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DIEGO DALLA VERDE - Ssai - Ministero Dell'Interno

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<strong>DIEGO</strong> <strong>DALLA</strong> <strong>VERDE</strong><br />

LE “ALTRE MAFIE”.<br />

CENNI STORICI SULL’ORIGINE E L’EVOLUZIONE DI<br />

CAMORRA, ‘NDRANGHETA E<br />

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA PUGLIESE<br />

1


INTRODUZIONE...............................................................................................pag. 3<br />

1. La camorra campana<br />

1.1 Origini.........................................................................................................pag, 5<br />

1.2 Raffaele Cutolo e l’esperienza della N.C.O.........................................pag. 16<br />

1.3 Relazioni equivoche: il sequestro di Ciro Cirillo ...............................pag. 22<br />

1.4 Elementi distintivi ..................................................................................pag. 28<br />

2. La ‘ndrangheta calabrese<br />

2.1 Genesi storica ..........................................................................................pag. 38<br />

2.2 Fascismo e Dopoguerra .........................................................................pag. 47<br />

2.3 Il “momento magico” degli anni sessanta ..........................................pag. 58<br />

2.4 Colonizzazione........................................................................................pag. 64<br />

2.5 Peculiarità.................................................................................................pag. 70<br />

3. La “quarta mafia” pugliese<br />

3.1 Puglia regione mafiosa? .........................................................................pag. 83<br />

3.2 Imitazione e originalità ..........................................................................pag. 92<br />

3.3 Il contrabbando .....................................................................................pag. 100<br />

3.4 Caratteristiche........................................................................................pag. 104<br />

FONTI ...............................................................................................................pag. 118<br />

BIBLIOGRAFIA..............................................................................................pag. 126<br />

2


INTRODUZIONE<br />

Quando si parla di “mafia” si fa comunemente riferimento a quella<br />

particolare forma di criminalità organizzata sviluppatasi in Sicilia a partire<br />

dall’800 e, come è noto, assurta all’interesse dell’opinione pubblica nazionale<br />

in ragione del suo apparentemente inarrestabile sviluppo criminale,<br />

cominciato con la fine della seconda guerra mondiale e culminato nella<br />

“politica” stragista di matrice corleonese degli anni ’90.<br />

Ma, in realtà, in particolare a partire dalla seconda metà del secolo<br />

scorso, gli Organismi a vario titolo deputati al contrasto alla criminalità<br />

organizzata hanno dovuto registrare, con riferimento ad altre, differenti<br />

consorterie criminali di origine meridionale – ‘ndrangheta calabrese, camorra<br />

campana e “quarta mafia” pugliese - un’escalation decisamente significativa,<br />

in termini di organizzazione, strategie di sviluppo, capacità di controllo del<br />

territorio nelle zone indigene, prospettive di penetrazione in nuovi mercati<br />

criminali, potenza militare, capacità di infiltrazione politica ed economica,<br />

attitudine alla dimensione di “impresa criminale”, sinergie criminali<br />

nazionali ed internazionali, che hanno finito con l’avvicinare oltre le più<br />

pessimistiche previsioni le potenzialità criminali di queste organizzazioni a<br />

quelle della sempre temibile “Cosa Nostra” siciliana.<br />

Proprio in Piemonte, ad esempio, territorio apparentemente “lontano”,<br />

per storia, cultura, convenzioni sociali, dalle aree del Mezzogiorno, si è a più<br />

riprese registrata una significativa presenza della ‘ndrangheta, probabilmente<br />

in ragione della massiccia immigrazione calabrese verso le aree più<br />

industrializzate del paese, ma anche di una certa politica “giudiziaria” che ha<br />

destinato all’obbligo di dimora in comuni piemontesi numerosi capi bastone<br />

calabresi, in base all’ottimistica aspettativa, purtroppo puntualmente<br />

disattesa dall’evidenza dei fatti, che questi non avrebbero saputo riprodurre il<br />

complesso sistema organizzativo ed il tessuto di valori guida delle rispettive<br />

consorterie in aree diverse dal territorio originario e non ancora colonizzate<br />

dalla criminalità di tipo mafioso.<br />

Proprio per esigenze di approfondimento a questo riguardo, connesse<br />

all’incarico professionale rivestito e all’interesse personale per le<br />

fenomenologie mafiose, ho ritenuto dunque di operare una sintesi<br />

dell’evoluzione di queste organizzazioni criminali, di taglio esclusivamente<br />

storico-sociale, non proponendosi il presente lavoro di analizzare l’attività<br />

3


delle predette organizzazioni criminali mediante l’analisi di indicatori<br />

statistici, ma piuttosto di approfondirne origine ed evoluzione allo scopo di<br />

migliorarne la comprensione dell’attuale configurazione.<br />

Obiettivo della presente monografia è dimostrare che i caratteri<br />

peculiari e le diverse strategie evolutive di queste tre organizzazioni si<br />

traducono in una spiccata originalità criminale, troppo spesso sottovalutata e<br />

erroneamente celata dall’asserzione, peraltro infondata e conseguentemente<br />

foriera di giudizi e valutazioni fuorvianti, secondo cui le stesse altro non<br />

sarebbero che semplici “variabili” regionali della mafia siciliana.<br />

4


1.1 Origini<br />

La Camorra campana<br />

Secondo il Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri di<br />

Raffaele D’Ambra, il termine “camorra” significa “il denaro o la cosa esatta<br />

dal camorrista” 1 sottintendendo quindi un pagamento forzato cui ci si<br />

adeguerebbe per non incorrere in ritorsioni violente.<br />

Il significato corrente nella lingua italiana è invece: “lega di persone<br />

disoneste per ottenere illecitamente favori o guadagni ingiusti o anche<br />

l’insieme delle loro arti e delle loro azioni, un accordo per usare soperchierie,<br />

un agire ingiustamente a vantaggio proprio ed a danno altrui”. 2<br />

Dunque dal concetto di frutto dell’estorsione (cui di conseguenza è<br />

associata un’attività delinquenziale) 3 , proprio del dialetto napoletano di fine<br />

‘800, nel passaggio all’italiano si assiste all’adozione di un significato che ne<br />

evidenzia maggiormente la componente organizzativa; se quindi al termine<br />

“mafia” storicamente si fa corrispondere in primis un comportamento, una<br />

forma mentis, 4 per definire la parola “camorra” si è fatto ricorso, già nel<br />

passato, ad un’attività illecita (esercitare l’estorsione), ad una peculiare<br />

modalità d’azione ed in ultima istanza ad una organizzazione<br />

delinquenziale. 5<br />

Storicamente si ritiene che la genesi della camorra sia da ricercarsi nella<br />

Napoli dei primi anni dell’800; Galasso si spinge ad osservare che la fase di<br />

gestazione del fenomeno risalirebbe addirittura al secolo precedente, in<br />

funzione del rafforzamento, a livello dell’amministrazione comunale, dei ceti<br />

professionistici e dell’alta borghesia, a discapito di artigiani e commercianti<br />

che erano invece tradizionalmente molto solidi nei quartieri popolari.<br />

1 R.D’Ambra, Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri, Napoli, 1873.<br />

2 Dizionario enciclopedico italiano, Istituto Enciclopedico Italiano Treccani, Roma 1961, ad nomen.<br />

3 “lo scopo della camorra è quello di estorquere denaro [...] Il camorrista profittando della pusillanimità di<br />

alcuni estorque il danaro a titolo di prezzo della sua protezione” (Corte d’appello di Catanzaro Sezione di<br />

Accusa, Sentenza emessa nei confronti di Calarco Domenico più 48, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 119, 19<br />

agosto 1885).<br />

4 A questo proposito si vedano F.Lestingi, La mafia in Sicilia, in “Archivio di psichiatria, scienze penali, e<br />

antropologia criminale”, 1880 (cit. in R.Canosa, Storia della criminalità in Italia 1845-1945, Einaudi, Torino<br />

1991, pp. 98-99 nota) G.M. Puglia, Il mafioso non è un associato per delinquere, in “La scuola positiva”, 1930<br />

(cit. in R.Canosa, op.cit., p.293 nota) e H.Hess, Mafia, Laterza, Roma-Bari 1984.<br />

5 Cfr. I.Sales, La camorra le camorre, II edizione rivista e accresciuta, Editori Riuniti, Roma 1993, p.23.


“Il loro prevalere segnò un distacco via via più netto tra il potere<br />

cittadino e la massa di popolazione in meno felici condizioni. Di conseguenza<br />

ci fu un allentamento della disciplina sociale, di quella disciplina che fino ad<br />

allora si era mantenuta. Ed è in questa condizione che le prepotenze, gli<br />

abusi, le estorsioni – certamente largamente praticati – possono essersi<br />

coagulati in ciò che poi è stata la camorra”. 6<br />

E’ peraltro opportuno ricordare che la ricostruzione operata da Galasso<br />

è stata ritenuta poco convincente da Isaia Sales, che ne ha contestato il riferire<br />

l’origine camorrista ad un’espressione di quel disordine sociale scaturito<br />

dall’incapacità del governo della città di gestire il malcontento serpeggiante<br />

tra il popolino. Al contrario “l’impressione è che essa rappresenti un “ordine”<br />

nel disordine sociale, che essa disciplini e contenga a suo modo la violenza<br />

spontanea che si sprigiona dalle condizioni miserevoli in cui viveva gran<br />

parte della popolazione”. 7<br />

Per Sales la camorra trarrebbe invece la sua origine dalle particolari<br />

circostanze politiche ed economiche che investirono la città di Napoli a<br />

seguito del tentativo repubblicano del 1799 che, se da un lato permise un<br />

incremento del peso politico della plebe, dall’altro determinò un<br />

peggioramento delle condizioni di vita della stessa a seguito del crollo di<br />

un’economia che si fondava principalmente proprio sul servizio a quel ceto<br />

nobiliare e alto borghese che le condizioni di disordine della Napoli dei primi<br />

anni dell’800 avevano allontanato dalla città. Se a questo malessere sociale si<br />

aggiunge la strategia dei Borboni (che restaureranno la monarchia nel 1815),<br />

di fomentazione del conflitto tra popolino e ceto liberale responsabile dei<br />

moti del 1799, anche mediante il ricorso ad una sorta di tolleranza poliziesca<br />

nei confronti delle attività illecite del primo, si comprende come si possa<br />

arrivare a sostenere che la camorra fu una sorta di società segreta criminale,<br />

alleata del potere in funzione anti- liberale, all’interno della quale si aggregò<br />

tutto il malessere sociale degli strati più violenti della plebe e che si<br />

contrappose ad altre società segrete, espressione della borghesia e della<br />

nobiltà, quali la Carboneria e la Massoneria.<br />

E’ opportuno sottolineare che il rapporto con il potere costituito non si<br />

esaurisce con l’episodio della restaurazione della monarchia borbonica,<br />

essendo questo un tratto distintivo della modalità d’azione della camorra,<br />

centrale e manifesto, dalla sua lontana origine storica sino a giorni più<br />

6 G.Galasso, Intervista sulla storia di Napoli, a cura di P.Allum, Laterza, Bari 1978, p.203.<br />

7 I. Sales, op.cit., p.34.<br />

6


ecenti 8 . Proprio la necessità di instaurare un rapporto organico con la plebe e<br />

la consapevolezza del carattere mercenario della camorra 9 , indurrà,<br />

all’indomani della sconfitta nella rivoluzione del 1848 10 , anche i liberali a<br />

cercare un collegamento con i suoi esponenti in chiave antiborbonica; 11 tale<br />

vincolo culminerà nel gravissimo episodio del 1860, quando il prefetto<br />

Liborio Romano, in attesa dell’arrivo delle armate di Garibaldi, riterrà<br />

inevitabile arruolare nella Guardia Nazionale esponenti della camorra, con lo<br />

scopo di reprimere i saccheggi e la mobilitazione sanfedista 12 . Proprio<br />

l’investitura camorristica operata da Liborio Romano ha indotto Luciano<br />

Violante ad affermare: “rispetto a Cosa Nostra, per la camorra il rapporto<br />

storico con il potere politico nasce ufficialmente”. 13<br />

Sugli effetti dell’inquinamento camorristico delle forze di pubblica<br />

sicurezza, scaturiti dalla scelta del prefetto Romano, si sofferma un rapporto<br />

di polizia del 1861: “appartenenti alla camorra portanti il berretto delle<br />

Guardie nazionali e armati come sogliono di bastone animato [...] Gente<br />

facinorosa e ladra che si fa pagare dallo Stato un lavoro che non fa”. 14<br />

Ma di una compenetrazione tra camorra e politica e di un utilizzo<br />

strumentale alle proprie esigenze della seconda da parte della prima si trova<br />

anche traccia durante le prime elezioni della democrazia postunitaria e, nel<br />

1904, nell’acquisto dei voti e negli episodi intimidatori ai danni dell’elettorato<br />

del deputato socialista Ettore Ciccotti, poi non rieletto 15 .<br />

Gli episodi del 1860 chiariscono comunque perfettamente il rapporto<br />

tra la camorra e la plebe: “la camorra riesce a contenere il popolo e ad<br />

8 Mi riferisco in particolare al caso Cirillo che verrà analizzato in seguito.<br />

9 “Dietro pagamento la camorra è disposta a tutto” (I.Sales, op.cit., p.45).<br />

10 I moti del 1848 a Napoli erano infatti stati contraddistinti da un atteggiamento passivo ed in alcuni casi<br />

apertamente sfavorevole da parte delle classi popolari.<br />

11 Cfr. I. Sales, op.cit., p.45.<br />

12 Il 24 giugno del 1860 Francesco II di Borbone, costretto dalle imprese di Garibaldi, aveva promulgato la<br />

costituzione del 1848, ma la situazione dell’ordine pubblico degenerò con grande rapidità, al punto che venne<br />

proclamato lo stato d’assedio durante la notte del 26. Sembrava imminente il saccheggio sistematico della città<br />

da parte delle classi meno abbienti; la decisione di Liborio Romano, anche se moralmente assai discutibile<br />

ottenne il risultato auspicato. A questo proposito Monnier ha osservato: “Francesco II se ne andò [...] senza<br />

trombe e tamburi e Garibaldi giunse senza colpi di fucile. E tutto ciò grazie ai camorristi.” (M.Monnier, La<br />

camorra, notizie storiche raccolte e documentate, Berisio, Napoli 1965, p.128) Sull’indispensabile contributo<br />

degli uomini della camorra in occasione della rivoluzione del 1860 si è soffermato anche lo storico borbonico<br />

Giacinto De Sivo che si è spinto a definire i moti come “la rivolta dei camorristi” ( G. De Sivo, Storia delle<br />

Due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste 1868, vol. II, p.98).<br />

13 L.Violante, Non è la piovra. Dodici tesi sulle mafie italiane, Einaudi, Torino 1994, p.67, il corsivo è mio.<br />

14 Archivio di Stato di Napoli, AP, f.202, fasc.4, Compimento dello stato dei camorristi di questa città,<br />

trasmesso dal Questore al <strong>Ministero</strong> dell’Interno il 21 giugno 1861, citato in M.Marmo, Economia e politica<br />

della camorra napoletana nel secolo XIX, in “Quaderni dell’Istituto universitario orientale di Napoli”, 2, 1988,<br />

p.107.<br />

15 Cfr. I. Sales, op.cit., pp.45 e 101.<br />

7


allearselo, dimostrando così di essere “l’unico vero potere popolare”. [...] fino<br />

al 1860, la camorra viene dalla plebe e trova il suo potere nella plebe. I<br />

camorristi in genere sono dei senza-mestieri che vivono esclusivamente del<br />

controllo delle attività illegali. Esercitano una funzione di ordine e di<br />

controllo sociale, di cui di volta in volta si serve il potere costituito, il tratto<br />

mercenario è molto marcato”. 16<br />

Passando poi ad analizzare l’argomento della penetrazione e della<br />

diffusione nel tessuto urbano della città, secondo un’inchiesta della Prefettura<br />

di Napoli del 1875 17 , parrebbe esagerata l’affermazione, di matrice<br />

pubblicistica e letteraria, secondo cui la camorra era, all’epoca, capillarmente<br />

presente in tutto il capoluogo campano con eguale forza ed influenza;<br />

esaminando l’indagine, emerge che i quartieri con la maggiore presenza<br />

camorristica erano Mercato, Vicaria, Porto, e poi, in misura più blanda,<br />

Pendino, Montecalvario e Stella 18 . Alla luce di tali evidenze emerge ancora<br />

una volta il carattere popolare della camorra, che esercitava una presenza più<br />

forte proprio in quelle parti della città dove era maggiore la presenza delle<br />

classi meno abbienti, e dove le condizioni socio economiche erano peggiori.<br />

Allo scopo di analizzare l’evoluzione del fenomeno, Isaia Sales ha<br />

utilizzato uno schema di periodizzazione della storia della camorra che si<br />

fonda su cinque distinte fasi storiche 19 : il primo periodo comincia agli inizi<br />

dell’ottocento e si conclude con l’Unità d’Italia e corrisponde alla nascita e<br />

alla legittimazione della camorra nella sua veste di unica portavoce degli<br />

interessi del popolo; il periodo successivo, che si apre con le repressioni<br />

postunitarie 20 e si conclude agli inizi del Novecento, è caratterizzato da una<br />

notevole espansione che Sales imputa agli allargamenti del 1882 e del 1889<br />

del suffragio elettorale. Sarebbe inoltre riconducibile a questa fase storica un<br />

primo allontanamento della camorra dalla sua classe di origine, a seguito del<br />

16 Ivi, pp.93-94.<br />

17 Cfr. L.Mascilli-Migliorini, Povertà e criminalità a Napoli dopo l’unificazione: il questionario sulla camorra<br />

del 1875, in Archivio storico della provincia napoletana, 1980.<br />

18 Si tenga presente che la città nel 1875 era suddivisa in dodici quartieri; anche considerando che nell’analisi di<br />

Mascilli-Migliorini mancano le risposte al questionario dei quartieri Avvocata e San Carlo all’Arena, peraltro<br />

quartieri “esterni”, pare corretto dissentire dall’affermazione secondo cui la camorra aveva a Napoli una<br />

distribuzione completamente omogenea.<br />

19 Cfr. I. Sales, op.cit., pp.85-87.<br />

20 Si pensi all’epurazione posta in essere da Silvio Spaventa a Napoli a partire dal 1861 (Cfr. L.Violante, Non è<br />

la piovra, cit. p.68), o alle repressioni del 1862 a Caserta con l’arresto di centinaia di camorristi (Cfr. I. Sales,<br />

op.cit., p.83) e alle successive ondate repressive del 1874, 1877, 1883 (Ivi, p.95). Una tale politica di<br />

persecuzione del fenomeno è da ricercarsi sia nell’identificazione nella camorra nei vizi borbonici, sia<br />

nell’atteggiamento dei suoi aderenti dopo l’instaurazione della repubblica; essi infatti “tornarono alle loro opere<br />

consuete servendosi delle acquistate benemerenze politiche per esercitare e organizzare su vasta scala il<br />

contrabbando sotto il nome di Garibaldi” (M. Monnier, op.cit., p. 130)<br />

8


suo impegno in alcune attività commerciali e del coinvolgimento nel sistema<br />

degli appalti per i servizi comunali e nell’edilizia, che la conducono<br />

inevitabilmente ad entrare in contatto con entità economiche e politiche di<br />

più alto livello. E’ un periodo di grandi cambiamenti anche nel modo di porsi<br />

dei camorristi che, nella loro ricerca di legittimazione, avvertono l’esigenza di<br />

fornire una rappresentazione di se stessi meno popolana, maggiormente<br />

ricercata e più simile ai benestanti 21 . Per fornire un semplice esempio, si<br />

osservi che il capo della camorra di quegli anni, Ciccio Cappuccio, era<br />

addirittura stato soprannominato “’o signorino,” appellativo decisamente in<br />

controtendenza rispetto agli anni della camorra del popolo, 22 ma ormai il<br />

nuovo modello di riferimento è quello che viene definito lo sciammeria, vale a<br />

dire il camorrista imborghesito. 23<br />

Su questa mutazione di interessi e di stile, si sofferma anche l’inchiesta<br />

della Prefettura di Napoli sulla penetrazione territoriale; in una delle risposte<br />

al questionario si legge: “da un lato si assiste [...]a un numero minore di reati<br />

legati al piccolo contrabbando, ma, d’altra parte, aumenta corrispettivamente<br />

la camorra “in guanti gialli”, quella cioè esercitata su grandi interessi<br />

economici e che poteva giovarsi di protezioni più elevate.[...] I mestieri svolti<br />

[...] indicano ancora la presenza di classi infime, ma già si segnala una<br />

partecipazione di piccola borghesia e di appartenenti alle classi elevate”. 24<br />

Il terzo periodo prende il via alla conclusione dell’inchiesta Saredo 25<br />

per concludersi al termine della seconda guerra mondiale; è questa una fase<br />

storica di notevole diminuzione della forza della camorra, le cui cause vanno<br />

ricercate in una serie di avvenimenti politici (i governi Giolitti con la<br />

sottrazione alla camorra di parte della sua base sociale 26 , la progressiva<br />

21<br />

Si noti che dopo il 1875 viene addirittura accantonata l’usanza di vestirsi e pettinarsi in quel modo particolare<br />

che, come una sorta di uniforme, caratterizzava il camorrista agli occhi degli altri uomini.<br />

22<br />

Cfr. I. Sales, op.cit., p. 96.<br />

23<br />

Cfr. A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi, Luigi Piero edizioni, Napoli 1897, p. 156.<br />

24<br />

L. Mascilli-Migliorini, op.cit., p.573.<br />

25<br />

Nel 1901, a seguito degli scandali politici verificatisi a Napoli, legati ad un sistema visceralmente corrotto e<br />

clientelare e culminati nelle dimissioni dell’onorevole Agnello Alberto Casale, il governo nominò una<br />

commissione d’inchiesta presieduta dal presidente del Consiglio di Stato, Giuseppe Saredo.( Cfr. L. Violante,<br />

Non è la piovra, cit., pp.63-64). Secondo la Commissione Saredo la camorra era profondamente mutata; le sue<br />

origini ottocentesche proletarie erano state sostituite, grazie all’ignavia dello Stato, da una nuova classe di<br />

camorristi di estrazione borghese, abili nell’infiltrazione nella pubblica amministrazione ed in generale in<br />

qualsiasi livello della società. (Cfr. Regia Commissione d’inchiesta per Napoli, Relazione sull’amministrazione<br />

comunale (relatore senatore G.Saredo), 1901, parte I, pp.49-50)<br />

26<br />

A questo proposito è molto interessante l’osservazione di Sales secondo cui il nuovo sistema politico, oltre<br />

ad essere innegabilmente più affine alle classi popolari rispetto al passato, supera la camorra nel suo essere<br />

espressione delle componenti più povere della società in quanto oltre che offrire la protezione, cosa che già fa<br />

la stessa camorra, è in grado di garantire quella promozione sociale che sino a quel momento era stata solo un<br />

miraggio. (Cfr. I. Sales, op.cit., p.109).<br />

9


avanzata del movimento socialista 27 , la repressione voluta da Mussolini 28 ),<br />

sociali (l’emigrazione di fine secolo, con un’oggettiva diminuzione numerica<br />

dei più poveri, il miglioramento generale delle condizioni di vita, anche<br />

associato al risanamento urbano di alcune fra le zone più miserevoli di<br />

Napoli), giudiziari (il processo Cuocolo 29 e la pesante repressione ad esso<br />

seguita).<br />

Dunque, per quanto la camorra si sia sforzata di avviare rapporti<br />

organici con l’autorità costituita e le classi superiori, questo suo tentativo di<br />

partecipazione attiva al sistema di potere non si concretizza, perlomeno non<br />

completamente; quella camorristica è un’integrazione improntata alla<br />

subalternità, poichè il suo essere intrinsecamente mercenaria la relega ad una<br />

semplice funzione di servizio che non può essere durevole.<br />

Conseguentemente il sistema di potere alterna fasi in cui se ne serve<br />

attivamente ad altre in cui la disconosce, il tutto in funzione dei propri<br />

interessi; la camorra non riesce nel suo intento di “saltare il fosso” che separa<br />

le classi meno abbienti dal resto della società non potendo quindi realizzare<br />

l’obiettivo di rappresentare i valori della società nel suo complesso, ma<br />

rimanendo invece allo stadio incompiuto di quello che Sales definisce “un<br />

illegalismo popolare di massa” 30 .<br />

“Nel processo Cuocolo, ad esempio, sono coinvolti gli stessi uomini che<br />

nel 1904, in combutta con il prefetto, avevano impedito la rielezione di<br />

Ciccotti e che ora venivano giudicati come volgari delinquenti. E’ ancora nelle<br />

mani del ceto dominante far considerare la camorra come delinquenza o<br />

come sfera ambigua ma necessaria del potere”. 31<br />

27 Peraltro è documentato che, già nel 1898, in occasione delle proteste di piazza seguite alle cannonate<br />

milanesi di Bava Beccaris, la plebe non era più strumentalizzata dalla camorra, ma seguiva gli indirizzi dettati<br />

proprio dal partito socialista.<br />

28 Gli anni del regime fascista rappresentarono un’aperta rottura nella storia della camorra. La<br />

monopolizzazione della violenza che caratterizzò il regime di Mussolini, a fronte dell’ inconsistenza di una<br />

camorra enormemente indebolita a seguito delle mutate condizioni sociali e politiche dei primi decenni del<br />

Novecento furono determinanti nel permettere un’operazione di repressione ben più agevole di quanto lo fu in<br />

Sicilia con la mafia. Questo anche in considerazione dell’assenza in Campania, fatte salve alcune zone del<br />

casertano, di un forte movimento contadino che si opponesse ai fascisti. (Cfr. I Sales, op.cit., pp.122-123 e G.<br />

Capobianco, Appunti sulle origini del fascismo in Terra di Lavoro e momenti della Resistenza operaia e<br />

popolare 1921-1923, a cura della Federazione comunista di Caserta, 1983, pp. 10-11)<br />

29 Nel 1911 si celebra il cosiddetto processo Cuocolo, vero e proprio processo alla camorra, scaturito dalla<br />

barbara uccisione di Gennaro Cuocolo e della moglie che erano stati condannati a morte dalla “Gran Mamma”,<br />

il tribunale della Camorra.(Cfr, I.Sales, op.cit., p.73).<br />

30 Ivi, p.104.<br />

31 Ivi, p.103.<br />

10


La ricomparsa della camorra 32 dopo la repressione fascista coincide con<br />

l’inizio della sua quarta fase storica, che sarebbe caratterizzata da una più<br />

marcata origine provinciale 33 piuttosto che napoletana in senso stretto; gli<br />

anni cinquanta sono anche gli anni dell’esplosione del contrabbando 34 ,<br />

attività illecita in cui la camorra si specializza. Complessivamente pare<br />

corretto rimarcare che in questo periodo si consolida una sorta di subalternità<br />

della camorra rispetto all’enorme potere che va acquisendo Cosa Nostra (i cui<br />

tentacoli si estenderanno poi sino a Napoli proprio in funzione<br />

dell’affiliazione dei contrabbandieri campani).<br />

Infine si arriva al quinto periodo, l’attuale, che Sales fa cominciare<br />

all’inizio degli anni sessanta, contestualmente alle prime tracce della<br />

modernizzazione del Sud .<br />

All’inizio di questa fase, non esiste ancora una camorra con una<br />

struttura centralizzata, ma piuttosto sono presenti sul territorio napoletano<br />

vari gruppi indipendenti che si spartiscono, per zone di competenza, il<br />

controllo sulle attività illegali; si tratta a tutti gli effetti di una criminalità che<br />

è ad un livello organizzativo più elevato rispetto a quella comune, ma è<br />

ancora ben lontana dalla complessità rappresentata dal modello siciliano del<br />

periodo.<br />

32 Si tenga presente che l’immediato dopoguerra non vede la presenza di una camorra “organizzata” sulla<br />

falsariga di quella risorgimentale, ma a ricomparire sono i singoli camorristi che vanno a rioccupare le<br />

posizioni di controllo dei traffici illeciti ad un livello comunque molto basso. Se si considera che è pressoché<br />

totalmente assente anche la “presenza politica” della camorra (nessun indirizzo sui grandi temi del dopoguerra),<br />

è forse più corretto classificare queste entità sopravvissute al fascismo nella categoria del gangsterismo.<br />

33 E’ all’inizio degli anni cinquanta che fanno la loro comparsa a Napoli i cosiddetti “guappi di provincia” (Cfr.<br />

I.Sales, op.cit., p.134) a seguito del boom delle produzioni ortofrutticole da esportazione di alcuni comuni<br />

agricoli vicini al capoluogo campano. Il loro ruolo è quello di “fare il prezzo” della merce che arriva sulla<br />

piazza di Napoli, unilateralmente, senza alcuna logica di mercato riferibile alla domanda e all’offerta. Si tratta<br />

di individui che detengono il monopolio del prodotto da contrattare e delle relazioni sia con i produttori che con<br />

i grandi distributori, mediante “una regolazione violenta e autoritaria di rapporti commerciali tra un mercato<br />

fortemente attivo e un’offerta enormemente spezzettata, un punto di riferimento nell’impatto agricolturamercato,<br />

nell’assenza di moderne strutture mercantili e nella subalternità, in questa fase di ripresa economica,<br />

della campagna alla città.”(Ivi, p.135). Altri ambiti dove questa nuova camorra esercita un ruolo di mediazione<br />

sono il commercio di tessuti, la produzione e distribuzione del latte e la macellazione clandestina di carni. (Cfr.<br />

