />
difendersi dalla malaria prima, dagli arabi e dai turchi poi”. 279<br />
Con un simile contesto geografico si può comprendere l’osservazione<br />
di Ciconte, secondo il quale, ancora oggi, il peso dei particolarismi ereditati<br />
dal passato è tanto forte da fare sì che si possa parlare di Calabrie piuttosto<br />
che di Calabria. 280 Ad insistere sull’importanza rivestita dalla frantumazione<br />
276<br />
Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 106.<br />
277<br />
Ivi, p. 107.<br />
278<br />
Ibidem.<br />
279<br />
Ivi, p. 81.<br />
280<br />
Cfr. E. Ciconte, op.cit., p. 93.<br />
70
territoriale nella comprensione di questa complessa realtà è anche Soriero<br />
che, in relazione alla tendenza propria della regione a non accettare un’unica<br />
città guida, come potrebbe essere Palermo per la Sicilia o Napoli per la<br />
Campania, ma a “lottizzare” le istituzioni ed i servizi tra Reggio, Catanzaro e<br />
Cosenza, ha parlato di “vocazione passiva al policentrismo” 281 .<br />
Proprio in questo contesto territoriale estremamente frammentato si è<br />
trovata ad operare una compagine criminale come la ‘ndrangheta che si è<br />
adeguata adottando un modello organizzativo che non punta tanto<br />
all’estensione dei confini del territorio dominato, quanto piuttosto al<br />
rafforzamento di tale dominio, che deve divenire pressoché totalitario. Ecco<br />
perchè le ‘ndrine, a parte la recente parziale eccezione della provincia di<br />
Reggio, 282 hanno sempre rifiutato un’erosione del proprio potere esclusivo a<br />
favore di un organismo di coordinamento a livello provinciale o regionale. 283<br />
Ciò ha inevitabilmente dato luogo a frequenti faide tra le singole ‘ndrine,<br />
molto lunghe in termini di durata temporale e coinvolgenti tutti gli<br />
appartenenti alle famiglie naturali in lotta, bambini compresi. Alla<br />
conclusione di queste guerre di ‘ndrangheta si perviene generalmente o con il<br />
completo sterminio di una delle due consorterie in lotta, oppure a seguito di<br />
una specie di accordo di pacificazione realizzato perchè i contendenti si sono<br />
troppo indeboliti e rischiano di perdere potere a favore di altri clan che<br />
intendono approfittare della situazione di guerra in atto.<br />
E’ importante ricordare che un notevole punto di forza della<br />
‘ndrangheta è rappresentato dall’ alto tasso percentuale di affiliati rispetto<br />
alla popolazione; questo dato è molto più alto rispetto a quello di Cosa<br />
Nostra e della camorra e, associato all’elevata frammentazione in piccoli<br />
comuni del territorio calabrese, ha dato luogo ad una situazione in cui le<br />
organizzazioni ‘ndranghetiste esercitano un “controllo sulle persone che non<br />
ha eguali sul territorio nazionale” 284 .<br />
Per quanto riguarda la composizione delle singole ‘ndrine è opportuno<br />
sottolineare come nei criteri di selezione domini il familismo; questa è una<br />
grossa differenza rispetto a Cosa Nostra e camorra, dove cosche e clan<br />
presentano caratteristiche di maggiore apertura, incorporando soggetti che<br />
nulla hanno a che fare con la famiglia naturale del boss. A questa<br />
281<br />
G. Soriero, Le trasformazioni recenti del territorio, in P. Bevilacqua - A. Placanica (a cura di), La Calabria,<br />
cit., p. 769.<br />
282<br />
Su cui ci si soffermerà nel prosieguo di questo paragrafo.<br />
283<br />
Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., pp. 82-83.<br />
284 Ivi, p. 88.<br />
71
caratteristica, si deve aggiungere l’ulteriore tendenza delle ‘ndrine all’<br />
“endogamia”, vale a dire al fare ricorso a matrimoni tra uomini e donne già<br />
affiliati in maniera tale da estendere il raggio d’azione ed il potere di controllo<br />
sul territorio delle singole famiglie, un po’ alla maniera delle monarchie<br />
europee dell’età moderna che, per consolidare le proprie posizioni ed<br />
alleanze, facevano spesso ricorso a matrimoni tra principi ereditari 285 .<br />
Proprio questa robustezza della cellula base, associata ad una cronica<br />
debolezza dello Stato in Calabria, è responsabile di un curioso risultato che<br />
non trova riscontri nell’analisi di Cosa Nostra e della camorra: sono<br />
numericamente maggiori gli arresti di affibbiati in Lombardia e Piemonte,<br />
zone di forte espansione della mafia calabrese, che in Calabria che ne è la<br />
roccaforte.<br />
La ‘ndrangheta ha sempre fatto un ampio ricorso al ritualismo e alla<br />
strumentalizzazione dei codici culturali calabresi; l’analisi dei codici e degli<br />
statuti che è stato possibile sequestrare alle ‘ndrine ha permesso di entrare in<br />
contatto con una realtà mafiosa caratterizzata da “un simbolismo primitivo e<br />
del tutto specifico della ‘ndrangheta che ha lo scopo di rafforzare l’identità e<br />
il senso di appartenenza” 286 Un’altra sua caratteristica “primitiva” è il<br />
frequente ricorso a forme di violenza e di efferatezza che non trovano eguali<br />
riscontri nelle altre mafie italiane; come ha osservato Violante: “la violenza<br />
per la ‘ndrangheta non è uno strumento residuale ma è lo strumento<br />
principale di imposizione del dominio. La mancanza per lungo tempo di un<br />
coordinamento tra le varie famiglie, il localismo esasperato, la stessa<br />
condizione di marginalità che affligge la Calabria, agevolano, anche sul<br />
versante criminale, una cultura alla quale sono estranei i principi della<br />
regolamentazione preventiva dei conflitti”. 287<br />
A riprova di tali considerazioni si osservi il dato dell’indicatore<br />
statistico “omicidi”: secondo il Viminale, tra il 1985 ed il 1991 la Calabria, che<br />
aveva un numero di abitanti pari al 3,7% della popolazione italiana, ha<br />
prodotto una percentuale di omicidi dolosi addirittura pari al 16,4% del totale<br />
285 Questo esasperato familismo rappresenta una notevole forma di garanzia nei confronti del<br />
pentimento, poichè se si accetta la collaborazione con la giustizia è giocoforza il denunciare e il<br />
tradire non dei semplici compagni di affiliazione, ma i propri parenti più stretti; infatti la<br />
‘ndrangheta è l’organizzazione mafiosa italiana che presenta il minor tasso percentuale di pentiti<br />
rispetto agli affiliati.<br />
286 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 85.<br />
287 Ivi, p. 89.<br />
72
nazionale 288 . Anche considerando la notevole flessione degli ultimi anni del<br />
valore di questo parametro, secondo il Compendio Statistico 2002 realizzato<br />
dall’ISTAT, la Calabria alla data del 31 dicembre 2001 era la seconda regione<br />
italiana per numero di omicidi volontari, dopo la Campania, con ben 88<br />
episodi 289 .<br />
Proprio questo primitivismo, che risponde ad una concezione<br />
dell’onore particolarmente forte che si configura come capacità di sopraffare<br />
prima di essere sopraffatti, sarebbe responsabile di una mancanza di<br />
predisposizione ‘ndranghetista alla conciliazione e al patteggiamento, che ha<br />
dato luogo, come detto, ad una durata notevole delle faide tra ‘ndrine. A<br />
questo proposito è fondamentale ricordare la guerra di ‘ndrangheta che, a<br />
partire dalla seconda metà degli anni ‘80, sconvolse le cosche reggine,<br />
considerate le più pericolose “per radicamento sociale, collegamenti esterni,<br />
potenza criminale, storia e per i rapporti con Cosa Nostra”. 290 Lo scontro, che<br />
cominciò nel 1985, vide fronteggiarsi due schieramenti composti dalle<br />
famiglie De Stefano – Tegano da una parte ed Imerti – Condello – Fontana –<br />
Serraino dall’altra, con lo sterminio di ben 550 persone in sei anni. Solo<br />
l’intervento di Cosa Nostra nel 1991, a seguito dei profondi effetti distruttivi<br />
che rischiavano di compromettere l’intero tessuto ‘ndranghetista reggino,<br />
pose fine a questa cruenta faida e sortì una conseguenza del tutto innovativa<br />
per la struttura della mafia calabrese: l’istituzione di un organismo di<br />
coordinamento provinciale che, pur non avendo le stesse caratteristiche<br />
verticistiche della Commissione di Cosa Nostra, avrebbe dovuto assolvere ad<br />
una funzione di arbitro delle controversie. Ciò in un’ottica di prevenzione<br />
degli scontri tra singole ‘ndrine e di realizzazione di un modello<br />
organizzativo di tipo “federale”, esperienza che rimane del tutto unica nel<br />
panorama calabrese, non essendo previsti organismi analoghi per le altre<br />
province 291 .<br />
La ferocia manifestata dalla ‘ndrangheta trova un’ulteriore conferma se<br />
si affronta l’esame di una delle attività illecite che essa, in maniera del tutto<br />
originale rispetto alle altre mafie 292 , predilige: i sequestri di persona. Dal 1987<br />
288<br />
Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1993),<br />
Tipografia del Senato, Roma 1994, pp. 216-217.<br />
289<br />
Cfr. Istituto centrale di Statistica, Compendio statistico 2002, Roma 2002, p. 204.<br />
290<br />
L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 93.<br />
291 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione conclusiva, approvata il 18 febbraio 1994, A.P.,<br />
Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.14, Roma 1994, p.42.<br />
292 Ivi, p. 43.<br />
73
al 1993, gruppi criminali calabresi 293 sono stati ritenuti responsabili di<br />
ventisette rapimenti sul territorio nazionale che hanno fruttato una cifra<br />
vicina ai quattordici miliardi di vecchie lire 294 ; rispetto ai ricavi riferibili ad<br />
altre attività illecite, si tratta di una somma oggettivamente esigua, anche<br />
considerato l’elevato numero di soggetti che entrano in gioco nei lunghi mesi<br />
di un sequestro ed il notevole rischio di arresto a cui si sottopongono. Eppure<br />
la ‘ndrangheta si è dedicata a questo settore criminale molto a lungo.<br />
Precedentemente si è cercato di fornire una spiegazione a questa particolare<br />
propensione criminosa, sottolineandone la funzione di accumulazione di<br />
capitale da reinvestire in altri traffici e la possibilità che essa offre, per<br />
esempio ai pastori, di guadagnare molto senza smettere di eseguire il proprio<br />
lavoro “normale” e ai latitanti, che dovrebbero comunque vivere alla<br />
macchia, di impegnarsi in un’attività remunerativa. Ma aldilà di tali<br />
considerazioni, che sono sicuramente fondate, è opportuno evidenziare<br />
quella che è probabilmente la più importante motivazione del ricorso a<br />
questa attività: il sequestro di persona conferisce alla ‘ndrina che l’ha<br />
progettato un incremento della propria capacità di controllo del territorio,<br />
poichè, come ha osservato Violante in relazione all’Aspromonte che è la zona<br />
classica di custodia dei sequestrati: “gli organizzatori [...] garantiscono a una<br />
vasta rete di gregari un reddito annuo, ricevendo in cambio consenso, fedeltà<br />
e soprattutto il controllo minuzioso di un territorio essenziale per le loro<br />
attività più redditizie”. 295<br />
A riprova di tale affermazione si ricorda la drammatica avventura<br />
vissuta nel 1983 dall’imprenditore campano Carlo De Feo che, riuscito a<br />
liberarsi dalla prigionia e a scappare, chiese aiuto ad alcune persone<br />
incontrate durante la fuga, le quali invece di informare le forze dell’ordine lo<br />
riconsegnarono alla banda che lo teneva in ostaggio.<br />
Che la pratica del sequestro di persona sia, soprattutto in provincia di<br />
Reggio Calabria, uno strumento di ordinaria amministrazione utilizzato dalle<br />
‘ndrine per realizzare finalità criminali, lo dimostra un curioso episodio<br />
verificatosi nel 1992 a Bovalino, quando alcuni imprenditori vennero arrestati<br />
poichè avevano organizzato il rapimento dei loro concorrenti in gare<br />
d’appalto, allo scopo di intimidirli e indurli a ritirare la loro partecipazione.<br />
Tale vicenda non può che confermare l’affermazione secondo cui spesso “ciò<br />
293 Principalmente le famiglie della costa jonica reggina Jerinò, Strangio e Barbaro.<br />
294 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 95.<br />
295 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 97.<br />
74
che altrove si fa con la minaccia o con la rapina, in Calabria si fa con il<br />
sequestro di persona”. 296<br />
Ancora in riferimento all’aspetto delle attività illecite in cui la<br />
‘ndrangheta impegna la propria struttura, è opportuno ricordare che, oltre al<br />
mercato degli stupefacenti di cui è protagonista, 297 essa è fortemente presente<br />
nel traffico d’armi; 298 è questa un’attività illecita abbastanza recente perchè<br />
deve la sua origine all’esigenza di entrambi gli schieramenti protagonisti<br />
della guerra di ‘ndrangheta del periodo 1985-1991, di incrementare il proprio<br />
arsenale militare. I rapporti instaurati a quel tempo con produttori e mercanti<br />
nazionali e stranieri sono stati successivamente mantenuti conferendo alla<br />
mafia calabrese un ruolo di mediazione tra tutti i gruppi criminali italiani ed i<br />
grandi fornitori di armamenti; tale ruolo di monopolio si è ulteriormente<br />
accresciuto a seguito dei contatti instaurati, mediante la Sacra Corona Unita,<br />
con la criminalità dell’ex Jugoslavia, intenzionata a barattare gli ingenti<br />
quantitativi di armi di cui dispone sin dalla fine della guerra, con<br />
stupefacenti.<br />
L’impegno nel traffico di stupefacenti e di armi costituisce un aspetto<br />
decisamente moderno palesato dalla ‘ndrangheta dell’ultimo ventennio, così<br />
come improntato alla modernità appare il tentativo risalente al 1993 di<br />
acquisizione, a scopo di riciclaggio del denaro sporco, di un importante<br />
istituto di credito russo, contestuale all’acquisto di trentaquattro miliardi di<br />
rubli da reimpiegare in attività produttive dell’ex Unione Sovietica. 299<br />
Interessante notare che accanto a queste caratteristiche, tipiche di una<br />
criminalità “evoluta,” ne permangono altre che confermano l’estrema<br />
arcaicità culturale di questa organizzazione; un esempio emblematico è<br />
quello offerto dalle cosiddette “vacche sacre” su cui si è soffermata la<br />
Commissione antimafia dell’XI legislatura. Si tratta di circa 3000 bovini che<br />
vagano indiscriminatamente, causando ingenti danni alle coltivazioni, alla<br />
circolazione stradale e a quella ferroviaria 300 , in una fascia di territorio<br />
compresa tra Cittanova e Taurianova sulla costa tirrenica, ad Africo e Melito<br />
Porto Salvo su quella Jonica. Il fatto è che i capi di bestiame appartengono ad<br />
296<br />
Ivi, p. 98.<br />
297<br />
Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 2002), cit.,<br />
p. 120.<br />
298<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione conclusiva, approvata il 18 febbraio 1994, cit., p.43.<br />
299 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 99.<br />
300 Si pensi che si sono addirittura verificati due deragliamenti, uno a Cittanova il 16 ottobre 1987 e l’altro a<br />
Taurianova il 15 ottobre 1992.<br />
75
alcuni capibastone della ‘ndrangheta e per questo motivo nessuno si sente di<br />
prendersi la responsabilità della cattura e dell’abbattimento, anche in<br />
considerazione del fatto che sarebbe probabilmente impossibile, per il timore<br />
di ritorsioni, trovare macellai disposti a partecipare all’azione. Per<br />
comprendere il significato simbolico di quella che pare essere una anomalia<br />
folcloristica si osservi quanto affermato dal questore di Reggio Calabria<br />
davanti alla Commissione antimafia: “il boss del posto così facendo riafferma<br />
ancora di più il suo potere mafioso: non soltanto tengo questa mucca<br />
pascolante, ma lo faccio come, dove e quando voglio, e se la vacca rovina un<br />
campo seminato a me non interessa; il mafioso della zona sono io”. 301<br />
Questa questione, che sembra perfino pittoresca nel suo essere<br />
assolutamente incredibile, nasconde in realtà la profonda vocazione<br />
prepotente, oppressiva e di controllo del territorio che la ‘ndrangheta ha<br />
sempre manifestato nei confronti di una popolazione che, se non vuole guai,<br />
non può fare altro che convivere silenziosamente con simili abusi, anche<br />
perchè lo Stato, forse ritenendo secondaria questa vicenda, non è mai<br />
intervenuto a garanzia dei privati cittadini.<br />
La popolazione calabrese e conseguentemente la ‘ndrangheta che ne<br />
costituisce una degenerazione criminale, ha storicamente evidenziato un forte<br />
atteggiamento antistatuale. Sin dal periodo borbonico la Calabria è stata<br />
dimenticata dallo Stato: “nessuna città calabrese è mai stata capitale, i signori<br />
locali hanno preferito soggiornare a Napoli, considerando la Calabria come<br />
pura terra di feudi da sfruttare”. 302<br />
Proprio questa sottovalutazione governativa sarebbe stata responsabile<br />
del rafforzamento di un sistema fondato sui legami familiari e le convenienze<br />
private, di cui la ‘ndrangheta è interprete privilegiata, a discapito dello<br />
sviluppo del senso civico e del rispetto delle regole nazionali. Questa<br />
situazione, si noti bene, non è esclusivamente riferibile all’Ottocento o ai<br />
primi del Novecento, ma continua ancora ai giorni nostri, se solo si osserva<br />
quanto emerge, già negli anni ottanta, dalle dichiarazioni di un cittadino<br />
calabrese: “lo Stato proteggeva i potenti, i ricchi. Contro questa situazione si<br />
ribellavano i poveri e quelli che avevano ingegno si associavano nelle<br />
associazioni clandestine che procuravano loro vantaggi [...] La mafia era una<br />
301 Commissione Parlamentare antimafia, Audizione del questore e del comandante dei Carabinieri di Reggio<br />
Calabria sul problema delle cosiddette “vacche sacre”, seduta del 13 gennaio 1994, A.P., Camera dei<br />
Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Roma 1994, p. 3443.<br />
302 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 86.<br />
76
società di mutuo soccorso, in termini di tutela sociale [...] Lo Stato era il<br />
nemico numero uno, era forestiero”. 303<br />
La ‘ndrangheta ha giocato, e gioca, sulla sfiducia nei cittadini che è<br />
prodotta da questa idea dello Stato, proponendosi come un surrogato dello<br />
stesso che però ha il grande vantaggio di essere nella condizione di fare<br />
rispettare le (sue) regole. Non è molto ma è già un passo avanti rispetto<br />
all’incertezza e all’insicurezza di cui si sono approfondite le cause<br />
precedentemente. Ed è proprio in ossequio a questo manifesto<br />
antistatualismo che si spiega un’altra grande differenza tra la ‘ndrangheta e le<br />
altre mafie: l’appoggio offerto da parte di alcune ‘ndrine a PCI e PSI, i due<br />
partiti antistatuali per eccellenza, all’indomani della fine della guerra,<br />
appoggio esauritosi successivamente a seguito della scissione del PSI e del<br />
rifiuto comunista di perseverare in questo ambiguo rapporto.<br />
Complessivamente comunque si può affermare, come fa Violante, che “nella<br />
storia della ‘ndrangheta, a differenza di quanto è accaduto per Cosa Nostra e<br />
per la camorra, non c’è storicamente una consuetudine di rapporti con il<br />
potere politico; i rapporti si sono stabiliti solo negli ultimi decenni”. 304<br />
Abbiamo precedentemente osservato che sia le strutture di Cosa Nostra<br />
che quelle della camorra, storicamente, sono state strumentalizzate dal potere<br />
costituito in tutte quelle occasioni in cui la classe dirigente riteneva di non<br />
avere altra scelta, se non quella di fare ricorso ad un potere extra legale, pur<br />
di tenere sotto controllo la società siciliana o campana; l’attribuzione di<br />
questa funzione “d’ordine” sociale, con il conseguente riconoscimento<br />
ufficiale del ruolo mafioso di “guida” e “governo” delle classi basse, ha, con<br />
le opportune differenze, 305 posto in essere un processo di legittimazione di<br />
queste due fenomenologie mafiose. Tutto ciò per la ‘ndrangheta non è invece<br />
mai accaduto dando luogo ad una vera e propria “lontananza storica” tra la<br />
criminalità calabrese e la politica, che non è altro che la riproduzione a livello<br />
criminale del marcato antistatualismo già ampiamente diffuso nella stessa<br />
popolazione. Anche le distinzioni tra alta e bassa mafia e tra alta e bassa<br />
camorra, introdotte nell’Ottocento e nei primi anni del Novecento per<br />
descrivere la presenza di due anime distinte all’interno di quelle<br />
303<br />
F. Piselli–G. Arrighi, Parentela, clientela e comunità, in P. Bevilacqua-A. Placanica (a cura di), La<br />
Calabria, cit., p. 400.<br />
304<br />
L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 91.<br />
305<br />
Anche se è la camorra a ricevere un vero e proprio riconoscimento ufficiale da parte del potere costituito,<br />
con l’episodio del prefetto Liborio Romano risalente al 1860, in realtà il suo carattere mercenario e popolare le<br />
ha storicamente impedito di raggiungere i livelli di legittimazione effettivamente realizzati da Cosa Nostra.<br />
77
consorterie, 306 costituiscono una prova indiretta della loro “vocazione<br />
dirigente.” 307 Nel 1880 proprio un esponente della “bassa mafia” scriveva al<br />
questore di Palermo lamentando che: “l’alta mafia comanda [...] con la<br />
protezione che tengono, ho che ci fanno ammonire, ho che ci fanno andare su<br />
un’Isola, ma più facile ucciderci”. 308<br />
Analogamente si noti quanto osservato dal senatore Saredo nella<br />
relazione sulla corruzione del 1901: “è quest’altra Camorra che patteggia e<br />
mercanteggia colla bassa e promette per ottenere, e ottiene promettendo, che<br />
considera campo da mietere e da sfruttare tutta la pubblica amministrazione,<br />
come strumenti la scaltrezza, l’audacia e la violenza, come forza la piazza,<br />
ben a ragione è da considerare come fenomeno più pericoloso, perchè ha<br />
ristabilito il più pericoloso dei nepotismi, elevando a regime la prepotenza,<br />
sostituendo l’imposizione alla volontà, annullando l’individualità e la libertà<br />
e frodando le leggi e la pubblica fede”. 309<br />
Ebbene, per la ‘ndrangheta una simile distinzione non è storicamente<br />
stata prevista ed in nessuno scritto ve ne si trova traccia, almeno sino a tempi<br />
relativamente recenti quando “un’alta ‘ndrangheta, che riesce ad avere<br />
rapporti privilegiati con la politica e con le istituzioni si costituirà, [...] grazie<br />
ai rapporti con Cosa Nostra, con importanti uomini politici e con logge<br />
massoniche deviate.” 310<br />
Per quanto riguarda gli omicidi politici della ‘ndrangheta, pare corretto<br />
evidenziare, come già si è fatto per la camorra, che essa non ha manifestato, a<br />
livello nazionale, una pericolosità minimamente raffrontabile a quella di Cosa<br />
Nostra, essendo sostanzialmente l’ambito locale il suo territorio di<br />
riferimento. Non sono tuttavia mancate le vittime del mondo legale: “a metà<br />
degli anni settanta furono uccisi Giuseppe Vinci e Rocco Gatto. A metà del<br />
1980 toccò a Giuseppe Valarioti e a Giovanni Losardo. Poi, nel 1982 una<br />
bomba devastò la casa del consigliere regionale Quirino Ledda. Due anni<br />
dopo, nel febbraio 1984, toccò a Salvatore Tassone e a Cosimo Monteleone,<br />
306 Una, quella “alta,” in diretto collegamento con le classi dirigenti; l’altra, quella “bassa,” composta<br />
dalla “manovalanza” mafiosa.<br />
307 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 91.<br />
308 S. Lupo, op.cit., p. 54.<br />
309 Regia Commissione d’inchiesta per Napoli, op.cit., pp. 49-50.<br />
310 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 92.<br />
78
sindaco e vice sindaco di Nardodipace [...] rimanere vittime, fortunatamente<br />
incolumi, di attentati mafiosi”. 311<br />
A questi fatti criminosi, principalmente rivolti ad esponenti comunisti<br />
che non si piegavano al sistema di corruzione ed intimidazione posto in<br />
essere dall’onorata società, si deve purtroppo aggiungere il lungo elenco di<br />
omicidi ed attentati che hanno colpito, per tutti gli anni ottanta, esponenti<br />
politici, amministratori pubblici, funzionari statali e rappresentanti delle<br />
istituzioni di qualsiasi area politica. A titolo puramente esemplificativo,<br />
ricordiamo qui di seguito solamente le vittime più eclatanti: il procuratore<br />
della Repubblica di Torino Bruno Caccia nel 1983, il sindaco di Gioia Tauro<br />
Vincenzo Gentile nel 1987, l’ex presidente delle Ferrovie dello Stato Ludovico<br />
Ligato nel 1989, il giudice Antonio Scopelliti - che avrebbe dovuto sostenere<br />
l’accusa nel maxiprocesso giunto in Cassazione - ed il sindaco di Bova nel<br />
1991, 312 il sovrintendente della Polizia di Stato Salvatore Aversa nel 1992.<br />
Tuttavia, aldilà del notevole scalpore suscitato da questa ferocia<br />
‘ndranghetistica , il dato che emerge è che essa, tradizionalmente, colpisce<br />
esclusivamente in funzione di singole circostanze attinenti la sfera locale e<br />
non in ossequio ad un più ampio progetto antistatuale come quello che è<br />
stato invece perseguito dalla Cosa Nostra dei corleonesi. All’origine di questa<br />
impostazione risiedono la stessa struttura orizzontale dell’organizzazione e la<br />
manifesta tendenza allo scontro tra singole ‘ndrine; queste caratteristiche non<br />
permettono l’impegno in omicidi che creano un elevato allarme sociale<br />
perchè l’inevitabile reazione dello Stato si gioverebbe delle preziose “soffiate”<br />
che giungerebbero dalle famiglie nemiche. Ecco perchè la ‘ndrangheta ha sì<br />
ucciso rappresentanti del mondo legale, ma l’ha fatto ad un livello “meno<br />
vistoso e più produttivo,” 313 impegnandosi in azioni eclatanti, come<br />
l’uccisione del giudice Scopellitti, esclusivamente in maniera estemporanea e<br />
slegata da qualsiasi articolato progetto di lotta alle istituzioni 314 .<br />
Sono tuttavia state documentate dagli inquirenti relazioni tra gli<br />
uomini del boss De Stefano ed il terrorismo di estrema destra, prima<br />
nell’organizzazione della rivolta di Reggio Calabria del luglio 1970-febbraio<br />
311 E. Ciconte, op.cit., p. 354.<br />
312 Ivi, p. 355.<br />
313 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 94.<br />
314 Si è infatti osservato che l’eliminazione di Scopellitti, pur essendo stata eseguita materialmente in Calabria<br />
dalla criminalità autoctona, aveva in realtà come mandante Cosa Nostra, che stava cercando in ogni modo di<br />
creare degli ostacoli alla celebrazione dell’ultimo grado di giudizio del maxiprocesso, in modo tale da fare<br />
scadere i termini della custodia cautelare degli imputati<br />
79
1971 e poi nell’evasione di Franco Freda dal carcere di Reggio, che sarebbe<br />
stata organizzata e realizzata proprio dalla ‘ndrangheta. 315 Inoltre, come<br />
risulta nella richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del deputato<br />
Paolo Romeo, accusato dagli inquirenti di associazione mafiosa, sarebbero<br />
stati posti in essere dai capibastone calabresi importanti rapporti con logge<br />
massoniche deviate. 316 Tale circostanza è stata ulteriormente avvalorata dal<br />
giudice Agostino Cordova durante la sua audizione del 1993 davanti alla<br />
Commissione antimafia. 317<br />
A proposito dei rapporti con altre entità, risultano molto forti i legami<br />
tra la ‘ndrangheta reggina, Cosa Nostra e la Camorra 318 , sia nella gestione in<br />
collaborazione di attività illecite complesse, come il contrabbando o il traffico<br />
di droga, sia in funzione di ospitare e nascondere latitanti appartenenti ad<br />
altri sodalizi o di scambiarsi risorse umane per la realizzazione di specifiche<br />
attività delittuose. A questo riguardo esistono molteplici risultanze: in primis<br />
l’uccisione del giudice Scopelliti nel 1991, di cui si è riferito in precedenza; la<br />
sentenza di condanna del boss ‘ndranghetista Mario Albanese (dalla quale si<br />
evince che nel 1983 una grossa partita di droga di proprietà della cosca di<br />
Nitto Santapaola venne sbarcata sul litorale jonico di Saline e che un terzo<br />
della stessa venne consegnato a titolo di “provvigione” alla famiglia calabrese<br />
dei De Stefano, che controllava quella zona); 319 la lettera lasciata prima di<br />
suicidarsi dall’uomo d’onore Antonino Gioè, imputato per la strage di Capaci<br />
(tesa a scagionare, tra gli altri, il capobastone Papalia, a riprova che<br />
evidentemente la ‘ndrangheta e i suoi capi stavano più a cuore di quanto si<br />
pensi ai vertici della mafia siciliana); 320 l’attiva collaborazione tra<br />
‘ndranghetisti e clan dei catanesi a Torino durante i primi anni ’80, finalizzata<br />
tra l’altro all’eliminazione dei giudici Caccia e Sorbello. 321<br />
Per quanto riguarda i legami con la camorra è sufficiente ricordare la<br />
genesi della NCO, per mano dei capibastone Piromalli, Mammoliti e De<br />
315<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione conclusiva, approvata il 18 febbraio 1994, cit., p.43.<br />
316<br />
Cfr. A.P., Camera dei deputati, XI legislatura, doc. IV, n.465, Domanda di autorizzazione a procedere in<br />
giudizio nei confronti del deputato Paolo Romeo per il reato di cui all’articolo 416 bis, commi primo, secondo,<br />
terzo, quarto e sesto del codice penale, Roma 1993.<br />
317<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di<br />
Palmi dottor Agostino Cordova, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura,<br />
Seduta del 9 luglio 1993, Roma 1993.<br />
318<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione conclusiva, approvata il 18 febbraio 1994, cit., pp.52-<br />
53.<br />
319<br />
Cfr. Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza sentenza contro Albanese M. più 190, cit.<br />
320<br />
Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 104.<br />
321 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 230.<br />
80
Stefano, e gli strettissimi legami tra Raffaele Cutolo e De Stefano che<br />
caratterizzarono tra il 1977 ed il 1982 le più importanti vicende criminose del<br />
Mezzogiorno 322 .<br />
In relazione alla situazione attuale della ‘ndrangheta si può osservare<br />
come essa sia una forma malavitosa estremamente pericolosa perchè nel suo<br />
continuo mescolare elementi arcaici a caratteristiche di estrema modernità,<br />
nel suo alto numero di affiliati e soprattutto nella sua peculiare capacità di<br />
mantenere elevati livelli di impunità, anche grazie al rigoroso familismo che<br />
previene i pentimenti, esprime un modello criminale di indubbio successo e<br />
ciò è ulteriormente suffragato dalla massiccia penetrazione in zone non<br />
tradizionali come il Piemonte e la Lombardia, dove essa esercita un totale<br />
monopolio sui traffici illeciti.<br />
Si è detto, in riferimento alla camorra, che nell’attività di contrasto<br />
bisogna partire dall’educazione alla legalità e al senso civico dei giovani e<br />
delle masse sociali; ciò è sicuramente vero anche per la Calabria che è vittima<br />
di un’arretratezza cronica forse più della stessa Campania, però qui il<br />
discorso deve essere diviso in due tronconi. Sicuramente è fondamentale<br />
intervenire sulla disoccupazione giovanile e sulla percezione purtroppo<br />
comune a molti calabresi secondo cui il modello mafioso rappresenta un<br />
modello vincente. Tale azione, combinata ad una organica attività di polizia,<br />
potrebbe probabilmente risolvere una parte del problema: quella legata al<br />
controllo del territorio calabrese e alla situazione di autentico terrore vissuta<br />
dagli imprenditori, 323 in una zona d’Italia che sotto molti aspetti sfugge alla<br />
sovranità dello Stato, non esercitando quest’ultimo, in maniera esclusiva, il<br />
monopolio dell’elemento fondamentale di ogni ordinamento giuridico: quello<br />
della coercizione.<br />
Tuttavia l’impressione è che ciò non sia di per sé sufficiente per<br />
sconfiggere completamente la ‘ndrangheta, poichè essa pur non tralasciando<br />
le proprie attività tradizionali legate alla realtà locale, ha contestualmente<br />
raggiunto una tale modernità, soprattutto a livello di attività riconducibili al<br />
concetto di enterprise syndicate, da rendere necessaria un’azione di contrasto<br />
ben più specialistica, concentrata sulla prevenzione e la repressione dei<br />
322 Cfr. Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza sentenza contro Albanese M. più 190, cit.<br />
323 Per un approfondimento sul clima che si respira in Calabria tra gli imprenditori, mediante una serie di<br />
interviste ad operatori economici ivi operanti, cfr. R. Sciarrone, op.cit., pp. 53-111.<br />
81
grandi affari internazionali in cui essa si è recentemente cimentata e<br />
soprattutto improntata alla collaborazione con le forze di polizia di altri paesi.<br />
“Ha una struttura fortemente organizzata; è presente massicciamente<br />
nel traffico internazionale di droga e, a quanto pare, di armi e di preziosi; ha<br />
una potenza economica e una potenza politica; possiede una notevole<br />
capacità militare; ha affinato il proprio sistema fiscale basato sulle mazzette;<br />
ha sviluppato una notevole capacità di penetrazione nelle istituzioni e di<br />
rapporti con pezzi del potere e dell’apparato pubblico”. 324<br />
Sotto questi aspetti, pur mantenendo la sua originalità organizzativa e<br />
culturale, la ‘ndrangheta, nell’ultimo trentennio, si è ispirata ed avvicinata<br />
tantissimo a Cosa Nostra ma, a sua differenza, ha saputo mantenere un<br />
atteggiamento improntato al basso profilo, perlomeno a livello nazionale, ed<br />
ha sapientemente giocato sul suo apparente ruolo di mero “sottoprodotto”<br />
della mafia siciliana, elementi che l’hanno protetta da repressioni istituzionali<br />
troppo capillari; inoltre, come si diceva, non ha dovuto fare i conti con quello<br />
che è stato l’incubo dei siciliani: il pentitismo. A ciò si deve aggiungere la sua<br />
capacità di proporsi come una sorta di cerniera che collega tutte le altre<br />
consorterie criminali operanti nel mezzogiorno, caratteristica che l’ha resa di<br />
conseguenza un’assoluta protagonista della criminalità organizzata<br />
nazionale.<br />
Alla luce di tali considerazioni pare corretto porre l’accento sulla<br />
versatilità e l’astuzia palesate da questa consorteria criminale ed auspicare un<br />
pronto e determinato impegno istituzionale nell’azione di contrasto, prima<br />
che sia veramente troppo tardi per arginarne lo sviluppo e gli effetti sulla<br />
società civile.<br />
324 E. Ciconte, op.cit., p. 362.<br />
82
3.1 Puglia: regione mafiosa?<br />
La “Quarta mafia” pugliese<br />
Sino a qualche tempo fa, la Puglia era una regione che poteva definirsi<br />
immune dalla fenomenologia mafiosa; infatti, a differenza di altri contesti<br />
territoriali appartenenti al meridione italiano, essa non ha storicamente<br />
convissuto con un underworld criminale organizzato che si fosse<br />
perfettamente integrato con il tessuto socioeconomico e politico del mondo<br />
legale, in maniera analoga alle forme delinquenziali esaminate sino a questo<br />
punto.<br />
L’oggettiva assenza di consorterie criminali articolate e perfettamente<br />
integrate con il territorio è stata attribuita da Luciano Violante 325 al fatto che<br />
la Puglia ha avuto una storia diversa da quella parte del Mezzogiorno che, sin<br />
dal secolo scorso, ha assistito passivamente all’insediamento ed allo sviluppo<br />
di esperienze criminali riconducibili al concetto di mafia. I feudi pugliesi<br />
erano infatti in gran parte coltivati in maniera intensiva da proprietari che<br />
vivevano sui loro terreni, amministrando in prima persona i propri interessi<br />
economici e non adottando, quindi, l’abitudine in voga tra i latifondisti<br />
calabresi, campani e siciliani di vivere nelle grandi capitali del Sud. Inoltre,<br />
storicamente la Puglia ha dato prova di notevole dinamismo economico ed<br />
imprenditoriale, dotandosi sin dal Settecento di una rete viaria<br />
all’avanguardia per quei tempi (era la più moderna di tutto il Regno di<br />
Napoli) e manifestando generalmente i più alti livelli di reddito riscontrati,<br />
con una bassa percentuale di appartenenti alle classi povere.<br />
A queste evidenze storiche si deve aggiungere la notazione di<br />
Galasso 326 , secondo cui il ceto dirigente pugliese aveva saputo emanciparsi<br />
dalla rovinosa consuetudine in voga soprattutto in Sicilia ed in Campania di<br />
delegare alla cosiddetta mafia notabiliare il controllo delle classi popolari, con<br />
la duplice funzione di garantire la gestione dell’ordine pubblico e di tutelare<br />
gli interessi dei nobili meridionali contro gli eventuali abusi dei sovrani<br />
spagnoli. Tale pratica ha infatti determinato il deleterio risultato sociale di<br />
325 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 114.<br />
326 G. Galasso, Alla periferia dell’impero. Il regno di Napoli nel periodo spagnolo (secoli XVI-XVII), Einaudi,<br />
Torino 1994, pp. 408-421.<br />
83
ammantare le fenomenologie mafiose di un’aura di legittimità che ha finito<br />
col costituire un notevole contributo offerto dalle classi dirigenti del mondo<br />
legale per il loro sviluppo successivo.<br />
Eppure, nonostante questa storia di modernità e di immunità dalla<br />
criminalità organizzata, oggi si deve purtroppo parlare di una “quarta mafia”<br />