G.Tutino, Camorra 1957, in “Nord e Sud”, n.35, dicembre 1957, pp.75-90.)<br />

34 L’enorme numero di bombardamenti subiti dalla città di Napoli tra il 1940 ed il 1943 aveva delineato una<br />

situazione sociale ai limiti della sopravvivenza per le classi meno abbienti; a questo proposito Paolo Ricci ha<br />

scritto: “La plebe di Napoli nel 1943 pareva la plebe della città viceregnale” (P.Ricci, La nuova camorra porta<br />

la pistola sotto l’ascella, in “Vie Nuove”, n.20, 1959). Siffatta situazione aveva determinato un ricorso di<br />

massa ai traffici illegali, tra cui ovviamente il contrabbando; la peculiarità è che nonostante la guerra finisca,<br />

questo massiccio ricorso all’illecito non si esaurisce come in altre parti d’Italia, ma, soprattutto per il<br />

contrabbando di tabacchi, esplode prima con i furti nei depositi alleati e poi con la nascita di piccole fabbriche<br />

che si dedicano alla produzione illegale. Tuttavia, almeno in questa fase, la direzione del traffico di sigarette<br />

non sarà prerogativa della camorra, che è ancora troppo debole, ma come ha osservato Sales “In assenza di una<br />

forte organizzazione criminale locale, Napoli per due decenni sarà terreno di conquista della mala<br />

internazionale. Siciliani, genovesi, corsi, marsigliesi si alterneranno nel controllo del contrabbando di<br />

sigarette.” (I.Sales, op.cit., p.132).<br />

11


La svolta si verifica nel 1960, a seguito di un evento politico<br />

internazionale quale è il passaggio del Marocco alla monarchia; ciò determina<br />

la chiusura del porto franco di Tangeri ed il conseguente spostamento del<br />

grande contrabbando di tabacchi dalla via tirrenica a quella adriatica. Questo<br />

accadimento è responsabile di notevoli cambiamenti nel costo del prodotto e<br />

nelle modalità di pagamento dello stesso: le organizzazioni acquirenti<br />

avrebbero da quel momento in poi versato in anticipo la metà del costo<br />

dell’intero carico e pagato l’importo del nolo della nave. 35<br />

Quindi, per quanto la camorra, sin dal dopoguerra, fosse stata<br />

protagonista nel mercato illegale del contrabbando, le diviene ora<br />

impossibile, a fronte delle mutate condizioni dello stesso, continuare a<br />

gestirlo efficientemente, soprattutto perchè essa non è forte a sufficienza dal<br />

punto di vista economico.<br />

“Il mutare del sistema finanziario negli scambi di tabacchi lavorati<br />

esteri comporterà l’ingresso sulla scena di nuovi protagonisti”. 36<br />

Se, a tale modifica “strutturale” delle condizioni di questo mercato<br />

illecito, si aggiunge che Cosa Nostra siciliana deteneva notevoli disponibilità<br />

di capitali da investire, frutto delle proprie attività illegali connesse alla<br />

speculazione edilizia di Palermo, che molti boss siciliani vennero inviati in<br />

quegli anni al confino proprio a Napoli e che il contrabbando è attività illecita<br />

per definizione non legata ad un singolo contesto, ma che necessita di<br />

strutture logistiche extraterritoriali, si può arrivare a comprendere quali siano<br />

stati i presupposti di quel fenomeno che è stato definito “mafizzazione” della<br />

camorra 37 .<br />

La concatenazione di questi elementi apparentemente distinti è dunque<br />

responsabile dell’evoluzione della camorra a fenomeno criminale di spicco; i<br />

boss siciliani, non appena giunti a Napoli, allacciano immediatamente<br />

rapporti di comparaggio con le cosche locali. Si noti, peraltro, che quella di<br />

Cosa Nostra è una strategia assolutamente innovativa rispetto ad un passato<br />

che mai aveva visto la collaborazione tra i due sodalizi, separati da un<br />

profondo gap culturale e comportamentale.<br />

Il boss della vecchia mafia non amava l’ostentazione, parlava poco,<br />

minimizzava la sua influenza e la riservatezza caratterizzava il suo potere e i<br />

suoi consumi. Il camorrista invece non aveva riservatezze, ostentava con<br />

anelli d’oro e penne stilografiche lucenti una agiatezza e una cultura che non<br />

35 La malavita organizzata in Campania, in “Nord e sud”, aprile-giugno 1982, n.18, p.12, il corsivo è mio.<br />

36 R. Gorgoni, Periferia infinita. Storie d’altra mafia, Argo, Lecce 1995, p.256.<br />

37 Cfr., I. Sales, op.cit., pp. 142-146.<br />

12


aveva, si esibiva nelle tirate e zumpate, tutte manifestazioni chiassose perchè<br />

praticate in pubblico. 38<br />

Queste notevoli differenze avevano originato una profonda avversione<br />

tra le due entità criminali che si manifestavano anche negli Stati Uniti, dove<br />

tra Cosa Nostra americana e la Mano Nera (organizzazione composta e<br />

diretta da campani) i rapporti erano talmente tesi dal finire col degenerare in<br />

guerra aperta. Michele Pantaleone ha rilevato che fu importantissimo il ruolo<br />

di mediazione giocato, sia nel contesto americano che in quello italiano, dal<br />

boss Lucky Luciano, che, non a caso, dopo la guerra e le espulsioni da Cuba e<br />

dagli Stati Uniti decise di stabilirsi proprio a Napoli, nonostante fosse di<br />

origine siciliana. 39<br />

Ma aldilà di tali considerazioni legate al passato, è opportuno osservare<br />

che la relazione che legherà mafia e camorra avrà comunque caratteristiche<br />

asimmetriche, essendo chiaro il predominio di Cosa Nostra, che si serve della<br />

manovalanza camorristica, anche in chiave militare nel conflitto con i<br />

marsigliesi, ma che non rinuncia al monopolio organizzativo del<br />

contrabbando prima e del traffico di stupefacenti poi. La prima Commissione<br />

parlamentare antimafia ha sintetizzato il rapporto mafia - camorra di questa<br />

fase definendolo una “collaborazione intermedia nella quale la camorra<br />

giocava una buona parte dei suoi interessi economici e si accontentava di<br />

lauti profitti, mentre la mafia organizzava”. 40<br />

Alla “collaborazione intermedia,” propria di tutti gli anni sessanta, si<br />

sostituisce poi un modello improntato a quella che Lupo definisce “strategia<br />

di internalizzazione,” 41 cioè il ricorso di Cosa Nostra ad una vera e propria<br />

affiliazione di soggetti esterni, con il duplice scopo di riprodurre su territori<br />

non tradizionali le sue strutture classiche e contestualmente di ridurre le<br />

possibilità di scontro con la criminalità autoctona, che essendo inglobata<br />

diviene essa stessa parte dell’universo mafioso siciliano.<br />

Per Tommaso Buscetta: “inizialmente i rapporti dei suddetti [i<br />

camorristi n.d.r.] con elementi di Cosa Nostra erano solo di affari e<br />

38<br />

M.Pantaleone, Poi arrivò Lucky Luciano e anche Napoli fu Cosa Nostra, in “I Siciliani”, marzo 1983,<br />

pp.166-167.<br />

39<br />

Ibidem. E’ opportuno precisare che la decisione di Luciano scaturisce sia dall’aver preso coscienza<br />

dell’enorme importanza che Napoli può rivestire per il mondo dell’illegalità, ma anche da una valutazione<br />

strategica che lo induce a evitare pericolose intromissioni nei delicati equilibri di Cosa Nostra a Palermo.<br />

Peraltro è documentato lo stretto rapporto che lo lega ai fratelli La Barbera, protagonisti della prima guerra di<br />

mafia, in ordine al traffico di stupefacenti.<br />

40<br />

Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia (legge 20 dicembre 1962, n.1720,<br />

Atti della Commissione, AP, Camera dei Deputati, VI legislatura, doc.XXIII, n. 2, Tipografia del Senato, Roma<br />

1976, pp.414-415.<br />

41<br />

Cfr S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli Editore, Roma 1996, p.236.<br />

13


iguardavano soprattutto il contrabbando di tabacchi; in seguito i legami con<br />

Pippo Calò, con i Corleonesi, e con i Greco di Ciaculli sono divenuti tanto<br />

intensi che anche i napoletani, unico esempio finora noto, sono divenuti<br />

appartenenti alla Cosa Nostra di Palermo a pieno titolo”. 42<br />

Anche i magistrati di Palermo si sono soffermati sulla strategia posta in<br />

essere da Cosa Nostra nei confronti del contrabbando e della camorra,<br />

osservando: “la mafia, infatti, allo scopo di assumere il controllo e la<br />

direzione dell’intero traffico di tabacchi, non disdegnava di reclutare come<br />

uomini d’onore semplici “sigarettai” il cui unico merito era quello di essere<br />

esperti contrabbandieri, a prescindere dal possesso dei requisiti che<br />

solitamente venivano richiesti agli aspiranti uomini d’onore”. 43<br />

Peraltro pare che, nonostante le affiliazioni, i rapporti tra napoletani e<br />

siciliani non fossero dei migliori; per Calderone: “l’accordo tra siciliani e<br />

napoletani per la gestione del contrabbando di sigarette non durò comunque<br />

a lungo. Si erano creati troppi contrasti. Era diventato impossibile controllare<br />

che tutti mantenessero fede agli impegni presi. I napoletani, come al solito,<br />

facevano i furbi. A ogni turno, cercavano di scaricare molte più casse di<br />

quelle stabilite. Eravamo nel 1979, e c’era pure la droga che attirava gli<br />

uomini d’onore più potenti”. 44<br />

Calderone, in questo passaggio, pone dunque l’accento sull’importanza<br />

che rivestirà il business del traffico di stupefacenti; l’esperienza del<br />

contrabbando, con le sue reti organizzative già strutturate da anni e con il<br />

knowledge degli uomini che se ne occupano, si presta ottimamente ad essere<br />

riconvertita nel ricco mercato della droga. 45<br />

Per Sales, “è con il ruolo occupato nel traffico internazionale della<br />

droga, alla metà degli anni settanta, grazie all’unificazione che avviene tra le<br />

reti del contrabbando e quelle dei traffici di droga, che la camorra comincia a<br />

varcare i confini campani, a crearsi una sua precisa identità mafiosa, a<br />

divenire, cioè, un’organizzazione di quadri criminali di una certa consistenza.<br />

Il traffico di droga sprovincializza i delinquenti campani e dà loro una<br />

dimensione nuova nella gerarchia criminale”. 46<br />

42<br />

C. Stajano (a cura di), Mafia. L’atto di accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti, Roma 1986,p. 95.<br />

43<br />

Ivi, p.92.<br />

44<br />

P. Arlacchi, Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone,<br />

Mondadori, Milano 1992, p.121.<br />

45<br />

Cfr. C. Guglielmucci, Economia della società camorristica, in F. Barbagallo, (a cura di), Camorra e<br />

criminalità organizzata in Campania, Liguori, Napoli 1988, p. 119.<br />

46<br />

I. Sales, op.cit., p.148.<br />

14


Si tratterebbe quindi di un doppio salto di qualità effettuato dalla<br />

camorra, prima, all’inizio degli anni sessanta, mediante la collaborazione con<br />

la mafia siciliana nella gestione del contrabbando e poi, verso la metà del<br />

decennio successivo, con l’ingresso nel mercato degli stupefacenti.<br />

La mafizzazione della camorra è dunque direttamente responsabile<br />

dell’evoluzione dei sodalizi criminali napoletani che assumono una struttura<br />

analoga alle cosche siciliane, con un forte familismo e legami interni molto<br />

robusti. Ciò in virtù del fatto che controllare mercati illegali ad elevata<br />

complessità necessita di un’organizzazione criminale strutturata, in grado di<br />

garantire il notevole rischio d’impresa ad essi connesso; inoltre essere i<br />

fiduciari a Napoli di Cosa Nostra, significa lavorare sotto l’ombrello di quel<br />

marchio di garanzia che identifica la mafia siciliana in tutto il mondo e<br />

conseguentemente assumerne le caratteristiche.<br />

Siffatta evoluzione della camorra fa sì che la sua attività non si<br />

esaurisca con il controllo del rifornimento di altri mercati, gestito in società<br />

con Cosa Nostra, andando altresì ad investire un ambito locale di proporzioni<br />

enormi se solo si pensa che, da uno studio effettuato nel 1982 da Pci e Fgci in<br />

merito al traffico di droga in Campania, si delinea la fotografia di un mercato<br />

che fornisce profitti per quattrocento miliardi l’anno e una liquidità circolante<br />

tra i 10000 e i 15000 miliardi di vecchie lire. 47<br />

Inoltre, la possibilità di gestire, a scopo di riciclaggio, ingenti capitali in<br />

un primo momento riferibili perlopiù ad attività di Cosa Nostra, ma poi<br />

frutto dell’impegno diretto della camorra nel contrabbando e nel traffico di<br />

stupefacenti, fa sì che essa, in questi anni, assuma caratteristiche di<br />

modernità soprattutto in ordine alle proprie capacità imprenditoriali. Gli<br />

enormi profitti derivanti da sigarette e droga le hanno finalmente permesso<br />

di legittimarsi socialmente, abbattendo quella storica barriera che la separava<br />

dalle classi dominanti ed entrando quindi in contatto con quei ceti economici,<br />

finanziari e politici di Napoli e dintorni, il cui appoggio permette, per la<br />

prima volta, un attivo impegno nell’ambito della speculazione edilizia che si<br />

concreterà in un controllo capillare degli appalti e nel monopolio della<br />

costruzione di immobili nelle zone sottoposte ad un maggiore controllo<br />

camorristico.<br />

Questa attitudine affaristica, sino ad ora sconosciuta all’organizzazione<br />

criminale campana, arriva ad investire a trecentosessanta gradi l’illegalità<br />

sottesa alla realtà napoletana e soprattutto della sua provincia; sono infatti<br />

47 Cfr. Droga e camorra in Campania, Coop.Editrice Sintesi, Napoli 1982, p.64.<br />

15


documentati interessi anche nella gestione delle bische e dei locali notturni,<br />

nel racket, nel mercato di prodotti ortofrutticoli e nelle agenzie immobiliari. 48<br />

Peraltro è opportuno sottolineare che il traffico di stupefacenti, se da un<br />

lato, in virtù degli enormi guadagni ad esso connessi, ha permesso alla<br />

camorra di assurgere al ruolo di grande criminalità organizzata, dall’altro,<br />

destando un forte allarme sociale, ha rotto quel fronte compatto della<br />

subcultura dell’illegalità che sino a quel momento aveva permesso la<br />

sopravvivenza secolare di mercati pubblici illeciti, ha posto in essere la fine<br />

della tolleranza istituzionale e piccolo borghese che sino ai tempi del semplice<br />

contrabbando era stata una caratteristica di Napoli e dintorni.<br />

Molti studiosi del fenomeno usano fare originare la fase<br />

imprenditoriale della camorra con la gestione illegale della ricostruzione post<br />

terremoto del 1980; in realtà, come si è visto, questa fase era già iniziata in<br />

sordina agli inizi degli anni settanta, e si era consolidata con il precipuo ruolo<br />

economico assunto dal sistema delle autonomie locali in quegli anni, ruolo<br />

semplicemente accresciuto dal terremoto. Con il terremoto l’Italia scopre la<br />

camorra, ma non è che il terremoto abbia dato inizio alla camorra come<br />

impresa. 49<br />

1.2 Raffaele Cutolo e l’esperienza della N.C.O.<br />

“Mentre, dunque, si stava consolidando un lento processo di<br />

mafizzazione della camorra grazie alla riconversione del traffico di sigarette<br />

in quello della droga, veniva alla luce un altro tipo di organizzazione<br />

delinquenziale ad opera di Raffaele Cutolo: la Nuova Camorra Organizzata.<br />

E’ questo tipo di organizzazione che va attentamente studiata, perchè<br />

difficilmente assimilabile all’altra camorra, avendo caratteristiche e<br />

motivazioni del tutto diverse. Il terremoto del novembre ’80 trova già<br />

operanti questi due tipi di camorra, che schematicamente si possono definire<br />

l’uno camorra-impresa e l’altro camorra-massa; l’uno a più spiccate<br />

caratteristiche mafiose, l’altro a più spiccate caratteristiche sociali”. 50<br />

Sino all’inizio degli anni ottanta, la camorra non si impone<br />

all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale, per quanto nella sua zona di<br />

origine si percepisca già da tempo la sua ingombrante presenza; l’opinione<br />

48 Cfr. I. Sales, op.cit., pp.149-150.<br />

49 Ivi, pp. 150-151.<br />

50 Ivi, pp.161-162.<br />

16


comune era ancora di considerarla fenomeno tradizionale-culturale, legato ad<br />

una particolare realtà geografica, e conseguentemente destinato a scomparire<br />

con l’evoluzione socioeconomica di quel contesto, sicuramente non<br />

paragonabile, in termini di pericolosità sociale, a Cosa Nostra.<br />

In occasione del grave sisma che colpisce Campania e Basilicata nel<br />

novembre del 1980, finalmente il dibattito politico e sociale esplode. Ciò<br />

avviene innanzitutto in seguito ai violenti scontri tra detenuti appartenenti a<br />

schieramenti rivali, verificatisi nel carcere di Poggioreale nei momenti di<br />

panico che seguono il terremoto – circostanza che permette di prendere<br />

coscienza del fatto che in Campania si sta combattendo una vera e propria<br />

guerra di camorra - e poi, più tardi, in relazione alle palesi infiltrazioni<br />

camorristiche nell’opera di primo soccorso e ricostruzione. 51<br />

Eclatante è soprattutto l’azione della Nuova Camorra Organizzata di<br />

Raffaele Cutolo, organizzazione peraltro non nuova ma presente sul territorio<br />

campano già da alcuni anni.<br />

L’origine di questo sodalizio sarebbe da ricercarsi nel mondo<br />

carcerario, ambiente storicamente fertile per la germinazione e lo sviluppo<br />

della fenomenologia camorristica 52 . Luciano Violante a questo proposito ha<br />

osservato che “nella cultura camorristica entrare in carcere è un segno di<br />

valore, significa che si sono commessi reati gravi; è perciò abituale vantarsi<br />

delle detenzioni subite[...] La camorra non ha organizzazioni ben strutturate,<br />

nè affidabili criteri di selezione degli affiliati, nè cerimonie iniziatiche<br />

particolarmente radicate. Il carcere diventa così un banco di prova che<br />

supplisce alla mancanza di altri criteri e procedure di selezione. Il passaggio<br />

attraverso il carcere mostra la qualità criminale del camorrista, il suo<br />

comportamento in carcere dimostra se è in grado di comportarsi “bene” in<br />

condizioni di difficoltà.[...] Conta anche lo stretto rapporto tra camorra e<br />

malavita, il ruolo storico di “governo” della malavita minore”. 53<br />

Raffaele Cutolo inizia il progetto “NCO” proprio dal carcere, mediante<br />

l’affiliazione di molti detenuti a cui vengono assicurati, in cambio della lealtà<br />

all’organizzazione, concreti aiuti alle famiglie, assistenza finanziaria e legale,<br />

solidarietà da parte degli altri membri del clan per migliorare le proprie<br />

condizioni di permanenza in prigione.<br />

51<br />

Cfr. R. Sciarrone, Mafie vecchie, mafie nuove. Radicamento ed espansione, Donzelli editore, Roma 1998,<br />

p.165.<br />

52<br />

Sull’importanza dell’ambiente carcerario sin dalle origini della camorra, si veda I. Sales, op.cit., pp.88 e sgg.<br />

53<br />

L. Violante, Non è la piovra, cit., pp.141-142.<br />

17


La Commissione Parlamentare antimafia, nella Relazione sulla Camorra<br />

del 1993, a proposito della Nuova Camorra Organizzata rileva: ad un ceto<br />

delinquenziale sbandato e fatto spesso di giovani disperati, Cutolo offre<br />

rituali di adesione, carriere criminali, salario, protezione in carcere e fuori. Si<br />

ispira ai rituali della camorra ottocentesca, rivendicando una continuità e una<br />

legittimità che altri non hanno. Istituisce un tribunale interno, invia vaglia di<br />

sostentamento ai detenuti più poveri e mantiene le loro famiglie. [...] Vive di<br />

estorsioni, realizzate anche attraverso la tecnica del porta-a-porta. Impone<br />

una tassa su ogni cassa di sigarette che sbarca. Vuole imporsi ai siciliani, che<br />

non si sottomettono. Impera con la violenza più spietata. 54<br />

Dunque uno dei principali capisaldi del sodalizio criminale promosso<br />

da Raffele Cutolo è da ricercarsi nel suo essere un’organizzazione illegale del<br />

tutto autoctona, che si contrappone all’egemonia posta in essere da Cosa<br />

Nostra sulle cosche campane e conseguentemente si scontra con quei gruppi<br />

camorristici che restano in relazione con quest’ultima.<br />

Proprio a tale scopo è da interpretarsi l’intimo rapporto di Cutolo con<br />

la ‘ndrangheta calabrese; 55 le testimonianze di alcuni pentiti gli hanno<br />

addirittura attribuito una vera e propria affiliazione alla stessa, che sarebbe<br />

avvenuta nel carcere di Poggioreale sotto l’egida di importanti boss calabresi<br />

quali Piromalli, De Stefano e Mammoliti. 56<br />

L’organizzazione calabrese sarebbe dunque l’originario modello<br />

organizzativo a cui si ispira Cutolo, anche se l’evoluzione della Nuova<br />

Camorra Organizzata sarà poi contraddistinta da caratteristiche ben diverse<br />

dalla ‘ndrangheta; 57 ma, a prescindere dallo schema logistico di riferimento, è<br />

il forte rapporto che lega Camorra di Cutolo e ‘Ndrangheta a influenzare gli<br />

equilibri criminali del sud di questi anni.<br />

“L’asse Cutolo – De Stefano caratterizzò per un lungo periodo (1977-<br />

1982) l’assetto della criminalità organizzata nell’intero meridione d’Italia,<br />

influenzando le più rilevanti vicende delittuose, come omicidi, traffico di<br />

droga, sequestri di persona”. 58<br />

54 Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, (relatore Luciano Violante), approvata a<br />

maggioranza il 21 dicembre 1993. A.P., Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc.<br />

XXIII, n.12, Roma 1993, pp.43-44.<br />

55 Cfr. E. Ciconte, ‘Ndrangheta dall’Unità a oggi, Laterza, Roma-Bari 1992.<br />

56 Cfr. Tribunale di Reggio Calabria, Procedimento penale n.46/93 r.g.n.r. D.D.A. a carico di Condello P. ed<br />

altri, Procura della Repubblica, Direzione Distrettuale Antimafia, Reggio Calabria 1995, p.4741.<br />

57 Si pensi, solo per fare l’esempio più ovvio, al familismo su cui si basa la struttura delle cosche calabresi, ben<br />

più di quelle siciliane, contrapposto alla struttura aperta di massa della NCO, che affilia indipendentemente dai<br />

legami di sangue.<br />

58 Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza sentenza contro Albanese M. più 190, Reggio Calabria 1988, pp.<br />

188-189.<br />

18


E’ comunque interessante porre l’accento sull’intreccio di caratteristiche<br />

che stanno alla base della NCO: contrapposizione allo straniero colonizzatore,<br />

in particolare siciliano, compattamento intorno a comuni codici antropologici<br />

e culturali, riferibili all’antica tradizione camorristica ottocentesca, ricorso al<br />

modello ‘ndranghetistico nella scelta delle caratteristiche organizzative e<br />

normative. Raffaele Cutolo, mediante l’impiego di questi elementi, ha tentato<br />

di pervenire ad “un’identità regionale su basi delinquenziali”. 59<br />

“Mi auguro che continui la nostra storia perchè sia io che voi tutti<br />

abbiamo dimostrato e rivelato quale sia la forza del nostro animo e del nostro<br />

carattere che rinnovando i fasti antichi di Napoli e della Campania abbiamo<br />

restituito un popolo alla sua dignità... per imporre noi il destino della nostra<br />

Campania con il simbolo del Vesuvio”. 60<br />

Nel passaggio precedente emerge con assoluta chiarezza il tentativo<br />

posto in essere da Cutolo di strumentalizzare l’identità regionale in funzione<br />

aggregante, mediante il ricorso a richiami simbolici appartenenti al codice<br />

culturale campano. Tale elemento si combina perfettamente con la<br />

propensione della NCO a difendere i più poveri ed indifesi poichè dà luogo<br />

ad una sorta di filosofia della criminalità, nei cui valori si identificano i suoi<br />

aderenti e che in tal modo giustificano agli occhi della società il proprio agire<br />

fuori legge 61 . Cutolo è probabilmente stato il solo boss malavitoso “ad avere<br />

elaborato una sorta di filosofia, una teoria capace , a modo suo, di supportare<br />

la prassi quotidiana delle violenze”. 62<br />

Tra il febbraio del 1978 e il maggio 1979, Cutolo è latitante a seguito<br />

dell’evasione dall’ospedale psichiatrico di Aversa; in questo breve periodo<br />

riesce a strutturare la NCO in modo verticistico, a nominare rappresentanti a<br />

capo delle province di Napoli, Salerno e Caserta, a estendere il proprio potere<br />

su tutta la Campania, a stringere rapporti con la mala milanese di Turatello e<br />

Vallanzasca, a rafforzare i legami con la ‘ndrangheta, e addirittura a tentare la<br />

colonizzazione di un’area in espansione come la Puglia, mediante la<br />

creazione di una organizzazione sottomessa alla NCO sul territorio pugliese<br />

con caratteristiche organizzative speculari. 63<br />

59 I. Sales, op.cit., p.177.<br />

60 R. Cutolo, Poesie e pensieri, Berisio, Napoli 1980, p.57.<br />

61 Ecco da dove trarrebbe la sua origine la caratteristica della NCO di dare ampio risalto pubblico alle proprie<br />

attività illecite. “I camorristi scrivono lettere ai giornali, fanno dichiarazioni e soprattutto rivendicano<br />

ripetutamente gli omicidi.” (I. Sales, op.cit., p. 181)<br />

62 F. Durante, Don Raffaele manda a dire, in “Il Piccolo”, 22 giugno 1983.<br />

63 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p.167, 169.<br />

19


L’approfondita analisi dell’ambizioso progetto di Cutolo, teso a<br />

pervenire al controllo onnicomprensivo di tutte le forme di illegalità su un<br />

determinato territorio, ha indotto Sales ad affermare: non si può<br />

assolutamente sottovalutare il fatto che con Cutolo sia stata costruita la più<br />

capillare organizzazione criminale mai pensata, almeno in Italia;<br />

un’organizzazione che non ha paragoni non solo nella storia passata della<br />

camorra, ma dell’intera criminalità internazionale. 64<br />

Anche Lamberti si è soffermato sul progetto cutoliano: “questo<br />

progetto non solo prevedeva la centralizzazione e la direzione unificata della<br />

attività criminale a livello micro e macro, ma aveva due importanti<br />

conseguenze: quella di espandersi su nuovi territori e quella di dar vita, di<br />

impiantare nuove attività criminali”. 65<br />

Ovviamente, le famiglie camorristiche legate da anni a Cosa Nostra non<br />

possono permettere all’organizzazione di Raffaele Cutolo di raggiungere<br />

l’auspicato predominio dei mercati illegali campani; al 1978 risale il tentativo<br />

di Michele Zaza di creare una struttura federativa di tutte le cosche non<br />

facenti parte della NCO, denominata Onorata Fratellanza. A questo primo<br />

tentativo di contrastare la rapida ascesa di Cutolo, segue, in stretta intesa con<br />

Cosa Nostra, la creazione della Nuova Famiglia 66 e, conseguentemente, in<br />

Campania scoppia un conflitto feroce, con un numero di omicidi che non si<br />

discosta da quello della seconda guerra di mafia che si sta combattendo a<br />

Palermo nello stesso periodo. 67 Isaia Sales ha osservato che, all’origine della<br />

guerra di camorra che vive la sua fase più violenta tra il 1977 ed il 1983, ci<br />

sarebbe anche una componente imputabile al tentativo di monopolizzare il<br />

traffico di stupefacenti; le famiglie collegate a Cosa Nostra erano infatti<br />

inizialmente impegnate esclusivamente nel traffico di eroina, mentre pare che<br />

i cutoliani si occupassero del mercato di cocaina, gestito in prima persona<br />

proprio da Cutolo che dal manicomio giudiziario in cui era detenuto teneva<br />

telefonicamente i contatti con i suoi referenti in America del Sud.<br />

L’affermazione secondo cui la NCO preferiva puntare sulla cocaina perchè<br />

sostanza meno pericolosa per gli assuntori e quindi non foriera di un forte<br />

allarme sociale, sarebbe del tutto priva di fondamento. La richiamata<br />

spartizione del traffico di stupefacenti sarebbe invece riferibile alla strategia<br />

64<br />

I. Sales, op.cit., p.163.<br />

65<br />

A. Lamberti, La camorra “impresa”: le nuove strategie economiche e i nuovi assetti organizzativi, in<br />

Barbagallo (a cura di), 1988, p.103.<br />

66<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., pp.19,45.<br />

67<br />

Secondo Sciarrone, tra il 1980 ed il 1984 nella sola Campania vennero commessi 1242 omicidi (Cfr. R.<br />

Sciarrone, op.cit., p.168)<br />

20


di Cosa Nostra volta a lasciare una parte di mercato comunque residuale – la<br />

cocaina è senz’altro meno competitiva in termini di profitto, visto l’elevato<br />

costo e il target d’elite a cui si rivolge – ad altre organizzazioni criminali, in<br />

maniera da diminuire i contrasti con esse. Tale considerazione è avvalorata<br />

proprio dall’interesse che ad un certo punto la NCO comincerà a nutrire nei<br />

confronti del ricco mercato legato all’eroina e che sarà una delle cause dello<br />

scoppio del conflitto con le cosche vicine a Cosa Nostra 68 .<br />

L’esperienza di Cutolo e della NCO si chiuderà proprio per lo<br />

sterminio dei propri affiliati ad opera del clan rivale Alfieri-Galasso che<br />

culminerà nell’uccisione di Vincenzo Casillo, numero due<br />

dell’organizzazione e reggente della stessa durante la detenzione di Cutolo,<br />

in concomitanza con una forte azione di repressione intrapresa dalla<br />

magistratura e dalle forze di Polizia, finalmente divenute coscienti della forza<br />

e della pericolosità della camorra 69 . Ma oltre a queste cause “esterne”<br />

all’organizzazione, si assisterà ad una vera e propria implosione di quella<br />

filosofia improntata alla rivalsa sociale, che tanto successo aveva avuto nel<br />

reclutare un vero e proprio esercito di affiliati, perlopiù molto giovani. La<br />

NCO è l’organizzazione criminale che in assoluto conta il maggior numero di<br />

pentiti, ma non si tratta di pentitismo volto a danneggiare le cosche rivali, alla<br />

Buscetta, ma di una dissociazione, analoga a quella vissuta da molti brigatisti,<br />

che si manifesta nel momento in cui una vera e propria crisi ideologica<br />

investe questo sodalizio. Un pentito dichiarerà: “non vale passare la vita in<br />

carcere per un ideale che non esiste...ho avuto la definitiva conferma, dopo<br />

pochi anni di militanza nella N.C.O. che in realtà tutto ciò che si fa<br />

nell’ambito di essa è a quasi esclusivo vantaggio di pochi camorristi, i quali<br />

soltanto si assicurano una solida posizione economica per sè e per i loro<br />

familiari”. 70<br />

La NCO è dunque stata vittima di se stessa e della sua promessa non<br />

mantenuta, una promessa che non si rivolgeva ad un solo destinatario ma che<br />

potremmo definire - come è stata definita la NCO - “di massa,” perchè<br />

coinvolgeva un’intera classe sociale, quella economicamente più povera e<br />

socialmente più disperata di Napoli e di altre province campane. Queste<br />

persone avevano un sogno inculcato nelle loro menti da quell’astuto<br />

manipolatore che fu Raffaele Cutolo, un sogno di ascesa sociale ed<br />

68 Cfr. I. Sales, op.cit., p.154.<br />

69 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., p.144.<br />

70 Tribunale di Salerno, Ordinanza del giudice Santoro contro Abbruzzese più 140, Salerno 1983.<br />

21


economica, di fuga dagli stenti e dal degrado, un sogno che finì però col<br />

tramutarsi prima nell’incubo della violenza, poi in quello della guerra di<br />

camorra e infine nel carcere.<br />

Pandico, all’indomani del suo pentimento, scriverà a Cutolo: “quando<br />

ti capiterà di essere solo, di non possedere più una massa camorristica, dovrai<br />

ben toglierti la maschera. Suppongo se non altro per tirare il fiato. Altrimenti<br />

finirai per soffocare davanti a tanti morti che gridano ancora: perchè, perchè<br />

siamo morti?” 71<br />

1.3 Relazioni equivoche: il sequestro di Ciro Cirillo<br />

Una delle cause responsabili del declino della NCO è da ricercarsi nel<br />

coinvolgimento della stessa nelle vicende connesse al rapimento di Ciro<br />

Cirillo. 72<br />

Il 27 aprile del 1981 l’assessore all’urbanistica della Regione Campania,<br />

il democristiano Ciro Cirillo, viene sequestrato dalle Brigate Rosse 73 ; la sua<br />

prigionia si concluderà alla fine del mese di luglio dello stesso anno, a fronte<br />

del pagamento di un riscatto, dopo mesi di trattative tra i massimi esponenti<br />

del suo partito, gli stessi brigatisti, i servizi segreti italiani e uomini della<br />