che si discosta così poco dalle caratteristiche delle tre mafie italiane<br />
“tradizionali” da avere suscitato nell’opinione pubblica l’errata impressione<br />
secondo cui anche la Puglia sarebbe una regione storicamente mafiosa. Tale<br />
atteggiamento è ormai talmente radicato nella società italiana, che perfino un<br />
organismo istituzionale tecnico, quale è la Commissione Parlamentare<br />
antimafia, è incorso nel 1994 in un errore, poichè, in ben due documenti<br />
ufficiali relativi alla diffusione della mafia in aree non tradizionali, 327 ha<br />
clamorosamente omesso di contemplare la regione Puglia, ritenendola, a<br />
torto, una zona mafiosa originale e non colonizzata. Per Gorgoni, si è trattato<br />
di una valutazione “che appare storicamente errata non solo sul piano delle<br />
datazioni dell’insorgenza del fenomeno mafioso, ma anche su quello delle<br />
modalità attraverso le quali la criminalità si è insediata e diffusa nella<br />
regione”. 328<br />
Che il caso pugliese appartenga alla categoria delle mafie non<br />
tradizionali era stato peraltro avvalorato dalla stessa Commissione<br />
parlamentare che, nella legislatura precedente, aveva approfondito tale<br />
tematica concludendo che si trattava di una mafia di recente diffusione,<br />
originata e sviluppata mediante meccanismi peculiari e che non presentava,<br />
perlomeno in prima battuta, le caratteristiche tipiche delle fenomenologie<br />
presenti nelle aree di radicamento mafioso tradizionale. 329<br />
La definizione che pare più corretta è quella che identifica la Puglia<br />
come “la prima tra le regioni italiane a sviluppare una nuova mafia”; 330<br />
analizzare a fondo “la vicenda pugliese può forse essere utile per<br />
327 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di<br />
stampo mafioso in aree non tradizionali. Schede allegate delle singole regioni, cit. e Commissione<br />
Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere<br />
accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di stampo mafioso in aree non<br />
tradizionali, A.P., Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.11, Roma 1994.<br />
328 R.Gorgoni, op.cit., p. 273.<br />
329 Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’indagine del gruppo di lavoro<br />
incaricato di svolgere accertamenti sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Puglia, A.P., Camera<br />
dei Deputati-Senato della Repubblica, X legislatura, doc. XXIII, n.10, Roma 1989. Dello stesso avviso è anche<br />
Maritati in un articolo del 1992. (Cfr. A. Maritati, Puglia. Dai tentativi di infiltrazione alla Sacra Corona<br />
Unita, in “Asterischi”, 2, 1992).<br />
330 R.Gorgoni, op.cit., p. 11.<br />
84
comprendere, per così dire, la mafia nell’epoca della sua riproducibilità<br />
tecnica”. 331<br />
Il fatto è che , per una serie di cause, “la Puglia è stata utilizzata come<br />
colonia da parte delle organizzazioni più titolate [...] ha costituito una sorta di<br />
“cortile di casa” delle tre mafie tradizionali”. 332<br />
Sicuramente uno dei fattori che hanno suscitato l’interesse di Cosa<br />
Nostra, ‘ndrangheta e camorra risiede nelle peculiari caratteristiche<br />
geopolitiche di questa regione: essa, caratterizzata perlopiù da coste piatte e<br />
sabbiose, ideali per gli attracchi dei natanti, è un crocevia delle rotte<br />
commerciali che vanno da Est ad Ovest, dista poche miglia nautiche dalla<br />
Jugoslavia e può contare su una tradizione di rapporti che la legano<br />
all’Albania, alla Grecia ed al Medio Oriente. Tali caratteristiche avevano, già<br />
da molto tempo, spinto la malavita autoctona ad occuparsi principalmente<br />
del contrabbando di tabacchi e, attorno agli anni settanta, a stringere<br />
addirittura accordi, peraltro temporanei ed a livello individuale, con alcuni<br />
elementi della camorra. Come più volte osservato in precedenza, le dotazioni<br />
di natanti, il knowhow degli uomini impegnati, le relazioni con sodalizi<br />
criminali esteri finalizzati a questa attività illecita si prestavano facilmente ad<br />
essere riconvertiti nei business del traffico di droga ed armi, che proprio<br />
attorno alla metà degli anni settanta era la principale fonte di arricchimento<br />
delle tre mafie tradizionali.<br />
Ma come sono riusciti siciliani, calabresi e campani a penetrare<br />
capillarmente nel territorio pugliese?<br />
I meccanismi di diffusione della mafia - ricorrendo ad un’ottica<br />
sociologica che fa riferimento specificamente al comportamento strategico<br />
adottato dagli attori - sono stati schematizzati mediante il ricorso a due forme<br />
ideal-tipiche: la colonizzazione, cioè l’espansione vera e propria in nuove aree<br />
e l’imitazione, vale a dire la “copiatura” endogena operata da gruppi<br />
criminali autoctoni che perseguono la riproduzione di modelli organizzativi<br />
ed operativi riferibili a consorterie mafiose tradizionali. 333<br />
Se da un lato, il ricorso a forme ideal-tipiche permette di realizzare dei<br />
modelli sociologici finalizzati allo studio dei meccanismi sociali, dall’altro<br />
nasconde un oggettivo limite che risiede nel pericolo di produrre<br />
331 Ibidem.<br />
332 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 113.<br />
333 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., pp. 125-126.<br />
85
semplificazioni di tale portata da stravolgere l’interpretazione della realtà;<br />
nell’affrontare casi di mafia “esportata” è quindi di fondamentale importanza<br />
sottolineare come colonizzazione ed imitazione non si escludano a vicenda,<br />
ma si combinino mediante il ricorso ad una grande varietà di meccanismi che,<br />
di caso in caso, modificano i termini percentuali di questo connubio. A questo<br />
proposito infatti, già nel lontano 1897, Durkheim osservava che nei processi<br />
sociali “ben raramente l’imitazione è, da sola, una spiegazione sufficiente” 334<br />
e si comprende facilmente come questa riflessione possa essere estesa anche<br />
al concetto di colonizzazione.<br />
Passando ad esaminare lo specifico caso pugliese, si può prendere atto<br />
di come tali considerazioni siano pienamente avvalorate dall’osservazione<br />
della realtà, poichè non solo si sono presentati entrambi i meccanismi di<br />
diffusione postulati dai sociologi, ma essi si sono intrecciati, combinati,<br />
sovrapposti, dando luogo ad una situazione in cui ai tentativi espansivi posti<br />
in essere dalle fenomenologie mafiose di altre regioni, è corrisposta la<br />
creazione di organizzazioni autoctone per reagire a tale sconfinamento, che<br />
hanno però finito per strutturarsi in maniera analoga al modello proposto<br />
dagli “invasori”. 335<br />
Geograficamente la Puglia è contigua alle aree tradizionali e questa<br />
caratteristica a parere di Maritati ha fatto sì che “per una serie di attività<br />
illecite rappresenta da tempo immemorabile una sorta di terreno naturale di<br />
sconfinamento, a volte con sortite rapide quanto micidiali (si pensi ai<br />
sequestri di persone consumati negli anni ’70-80 dal Salento al nord Barese ed<br />
ai grossi sbarchi di tabacchi lavorati esteri, droga ed armi lungo le estese coste<br />
della regione) e di progetto, non nuovo, di farne una vera e propria terra di<br />
conquista criminale”. 336<br />
Proprio l’attività dei sequestri, su cui si sofferma Maritati, ha visto<br />
l’instaurarsi dei primi rapporti tra la ‘ndrangheta e delinquenti comuni<br />
pugliesi che collaboravano, sotto la supervisione calabrese, alla realizzazione<br />
dei rapimenti nella loro regione. Come si vedrà nel paragrafo dedicato alla<br />
Sacra Corona Unita, l’intervento dell’onorata società in Puglia non è destinato<br />
ad esaurirsi a questo livello - che, come per il contrabbando gestito in<br />
collaborazione con la camorra, è caratterizzato da rapporti non organici<br />
334<br />
E. Durkheim, Sociologia del suicidio (1897), Newton Compton, Roma 1978, p.164 nota.<br />
335<br />
Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 156.<br />
336<br />
A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, in F. Occhiogrosso (a cura di), Ragazzi della mafia, in<br />
“Minori giustizia”, 1, 1993, p.120.<br />
86
ealizzati perlopiù mediante accordi temporanei e individuali - ma si<br />
svilupperà sino ad acquisire i caratteri di una vera e propria leadership.<br />
E’ dunque corretto sottolineare che, nella fase iniziale di contatto con la<br />
criminalità pugliese, sono stati esclusivamente coinvolti singoli appartenenti<br />
alle mafie tradizionali e non le organizzazioni nel loro complesso. 337<br />
Uno dei principali fattori che stanno alla base della “mafizzazione”<br />
della Puglia è da ricercarsi in due sfortunate (consideratene a posteriori le<br />
conseguenze) decisioni politiche: l’invio al soggiorno obbligato nella regione<br />
di alcuni boss siciliani e campani nella seconda metà degli anni settanta e<br />
l’utilizzazione delle carceri pugliesi per la detenzione dei membri della NCO<br />
– decisione scaturita a seguito dell’esigenza di tenerli separati dagli<br />
appartenenti al sodalizio avversario dei Bardellino-Nuvoletta-Zaza con cui<br />
era in corso la “guerra di camorra” – nei primi anni ottanta. 338<br />
A proposito delle deleterie conseguenze del soggiorno obbligato è<br />
sufficiente ricordare il caso del palermitano Amedeo Pecoraro, affiliato alla<br />
potente cosca dei Madonia, vicina ai corleonesi, che inviato nel 1978 nel<br />
comune di Fasano, in provincia di Brindisi, in pochissimo tempo avviò una<br />
collaborazione finalizzata al traffico di eroina con alcuni criminali locali, il più<br />
importante dei quali era Giuseppe D’Onofrio. A riprova dell’interesse di Cosa<br />
Nostra per il territorio pugliese si pensi solo che, allo scadere della misura di<br />
prevenzione, Pecoraro non solo non fece rientro in Sicilia, ma venne<br />
addirittura raggiunto da Pietro Vernengo della famiglia di Santa Maria di<br />
Gesù, specializzata nella raffinazione di eroina, dal contrabbandiere Filippo<br />
Messina e dai trafficanti di stupefacenti Giuseppe Baldi e Stefano Fontana,<br />
tutti convenuti per incrementare il business inaugurato da Pecoraro. 339 Tale<br />
profondo interesse per la Puglia è ulteriormente avvalorato dall’invio nel<br />
brindisino, nei primi anni ottanta, di un uomo di spicco della potentissima<br />
cosca Fidanzati, anch’essa attiva nel traffico di droga: si tratta di Francesco La<br />
Manna, successivamente arrestato in Colombia durante un incontro con i<br />
rappresentanti del cartello di Medellin. 340<br />
Sulla vicenda di Fasano si sarebbero anche soffermati i collaboratori di<br />
giustizia Francesco Marino Mannoia e Joseph Cuffaro: “il noto pentito<br />
337<br />
Cfr. Eurispes-Osservatorio permanente sui fenomeni criminali, La quarta mafia: percorsi e strategie della<br />
criminalità organizzata pugliese, in “up & down”, 7-8, 1994.<br />
338<br />
Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 115.<br />
339<br />
Cfr. R. Gorgoni, op.cit., pp. 268-269.<br />
340<br />
Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 116.<br />
87
Mannoia e tale Joseph Cuffaro, collaborando dinanzi ai giudici palermitani,<br />
fecero un significativo richiamo alla vicenda di Fasano come un esempio di<br />
espansione, verso quella zona della Puglia, della mafia palermitana ed in<br />
particolare come una vera e propria testa di ponte dei Corleonesi e di<br />
Madonia per il traffico di stupefacenti verso il nord Italia”. 341<br />
Ma, nonostante questa vicenda nel suo costituire una prova della<br />
propensione manifestata da Cosa Nostra all’espansione in Puglia sia di<br />
indiscutibile importanza nell’analisi dello sviluppo di una mafia pugliese, è<br />
indispensabile sottolineare che è dalla Campania che partì il più importante<br />
tentativo di colonizzazione della regione: è la Nuova Camorra Organizzata di<br />
Raffaele Cutolo il sodalizio campano che, alla fine degli anni settanta, tenta<br />
l’espansione nella regione, sia a seguito delle gravi difficoltà incontrate a<br />
Napoli, originate dalla cruenta faida con i clan rivali che facevano capo alle<br />
famiglie Bardellino, Nuvoletta e Zaza, sia per una valutazione di tipo<br />
economico, che originò dalla consapevolezza dell’importanza rivestita dalle<br />
coste pugliesi per i traffici illeciti. Per Rocco Sciarrone: “è stata accertata<br />
l’esistenza, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, di un diretto<br />
collegamento tra criminalità pugliese e camorra. Si può dire che il processo di<br />
espansione della camorra in Puglia prende avvio quando i gruppi della NCO<br />
cominciano a trasferire l’attività di contrabbando di tabacchi dal Tirreno alle<br />
coste pugliesi”. 342<br />
Ai contatti estemporanei ed esclusivamente individuali, che avevano<br />
contraddistinto la collaborazione tra la delinquenza autoctona e le mafie<br />
tradizionali, si sostituì da questo momento in poi la strategia di diffusione<br />
camorristica orientata a vere e proprie alleanze permanenti. Ancora una volta<br />
l’istituto del soggiorno obbligato aveva giocato il suo ruolo deleterio, poichè<br />
in Puglia oltre ad elementi di Cosa Nostra, si trovavano anche alcuni<br />
camorristi. 343<br />
Il collaboratore di giustizia Pasquale Galasso ha spiegato che: “fino a<br />
quando Cutolo non evade dal carcere, in Puglia di delinquenza organizzata non<br />
ce n’è; Cutolo è quello che da latitante si porta in Puglia e comincia a creare i<br />
primi associati malavitosi pugliesi alla NCO. Dopo Cutolo si va a creare<br />
341 A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit., p. 121.<br />
342 R. Sciarrone, op.cit., p. 169.<br />
343 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1992),<br />
Tipografia del Senato, Roma 1993. Nel 1979 venne inviato in soggiorno obbligato in Puglia il camorrista<br />
Giuseppe Sciorio che sino al suo omicidio, verificatosi il 28 novembre 1983, sarà una vera e propria “punta di<br />
diamante” della camorra nel foggiano. (Cfr. L. Violante, Non è la piovra, p. 117).<br />
88
questa associazione di gruppi delinquenziali pugliesi [la Sacra Corona Unita]<br />
e ci sono rapporti fra questa associazione e le nostre associazioni campane”. 344<br />
Infatti, il 5 gennaio 1979 in un albergo di Lucera in provincia di Foggia,<br />
Cutolo incontrò un numeroso gruppo di criminali pugliesi e ne affiliò alla<br />
NCO circa una quarantina. Ma l’attività di proselitismo avviata da don<br />
Raffaele non si esaurì qui, orientandosi anche su altre aree della regione,<br />
come il Salento; qualche mese dopo, infatti, Puca, uno dei suoi più stretti<br />
collaboratori, organizzò “la riunione dei 90” a Galatina, in provincia di Lecce,<br />
cui parteciparono anche un rappresentante di Cosa Nostra ed uno della<br />
‘ndrangheta, a riprova che, almeno in questa fase, le altre due organizzazioni<br />
“storiche” non si opponevano all’espansione in Puglia della NCO. 345<br />
Questa intensa attività aveva il preciso obiettivo di dare vita ad una<br />
“camorra pugliese,” con caratteristiche organizzative e strutturali analoghe a<br />
quelle della “casa madre” campana, ma subordinata alla Nuova Camorra<br />
Organizzata, cui avrebbe dovuto versare una provvigione pari al 40% di<br />
ciascun affare illecito realizzato. A tal fine fu direttamente lo stesso Raffaele<br />
Cutolo a nominare i cosiddetti capi-zona pugliesi “a cielo scoperto” vale a<br />
dire in libertà ed “a cielo coperto” cioè in carcere. Questa distinzione,<br />
apparentemente poco significativa, permette invece di focalizzare l’attenzione<br />
sia sulle deleterie conseguenze scaturite dalla decisione governativa di<br />
inviare i detenuti affiliati alla NCO nelle carceri pugliesi, sia sull’estrema<br />
importanza storicamente rivestita, in un’ottica di egemonia del mondo<br />
criminale, dal sottomondo degli istituti di reclusione per la Nuova Camorra<br />
Organizzata. Le ragioni del successo dell’intenso proselitismo perseguito<br />
nell’ambito carcerario dalla NCO sono state così spiegate da Luciano<br />
Violante: “all’interno di tutti gli istituti di pena ci sono gerarchie e regole di<br />
comportamento precise dettate dai gruppi criminali più forti, cui gli altri<br />
devono aderire oppure opporsi scatenando una guerra interna al carcere che<br />
può condurre anche alla morte.[...] Cutolo [...] attraverso le migliaia di affiliati<br />
detenuti poteva imporre in molte carceri italiane la propria volontà. Per i<br />
delinquenti pugliesi detenuti, l’invito dei cutoliani era insieme una cortesia<br />
irrifiutabile, una necessità di vita e una promozione criminale”. 346<br />
344 Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />
giustizia Pasquale Galasso, cit., p. 2240, il corsivo è mio.<br />
345 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, p. 117.<br />
346 L. Violante, Non è la piovra, p. 118.<br />
89
Che la Puglia sia stata una zona di intensa colonizzazione mafiosa è<br />
ulteriormente dimostrato da una sorta di lottizzazione del territorio tra le tre<br />
mafie tradizionali; infatti, secondo Rocco Sciarrone: “l’influenza di Cosa<br />
Nostra sembra essere più rilevante in alcune aree delle province di Brindisi e<br />
Lecce. In quella di Taranto è prevalente l’interesse delle cosche calabresi e nel<br />
Foggiano quello della camorra”. 347<br />
La Commissione Parlamentare antimafia della XII legislatura 348 ha<br />
inoltre posto l’accento sul fatto che lo sviluppo della mafia pugliese ha<br />
coinciso con il dilagare del ricorso a pratiche illegali nel campo della pubblica<br />
amministrazione e con l’imputazione di un grande numero di funzionari e<br />
rappresentanti delle istituzioni. 349<br />
Lo stesso prefetto di Bari ha a questo proposito dichiarato: “si è<br />
verificato uno sviluppo parallelo della criminalità organizzata e di una certa<br />
classe politico-imprenditoriale: la penetrazione della delinquenza è avvenuta<br />
contemporaneamente e anche con l’aiuto di una parte delle forze politiche ed<br />
economiche che hanno dominato incontrastate per decenni consolidando il<br />
loro potere sull’illegalità”. 350<br />
Questo non significa che dove c’è un’estesa corruzione politica e<br />
amministrativa si debba per forza sviluppare un’articolata criminalità<br />
organizzata, tuttavia è innegabile che il circolo vizioso che viene ad<br />
instaurarsi tra i due fenomeni sia fonte di vicendevole rafforzamento.<br />
“La criminalità organizzata rafforza con i suoi pacchetti di voti e le<br />
risorse di violenza i politici corrotti i quali poi utilizzano il loro potere per<br />
accrescere il potere della criminalità organizzata che li appoggia, e, attraverso<br />