Nuova Camorra Organizzata.<br />

L’intera vicenda è stata affrontata dal giudice Carlo Alemi,<br />

responsabile dell’istruttoria ed estensore della corposa ordinanza di rinvio a<br />

giudizio depositata nel luglio del 1988, che ha approfonditamente delineato i<br />

contorni di una vicenda torbida ed inquietante di cui sono stati protagonisti<br />

sia elementi della criminalità, sia esponenti ai massimi livelli del mondo<br />

legale 74 .<br />

“Il sequestro Cirillo è l’unico caso di cui si abbia notizia, che cioè non è<br />

sfuggito al vaglio dell’opinione pubblica, certo in Italia e forse nel mondo, in<br />

cui esponenti di un partito politico, terroristi, delinquenti, servizi segreti,<br />

71<br />

Cutolo giù la maschera, lettera aperta di Pandico a Cutolo riportata da E. Perez in “Il Mattino”, 31 luglio<br />

1983.<br />

72<br />

Cfr. V. Vasile (a cura di), L’affare Cirillo. L’atto di accusa del giudice Alemi, Editori Riuniti, Roma 1989.<br />

73<br />

“Nel corso dell’azione brigatista vengono uccisi l’appuntato Luigi Carbone, addetto alla tutela dell’assessore<br />

democristiano e l’autista Mario Cancello. E’ ferito il segretario Ciro Fiorillo.” (L. Violante, Non è la piovra,<br />

cit., p. 76)<br />

74<br />

Cfr. Tribunale di Napoli, Ordinanza di rinvio a giudizio del giudice Alemi, depositata il 28 luglio 1988,<br />

Napoli 1988.<br />

22


“pezzi di Stato” hanno strettamente collaborato e si sono reciprocamente<br />

influenzati per liberare un ostaggio dalle mani di una banda criminale”. 75<br />

Aldilà delle interpretazioni di parte in merito all’equivoco rapporto<br />

instaurato con i cutoliani alfine di liberare Cirillo 76 , occorre far luce sulle<br />

motivazioni che indussero questa commistione tra sistemi illegali -<br />

brigatismo, camorra e servizi deviati - ed alta politica; innanzitutto è<br />

fondamentale sgombrare il campo da equivoci e prendere atto del fatto che il<br />

sequestro Cirillo fu un rapimento esclusivamente di matrice politica, posto in<br />

essere da un gruppo eversivo, la colonna napoletana delle BR, che, all’interno<br />

dell’universo del brigatismo rosso italiano, aveva caratteristiche peculiari,<br />

poichè come referente sociale non aveva la classe operaia delle città ad<br />

elevata industrializzazione del nord “sfruttata” dal capitalismo, ma il ben più<br />

eterogeneo sottoproletariato urbano napoletano e le sue composite istanze di<br />

emancipazione sociale. Se questi erano i presupposti, per quale motivo la<br />

vicenda si concluse con un riscatto, come se i rapitori non fossero criminali<br />

politici ma elementi della malavita sarda o calabrese?<br />

L’ordinanza del giudice Alemi evidenzia che, almeno in prima battuta,<br />

non fu infatti richiesto alcun riscatto, ma lo scopo dei brigatisti era orientato<br />

all’”obiettivo politico di un allargamento del consenso attorno alla lotta<br />

armata.” 77 In maniera analoga al caso Moro si intendeva sottoporre un<br />

esponente politico al processo proletario che, nella fattispecie, si sarebbe<br />

dovuto concentrare sulle gravi mancanze della classe dirigente democristiana<br />

in ordine alla ricostruzione dopo il sisma del 1980. La liberazione di Cirillo,<br />

ammesso che fosse stata accordata, avrebbe dovuto corrispondere alla<br />

concessione da parte dello Stato di contropartite sociali, quali “lo<br />

smantellamento dei campi-container di Napoli o evitare la “deportazione”,<br />

come i brigatisti chiamavano il programma di ricostruzione di alloggi per i<br />

terremotati di Napoli nei comuni circostanti”. 78<br />

Inizialmente dunque era del tutto privo di interesse per i brigatisti<br />

intavolare una trattativa fondata su contropartite economiche che<br />

75 I. Sales, op.cit., p. 239.<br />

76 Alcuni esponenti della sinistra hanno affermato che il rischio che Cirillo crollasse e cominciasse a parlare<br />

rivelando notizie scottanti sull’operato democristiano, impose alla DC di fare ricorso a qualsiasi mezzo per<br />

liberarlo, ivi compresa la trattativa con un delinquente del livello di Raffaele Cutolo. Dal canto loro, i servizi<br />

segreti hanno sostenuto che il coinvolgimento nell’affare Cirillo era stato scientemente programmato allo scopo<br />

di poter entrare in contatto con le BR ed effettuare attività di intelligence finalizzata al contrasto del fenomeno.<br />

(Ivi, p. 240).<br />

77 L. Violante, Non è la piovra, cit. p. 76.<br />

78 I. Sales, op.cit., p.241.<br />

23


ineluttabilmente avrebbe coinvolto esclusivamente la famiglia dell’assessore<br />

regionale e non il suo partito politico.<br />

Questa linea strategica mutò radicalmente nel momento in cui le BR<br />

presero coscienza del fatto che la DC, su suggerimento della camorra, non si<br />

limitava ad essere un semplice interlocutore politico, ma era disposta ad<br />

intervenire economicamente pur di addivenire ad una conclusione incruenta<br />

della vicenda; a queste condizioni il riscatto assunse caratteristiche ben<br />

diverse, innanzitutto perchè divenne un vero e proprio esproprio proletario,<br />

ma, soprattutto, perchè avrebbe potuto costituire una prova inoppugnabile<br />

del collegamento tra DC, criminalità organizzata napoletana e settori<br />

dell’imprenditoria campana, che sarebbero stati i finanziatori dell’operazione.<br />

Si era quindi manifestata una situazione che poteva fornire risultati ben al di<br />

sopra delle aspettative iniziali dei rapitori.<br />

La colonna napoletana delle BR, nonostante le notevoli perplessità<br />

sollevate da gruppi brigatisti di altre città, nel prendere atto dell’imprevista<br />

evoluzione vissuta dalla vicenda Cirillo, comprese quindi che si erano creati i<br />

presupposti per trascinare il suo nemico politico per eccellenza in una<br />

trappola che ne avrebbe potuto compromettere profondamente i vertici<br />

nazionali e locali.<br />

Passiamo ora ad esaminare il secondo sistema illegale che entrò in<br />

gioco: i servizi segreti deviati controllati dalla P2. Prima di scendere nel<br />

dettaglio, pare corretto sgombrare il campo da qualsiasi dubbio in merito<br />

all’effettiva partecipazione dei servizi di sicurezza nella trattativa con la<br />

camorra e le BR; tale circostanza è stata infatti esplicitamente riconosciuta sia<br />

dall’allora direttore del SISDE, il Prefetto Parisi 79 , sia dal Generale Mei 80 , suo<br />

omologo per il SISMI, sia dall’onorevole Vincenzo Scotti, 81 nel corso di una<br />

serie di audizioni tenutesi al cospetto della Commissione Parlamentare<br />

antimafia.<br />

Pare innanzitutto corretto sottolineare che non fu il servizio segreto<br />

civile, il SISDE, a divenire protagonista del caso Cirillo, ma quello militare, il<br />

SISMI che, in base ai propri compiti istituzionali, non avrebbe dovuto avere<br />

79 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del prefetto Vincenzo<br />

Parisi, direttore vicario pro-tempore del SISDE, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica,<br />

XI legislatura, Seduta del 10 settembre 1993, Roma 1993, pp. 2622,2651.<br />

80 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del generale Abelardo<br />

Mei, direttore vicario pro-tempore del SISMI, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica,<br />

XI legislatura, Seduta del 10 settembre 1993, Roma 1993, p.2642.<br />

81 Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione dell’onorevole Vincenzo Scotti,<br />

AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 15 luglio 1993, Roma<br />

1993, p.2368.<br />

24


voce in capitolo in una vicenda che atteneva alla criminalità ed alla politica<br />

interna del paese; ciò nonostante, come evidenziato nella relazione del<br />

Comitato Parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza 82 (la<br />

cosiddetta relazione Gualtieri, presidente del Comitato e relatore), furono<br />

proprio esponenti del SISMI a partecipare alla trattativa, su indirizzo della<br />

loggia massonica P2, in funzione di un progetto eversivo che avrebbe dovuto<br />

condurre ad un successivo ricatto nei confronti della Democrazia Cristiana.<br />

Tale affermazione è avvalorata dalla tempistica dell’intervento dei servizi,<br />

che fecero il loro ingresso sulla scena del rapimento solamente nel momento<br />

in cui fu chiaro che alla trattativa con BR e camorra non si sarebbero limitati a<br />

partecipare semplici esponenti politici locali - già peraltro notoriamente in<br />

contatto con la criminalità campana e quindi non ricattabili per queste<br />

equivoche frequentazioni - ma sarebbero state coinvolte anche figure di<br />

spicco del partito di maggioranza relativa.<br />

Per quanto riguarda invece i vantaggi che avrebbe avuto Cutolo ove<br />

avesse fornito la propria collaborazione, nel corso della stessa relazione il<br />

Comitato parlamentare ha precisato che la NCO avrebbe tratto beneficio del<br />

ruolo rivestito nella vicenda, ben aldilà della semplice spartizione del riscatto<br />

con le BR.<br />

“Il riscatto da pagarsi alle Brigate Rosse costituiva solo una parte della<br />

partita, e la concessione di contropartite di altro tipo ai clan camorristici di Cutolo,<br />

elevati a rango di intermediari tra lo Stato e le formazioni terroristiche, era<br />

altrettanto necessaria”. 83<br />

Le ulteriori “contropartite” richiamate nella relazione Gualtieri, sono<br />

state poi individuate dalla Commissione Parlamentare antimafia in un<br />

ingente flusso di denaro, stanziato per la ricostruzione dopo il sisma del 1980<br />

e finito nelle tasche di ditte camorristiche, grazie alla collusione che ha<br />

permesso l’aggiudicazione irregolare dei relativi appalti. 84<br />

Il coinvolgimento nella trattativa di elementi democristiani di primo<br />

piano scaturì dall’aver preso atto che un episodio apparentemente minore,<br />

come il sequestro di un amministratore locale, rischiava di andare a<br />

sconvolgere gli equilibri della corrente dorotea, che dominava il partito sia a<br />

82 Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, Relazione del<br />

Comitato sui problemi relativi all’operato dei servizi di informazione e sicurezza durante il sequestro<br />

dell’assessore democristiano della regione Campania Ciro Cirillo, A.P., IX legislatura, doc. XLVIII n.1,<br />

maggio – luglio 1981, Roma 1984.<br />

83 Ivi, p.12, (il corsivo è mio).<br />

84 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., pp.114-115.<br />

25


livello nazionale con Flaminio Piccoli che localmente col potentissimo<br />

Antonio Gava, amico fraterno di Cirillo. Fu proprio Gava infatti, ad insistere<br />

con i vertici nazionali democristiani per una soluzione improntata alla<br />

trattativa con le BR, anche giocando sul fatto che il PCI, che era stato strenuo<br />

oppositore della trattativa nel caso del rapimento di Aldo Moro, era in quel<br />

momento privo di capacità decisionale, essendo stato estromesso dal governo<br />

dopo la fine del periodo del compromesso storico.<br />

Il grande peso politico esercitato da Gava all’interno del partito fece sì<br />

che a Roma si decidesse di trattare per la liberazione di Cirillo. Proprio a<br />

seguito di questi fatti, il SISMI, o per meglio dire le sue componenti deviate<br />

dalla P2, ritenne di divenire protagonista della vicenda; anche il servizio<br />

segreto militare, come già le Brigate Rosse, aveva quindi preso atto che<br />

l’evoluzione politica del rapimento di Cirillo avrebbe potuto aprire delle<br />

interessanti opportunità in relazione al disegno di colpire la DC.<br />

A questo punto si potrebbe obiettare che, una volta autorizzata la scelta<br />

di trattare da parte dei vertici romani del partito, non si comprende la<br />

necessità di un coinvolgimento diretto dei grandi nomi; sarebbe infatti stato<br />

sufficiente servirsi di esponenti locali del partito, quegli elementi di cui<br />

poc’anzi si ricordavano le frequentazioni equivoche, come Giuliano Granata,<br />

sindaco democristiano del comune di Giugliano. Fu proprio a questo livello<br />

che entrò in gioco la camorra, o meglio Raffaele Cutolo, che percepì il<br />

profilarsi della grande occasione, sfuggita a generazioni di camorristi prima<br />

di lui: entrare in diretto contatto con i più alti rappresentanti del mondo<br />

legale. Ciò avrebbe significato raggiungere finalmente quella legittimazione<br />

pubblica di cui godeva Cosa Nostra in Sicilia e che il carattere mercenario<br />

della camorra ed il proprio retroterra popolare avevano inibito per quasi due<br />

secoli. Cutolo era alla spasmodica ricerca della riconoscenza da parte del<br />

potere costituito; essa avrebbe potuto permettergli il definitivo salto di<br />

qualità che ancora mancava alla Nuova Camorra Organizzata, verticistica,<br />

militarmente efficiente, capillare nel controllo del territorio ma ancora<br />

indissolubilmente legata alle classi basse, ed in contatto con la politica locale<br />

esclusivamente in funzione strumentale alle esigenze di quest’ultima.<br />

L’atteggiamento spregiudicato della classe politica napoletana scaturiva dal<br />

teorema secondo cui “nel rispetto della legge non si governa una realtà così<br />

complessa come Napoli e il suo hinterland” 85 ma era altresì fondato<br />

sull’intima convinzione di una marcata asimmetria, a favore della politica,<br />

85 I. Sales, op.cit., p.244.<br />

26


intrinseca al rapporto con le componenti illegali della società, che erano, in<br />

qualsiasi momento, abbandonabili al proprio destino.<br />

Quando nel carcere di Ascoli Piceno 86 , dove era rinchiuso Cutolo, si<br />

presentarono esponenti della politica e delle forze dell’ordine per chiedere il<br />

suo aiuto nella risoluzione del rapimento di Cirillo, dinnanzi al boss della<br />

NCO si materializzò la grande possibilità; Cutolo quindi non si accontentò di<br />

trattare con uomini del livello di Granata - che venne infatti ricevuto<br />

solamente dal suo braccio destro Corrado Iacolare 87 - ma pretese, in cambio<br />

del proprio interessamento, di entrare in contatto direttamente con i più alti<br />

livelli della corrente dorotea.<br />

Ma, anche nel caso Cirillo, alla fine ebbe la meglio quella caratteristica,<br />

propria della criminalità organizzata campana, di fornire un servizio alle<br />

classi dominanti, in maniera esclusivamente estemporanea. Si ripropose,<br />

come rileva Sales, quel tratto mercenario al cui interno si trova “in nuce la<br />

storia del rapporto tra camorra e Stato.” 88 Infatti, dopo la liberazione<br />

dell’assessore regionale, la corrente dorotea napoletana guadagnò ulteriori<br />

posizioni negli equilibri di potere della DC e non esitò a ripristinare quella<br />

storica asimmetria a suo favore nel rapporto che la legava al sottomondo<br />

dell’illegalità. Proprio questo ennesimo tradimento da parte della politica fu<br />

una delle cause del declino della Nuova Camorra Organizzata, poichè, come<br />

ha riferito il pentito Pasquale Galasso, una volta liberato l’assessore<br />

democristiano, la stessa esca usata in precedenza con Cutolo – gli appalti per<br />

la ricostruzione – venne gettata ai suoi rivali del clan Alfieri, con il preciso<br />

scopo di mettere a tacere Don Raffaele e dissuaderlo dall’avanzare richieste<br />

che avrebbero potuto creare imbarazzo agli esponenti democristiani coinvolti<br />

nell’affaire Cirillo.<br />

Tale opera di persuasione fu realizzata da Carmine Alfieri con<br />

l’eliminazione di Casillo, braccio destro di Cutolo, mediante un’autobomba. 89<br />

Sia il coinvolgimento iniziale della NCO che quello del clan Alfieri sarebbero,<br />

86<br />

Per una precisa ricostruzione della vicenda, cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla<br />

camorra, cit., pp.95-116.<br />

87<br />

Cfr. I. Sales, op.cit., p.244.<br />

88<br />

Ibidem.<br />

89<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />

giustizia Pasquale Galasso, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura,<br />

Seduta del 13 luglio 1993, Roma 1993, p.2256, 2264.. A conferma delle connessioni tra NCO e apparati dello<br />

stato deviati, si osservi che tra gli effetti personali rinvenuti sul cadavere di Casillo risulta anche una tessera dei<br />

servizi segreti (Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p.79)<br />

27


secondo Galasso, frutto di trattative tra camorra ed esponenti della<br />

Democrazia Cristiana legati all’onorevole Gava. 90<br />

La NCO è stata sfruttata e poi abbandonata al suo destino, esattamente<br />

come la camorra ottocentesca che permise l’ingresso a Napoli di Garibaldi, o<br />

quegli esponenti malavitosi che tra il 1904 e il 1911 passarono dalla stretta<br />

collaborazione con il Prefetto di Napoli, al fine di non fare rieleggere il<br />

deputato socialista Ettore Ciccotti, al ruolo di imputati in occasione del<br />

processo Cuocolo.<br />

L’inferiorità palesata dalla camorra nei rapporti con altre entità –<br />

caratteristica comune a tutte le diverse espressioni della stessa che si sono<br />

susseguite nella sua secolare storia - non si esaurisce a livello della politica,<br />

investendo altresì tutte le espressioni criminali con cui essa è venuta in<br />

contatto; come infatti osservava nel 1986 la seconda Commissione<br />

Parlamentare antimafia in relazione al modello espresso dalla NCO, lo stesso<br />

“è stato il più adatto a farne un coacervo, un crocevia di tutte le illegalità<br />

diffuse in Italia e Campania. In pochi anni di ribalta la Nuova Camorra<br />

organizzata ha avuto rapporti con la grande finanza (Calvi), con la P2<br />

(Pazienza), con una parte dei servizi segreti (caso Cirillo), con il terrorismo<br />

(Senzani), con la mafia, la ‘ndrangheta, con la malavita dell’alta Italia. Tutte le<br />

forme destabilizzanti della società campana e italiana si sono intrecciate con<br />

essa e se ne sono servite”. 91<br />

1.4 Elementi distintivi<br />

Si dovrebbe essere ora in grado di riassumere quelle che sono le<br />

caratteristiche più originali della camorra. Troppo spesso si è infatti abusato<br />

di una sua definizione che, semplicisticamente, si limita a configurare come<br />

“mafia campana” una fenomenologia criminale decisamente pregna di<br />

peculiarità che la differenziano profondamente da Cosa Nostra; riprendendo<br />

le parole di Isaia Sales: “essa non va considerata come una variabile regionale<br />

del fenomeno mafioso, perchè si coglierebbe solo un tratto della sua storia<br />

recente. Il suo modo di manifestarsi, di organizzarsi, di produrre criminalità<br />

non è riconducibile del tutto alla tradizione mafiosa [...]. Anzi, un secolo fa si<br />

90<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />

giustizia Pasquale Galasso cit., p. 2256.<br />

91<br />

O. Barrese (a cura di), Relazione della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, relatore A.<br />

Alinovi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1986, p.65, il corsivo è mio.<br />

28


parlava della mafia come di un’espressione siciliana della camorra. Era<br />

un’analisi sbagliata allora e l’inverso sarebbe sbagliato oggi”. 92<br />

La camorra è una forma di criminalità di cui si sono scientificamente<br />

approfondite le caratteristiche in maniera infinitamente inferiore a quanto si è<br />

fatto per Cosa Nostra, per la quale sono oggi disponibili, oltre che studi<br />

criminologici, storici e sociologici, anche corpose produzioni letterarie,<br />

pubblicistiche e cinematografiche, perlopiù di notevole livello. Nota ancora<br />

Sales che la camorra ha ispirato gli autori solamente sino all’inizio del<br />

Novecento, per poi divenire semplice ambito d’interesse per interventi<br />

giornalistici in occasione di azioni particolarmente eclatanti; alla particolare<br />

attenzione ottocentesca per il fenomeno, imputabile al realismo letterario, 93 al<br />

clima di ispirazione positivista sviluppatosi a Napoli, alla necessità di parlare<br />

dei mali del capoluogo campano originata dall’Unità d’Italia,<br />

all’insegnamento lombrosiano, 94 si è sostituito col nuovo secolo e con<br />

l’avvento della cultura borghese ed operaia “un bisogno di distinzione dalla<br />

plebe, culminato addirittura in atteggiamenti di estraneità, come un’intima<br />

necessità di mantenere le distanze da atteggiamenti, comportamenti, culture e<br />

tradizioni che si ritenevano appartenere a un passato da cancellare, da<br />

superare promuovendo (e lottando per) lo “sviluppo” e il “progresso”” 95<br />

quasi a negare, nell’ansia di proporre un modello di Napoli diversa e<br />

moderna, l’effettiva realtà vissuta dalla città. Questa propensione, comune a<br />

culture diverse, alla “negazione” della plebe napoletana ha finito<br />

inevitabilmente con il coinvolgere la stessa camorra, che della plebe è diretta<br />

diramazione.<br />

A siffatta “rimozione culturale” si è aggiunta la già citata<br />

strumentalizzazione della camorra da parte dei ceti dominanti, caratteristica<br />

peraltro già presente nell’ottocento, che ha dato luogo ad un vero e proprio<br />

controllo politico dei mercati illegali, i quali a Napoli raggiungono<br />

proporzioni per lo meno uguali a quelle dei mercati leciti. 96 Ciò ha<br />

conseguentemente determinato una sorta di monopolio esercitato dalle classi<br />

92 I. Sales, op.cit., p.12. A conferma delle riflessioni di Sales per quanto riguarda la definizione di mafia come<br />

espressione siciliana della camorra, cfr. P. Pezzino, Stato violenza società. Nascita del paradigma mafioso, in<br />

M.Aymard e G.Giarrizzo (a cura di), Storia d’Italia: le Regioni dall’Unità a oggi, vol. 5, La Sicilia, Einaudi,<br />

Torino 1987, pp.905 sgg.<br />

93 Cfr. A. Palermo, La camorra come tema letterario, in AA.VV., Camorra e criminalità in Campania,<br />

Liguori, Napoli 1988.<br />

94 Si pensi agli studi di Abele De Blasio che viviseziona la plebe, e di conseguenza la camorra, quasi essa fosse<br />

un pericoloso insetto velenoso.<br />

95 I. Sales, op.cit., p.14.<br />

96 Cfr. A. Lamberti, in AA.VV., La camorra imprenditrice, Ed. Sintesi, Napoli 1987, p.41.<br />

29


dirigenti per ciò che riguarda le valutazioni sulla pericolosità sociale della<br />

camorra, che ha finito con il fare parlare di questa fenomenologia criminale<br />

esclusivamente in quelle fattispecie in cui le soglie della tolleranza e della<br />

legittimazione dell’illegalità, ovviamente stabilite dagli interessi dei ceti<br />

dominanti, erano state fatalmente oltrepassate.<br />

“Non c’è nessuna parte del mondo occidentale dove l’illegalità abbia<br />

più libero corso che a Napoli e si svolga alla luce del sole, come un tratto<br />

immutabile e naturale di una lunga storia”. 97<br />

Il determinare i confini dell’illegalità in funzione esclusiva degli<br />

interessi dei ceti politici ha dato luogo ad una sorta di schema ciclico che<br />

Sales ha così sintetizzato: “formazione tollerata e pilotata di un mercato<br />

illegale, sua egemonia su questo, tolleranza per la camorra entro certi limiti<br />

oltre i quali si manifesta invece un comportamento fortemente repressivo”. 98<br />

Così si spiegherebbero le periodiche azioni repressive poste in essere<br />

dallo Stato solamente quando il fatidico limite viene superato dalla camorra; 99<br />

sino a quando essa si limita a condividere la gestione dell’illegalità con i ceti<br />

dominanti, non viene considerata socialmente dannosa e di conseguenza non<br />

diviene oggetto privilegiato di approfondite indagini, ma se l’allarme sociale<br />

sale, o le classi dirigenti temono per la propria incolumità, ecco che viene<br />

colpita con forza.<br />

E’ importante osservare che la camorra è un fenomeno criminale che<br />

non ha goduto della continuità storica che ha sempre caratterizzato Cosa<br />

Nostra. Quest’ultima, pur con gli aggiustamenti dovuti al mutare<br />

dell’ambiente circostante, non ha mai reciso il filo conduttore delle sue<br />

caratteristiche e della sua presenza in Sicilia; al contrario tra la setta segreta<br />

napoletana delle origini ottocentesche e la criminalità endemica del<br />

Novecento, aldilà di alcune caratteristiche tutto sommato immutate 100 , sono<br />

comunque molto profonde le differenze, soprattutto per quanto riguarda la<br />

struttura organizzativa.<br />

“Perciò, se per “camorra” si intende il tipo di organizzazione criminale<br />

che ha dominato la vita dei ceti popolari e plebei napoletani per tutto<br />

l’Ottocento, si può dire tranquillamente che essa è iniziata ed è finita<br />

97<br />

F. Rosi, in Centro di documentazione mensa bambini proletari (a cura di), Rassegna stampa sulla camorra,<br />

Ed. Sintesi, Napoli 1982.<br />

98<br />

I. Sales, op.cit., p.17.<br />

99<br />

Negli anni 1860, 1862, 1874, 1883, 1906, 1983, 1984, 1992 oltre che durante il regime fascista, a fronte di<br />

una mafia siciliana che è stata duramente colpita solamente dal prefetto Mori, dopo il 1963 ed a partire dalla<br />

seconda metà degli anni ’80.<br />

100<br />

Mi riferisco nello specifico alle condizioni economiche e sociali, alle modalità peculiari seguite nel rapporto<br />

con la politica, agli atteggiamenti intimidatori, alle attività illecite svolte.<br />

30


nell’Ottocento. Dopo è esistita sempre una particolare attività delinquenziale,<br />

fluida, dedita a diverse attività illegali e anche ad alcune legali, con momenti<br />

di grosso allarme per l’opinione pubblica, non retta da un’organizzazione<br />

centralizzata ma fatta da diverse bande, piccole e grandi, e senza la città di<br />

Napoli in funzione dominante”. 101<br />

Proprio in funzione della caratteristica di comparire e scomparire, a<br />

seconda delle condizioni dell’ambiente circostante, di alternare momenti di<br />

onnipresenza e totale compenetrazione, ad altri improntati alla discrezione,<br />

alla mimetizzazione ed al basso profilo 102 , senza però mai perdere di vista<br />

quelle caratteristiche storiche che ne costituiscono lo scheletro immutabile 103 ,<br />

Isaia Sales ha definito la camorra come “una criminalità carsica” 104 volendo<br />

appunto intendere un fenomeno delinquenziale fortemente capace di reagire<br />

al mutare delle condizioni esterne. Anche Cosa Nostra è sempre stata<br />

abilissima nel reagire prontamente alle novità sociali, ma la peculiarità della<br />

camorra è che essa “non è criminalità che si adatta al nuovo, ma [è]<br />

contemporaneamente emarginata e prodotta dal nuovo”. 105<br />

Anche Violante si è soffermato sul concetto di criminalità carsica<br />

proposto da Sales osservando che nei momenti di difficoltà la camorra<br />

troverebbe rifugio tra gli strati più poveri della popolazione, riuscendo così a<br />

mimetizzarsi con l’illegalità diffusa; al ricomparire di condizioni migliori essa<br />

tornerebbe ad occupare il suo ruolo naturale; tuttavia “non si tratta dei vecchi<br />

clan che riappaiono, come invece è accaduto in Sicilia dopo la lunga<br />

repressione degli anni 1963-1969, o dopo la breve repressione del triennio<br />

1992-1994. I vecchi scompaiono e compaiono nuovi soggetti che applicano il<br />

vecchio modello”. 106<br />

Per quanto riguarda l’origine storica della camorra, che si preferisca<br />

propendere per la ricostruzione di Galasso o per quella di Sales, il dato<br />

inoppugnabile è che essa nasce come fenomeno criminale urbano per poi<br />

espandersi, agli inizi del Novecento, anche nelle campagne; un percorso<br />

decisamente antitetico a quello della mafia siciliana e della ‘ndrangheta che<br />

originano nell’ambiente rurale e conquistano le città solo in una fase<br />

successiva.<br />

101 I. Sales, op.cit., pp. 18-19.<br />

102 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 61.<br />

103 Cfr. A. Lamberti, “Introduzione” a P. Ricci, La Gran Mamma, 150 anni di malavita napoletana, Ed. Sintesi,<br />

Napoli 1983.<br />

104 I. Sales, op.cit., p. 19.<br />

105 Ivi, p.20.<br />

106 L. Violante, Non è la piovra, cit., pp. 61-62.<br />

31


Proprio il differente ambito di gestazione tra queste due espressioni<br />

criminali avrebbe notevolmente influito sulle caratteristiche assunte dai due<br />

sodalizi.<br />

“La camorra si è sempre mostrata con tutte le caratteristiche urbane,<br />

quali il carattere di massa, [...] confuse aspirazioni sociali e ribellistiche, il<br />

bisogno di mostrare pubblicamente la violenza o il dominio di essa, il fare<br />

notare con segni tangibili la propria appartenenza (il modo di vestire, il<br />

gergo, perfino il modo di tagliarsi i capelli).[...] La camorra non si struttura in<br />

cosche chiuse. Il familismo [...] non è determinante [...]. Si diventa camorristi<br />

anche per esempi familiari, ma la base, la cellula della camorra non è mai<br />

esclusivamente o prevalentemente la famiglia”. 107<br />

Tutto ciò a fronte di una mafia siciliana che ha storicamente fatto tesoro<br />

di peculiarità quali la discrezione, il basso profilo, l’organizzazione attorno<br />

alla cellula familiare. A titolo esemplificativo, si osservi il seguente passaggio,<br />

tratto dall’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del boss del<br />

clan Gionta di Torre Annunziata, in cui viene riassunto un episodio che ha<br />

come protagonisti un esponente dello stesso sodalizio ed una pattuglia dei<br />

carabinieri che stava tentando di arrestare altri affiliati: “i militari [...]<br />

venivano ostacolati da [...] che bloccavano l’autovettura di servizio ponendosi<br />

a piedi in mezzo alla strada insieme a Paduano Ciro. Il predetto faceva<br />

addirittura condurre al centro della piazza anche alcuni bambini. Infine il<br />

Paduano, non soddisfatto per lo smacco inflitto alle forze dell’ordine, al fine<br />

di intimidirli per il futuro ed indurli così ad astenersi da ulteriori zelanti<br />

operazioni, ponendo le mani sul finestrino dal lato guida con toni arroganti<br />

pronunciava le seguenti frasi: però non si fa così, dovete stare attenti, con<br />

tutte le persone in mezzo alla strada. State attenti perchè un giorno di questi<br />

potete anche andare a spiaccicarvi contro il muro...non si sa mai....i freni<br />

potrebbero non funzionare...una cosa...l’altra”. 108<br />

Questa marcata ostentazione dell’essere camorrista è semplicemente il<br />

frutto della tradizione o ha un’effettiva utilità? Luciano Violante ha spiegato<br />

questa ricerca di visibilità e questo sfoggio decisamente esagerato di potenza<br />

e prestigio con la mancanza di solidità strutturale e di radicamento sociale dei<br />

clan camorristici; alla luce di tali deficit diverrebbe indispensabile fare ricorso<br />

ad una autorappresentazione “clamorosa” delle proprie potenzialità 109 , che<br />

107 I. Sales, op.cit., pp.37-38.<br />

108 Tribunale di Napoli, Ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Gionta Valentino più 18<br />

per associazione a delinquere di tipo camorristico, Procedimento n.3173/R/91, Napoli 1991, p.49.<br />

109 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 68.<br />

32


finisce poi con il ripercuotersi sullo stesso controllo del territorio,<br />

decisamente più oppressivo di quello esercitato da Cosa Nostra. 110<br />

Per quanto riguarda la struttura organizzativa, è noto che, fatte salve le<br />

esperienze della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, della<br />

Nuova Famiglia di Bardellino-Nuvoletta-Alfieri 111 , e della Nuova Mafia<br />

Campana, 112 la camorra non ha mai assunto una configurazione gerarchica<br />

ma, al contrario, nella sua continua sovrapposizione “di bande che si<br />

compongono, scompongono e ricompongono senza ordine e senza<br />

disciplina,” 113 esprime una struttura pulviscolare. Si potrebbe dire che tale<br />

schema organizzativo le è proprio nei casi in cui essa è realmente e<br />

completamente autoctona, e non vi è l’influenza della criminalità organizzata<br />

di altre regioni; 114 è peraltro opportuno sottolineare che, nei casi in cui tale<br />

influenza è stata presente e si è cercato di realizzare una struttura gerarchica<br />

organizzata, “tutti questi esperimenti “d’ordine” sono cessati dopo pochi<br />

anni per circostanze contingenti, ma anche per le grandi diversità storiche<br />

politiche e sociali tra camorra e Cosa Nostra”. 115<br />

La mancanza di una struttura gerarchica si ripercuote anche sulla stessa<br />

genesi dei singoli clan, operazione soggetta ad un profondo “disordine” che<br />

scaturisce dalla mancanza di regole fisse e formalizzate e che si manifesta<br />

solitamente per scissione di clan preesistenti. Per esempio a seguito<br />

dell’arresto o della malattia di un boss è probabile che alcuni dei suoi<br />

sottoposti tentino di creare un sodalizio concorrente a quello originale, invece<br />

che assumerne la reggenza come invece si fa di norma in Cosa Nostra. Ecco<br />

perchè è possibile che diventino capi anche individui giovani, eventualità da<br />

escludersi per la mafia siciliana, che approfittano delle caratteristiche di<br />

apertura, dinamismo e duttilità, ma anche di profonda instabilità, loro offerte<br />

dal modello camorristico.<br />

In merito all’analisi dell’estensione camorristica sul territorio campano,<br />

occorre sottolineare che le cifre ufficiali sul numero totale di affiliati non sono<br />

110 Cfr. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., pp. 21-22.<br />

111 Organizzazione creata sotto la supervisione di Cosa Nostra per contrastare la NCO e conseguentemente con<br />

caratteristiche affini al sodalizio siciliano.<br />

112 Risalente al tentativo posto in essere da Alfieri nel 1992 di accorpare le varie famiglie campane sotto un<br />

unico marchio.<br />

113 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 58.<br />

114 Mi riferisco alla ‘ndrangheta per la NCO e a Cosa Nostra per la Nuova Famiglia e per la Nuova Mafia<br />

Campana.<br />

115 L. Violante, Non è la piovra, cit., pp.58-59. Alla citazione di Violante, in ordine alle differenze tra camorra e<br />

Cosa Nostra, pare corretto aggiungere anche la ‘ndrangheta, sicuramente fondamentale nell’esperimento NCO,<br />

anche se a sua volta molto diversa dalla camorra.<br />

33


aderenti alla realtà (per difetto). Come infatti evidenziato dalla Commissione<br />

parlamentare antimafia, i clan camorristici sono organizzazioni criminali più<br />

aperte di quanto lo siano i propri omologhi in Cosa Nostra o nella<br />

‘ndrangheta, poichè non adottano rigidi criteri selettivi per l’affiliazione e non<br />

fanno ricorso al ritualismo ed alla manipolazione di codici culturali 116 ; al<br />

contrario proprio “lo stato d’illegalità secolare” che contraddistingue la<br />

componente più disperata della popolazione campana, nonché la cinica<br />

disponibilità a ricorrere anche ai bambini, ha fornito per decenni, e fornisce<br />

tutt’oggi, un bacino di “forza lavoro” che sicuramente non gode della<br />

specializzazione dei membri di altre espressioni criminali, ma è<br />

indubbiamente molto più numeroso di quanto non risulti dall’analisi dei dati<br />

sulle affiliazioni ufficiali. 117<br />

“La camorra è l’unica organizzazione di carattere mafioso che ha<br />

avuto, e continua ad avere, caratteristiche di massa”. 118<br />

La camorra esercita un dominio incontrastato sugli strati più poveri<br />

della popolazione campana; si può dire che essa governa la disperazione<br />

sociale, in maniera del tutto originale rispetto ad esperienze criminali come la<br />

‘ndrangheta e Cosa Nostra 119 , grazie alla sua capacità di fornire<br />

un’occupazione, ovviamente nell’ambito dell’illegalità ed in particolare nello<br />

smercio di droga e nell’industria del falso, a migliaia di disoccupati che senza<br />

di essa morirebbero di fame 120 .<br />

Un’altra caratteristica della camorra risiede nella sua spietatezza e nel<br />

suo cinismo, frutto della totale assenza di regole organizzative e di condotta:<br />

a fronte del guadagno non esiste morale di sorta che possa impedire la<br />

gestione di una particolare nicchia illegale 121 e gli stessi rapporti con la<br />

politica non sono sottoposti ad alcuna pregiudiziale partitica, ma sono<br />

116<br />

Ci si riferisce ovviamente al fenomeno nel suo complesso e non ai casi particolari prima richiamati che<br />

rappresentano delle vere e proprie eccezioni alla consuetudine camorristica.<br />

117<br />

Cfr. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., p. 12.<br />

118<br />

L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 60.<br />

119<br />

Si pensi solo al difficile rapporto tra Cosa Nostra catanese e l’illegalità diffusa rappresentata dai cursoti e<br />

dai carcagnusi.<br />

120<br />

Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 63.<br />

121<br />

A questo proposito si pensi al ben diverso atteggiamento della ‘ndrangheta che, per fornire un esempio, ha<br />

sempre considerato il controllo del mercato della prostituzione come un’attività profondamente immorale e<br />

dunque da non praticare. Emblematico il racconto del collaboratore di giustizia Francesco Fonti che parla di<br />

una riunione appositamente tenuta a Torino nel 1982, cui parteciparono circa 700 esponenti della mafia<br />

calabrese emigrati in Piemonte, proprio per richiamare all’ordine quegli affiliati che se ne occupavano e per<br />

stabilire che in caso di prosecuzione di tale attività si sarebbe provveduto all’espulsione dall’organizzazione ed<br />

addirittura all’eliminazione fisica. (Cfr. Tribunale di Torino, Decreto nella procedura a carico di Rocco Lo<br />

Presti e Paolo Spallitta, Sezione misure di prevenzione, Torino 1996, p.8).<br />

34


esclusivamente funzionali al proprio tornaconto. 122 Non è dunque l’ideologia<br />

a guidare gli uomini della camorra quando stringono legami con la politica,<br />

ma, come ricorda Galasso, essa non sostiene partiti ma individui singoli,<br />

disposti a divenire complici della malavita, e ciò a prescindere dalla loro<br />

connotazione ideologica. 123<br />

Del particolare rapporto mercenario con il potere legale si è già<br />

discusso in maniera approfondita; giova comunque ricordare che nei<br />

confronti della politica le relazioni si sono sempre esaurite a livello locale,<br />

senza mai andare ad investire in alcun modo le grandi vicende nazionali.<br />

L’assenza di omicidi politici di rilevanza nazionale si spiega dunque da<br />

un lato con l’oggettiva incapacità della camorra di intervenire ad alto livello a<br />

causa della debolezza e della mancanza di compattezza intrinseche al<br />

modello pulviscolare, dall’altro con il disinteresse nei confronti di progetti<br />

eversivi fondati sullo scontro aperto con lo Stato; la camorra ha sempre<br />

ambito a collaborare con la politica, ad essere dalla stessa legittimata nel suo<br />

agire, e non a scontrarsi con essa. Dunque, in maniera analoga ai rapporti di<br />

collusione, è esclusivamente l’ambito locale ad essere colpito 124 , non essendo<br />

in genere uomini politici nazionali o rappresentanti delle istituzioni con<br />

elevate responsabilità gli interlocutori di riferimento della camorra.<br />

“La camorra ha un rapporto privilegiato, in genere, con le articolazioni<br />

periferiche della pubblica amministrazione e con gli enti locali. La camorra ha<br />

manifestato quindi una aggressività meno eclatante rispetto a Cosa Nostra,<br />

non solo per le sue caratteristiche strutturali, ma anche perchè i suoi obiettivi<br />

sono tradizionalmente diversi da quelli di Cosa Nostra, meno strategici e più<br />

legati alla convenienza immediata”. 125<br />

Sul fronte economico infine si deve sottolineare la profonda vocazione<br />

imprenditoriale che contraddistingue storicamente la camorra; essa ha<br />

sempre perseguito l’inserimento nei cicli economici sia passivamente, con<br />

l’estorsione, l’usura e le rapine, che attivamente, con il controllo di un<br />

122<br />

Ciò a fronte di una mafia siciliana di cui sono noti lo storico odio nei confronti del partito comunista e la<br />

diffidenza verso l’MSI, erede di quel partito fascista responsabile dell’operazione Mori.<br />

123<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />

giustizia Pasquale Galasso cit., p. 2260.<br />

124<br />

Il giornalista Giancarlo Siani ucciso il 23 settembre 1985 a seguito delle sue denunce contro la ricostruzione<br />

post terremoto; il sindaco di Pagani Marcello Torre assassinato l’11 dicembre 1980 per la sua scarsa<br />

malleabilità all’infiltrazione camorristica; il consigliere del comune di Ottaviano Domenico Beneventano<br />

eliminato il 7 novembre 1980 per i suoi dissidi con Cutolo; il vice questore della squadra mobile di Napoli<br />

Antonio Ammaturo caduto il 15 luglio 1982, ucciso dalle BR con l’aiuto di varie famiglie camorristiche, a<br />

seguito della sua determinazione nel fare chiarezza sul caso Cirillo.<br />

125<br />

L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 72.<br />

35


ventaglio di attività incredibilmente eterogeneo che comprende il gioco<br />

d’azzardo, le bische, il lotto clandestino, il totonero, il contrabbando, lo<br />

spaccio di stupefacenti, il controllo dei mercati agricoli, la macellazione e<br />

l’importazione clandestina di carni, il mercato del latte per arrivare sino<br />

all’enorme business degli appalti e dell’edilizia del dopo terremoto ed al più<br />

recente impegno nelle truffe CEE. 126<br />

Celato tra le pieghe della semplicistica definizione di “mafia campana”<br />

c’è un atteggiamento di sostanziale sottovalutazione che ha la tendenza a<br />

collocare questa fenomenologia criminale ad un livello di pericolosità sociale<br />

nettamente inferiore rispetto a Cosa Nostra. Tale posizione origina<br />

indubbiamente dal carattere profondamente locale della camorra e dal suo<br />

conseguente impegno in un territorio tutto sommato circoscritto alla<br />

Campania, nonchè dalla mancanza di gesti eclatanti nei confronti dello Stato<br />

sullo stile della Cosa Nostra corleonese. Eppure perseverare nella sua<br />

sottovalutazione e adottare la cosiddetta linea dura saltuariamente, solo<br />

quando essa sta andando aldilà dei confini che il mondo legale le ha imposto,<br />

è un errore enorme. Si è detto che la camorra è una criminalità carsica;<br />

bisogna fare in modo che tale caratteristica non continui ad essere propria<br />

anche delle istituzioni che la devono contrastare ma, al contrario, che la linea<br />

di lotta da esse adottata sia nel tempo continuativa ed organica, poichè una<br />

proficua azione nei suoi confronti non si può realizzare solo con l’impegno<br />

delle forze dell’ordine, ma, in considerazione delle sue caratteristiche sociali,<br />

devono intervenire tutti quei soggetti pubblici che a vario titolo possono<br />

partecipare al progetto di miglioramento delle condizioni di vita degli strati<br />

inferiori della società campana. Contestualmente si deve realizzare un’opera<br />

di capillare sensibilizzazione nei confronti del resto di questa società perchè<br />

essa smetta di tollerare, per il proprio tornaconto, quelle attività illecite quali<br />

il contrabbando o l’industria del falso che apparentemente non sembrano<br />

danneggiare nessuno, se non le multinazionali, ma in realtà costituiscono la<br />

base su cui si fonda tutta la struttura camorristica. Questa è l’unica strada da<br />

seguire per separare finalmente la camorra da quell’apparentemente<br />

inesauribile bacino di manodopera criminale dal quale essa attinge, senza<br />

soluzione di continuità, da due secoli. Siamo di fronte ad un problema di<br />

“sviluppo sostenibile” della società campana che deve essere attentamente<br />

programmato poichè la camorra ha sin qui fornito ampie prove della sua<br />

capacità di insediarsi tra le sue pieghe, restandone emarginata anche per<br />

126 Ivi, p. 73.<br />

36


lungo tempo, per poi riemergere come fatto moderno o come segnale violento<br />

della sua sconfitta.<br />

“La camorra [...] sembra un fenomeno criminale più attaccabile da una<br />

modernizzazione totale ma anche il fenomeno criminale più congeniale a una<br />

modernizzazione senza sviluppo. Da un lato sembra più sconfiggibile dallo<br />

sviluppo, dall’altro viene quasi rigenerata dal tipo di sviluppo scelto per il<br />

Mezzogiorno e per Napoli”. 127<br />

127 I. Sales, op.cit., p. 20.<br />

37


2.1 Genesi storica<br />

La ‘Ndrangheta calabrese<br />

“All’indomani dell’unità d’Italia, andavano precisandosi i nomi con i<br />

quali si sarebbero definite in seguito le organizzazioni criminali e le<br />

associazioni a delinquere operanti in due regioni italiane: mafia per la Sicilia,<br />

camorra per Napoli e la Campania. E per la Calabria? Per questa regione il<br />

discorso è più complesso. Nessuna opera teatrale, nessun saggio storico,<br />

nessun libro si occupò in modo specifico delle associazioni a delinquere<br />

operanti in quei territori”. 128<br />

Eppure che in Calabria fosse attiva già a quel tempo una vera e propria<br />

associazione a delinquere è ampiamente dimostrato da una serie di<br />

documenti giudiziari: la Corte d’appello delle Calabrie nel 1889 venne<br />

chiamata a giudicare in merito alle accuse nei confronti di un certo Luigi<br />

Labate accusato di essere “capo di un’associazione di maffiosi”; 129 l’anno<br />

successivo, dinnanzi allo stesso consesso, si discusse l’appello di Carmine<br />

Tripodi, precedentemente condannato per la sua appartenenza ad una<br />

“associazione di malfattori ad oggetto di delinquere contro le persone e la<br />

proprietà [...] tale associazione prese il nome di associazione di picciotti.” 130<br />

All’esplosione del brigantaggio propria del primo decennio postunitario,<br />

si era dunque sostituita, a seguito della repressione posta in essere<br />

dallo Stato, una realtà diversa, fondata su un’associazione a delinquere di<br />

tipo nuovo e destinata a radicarsi nella realtà calabrese in maniera talmente<br />

profonda da sopravvivere, pur con un naturale adeguamento alle nuove<br />

condizioni, sino ai giorni nostri. 131<br />

Affascinante la leggenda, molto diffusa in Calabria 132 , che spiega<br />

l’origine di quella fenomenologia criminale che oggi chiamiamo ‘ndrangheta:<br />

i tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, che facevano parte<br />

della società segreta iberica denominata Garduna di Toledo, durante la prima<br />

metà del quattrocento si stabilirono sull’isola di Favignana e lavorarono sotto<br />

128<br />

E. Ciconte, op.cit., pp. 9-10.<br />

129<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Crocè Paolo più 3, Archivio di Stato di<br />

Catanzaro, v. 285, 22 marzo 1884.<br />

130<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Tripodi Carmine, Archivio di Stato di<br />

Catanzaro, v. 323, 27 agosto 1890.<br />

131 Cfr. E. Ciconte, op.cit., p. 6.<br />

132 Si tratta di una leggenda non scritta che si è tramandata oralmente sino ad oggi.<br />

38


terra, per ventinove anni, allo scopo di redigere le norme di una nuova<br />

consorteria che sarebbe stata attiva sul territorio del mezzogiorno italiano.<br />

Secondo il racconto, al termine del lavoro, i cavalieri ritennero di dividere in<br />

tre parti la nuova associazione generando così la mafia in Sicilia, la camorra<br />

in Campania e la ‘ndrangheta in Calabria. 133<br />

La suggestione ancora attuale 134 di questa leggenda risiede proprio<br />

nella sua caratteristica di essere stata tramandata esclusivamente per via<br />

orale; senza dubbio frutto di fantasia, essa è servita a creare il mito<br />

dell’origine della criminalità calabrese, ad investirla di una nobilitazione, “a<br />

costituire una sorta di albero genealogico con tanto di antenati, a far risalire<br />

nella notte di secoli lontani la nascita – nobile per di più! – e l’esistenza stessa<br />

del vincolo associativo che in questo modo trovava una propria<br />

legittimazione”. 135<br />

Questa fiaba mitologica, a suo modo ingenua ed infantile, è<br />

fondamentale per comprendere la psicologia e la componente emotiva della<br />

‘ndrangheta, per sviscerare i suoi rituali, i suoi giuramenti, i suoi linguaggi<br />

gergali, i percorsi culturali che hanno determinato le leggi, i codici<br />

comportamentali e la visione del mondo “esterno”; è essenziale per<br />

comprendere il cosiddetto comportamento ‘ndranghetista e le radici della<br />

mentalità che lo alimenta, per fornire una spiegazione al perchè tutto ciò, nato<br />

in tempi ormai lontanissimi, sia riuscito a resistere al passare degli anni, al<br />

mutare della società per presentarsi oggi, pur con le ineluttabili<br />

modificazioni, con tratti caratteristici molto simili a quelli delle origini. 136<br />

Storicamente per identificare la criminalità organizzata calabrese si è<br />

fatto ricorso per lungo tempo a termini come maffia e camorra; sfogliando<br />

parte della saggistica e delle sentenze dei tribunali calabresi del periodo<br />

postunitario, si può notare il reiterato utilizzo di formule che fanno<br />

riferimento a questi vocaboli: “sospetti in fatto di ferimenti, camorra e di far<br />

parte di maffiosi” 137 ; “menava vita di bravo e di maffioso” 138 ; “setta dei<br />

133 Cfr. L. Malafarina, La ‘ndrangheta. Il codice segreto, la storia, i miti, i riti e i personaggi, Casa del libro,<br />

Reggio Calabria 1986, pp. 88-92 e S. Di Bella, La nascita della mafia ed il suo ruolo storico, in AA.VV.<br />

Cultura e politica contro la ‘ndrangheta, Pellegrini, Cosenza 1987, pp.21-22.<br />

134 Cfr. G. Falcone, Strutture organizzative, rituali e “baccagghiu” della ‘ndrangheta, in AA.VV., Mafia e<br />

Potere, a cura di S. Di Bella, Rubbettino, Soveria Mannelli 1983, vol I, p.253.<br />

135 E. Ciconte, op.cit., p. 8.<br />

136 Ibidem.<br />

137 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Borgese Rocco, Archivio di Stato di<br />

Catanzaro, v. 315, 25 marzo 1889.<br />

138 Corte d’appello di Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti di Giovinazzo Francesco più<br />

1, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 125, 20 maggio 1887.<br />

39


camorristi” 139 ;“la mala pianta della camorra sia da moltissimi anni arrivata<br />

nelle Calabrie” 140 ; “aggregati nelle fila della mafia” 141 ; “maffia di Santo<br />

Stefano” 142 ; “camorra reggina” 143 .<br />

L’utilizzo frequente del termine camorra più che in riferimento ad un<br />

collegamento con la criminalità campana è spiegabile con il significato che gli<br />

attribuisce Monnier: “La camorra può essere definita l’estorsione<br />

organizzata” 144 e quindi non tanto nell’accezione di organizzazione criminale,<br />

quanto piuttosto in quella di una particolare attività delinquenziale che, come<br />

in Campania, anche in Calabria ne costituisce la funzione fondamentale.<br />

Ma aldilà delle considerazioni in ordine all’utilizzo del vocabolo<br />

camorra, ciò che pare opportuno sottolineare è l’incertezza terminologica<br />

vissuta da giudici e rappresentanti delle forze dell’ordine nel definire<br />

un’associazione a delinquere poco conosciuta, nuova, che si poneva in luce<br />

proprio in quel periodo mantenendo peraltro caratteristiche di estrema<br />

segretezza e riservatezza; quindi oltre all’abuso precedentemente evidenziato<br />

nell’utilizzo di vocaboli riferibili ad altre consorterie criminali all’epoca attive<br />

nel mezzogiorno, è possibile osservare, ancora a livello giudiziario, il ricorso<br />

ad un variegato ventaglio di definizioni che vanno da “associazione appellata<br />

la Malavita,” 145 a “i figli del coraggio,” 146 a “Società nicastrese,” 147 a “famiglia<br />

Montalbano” 148 sino ai più diffusi “onorata società,” 149 che è “la definizione<br />

139 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Calia Michelangelo più 65, Archivio di<br />

Stato di Catanzaro, v. 324, 14 ottobre 1890.<br />

140 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Zagari Antonino più 19, Archivio di Stato<br />

di Catanzaro, v. 372, 22 agosto 1898.<br />

141 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Mangione Bruno più 53, Archivio di Stato<br />

di Catanzaro, v. 405, 2 dicembre 1903.<br />

142 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Favasulli Antonio più 44, Archivio di Stato<br />

di Catanzaro, v. 406, 13 febbraio 1904.<br />

143 A. Niceforo, Il gergo dei normali, nei degenerati e nei criminali, F.lli Bocca, Torino 1897, p. 155.<br />

144 M.Monnier, op.cit., p. 9.<br />

145 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Abate Vincenzo più 86, Archivio di Stato di<br />

Catanzaro, v. 407, 9 marzo 1904.<br />

146 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Aricò Antonio più 56, Archivio di Stato di<br />

Catanzaro, v. 391, 2 agosto 1901.<br />

147 Corte d’appello di Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti di Cantafio Vincenzo più 53,<br />

Archivio di Stato di Catanzaro, v. 129, 25 maggio 1888.<br />

148 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Annaccarato Vincenzo più 93, Archivio di<br />

Stato di Catanzaro, v. 516, 25 novembre 1930; Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di<br />

Faccineri Giuseppe più 20, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 460, 18 gennaio 1916; Corte d’appello delle<br />

Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Lucà Luigi più 38, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 504, 9 luglio<br />

1928; si noti che il termine di “famiglia Montalbano” è stato recentemente utilizzato per definire la criminalità<br />

organizzata calabrese anche da Saverio Strati. (S.Strati, C’era una volta l’onorata società, “Corriere della<br />

Sera”, 10 febbraio 1978; S.Strati, Il selvaggio di Santa Venere, Mondadori, Milano 1987). E’ comunque<br />

opportuno ricordare quanto osservato in merito da Enzo Ciconte: “Tale definizione non è però molto diffusa.<br />

Essa, a quanto sembra, era in uso in alcune località della provincia di Reggio Calabria, soprattutto a Gioia<br />

40


comunemente e più largamente usata per indicare l’associazione mafiosa<br />

calabrese” 150 tra le masse contadine, e “picciotteria” 151 che avrà grande<br />

fortuna e sarà ampiamente impiegato sia nelle sentenze che in diverse<br />

pubblicazioni 152 dei primi anni del Novecento.<br />

In merito all’utilizzo di vocaboli riferibili ad altri sodalizi criminali del<br />

sud, Ciconte ha osservato: “camorra, camorristi, maffia, maffiosi, picciotteria,<br />

picciotti, sembrano richiamare la realtà esistente in Sicilia ed in Campania e<br />

lasciano intendere forme di collegamento e di parentela con quelle<br />

associazioni. Picciotti e camorristi sono i gradi esistenti anche nella mafia e<br />

nella camorra e quindi le definizioni che se ne ricavano sembrano adombrare<br />

una sorta di filiazione delle organizzazioni calabresi da quelle più importanti<br />

operanti da tempo in quelle regioni, in modo particolare dalla camorra”. 153<br />

Apparentemente sembrerebbe quindi che la criminalità organizzata<br />

calabrese viva una sorta di crisi d’identità nell’espressione di tratti originali<br />

ed autonomi; è sicuramente vero che in questo periodo essa è ancora<br />

un’organizzazione molto giovane, tuttavia è riscontrabile, anche in questo<br />

caso, una certa sottovalutazione da parte dei contemporanei che, nella loro<br />

limitata conoscenza di questa nuova forma criminale, trovarono<br />

probabilmente più semplice assimilarla alle già note fenomenologie campane<br />

e siciliane, invece che studiarne in maniera approfondita, a cominciare dalla<br />

definizione, i tratti caratteristici.<br />

Tauro, e circoscritta nel raggio di azione dei comuni ricadenti sotto l’influenza di quella associazione.” (E.<br />

Ciconte, op.cit., p. 16).<br />

149 Ibidem.<br />

150 E. Ciconte, op.cit., p. 16. Ciconte insiste sull’importanza di questa definizione poichè fa riferimento<br />

specificamente al concetto di onore come uno dei capisaldi attorno al quale ruota la struttura sociale e culturale<br />

di una società agraria come quella calabrese di fine Ottocento. Quindi uno dei requisiti fondamentali per<br />

l’appartenenza sarebbe proprio l’essere un uomo onorato, ovverosia un individuo che eserciti il dominio<br />

esclusivo della donna - moglie, figlia, sorella, amante o madre – e che nel caso in cui qualcuno le recasse<br />

offesa, non esiti a lavare l’affronto subito con il sangue. Dunque, nella società calabrese povera ed arretrata, in<br />

cui si nasceva senza diritti e proprietà di alcun tipo, almeno su una cosa gli uomini rivendicavano un dominio<br />

esclusivo: sulla donna. Lo stesso Ciconte osserva ancora che l’appellativo di “onorata società” è stato il più<br />

diffuso tra le masse contadine, che conoscevano bene l’organizzazione criminale, ma paradossalmente è stato<br />

utilizzato solo di rado in sentenze, atti ufficiali, pubblicistica e saggistica sull’argomento (Ivi, p.18).<br />

151 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Scidone Santo più 53, Archivio di Stato di<br />

Catanzaro, v. 386, 27 ottobre 1900. Ma è soprattutto il dispositivo di una sentenza del 1903 delle stessa Corte<br />

d’appello che estende l’utilizzo dell’appellativo di “picciotteria” affermando che le associazioni per delinquere<br />

“sono denominate associazioni della picciotteria e quelli che la compongono sono chiamati picciotti” (Corte<br />

d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Arcidiacono Gregorio più 15, Archivio di Stato di<br />

Catanzaro, v. 403, 1 agosto 1903).<br />

152 Cfr. D. Tarufi, L. De Nobili, C. Lori, La questione agraria e l’emigrazione in Calabria, Barbera, Firenze<br />

1908, pp. 858-859; Si vedano anche E. Morselli, S. De Sanctis, Biografia di un bandito. Giuseppe Musolino di<br />

fronte alla psichiatria e alla sociologia, Treves, Milano 1903, p.216 e L. Ferraioli, Picciotteria, Monteleone<br />

1900.<br />

153 E. Ciconte, op.cit., p. 14.<br />

41


In relazione al termine “’ndrangheta” comunemente utilizzato oggi per<br />

definire la mafia calabrese è opportuno ricordare che secondo Paolo Martino<br />

se ne troverebbe traccia per la prima volta nel 1909 154 ; peraltro tale appellativo<br />

si è definitivamente imposto solo nell’ultimo trentennio, proprio con lo scopo<br />

di identificare e distinguere i sodalizi calabresi da quelli campani e siciliani, 155<br />

a seguito di quella che è stata definita da Franco Martinelli un’operazione<br />

giornalistica 156 .<br />

Sempre per Martino, etimologicamente esso sarebbe frutto della<br />

trasformazione della parola “‘ndranghita”, vocabolo di origine grecanica che<br />

deriva da andraghatos, con cui si indicava l’uomo coraggioso e valoroso;<br />

considerato che alla mafia calabrese potevano aderire solo uomini con queste<br />

caratteristiche ecco come si spiegherebbe la definizione dell’appartenente<br />

come “’ndranghitu” che altro non sarebbe se non una forma fonetica innovata<br />

di andraghatos. 157 Quindi, in origine, tale appellativo aveva caratteristiche<br />

positive e solo successivamente ha acquisito, a seguito di quello che Martino<br />

definisce “un processo di criminalizzazione,” il significato attuale che<br />

connota decisamente una peculiare organizzazione delinquenziale 158 .<br />

Sull’origine del vocabolo ‘ndrangheta, si è soffermato anche Saverio Di<br />

Bella offrendone una spiegazione che pare andare in direzione decisamente<br />

opposta a quella di Martino; infatti esso non avrebbe “nessuna origine nobile:<br />

indica uno dei versi che, in alcune aree della Calabria, accompagnava insieme<br />

al battere delle mani, alcune figure della tarantella e cioè: “e ‘ndrangheta e<br />

‘ndrà”. Gli ‘ndranghetisti sono cioè individuati come uomini ballerini, senza<br />

sostanza, quasi buffoni, rispetto ai vecchi uomini d’onore che si sentono offesi<br />

dall’essere assimilati agli ‘ndranghetisti”. 159<br />

E’ ancora interessante ricordare che recentemente è stata adottata<br />

un’ulteriore definizione per la mafia calabrese, quasi a tramandare la storica<br />

confusione sul nome da attribuirle; per Pantaleone Sergi essa sarebbe infatti<br />