l’impunità e il controllo del territorio che garantiscono loro gli appalti,<br />
aumentano il potere dei malavitosi stessi”. 351<br />
Un clima di dilagante corruzione, nel suo deteriorare il tessuto<br />
istituzionale della società locale, realizza comunque quella connivenza<br />
responsabile della riduzione degli ostacoli alla commissione di gravi reati<br />
347<br />
R. Sciarrone, op.cit., p. 157.<br />
348<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in<br />
Puglia, doc. XXIII, n.6, in Commissione Parlamentare antimafia, Relazioni e documenti approvati nella XII<br />
legislatura (18 ottobre 1994-31 gennaio 1996), A.P., Camera dei Deputati, XII legislatura, Roma 1996.<br />
349<br />
Cfr. A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit.<br />
350<br />
Cit. in Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in<br />
Puglia, cit., p. 129 nota.<br />
351<br />
D. della Porta, I circoli viziosi della corruzione in Italia, in D. della Porta-Y. Mény (a cura di), Corruzione e<br />
democrazia. Sette paesi a confronto, Liguori, Napoli 1995, p. 62.<br />
90
associativi; la vicendevole protezione che scaturisce dall’intreccio mafiapolitica<br />
accresce i rispettivi poteri implementandone le possibilità<br />
espansive 352 “e dando luogo ad un adeguamento delle strutture organizzative<br />
ed operative dell’azienda del crimine, che passa da una fase individuale ad<br />
una di tipo consorziale industriale”. 353<br />
Inoltre, come ha rilevato Vannucci: “riducendo i rischi delle transazioni<br />
occulte, la mafia contribuisce all’espansione del mercato della tangente. Al<br />
tempo stesso un’omertà molto forte copre quelle attività, ostacolando<br />
enormemente le indagini della magistratura”. 354<br />
A conferma del fatto che la mafia moderna non si sviluppa in zone<br />
povere ed arretrate, ma, al contrario, punta su habitat contraddistinti da<br />
dinamismo ed espansione economica, è interessante osservare che il periodo<br />
del consolidamento sul territorio pugliese delle organizzazioni mafiose,<br />
avvenuto nel biennio 1985-1986, è contestuale al boom economico vissuto<br />
dalla regione che all’epoca godeva addirittura del “più alto tasso annuo di<br />
crescita economica d’Italia dopo quello del Trentino Alto Adige (21,6%, il 4%<br />
in più del tasso medio italiano) e vive[va] un momento di prosperità<br />
economica e di sviluppo consistente.” 355<br />
Sintetizzando quanto sin qui esposto, è ora possibile affermare che la<br />
stretta interazione di una serie di circostanze di varia natura, originariamente<br />
indipendenti, ha prodotto la nascita e lo sviluppo del fenomeno mafioso in<br />
una zona di non tradizionale insediamento, quale è la Puglia. I fattori più<br />
rilevanti a questo riguardo sono stati: posizione geopolitica della regione che<br />
attrae altri sodalizi criminali per le favorevoli opportunità delinquenziali che<br />
essa detiene in potenza; interesse delle tre mafie tradizionali all’adozione di<br />
una strategia espansiva in Puglia; dinamismo economico dei mercati legali<br />
che, nel loro produrre ricchezza, investimenti e nuove iniziative produttive<br />
fatalmente finirono con l’offrire interessanti opportunità anche a quelli illeciti;<br />
marcato deterioramento delle istituzioni locali, fortemente soggette a<br />
corruzione e collusione con l’underworld criminale; soggiorno obbligato di<br />
affiliati alle consorterie tradizionali che, approfittando della misura di<br />
prevenzione, posero in essere business illegali in nuove zone; utilizzo delle<br />
352<br />
Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 158.<br />
353<br />
A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit., p. 132.<br />
354<br />
A. Vannucci, Politici e padrini. Mafia e corruzione politica in Italia, in D.della Porta-Y.Mény (a cura di),<br />
op.cit., p.84.<br />
355<br />
N. Piacente, Seconda a nessuno, in “Narcomafie”, 7/8, 1997, p.18. Peraltro lo stesso Piacente rileva come il<br />
tasso di investimento pubblico sia superiore del 30% alla media italiana.<br />
91
carceri pugliesi per la detenzione di camorristi della NCO, con la conseguente<br />
affiliazione all’organizzazione campana dei delinquenti autoctoni ivi reclusi;<br />
imitazione da parte della delinquenza locale dei modelli criminali “di<br />
successo” introdotti dalle mafie colonizzatrici; inconsistenza dell’azione di<br />
contrasto posta in essere dalle istituzioni, frutto di sottovalutazione e<br />
superficialità.<br />
3.2 Imitazione e originalità<br />
Nel paragrafo precedente si è posto l’accento sull’importanza della<br />
colonizzazione da parte delle tre mafie storiche nel processo di<br />
mafiosizzazione della regione Puglia. E’ peraltro emerso come, tra le tre, sia<br />
stata la camorra ad assumere l’atteggiamento maggiormente invasivo.<br />
“In Puglia […] è soprattutto la camorra a mettere in atto tentativi di<br />
colonizzazione rispetto alla criminalità locale, mentre la ‘ndrangheta e Cosa<br />
Nostra sembrano interessate a trovare alleanze e partner affidabili per portare<br />
avanti traffici illeciti. Anche quando mafiosi calabresi […] intervengono in<br />
modo più sostanziale, con funzioni di regolamentazione, nei rapporti interni<br />
alle organizzazioni criminali pugliesi, sembrano essere spinti in ciò non tanto<br />
dall’obiettivo di assumere il controllo della criminalità locale, quanto<br />
piuttosto dall’esigenza di creare quelle condizioni di garanzia che rendono<br />
più agevole la loro presenza nei mercati illegali della regione. Si tratta pur<br />
sempre di processi di colonizzazione, anche se meno forti e “totalizzanti”<br />
rispetto a quelli progettati dalla camorra”. 356<br />
Qualcosa di simile a quanto verificatosi in Campania, con la nascita<br />
della NCO in risposta alla colonizzazione di Cosa Nostra, si verifica anche in<br />
Puglia, proprio in relazione al disegno dei cutoliani di dominio criminale<br />
sulla regione. Parte della criminalità locale inizia quindi a progettare la<br />
costituzione di consorterie delinquenziali endogene, sulla falsariga del<br />
modello organizzativo di quelle tradizionali.<br />
“Sia la collaborazione continuativa con esponenti delle famiglie<br />
mafiose, che la crescita delle opportunità di azione nei locali mercati leciti e<br />
356 R. Sciarrone, op.cit., p. 170.<br />
92
illeciti, costituiscono dei potenti stimoli alla maturazione e all’espansione<br />
delle formazioni criminali pugliesi”. 357<br />
Ma ciò che è importante osservare è che non è il semplice processo<br />
imitativo a conferire alla criminalità pugliese i caratteri di organizzazione<br />
mafiosa, ma è il riconoscimento che essa riesce ad ottenere dalle mafie<br />
tradizionali.<br />
“Nessuna di queste organizzazioni può muoversi nel panorama<br />
criminale nazionale e internazionale, senza l’appoggio e il riconoscimento<br />
della grandi famiglie mafiose siciliane, calabresi e campane.<br />
L’approvvigionamento dei prodotti del mercato criminale è infatti mediato<br />
da Cosa Nostra, dalla ‘ndrangheta e dalla camorra”. 358<br />
Nel momento in cui alle inevitabili tensioni legate al regime di<br />
sudditanza con la NCO ed alla forte pressione “fiscale” esercitata da<br />
quest’ultima si aggiunge la percezione della profonda crisi che essa sta<br />
vivendo, sia a seguito della repressione statale, sia per la faida che la<br />
contrappone ai clan rivali, parte della malavita pugliese tenta di andare ad<br />
occupare direttamente alcuni spazi nel mondo criminale della regione. In un<br />
rapporto del ROS (Raggruppamento Operativo Speciale) dell’Arma dei<br />
Carabinieri, a questo proposito si afferma: “intuiti i vantaggi che si potevano<br />
ricavare, si svincolarono in tempi successivi dall’iniziale regime di<br />
sudditanza ed imposizione che avevano con i cutoliani e si posero la<br />
prospettiva di consociarsi in un’unica organizzazione, di natura prettamente<br />
pugliese, con l’intento di gestire autonomamente le varie attività delittuose<br />
svolte in Puglia e i derivati ad esse connesse, nonché di controllare eventuali<br />
infiltrazioni di ogni qualsivoglia famiglia mafiosa, come già si era verificato<br />
con la NCO”. 359<br />
Esattamente come nel caso della nascita della NCO è anche in questo<br />
caso il carcere l’ambiente “naturale” ove progettare e realizzare l’avventura<br />
mafiosa “autonomista” pugliese. Ma le analogie con la genesi della camorra<br />
cutoliana si spingono oltre, poiché anche in Puglia il progetto di realizzare<br />
una mafia realmente autoctona, non potendo prescindere da un forte<br />
protettore criminale, viene realizzato sotto l’egida della ‘ndrangheta. Il 25<br />
357<br />
<strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1992), cit.,<br />
p.200.<br />
358<br />
Eurispes-Osservatorio permanente sui fenomeni criminali, La quarta mafia: percorsi e strategie della<br />
criminalità organizzata pugliese, cit., p. 76.<br />
359<br />
Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia,<br />
A.P., Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.7, Roma 1993, p.53.<br />
93
dicembre del 1981 Giuseppe Rogoli, originario di Mesagne nel brindisino ed<br />
all’epoca detenuto nel carcere di Bari a seguito di una condanna a ventitré<br />
anni di reclusione per omicidio a scopo di rapina, fonda la Sacra Corona<br />
Unita, la prima organizzazione mafiosa pugliese indipendente che si prefigge<br />
di dominare tutto il territorio della regione. 360 Il progetto è, come detto,<br />
orchestrato dalla ‘ndrangheta nella persona del potente boss Umberto<br />
Bellocco che in precedenza aveva “battezzato” lo stesso Rogoli. 361 Secondo il<br />
collaboratore di giustizia Annacondia: “il padre della Sacra Corona Unita era<br />
Umberto Bellocco, grande ‘ndranghetista, [essa] è stata fondata dalla<br />
Calabria”. 362<br />
Sull’importante ruolo svolto dalla ‘ndrangheta nella vicenda della<br />
nascita della Sacra Corona Unita si sono soffermati anche gli analisti del<br />
<strong>Ministero</strong> dell’Interno che nel Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata<br />
del 1994 hanno addirittura ipotizzato che alcuni ruoli di vertice<br />
dell’organizzazione pugliese sarebbero stati ricoperti da esponenti della<br />
mafia calabrese. 363<br />
Dal punto di vista organizzativo, secondo Gorgoni: “la Scu delle origini<br />
divide la Puglia in due aree di competenza: Bari e Foggia da una parte e<br />
Lecce, Brindisi e Taranto dall’altra. Ciascun’area è poi suddivisa in una serie<br />
di subaree. E’ ovvio che una così articolata suddivisione del territorio<br />
comporta un controllo gerarchico e quindi che i preposti al controllo delle<br />
zone abbiano, a seconda della loro importanza, un “grado””. 364<br />
L’idea originale di Rogoli prevedeva infatti una struttura piramidale<br />
sul modello di Cosa Nostra, 365 con otto livelli gerarchici suddivisi in tre fasce<br />
ed un articolato sistema di norme, mutuato dalle consorterie tradizionali, per<br />
regolare l’affiliazione e la promozione interna. 366 Ma l’ambizioso progetto di<br />
360 Cfr. Tribunale di Lecce, Sentenza contro De Tommasi G. più 133, Corte d’Assise, Lecce 1991.<br />
361 Ci si riferisce al rito di affiliazione ‘ndranghetista che, strumentalizzando il ritualismo cristiano, prevede per<br />
gli iniziati la cerimonia del battesimo con un “padrino” che funge da garante per il nuovo adepto.<br />
362 Commissione parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />
giustizia Salvatore Annacondia, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura,<br />
Seduta del 30 luglio 1993, Roma 1993, pp. 2458-2459.<br />
363 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1994),<br />
Tipografia del Senato, Roma 1995, p.124. Si noti inoltre che la stessa scelta del nome e della data di<br />
nascita della nuova consorteria è spiegabile con l’abitudine delle organizzazioni mafiose di servirsi<br />
di elementi sacri.<br />
364 R. Gorgoni, op.cit., p. 242.<br />
365 Cfr. L.Violante, Non è la piovra, cit., p. 119.<br />
366 Cfr. Arma dei Carabinieri, Studio sulla criminalità organizzata in Puglia, con particolare riferimento alla<br />
“Sacra Corona Unita”, Raggruppamento Operativo Speciale (ROS), Bari 1993.<br />
94
organizzare verticisticamente tutto il sottomondo criminale pugliese rimarrà<br />
un’aspirazione, poiché la struttura ideata da Rogoli non resisterà alla<br />
notevole conflittualità interna dei singoli gruppi e alla storica diffidenza e<br />
ostilità che divide, nel territorio pugliese, chi è originario della zona di Bari,<br />
da chi è foggiano o salentino.<br />
“Si afferma piuttosto una struttura ad arcipelago, caratterizzata dalla<br />
frammentazione delle cosche e, di conseguenza, da un’estrema<br />
parcellizzazione territoriale”. 367<br />
Peraltro, questa circostanza non costituirà un problema per la mafia<br />
pugliese poiché permetterà lo sviluppo di numerosi gruppi criminali,<br />
costituendo “un volano di crescita per le organizzazioni mafiose non<br />
ingessate in strutture verticistiche”. 368<br />
Inoltre, proprio la descritta mancanza di coesione interna sarà<br />
responsabile dell’attitudine operativa della SCU che, invece di essere mirata<br />
ad un capillare controllo del territorio sul modello del power syndicate<br />
tipicamente siciliano e calabrese, si caratterizzerà come enterprise syndicate,<br />
privilegiando l’accumulazione di ricchezza e la gestione dei mercati illegali; si<br />
osservino a questo proposito le riflessioni del collaboratore di giustizia<br />
Cosimo Cirfeda: “la filosofia della Sacra Corona Unita, così come concepita<br />
da Rogoli e dai suoi uomini più rappresentativi, è stata basata sul concetto<br />
puramente economico dell’attività della società per il quale l’avanzamento<br />
nella scala gerarchica della stessa non avveniva in base ad una valutazione<br />
dell’effettivo valore dell’uomo o in base al superamento di prove, anche di<br />
sangue, così come proveniva dall’insegnamento delle altre organizzazioni,<br />
bensì sulla valutazione fatta da Rogoli della capacità di qualsiasi persona di<br />
portare utili e ricavo a lui e ai suoi uomini”. 369<br />
Ciò non significa assolutamente che la SCU non sia identificabile col<br />
concetto di associazione mafiosa poiché, come ha osservato il magistrato<br />
Nicola Piacente, il suo carattere mafioso deriva comunque da una gestione<br />
dei mercati illegali che “passa attraverso la formazione e l’aggregazione del<br />
consenso” 370 e ciò può andare a costituire la premessa per un successivo<br />
stadio evolutivo maggiormente incentrato sul controllo del territorio.<br />
367 R.Sciarrone, op.cit., p. 173.<br />
368 R. Gorgoni, op.cit., p. 246.<br />
369 Cit. in N.Piacente, op.cit., p. 16.<br />
370 Ibidem.<br />
95
La Sacra Corona Unita ha palesato, sin dalle origini, una necessità<br />
quasi fisiologica di ricorrere ad un esasperato ritualismo, allo scopo di dotare<br />
un’organizzazione del tutto priva di tradizioni di un “marchio” di<br />
riconoscimento e di permettere ai propri adepti di avvertire in maniera più<br />
profonda la propria condizione di affiliati; dalle risultanze investigative è<br />
emerso che tali codici comportamentali e simbolici non vennero però<br />
realizzati semplicemente ricorrendo alla strumentalizzazione delle tradizioni<br />
pugliesi, ma invece trassero la propria origine da quelli delle mafie storiche,<br />
che venivano semplicemente rivisitati in chiave locale, rimanendo<br />
sostanzialmente immutati nelle proprie caratteristiche fondamentali. In<br />
particolare, sia perché la ‘ndrangheta mediante Bellocco 371 fu la consorteria di<br />
riferimento nella genesi della SCU, sia perché essa tra i sodalizi storici è senza<br />
dubbio quella che offre il più corposo bagaglio di simboli e rituali, fu proprio<br />
la mafia calabrese la principale fonte di ispirazione di Rogoli; ciò è vero sia<br />
per quanto concerne la redazione delle “leggi” e dei “rituali” pugliesi (nella<br />
documentazione sulle formule di giuramento e sui riti di iniziazione è<br />
costante il richiamo alla “Famiglia Montalbano” di cui si è riferito nel capitolo<br />
dedicato alle origini della ‘ndrangheta), sia per la stessa struttura<br />
organizzativa che man mano acquisirà la SCU; per Maritati: “tutti i gruppi<br />
organizzati pugliesi, di cui la Sacra corona unita rappresenta quello più<br />
agguerrito ed organizzato, presentano le caratteristiche delle cosche calabresi<br />
(‘ndrine), perché senza essere organizzati in una o più “famiglie” con<br />
strutture piramidali convergenti comunque in un unico organismo supremo<br />
di comando, operano invece in autonomia, accaparrandosi o spartendosi il<br />
territorio e le attività illecite più lucrose”. 372<br />
La SCU può, senza dubbio, essere considerata l’organizzazione<br />
criminale pugliese che ha operato in maniera maggiormente simile alle mafie<br />
tradizionali, 373 sia nella sua ricerca di coordinamento della criminalità<br />
regionale, sia per i suoi profondi legami con la ‘ndrangheta, sia per gli stabili<br />
collegamenti con altre organizzazioni pugliesi con cui vennero posti in essere<br />
“rapporti di confederazione, di alleanza o di subordinazione”. 374 Inoltre, sulla<br />
base dell’insegnamento della NCO, Rogoli tentò di realizzare un circuito di<br />
371 Oltre che con Bellocco, sono peraltro accertati collegamenti tra Rogoli e la ‘ndrangheta reggina di Paolo De<br />
Stefano (Cfr. L.Violante, Non è la piovra, cit., p.119).<br />
372 A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit., p. 131.<br />
373 Cfr. Tribunale di Lecce, Sentenza contro Leone P. più altri, Corte d’Appello, Lecce 1990 e Tribunale di<br />
Lecce, Ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Accettura R. più 68, Ufficio del Giudice per<br />
le indagini preliminari, Lecce 1993.<br />
374 R. Sciarrone, op.cit., p. 174.<br />
96
tutela e assistenza nei confronti dei detenuti che si affiliavano alla SCU,<br />
ottenendo il duplice risultato già sperimentato da Cutolo, di incrementare la<br />
coesione interna e di ottenere nuove affiliazioni nel sottomondo degli istituti<br />
di pena. 375<br />
Tuttavia, la storia della Sacra Corona Unita è quella di un sodalizio<br />
criminale che accantona rapidamente il progetto di dotarsi di una struttura<br />
coesa e piramidale sul modello siciliano. E’ comunque corretto osservare che<br />
tale evoluzione organizzativa non è esclusivamente riconducibile a concetti<br />
come le peculiarità etnico sociali regionali, la difficoltà di imporre una<br />
disciplina malavitosa ai propri aderenti, l’inesperienza di una organizzazione<br />