“la Santa” 160 .<br />

Se per ‘ndrangheta si usa intendere l’organizzazione criminale in senso<br />

lato, a livello locale operano le cosiddette ‘ndrine, quelle che nella mafia<br />

siciliana si chiamano cosche e nella camorra clan; anche a questo livello, quasi<br />

154 P. Martino, Per la storia della ‘ndrangheta, Roma 1988, pp. 26-28.<br />

155 Cfr. S. Di Bella, Mafia, ‘ndrangheta e camorra, Guida bibliografica, Rubbettino, Soveria Mannelli 1983 e<br />

G. Pallotta, Dizionario storico della mafia, Newton Compton, Roma 1977.<br />

156 F. Martinelli, La guerra mafiosa, Editori Riuniti, Roma 1981, p.11.<br />

157 P. Martino, Storia della parola ‘ndrangheta, in AA.VV., Le ragioni della mafia, Jaca Book, Milano 1983.<br />

158 P. Martino, Per la storia della ‘ndrangheta, cit., p. 15.<br />

159 S. Di Bella, ‘Ndrangheta: la setta del disonore, Pellegrini, Cosenza 1989, p.8.<br />

160 P. Sergi, La “Santa” violenta, Periferia, Cosenza 1991.<br />

42


a ribadire l’incertezza terminologica di cui si è sinora parlato, esistono infatti<br />

più vocaboli. Oltre ai classici “cosca” e “famiglia”, mutuati dall’esperienza<br />

siciliana ma utilizzati anche in Campania, ed al già citato “’ndrine”, anch’esso<br />

di origine grecanica che significa “uomo di diritto che non piega mai la<br />

schiena” 161 è anche diffuso il vocabolo “fibbia” esteso agli affiliati che<br />

sarebbero definiti “affibiati”. 162<br />

Si è precedentemente posto l’accento sulla trasmissione esclusivamente<br />

orale della leggenda dei tre cavalieri spagnoli; quella di un limitato ricorso<br />

alla scrittura è caratteristica che contraddistingue il sistema di comunicazione<br />

e di trasmissione di idee tra gli associati.<br />

“Sembra quasi che la ‘ndrangheta si sia fermata alla tradizione<br />

orale”. 163<br />

E’ probabile che alla base di tale scelta non vi sia solamente il<br />

diffusissimo analfabetismo dell’epoca, ma anche un’esigenza di segretezza<br />

realizzata mediante il ricorso al linguaggio parlato che oggettivamente non<br />

lascia tracce permanenti come quello scritto. Ecco come si spiegano le<br />

risultanze giudiziarie del periodo secondo cui alcune 164 ‘ndrine basavano la<br />

propria organizzazione su statuti non scritti.<br />

“Questo fatto appalesa l’astuzia della società, la quale per tema che per<br />

una qualsiasi evenienza lo statuto potesse giungere nelle mani della giustizia,<br />

scaltramente eransi astenuti dal compilarlo”. 165<br />

Non si dimentichi inoltre che l’utilizzo della forma orale nella<br />

trasmissione di un messaggio permette di arricchirlo e renderlo efficace, ad<br />

un livello che nessuna forma scritta potrebbe raggiungere, mediante la<br />

gestualità, i silenzi, le parole gergali 166 e dialettali, i doppi sensi, gli<br />

ammiccamenti, il contesto stesso in cui si realizza la comunicazione che non è<br />

casuale ma è frutto di una scelta razionale. Il ricorso ad un peculiare<br />

linguaggio per la comunicazione delle idee, assieme al sistema culturale, ai<br />

161<br />

L. Malafarina, op.cit., p.79.<br />

162<br />

Ibidem. Sull’utilizzo di “fibbie” si sofferma anche Sharo Gambino nel suo La mafia in Calabria. (S.<br />

Gambino, La mafia in Calabria, Edizioni parallelo 38, Reggio Calabria 1975, p. 47).<br />

163<br />

E. Ciconte, op.cit., p. 22.<br />

164<br />

E’ infatti provata la redazione in alcuni casi di statuti scritti; per esempio la ‘ndrina di Nicastro aveva uno<br />

statuto che conteneva “17 articoli riguardanti gli obblighi e doveri degli affiliati, la formola del giuramento, la<br />

parola d’ordine per riconoscersi tra loro e distinguersi da quelli di altre società” (Corte d’appello di Catanzaro<br />

Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti di Cantafio Vincenzo più 53, cit.).<br />

165<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Martino Vincenzo più 46, Archivio di Stato<br />

di Catanzaro, v. 414, 8 giugno 1905.<br />

166<br />

Il gergo ‘ndranghetistico è “u baccagghju”. (Cfr. G. Falcone, Strutture organizzative, rituali e “baccagghiu”<br />

della ‘ndrangheta, cit., pp. 251-273 e S. Gambino, La mafia in Calabria, cit., pp.14-15).<br />

43


codici comportamentali 167 , ai segni distintivi 168 , al ritualismo 169 è strumentale<br />

alla formazione di un’identità di valori che permette il successo del modello<br />

organizzativo ‘ndranghetistico. Come osserva infatti Luigi Lombardi Satriani:<br />

“senza valori, senza quadri di riferimento, senza simboli, nessun gruppo<br />

umano regge”. 170<br />

E’ un problema riconducibile al senso di appartenenza<br />

all’organizzazione; il ricorso ad uno statuto, orale o scritto che sia, conferisce<br />

a qualsiasi attività e decisione una sorta di legittimità 171 e contestualmente<br />

rimarca il carattere elitario della ‘ndrina, poiché per appartenerle bisogna<br />

rispondere a determinate caratteristiche che non tutti posseggono. Per<br />

esempio in uno statuto sequestrato a Catanzaro si prevedeva: “la esclusione<br />

dei pederasti, dei mariti traditi, delle guardie di finanza, di città e carcerarie e<br />

dei carabinieri, e di coloro che non si siano vendicati della grave offesa<br />

dell’onore”. 172<br />

Per Martino, gli statuti ‘ndranghetistici sono complessi “di norme<br />

organizzative penali e rituali” piuttosto affini ai loro omologhi riferibili alle<br />

società segrete appartenenti al modello massonico ed ai codici degli ordini<br />

cavallereschi e delle confraternite medioevali, 173 fondati su un linguaggio<br />

frutto di una sorta di melting-pot tra l’italiano, il calabrese, il napoletano ed il<br />

siciliano “semplice e nel contempo astruso, pieno di doppi sensi, di frasi in<br />

gergo: popolare e insieme d’elite, con molteplici riferimenti religiosi ma anche<br />

167<br />

Tra cui per esempio il ricorso allo sfregio nei confronti di chi si è reso responsabile di qualche mancanza o<br />

di testimoni, rappresentante “il castigo destinato appunto per gli spioni e i traditori” (Corte d’appello delle<br />

Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Greco Francesco più 30, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 384, 17<br />

maggio 1900). Si noti il significato simbolico di una ferita permanente recata al viso, quindi in alcun modo<br />

nascondibile agli occhi della gente, che segna per tutta la vita chi la porta. Altri importanti codici<br />

comportamentali, rilevabili ancora oggi, sono la vendetta e l’omertà. (Cfr. E. Ciconte, op.cit., pp.60-67).<br />

168<br />

Sono molteplici le risultanze giudiziarie che riferiscono dell’abitudine di molti affiliati di farsi tatuare.<br />

“Questa medesima gente avea de’ segni particolari per comprendersi tra di loro […]; la massima parte di essa<br />

era tatuata.” (Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Marino Francesco più 147,<br />

Archivio di Stato di Catanzaro, v. 336, 9 settembre 1905.) Sono altresì note espressioni estetiche di<br />

appartenenza quali “un ciuffo di capelli sulla fronte a guisa di farfalla” (Corte d’appello delle Calabrie,<br />

Sentenza emessa nei confronti di Favasuli Bartolo più 28, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 359, 30 luglio<br />

1896), “d’intorno al collo, per riconoscersi, un fazzoletto annodato” (Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza<br />

emessa nei confronti di Moscatello Pietro più 49, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 394, 22 gennaio 1902), “il<br />

camuffo di seta ed un garofano rosso all’occhiello” (S. Gambino, La mafia in Calabria, cit., p.62).<br />

169<br />

Si pensi alla complessa ritualità che segna l’ingresso del nuovo affiliato, e che viene definita “battesimo”<br />

con un esplicito richiamo al cattolicesimo; oppure, nel caso della promozione al grado di camorrista, al duello,<br />

la cosiddetta “tirata del sangue”, che si deve svolgere tra il candidato ed un altro membro dell’organizzazione<br />

(Cfr. S. Castagna, Tu devi uccidere, a cura di A. Perria, Il Momento, Milano 1967, pp.40-41).<br />

170<br />

L.M. Lombardi Satriani, Stratificazione sociale, dinamica culturale e mafia nel Mezzogiorno<br />

contemporaneo, in AA.VV. Mafia e potere, cit., p.208.<br />

171<br />

Cfr. L. Malafarina, op.cit., p.11.<br />

172<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Bagalà Michele più 86, Archivio di Stato<br />

di Catanzaro, v. 405, 23 novembre 1903.<br />

173<br />

Cfr. P. Martino, Per la storia della ‘ndrangheta, cit., p. 25.<br />

44


con immagini esoteriche difficilmente comprensibili per la cultura dello<br />

‘ndranghetista medio, e proprio per questo pieni di attrattiva, di mistero, di<br />

fascino, di echi sconosciuti. L’ascolto rimanda a risonanze antiche e nel<br />

contempo mai udite prima”. 174<br />

Questo reiterato tentativo di sviluppare un forte senso di appartenenza<br />

risponde ad un’esigenza largamente avvertita dalla gente calabrese nel<br />

periodo dell’unità: sconfiggere un sentimento di insicurezza diffusa 175 che ha<br />

molte origini: dal fenomeno dei briganti e delle truppe che li contrastano, alla<br />

vita su coste che storicamente sono state oggetto di scorribande e che hanno<br />

costretto i loro abitanti a ripiegare verso l’interno della regione, 176 dalle<br />

misere condizioni di vita che non garantiscono neppure la sopravvivenza 177 ,<br />

all’estrema pericolosità delle vie di comunicazione 178 , dalla debolezza<br />

intrinseca alla struttura sociale contadina 179 , ad una terra ostile, soggetta a<br />

tremendi terremoti e devastanti alluvioni, 180 per concludere con una storica<br />

sfiducia nei confronti delle leggi dello Stato, che agli occhi dei ceti meno<br />

abbienti risultano essere “leggi delle classi dominanti e di conseguenza ostili<br />

e antagoniste a quelle delle classi subalterne” 181 .<br />

A fronte di una così elevata insicurezza, “l’esigenza e la richiesta di<br />

protezione costituivano una tensione psicologica e culturale costante, che<br />

attraversava come una corrente invisibile, ma emergente di volta in volta in<br />

un pullulare di simboli, l’intera vita comunitaria”. 182<br />

174<br />

E. Ciconte, op.cit., pp. 27-28.<br />

175<br />

Cfr. J. Meyriat (a cura di), La Calabria, Lerici, Milano 1961, p.308.<br />

176<br />

Cfr. A. Placanica, I caratteri originali e Calabria in idea, in P. Bevilacqua- A. Placanica (a cura di), La<br />

Calabria, Einaudi, Torino 1985, pp.35-38.<br />

177<br />

Secondo la documentazione raccolta da Giovanni Sole nei primi anni dell’unità d’Italia la mortalità infantile<br />

“rimase eccezionalmente alta”. (G. Sole, Viaggio nella Calabria citeriore dell’800. Pagine di storia sociale, a<br />

cura dell’Amministrazione provinciale di Cosenza, Cosenza 1985, pp.291-307).<br />

178<br />

“le Calabrie poteano dirsi estranee tra loro per assoluto difetto di comunicazione. Il viaggio vi era ad ogni<br />

tratto pieno di disagi e di perigli, e se qualche calabrese affidavasi di affrontarli si disponea a far testamento<br />

tanto n’era incerto il rimpatriare.” (Grimaldi in A. Mozzillo, Viaggiatori stranieri nel sud, Edizioni di<br />

Comunità, Milano 1982, p.47).<br />

179<br />

Per Augusto Placanica “ una congiuntura climatica, un cattivo raccolto – peggio un sia pur breve susseguirsi<br />

di annate magre - metteva senz’altro in ginocchio tutta la base della piramide sociale che inglobava – se pur<br />

con differenze – città e campagna.” (A. Placanica, Nel settecento calabrese: fluttuazioni climatico – produttive<br />

e rapporti di classe, in AA.VV., Civiltà di Calabria. Studi in memoria di Filippo De Nobili, a cura di A.<br />

Placanica, Edizioni Effe Emme, Chiaravalle 1976, p.375).<br />

180<br />

Cfr. A. Placanica, L’Iliade funesta. Storia del terremoto calabro – messinese del 1783, Casa del libro, Roma<br />

1982; A.Placanica, Il filosofo e la catastrofe. Un terremoto del settecento, Einaudi, Torino 1985; G.B. Croce,<br />

Dell’amministrazione della giustizia nel circondario di Rossano. Discorso del dì 13 gennaio 1873, Tipografia<br />

l’Indipendenza, Cosenza 1873, p.13).<br />

181<br />

E. Ciconte, op.cit., p. 67.<br />

182<br />

P. Bevilacqua, Quadri mentali, cultura e rapporti simbolici nella società rurale del Mezzogiorno, “Italia<br />

contemporanea”, 1984, n.154.<br />

45


Questa necessità finisce inevitabilmente con il concretizzarsi,<br />

perlomeno in parte, nell’affiliazione alla ‘ndrangheta, che è<br />

un’organizzazione in grado di offrire contestualmente sia l’auspicata<br />

protezione - ai suoi appartenenti, cui vengono anche garantiti prestigio e<br />

rispetto, ma anche a chi ne rimane fuori e che pagherà una sorta di tassa per<br />

ottenerla – sia – grazie al suo continuo mutuare valori popolari<br />

strumentalmente all’ottenimento di consenso - un vero e proprio<br />

ordinamento giuridico alternativo a quello proposto dallo Stato, che soddisfa<br />

pienamente l’esigenza riferibile alla suggestiva tesi di alcuni studiosi della<br />

cultura folklorica, secondo cui: “le classi subalterne producono un loro<br />

ordinamento giuridico che non coincide con l’ordinamento giuridico dello<br />

Stato nel quale tali classi sono inserite”. 183<br />

Nello Zagnoli a tale proposito ha definito “cultura comune” quella dei<br />

contadini e quella della ‘ndrangheta 184 e per Lombardi Satriani: “la cultura<br />

mafiosa assume i valori folklorici ma li strumentalizza, caricandoli di finalità<br />

ad essi eterogenei[…] il comportamento mafioso […] rinvia ad un articolato<br />

sistema di norme. Questo, a sua volta, fa parte di una organica subcultura”. 185<br />

La capacità della ‘ndrangheta di rappresentare, per i ceti popolari, una<br />

specie di baluardo di istanze ed interessi abitualmente trascurati dallo Stato<br />

ha addirittura assunto in qualche caso contorni al limite dell’irrealtà. Si pensi<br />

solamente a due casi che possono fare sorridere, ma in realtà sono<br />

amaramente rappresentativi del clima di controllo del territorio e delle menti<br />

posto in essere dalla ‘ndrangheta. Il primo si verifica in occasione del<br />

processo nei confronti della ‘ndrina di Maropati, Anoia, Cinquefrondi e<br />

Galatro. Nella sentenza si legge che uno degli affiliati si era associato<br />

“credendo che si trattasse di una società di Mutuo-Soccorso, e poscia, deluso,<br />

non volle più appartenere alla setta”. 186<br />

Il secondo si verifica invece a Cosenza, quando uno degli accusati<br />

dichiara che si era affiliato perché “gli avevano fatto intendere che trattavasi<br />

di entrare in un circolo socialista e che egli così diceva ai compagni per<br />

affiliarli”. 187<br />

183 L.M. Lombadi Satriani, Menzogna e verità nella cultura contadina del Sud, Guida, Napoli 1974, p. 278.<br />

184 Cfr. N. Zagnoli, A proposito di onorata società, in AA.VV., Le ragioni della mafia, cit., p. 69<br />

185 L.M. Lombardi Satriani, Sulla cultura mafiosa e gli immediati dintorni, in AA.VV., Le ragioni della mafia,<br />

cit., p.86.<br />

186 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Adornato Salvatore più 121, Archivio di<br />

Stato di Catanzaro, v. 395, 22 aprile 1902.<br />

187 Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Abate Vincenzo più 86, cit.<br />

46


Ciconte ha osservato che alla base di questa ingenuità e di questa<br />

incredibile confusione c’è una distorta interpretazione della ‘ndrangheta che<br />

trae la sua origine dal fatto che essa “è stata vista attraverso la lente<br />

deformante della sua ideologia che aveva tutto l’interesse a far emergere<br />

questi tratti” 188 . In realtà è ampiamente noto che tra i vari reati di cui si resero<br />

colpevoli gli ‘ndranghetisti vi erano anche azioni odiose, che non potevano in<br />

alcun modo fruire della solidarietà della popolazione; per esempio è<br />

disponibile una lunga serie di sentenze nei confronti di affibbiati condannati<br />

per violenza carnale 189 che sottendono un impulso alla violenza fine a se<br />

stessa ed alla mancanza di rispetto nei confronti delle donne che non può che<br />

contrastare con l’immagine che la mafia calabrese ha voluto fornire di se<br />

stessa; “la realtà è diversa dall’immagine. Ma è l’immagine che è prevalsa nel<br />

tempo”. 190<br />

All’indomani dell’unità, nelle menti degli appartenenti alle classi meno<br />

abbienti era radicato un diffuso sentimento di paura mista a profonda<br />

diffidenza nei confronti di qualsiasi forma di rappresentanza del potere<br />

pubblico; fu proprio in quel momento che nacque e poi crebbe una tendenza<br />

all’antistatualismo che era destinata a radicarsi a fondo nella cultura<br />

calabrese. La ‘ndrangheta, astuta e lungimirante, seppe avviare un’opera di<br />

strumentalizzazione di questo sentimento in funzione dei propri fini<br />

delinquenziali così profonda e radicale da essere diffusa ancora ai giorni<br />

nostri.<br />

2.2 Fascismo e Dopoguerra.<br />

Nel paragrafo precedente, si è cercato di analizzare quali siano state le<br />

cause storico-sociali della nascita e dello sviluppo di una fenomenologia<br />

criminale complessa come la mafia calabrese, soffermandosi in particolare sul<br />

188 E. Ciconte, op.cit., p. 76.<br />

189 Si vedano a titolo esemplificativo Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Martino<br />

Vincenzo più 46, cit.; Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Gioffrè Filoreto più 11,<br />

Archivio di Stato di Catanzaro, v. 429, 8 dicembre 1908; Corte di assise di Locri, Sentenza emessa nei<br />

confronti di Macrì Francesco più 141, Archivio di Stato di Catanzaro, b. 4, 6 settembre 1939; Corte d’appello<br />

delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Auteri Felice più 229, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 388,<br />

25 febbraio 1901; Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Costa Giovanni più 10,<br />

Archivio di Stato di Catanzaro, v. 421, 12 luglio 1906; Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei<br />

confronti di Castagna Bruno più 21, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 421, 6 luglio 1906; Corte d’appello di<br />

Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti di Maione Nicola più 68, Archivio di Stato di<br />

Catanzaro, v. 150, 15 dicembre 1896.<br />

190 E. Ciconte, op.cit., p. 87.<br />

47


periodo post-unitario. Considerato che le finalità che si prefigge questo<br />

lavoro non sono prettamente storiche, è possibile a questo punto operare un<br />

salto cronologico sino a tempi più recenti 191 per arrivare così a comprendere<br />

quale sia stato il percorso attraverso il quale questa forma criminale è<br />

pervenuta alle attuali caratteristiche.<br />

Nel capitolo dedicato alla camorra si è visto come, per questa<br />

consorteria, si sia registrata una massiccia repressione statale durante il<br />

periodo del regime fascista che recò notevoli danni alla struttura<br />

organizzativa.<br />

Per quanto riguarda la ‘ndrangheta è invece documentato che,<br />

nonostante gli sforzi del regime, il periodo del ventennio ha rappresentato<br />

non una fase di crisi 192 ma, al contrario, di assestamento delle sue strutture, se<br />

si considera che esso fallì sia nel tentativo di scompaginarne l’organizzazione,<br />

sia in quello di modificare la mentalità di cui si giovava, diffusa nella società<br />

calabrese di quegli anni.<br />

“Il fascismo [...] non riuscì a eliminare i caratteri strutturali, a<br />

modificare i rapporti sociali che stavano a fondamento dello sviluppo<br />

‘ndranghetista. Nè riuscì a incidere sulla mentalità, sulla cultura, sui valori<br />

che [...] costituivano tanta parte della forza d’attrazione della ‘ndrangheta.<br />

L’immaginario collettivo mescolava timore e paura a giudizi positivi, a volte<br />

perfino lusinghieri nei confronti dell’onorata società”. 193<br />

Oltre tutto, l’attività repressiva, proprio per le modalità estremamente<br />

violente con le quali venne intrapresa, non fece altro che acuire il distacco, già<br />

storicamente marcato, tra società ed istituzioni. Certamente alcune ‘ndrine<br />

vennero colpite ma, complessivamente, la ‘ndrangheta continuò ad operare<br />

come prima, anche in funzione di un atteggiamento ambivalente del regime,<br />

che non disdegnava, nonostante la repressione, di tentare di cooptarne i<br />

livelli più alti, vale a dire i capibastone. Ciò allo scopo di stabilire una sorta di<br />

alleanza in funzione persecutoria degli esponenti del movimento operaio e<br />

contadino, che continuavano a rappresentare, agli occhi dei fascisti, il pericolo<br />

più grande. Si osservi a questo proposito quanto affermato da Pasquale<br />

Contartese, sindaco socialista di Rombiolo, a seguito del suo arresto: “i<br />

191 Per una dettagliata analisi del periodo storico che qui si è ritenuto di non approfondire, si rimanda a quella<br />

che è senza dubbio la più completa opera sulla storia della ‘ndrangheta realizzata sino ad oggi che è<br />

‘Ndrangheta dall’Unità ad oggi di Enzo Ciconte. (Cfr. Ivi, pp. 90 – 231).<br />

192 G. Raffaele, Temi e problemi nella letteratura sulla mafia, in AA.VV, Mafia e potere, cit., p.70.<br />

193 E. Ciconte, op.cit., p. 232.<br />

48


protetti sono i signori i quali ci denunciano per associazione a delinquere e<br />

mandano avanti la camorra portando alla miseria i poveri comuni”. 194<br />

Vi fu quindi, da una parte, repressione e, dall’altra, quasi<br />

identificazione tra la realtà mafiosa calabrese e il regime fascista; per un<br />

semplice contadino di Africo: “durante il fascismo i capi si sono accordati”; 195<br />

i “capi” cui si fa riferimento sono ovviamente i vertici ‘ndranghetistici da un<br />

lato e del regime dall’altro.<br />

La ‘ndrangheta, i maggiori rappresentanti del ceto urbano ed i grandi<br />

proprietari terrieri vissero in questi anni una sorta di trasformismo che li<br />

portò a sposare la causa fascista, allo scopo di mantenere immutata la<br />

situazione precedente all’avvento dei movimenti politici popolari 196 ; la<br />

fusione di queste differenti realtà in funzione reazionaria diede luogo ad un<br />

blocco di potere in cui molti esponenti ‘ndranghetistici trovarono spazio.<br />

Ma, aldilà di questa “santa alleanza,” è opportuno ricordare che<br />

almeno sul finire degli anni venti, l’attività repressiva nei confronti della<br />

‘ndrangheta ci fu davvero ed assunse caratteristiche di capillarità, con<br />

l’arresto di moltissimi esponenti e la decapitazione di intere ‘ndrine; il fatto è<br />

che non venne condotta in maniera da garantire frutti duraturi nel tempo, per<br />

esempio con operazioni di educazione alla legalità da realizzare a livello della<br />

società calabrese e soprattutto dei giovani, ma si limitò alla componente<br />

poliziesca, al problema di ordine pubblico 197 , nella assoluta convinzione che<br />

la ‘ndrangheta non fosse l’espressione delinquenziale di una società<br />

intrinsecamente malata, ma una semplice associazione “di malandrini, di<br />

volgari delinquenti dediti al furto, alla grassazione, alla rapina.” 198<br />

Anche la Calabria ha avuto un suo prefetto Mori; si trattò del<br />

maresciallo dei Carabinieri Giuseppe Delfino, un vero e proprio super<br />

investigatore della ‘ndrangheta (che peraltro conosceva molto bene essendo<br />

originario dell’ Aspromonte), passato alla storia con il nome di “massaru<br />

Peppe” per la sua abitudine di ricorrere addirittura ad un travestimento da<br />

pastore per recarsi in montagna a caccia di latitanti. Sulla rettitudine morale<br />

194<br />

A. Carvello, Fascismo e classi contadine in Calabria, in AA.VV., Mezzogiorno e fascismo, Edizioni<br />

scientifiche italiane, Napoli 1978, p.532.<br />

195<br />

C. Stajano, Africo, Einaudi, Torino 1979, p.40.<br />

196<br />

Cfr. A. Carvello, op.cit., p. 527.<br />

197 Peraltro, è sicuramente vero che non rientra tra le caratteristiche della natura del fascismo<br />

l’adozione di politiche di sviluppo ed educazione in zone arretrate e fortemente colpite da fenomeni<br />

delinquenziali.<br />

198 S. Gambino, Mafia. La lunga notte della Calabria, Edizioni quaderni Calabria-oggi, Serra San Bruno 1976,<br />

p.70.<br />

49


del maresciallo Delfino non vi sono dubbi; si pensi che nonostante fosse un<br />

uomo dello Stato, rifiutò l’iscrizione al partito fascista, perdendo così la<br />

possibilità di essere promosso. 199 Tuttavia, se da un lato il maresciallo<br />

perseguitava con tutte le sue forze le varie ‘ndrine, dall’altro è documentato<br />

un suo accordo con il capobastone don Antonio Macrì per evitare che durante<br />

la festa della Madonna di Polsi si verificassero incidenti 200 . L’episodio è<br />

emblematico della profonda ambiguità vissuta dal regime fascista e dai suoi<br />

rappresentanti dinnanzi alla ‘ndrangheta, con i cui vertici si tessono accordi e<br />

contro il cui esercito si combatte.<br />

La dura repressione nei confronti dell’associazionismo politico<br />

popolare, combinata all’oggettivo rafforzamento politico ed economico dei<br />

ceti padronali ed agrari, diede luogo ad una situazione in cui la pressione<br />

esercitata sulle classi meno abbienti divenne insostenibile; per di più, queste<br />

ultime non potevano nemmeno fare ricorso alla valvola di sfogo costituita dai<br />

partiti socialisti e contadini. Il tutto in una cornice politica contraddistinta<br />

dalle storiche ostilità e diffidenze delle popolazioni calabresi nei confronti<br />

dello Stato a cui si era aggiunta la violenza ostentata dal partito fascista nei<br />

confronti dei dissidenti.<br />

“Non c’è da meravigliarsi, dunque, se in molti centri – il fenomeno<br />

ebbe particolari caratteristiche soprattutto nella fascia aspromontana e nella<br />

Jonica reggina – la ‘ndrina rappresentò una forma di organizzazione che<br />

funzionò come un surrogato dell’associazionismo politico vietato dal<br />

fascismo”. 201<br />

Dunque, l’antico antistatualismo, abbinato al recente antifascismo, fece<br />

sì che la ‘ndragheta potesse apparire come l’unica alternativa percorribile per<br />

soddisfare il forte sentimento di riscossa che animava il popolo calabrese.<br />

Ancora una volta essa avrebbe incrementato il numero dei propri adepti,<br />

sfruttando le debolezze di uno Stato che sin dall’ottocento aveva evidenziato<br />

una cronica incapacità di relazionarsi con la società meridionale e la cui<br />

recente deriva totalitaria non aveva fatto altro che aggravare una situazione<br />

già da tempo insostenibile. Se a ciò si aggiunge che i numerosi invii al<br />

domicilio coatto nei confronti degli oppositori del regime - sia che questi<br />

fossero esponenti della sinistra popolare, sia che fossero appartenenti alla<br />

199 Cfr. M. La Cava, Tra i latitanti dell’Aspromonte, “Gazzetta del Popolo”, 30 marzo 1977.<br />

200 Cfr. C. Stajano, Africo, cit., p. 38. Proprio nel cuore dell’Aspromonte sorgeva il santuario della Madonna di<br />

Polsi, luogo ove tradizionalmente si radunavano una volta l’anno i capibastone delle varie ‘ndrine; proprio in<br />

quell’occasione, il tribunale della ‘ndrangheta emetteva le proprie sentenze e dunque, abitualmente, dopo la<br />

festa nei boschi circostanti il santuario si rinvenivano numerosi cadaveri. (Cfr. Ivi, p. 13)<br />

201 E. Ciconte, op.cit., p. 235.<br />

50


‘ndrangheta - determinò quella che Sharo Gambino ha definito “una strana<br />

mescolanza” 202 tra detenuti politici e detenuti comuni, si comprende come al<br />

termine della guerra, alla guida di molte amministrazioni locali calabresi, si<br />

troveranno uomini “che erano passati attraverso l’esperienza<br />

dell’organizzazione ‘ndrangheta”. 203<br />

Sostanzialmente si può affermare che il maggiore danno recato dal<br />

regime alla mafia calabrese fu lo scompaginamento della struttura di alcune<br />

‘ndrine a seguito del massiccio invio di giovani al fronte e del conseguente<br />

indebolimento della base.<br />

Alla fine della guerra, in Calabria si assiste ad un fenomeno analogo a<br />

quello verificatosi nella Sicilia occidentale: “tra il 1943 e il 1945 i mafiosi<br />

furono nominati dal governo militare alleato sindaci di buona parte dei<br />

comuni [...] della provincia di Reggio Calabria”. 204<br />

Il potere esercitato dalla ‘ndrangheta non si era affatto spezzato, anzi la<br />

stessa scelta degli alleati rimarcava la continuità di questa fenomenologia<br />

criminale, rimasta pressoché immutata nella transizione dai governi liberali al<br />

fascismo prima, e da quest’ultimo alla democrazia nel dopoguerra.<br />

Sotto l’aspetto delle attività criminali, la ‘ndrangheta del dopo<br />

liberazione è caratterizzata da una mescolanza di vecchio e nuovo con<br />

l’impegno in una serie di attività commerciali e finanziarie come la borsa nera<br />

ed il contrabbando 205 . Nel 1950, il processo tenutosi presso la Corte d’assise di<br />

Locri nei confronti della ‘ndrina di Siderno permette di prendere contatto con<br />

un classico caso–tipo al fine di comprendere appieno quali siano i connotati<br />

assunti dalla nuova ‘ndrangheta: dagli atti processuali risulta che non<br />

vengono accantonate le vecchie pratiche estorsive nei confronti dei<br />

proprietari di frantoi, si praticano rapine, lesioni, omicidi e furti, questi ultimi<br />

strumentali all’offerta di protezione; le intimidazioni sono all’ordine del<br />

giorno, come i rapporti tra notabili di Locri e Siderno e capibastone; è diffusa<br />

la pratica del monopolio sul collocamento della mano d’opera, mediante<br />

minacce ai datori di lavoro recalcitranti; il boss Antonio Macrì, descritto nella<br />

sentenza come personaggio di rilievo e di tutto rispetto, è talmente potente da<br />

mediare nelle vertenze agrarie tra possidenti e coloni, sostituendosi a tutti gli<br />

effetti ai tribunali. Complessivamente, l’immagine che emerge dalla sentenza<br />

202 S. Gambino, Mafia. La lunga notte della Calabria, cit., p.71.<br />

203 E. Ciconte, op.cit., p. 236.<br />

204 P. Arlacchi, La mafia imprenditrice, cit., p.59.<br />

205 C. Alvaro, I briganti, “Corriere della Sera”, 17 settembre 1955.<br />

51


contro la ‘ndrina di Siderno è quella di un’organizzazione ramificata, potente<br />

che persegue un eterogeneo ventaglio di attività illecite. 206<br />

Gli anni del dopoguerra sono anche quelli in cui la ‘ndrangheta stringe<br />

accordi con i rappresentanti della politica; contrariamente a ciò che accade in<br />

Sicilia però, in Calabria anche i partiti di sinistra, perlomeno inizialmente,<br />

vengono avvicinati dalla malavita. Questo differente atteggiamento tra<br />

‘ndrangheta e Cosa Nostra nei confronti di PSI e PCI è probabilmente<br />

spiegabile con la forte vocazione antifascista assunta da alcune ‘ndrine negli<br />

anni in cui l’associazionismo politico era vietato dal regime e con le<br />

frequentazioni tra ‘ndranghetisti e detenuti politici inviati al confino durante<br />

la repressione. Con il crollo del regime e la nascita di sezioni di partiti di<br />

sinistra in molte zone della Calabria, la ‘ndrangheta visse una sorta di crisi di<br />

legittimità, poichè la sua componente sana, quella composta da antifascisti<br />

che avevano scelto di aderirvi esclusivamente perchè essa rappresentava<br />

l’unica alternativa al regime, decise di abbandonarla per sposare la militanza<br />

politica di sinistra. Se a ciò si aggiunge la storica diffidenza calabrese nei<br />

confronti di Stato, Carabinieri e Polizia e l’avversione delle classi popolari per<br />

i proprietari terrieri, si comprende come il PCI, che nel suo programma<br />

ideologico sintetizzava tutte queste istanze, potesse essere la vera alternativa<br />

all’adesione alle ‘ndrine. Si può dire che la componente della ‘ndrangheta che<br />

rappresentava un potere extralegale in espansione e quindi perseguiva<br />

l’instaurazione di rapporti con un grande partito di governo che avrebbero<br />

permesso la penetrazione nei gangli della politica ad ogni livello, scelse la<br />

Democrazia Cristiana; la parte di essa maggiormente legata al mondo<br />

contadino, alla povertà, alle classi popolari scelse invece la sinistra.<br />

“Gran parte della ‘ndrangheta scelse la Dc e il governo ma una parte, la<br />

“mafia tradizionale”, scelse il Pci”. 207<br />

Come osserva Ciconte: “l’aver mantenuto questi rapporti non fu senza<br />

conseguenze[...] In molte amministrazioni comunali governate dalla sinistra,<br />

nonostante la proclamata estraneità del Pci e del Psi rispetto alla ‘ndrangheta,<br />

le fibbie locali non di rado facevano convergere i loro voti su quegli<br />

amministratori senza che i dirigenti reggini avessero la capacità e la forza di<br />

intervenire in quelle situazioni per porvi rimedio[...]. Una vischiosità di<br />

206 Cfr. Corte di assise di Locri, Sentenza emessa nei confronti di Agostino Giuseppe più 40, Archivio Corte di<br />

appello di Catanzaro. Sezione Penale, 29 dicembre 1950.<br />

207 G. Manfredi, Mafia e società nella fascia ionica della provincia di Reggio Calabria: il “caso” Nicola<br />

D’Agostino, in AA.VV., Mafia e potere, cit, vol. II, p.273.<br />

52


comportamento che indebolì l’azione politica rendendola, in quelle realtà,<br />

fiacca e poco credibile”. 208<br />

La “vischiosità di comportamento” a cui si riferisce Ciconte, trae la sua<br />

origine da una sottovalutazione della ‘ndrangheta, di cui i dirigenti comunisti<br />

furono vittime. Per essi era innanzitutto difficile non tenere conto del suo<br />

essere stata un’organizzazione di solidarietà, di mutuo soccorso, quasi di<br />

autodifesa delle classi popolari; secondariamente, l’opinione diffusa a quel<br />

tempo era che la ‘ndrangheta rivestisse un ruolo di portata decisamente<br />

minore rispetto a quello di Cosa Nostra, 209 e che conseguentemente si potesse<br />

prendere in considerazione l’ipotesi di stringere degli accordi con essa.<br />

La grave ambiguità vissuta dai partiti di sinistra si esaurirà, per il<br />

Partito Comunista, contestualmente alla comprensione della dinamica seguita<br />

dalla ‘ndrangheta nel suo accentuare la propria propensione alla conquista<br />

del potere e conseguentemente nello stringere rapporti organici con la<br />

Democrazia Cristiana e gli agrari. Solo a questo punto il Pci adotterà un<br />

comportamento apertamente ostile alla mafia calabrese, al punto che<br />

qualsiasi esponente coinvolto in inchieste che la riguardino verrà<br />

immediatamente espulso dal partito. 210<br />

Per quanto riguarda il PSI giova ricordare un vivace scontro alla<br />

Camera tra Tambroni e il deputato socialista Rocco Minasi; il Ministro<br />

dell’Interno affermò che durante un processo “uno dei catturati avrebbe<br />

detto: Bisogna votare per i candidati del partito socialista, ma in particolare<br />

per l’onorevole Minasi”. 211<br />

Il processo a cui fa riferimento Tambroni è quello che era stato<br />

celebrato contro la ‘ndrina di Podargoni, durante il quale un imputato aveva<br />

effettivamente testimoniato che “in vista delle politiche del ’53 il capo disse<br />

che avremmo dovuto votare Psi e che ci avrebbe dato tre numeri; infatti il 6<br />

giugno ci diede i numeri di un candidato poi eletto”. 212<br />

La disputa tra Tambroni e Minasi, aldilà dell’asprezza dello scontro<br />

politico - in ossequio al quale ancora oggi non si lesina nel fare ricorso ad<br />

accuse gravissime tra esponenti di maggioranza e opposizione che poi spesso<br />

non trovano riscontri effettivi – getta comunque l’ombra del sospetto in<br />

208 E. Ciconte, op.cit., p. 270.<br />

209 Cfr. J. Meyrat, op.cit., p.308.<br />

210 Si noti che quello comunista è stato l’unico partito ad aver adottato una simile linea di condotta nei confronti<br />

dei propri esponenti accusati di rapporti organici con la mafia.<br />

211 A.P., Camera dei deputati, II legislatura, Intervento dell’on. F. Tambroni, seduta del 6 ottobre 1955, p.<br />

20428.<br />

212 G. Cervigni, Antologia della “fibbia”, “Nord e Sud”, n.18, 1956, p.75.<br />

53


ordine alla effettiva possibilità che anche il PSI fosse entrato a far parte del<br />

gioco delle clientele ‘ndranghetiste.<br />

Per quanto riguarda l’atteggiamento democristiano, si può affermare<br />

che esso non si discosta minimamente da quello tenuto in Sicilia: sfruttare<br />

l’organizzazione militare messa a disposizione dalla criminalità per i propri<br />

fini elettorali. Emblematica a questo riguardo fu la denuncia del deputato<br />

socialista Rocco Minasi, ancora lui, secondo cui il capobastone Vincenzo<br />

Romeo, a Pietrapennata “con il mitra in spalla, faceva la campagna elettorale<br />

in questi termini: “o votate Democrazia Cristiana o vi ammazzo””. 213<br />

La stessa “operazione Marzano,” 214 apparentemente intrapresa con la<br />

ferma volontà dell’allora Ministro dell’Interno Tambroni di porre fine allo<br />

stato di illegalità che contraddistingueva gran parte della Calabria, è stata<br />

interpretata da più parti come una manovra politica, orchestrata dalla DC,<br />

tesa ad indebolire i partiti di destra, e soprattutto il PLI, i quali contavano su<br />

una fitta rete di vecchie clientele che non mancavano di coinvolgere i vertici<br />

213<br />

A.P., Camera dei deputati, II legislatura, Intervento dell’on. R. Minasi, seduta del 4 ottobre 1955, pp. 20190-<br />

94.<br />

214<br />

Nell’estate del 1955, l’allora questore di Reggio Calabria Pietro Sciabica venne sollevato dal suo incarico<br />

direttamente dal ministro Tambroni e sostituito con il giovane questore di Trieste Carmelo Marzano, con il<br />

preciso scopo di fare pulizia dell’ingombrante presenza mafiosa in Calabria. Si è sostenuto che tale improvvisa<br />

decisione scaturì a seguito delle lamentele dell’onorevole Capua, sottosegretario calabrese all’agricoltura del<br />

governo Segni, in relazione ad un episodio che aveva visto protagonista inconsapevole sua moglie, la cui auto<br />

era stata colpita per errore da alcune fucilate.(Cfr. R.S., I banditi sparano per errore contro l’auto del<br />

sottosegretario, “La Nuova Stampa”, 3 settembre 1955). Considerata la reticenza manifestata dalla stessa<br />

signora Capua nel denunciare l’episodio e l’appoggio elettorale da parte della ‘ndrangheta di cui notoriamente<br />

si giovava l’onorevole (Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno Gabinetto, Rapporto del prefetto di Reggio Calabria del 20<br />

settembre 1955, 1953-1956 b.4, fascc. 1066/1-2, Archivio Centrale dello Stato) tale circostanza pare però poco<br />

credibile. Quel che è certo è che il giovane questore si adoperò con grande fermezza, sollevando peraltro non<br />

poche critiche, sia in ordine all’opportunità di mantenere una sorta di stato d’assedio che investiva anche la<br />

popolazione esente da rapporti con la criminalità (Cfr. G. Bocca, Delianova paese del West, “L’Europeo”, a.<br />

XI, n.37, 11 settembre 1955 e C. Alvaro, Operazione Aspromonte. Psicologia della macchia, “L’Espresso”, a.<br />

I, n.1, 2 ottobre 1955), sia nei confronti delle tecniche poco ortodosse di cui si serviva per indurre a costituirsi i<br />

più pericolosi latitanti (le ammonizioni e il confino anche nei confronti dei famigliari degli stessi). All’opera<br />

rinnovatrice di Marzano non si sottrassero nemmeno numerosi funzionari della questura e delle forze<br />

dell’ordine che vennero allontanati dall’incarico perchè palesemente tolleranti nei confronti delle ‘ndrine e<br />

troppo superficiali nella concessione di passaporti e porti d’arma anche a personaggi decisamente equivoci. I<br />

risultati ottenuti dal giovane questore, supportato da un imponente spiegamento di forze, furono comunque<br />

notevoli (Cfr. G. Rospigliosi, Spezzata in Calabria la”spirale della vendetta”, “Il Tempo”, 27 ottobre 1955 e<br />

G. Selvaggi, Clamorose costituzioni di fuorilegge previste nei prossimi giorni in Calabria, “Il Tempo”, 13<br />

settembre 1955) ma non lo salvarono dalla brusca interruzione dell’”operazione Calabria” comunicata da<br />

Tambroni al Senato il 27 ottobre 1955, 54 giorni dopo l’insediamento di Marzano a Reggio, che sollevò non<br />

pochi interrogativi: “Si ha l’impressione insomma che si sia avuto paura di “andare fino in fondo”, secondo<br />

quanto pur aveva promesso il ministro.”( G. Cervigni, op.cit., e G. Cingari, Storia della Calabria dall’unità ad<br />

oggi, Laterza, Roma – Bari 1982, p.367). Non è credibile che Tambroni potesse pensare di avere debellato la<br />

‘ndrangheta in meno di tre mesi; evidentemente le motivazioni sia dell’inizio che della fine dell’”operazione<br />

Marzano” si devono ricercare ad un livello più elevato della semplice repressione poliziesca.<br />

54


‘ndranghetistici 215 . Per esempio, il giornalista Nicola Adelfi in un articolo de<br />

“La Nuova Stampa” sosteneva che la DC avrebbe tratto un vantaggio<br />

elettorale certo dall’indebolimento della ‘ndrangheta, considerato che i vertici<br />

di quest’ultima sostenevano il Partito Liberale 216 . Addirittura secondo Luigi<br />

Locatelli ad essere danneggiati dalla repressione della mafia calabrese non<br />

sarebbero stati solamente i partiti di centro destra, ma anche la corrente<br />

conservatrice della DC calabrese che era in aperto disaccordo con quella<br />

fanfaniana.<br />

“La destra DC era in maggioranza, sostenuta anche dai liberali, dai<br />

monarchici e dai potenti capi della onorata società, con i quali aveva interessi<br />

comuni da difendere e si opponeva alla linea politica del partito[...]<br />

[L’operazione Marzano n.d.r.] permetteva di raggiungere obiettivi più<br />

lontani: colpire, cioè, i capi mafia che organizzavano la campagna elettorale<br />

degli avversari. Solo eliminando questi “proprietari di voti” la corrente<br />

fanfaniana avrebbe potuto vincere alle prossime elezioni amministrative”. 217<br />

Dello stesso avviso sembra essere “l’Unità”, secondo cui l’operazione<br />

Marzano era volta a “politicizzare la ‘ndrangheta, non ad eliminarla” essendo<br />

stata progettata per colpire sia le correnti ostili agli uomini di Fanfani, sia gli<br />

“uomini che hanno rotto con un determinato ambiente”. 218<br />

Si è fatto sin ora ricorso a citazioni di articoli stampa; non esistono<br />

infatti documenti maggiormente probanti in ordine alla teoria che vuole che<br />

l’operazione Marzano sia stata esclusivamente una manovra politica.<br />

215<br />

Nel Rapporto del prefetto di Reggio Calabria del 20 settembre 1955, in riferimento all’onorevole Capua si<br />

legge testualmente: “egli avrebbe conseguito il suo successo politico mediante il sostegno della malavita locale,<br />

soprattutto nella zona aspromontana della quale egli stesso è originario. [...] Che il Capua abbia cercato di<br />

sostenere in passato elementi non qualificati della provincia non è ignoto. Io stesso venni da lui reiteratamente<br />

ed insistentemente premurato verbalmente [...] perchè fosse concessa una patente automobilistica a tale Princi<br />

Pasquale di Delianova, patente che mi rifiutai recisamente di rilasciare per le non favorevoli informazioni che<br />

riferivano essere il Princi favoreggiatore del latitante Macrì: e il Princi è stato ora assegnato al confino [...]<br />

Neanche ora lo stesso Capua ha saputo sottrarsi ai suoi legami con elementi sospetti della provincia, che,<br />

venuto a Reggio il 14 corrente, ha creduto di poter spezzare una lancia presso l’ispettore generale dott.<br />

Marzano [...] in difesa dell’indipendente sindaco di Condofuri dott. Pizzi (notoriamente suo agente elettorale<br />

nella zona ionica) che, sospetto di favoreggiamento nei riguardi del latitante Romeo, veniva da più giorni<br />

sottoposto a pressanti interrogatori.” Lo stesso rapporto si sofferma anche su Giuseppe Porcino segretario<br />

provinciale del PLI a Reggio che avrebbe “precedenti penali poco edificanti”. (Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno<br />

Gabinetto, Rapporto del prefetto di Reggio Calabria del 20 settembre 1955, cit.). Ma non è questo l’unico caso<br />

di collusioni tra partiti di centro destra e ‘ndrangheta, se solo si considera che perfino la stampa nazionale<br />

riferiva del sostegno mafioso ai candidati di quell’area politica (Cfr. N. Adelfi, La legge della vendetta<br />

insanguina ancora l’Aspromonte, “La Nuova Stampa”, 25 settembre 1955.)<br />

216<br />

Ibidem.<br />

217<br />

L. Locatelli, Dietro la caccia ai banditi lotte fra le correnti democristiane, “L’Espresso”, a. I, n.1, 2 ottobre<br />

1955.<br />

218<br />

R. Longone, Il ministro Tambroni e il sottosegretario Capua in disaccordo nel valutare la situazione<br />

esistente nelle province calabresi, “l’Unità”, 10 settembre 1955.<br />

55


Tuttavia, sia alla luce dell’improvvisa ed inspiegabile interruzione<br />

dell’attività repressiva decisa da Tambroni a soli cinquantaquattro giorni dal<br />

suo inizio, sia in virtù del fatto che la DC calabrese stava effettivamente<br />

vivendo una fase di acuto scontro tra le sue correnti interne 219 , sembrerebbe<br />

perlomeno plausibile sostenere tale interpretazione. Ad ulteriore riprova di<br />

ciò, si tenga conto che la corrente della destra democristiana a Reggio<br />

Calabria uscì dall’operazione Marzano effettivamente indebolita, tanto è vero<br />

che, a partire dal 1956, il fanfaniano Vincelli diverrà prima segretario<br />

provinciale, poi segretario regionale ed infine deputato, 220 peraltro dovendo<br />

fare i conti con una sempre fortissima opposizione interna che lo accusava<br />

addirittura di essere stato favorito dal prefetto Leoluca Longo. Sulla figura di<br />

quest’ultimo si sofferma, con toni decisamente critici, il candidato<br />

democristiano Filippo Rizzo “non si fa mistero che, essendo nativo del luogo,<br />

subisca influenze, specie da parte di parenti ed amici della zona di Palmi,<br />

nell’espletamento delle funzioni. A tal proposito si fa anche il nome del<br />

gestore del teatro di Palmi, sig. Sciarrone che è uno dei soggetti più pericolosi<br />

della zona”. 221<br />

Qui siamo già nel 1959 e, volendo credere a Rizzo, il quadro che sembra<br />

emergere non si discosta assolutamente dalla situazione precedente<br />

all’operazione Marzano, se non per i singoli interpreti: protagonista è sempre<br />

la ‘ndrangheta che continua ad avvantaggiarsi dei propri rapporti con il<br />

potere politico, rappresentato adesso dai nuovi democristiani della corrente<br />

di Fanfani, i quali a loro volta svolgono un ruolo di “cerniera” tra i primi e gli<br />

uomini delle istituzioni: “da una parte i rapporti di esponenti di questo<br />

partito con uomini della ‘ndrangheta e dall’altra con gli apparati dello Stato e<br />

con gli uomini che lo rappresentano”. 222<br />

Visti i risultati, pare veramente calzante la definizione coniata da Sharo<br />

Gambino, secondo cui l’operazione Marzano era stata concepita e realizzata<br />

con una funzione di “taglio delle ali”; a sinistra i comunisti che erano caduti<br />

vittime degli arresti e degli invii al confino come volgari delinquenti, a destra<br />

219 Sul quale si sofferma in maniera molto dettagliata un rapporto del prefetto Oscar Moccia (Cfr. <strong>Ministero</strong><br />

dell’Interno Gabinetto, Rapporto del prefetto di Reggio Calabria del giugno 1953, 1953-1956 b.363, fascc.<br />

6995/66, Archivio Centrale dello Stato)<br />

220 Cfr. AA.VV., I deputati e i senatori del terzo parlamento repubblicano, La navicella, Roma 1958.<br />

221 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno Gabinetto, 1957-1960 b.183, fascc. 15101/66, Archivio Centrale dello Stato.<br />

222 E.Ciconte, op.cit., p. 273.<br />

56


i partiti e la corrente conservatrice della DC che storicamente detenevano i<br />

rapporti con gli uomini della ‘ndrangheta. 223<br />

Dunque, un’operazione di polizia in grande stile, apparentemente<br />

concepita per eliminare in radice un fenomeno delinquenziale che cominciava<br />

ad assumere proporzioni preoccupanti, si concluse con un sostanziale<br />

rafforzamento ‘ndranghetistico 224 - considerato che le vere vittime della<br />

repressione furono solamente “pesci piccoli” e non sicuramente i vertici<br />

dell’onorata società - ma ottenne un grande risultato sotto l’aspetto politico,<br />

con un effettivo ribaltone degli equilibri di potere nella regione a favore dei<br />

fanfaniani. A tali effetti se ne deve aggiungere un altro, apparentemente di<br />

minore importanza, ma in realtà pregno di implicazioni future: il grande<br />

clamore suscitato dall’operazione attirò infatti molti giornalisti ed in quei tre<br />

mesi del 1955 la Calabria divenne protagonista, in negativo, delle prime<br />

pagine di molti giornali nazionali. Ben presto una simile attenzione cominciò<br />

a divenire fastidiosa e ad ogni livello della società calabrese cominciò a<br />

svilupparsi un sentimento di forte insofferenza. Si pensi solo all’appassionato<br />

discorso pronunciato dal procuratore della Repubblica di Reggio in occasione<br />

dell’apertura dell’anno giudiziario del 1956, dove si parla di “una campagna<br />

che ha messo la Calabria all’ordine del giorno della delinquenza mondiale.<br />

[...] articoli pieni di triste fantasia, che accapponavano la pelle, di camorra<br />

organizzata, di feste religiose trasformate in riunioni di assassini, di<br />

delinquenza irresistibile che l’ordinaria polizia non era in grado di<br />

fronteggiare. La conseguenza fu che le su non lodate riviste videro aumentare<br />

la loro tiratura, la povera Calabria vide deviate le normali correnti del traffico<br />

ed il suo nome portato in segno di disprezzo sulle bocche di tutti. [...]<br />

Smettiamola, dunque di additare la nobile provincia di Reggio Calabria come<br />

il covo della peggiore delinquenza e tutta la Calabria come terra dei reietti<br />

della società! In Calabria c’è molta miseria, ma anche molta onestà e la<br />

regione – per costume ed onestà di vita – non è seconda a nessun’altra<br />

regione d’Italia. Ripeto che i calabresi non sono delinquenti [...] perciò io ho il<br />

diritto e il dovere, da questo seggio, di proclamare questa verità e di chiedere<br />

223 S. Gambino, La mafia in Calabria, cit., p. 123.<br />

224 In una relazione ministeriale non firmata del 1959 si evidenzia che “gli omicidi si succedevano l’uno<br />

all’altro con un crescendo impressionante. Le manifestazioni delittuose avevano soprattutto per teatro il<br />

capoluogo. Si uccideva in pieno giorno ed al centro cittadino, all’americana, a volte anche impunemente.”<br />

(<strong>Ministero</strong> dell’Interno Gabinetto, 1957-1960, cit.)<br />

57


a tutti, specialmente a coloro che formano la pubblica opinione, che non si<br />

diffami questa terra e non si diffamino questi cittadini”. 225<br />

Queste parole, per quanto condivisibili, sono senza dubbio figlie di una<br />

sorta di riflesso condizionato nei confronti di quella che è interpretata come<br />

un’aggressione esterna che dà luogo ad un rovesciamento delle<br />

responsabilità.<br />

“L’aggressione non proviene dagli ‘ndranghetisti ma dalla stampa, le<br />

offese al buon nome di Reggio e della Calabria non sono inferte dai delitti e<br />

dalle azioni criminali ma dagli articoli dei giornali che descrivevano gli<br />

episodi di violenza. Si provava vergogna non per quello che era successo, ma<br />

perchè quei fatti erano finiti sulla stampa nazionale”. 226<br />

Dunque, con l’operazione Marzano e con tutto ciò che ne è conseguito,<br />

lo storico solco che separava le popolazioni calabresi dal resto del paese si<br />

acuirà ulteriormente, dando luogo al ricorso a meccanismi di autodifesa,<br />

come quello del procuratore di Reggio, inevitabilmente improntati ad una<br />

palese sottovalutazione del danno sociale determinato dalla ‘ndrangheta, che<br />

finirà col divenire una vera e propria copertura della stessa. Un’eredità che<br />

ancora oggi in Calabria è tristemente avvertibile. 227<br />

2.3 Il “momento magico” degli anni sessanta<br />

Con gli anni sessanta, l’atteggiamento delle ‘ndrine è palesemente<br />

orientato ad una profonda compenetrazione con l’economia legale; i rapporti<br />

con la politica, ben lungi dall’essersi interrotti ma al contrario sempre più<br />

saldi 228 , determinano infatti una situazione in cui i capobastone “scaltri e furbi<br />

225<br />

<strong>Ministero</strong> dell’Interno Gabinetto, 1953-1956 b.293, fascc. 5160/23, Archivio Centrale dello Stato.<br />

226<br />

E. Ciconte, op.cit., p. 290.<br />

227<br />

Cfr. N. Dalla Chiesa, Delitto imperfetto, Mondadori, Milano 1984.<br />

228<br />

I rapporti con la politica sono una costante della storia della ‘ndrangheta che da sempre controlla<br />

capillarmente l’elettorato calabrese; per un approfondimento sulla crescita enorme di questo sistema di<br />

corruzione si rimanda a ’Ndrangheta dall’Unità a oggi di Ciconte che dedica un intero capitolo a questa<br />

tematica. (Cfr. E. Ciconte, op.cit., pp.329- 341). Ciò che pare comunque opportuno ricordare è che il modello<br />

in auge negli anni immediatamente successivi la fine della guerra, che prevedeva comunque una sostanziale<br />

dipendenza delle ‘ndrine rispetto agli esponenti politici, nel periodo tra la fine degli anni settanta e l’inizio del<br />

nuovo decennio si è ribaltato a favore delle cosche. A questo proposito il giudice Saverio Mannino, nel 1983 ha<br />

osservato: “la mafia ormai da tempo non si limita più a convogliare consensi elettorali verso gli uomini politici,<br />

ma elegge direttamente propri rappresentanti negli organi elettivi” (S. Mannino, La strage di Razzà, prefazione<br />

di L. Malafarina, Dimensione 80, Roma 1983, p.18). Si noti inoltre che tale compenetrazione politica non fu<br />

58


non intaccano apertamente il codice penale. Si interessano così delle più<br />

svariate attività, oneste in apparenza, come la mediazione nel commercio<br />

degli agrumi.[...] nessun altro concorrente deve commerciare nelle zone di<br />

rispetto [...] E’ evidente che così operando i capimafia godono di un<br />

superguadagno”. 229<br />

Inevitabile che gli equilibri economici della regione, alla luce di queste<br />

pesanti interferenze, vengano sconvolti; sono anni in cui la politica dello Stato<br />

nei confronti del mezzogiorno è orientata al massiccio trasferimento di fondi,<br />

che dovrebbero essere impiegati per lo sviluppo di realtà oggettivamente<br />

arretrate ed in notevole difficoltà nella competizione di mercato, ma che<br />

finiscono inevitabilmente, in Calabria come in Sicilia, nelle mani della grande<br />

criminalità che controlla i centri di potere incaricati di vigilare sull’utilizzo<br />

del denaro pubblico. Emblematico a questo riguardo il caso della cosiddetta<br />

“integrazione dell’olio”, con il 20% delle somme erogate a sostegno di questo<br />

settore intascate direttamente dalle ‘ndrine 230 ed un mercato olivicolo<br />

totalmente monopolizzato dai “Mammoliti e i Rugolo di Castellace, i quali,<br />

ad ogni stagione olearia (dopo aver impiantato con illeciti profitti imponenti<br />

oleifici), incettano a prezzo vile il prodotto degli uliveti o, in caso di rifiuto,<br />

“sconsigliano” ogni altro aspirante acquirente dal concludere contratti con le<br />

vittime”. 231<br />

Qui emergono chiaramente le due attività delinquenziali preferite dalla<br />

‘ndrangheta: sottrazione illecita di fondi statali irrogati per lo sviluppo del<br />

sud e totale controllo del mercato mediante l’erosione delle posizioni dei<br />

concorrenti con minacce e intimidazioni.<br />

Ma il vero business di questi anni è anche in Calabria l’edilizia con<br />

enormi modificazioni nel panorama degli insediamenti urbani; la costa jonica,<br />

sia nella parte reggina sia nella parte catanzarese, subirà consistenti<br />

modificazioni strutturali che daranno luogo all’abbandono degli antichi centri<br />

urbani ubicati sulle colline a vantaggio di un repentino sviluppo degli<br />

insediamenti abitativi nelle marine 232 . E’ praticamente sottinteso che di questa<br />

rivolta nei confronti di un unico partito, come avvenne in Sicilia, ma coinvolse pressoché tutti i partiti dell’area<br />

di governo, con l’eccezione del solo PCI che, come prima osservato, aveva assunto un atteggiamento di totale<br />

chiusura nei confronti dei tentativi di infiltrazione.<br />

229<br />

<strong>Ministero</strong> dell’Interno Gabinetto, 1957-1960, cit.<br />

230<br />

Cfr. F. Rosso, Ora c’è la mafia delle autostrade, “La Stampa”, 3 marzo 1970.<br />

231<br />

Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di rinvio a giudizio contro De Stefano Paolo più 59, Reggio<br />

Calabria 1978, p. 286.<br />

232<br />

Cfr. R. Monheim, La decadenza dei centri di antica origine e lo sviluppo delle marine ioniche tra il 1861 e<br />

il 1961, in AA.VV. , Territorio e società. Calabria 1750-1950, Lerici, Roma 1978, pp. 79 - 109.<br />

59


crescita i primi ad avvantaggiarsi saranno gli impresari edili collegati alla<br />

‘ndrangheta.<br />

Inoltre, gli anni sessanta e settanta sono contraddistinti da una notevole<br />

propensione dello Stato alla realizzazione di grandi opere pubbliche, come il<br />

completamento dell’autostrada del Sole nel tratto tra Salerno e Reggio<br />

Calabria, il raddoppio della linea ferroviaria Napoli-Reggio Calabria, la<br />

realizzazione dell’arteria di collegamento tra la costa jonica e quella tirrenica,<br />

i lavori aeroportuali ed industriali di Lamezia Terme, la costruzione del<br />

quinto centro siderurgico a Gioia Tauro. Purtroppo tali opere, concepite per<br />

“rompere l’isolamento della regione, per collegare la Calabria al resto del<br />

paese e per dare slancio allo sviluppo economico” 233 finiranno per<br />

rappresentare un boccone prelibato per le ‘ndrine che si inseriranno<br />

capillarmente sia nei lavori di costruzione che in tutte le attività ad essi<br />

collegate, come la vigilanza dei cantieri o i servizi di trasporto, pervenendo al<br />

doppio risultato di realizzare ingenti guadagni e di fornire una<br />

impressionante dimostrazione di forza all’opinione pubblica. Le grandi opere<br />

pubbliche calabresi hanno a tutti gli effetti impresso un nuovo ritmo, più<br />

accelerato, allo sviluppo delle cosche. 234<br />

233 E. Ciconte, op.cit., p.299.<br />

234 Cfr. A Madeo, Calabria: l’industria della mafia, “Corriere della Sera”, 14 maggio 1970. Peculiari le<br />

modalità di infiltrazione della ‘ndrangheta nei subappalti delle grandi opere; tutte le risultanze dimostrano<br />

infatti che le ditte del nord vincitrici delle gare d’appalto nazionali “non furono avvicinate, ma avvicinarono<br />

direttamente di loro spontanea iniziativa, i capibastone e con loro trattarono” (E. Ciconte, op.cit., p. 300).<br />