appena nata, ma anche al disegno delle mafie tradizionali teso ad evitare la<br />
costituzione di un quarto polo mafioso che col tempo avrebbe potuto divenire<br />
un temibile concorrente. La profonda conflittualità, le scissioni e<br />
riunificazioni, la creazione di altre consorterie pugliesi che non riconoscono<br />
alla SCU il monopolio dell’illecito sull’intera regione, sottintendono, oltre che<br />
una fragile unità organizzativa, soprattutto l’influenza “delle altre<br />
organizzazioni che avevano adottato in Puglia il principio del divide et impera.<br />
Mentre in Calabria Cosa Nostra era intervenuta per mettere fine alla guerra<br />
di mafia di Reggio Calabria, nessuno sarebbe mai intervenuto in Puglia per<br />
mettere un po’ d’ordine. Evidentemente l’ordine in Puglia non<br />
interessava”. 376<br />
Già nel febbraio del 1984 nel carcere di Pianosa viene creata la<br />
“Famiglia Salentina Libera”, ad opera del leccese Salvatore Rizzo che<br />
intendeva rivendicare l’autonomia della criminalità del Salento dal disegno<br />
monopolizzatore della Sacra Corona Unita.<br />
Poi, a seguito delle ammissioni di Rogoli rese al giudice istruttore di<br />
Bari Alberto Maritati nel maggio dello stesso anno in ordine all’effettiva<br />
esistenza della SCU ed alla sua funzione di coordinamento e<br />
regolamentazione della criminalità pugliese, gli affiliati di Foggia e Bari se ne<br />
scindono ed il ramo leccese si rifonda con il nome di “Remo Lecce Libera” 377 ;<br />
a riprova del profondo disordine che contraddistingue la criminalità<br />
organizzata pugliese, nel 1986 anche la Famiglia Salentina Libera si dissolve e<br />
viene sostituita da un nuovo sodalizio che prende il nome di “Nuova<br />
375 Cfr. Tribunale di Lecce, Sentenza contro De Tommasi G. più 133, cit.<br />
376 L.Violante, Non è la piovra, cit., pp. 119-120.<br />
377 Dal nome di un criminale locale, Remo Morello, che era stato ucciso nei primi anni ottanta da uomini della<br />
NCO poiché si opponeva fermamente ai tentativi di colonizzazione dell’organizzazione campana (Cfr. R.<br />
Sciarrone, op.cit., p. 175).<br />
97
Famiglia Salentina,” che si propone di instaurare una pacifica coesistenza con<br />
la SCU fondata su un’equa suddivisione delle aree illegali. Rogoli,<br />
consapevole del momento estremamente complesso vissuto dalla SCU che sta<br />
perdendo quel poco della coesione organizzativa raggiunta, fonda la “Nuova<br />
Sacra Corona Unita,” ma non riesce comunque a riassorbire i gruppi foggiani,<br />
che intendono serbare la propria autonomia. Ancora più complessa è la<br />
situazione nel barese, dove operano diverse entità criminali autonome: alcuni<br />
sodalizi nel 1987, grazie all’appoggio della cosca Fidanzati appartenente a<br />
Cosa Nostra e con il beneplacito della ‘ndrangheta e dello stesso Rogoli che è<br />
consapevole di non potere agire diversamente, si associano in una nuova<br />
consorteria che verrà denominata “La Rosa” con a capo il boss Oronzo<br />
Romano; 378 ma il territorio di Bari nel quadriennio 1989-1992 sarà teatro di<br />
una cruenta faida, poiché altri gruppi si schiereranno con la potente famiglia<br />
di Savino Parisi, che spadroneggia sul rione Japigia, ed altri ancora con il<br />
gruppo facente capo al boss Salvatore Annacondia, personalmente affiliato dal<br />
1989 a Cosa Nostra. Essere affiliati alla mafia siciliana, come ha ammesso lo<br />
stesso Annacondia, 379 garantiva sia una forma di tutela dalla conflittualità che<br />
stava sconvolgendo il territorio del capoluogo pugliese, sia la possibilità di<br />
operare sotto il “marchio” di Cosa Nostra che era unanimemente riconosciuto<br />
nei mercati illeciti nazionali ed internazionali. 380<br />
Un’altra importante organizzazione autoctona operante sul territorio<br />
pugliese è la “Rosa dei Venti”, fondata nel settembre del 1990, nel carcere di<br />
Lecce, dai pregiudicati De Tommasi e Stranieri ancora una volta per sancire<br />
l’autonomia della criminalità salentina dal resto della regione. Dietro alla<br />
nascita di quest’ultima consorteria ci sarebbero ancora una volta alcuni<br />
gruppi criminali calabresi, 381 ma le risultanze giudiziarie raccontano che vi<br />
sarebbe anche una componente riferibile alle dinamiche di interazione<br />
profondamente conflittuali che contraddistinguono i rapporti tra esponenti<br />
della malavita pugliese; infatti pare che la “Rosa dei Venti” tragga la propria<br />
origine soprattutto dall’odio che separava Rogoli da De Tommasi e dal grave<br />
affronto subito da quest’ultimo che aveva dovuto prendere atto del rifiuto di<br />
Rogoli, all’atto del suo ingresso nel carcere di Lecce, di farsi recludere nel suo<br />
378<br />
Cfr. Eurispes-Osservatorio permanente sui fenomeni criminali, La quarta mafia: percorsi e strategie della<br />
criminalità organizzata pugliese, cit., p. 58.<br />
379<br />
Cfr. Commissione parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />
giustizia Salvatore Annacondia, cit., p.2462.<br />
380<br />
Cfr. D.Gambetta, La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Einaudi, Torino 1992, p. 216.<br />
381<br />
Cfr., <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1994),<br />
cit., pp. 124 sgg.<br />
98
stesso braccio, preferendo proprio quello dove si trovavano gli assassini di<br />
suo fratello. 382<br />
Quest’ultimo aneddoto è profondamente esemplificativo di due aspetti<br />
ricorrenti nelle dinamiche evolutive vissute dalla “quarta mafia”: il primo è<br />
che esse sono senza dubbio condizionate dalle mire espansionistiche delle<br />
mafie tradizionali (in questo caso della ‘ndrangheta), ma anche notevolmente<br />
influenzate dalle rivendicazioni autonomistiche dei gruppi autoctoni e<br />
soprattutto dai rapporti spesso contrastanti tra i leader; il secondo è invece da<br />
riferirsi alla predilezione di alcuni tra i principali sodalizi criminali pugliesi<br />
(Sacra Corona Unita, Nuova Sacra Corona Unita, Remo Lecce Libera, Rosa<br />
dei Venti) nell’instaurare rapporti con la ‘ndrangheta, “storicamente intesa<br />
come associazione madre più completa.” 383 Le cosche pugliesi, pur<br />
manifestando istanze autonomiste, hanno spesso non solo tollerato, ma<br />
addirittura sollecitato un riconoscimento, considerato prestigioso, da parte<br />
della ‘ndrangheta, in aperto contrasto con l’atteggiamento serbato nei<br />
confronti della camorra. Enzo Ciconte ha tentato di fornire una spiegazione a<br />
questa differente attitudine nei confronti delle mafie esogene: “probabilmente<br />
perché la ‘ndrangheta nel rapporto con le altre organizzazioni si muoveva<br />
lungo una via che era quella di stabilire zone di influenza per portare avanti i<br />
propri traffici illeciti senza porsi problemi di egemonia o di predominio<br />
ossessivo sulle altre organizzazioni e senza ledere l’autonomia altrui.<br />
Sembrano stabilirsi rapporti, per così dire, alla pari. I calabresi si sono sempre<br />
ben guardati dall’interferire nelle guerre interne alle altre organizzazioni. Le<br />
consideravano come faccende di quelle organizzazioni, che dovevano<br />
dirimere da sole”. 384<br />
Ma, a prescindere del rapporto spesso privilegiato intessuto con la<br />
‘ndrangheta, pare interessante evidenziare come il processo di<br />
mafiosizzazione della Puglia si sia differenziato da quello di altre aree italiane<br />
soggette all’espansione di sodalizi criminali esogeni, come per esempio<br />
alcune regioni del Nord. In queste zone la colonizzazione non ha prodotto il<br />
risultato, verificatosi invece in Puglia, di dare vita ad una forte mafia locale,<br />
non ha insomma, per usare le parole di Gorgoni, dato luogo a “crimine<br />
382 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 175.<br />
383 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Relazione sull’attività delle forze di polizia e sullo stato dell’ordine e della<br />
sicurezza pubblica nel territorio nazionale (anno 1995), Tipografia del Senato, Roma 1996.<br />
384 E. Ciconte, Processo alla ‘ndrangheta, Laterza, Roma-Bari 1996, p.208.<br />
99
organizzato con tendenze antagoniste.” 385 Qui, la malavita locale solo<br />
raramente ha intrapreso azioni di contrasto alla penetrazione esogena,<br />
preferendo propendere per un atteggiamento accomodante, improntato al<br />
raggiungimento di accordi per il rispetto delle rispettive aree illecite di<br />
interesse, che è spesso culminato in una posizione subalterna rispetto alle<br />
potenti mafie colonizzatrici. 386<br />
3.3 Il contrabbando<br />
Il più redditizio traffico illecito della Sacra Corona Unita resta ancora il<br />
contrabbando, il quale ha purtroppo finito con il costituire una fondamentale<br />
risorsa dell’economia regionale, se solo si pensa all’elevato numero di<br />
persone anche non affiliate coinvolte in qualità di manovalanza nelle<br />
operazioni di imbarco e sbarco e ai numerosi depositi ubicati sul territorio. 387<br />
Questa attività illegale che, come si è sottolineato precedentemente, è stata<br />
tradizionalmente praticata dalla malavita pugliese, ha vissuto, al termine del<br />
processo che ha determinato l’egemonia della Sacra Corona Unita, un<br />
ulteriore sviluppo, poiché alla flessibilità operativa garantita da molteplici<br />
organizzazioni satelliti e indipendenti 388 , dunque molto difficili da<br />
contrastare, si è aggiunta una forte sovrastruttura in grado di ottimizzarne la<br />
gestione complessiva e di condurre efficacemente la contrattazione sui<br />
mercati internazionali sia con altre consorterie illegali, sia con gli stessi<br />
produttori di sigarette. E’ infatti documentato addirittura un tentativo di<br />
compenetrazione nella struttura societaria della Philip Morris, attraverso<br />
l’acquisto di consistenti quote azionarie della multinazionale americana del<br />
tabacco. 389<br />
A ciò si deve aggiungere che la superiorità organizzativa e la forza<br />
militare raggiunte dalla Sacra Corona Unita hanno permesso a quest’ultima<br />
di imporre il meccanismo della protezione – estorsione su tutte le transazioni<br />
385<br />
R. Gorgoni, op.cit., p. 23.<br />
386<br />
Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 176.<br />
387<br />
Cfr. N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, intervista di L. Rastello, in<br />
“Narcomafie”, 7, 1995, p. 15.<br />
388<br />
Cfr. Questura di Brindisi, Informativa di denuncia a carico di Andriola più altri, Brindisi 1994.<br />
389<br />
Cfr. N. Piacente, Seconda a nessuno, cit., pp. 16-17.<br />
100
illegali svolte nella regione, comprese quelle tra soggetti non mafiosi in senso<br />
stretto. 390<br />
Il giudice Falcone in ordine alla pratica del contrabbando osservava: “il<br />
contrabbando è stato a lungo ritenuto una violazione di lieve entità perfino<br />
negli ambienti investigativi e giudiziari ed il contrabbandiere è stato<br />
addirittura tratteggiato dalla letteratura e dalla filmologia come un romantico<br />
avventuriero. La realtà era però ben diversa…” 391<br />
Purtroppo il contrabbando è stato a lungo considerato un’attività<br />
illecita minore, in funzione dello scarso allarme sociale da esso destato e della<br />
sua effettiva funzione di ammortizzatore sociale che riesce a realizzare in<br />
realtà fortemente soggette alla disoccupazione ed alla povertà; chiunque<br />
abbia avuto la possibilità di visitare Brindisi o Taranto può capire quanto sia<br />
diffusa questa pratica anche tra chi non si considera, e non può effettivamente<br />
essere ritenuto un mafioso. La Sacra Corona Unita ha saputo sfruttare al<br />
massimo questa situazione, passando a gestirlo mediante una metodologia<br />
mafiosa.<br />
“La circostanza che il contrabbando avesse una così grande diffusione<br />
poteva consentire all’organizzazione che ne avesse acquisito il controllo e la<br />
gestione diretta di puntare sulla contiguità, se non sull’affiliazione di un<br />
numero enorme di persone. E questo significa controllo del territorio”. 392<br />
La peculiare geopolitica regionale, con le coste dell’ex Jugoslavia a<br />
poche miglia nautiche di distanza, ha consentito alla Sacra Corona Unita,<br />
soprattutto dopo le note vicende del conflitto serbo-croato, “di fare il salto di<br />
qualità o, quantomeno, di accreditarsi rispetto alle altre organizzazioni<br />
criminali come interlocutrice privilegiata per alcuni traffici.” 393<br />
Le vicende politiche dell’ex Jugoslavia e la profonda instabilità che ne è<br />
conseguita, associata alla repressione che ha colpito gli affiliati della Sacra<br />
Corona Unita, hanno indotto questi ultimi a cercare rifugio sulle coste<br />
montenegrine dove è anche stato possibile, grazie alla connivenza delle forze<br />
di polizia locali, creare infrastrutture per il contrabbando di sigarette.<br />
390<br />
Cfr. M. Fiasco, Geopolitica mafiosa del Mediterraneo. Il modello italiano di contrasto del crimine<br />
organizzato, Mimeo, Bruxelles 1995, p. 7.<br />
391<br />
G. Falcone, Interventi e proposte (1982-1992), Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, Sansoni, Firenze<br />
1994, p.322.<br />
392 N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, cit., p. 15. Si noti, proprio in tale<br />
fattispecie, quanto siano simili le strategie ed il modus operandi della mafia pugliese e della camorra<br />
393 N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, cit., p. 15.<br />
101
“Dopo i colpi che subisce tra il 1991 e il 1993, la SCU trasferisce la<br />
direzione strategica nel Montenegro, incoraggiata dal disordine istituzionale<br />
che offre sicurezza ai suoi latitanti […]. Dalla nuova sede operativa, i grandi<br />
latitanti brindisini saggiano le potenzialità che offrono gli eventi di guerra per<br />
valorizzare le loro risorse, che consistono nella spendibilità del network del<br />
contrabbando per muovere carichi di armi e di valuta, oltre che nei<br />
collegamenti tra oriente e l’Europa. Attorno a quel nucleo salentino si forma<br />
un milieu di criminali baresi, siciliani, calabresi”. 394<br />
Questa strategia è stata poi responsabile di un ulteriore risultato: si è<br />
accelerato il processo di conversione del network del contrabbando in una<br />
struttura pronta a garantire una proficua conduzione di altri traffici illeciti<br />
prettamente strumentali alle condizioni di guerra, 395 primo fra tutti quello di<br />
armi 396 ed in misura minore quello di droga. 397<br />
“A questo proposito è necessario precisare che l’intreccio tra tabacchi<br />
lavorati esteri e droga non avveniva - e non avviene neppure oggi – nel senso<br />
di una sovrapposizione dei canali di traffico. Il valore di ciascuna merce,<br />
inversamente proporzionale al volume, è troppo differente. I rischi di una<br />
commistione nel trasporto e nella distribuzione sarebbero troppo alti.<br />
Tuttavia è ampiamente mostrato che il know-how accumulato dalle diverse<br />
organizzazioni criminali nel contrabbando ha finito poi per rivelarsi<br />
spendibilissimo nei traffici più diversi, dalle droghe leggere e pesanti alle<br />
armi”. 398<br />
Contrariamente a quanto prima osservato per il contrabbando di<br />
tabacchi, la Sacra Corona Unita non è riuscita a interagire direttamente con i<br />
grandi produttori internazionali di stupefacenti, ma ha dovuto<br />
frequentemente fare ricorso ad intermediari appartenenti alle mafie<br />
tradizionali; la scelta di impegnarsi maggiormente nella risorsa locale<br />
394<br />
M. Fiasco, op.cit., p.6.<br />
395<br />
Ibidem.<br />
396<br />
E’ infatti noto che questo processo ha finito con il rendere le cosche pugliesi le più importanti fornitrici<br />
d’armi alle altre organizzazioni criminali italiane. (Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno<br />
della criminalità organizzata (anno 1995), Tipografia del Senato, Roma 1996, p. 19).<br />
397<br />
Pare che questa attività illecita fosse inizialmente stata sfruttata solamente da alcuni gruppi criminali e non<br />
dall’organizzazione nel suo complesso ( Cfr. Tribunale di Lecce, Sentenza contro De Tommasi G. più 133, cit.,<br />
pp.143 sgg.); poi, proprio a seguito del conflitto jugoslavo e del conseguente dirottamento del traffico di droga<br />
sulle cosche pugliesi, si è assistito ad un ben più marcato interesse della mafia pugliese per questa attività. I<br />
trafficanti sono infatti stati costretti “ ad utilizzare, in alternativa alla parte terminale della classica “rotta<br />
balcanica”, un nuovo percorso marittimo che prevede lo sbarco della droga nei porti pugliesi ed il suo<br />
trasferimento al Nord via autostrada.” (<strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della<br />
criminalità organizzata (anno 1992), cit., pp. 210-211).<br />
398<br />
R. Gorgoni, op.cit., p. 265.<br />
102
costituita dal contrabbando può dunque essere interpretata come funzionale<br />
alla creazione di un regime di monopolio gestionale su almeno un’attività<br />
illecita, caratteristica che una vera mafia deve assolutamente detenere, alfine<br />
di accreditare la propria reputazione nel panorama criminale nazionale ed<br />
internazionale. A questo proposito, il magistrato Nicola Piacente ha<br />
osservato: “il percorso strategico della Scu è inverso rispetto a quello di<br />
‘ndrangheta e camorra, società contrabbandiere convertitesi col tempo agli<br />
stupefacenti: la Scu nasce come organizzazione che, quanto meno in Puglia,<br />
intende assumere il controllo della droga, non ce la fa e si converte, sia pure<br />
con l’introduzione di metodologie mafiose, al contrabbando”. 399<br />
Contrariamente a quanto spesso sostenuto dai mass media ed alla<br />
diffusa convinzione dell’opinione pubblica, un’attività illecita nei confronti<br />
della quale la mafia pugliese si è tutto sommato disinteressata è quella<br />
dell’immigrazione clandestina; 400 l’interesse della SCU per il traffico di esseri<br />
umani pare infatti essere limitato al meccanismo dell’estorsione-protezione<br />
nei confronti di quei soggetti criminali che ne sono protagonisti; 401 essa non vi<br />
parteciperebbe direttamente “perché assicura guadagni tutto sommato<br />
ristretti rispetto al contrabbando e comporta margini di rischio notevoli, per<br />
la possibilità che le persone trasportate collaborino con le autorità italiane.” 402<br />
Le risultanze investigative hanno evidenziato che la gestione di questo<br />
business è nelle mani di alcune organizzazioni albanesi che hanno tentato di<br />
trovare dei partner italiani ma, considerato il manifesto disinteresse delle<br />
organizzazioni mafiose, si sono orientate verso “soggetti che molto spesso<br />
avevano avuto dei trascorsi economici non propriamente brillanti: falliti,<br />