Secondo l’allora questore di Reggio, Emilio Santillo, le imprese del nord “prima di iniziare le opere, si<br />

rivolgono agli esponenti mafiosi delle zone in cui sono ubicati i cantieri” ( L. Malafarina, Il canto della lupara,<br />

Edizioni parallelo 38, Reggio Calabria 1981, p. 61) in conformità ad una sorta di “capitolazione in partenza”<br />

(P. Paoli, Le mani sulla Calabria, “Il resto del Carlino”, 22 ottobre 1977) che dotò le ‘ndrine di una forza<br />

enorme. Enzo Ciconte ha schematizzato le tappe obbligate nel processo di inserimento: “contatti preventivi con<br />

la cosca locale ancor prima dell’installazione dei cantieri e pagamento della mazzetta in cambio di protezione;<br />

successiva assunzione di ‘ndranghetisti come guardiani; infine, subappalto dei lavori di sbancamento e di<br />

trasporto del materiale inerte, nonchè forniture di materiale di varia natura, a cominciare dal pietrisco e dalla<br />

sabbia” (E. Ciconte, op.cit., pp. 300-301). Inoltre, ben presto le imprese appaltanti presero coscienza del costo<br />

d’impresa costituito dall’infiltrazione mafiosa, dando così luogo a continue richieste allo Stato della revisione<br />

dei compensi concordati in sede di gara. Osservava ancora Santillo “E’ una situazione paradossale. Le imprese<br />

non terminano mai i lavori nel tempo previsto ed accusano la mafia di ritardarli. In realtà c’è una specie di<br />

collusione, per cui grazie ai ritardi le imprese riescono ad ottenere altri milioni dalle perizie suppletive.” (F.<br />

Rosso, op.cit.). Il commissario Franco Sirleo era addirittura arrivato ad osservare che ormai “ è stata<br />

istituzionalizzata la lievitazione del circa quindici per cento per tangente pro – mafia per tutti i lavori dello<br />

Stato e degli enti pubblici nella provincia reggina” (L. Malafarina, ‘Ndrangheta alla sbarra, Dimensione 80,<br />

Roma 1981, p.184). E’ comunque noto che questo gioco perverso era ampiamente conosciuto dagli organi<br />

statali che gestivano i fondi che però si adeguavano ad un circolo vizioso che accontentava le ‘ndrine, le quali<br />

guadagnavano il denaro delle tangenti ed eseguivano i subappalti, e le imprese, che incassavano i fondi<br />

aggiuntivi, risparmiavano sulla manodopera, anch’essa soggetta al giogo mafioso, e soprattutto portavano a<br />

termine i lavori senza incidenti. Per un approfondimento sul modus operandi seguito dalle imprese appaltatrici,<br />

si rimanda all’approfondita ed interessante analisi realizzata da Rocco Sciarrone in ordine alla sconcertante<br />

vicenda della Piana di Gioia Tauro, dove si tentò di realizzare prima il quinto centro siderurgico italiano, poi,<br />

60


Per Alfonso Madeo, gli anni sessanta hanno rappresentato per la<br />

‘ndrangheta il “momento magico” 235 di una crescita che nel decennio<br />

successivo avrebbe permesso l’ulteriore salto di qualità al rango di “mafia<br />

imprenditrice” 236 , per la realizzazione di quello che Tuccio ha definito “il<br />

nuovo volto della mafia”. 237<br />

Infatti, oltre all’edilizia e alle opere pubbliche, attorno al 1965 si<br />

presentò un nuovo interessante business, quello del contrabbando di tabacchi,<br />

a seguito di un’efficace azione della Guardia di Finanza che aveva reso<br />

insicure le coste siciliane, tradizionali aree di sbarco. Inevitabile lo<br />

spostamento delle rotte sulle coste calabresi, in particolare sullo Jonio a<br />

Crotone, nella Locride e a Gioiosa Jonica e sul Tirreno a Lamezia Terme. 238 Lo<br />

sviluppo di questa attività criminosa fu tale che agli inizi del decennio<br />

successivo sembrava addirittura che la ‘ndrangheta si fosse resa autonoma<br />

dalla mafia siciliana. 239 L’attività di enterprise syndicate costituita dal<br />

contrabbando prima e dal traffico di stupefacenti poi, anche se almeno<br />

inizialmente ridotta ad un semplice ruolo di servizio nei confronti della più<br />

potente mafia siciliana, proiettò la ‘ndrangheta al di fuori dei propri confini<br />

tradizionali; le conferì una nuova dimensione, più complessa e pericolosa,<br />

grazie agli stretti rapporti intrattenuti con esponenti di Cosa Nostra e della<br />

camorra, con la quale, durante la seconda metà degli anni settanta, si<br />

realizzerà l’ambizioso progetto della NCO di Raffaele Cutolo, di cui si è<br />

fornita un’ampia analisi in precedenza.<br />

“Fu nel 1974, nel manicomio giudiziario di Sant’Eframo che Cutolo<br />

pensò “di fondare una nova camorra che ha organizzato sul modello della<br />

‘ndrangheta calabrese”, assimilandone il sistema e il rituale”. 240<br />

una grande centrale termoelettrica a carbone ed infine, con lo scopo di non lasciare inutilizzato il grande porto<br />

industriale a suo tempo pensato come infrastruttura per il quinto centro siderurgico, il maggiore polo del<br />

Mediterraneo nell’attività di transhipment. I primi due progetti sono stati abbandonati proprio a seguito della<br />

insostenibile presenza ‘ndranghetista e dell’appurata collusione con le ditte titolari degli appalti, mentre il terzo,<br />

partito nel 1994, pare funzionare, grazie alla politica di estremo rigore e di esecuzione di tutti i lavori in totale<br />

autonomia, proprio per evitare l’infiltrazione, adottata dalla Contship Italia, gruppo concessionario dell’area<br />

portuale. (Cfr. R. Sciarrone, op.cit., pp. 53 – 63).<br />

235<br />

A. Madeo, Nasce la mafia dalle scarpe lucide, “Corriere della Sera”, 16 luglio 1974.<br />

236<br />

Cfr. P. Arlacchi, La mafia imprenditrice, cit.<br />

237<br />

G. Tuccio, Esperienze giudiziarie, con particolare riguardo alla valutazione delle prove, in C.S.M.,<br />

Riflessioni ed esperienze del fenomeno mafioso, Jasillo, Roma 1983, p.113.<br />

238<br />

C. Cavaliere, Una tranquilla città, prefazione di S. Di Bella, La Modernissima, Lamezia Terme 1989, p. 50.<br />

239<br />

Cfr. A. Madeo, Nasce la mafia dalle scarpe lucide, cit.<br />

240<br />

V. Macrì – A. Lombardo, Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza sentenza contro Albanese Mario più<br />

190, 1988, p.187, il corsivo è mio.<br />

61


Ma il ventaglio di interessi della ‘ndrangheta non si fermava qui; si<br />

pensi solamente alla compenetrazione capillare nel settore dei forestali,<br />

gestito dalla Regione Calabria, e particolarmente permeabile all’infiltrazione<br />

mafiosa 241 sia a livello gestionale che nella formazione delle squadre di<br />

operai, spesso costituite in grande maggioranza da diffidati dalla polizia, 242 a<br />

riprova del fatto che la ‘ndrangheta ha sempre palesato una notevole<br />

propensione al controllo del mercato del lavoro. 243<br />

Da non sottovalutare inoltre un settore fondamentale dell’economia<br />

calabrese: l’agricoltura che viene controllata dal basso, con il caporalato della<br />

manodopera, e dall’alto con una vera e propria trasformazione in proprietari<br />

terrieri di alcuni tra i più noti capibastone che però, si noti bene, non sempre<br />

avviene a seguito di una regolare compravendita, ma è invece frutto di<br />

un’appropriazione “ nei fatti di quella terra, con una sorta di innovazione<br />

autoritaria dei negozi giuridici: la loro diventò una proprietà senza titolo.” 244<br />

Ma l’aspetto più grave di questi anni è l’infiltrazione ‘ndranghetistica<br />

ad ogni livello del mondo legale calabrese che darà luogo a quella che<br />

Ciconte ha definito “omertà dall’alto”: “si può parlare di “omertà dall’alto”,<br />

altrettanto se non più importante di quella dal basso. Sulla scena troviamo, in<br />

primo piano, altri protagonisti: sono sempre di più le classi dirigenti,<br />

professionisti, gruppi e ceti sociali che con la ‘ndrangheta ricavano<br />

cointeressenze economiche e di potere. Sono banche, enti pubblici nazionali e<br />

regionali, uomini politici di governo – sindaci o notabili nazionali – a volte<br />

esponenti della Chiesa altre volte della magistratura o delle forze dell’ordine.<br />

E’ questa enorme rete di protezione che ha permesso uno sviluppo della<br />

‘ndrangheta così esteso[...] Si procedette per gradi, ma tutti i gangli vitali<br />

furono avvinghiati in questa rete”. 245<br />

A questo impressionante sviluppo a livello di società, corrisponde<br />

anche un’espansione geografica della mafia calabrese; ultimato il<br />

241 G. Manfredi, I forestali, “Calabria”, nn.41-42, settembre – ottobre 1988.<br />

242 Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di rinvio a giudizio contro De Stefano Paolo più 59, cit., p. 30.<br />

243 Circostanza riscontrabile anche al di fuori dell’ambito strettamente regionale; secondo la ricerca di Rocco<br />

Sciarrone sull’infiltrazione ‘ndrnghetistica in Val di Susa, in Piemonte “la via principale attraverso cui si<br />

afferma il loro potere è appunto il controllo del mercato del lavoro locale. In questo modo essi divengono<br />

imprenditori della protezione: possono dare e togliere lavoro, questo controllo è la loro risorsa principale, e non<br />

è poco”. (R. Sciarrone, op.cit., p. 257).<br />

244 A. Spinosa (a cura di), L.M. Lombardi Satriani, G. Mancini, L. Villari, ‘Ndrangheta la mafia calabrese,<br />

Cappelli, Bologna 1978, p. 20.<br />

245 E. Ciconte, op.cit., p. 307.<br />

62


consolidamento nella provincia di Reggio, 246 le ‘ndrine si affermarono nelle<br />

zone di Catanzaro, Crotone, Lamezia Terme, Vibo Valentia, Soverato e nei<br />

comuni del basso Jonio, per poi colonizzare, più recentemente, Cosenza e<br />

tutto il Tirreno cosentino. 247<br />

La storia di questi anni è anche una storia di aspri scontri nell’universo<br />

‘ndranghetistico; le nuove frontiere del guadagno offerte dagli stupefacenti,<br />

dai sequestri di persona 248 , dai grandi appalti hanno l’effetto di creare una<br />

nuova classe di giovani affibbiati che “tendevano a forzare le cautele e i tempi<br />

lunghi imposti da quei vecchi capibastone il cui prestigio si era affermato e<br />

consolidato nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta”. 249<br />

In maniera analoga a quanto successo in Sicilia nel feroce contrasto tra<br />

il giovane Luciano Liggio ed il vecchio boss Michele Navarra, anche in<br />

Calabria si assiste ad una dialettica di scontro generazionale che determina il<br />

fronteggiarsi delle nuove leve e della vecchia ‘ndrangheta “notabiliare”.<br />

Emblematiche a questo proposito le parole dell’anziano capobastone<br />

Vincenzo Romeo: “i giovani non ci rispettano più. Vogliono guadagnare<br />

subito e molto. Non gradiscono fare anticamera”. 250<br />

Nicola Tranfaglia ha osservato: “l’accelerazione degli affari legata al<br />

boom italiano degli anni Sessanta produce necessariamente una lotta per il<br />

246<br />

A.P. Camera dei deputati, X legislatura, Intervento dell’on. G. Lavorato, seduta del 12 ottobre 1987, pp.<br />

3411-15.<br />

247<br />

E. Ciconte, op.cit., pp. 313-314.<br />

248<br />

E’ questa un’attività illecita decisamente originale; la camorra non se ne è mai occupata e Cosa Nostra, a<br />

parte il periodo della “ricostruzione” dopo la prima guerra di mafia, vi ha fatto raramente ricorso. La<br />

‘ndrangheta ne ha fatto invece un ulteriore fonte di potenza e arricchimento strumentale all’acquisto di “mezzi<br />

di trasporto, pale meccaniche, strutture per impiantare e creare società nel settore dell’edilizia privata” (E.<br />

Ciconte, op.cit., p. 326). Si è trattato di un’attività illecita foriera di un enorme allarme sociale, esercitata in<br />

Calabria ma anche nel Centro-nord, che ha raggiunto proporzioni enormi con ben 620 sequestri effettuati nel<br />

periodo dall’ 1-1-69 al 23-6-89 (Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Sequestri di persona a scopo di estorsione, Roma<br />

1989) anche in virtù delle modalità di esecuzione che prevedevano che l’azione materiale del sequestro venisse<br />

eseguita da una banda operante nella zona ove risiedeva la vittima e poi il periodo di “carcerazione” venisse<br />

invece gestito dalle ‘ndrine “professioniste” direttamente in Calabria, con una vera e propria attività di<br />

compravendita del sequestrato, che veniva passato da banda a banda dietro un compenso in denaro. Ci si è<br />

domandati per quale motivo la criminalità calabrese abbia insistito così a lungo su questa attività delinquenziale<br />

che, rispetto ad altre, è meno remunerativa e ben più pericolosa. Secondo la relazione di minoranza del gennaio<br />

1990 della Commissione antimafia “le ragioni sono certamente più di una. Sul mercato del sequestro entra chi<br />

non può o non sa svolgere altro lavoro criminale. Latitanti pericolosi o persone che pur non disdegnando<br />

l’affare non intendono lasciare la loro attività tradizionale. E’ il caso dei pastori che possono<br />

contemporaneamente guardare le mandrie e custodire un ostaggio.”(Cfr. Commissione Parlamentare sul<br />

fenomeno della mafia (legge 13 settembre 1982, n.646, art.32), Relazione di minoranza del 24 gennaio 1990,<br />

(relatore on. L. Violante), Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, X legislatura, Roma 1990).<br />

249<br />

E. Ciconte, op.cit., p. 318.<br />

250<br />

L. Malafarina, La ‘ndrangheta. Il codice segreto, la storia, i miti, i riti e i personaggi, cit., p. 202.<br />

63


potere anche all’interno dell’organizzazione mafiosa che sfocia in omicidi a<br />

ripetizione, vere e proprie stragi e azioni clamorose”. 251<br />

Questa riflessione ha trovato applicazione in Sicilia con le due guerre di<br />

mafia, in Campania con l’aspro scontro tra NCO e Nuova Famiglia ed anche<br />

in Calabria 252 , dove però, proprio in funzione della particolare struttura<br />

organizzativa che prevede una totale autonomia delle singole ‘ndrine, la lotta<br />

non si limitò a coinvolgere due schieramenti contrapposti, che potremmo<br />

definire il vecchio ed il nuovo, ma si manifestò come uno scontro<br />

continuativo e di inaudita ferocia tra i vari clan. Ciò determinò una situazione<br />

in cui quelli che di volta in volta uscivano vincenti, “si guardarono bene dal<br />

far terra bruciata rispetto al passato. Aggiornarono metodi e tecniche,<br />

sostituirono il coltello – antica arma “nobile” degli ‘ndranghetisti – con il<br />

tritolo e con le armi più sofisticate, si specializzarono nei sequestri di persona<br />

e si diedero al traffico di droga e delle armi – che tante perplessità avevano<br />

provocato nei vecchi capibastone -, ma l’impianto complessivo della struttura<br />

d’elite dell’organizzazione, i valori, le finalità, la cultura, le gerarchie di<br />

comando e i relativi gradi, le affiliazioni, i rapporti familiari e parentali non<br />

furono considerati come anticaglie del passato. Vecchio e nuovo andarono a<br />

braccetto”. 253<br />

2.4 Colonizzazione<br />

La ‘ndrangheta ha dimostrato di avere una forte propensione<br />

all’espansione della propria struttura anche al di fuori dalla tradizionale area<br />

calabrese. Questo è un processo che ha egualmente riguardato sia alcune<br />

251 N. Tranfaglia, La mafia come metodo, “Alfabeta”, n.42, 1982.<br />

252 La vera causa scatenante è in tutti e tre i casi il controllo del mercato illecito in assoluto più remunerativo,<br />

vale a dire il traffico di droga. Si noti che le notevoli analogie riscontrate tra ‘ndrangheta e Cosa Nostra,<br />

arrivano ad estendersi anche all’ipotesi di creare un organismo di coordinamento in Calabria analogo alla<br />

Commissione siciliana. Durante una riunione a Montalto tra i capibastone, Giuseppe Zappia disse: “qui non c’è<br />

‘ndrangheta di Mico Tripodo, non c’è ‘ndrangheta di ‘Ntoni Macrì, non c’è ‘ndrangheta di Peppe Nirta! Si deve<br />

essere tutti uniti, chi vuole stare sta e chi non vuole se ne va!” (G. Marino, La mafia a Montalto, sentenza 2<br />

ottobre 1970 del Tribunale di Locri, “La voce di Calabria”, Reggio Calabria 1971, p.27). E’ questa una<br />

proposta molto moderna, soprattutto in funzione dell’organizzazione calabrese che, come detto, è caratterizzata<br />

dalla grande autonomia delle singole ‘ndrine. Non ottenne però il risultato sperato, considerato che di<br />

un’unificazione totale della ‘ndrangheta non risulta esservi alcuna traccia; alpiù si è fatto ricorso a federazioni<br />

temporanee, sul modello delle esperienze camorriste, atte alla realizzazione di un determinato affare ma poi<br />

destinate a sciogliersi alla sua conclusione.<br />

253 E. Ciconte, op.cit., pp. 324-325.<br />

64


zone italiane, sia paesi esteri come gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia.<br />

L’impressione che emerge è che seguendo la direzione dei flussi migratori la<br />

‘ndrangheta sia riuscita, nel tempo, a ritagliarsi delle nicchie anche nelle<br />

regioni italiane e nei paesi esteri di destinazione degli emigranti.<br />

Numerose ‘ndrine, a partire dagli anni settanta, si sono trasferite<br />

stabilmente nel Centro–nord; secondo il giudice Saverio Mannino è possibile<br />

tracciare una mappa di questa espansione, che vede i Raso di Taurianova a<br />

Pomezia, i Gullace di Taurianova in Liguria, i Cosentino di Cittanova a<br />

Perugia, i Copelli di Gioia Tauro a Torino, i Facchineri di Cittanova a Genova,<br />

i D’Agostino di Canolo e gli Avignone a Roma. 254<br />

Nel 1985, anche la Commissione parlamentare antimafia si è soffermata<br />

sulla strategia espansiva posta in essere dalla ‘ndrangheta rilevando che<br />

all’epoca essa era presente in Liguria con un’attività delinquenziale<br />

prevalentemente incentrata sul riciclaggio, in Lombardia con i sequestri di<br />

persona e il traffico di droga, nel Lazio con il riciclaggio, le estorsioni, i<br />

sequestri e gli stupefacenti ed in Piemonte con attività analoghe.<br />

Il Piemonte costituisce un interessante caso-studio per comprendere i<br />

meccanismi di colonizzazione ‘ndranghetistica 255 , anche in considerazione del<br />

fatto che gli appartengono due tristi primati: innanzitutto l’essere stata la<br />

prima regione ad insediamento “non tradizionale” ove si sia verificato<br />

l’omicidio di un magistrato attivamente impegnato sul fronte della lotta alla<br />

mafia: il procuratore della Repubblica di Torino Bruno Caccia, ucciso nel<br />

maggio 1983 su mandato delle cosche calabresi ivi operanti; 256<br />

secondariamente, nel maggio 1995, il primo comune settentrionale ad essere<br />

stato soggetto ad un provvedimento di scioglimento del consiglio comunale<br />

per infiltrazione mafiosa è stato il comune di Bardonecchia, noto centro<br />

turistico della provincia di Torino. 257<br />

Il Piemonte è la regione italiana, ovviamente ad esclusione della<br />

Calabria, dove la ‘ndrangheta ha potuto realizzare le proprie attività<br />

254<br />

R. Chinnici – S. Mannino, La mafia oggi e la sua collocazione nel più vasto fenomeno della criminalità<br />

organizzata, in C.S.M, 1983, op.cit., p.29.<br />

255<br />

Per cui si rimanda all’approfondita analisi operata da R. Sciarrone nel suo Mafie vecchie mafie nuove. (Cfr.<br />

R. Sciarrone, op.cit., pp. 207-291).<br />

256<br />

Cfr. Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre 1982, n.646, art.32),<br />

Audizione del ministro dell’Interno on. O.L. Scalfaro, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, IX<br />

legislatura, seduta del 30 luglio 1985, Roma 1990<br />

257<br />

Cfr. Prefettura di Torino, Relazione riepilogativa degli accertamenti espletati presso il Comune di<br />

Bardonecchia in esecuzione dell’incarico conferito dal Prefetto della Provincia di Torino con decreto n.<br />

9400058/gab. datato 23.1.95, Torino 1995.<br />

65


criminose con maggiore profitto; inizialmente la presenza ‘ndranghetistica si<br />

è fatta sentire con i sequestri di persona, con ben trentasette rapimenti dal<br />

1973 al 1984. 258 Poi, con il boom del traffico di stupefacenti degli anni ottanta,<br />

l’attenzione dei gruppi criminali calabresi si è spostata in tale direzione. 259 La<br />

diffusione della ‘ndrangheta nel contesto piemontese assume una<br />

conformazione a macchia di leopardo, con ampie zone totalmente esenti dalla<br />

sua influenza, altre dove non si riscontra un vero e proprio radicamento<br />

stabile, ma una semplice presenza di elementi di raccordo con sodalizi<br />

riferibili alle zone di origine e che saltuariamente forniscono un’attività di<br />

assistenza ad alcuni traffici illeciti, senza per questo assumere pienamente le<br />

caratteristiche tradizionali, ed altre ancora dove si configura invece un vero e<br />

proprio controllo del territorio, paragonabile per alcuni aspetti all’esperienza<br />

‘ndranghetistica in Calabria; particolarmente grave la situazione nel Verbano-<br />

Cusio-Ossola, in Valle di Susa, nel Canavese e in alcune zone dell’area<br />

metropolitana torinese 260 .<br />

Secondo la Commissione Parlamentare antimafia le principali attività<br />

criminose della ‘ndrangheta in Piemonte sono il traffico di droga, le<br />

estorsioni, il “totonero” e l’usura e sono documentati suoi tentativi di<br />

inserimento in amministrazioni pubbliche allo scopo di pervenire al controllo<br />

dei lavori pubblici. Anche se vengono fermamente esclusi veri e propri<br />

collegamenti organici tra criminalità e politica locale, sono tuttavia da<br />

registrare alcuni episodi isolati, riferibili alla Val d’Ossola e alla Val di Susa,<br />

che segnalano una tendenza preoccupante all’infiltrazione, soprattutto in<br />

considerazione delle profonde differenze sociali e culturali che caratterizzano<br />

comuni piemontesi e calabresi. 261<br />

Sotto l’aspetto economico non risultano infiltrazioni nell’industria, con<br />

la sola eccezione dell’edilizia, ma piuttosto ad attirare la ‘ndrangheta<br />

sembrano essere attività legate al terziario, con un elevato numero di società<br />

fiduciarie e finanziarie, nate soprattutto negli ultimi anni, che potrebbero<br />

258<br />

Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 207.<br />

259<br />

Cfr. S. Sorbello, Presenza mafiosa in Piemonte, azione preventiva e repressiva, in Consiglio Regionale del<br />

Piemonte 1982, Torino 1983.<br />

260<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Punto di situazione della criminalità organizzata in Piemonte, in<br />

Archivio della Commissione Parlamentare antimafia, XI legislatura, doc. 1098, Roma 1993.<br />

261<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di<br />

stampo mafioso in aree non tradizionali. Schede allegate delle singole regioni, A.P., Camera dei Deputati-<br />

Senato della Repubblica, XI legislatura, Roma 1994, pp. 196, 201-202.<br />

66


appresentare un ottimo modo di realizzare il riciclaggio di denaro sporco. 262<br />

Inoltre: “la vera presenza mafiosa nella regione Piemonte è, certamente,<br />

quella del terzo livello, quella cioè che ricicla, e reinveste i grandi guadagni<br />

provenienti principalmente dal traffico e dallo spaccio di stupefacenti. A<br />

Torino l’attività delle famiglie mafiose consiste nell’acquisto di esercizi<br />

pubblici sull’orlo del fallimento spesso pagando un prezzo<br />

considerevolmente superiore al valore di mercato. I dati relativi agli anni<br />

1991-1992 indicano l’inserimento di personaggi legati ad ambienti mafiosi in<br />

55 esercizi pubblici bene identificabili nella loro tipologia (bar, night club, sala<br />

giochi, discoteca, sartoria, abbigliamento, rivendita di bibite,<br />

assicurazioni)”. 263<br />

In ordine all’analisi delle cause che hanno determinato la diffusione<br />

della ‘ndrangheta in Piemonte, secondo Rocco Sciarrone, che ha<br />

dettagliatamente sviscerato questa tematica, sembrano preponderanti “le tesi<br />

riconducibili alla “metafora del contagio”, vale a dire l’insorgenza della mafia<br />

come conseguenza inattesa di fatti demografici. A parte il ruolo esercitato dal<br />

soggiorno obbligato, è infatti da considerare la presenza di un forte nucleo di<br />

immigrati provenienti dalle aree di tradizionale insediamento mafioso. [...]<br />

Tra le regioni del Centro-Nord, il Piemonte presentava la percentuale più alta<br />

(quasi il 10%), rispetto alla popolazione residente, di individui nati nelle<br />

regioni meridionali di tradizione mafiosa. Lo sviluppo industriale,<br />

soprattutto nell’area metropolitana, e la forte espansione urbanistica, in<br />

particolare nelle località montane di richiamo turistico, hanno attirato, negli<br />

anni cinquanta e sessanta, oltre a centinaia di migliaia di immigrati, anche le<br />

organizzazioni mafiose che hanno trovato favorevoli opportunità per<br />

estendere i traffici illeciti”. 264<br />

A questo proposito è da rilevare che quegli immigrati che hanno<br />

trovato spazio nella grande industria hanno potuto accelerare la propria<br />

integrazione con la nuova realtà grazie all’associazionismo offerto dal<br />

movimento operaio e dal sindacato. 265 Agli altri, essendo in genere sprovvisti<br />

262 Cfr. Guardia di Finanza, Fenomenologia della criminalità organizzata nella regione Piemonte, II Legione,<br />

Comando II Gruppo, Torino, in Archivio della Commissione Parlamentare antimafia, XI legislatura, doc. 1062,<br />

Roma 1993, p. 4.<br />

263 Commissione Parlamentare antimafia, Insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di stampo<br />

mafioso in aree non tradizionali. Schede allegate delle singole regioni, cit., p. 201.<br />

264 R. Sciarrone, op.cit., pp. 211-212.<br />

265 Cfr. P. Arlacchi, Lo sviluppo della grande criminalità nell’Italia settentrionale negli anni ’70 e ’80:<br />

un’ipotesi interpretativa, in Consiglio Regionale del Piemonte 1983, Torino 1983.<br />

67


di qualifiche professionali specifiche, non è rimasto che orientarsi sulla<br />

provincia e ricorrere ad ambiti produttivi di dimensioni minori, come<br />

l’edilizia, con soluzioni lavorative spesso precarie e non regolari, offerte quasi<br />

sempre dai sodalizi criminali che avevano monopolizzato il cosiddetto<br />

“mercato delle braccia”. In altre parole, non potendo godere dei benefici<br />

dell’associazionismo sindacale, a molti immigrati non rimase altra scelta se<br />

non quella di farsi tutelare da quei boss che, giocando sapientemente su una<br />

comunanza di valori e di cultura con i lavoratori meridionali, sembravano gli<br />

unici in grado di fornire loro un minimo di garanzie di sopravvivenza.<br />

Proprio mediante il controllo del mercato del lavoro, i gruppi ‘ndranghetistici<br />

riuscirono a realizzare un network di interessi estesi e condivisi, da cui scaturì<br />

un oggettivo consolidamento del loro potere; non è sicuramente una<br />

coincidenza se le zone ad elevato sviluppo urbanistico, come la Valle di Susa<br />

o il Canavese, sono anche quelle dove accanto a corposi gruppi di immigrati<br />

si rileva la presenza di soggetti criminali calabresi, forti e consolidati, 266 i quali<br />

hanno realizzato un progetto espansivo che Giovana ha così schematizzato:<br />

“conquistare il controllo del subappalto cottimistico di lavori nell’esecuzione<br />

di manufatti edilizi; entrare prepotentemente nel “giro” dell’imprenditoria<br />

del settore attraverso la ramificazione di tale controllo e, adoperando le<br />

tecniche della sopraffazione mafiosa, fondare “colonie” di predominio dell’<br />

“onorata società” in grado di muoversi autonomamente sul mercato della<br />

speculazione”. 267<br />

La Commissione Parlamentare antimafia, nella relazione presentata alla<br />

Presidenza della Camera il 16 aprile 1985, si è dettagliatamente soffermata<br />

anche su un altro aspetto dell’espansione territoriale ‘ndranghetistica: quello<br />

verso l’estero, significando a questo proposito che erano provati “solidi<br />

collegamenti” con l’Australia, gli Stati Uniti ed il Canada. 268 Secondo<br />

Gianfranco Manfredi era molto attiva proprio in Canada e nello Stato di New<br />

York, la ‘ndrangheta di Siderno 269 . Del resto solidi legami con la mafia<br />

americana erano storicamente evidenti se solo si pensa che boss del calibro di<br />

266 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 213.<br />

267 M. Giovana, Considerazioni sulle cause economico – sociali dell’insediamento mafioso in Piemonte, in<br />

Consiglio Regionale del Piemonte 1983, Torino 1983, p. 73..<br />

268 Cfr. Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre 1982, n.646, art.32),<br />

Relazione presentata alla Presidenza della Camera il 16 aprile 1985 (relatore on. A. Alinovi), cit.<br />

269 G. Manfredi, Mafia e società nella fascia ionica della provincia di Reggio Calabria: il “caso” Nicola<br />

D’Agostino, cit., p. 279.<br />

68


Anastasia e Costello erano proprio di origine calabrese. 270 Col passare degli<br />

anni questi rapporti si sono ulteriormente intensificati soprattutto per la<br />

gestione del traffico di droga, come emerge da due operazioni di polizia, del<br />

1982 e del 1988, che hanno coinvolto DEA, FBI, Carabinieri e Guardia di<br />

Finanza e che hanno portato al sequestro complessivo di ingenti quantitativi<br />

di eroina e cocaina e all’arresto di esponenti delle ‘ndrine di Cortale e<br />

Lamezia Terme. 271<br />

L’Australia, che sin dal XIX secolo è stata una terra di forte<br />

immigrazione calabrese con insediamenti che coprono tutta l’isola ma che<br />

sono particolarmente concentrati nel Queensland, nel Victoria e nel Nuovo<br />

Galles del Sud, è stata teatro di due omicidi ‘ndranghetistici eccellenti: nel<br />