protestati, persone considerate assolutamente inaffidabili dalle banche che<br />
hanno svolto una vera e propria attività di supporto logistico nei confronti<br />
delle organizzazioni albanesi.” 403 Infatti, secondo il <strong>Ministero</strong> dell’Interno:<br />
“non si hanno, allo stato, risultanze che confermino la costituzione tra gli<br />
albanesi di organizzazioni criminali di tipo mafioso, né la loro affiliazione a<br />
quelle presenti in Italia”. 404<br />
399<br />
N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, cit., p. 16.<br />
400<br />
Ivi, p. 15.<br />
401<br />
Cfr. M. Fiasco, op.cit., p. 7.<br />
402<br />
N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, cit., p. 17.<br />
403<br />
N. Piacente, Seconda a nessuno, cit., p. 19.<br />
404<br />
<strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata (anno 1996),<br />
Tipografia del Senato, Roma 1997.<br />
103
Esiste invece una spartizione dei contesti illegali che permette ai gruppi<br />
albanesi di gestire i loro traffici illeciti, dietro il pagamento di una tangente<br />
alla criminalità autoctona, “legittima proprietaria” del territorio pugliese.<br />
“Esiste dunque una direttrice di ingresso in Italia di tabacchi lavorati<br />
esteri e di armi che provengono dalla ex Jugoslavia gestita in maniera<br />
monopolistica dalla Scu, e una direttrice di ingresso di clandestini e droghe –<br />
leggere, perché gli albanesi non hanno mai avuto contatti diretti con le grandi<br />
organizzazioni del narcotraffico internazionale – che proviene dall’Albania e<br />
che è gestita direttamente da organizzazioni albanesi, e se ci sono componenti<br />
italiani in questa organizzazione, non fanno parte della Scu”. 405<br />
Questa “coabitazione” dell’illegalità da parte di gruppi criminali<br />
diversi è particolarmente sviluppata nella zona di Brindisi, dove “si assiste<br />
alla presenza contestuale nello stesso territorio di alcune organizzazioni<br />
criminali che hanno trovato un loro punto di equilibrio per quanto riguarda<br />
le attività illecite che devono svolgere e i capitali da reinvestire.” 406<br />
Come osservato da Barbagli, anche se negli ultimi anni il numero di<br />
reati commesso da immigrati è decisamente aumentato, non risulta ancora<br />
che essi siano entrati nei settori illegali gestiti dalla mafia pugliese 407 , in<br />
ossequio ad una logica non conflittuale, probabilmente risultato di un<br />
accordo consensuale per la spartizione dei mercati illegali. 408<br />
3.4 Caratteristiche<br />
Tralasciando l’analisi della distribuzione territoriale e numerica per<br />
province dei singoli sodalizi e degli affiliati, è comunque ora possibile<br />
delineare quali siano le caratteristiche più significative della mafia pugliese.<br />
Secondo gli analisti del Viminale: “le manifestazioni criminali pugliesi<br />
sono in gran parte riconducibili alla categoria del gangsterismo urbano: si<br />
tratta per lo più di bande composte da un numero consistente di individui,<br />
che si caratterizzano per un’età media relativamente bassa, una elevata<br />
eterogeneità socio-culturale derivante dalla scarsa severità dei criteri di<br />
405<br />
N. Piacente, Seconda a nessuno, cit., p. 19.<br />
406<br />
Ibidem.<br />
407<br />
Cfr. M. Barbagli, Immigrazione e criminalità in Italia, Il Mulino, Bologna 1998, p.72.<br />
408 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 184.<br />
104
eclutamento, ed una bassa capacità di infiltrazione e di manipolazione delle<br />
istituzioni pubbliche”. 409<br />
Ciò che pare emergere è dunque che, per quanto le varie consorterie<br />
mafiose pugliesi abbiano a più riprese palesato una sorta di “predilezione”<br />
per il modello offerto dalla ‘ndrangheta, cui corrisponde un ben più<br />
sporadico ricorso a rapporti organici con Cosa Nostra e addirittura una forte<br />
avversione per la camorra e per il suo tentativo di colonizzazione e controllo<br />
della criminalità autoctona, in concreto invece è proprio con quest’ultimo<br />
sodalizio, perlomeno nelle sue manifestazioni più recenti, che si possono<br />
riscontrare le maggiori affinità.<br />
Innanzitutto il carattere di criminalità di massa, con la capacità di<br />
governare la disperazione sociale ed un consistente ricorso al reclutamento di<br />
manovalanza, spesso minorile 410 , da qualsiasi ambito delinquenziale, in<br />
ossequio ad una manifesta labilità dei criteri di reclutamento; 411 la pressoché<br />
totale mancanza del ricorso al familismo nella formazione delle cosche, che<br />
viene sostituito da un altro requisito di identificazione: la comune origine<br />
territoriale; 412 la struttura pulviscolare, o ad arcipelago, che se da un lato<br />
conferisce elasticità e flessibilità all’organizzazione, dall’altro la pone nella<br />
necessità di fronteggiare una sorta di conflitto perenne tra i singoli clan e,<br />
all’interno degli stessi, tra gli affiliati che vivono questa mancanza di<br />
coesione come una chance di affermazione personale; il carattere “aperto” e<br />
dinamico delle cosche che le porta ad un frequente interscambio con altre<br />
forme criminali “che si sviluppa secondo logiche di alleanza, di<br />
inglobamento, di confederazione” 413 ed all’attribuzione della leadership<br />
interna ad individui anche di giovane età; la scarsa compenetrazione, se<br />
409<br />
<strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1992), cit.,<br />
p.202.<br />
410<br />
“Una specificità della mafia pugliese, che l’accomuna alla camorra, è l’utilizzazione di minori. Si tratta però<br />
di un fenomeno non omogeneo sul territorio regionale; il dato è rilevante nelle province di Bari e Foggia, lo è<br />
meno a Brindisi e Lecce. Si può trarre un principio da questa prima valutazione, per il quale a forme<br />
consolidate e strutturate di criminalità corrisponde un basso ricorso ai minori; al contrario le organizzazioni<br />
criminali meno strutturate tendono a utilizzare ogni tipo di disponibilità, compresa quella minorile. Infatti a<br />
Brindisi e Lecce c’è tradizionalmente una criminalità più strutturata rispetto a Bari e Foggia. Il principio<br />
sembrerebbe confermato guardando a Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra. Le prime due organizzazioni non si<br />
avvalgono di minori. La camorra, invece, che è molto più labile dal punto di vista organizzativo, se ne avvale<br />
ampiamente.” (L. Violante, Non è la piovra, cit., pp. 136-137).<br />
411<br />
Si pensi, solo per fare un esempio, all’elevata probabilità di trovare tra le file degli affiliati alla mafia<br />
pugliese ed alla camorra tossicodipendenti o spacciatori, eventualità assolutamente impensabile nella<br />
‘ndrangheta ed in Cosa Nostra dove l’estrema rigidità dei criteri selettivi non permette a queste categorie di<br />
entrare nelle cosche.<br />
412<br />
Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 178.<br />
413<br />
Cfr. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., p.20.<br />
105
affrontata a quella di Cosa Nostra e ‘ndrangheta, dei centri di potere; la<br />
bassa età media degli affiliati.<br />
Si potrebbe motivare una così marcata affinità tra la mafia pugliese e la<br />
camorra ricordando come l’unica consorteria tradizionale che abbia attuato<br />
un progetto di palese colonizzazione della Puglia sia stata proprio<br />
quest’ultima, e che quindi il “marchio” impresso dai cutoliani sia penetrato<br />
così a fondo nella criminalità autoctona da influenzarne ineluttabilmente lo<br />
sviluppo successivo; tuttavia questa interpretazione pare un po’ troppo<br />
semplicistica, considerato il breve periodo di effettivo dominio della NCO.<br />
Più probabilmente, queste marcate analogie con la mafia campana sono da<br />
imputarsi ad altri due fattori: innanzitutto entrambe le consorterie contano su<br />
un’origine urbana e non rurale e tale circostanza, come è emerso nel<br />
paragrafo dedicato alle caratteristiche della camorra, è come minimo<br />
responsabile del loro comune carattere di massa e di strumentalizzazione<br />
della disperazione sociale. Secondariamente, per quanto la camorra esista<br />
almeno da duecento anni, pare corretto porre l’accento sul fatto che le<br />
caratteristiche assunte da questa entità nell’ultimo trentennio non hanno<br />
quasi nulla a che vedere con il modello originario 414 ; si ritiene quindi<br />
accettabile l’affermazione secondo cui anche la camorra attuale sia, tutto<br />
sommato, una mafia relativamente giovane come senza dubbio è la sua<br />
omologa pugliese. In tal senso, il tentativo cutoliano di strumentalizzare il<br />
ritualismo della camorra delle origini allo scopo di sollecitare il senso di<br />
appartenenza e di nobilitare la figura del camorrista si potrebbe definire un<br />
bluff, considerate quelle che sono state poi concretamente le caratteristiche<br />
espresse dagli affiliati alla NCO, che ben poco hanno avuto a che vedere con i<br />
camorristi pro-plebe ottocenteschi. Ben diversa è la profonda continuità che<br />
sia Cosa Nostra che la ‘ndrangheta hanno saputo mantenere nella loro storia.<br />
Adottando questa chiave di lettura della camorra, diviene quindi<br />
possibile sottolineare come le analogie precedentemente elencate tra i due<br />
sodalizi possano essere imputate alla mancanza di radicamento e di<br />
tradizione che entrambi, seppur in misura diversa, condividono.<br />
Un’altra peculiarità della mafia pugliese è l’avere mantenuto, anche al<br />
termine del processo di autonomizzazione, stretti legami con le mafie<br />
tradizionali, quasi a significare che la nascita di una criminalità organizzata<br />
endogena, invece di avere espulso dalla gestione dei traffici illeciti della<br />
414 Ibidem.<br />
106
egione i gruppi appartenenti a Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra, li abbia<br />
posti nella condizione di potere operare in un habitat criminale maggiormente<br />
organizzato e quindi più efficiente sotto l’aspetto dei risultati. Per Maritati<br />
infatti: “mentre prima, per il compimento di singole operazioni criminali, le<br />
varie mafie erano costrette a scegliere volta per volta l’interlocutore ed il socio<br />
locale, con tutti gli imprevisti e i rischi di una più ridotta “professionalità”;<br />
attualmente le alleanze sembrano essere divenute più rapide ed agevoli,<br />
atteso che il collegamento e l’alleanza viene stabilita sulla base della materia<br />
trattata (contrabbando di sigarette, armi, droga, rapimenti, ecc.), del ruolo<br />
rivestito in loco dai vari capi e dalle zone di influenza territoriale”. 415<br />
A riprova di tali considerazioni, sono accertati stretti legami con le tre<br />
mafie tradizionali soprattutto nella zona della provincia di Taranto. 416 E’<br />
comunque sempre preponderante il rapporto con la ‘ndrangheta,<br />
probabilmente in ossequio alla contiguità geografica tra le due regioni, che è<br />
talmente forte da permettere addirittura l’inserimento di capibastone<br />
calabresi nei vertici dei gruppi locali; nei confronti di Cosa Nostra vi sono<br />
semplici scambi di uomini e dotazioni per la realizzazione di omicidi,<br />
attentati e rapine, mentre con la camorra permangono legami d’affari<br />
strumentali al contrabbando ed al più recente business dello smaltimento<br />
illecito di rifiuti. 417<br />
“Il processo di imitazione delle mafie tradizionali da parte delle<br />
formazioni criminali pugliesi si evidenzia con la massima intensità nel<br />
frequente ricorso a una simbologia che risulta molto simile a quella tipica<br />
della camorra e soprattutto della ‘ndrangheta, sia pure con l’inserimento di<br />
elementi appartenenti alla tradizione locale (o che tali vengono fatti<br />
apparire)”. 418<br />
Se la propensione ad un marcato ritualismo è tradizionalmente<br />
presente nelle organizzazioni storiche, è ancor più importante nel caso di un<br />
nuovo sodalizio dove si supplisce all’oggettiva mancanza di un codice<br />
culturale radicato con il ricorso ad un esasperato e spesso fittizio ritualismo.<br />
Come ha rilevato Gambetta: “l’appropriazione (e la manipolazione) di una<br />
degna tradizione è pratica comune di ogni istituzione per elevare il proprio<br />
status agli occhi degli altri, e per rafforzare la coesione interna”. 419<br />
415 A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit., p. 133.<br />
416 Cfr. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in<br />
Puglia, cit., pp. 35-36.<br />
417<br />
Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 180.<br />
418<br />
Ivi, p. 184.<br />
419<br />
D. Gambetta, op.cit., p. 186.<br />
107
Come rilevato precedentemente, sotto questo punto di vista la<br />
principale fonte di ispirazione della mafia pugliese è stata la ‘ndrangheta, ed<br />
in misura minore la camorra. Effettivamente questa predilezione per i<br />
modelli simbolici calabresi e campani, cui corrisponde un palese disinteresse<br />
per quelli offerti da Cosa Nostra, trova la sua motivazione nelle numerose<br />
somiglianze nei codici e nei rituali di camorra e ‘ndrangheta e nella scarsa<br />
affinità di questi ultimi con quelli della mafia siciliana 420 ; come ha evidenziato<br />
Ciconte: “è comune alla camorra e alla ‘ndrangheta la pratica costante di una<br />
accentuata e accurata simbologia che si coglie a piene mani. Segno di una<br />
comunanza, di un rapporto stabilitosi nel tempo”. 421<br />
Come avevano a suo tempo fatto le organizzazioni tradizionali, anche<br />
quelle pugliesi si circondano di un apparato simbolico che sembra derivare<br />
“da un cocktail quasi surreale di fonti false e autentiche, personaggi mitici e<br />
quotidiani, invenzione e realtà;” 422 la differenza è che esse lo copiano<br />
direttamente dalle tradizioni dei modelli vincenti offerti dalle mafie storiche.<br />
Tuttavia, la caratteristica di avere importato i propri codici da fonti esterne e<br />
non averne quindi elaborati di propri non implica affatto che “siano senza<br />
scopo, né che gli importatori stessi, in questo caso la mafia, non siano autentici,<br />
quasi che la falsità della simbologia li potesse contaminare. Tale pensiero si<br />
fonda sulla convinzione che coloro i quali non producono i propri simboli,<br />
ma li copiano, siano essi stessi inautentici: trasposta nel mondo comune<br />
questa idea è ovviamente ridicola.” 423<br />
Specificamente, i rituali adottati dal principale gruppo mafioso<br />
pugliese, la Sacra Corona Unita, hanno una manifesta origine ‘ndranghetista<br />
cui si affiancano una serie di innovazioni autoctone: per esempio,<br />
analizzando la complessa “liturgia” prevista per il passaggio di grado<br />
all’interno dell’organizzazione, si possono osservare elementi tipicamente<br />
calabresi, come l’invocazione ai tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e<br />
Carcagnosso, o il richiamo alla tradizione massonica con Garibaldi,<br />
Lamarmora e Mazzini, affiancati da riferimenti a personaggi mutuati dalla<br />
letteratura (il Conte Ugolino, Fiorentin di Russia, Cavalier di Spagna, Athos e<br />
Porthos) e dalla storia antica e moderna (Carlo Magno, Cavour). Inoltre si<br />
provvede alla realizzazione dei cosiddetti “Rintagli” che Gorgoni ha definito:<br />
420 Ivi., pp. 211-212.<br />
421 E. Ciconte, ‘Ndrangheta dall’Unità a oggi, cit., p. 24.<br />
422 D. Gambetta, op.cit., p. 178.<br />
423 Ivi, p. 187.<br />
108
“una serie di dialoghi, di gesti, di comportamenti necessari al riconoscimento<br />
tra affiliati che non si conoscono.” 424<br />
“L’antropologo Alfonso Maria Di Nola, nel commentare queste<br />
formule, ricorda che esse si riferiscono a varie simbologie, cattolica,<br />
pseudomassonica, veteroborbonica, scelte probabilmente per la loro idoneità<br />
a confermare il vincolo tra gli affiliati sulla base di quanto appare, alla<br />
modesta cultura di queste persone, idoneo allo scopo. L’espressione Sacra<br />
Corona era il titolo con il quale ci si rivolgeva ai sovrani borbonici sino a metà<br />
dell’Ottocento”. 425<br />
La necessità di garantire agli affiliati di un’organizzazione giovane un<br />
“marchio” di garanzia ed una forte identità interna, determina l’esigenza di<br />
inventare una tradizione dove non c’è, fondata su complessi riti nei quali si<br />
mescolano elementi sacri e profani. 426<br />
“Il significato profondo di questo “patrimonio culturale” – mutuato in<br />
larga parte dalla più antica tradizione ‘ndranghetista – non è da ricercare<br />
esclusivamente nei contenuti che veicola, spesso del tutto privi di senso, ma<br />
nella dimensione psicologica che crea e che assume un ruolo centrale nel<br />
processo di costruzione di identità in cui risultano coinvolti non solo i singoli<br />
affiliati, ma l’organizzazione nel suo complesso”. 427<br />
Vi è peraltro una grande differenza con il ritualismo proprio delle<br />
mafie tradizionali: un ricorso esasperato agli elementi mitologici e sacrali.<br />
Analizzando i codici pugliesi, non si può infatti fare a meno di osservare un<br />
strumentalizzazione effettivamente sovradimensionata di questa simbologia,<br />
come se le organizzazioni della regione, consce della loro mancanza di un<br />
pedigree mafioso ma determinate a “clonare” i modelli vincenti offerti dalle<br />
consorterie storiche, avvertissero l’esigenza di colmare il profondo divario in<br />
termini di tradizione che le separa da essi. Maritati ha in tal senso osservato<br />
che: “le forme pseudo-sacrali sono comunque segno di una fase primordiale<br />
dell’associazione criminosa, tant’è che nelle zone ove il fenomeno è ormai di<br />
antica origine non si ha notizia di simili procedure, quanto meno in modo<br />
così evidente”. 428<br />
424 R. Gorgoni, op.cit., pp. 244-245.<br />
425 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 128.<br />
426 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 185.<br />
427 M. Massari, Potere e segreto nella Sacra Corona Unita, Relazione al Convegno su La giovane ricerca<br />
italiana sulla grande criminalità, Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, Sesto Fiorentino, Firenze 8-9<br />
dicembre 1995, p. 10.<br />
428 A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit., p.131.<br />
109
I riti pugliesi sono infinitamente più elaborati e dettagliati di quelli per<br />
esempio di Cosa Nostra, definiti da Gambetta “elementari e non artificiosi,” 429<br />
ma anche di quelli di ‘ndrangheta e camorra, certamente “intricati e<br />
verbosi,” 430 in alcun modo paragonabili a quelli della mafia pugliese che<br />
appaiono “esagerati, come se fossero costruiti solo per far colpo sugli altri.” 431<br />
Tale elaborato ricorso al ritualismo si intreccia con una numerosa<br />
creazione di nomi e sigle delle associazioni mafiose pugliesi; proprio questa<br />
forte dispersione finisce con l’indebolire la loro credibilità, poiché non<br />
permette la creazione di un unico marchio, facilmente riconoscibile e con una<br />
precisa identità. Fatto salvo il tentativo della Sacra Corona Unita, non si è<br />
infatti verificata l’affermazione di un marchio comune o predominante sugli<br />
altri; inoltre la denominazione assunta dai sodalizi pugliesi non riesce a<br />
imitare efficacemente la “particolare combinazione di precisione e vaghezza”<br />
che per Gambetta ha reso i termini “mafia” e “Cosa Nostra” marchi di<br />
successo e di difficile imitazione. 432 Il cammino che conduce alla costruzione<br />
di una reputazione affidabile spendibile nell’underworld criminale non può<br />
prescindere dall’utilizzo di un unico “marchio di garanzia” che goda di<br />
caratteristiche di continuità temporale, in maniera del tutto analoga alle<br />
esigenze di marketing di qualsiasi impresa legale che non può continuare a<br />
mutare la propria denominazione se vuole difendere le quote di mercato<br />
acquisite.<br />
“In definitiva, non si è realizzato in Puglia quel riconoscimento<br />
reciproco, tra i diversi gruppi, di un marchio comune e della legittimità del<br />
suo uso, che rappresenta un importante elemento costitutivo e, quindi, un<br />
punto di forza delle organizzazioni mafiose tradizionali”. 433<br />
Precedentemente si è rilevato come le organizzazioni pugliesi, più che<br />
una forte attitudine al controllo del territorio, abbiano manifestato un<br />
interesse specifico per i traffici illeciti; in tal senso si è osservato come il<br />
contrabbando continui ad essere uno dei principali ambiti d’attività, seguito<br />
dai traffici, come quello di armi o di stupefacenti, realizzati mediante la<br />
conversione del network su cui esso è fondato.<br />
Tuttavia l’impegno affaristico della quarta mafia non è limitato al solo<br />
mondo dell’illegalità, andando ad investire attività apparentemente lecite; per<br />
429 D. Gambetta, op.cit., p. 209.<br />
430 Ivi, p. 210.<br />
431 R. Sciarrone, op.cit., p. 186.<br />
432 Cfr. D. Gambetta, op.cit., p. 200.<br />
433 R. Sciarrone, op.cit., p. 187.<br />
110
esempio secondo la Commissione Parlamentare antimafia negli anni novanta<br />
si è registrato in Puglia un boom delle società finanziarie anomalo in funzione<br />
delle effettive esigenze economiche della regione, che potrebbe nascondere<br />
attività di riciclaggio dei proventi realizzati con attività illecite.<br />
Parallelamente è conclamato un attivo intervento nell’ambito delle truffe<br />
agricole collegate all’ottenimento dei fondi CEE ed AIMA. 434<br />
Sia a proposito delle infiltrazioni nell’economia legale che di quelle<br />
nella politica, è purtroppo da registrarsi un’inspiegabile difformità tra le<br />
analisi esperite dal <strong>Ministero</strong> dell’Interno e quelle della Commissione<br />
Parlamentare antimafia nel corso del decennio scorso; per esempio si osservi<br />
quanto rilevato nel Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata<br />
per l’anno 1992 dal Viminale: “il numero di società controllate direttamente o<br />
attraverso prestanome dagli imprenditori criminali è ridotto, ed il loro<br />
interesse si limita per lo più al settore agricolo ed a quello commerciale.<br />
Anche i pochi esercizi, individuati dagli apparati di contrasto, sono in gran<br />
parte di modeste dimensioni (negozi di abbigliamento, bar, ristoranti). Solo in<br />
alcuni casi si hanno concreti elementi per affermare che aziende di<br />
dimensioni medie o grandi siano utilizzate dai clan per il reinvestimento dei<br />
profitti criminali”. 435<br />
Tali considerazioni stridono con quanto invece sostenuto dalla<br />
Commissione Parlamentare antimafia che osserva che in Puglia le presenze<br />
criminali nel mondo economico legale “sono ormai tali da non fare più<br />
pensare a semplici infiltrazioni, ma ad una vera e propria sostituzione<br />
dell’economia legale con quella illegale.” 436<br />
Analogamente, se nello stesso documento si afferma che la mafia<br />
pugliese “appare dotata di grande capacità imprenditoriale e saldamente<br />
collegata con le pubbliche amministrazioni e con la politica,” 437 il <strong>Ministero</strong><br />
dell’Interno osserva che le consorterie attive nella regione non paiono<br />
possedere una grande capacità di infiltrazione nelle istituzioni, con la sola<br />
eccezione della Sacra Corona Unita che esercita una certa influenza su politici<br />
434<br />
Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in<br />
Puglia, cit.<br />
435<br />
<strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata (anno 1992), cit., pp.<br />
211-212.<br />
436<br />
Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia,<br />
cit., p. 23, il corsivo è mio.<br />
437 Ibidem.<br />
111
e funzionari pubblici non tanto a seguito dell’instaurazione di rapporti<br />
collusivi quanto piuttosto in virtù di alcune azioni intimidatorie. 438<br />
Successivamente, la Commissione antimafia ha ulteriormente ribadito<br />
le proprie preoccupazioni segnalando “il definitivo accertamento del<br />
fittissimo intreccio che esiste tra politica, imprenditoria e criminalità<br />
organizzata” e che “il controllo della attività criminale non sarebbe possibile<br />
senza la attiva partecipazione collusiva di soggetti appartenenti alla politica<br />
(centrale e locale), alla pubblica amministrazione ed alla imprenditoria.” 439<br />
Prescindendo da questa difformità interpretativa, che peraltro è stata<br />
superata dalle analisi più recenti che si attestano sulla stessa linea, giova<br />
ricordare che tra il 1991 ed il 1998 ben sette consigli comunali pugliesi sono<br />
stati sciolti per infiltrazione mafiosa; dalla disamina dei decreti di<br />
scioglimento 440 emerge il solito meccanismo intimidatorio-collusivo nei<br />
confronti degli amministratori pubblici che permetteva l’aggiudicazione<br />
illecita di appalti ad imprese mafiose o comunque collegate alla criminalità.<br />
Ad ulteriore riprova dell’intreccio imprenditoria-politica-mafia sono<br />
documentati una serie di episodi quali gli arresti, nel 1995 e nel 1996, di tre<br />
consiglieri dei comuni di Brindisi, Taranto ed Alliste con accuse che vanno<br />
dall’estorsione, all’usura, al riciclaggio, all’associazione a delinquere, sino<br />
all’associazione a delinquere di stampo mafioso; 441 è stato inoltre provato che<br />
a Bari la gestione dei parcheggi pubblici veniva affidata dal comune ad<br />
esponenti del clan Campanale, 442 ma l’episodio sicuramente più clamoroso è<br />
quello della Commissione edilizia del comune di Foggia, rimasta in regime di<br />
prorogatio per ben undici anni, con l’accertata esistenza di corsie preferenziali<br />
per alcuni costruttori che “riuscivano a portare una pratica, anche in una<br />
settimana, due volte in commissione, mentre altre pratiche rimanevano ferme<br />
da 15 anni.” 443<br />
438 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata (anno 1992), cit.,<br />
p. 212.<br />
439 Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia,<br />
cit., p. 129.<br />
440 Cfr. Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Gallipoli (LE), Roma<br />
1991; Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Surbo (LE), Roma<br />
1991; Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Modugno (BA), Roma<br />
1993; Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Terlizzi (BA), Roma<br />
1993.<br />
441 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata (anno 1996), cit.,<br />
pp. 157,161,165.<br />
442 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Relazione sull’attività delle forze di polizia e sullo stato dell’ordine e della<br />
sicurezza pubblica nel territorio nazionale (anno 1996), Tipografia del Senato, Roma 1997, p. 227.<br />
443 Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro<br />
incaricato di svolgere accertamenti sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Puglia, A.P., Camera<br />
dei Deputati-Senato della Repubblica, X legislatura, doc. XXIII, n.38, Roma 1991.<br />
112
Analizzando i legami tra mafia e mondo legale in Puglia non si può<br />
prescindere dal caso della famiglia di Pasquale Casillo, imprenditore<br />
foggiano leader nel settore della macinazione del grano, nonché armatore<br />
mercantile, azionista di svariate squadre di calcio (Foggia, Salernitana,<br />
Bologna), editore del quotidiano napoletano il Roma, presidente, dalla fine del<br />
1992, dell’Unione Industriale di Foggia, a capo di un gruppo composto da 62<br />
aziende, con più di tremila dipendenti e con un volume d’affari che nel 1992<br />
ha toccato i 2200 miliardi di vecchie lire. 444 Pasquale Casillo, già coinvolto nel<br />
1989 in una frode ai danni dell’AIMA, è stato poi arrestato il 21 aprile 1994<br />
con l’accusa di avere sottratto 430 miliardi di lire alla CEE e 94 miliardi<br />
all’AIMA, di avere emesso fatture false per 36 miliardi e soprattutto di<br />
appartenere ad un’associazione camorristica; per comprendere quanto fosse<br />
potente l’imprenditore foggiano, si pensi che l’indagine che lo riguardava era<br />
precedentemente stata insabbiata presso la Procura di Foggia, con il<br />
trasferimento d’ufficio dei tre funzionari di polizia che se ne occupavano. 445<br />
La figura di Pasquale Casillo era tutt’altro che ignota agli inquirenti, se<br />
solo si pensa che secondo il pentito D’Amico egli sarebbe addirittura stato<br />
presente alla riunione organizzata nel 1979 dalla NCO per l’affiliazione dei<br />
delinquenti locali. 446 Alla dichiarazione di D’Amico si può aggiungere che<br />
Gennaro Casillo, padre di Pasquale, era lo zio del braccio destro di Raffaele<br />
Cutolo, Vincenzo Casillo, e che, secondo il collaboratore Pasquale Galasso,<br />
sarebbe stato il tramite “per l’esportazione del modello camorristico nella<br />
zona di Foggia.” 447<br />
Il caso della famiglia Casillo è pienamente rappresentativo del rapporto<br />
di collusione tra imprenditori e mafia che è caratteristico delle zone di<br />
tradizionale presenza mafiosa; vi è uno scambio che reca reciproci vantaggi,<br />
poiché permette ai Casillo di fruire della protezione dei gruppi camorristici<br />
sia nei confronti dei concorrenti, sia nella realizzazione delle truffe ad AIMA<br />
e CEE ed alla camorra di avvantaggiarsi dei servizi di un imprenditore amico<br />
che mette a disposizione i circuiti dell’economia legale di cui è titolare per<br />
444 Cfr. G. Ruotolo, La quarta mafia. Storie di mafia in Puglia, Pironti, Napoli 1994, p. 47 e R. Gorgoni,<br />
op.cit., p. 228.<br />
445 Ivi, pp. 227 sgg.<br />
446 Cfr. Tribunale di Bari, Sentenza contro Romano Oronzo più 194, Bari 1986.<br />
447 Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia,<br />
cit., p 27. Si noti che nonostante i vincoli di parentela con il numero due della NCO, Gennaro Casillo era<br />
personalmente molto legato al boss dello schieramento rivale Carmine Alfieri, con cui non esitava ad<br />
intrattenere rapporti di affari. (Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico<br />
dell’audizione del collaboratore della giustizia Pasquale Galasso, cit., pp. 2323 -2324, 2740).<br />
113
coprire traffici illeciti orchestrati dai gruppi criminali, e soprattutto può<br />
fornire un capitale di relazioni sociali fondamentale, grazie ai propri legami<br />
con uomini politici ed esponenti della Magistratura. 448<br />
Il caso dei Casillo non è certamente un episodio isolato; sono stati<br />
infatti documentati altri collegamenti incentrati sulla collusione tra mafia ed<br />
imprenditoria, perlopiù basati sullo scambio di prestazioni fittizie, come false<br />
fatturazioni o registrazione di costi non sostenuti nei confronti di aziende<br />
mafiose, che in tal modo possono giustificare la detenzione di liquidità in<br />
realtà realizzata con traffici illeciti. A Bari le indagini giudiziarie hanno<br />
evidenziato come l’incendio doloso che nel 1991 ha distrutto il teatro<br />
Petruzzelli sia frutto della collusione tra mafia ed imprenditoria; 449 sempre<br />
nel capoluogo pugliese sono stati accertati rapporti di cointeressenza<br />
economica tra la cosca Capriati, le Case di Cura Riunite di Francesco<br />
Cavallari 450 (maggiore presidio sanitario dell’area), ed una sua società<br />
satellite, la Geroservice srl che ne curava il reperimento di personale<br />
ausiliario. Le indagini hanno evidenziato un meccanismo collusivo che<br />
prevedeva l’assunzione fittizia di affiliati alla cosca mafiosa (addirittura in<br />
stato di detenzione), in cambio della “tranquillità sindacale” all’interno<br />
dell’azienda, oltre che l’illecita spartizione tra politici, imprenditori e mafiosi<br />
dei finanziamenti sanitari regionali illecitamente erogati alle C.C.R. Nel<br />
marzo 1995 l’inchiesta della Magistratura ha condotto all’arresto, oltre che di<br />
Cavallari e dei capimafia baresi, anche di veri e propri insospettabili<br />
appartenenti al mondo legale, come i politici Rino Formica e Vito Lattanzio,<br />
l’ex presidente della Regione Puglia Michele Bellomo, l’ex vice presidente<br />
Franco Borgia, l’ex assessore regionale al bilancio Nicola di Cagno, il sindaco<br />
di Bari Giovanni Memola, oltre ad imprenditori, magistrati, ufficiali e<br />
sottufficiali della Guardia di Finanza e addirittura il direttore della Gazzetta<br />
del Mezzogiorno Franco Russo. 451<br />
Anche la zona di Taranto non è esente dalla collusione tra mafia,<br />
politica ed imprenditoria; emblematica in tal senso è la vicenda di Giancarlo<br />
Cito, inizialmente proprietario di un’emittente televisiva, dal 1990 consigliere<br />
448 Per Pasquale Galasso, Casillo aveva numerose amicizie tra i giudici; in particolare era in ottimi rapporti con<br />
il magistrato Nicola Damiano con cui metteva addirittura a punto gli atti processuali relativi ad Alfieri. (Ivi, pp.<br />
2324-2325).<br />
449 Cfr. G. Ruotolo, op.cit., pp. 110 sgg.<br />
450 Francesco Cavallari, sino al suo arresto, è stato unanimemente considerato il vero re della sanità pugliese.<br />
(Cfr. Tribunale di Bari – Direzione Distrettuale Antimafia, Richiesta per applicazione di misure cautelari<br />
contro Cavallari Francesco più 11, Proc. Pen. N. 6992/93, Bari 1993).<br />
451 Su questa vicenda si veda l’attenta ricostruzione di Rocco Sciarrone. (Cfr. R. Sciarrone, op.cit., pp. 194-<br />
196).<br />
114
comunale, dal 1993 sindaco di Taranto, poi rinviato a giudizio per concorso<br />
esterno in associazione mafiosa, quindi sospeso dalle funzioni di primo<br />
cittadino, e ancora eletto nel 1996 in Parlamento. Secondo ben nove<br />
collaboratori di giustizia Cito intratteneva rapporti privilegiati con il potente<br />
clan Modeo in cambio di voti alle elezioni. 452<br />
A fronte di questa imprenditoria accomodante ed aperta al rapporto<br />
con la criminalità, sono numerosi i casi di uomini d’affari, soprattutto edili<br />
che, non avendo accettato la collusione, si sono poi trovati nella condizione di<br />
esserle subordinati e di dovere sottostare al meccanismo dell’estorsioneprotezione,<br />
alle intimidazioni, agli attentati ed in qualche caso anche agli<br />
omicidi. 453 E’ soprattutto nella zona del foggiano che l’estorsione pare avere la<br />
maggiore diffusione, probabilmente per gli stretti legami della criminalità<br />
autoctona con la camorra; si pensi solo al cosiddetto “racket del pomodoro”: i<br />
meccanismi mediante i quali si manifestano le estorsioni testimoniano il<br />
collegamento tra la criminalità pugliese e quella campana. Infatti, l’intervento<br />
malavitoso si realizza, ai danni dei produttori e dei trasportatori, nel<br />
momento del trasferimento delle derrate dal luogo di produzione agli<br />
impianti di trasformazione, collocati tutti nel territorio campano. Si tratta di<br />
un affare di oltre 18 miliardi in quanto il “pizzo” richiesto è di lire 1000 al<br />
quintale per una produzione di oltre 18 milioni di tonnellate di pomodoro. 454<br />
Anche nella zona di Brindisi il meccanismo estorsivo risulta essere<br />
decisamente diffuso, in questo caso ad opera della Sacra Corona Unita.<br />
“E’ emblematico il fatto che l’organizzazione non si preoccupasse di<br />
pilotare l’appalto in favore di questo o quel personaggio a essa legato, ma<br />
soltanto che l’appalto fosse aggiudicato perché poi la ditta, qualunque fosse,<br />
diventava necessariamente oggetto di taglieggiamento”. 455<br />
Come si è potuto notare in Puglia si delinea una tipologia di legami tra<br />
la mafia ed il mondo legale del tutto analoga a quella delle aree tradizionali; a<br />
ciò si aggiunga che le frequenti guerre tra clan rivali e l’estensione raggiunta<br />
dal mercato dell’estorsione determinano un’impressionante mole di episodi<br />
di violenza che turbano la gente e le città pugliesi.<br />
452<br />
Cfr. S.M. Bianchi, Geometra Cito, Sindaco di Taranto, Kaos Edizioni, Milano 1996, pp. 141 sgg.<br />
453<br />
Cfr. Tribunale di Foggia, Procedimento penale contro Antoniello Cesare più 67, Foggia 1994.<br />
454<br />
Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia,<br />
cit., pp. 25-26.<br />
455<br />
N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, cit., p. 18.<br />
115
“Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, a Taranto e<br />
provincia uccisioni, ferimenti, attentati sono all’ordine del giorno, frutto di<br />
una violenza che pare non avere limiti”. 456<br />
Un’ulteriore prova del livello di pericolosità sociale raggiunto in pochi<br />
anni dalla quarta mafia si manifesta a partire dalla fine del 1991, proprio nel<br />
periodo di più aspro scontro tra lo Stato e le varie organizzazioni che si<br />
muovono sulla scena italiana; ispirandosi palesemente alla strategia della<br />
tensione progettata dai corleonesi, alcuni gruppi criminali pugliesi della zona<br />
di Surbo, capeggiati da Angelo Vincenti e Raffaele Gianfreda 457 , compiono<br />
due attentati dinamitardi che hanno come obiettivo il Palagiustizia di Lecce; il<br />
5 gennaio 1992, lo stesso giorno del secondo attentato contro l’ufficio<br />
giudiziario salentino, con una bomba collocata sui binari, tentano,<br />
fortunatamente senza successo, di fare deragliare il rapido Lecce-Milano-<br />
Zurigo. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, le motivazioni di tali azioni<br />
- cui si devono aggiungere l’attentato al Presidente della Corte d’Assise di<br />
Lecce Francesco Cosentino e la decisione di eliminare il procuratore Cataldo<br />
Motta - andrebbero ricercate in un tentativo di golpe, attuato nei confronti di<br />
Rogoli e dei vertici della Sacra Corona Unita, che in quei giorni si trovavano<br />
sotto processo a Brindisi e sui quali i media avrebbero fatto ricadere la<br />
responsabilità. 458 E’ invece della Sacra Corona Unita la responsabilità<br />
dell’attentato dinamitardo del 10 novembre 1992, nei confronti dell’abitazione<br />
di campagna di Vittorio Bruno Gamerra, direttore del Quotidiano di Brindisi,<br />
Lecce e Taranto, attivamente impegnato con servizi di denuncia nei confronti<br />
della consorteria. 459 A questa catena di episodi inquietanti si deve aggiungere<br />
il fallito attentato al procuratore della repubblica di Trani, dottor Rinella,<br />
attivamente impegnato sul fronte della lotta agli abusi edilizi, ed i<br />
complessivi 1956 attentati dinamitardi ed incendiari compiuti in Puglia dal<br />
1989 al 1992. 460<br />
Ciò è ampiamente indicativo del livello di sviluppo raggiunto dalla<br />
criminalità organizzata in questa regione che, giova ricordarlo, nonostante le<br />
caratteristiche mafiose raggiunte negli ultimi anni, rimane un contesto<br />
colonizzato e non originale ed è altresì probante in ordine all’effettiva<br />
possibilità di riproduzione del modello criminale mafioso in aree non<br />
456<br />
R. Sciarrone, op.cit., p. 200.<br />
457<br />
Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 130.<br />
458<br />
Ibidem.<br />
459<br />
R. Sciarrone, op.cit., p. 200.<br />
460<br />
Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 131.<br />
116
tradizionali; i paradigmi culturalisti che, nel loro imputare il fenomeno<br />
mafioso alle caratteristiche socio culturali e tradizionali di un determinato<br />
contesto ambientale, non ne prevedono una sua efficiente esportazione in<br />
habitat che non condividano quel particolare humus, dinnanzi al caso pugliese<br />
subiscono un deciso ridimensionamento. La mafia pugliese non riproduce in<br />
maniera onnicomprensiva i modelli storici di riferimento, ma è certo che un<br />
processo avviatosi alla fine degli anni settanta, con il giusto cocktail di<br />
colonizzazione e di imitazione, ha realizzato un prodotto criminale che è<br />
mafioso a tutti gli effetti e che, sia pure con intensità diversa, ha investito<br />
l’intera regione. Vive tuttora dei limiti, che sono i responsabili della sua<br />
incapacità di essere una vera e propria organizzazione per il controllo del<br />
territorio e della protezione privata, e della sua propensione verso il modello<br />
criminale dell’enterprise syndicate: deboli radici sociali, scarsa selezione nel<br />
reclutamento, debolezza dei vincoli interni, bassa attitudine cospirativa,<br />
fragilità dissimulatoria, elevata conflittualità, ottica predatoria di breve<br />
periodo, incapacità di gestire efficacemente il proprio capitale sociale, uso<br />
smodato ed eccessivo della violenza, mancata realizzazione di network<br />
relazionali atti a massimizzare la coesione interna e a implementare la<br />
cooperazione esterna. 461 Eppure ciò che deve fare attentamente riflettere i<br />
responsabili istituzionali del contrasto alla mafia, in Puglia troppo a lungo<br />
inerti, non è l’elenco dei limiti di questa realtà criminale, ma piuttosto il<br />
cospicuo sviluppo che essa ha vissuto in un periodo di tempo oggettivamente<br />
breve, nonché l’acquisizione e la sapiente sintesi di peculiarità mutuate dalle<br />
organizzazioni storiche, come la ferocia ‘ndranghetista, la capacità di calcolo<br />
di Cosa Nostra ed il carattere carsico della camorra. 462 Infatti, come ha avuto a<br />
dichiarare Salvatore Annacondia: “la malavita pugliese è abbastanza<br />
pericolosa ed è molto più avanzata delle altre perché, dopo anni di<br />
frequentazioni, ha assorbito la mentalità della mafia, della ‘ndrangheta e<br />
infine della camorra”. 463<br />
461 Ivi, p. 205.<br />
462 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 125.<br />
463 Commissione parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />
giustizia Salvatore Annacondia, cit., p. 2457.<br />
117
FONTI<br />
A.P., Compimento dello stato dei camorristi di questa città, trasmesso dal Questore<br />
al <strong>Ministero</strong> dell’Interno il 21 giugno 1861, Archivio di Stato di Napoli, f.202,<br />
fasc.4.<br />
A.P., Camera dei deputati, II legislatura, Intervento dell’on. R. Minasi, seduta<br />
del 4 ottobre 1955.<br />
A.P., Camera dei deputati, II legislatura, Intervento dell’on. F. Tambroni, seduta<br />
del 6 ottobre 1955.<br />
A.P., Camera dei deputati, X legislatura, Intervento dell’on. G. Lavorato, seduta<br />
del 12 ottobre 1987, pp. 3411-15.<br />
A.P., Camera dei deputati, X legislatura, Commissione I., Indagine conoscitiva<br />
sulla minaccia della grande criminalità organizzata. Audizione del capo della polizia,<br />
prefetto V. Parisi, seduta del 5 giugno 1990, Roma 1990.<br />
A.P., Camera dei deputati, XI legislatura, doc. IV, n.465, Domanda di<br />
autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti del deputato Paolo Romeo per il<br />
reato di cui all’articolo 416 bis, commi primo, secondo, terzo, quarto e sesto del codice<br />
penale, Roma 1993.<br />
Arma dei Carabinieri, Studio sulla criminalità organizzata in Puglia, con<br />
particolare riferimento alla “Sacra Corona Unita”, Raggruppamento Operativo<br />
Speciale (ROS), Bari 1993.<br />
Comitato Parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il<br />
segreto di Stato, Relazione del Comitato sui problemi relativi all’operato dei servizi<br />
di informazione e sicurezza durante il sequestro dell’assessore democristiano della<br />
regione Campania Ciro Cirillo, A.P., IX legislatura, doc. XLVIII n.1, maggio –<br />
luglio 1981, Roma 1984.<br />
Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia<br />
(legge 20 dicembre 1962, n.1720, Atti della Commissione, AP, Camera dei<br />
Deputati, VI legislatura, doc.XXIII, n. 2, Tipografia del Senato, Roma 1976.<br />
Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre<br />
1982, n.646, art.32), Relazione presentata alla Presidenza della Camera il 16 aprile<br />
1985 (relatore on. A. Alinovi), Camera dei Deputati-Senato della Repubblica,<br />
IX legislatura, doc.XXIII, n.3, Colombo, Roma 1985.<br />
118
Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’indagine del<br />
gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti sullo stato della lotta alla<br />
criminalità organizzata in Puglia, A.P., Camera dei Deputati-Senato della<br />
Repubblica, X legislatura, doc. XXIII, n.10, Roma 1989.<br />
Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre<br />
1982, n.646, art.32), Audizione del ministro dell’Interno on. O.L. Scalfaro, Camera<br />
dei Deputati-Senato della Repubblica, IX legislatura, seduta del 30 luglio<br />
1985, Roma 1990.<br />
Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre<br />
1982, n.646, art.32), Relazione di minoranza del 24 gennaio 1990, (relatore on. L.<br />
Violante), Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, X legislatura, Roma<br />
1990.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’attività del<br />
gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti sullo stato della lotta alla<br />
criminalità organizzata in Puglia, A.P., Camera dei Deputati-Senato della<br />
Repubblica, X legislatura, doc. XXIII, n.38, Roma 1991.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del<br />
collaboratore della giustizia Salvatore Annacondia, AP 1992-1994, Camera dei<br />
Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 30 luglio 1993,<br />
Roma 1993.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Punto di situazione della criminalità<br />
organizzata in Piemonte, in Archivio della Commissione Parlamentare<br />
antimafia, XI legislatura, doc. 1098, Roma 1993.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Audizione del Procuratore della<br />
Repubblica presso il Tribunale di Palmi dottor Agostino Cordova, AP 1992-1994,<br />
Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 9<br />
luglio 1993, Roma 1993.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del<br />
collaboratore della giustizia Pasquale Galasso, AP 1992-1994, Camera dei<br />
Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 13 luglio 1993,<br />
Roma 1993.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione<br />
dell’onorevole Vincenzo Scotti, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della<br />
Repubblica, XI legislatura, Seduta del 15 luglio 1993, Roma 1993.<br />
119
Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del<br />
prefetto Vincenzo Parisi, direttore vicario pro-tempore del SISDE, AP 1992-1994,<br />
Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 10<br />
settembre 1993, Roma 1993.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del<br />
generale Abelardo Mei, direttore vicario pro-tempore del SISMI, AP 1992-1994,<br />
Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 10<br />
settembre 1993, Roma 1993.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, (relatore<br />
Luciano Violante), approvata a maggioranza il 21 dicembre 1993, A.P.,<br />
Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.12,<br />
Roma 1993.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della<br />
criminalità organizzata in Puglia, A.P., Camera dei Deputati-Senato della<br />
Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.7, Roma 1993.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Audizione del questore e del comandante<br />
dei Carabinieri di Reggio Calabria sul problema delle cosiddette “vacche sacre”,<br />
seduta del 13 gennaio 1994, A.P., Camera dei Deputati-Senato della<br />
Repubblica, XI legislatura, Roma 1994.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’attività del<br />
gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti su insediamenti e infiltrazioni<br />
di soggetti ed organizzazioni di stampo mafioso in aree non tradizionali, A.P.,<br />
Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.11,<br />
Roma 1994.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed<br />
organizzazioni di stampo mafioso in aree non tradizionali. Schede allegate delle<br />
singole regioni, A.P., Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI<br />
legislatura, Roma 1994.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Relazione conclusiva, approvata il 18<br />
febbraio 1994, A.P., Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI<br />
legislatura, doc. XXIII, n.14, Roma 1994.<br />
Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della<br />
criminalità organizzata in Puglia, doc. XXIII, n.6, in Commissione Parlamentare<br />
antimafia, Relazioni e documenti approvati nella XII legislatura (18 ottobre 1994-31<br />
gennaio 1996), A.P., Camera dei Deputati, XII legislatura, Roma 1996.<br />
120
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Crocè Paolo più<br />
3, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 285, 22 marzo 1884.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Borgese Rocco,<br />
Archivio di Stato di Catanzaro, v. 315, 25 marzo 1889.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Tripodi Carmine,<br />
Archivio di Stato di Catanzaro, v. 323, 27 agosto 1890.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Calia<br />
Michelangelo più 65, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 324, 14 ottobre 1890.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Favasuli Bartolo<br />
più 28, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 359, 30 luglio 1896.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Zagari Antonino<br />
più 19, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 372, 22 agosto 1898.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Greco Francesco<br />
più 30, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 384, 17 maggio 1900.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Scidone Santo<br />
più 53, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 386, 27 ottobre 1900.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Auteri Felice più<br />
229, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 388, 25 febbraio 1901.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Aricò Antonio<br />
più 56, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 391, 2 agosto 1901.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Moscatello Pietro<br />
più 49, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 394, 22 gennaio 1902.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Adornato<br />
Salvatore più 121, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 395, 22 aprile 1902.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Arcidiacono<br />
Gregorio più 15, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 403, 1 agosto 1903.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Bagalà Michele<br />
più 86, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 405, 23 novembre 1903.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Mangione Bruno<br />
più 53, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 405, 2 dicembre 1903.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Favasulli<br />
Antonio più 44, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 406, 13 febbraio 1904.<br />
121
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Abate Vincenzo<br />
più 86, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 407, 9 marzo 1904.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Martino<br />
Vincenzo più 46, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 414, 8 giugno 1905.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Marino Francesco<br />
più 147, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 336, 9 settembre 1905.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Castagna Bruno<br />
più 21, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 421, 6 luglio 1906.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Costa Giovanni<br />
più 10, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 421, 12 luglio 1906.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Gioffrè Filoreto<br />
più 11, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 429, 8 dicembre 1908.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Faccineri<br />
Giuseppe più 20, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 460, 18 gennaio 1916.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Lucà Luigi più<br />
38, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 504, 9 luglio 1928.<br />
Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Annaccarato<br />
Vincenzo più 93, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 516, 25 novembre 1930.<br />
Corte d’appello di Catanzaro Sezione di Accusa, Sentenza emessa nei confronti<br />
di Calarco Domenico più 48, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 119, 19 agosto<br />
1885.<br />
Corte d’appello di Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti<br />
di Giovinazzo Francesco più 1, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 125, 20 maggio<br />
1887.<br />
Corte d’appello di Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti<br />
di Cantafio Vincenzo più 53, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 129, 25 maggio<br />
1888.<br />
Corte d’appello di Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti<br />
di Maione Nicola più 68, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 150, 15 dicembre<br />
1896.<br />
Corte di assise di Locri, Sentenza emessa nei confronti di Macrì Francesco più 141,<br />
Archivio di Stato di Catanzaro, b. 4, 6 settembre 1939.<br />
122
Corte di assise di Locri, Sentenza emessa nei confronti di Agostino Giuseppe più<br />
40, Archivio Corte di appello di Catanzaro. Sezione Penale, 29 dicembre 1950.<br />
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dell’ordine e della sicurezza pubblica nel territorio nazionale (anno 1996), Tipografia<br />
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Prefettura di Torino, Relazione riepilogativa degli accertamenti espletati presso il<br />
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Provincia di Torino con decreto n. 9400058/gab. datato 23.1.95, Torino 1995.<br />
123
Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di<br />
Gallipoli (LE), Roma 1991.<br />
Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di<br />
Surbo (LE), Roma 1991.<br />
Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di<br />
Modugno (BA), Roma 1993.<br />
Prsidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di<br />
Terlizzi (BA), Roma 1993.<br />
Procura della Repubblica di Lamezia Terme, Istruzione a carico di Notaro<br />
Giovanni più 1, Lamezia Terme 27 febbraio 1985.<br />
Questura di Brindisi, Informativa di denuncia a carico di Andriola più altri,<br />
Brindisi 1994.<br />
Regia Commissione d’inchiesta per Napoli, Relazione sull’ amministrazione<br />
comunale (relatore senatore G.Saredo), 1901.<br />
Tribunale di Bari, Sentenza contro Romano Oronzo più 194, Bari 1986.<br />
Tribunale di Bari – Direzione Distrettuale Antimafia, Richiesta per applicazione<br />
di misure cautelari contro Cavallari Francesco più 11, Proc. Pen. N. 6992/93, Bari<br />
1993.<br />
Tribunale di Foggia, Procedimento penale contro Antoniello Cesare più 67, Foggia<br />
1994.<br />
Tribunale di Lamezia Terme, Sentenza contro Raineri Rosario più uno, Lamezia<br />
Terme, 8 febbraio 1988.<br />
Tribunale di Lecce, Sentenza contro Leone P. più altri, Corte d’Appello, Lecce<br />
1990.<br />
Tribunale di Lecce, Sentenza contro De Tommasi G. più 133, Corte d’Assise,<br />
Lecce 1991.<br />
Tribunale di Lecce, Ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di<br />
Accettura R. più 68, Ufficio del Giudice per le indagini preliminari, Lecce 1993.<br />
Tribunale di Napoli, Ordinanza di rinvio a giudizio del giudice Alemi, depositata<br />
il 28 luglio 1988, Napoli 1988.<br />
Tribunale di Napoli, Ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di<br />
Gionta Valentino più 18 per associazione a delinquere di tipo camorristico,<br />
Procedimento n.3173/R/91, Napoli 1991.<br />
124
Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di rinvio a giudizio contro De Stefano<br />
Paolo più 59, Reggio Calabria 1978.<br />
Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza sentenza contro Albanese M. più 190,<br />
Reggio Calabria 1988.<br />
Tribunale di Reggio Calabria, Procedimento penale n.46/93 r.g.n.r. D.D.A. a<br />
carico di Condello P. ed altri, Procura della Repubblica, Direzione Distrettuale<br />
Antimafia, Reggio Calabria 1995.<br />
Tribunale di Salerno, Ordinanza del giudice Santoro contro Abbruzzese più 140,<br />
Salerno 1983.<br />
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