1977 è stato ucciso un deputato al Parlamento e nel 1989 il vice capo della<br />

Polizia federale Colin Wincester. Entrambi sono caduti vittime della mafia<br />

calabrese a seguito del loro impegno nelle indagini relative al traffico di<br />

stupefacenti, gestito appunto da questo sodalizio e in particolare dalla ‘ndrina<br />

di Platì che sarebbe ivi presente ed attiva in maniera oltremodo<br />

preponderante. 272<br />

In ordine al Canada il giudice Giuseppe Tuccio ha accertato l’esistenza<br />

di uno stabile rapporto tra la ‘ndrangheta di Gioia Tauro e la famiglia<br />

calabrese emigrata dei Violi, per la gestione del traffico di stupefacenti. 273<br />

A confermare la struttura multiforme assunta dalla mafia calabrese,<br />

sono inoltre documentati contatti con la malavita tunisina, corsa e<br />

marsigliese, per la gestione del contrabbando 274 e, più recentemente, stretti<br />

legami con sodalizi criminali di origine ‘ndranghetistica operanti in Francia,<br />

nel sud del paese, in Germania, nei landern sud-occidentali, 275 in Spagna per il<br />

traffico della droga tra il Nord Africa e l’Europa, in Svizzera per il riciclaggio<br />

270 A. Di Marco, Il fenomeno mafioso tra intervento politico e repressione criminale, Intervento a nome<br />

dell’Associazione magistrati della Calabria alla II Conferenza regionale promossa dal Consiglio Regionale<br />

della Calabria, Mafia Stato Società, Reggio Calabria 1983, p. 10.<br />

271 Cfr. Tribunale di Lamezia Terme, Sentenza contro Raineri Rosario più uno, Lamezia Terme, 8 febbraio<br />

1988; Procura della Repubblica di Lamezia Terme, Istruzione a carico di Notaro Giovanni più 1, Lamezia<br />

Terme 27 febbraio 1985; E. Fantò, Mafia poteri democrazia, introduzione di A. Bassolino, Gangemi, Roma<br />

1991, pp. 53-55; P. Cannizzaro, Micidiale colpo alla mafia dei due mondi, “Gazzetta del Sud”, 2 aprile 1988.<br />

272 S. Gambino, ‘Ndrangheta dossier, Frama sud, Chiaravalle 1986, p.44.<br />

273 L. Malafarina, ‘Ndrangheta alla sbarra, cit., p. 350.<br />

274 Cfr. Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre 1982, n.646, art.32),<br />

Audizione del ministro dell’Interno on. O.L. Scalfaro, cit.<br />

275 Cfr. A.P., Camera dei deputati, X legislatura, Commissione I. Indagine conoscitiva sulla minaccia della<br />

grande criminalità organizzata. Audizione del capo della polizia, prefetto V. Parisi, seduta del 5 giugno 1990,<br />

Roma 1990.<br />

69


dei proventi illeciti 276 . A questi paesi, dopo la caduta del blocco comunista, si<br />

sono aggiunti Polonia, Ungheria ed altri stati dell’Europa orientale che<br />

costituirebbero un interessante “terminale” per la “ripulitura” di denaro<br />

sporco e per transazioni finanziarie incentrate sulla speculazione<br />

monetaria. 277 Da non dimenticare infine la proficua collaborazione con la<br />

criminalità turca, che risalirebbe agli anni ottanta, finalizzata all’importazione<br />

in Italia di eroina 278 .<br />

2.5 Peculiarità<br />

Delineati i più importanti passaggi dell’evoluzione storica della<br />

‘ndrangheta, sia in Calabria che al suo esterno, è ora possibile cercare di<br />

“tirare le somme” in ordine alle caratteristiche peculiari assunte da questo<br />

sodalizio criminale.<br />

Innanzitutto pare essenziale analizzarne la struttura: non gerarchica<br />

come quella di Cosa Nostra, non pulviscolare come quella della camorra, ma<br />

orizzontale, vale a dire con un composito numero di ‘ndrine che si<br />

spartiscono il territorio in totale autonomia le une dalle altre e senza un<br />

organismo di coordinamento, sul modello della Commissione siciliana, che<br />

detti gli indirizzi generali dell’organizzazione. Secondo Luciano Violante, le<br />

cause del ricorso a questo modello organizzativo sarebbero da ricercarsi nelle<br />

stesse caratteristiche geopolitiche della Calabria, con solamente il 9% del<br />

territorio pianeggiante ed un paesaggio complessivamente “accidentato e<br />

tormentato, con torrenti che possono diventare improvvisamente distruttivi,<br />

tendenza alle frane, storiche difficoltà di comunicazione tra i paesi<br />

tradizionalmente arroccati, per la maggior parte, su contrafforti montuosi per<br />

difendersi dalla malaria prima, dagli arabi e dai turchi poi”. 279<br />

Con un simile contesto geografico si può comprendere l’osservazione<br />

di Ciconte, secondo il quale, ancora oggi, il peso dei particolarismi ereditati<br />

dal passato è tanto forte da fare sì che si possa parlare di Calabrie piuttosto<br />

che di Calabria. 280 Ad insistere sull’importanza rivestita dalla frantumazione<br />

276<br />

Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 106.<br />

277<br />

Ivi, p. 107.<br />

278<br />

Ibidem.<br />

279<br />

Ivi, p. 81.<br />

280<br />

Cfr. E. Ciconte, op.cit., p. 93.<br />

70


territoriale nella comprensione di questa complessa realtà è anche Soriero<br />

che, in relazione alla tendenza propria della regione a non accettare un’unica<br />

città guida, come potrebbe essere Palermo per la Sicilia o Napoli per la<br />

Campania, ma a “lottizzare” le istituzioni ed i servizi tra Reggio, Catanzaro e<br />

Cosenza, ha parlato di “vocazione passiva al policentrismo” 281 .<br />

Proprio in questo contesto territoriale estremamente frammentato si è<br />

trovata ad operare una compagine criminale come la ‘ndrangheta che si è<br />

adeguata adottando un modello organizzativo che non punta tanto<br />

all’estensione dei confini del territorio dominato, quanto piuttosto al<br />

rafforzamento di tale dominio, che deve divenire pressoché totalitario. Ecco<br />

perchè le ‘ndrine, a parte la recente parziale eccezione della provincia di<br />

Reggio, 282 hanno sempre rifiutato un’erosione del proprio potere esclusivo a<br />

favore di un organismo di coordinamento a livello provinciale o regionale. 283<br />

Ciò ha inevitabilmente dato luogo a frequenti faide tra le singole ‘ndrine,<br />

molto lunghe in termini di durata temporale e coinvolgenti tutti gli<br />

appartenenti alle famiglie naturali in lotta, bambini compresi. Alla<br />

conclusione di queste guerre di ‘ndrangheta si perviene generalmente o con il<br />

completo sterminio di una delle due consorterie in lotta, oppure a seguito di<br />

una specie di accordo di pacificazione realizzato perchè i contendenti si sono<br />

troppo indeboliti e rischiano di perdere potere a favore di altri clan che<br />

intendono approfittare della situazione di guerra in atto.<br />

E’ importante ricordare che un notevole punto di forza della<br />

‘ndrangheta è rappresentato dall’ alto tasso percentuale di affiliati rispetto<br />

alla popolazione; questo dato è molto più alto rispetto a quello di Cosa<br />

Nostra e della camorra e, associato all’elevata frammentazione in piccoli<br />

comuni del territorio calabrese, ha dato luogo ad una situazione in cui le<br />

organizzazioni ‘ndranghetiste esercitano un “controllo sulle persone che non<br />

ha eguali sul territorio nazionale” 284 .<br />

Per quanto riguarda la composizione delle singole ‘ndrine è opportuno<br />

sottolineare come nei criteri di selezione domini il familismo; questa è una<br />

grossa differenza rispetto a Cosa Nostra e camorra, dove cosche e clan<br />

presentano caratteristiche di maggiore apertura, incorporando soggetti che<br />

nulla hanno a che fare con la famiglia naturale del boss. A questa<br />

281<br />

G. Soriero, Le trasformazioni recenti del territorio, in P. Bevilacqua - A. Placanica (a cura di), La Calabria,<br />

cit., p. 769.<br />

282<br />

Su cui ci si soffermerà nel prosieguo di questo paragrafo.<br />

283<br />

Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., pp. 82-83.<br />

284 Ivi, p. 88.<br />

71


caratteristica, si deve aggiungere l’ulteriore tendenza delle ‘ndrine all’<br />

“endogamia”, vale a dire al fare ricorso a matrimoni tra uomini e donne già<br />

affiliati in maniera tale da estendere il raggio d’azione ed il potere di controllo<br />

sul territorio delle singole famiglie, un po’ alla maniera delle monarchie<br />

europee dell’età moderna che, per consolidare le proprie posizioni ed<br />

alleanze, facevano spesso ricorso a matrimoni tra principi ereditari 285 .<br />

Proprio questa robustezza della cellula base, associata ad una cronica<br />

debolezza dello Stato in Calabria, è responsabile di un curioso risultato che<br />

non trova riscontri nell’analisi di Cosa Nostra e della camorra: sono<br />

numericamente maggiori gli arresti di affibbiati in Lombardia e Piemonte,<br />

zone di forte espansione della mafia calabrese, che in Calabria che ne è la<br />

roccaforte.<br />

La ‘ndrangheta ha sempre fatto un ampio ricorso al ritualismo e alla<br />

strumentalizzazione dei codici culturali calabresi; l’analisi dei codici e degli<br />

statuti che è stato possibile sequestrare alle ‘ndrine ha permesso di entrare in<br />

contatto con una realtà mafiosa caratterizzata da “un simbolismo primitivo e<br />

del tutto specifico della ‘ndrangheta che ha lo scopo di rafforzare l’identità e<br />

il senso di appartenenza” 286 Un’altra sua caratteristica “primitiva” è il<br />

frequente ricorso a forme di violenza e di efferatezza che non trovano eguali<br />

riscontri nelle altre mafie italiane; come ha osservato Violante: “la violenza<br />

per la ‘ndrangheta non è uno strumento residuale ma è lo strumento<br />

principale di imposizione del dominio. La mancanza per lungo tempo di un<br />

coordinamento tra le varie famiglie, il localismo esasperato, la stessa<br />

condizione di marginalità che affligge la Calabria, agevolano, anche sul<br />

versante criminale, una cultura alla quale sono estranei i principi della<br />

regolamentazione preventiva dei conflitti”. 287<br />

A riprova di tali considerazioni si osservi il dato dell’indicatore<br />

statistico “omicidi”: secondo il Viminale, tra il 1985 ed il 1991 la Calabria, che<br />

aveva un numero di abitanti pari al 3,7% della popolazione italiana, ha<br />

prodotto una percentuale di omicidi dolosi addirittura pari al 16,4% del totale<br />

285 Questo esasperato familismo rappresenta una notevole forma di garanzia nei confronti del<br />

pentimento, poichè se si accetta la collaborazione con la giustizia è giocoforza il denunciare e il<br />

tradire non dei semplici compagni di affiliazione, ma i propri parenti più stretti; infatti la<br />

‘ndrangheta è l’organizzazione mafiosa italiana che presenta il minor tasso percentuale di pentiti<br />

rispetto agli affiliati.<br />

286 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 85.<br />

287 Ivi, p. 89.<br />

72


nazionale 288 . Anche considerando la notevole flessione degli ultimi anni del<br />

valore di questo parametro, secondo il Compendio Statistico 2002 realizzato<br />

dall’ISTAT, la Calabria alla data del 31 dicembre 2001 era la seconda regione<br />

italiana per numero di omicidi volontari, dopo la Campania, con ben 88<br />

episodi 289 .<br />

Proprio questo primitivismo, che risponde ad una concezione<br />

dell’onore particolarmente forte che si configura come capacità di sopraffare<br />

prima di essere sopraffatti, sarebbe responsabile di una mancanza di<br />

predisposizione ‘ndranghetista alla conciliazione e al patteggiamento, che ha<br />

dato luogo, come detto, ad una durata notevole delle faide tra ‘ndrine. A<br />

questo proposito è fondamentale ricordare la guerra di ‘ndrangheta che, a<br />

partire dalla seconda metà degli anni ‘80, sconvolse le cosche reggine,<br />

considerate le più pericolose “per radicamento sociale, collegamenti esterni,<br />

potenza criminale, storia e per i rapporti con Cosa Nostra”. 290 Lo scontro, che<br />

cominciò nel 1985, vide fronteggiarsi due schieramenti composti dalle<br />

famiglie De Stefano – Tegano da una parte ed Imerti – Condello – Fontana –<br />

Serraino dall’altra, con lo sterminio di ben 550 persone in sei anni. Solo<br />

l’intervento di Cosa Nostra nel 1991, a seguito dei profondi effetti distruttivi<br />

che rischiavano di compromettere l’intero tessuto ‘ndranghetista reggino,<br />

pose fine a questa cruenta faida e sortì una conseguenza del tutto innovativa<br />

per la struttura della mafia calabrese: l’istituzione di un organismo di<br />

coordinamento provinciale che, pur non avendo le stesse caratteristiche<br />

verticistiche della Commissione di Cosa Nostra, avrebbe dovuto assolvere ad<br />

una funzione di arbitro delle controversie. Ciò in un’ottica di prevenzione<br />

degli scontri tra singole ‘ndrine e di realizzazione di un modello<br />

organizzativo di tipo “federale”, esperienza che rimane del tutto unica nel<br />

panorama calabrese, non essendo previsti organismi analoghi per le altre<br />

province 291 .<br />

La ferocia manifestata dalla ‘ndrangheta trova un’ulteriore conferma se<br />

si affronta l’esame di una delle attività illecite che essa, in maniera del tutto<br />

originale rispetto alle altre mafie 292 , predilige: i sequestri di persona. Dal 1987<br />

288<br />

Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1993),<br />

Tipografia del Senato, Roma 1994, pp. 216-217.<br />

289<br />

Cfr. Istituto centrale di Statistica, Compendio statistico 2002, Roma 2002, p. 204.<br />

290<br />

L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 93.<br />

291 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione conclusiva, approvata il 18 febbraio 1994, A.P.,<br />

Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.14, Roma 1994, p.42.<br />

292 Ivi, p. 43.<br />

73


al 1993, gruppi criminali calabresi 293 sono stati ritenuti responsabili di<br />

ventisette rapimenti sul territorio nazionale che hanno fruttato una cifra<br />

vicina ai quattordici miliardi di vecchie lire 294 ; rispetto ai ricavi riferibili ad<br />

altre attività illecite, si tratta di una somma oggettivamente esigua, anche<br />

considerato l’elevato numero di soggetti che entrano in gioco nei lunghi mesi<br />

di un sequestro ed il notevole rischio di arresto a cui si sottopongono. Eppure<br />

la ‘ndrangheta si è dedicata a questo settore criminale molto a lungo.<br />

Precedentemente si è cercato di fornire una spiegazione a questa particolare<br />

propensione criminosa, sottolineandone la funzione di accumulazione di<br />

capitale da reinvestire in altri traffici e la possibilità che essa offre, per<br />

esempio ai pastori, di guadagnare molto senza smettere di eseguire il proprio<br />

lavoro “normale” e ai latitanti, che dovrebbero comunque vivere alla<br />

macchia, di impegnarsi in un’attività remunerativa. Ma aldilà di tali<br />

considerazioni, che sono sicuramente fondate, è opportuno evidenziare<br />

quella che è probabilmente la più importante motivazione del ricorso a<br />

questa attività: il sequestro di persona conferisce alla ‘ndrina che l’ha<br />

progettato un incremento della propria capacità di controllo del territorio,<br />

poichè, come ha osservato Violante in relazione all’Aspromonte che è la zona<br />

classica di custodia dei sequestrati: “gli organizzatori [...] garantiscono a una<br />

vasta rete di gregari un reddito annuo, ricevendo in cambio consenso, fedeltà<br />

e soprattutto il controllo minuzioso di un territorio essenziale per le loro<br />

attività più redditizie”. 295<br />

A riprova di tale affermazione si ricorda la drammatica avventura<br />

vissuta nel 1983 dall’imprenditore campano Carlo De Feo che, riuscito a<br />

liberarsi dalla prigionia e a scappare, chiese aiuto ad alcune persone<br />

incontrate durante la fuga, le quali invece di informare le forze dell’ordine lo<br />

riconsegnarono alla banda che lo teneva in ostaggio.<br />

Che la pratica del sequestro di persona sia, soprattutto in provincia di<br />

Reggio Calabria, uno strumento di ordinaria amministrazione utilizzato dalle<br />

‘ndrine per realizzare finalità criminali, lo dimostra un curioso episodio<br />

verificatosi nel 1992 a Bovalino, quando alcuni imprenditori vennero arrestati<br />

poichè avevano organizzato il rapimento dei loro concorrenti in gare<br />

d’appalto, allo scopo di intimidirli e indurli a ritirare la loro partecipazione.<br />

Tale vicenda non può che confermare l’affermazione secondo cui spesso “ciò<br />

293 Principalmente le famiglie della costa jonica reggina Jerinò, Strangio e Barbaro.<br />

294 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 95.<br />

295 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 97.<br />

74


che altrove si fa con la minaccia o con la rapina, in Calabria si fa con il<br />

sequestro di persona”. 296<br />

Ancora in riferimento all’aspetto delle attività illecite in cui la<br />

‘ndrangheta impegna la propria struttura, è opportuno ricordare che, oltre al<br />

mercato degli stupefacenti di cui è protagonista, 297 essa è fortemente presente<br />

nel traffico d’armi; 298 è questa un’attività illecita abbastanza recente perchè<br />

deve la sua origine all’esigenza di entrambi gli schieramenti protagonisti<br />

della guerra di ‘ndrangheta del periodo 1985-1991, di incrementare il proprio<br />

arsenale militare. I rapporti instaurati a quel tempo con produttori e mercanti<br />

nazionali e stranieri sono stati successivamente mantenuti conferendo alla<br />

mafia calabrese un ruolo di mediazione tra tutti i gruppi criminali italiani ed i<br />

grandi fornitori di armamenti; tale ruolo di monopolio si è ulteriormente<br />

accresciuto a seguito dei contatti instaurati, mediante la Sacra Corona Unita,<br />

con la criminalità dell’ex Jugoslavia, intenzionata a barattare gli ingenti<br />

quantitativi di armi di cui dispone sin dalla fine della guerra, con<br />

stupefacenti.<br />

L’impegno nel traffico di stupefacenti e di armi costituisce un aspetto<br />

decisamente moderno palesato dalla ‘ndrangheta dell’ultimo ventennio, così<br />

come improntato alla modernità appare il tentativo risalente al 1993 di<br />

acquisizione, a scopo di riciclaggio del denaro sporco, di un importante<br />

istituto di credito russo, contestuale all’acquisto di trentaquattro miliardi di<br />

rubli da reimpiegare in attività produttive dell’ex Unione Sovietica. 299<br />

Interessante notare che accanto a queste caratteristiche, tipiche di una<br />

criminalità “evoluta,” ne permangono altre che confermano l’estrema<br />

arcaicità culturale di questa organizzazione; un esempio emblematico è<br />

quello offerto dalle cosiddette “vacche sacre” su cui si è soffermata la<br />

Commissione antimafia dell’XI legislatura. Si tratta di circa 3000 bovini che<br />

vagano indiscriminatamente, causando ingenti danni alle coltivazioni, alla<br />

circolazione stradale e a quella ferroviaria 300 , in una fascia di territorio<br />

compresa tra Cittanova e Taurianova sulla costa tirrenica, ad Africo e Melito<br />

Porto Salvo su quella Jonica. Il fatto è che i capi di bestiame appartengono ad<br />

296<br />

Ivi, p. 98.<br />

297<br />

Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 2002), cit.,<br />

p. 120.<br />

298<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione conclusiva, approvata il 18 febbraio 1994, cit., p.43.<br />

299 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 99.<br />

300 Si pensi che si sono addirittura verificati due deragliamenti, uno a Cittanova il 16 ottobre 1987 e l’altro a<br />

Taurianova il 15 ottobre 1992.<br />

75


alcuni capibastone della ‘ndrangheta e per questo motivo nessuno si sente di<br />

prendersi la responsabilità della cattura e dell’abbattimento, anche in<br />

considerazione del fatto che sarebbe probabilmente impossibile, per il timore<br />

di ritorsioni, trovare macellai disposti a partecipare all’azione. Per<br />

comprendere il significato simbolico di quella che pare essere una anomalia<br />

folcloristica si osservi quanto affermato dal questore di Reggio Calabria<br />

davanti alla Commissione antimafia: “il boss del posto così facendo riafferma<br />

ancora di più il suo potere mafioso: non soltanto tengo questa mucca<br />

pascolante, ma lo faccio come, dove e quando voglio, e se la vacca rovina un<br />

campo seminato a me non interessa; il mafioso della zona sono io”. 301<br />

Questa questione, che sembra perfino pittoresca nel suo essere<br />

assolutamente incredibile, nasconde in realtà la profonda vocazione<br />

prepotente, oppressiva e di controllo del territorio che la ‘ndrangheta ha<br />

sempre manifestato nei confronti di una popolazione che, se non vuole guai,<br />

non può fare altro che convivere silenziosamente con simili abusi, anche<br />

perchè lo Stato, forse ritenendo secondaria questa vicenda, non è mai<br />

intervenuto a garanzia dei privati cittadini.<br />

La popolazione calabrese e conseguentemente la ‘ndrangheta che ne<br />

costituisce una degenerazione criminale, ha storicamente evidenziato un forte<br />

atteggiamento antistatuale. Sin dal periodo borbonico la Calabria è stata<br />

dimenticata dallo Stato: “nessuna città calabrese è mai stata capitale, i signori<br />

locali hanno preferito soggiornare a Napoli, considerando la Calabria come<br />

pura terra di feudi da sfruttare”. 302<br />

Proprio questa sottovalutazione governativa sarebbe stata responsabile<br />

del rafforzamento di un sistema fondato sui legami familiari e le convenienze<br />

private, di cui la ‘ndrangheta è interprete privilegiata, a discapito dello<br />

sviluppo del senso civico e del rispetto delle regole nazionali. Questa<br />

situazione, si noti bene, non è esclusivamente riferibile all’Ottocento o ai<br />

primi del Novecento, ma continua ancora ai giorni nostri, se solo si osserva<br />

quanto emerge, già negli anni ottanta, dalle dichiarazioni di un cittadino<br />

calabrese: “lo Stato proteggeva i potenti, i ricchi. Contro questa situazione si<br />

ribellavano i poveri e quelli che avevano ingegno si associavano nelle<br />

associazioni clandestine che procuravano loro vantaggi [...] La mafia era una<br />

301 Commissione Parlamentare antimafia, Audizione del questore e del comandante dei Carabinieri di Reggio<br />

Calabria sul problema delle cosiddette “vacche sacre”, seduta del 13 gennaio 1994, A.P., Camera dei<br />

Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Roma 1994, p. 3443.<br />

302 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 86.<br />

76


società di mutuo soccorso, in termini di tutela sociale [...] Lo Stato era il<br />

nemico numero uno, era forestiero”. 303<br />

La ‘ndrangheta ha giocato, e gioca, sulla sfiducia nei cittadini che è<br />

prodotta da questa idea dello Stato, proponendosi come un surrogato dello<br />

stesso che però ha il grande vantaggio di essere nella condizione di fare<br />

rispettare le (sue) regole. Non è molto ma è già un passo avanti rispetto<br />

all’incertezza e all’insicurezza di cui si sono approfondite le cause<br />

precedentemente. Ed è proprio in ossequio a questo manifesto<br />

antistatualismo che si spiega un’altra grande differenza tra la ‘ndrangheta e le<br />

altre mafie: l’appoggio offerto da parte di alcune ‘ndrine a PCI e PSI, i due<br />

partiti antistatuali per eccellenza, all’indomani della fine della guerra,<br />

appoggio esauritosi successivamente a seguito della scissione del PSI e del<br />

rifiuto comunista di perseverare in questo ambiguo rapporto.<br />

Complessivamente comunque si può affermare, come fa Violante, che “nella<br />

storia della ‘ndrangheta, a differenza di quanto è accaduto per Cosa Nostra e<br />

per la camorra, non c’è storicamente una consuetudine di rapporti con il<br />

potere politico; i rapporti si sono stabiliti solo negli ultimi decenni”. 304<br />

Abbiamo precedentemente osservato che sia le strutture di Cosa Nostra<br />

che quelle della camorra, storicamente, sono state strumentalizzate dal potere<br />

costituito in tutte quelle occasioni in cui la classe dirigente riteneva di non<br />

avere altra scelta, se non quella di fare ricorso ad un potere extra legale, pur<br />

di tenere sotto controllo la società siciliana o campana; l’attribuzione di<br />

questa funzione “d’ordine” sociale, con il conseguente riconoscimento<br />

ufficiale del ruolo mafioso di “guida” e “governo” delle classi basse, ha, con<br />

le opportune differenze, 305 posto in essere un processo di legittimazione di<br />

queste due fenomenologie mafiose. Tutto ciò per la ‘ndrangheta non è invece<br />

mai accaduto dando luogo ad una vera e propria “lontananza storica” tra la<br />

criminalità calabrese e la politica, che non è altro che la riproduzione a livello<br />

criminale del marcato antistatualismo già ampiamente diffuso nella stessa<br />

popolazione. Anche le distinzioni tra alta e bassa mafia e tra alta e bassa<br />

camorra, introdotte nell’Ottocento e nei primi anni del Novecento per<br />

descrivere la presenza di due anime distinte all’interno di quelle<br />

303<br />

F. Piselli–G. Arrighi, Parentela, clientela e comunità, in P. Bevilacqua-A. Placanica (a cura di), La<br />

Calabria, cit., p. 400.<br />

304<br />

L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 91.<br />

305<br />

Anche se è la camorra a ricevere un vero e proprio riconoscimento ufficiale da parte del potere costituito,<br />

con l’episodio del prefetto Liborio Romano risalente al 1860, in realtà il suo carattere mercenario e popolare le<br />

ha storicamente impedito di raggiungere i livelli di legittimazione effettivamente realizzati da Cosa Nostra.<br />

77


consorterie, 306 costituiscono una prova indiretta della loro “vocazione<br />

dirigente.” 307 Nel 1880 proprio un esponente della “bassa mafia” scriveva al<br />

questore di Palermo lamentando che: “l’alta mafia comanda [...] con la<br />

protezione che tengono, ho che ci fanno ammonire, ho che ci fanno andare su<br />

un’Isola, ma più facile ucciderci”. 308<br />

Analogamente si noti quanto osservato dal senatore Saredo nella<br />

relazione sulla corruzione del 1901: “è quest’altra Camorra che patteggia e<br />

mercanteggia colla bassa e promette per ottenere, e ottiene promettendo, che<br />

considera campo da mietere e da sfruttare tutta la pubblica amministrazione,<br />

come strumenti la scaltrezza, l’audacia e la violenza, come forza la piazza,<br />

ben a ragione è da considerare come fenomeno più pericoloso, perchè ha<br />

ristabilito il più pericoloso dei nepotismi, elevando a regime la prepotenza,<br />

sostituendo l’imposizione alla volontà, annullando l’individualità e la libertà<br />

e frodando le leggi e la pubblica fede”. 309<br />

Ebbene, per la ‘ndrangheta una simile distinzione non è storicamente<br />

stata prevista ed in nessuno scritto ve ne si trova traccia, almeno sino a tempi<br />

relativamente recenti quando “un’alta ‘ndrangheta, che riesce ad avere<br />

rapporti privilegiati con la politica e con le istituzioni si costituirà, [...] grazie<br />

ai rapporti con Cosa Nostra, con importanti uomini politici e con logge<br />

massoniche deviate.” 310<br />

Per quanto riguarda gli omicidi politici della ‘ndrangheta, pare corretto<br />

evidenziare, come già si è fatto per la camorra, che essa non ha manifestato, a<br />

livello nazionale, una pericolosità minimamente raffrontabile a quella di Cosa<br />

Nostra, essendo sostanzialmente l’ambito locale il suo territorio di<br />

riferimento. Non sono tuttavia mancate le vittime del mondo legale: “a metà<br />

degli anni settanta furono uccisi Giuseppe Vinci e Rocco Gatto. A metà del<br />

1980 toccò a Giuseppe Valarioti e a Giovanni Losardo. Poi, nel 1982 una<br />

bomba devastò la casa del consigliere regionale Quirino Ledda. Due anni<br />

dopo, nel febbraio 1984, toccò a Salvatore Tassone e a Cosimo Monteleone,<br />

306 Una, quella “alta,” in diretto collegamento con le classi dirigenti; l’altra, quella “bassa,” composta<br />

dalla “manovalanza” mafiosa.<br />

307 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 91.<br />

308 S. Lupo, op.cit., p. 54.<br />

309 Regia Commissione d’inchiesta per Napoli, op.cit., pp. 49-50.<br />

310 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 92.<br />

78


sindaco e vice sindaco di Nardodipace [...] rimanere vittime, fortunatamente<br />

incolumi, di attentati mafiosi”. 311<br />

A questi fatti criminosi, principalmente rivolti ad esponenti comunisti<br />

che non si piegavano al sistema di corruzione ed intimidazione posto in<br />

essere dall’onorata società, si deve purtroppo aggiungere il lungo elenco di<br />

omicidi ed attentati che hanno colpito, per tutti gli anni ottanta, esponenti<br />

politici, amministratori pubblici, funzionari statali e rappresentanti delle<br />

istituzioni di qualsiasi area politica. A titolo puramente esemplificativo,<br />

ricordiamo qui di seguito solamente le vittime più eclatanti: il procuratore<br />

della Repubblica di Torino Bruno Caccia nel 1983, il sindaco di Gioia Tauro<br />

Vincenzo Gentile nel 1987, l’ex presidente delle Ferrovie dello Stato Ludovico<br />

Ligato nel 1989, il giudice Antonio Scopelliti - che avrebbe dovuto sostenere<br />

l’accusa nel maxiprocesso giunto in Cassazione - ed il sindaco di Bova nel<br />

1991, 312 il sovrintendente della Polizia di Stato Salvatore Aversa nel 1992.<br />

Tuttavia, aldilà del notevole scalpore suscitato da questa ferocia<br />

‘ndranghetistica , il dato che emerge è che essa, tradizionalmente, colpisce<br />

esclusivamente in funzione di singole circostanze attinenti la sfera locale e<br />

non in ossequio ad un più ampio progetto antistatuale come quello che è<br />

stato invece perseguito dalla Cosa Nostra dei corleonesi. All’origine di questa<br />

impostazione risiedono la stessa struttura orizzontale dell’organizzazione e la<br />

manifesta tendenza allo scontro tra singole ‘ndrine; queste caratteristiche non<br />

permettono l’impegno in omicidi che creano un elevato allarme sociale<br />

perchè l’inevitabile reazione dello Stato si gioverebbe delle preziose “soffiate”<br />

che giungerebbero dalle famiglie nemiche. Ecco perchè la ‘ndrangheta ha sì<br />

ucciso rappresentanti del mondo legale, ma l’ha fatto ad un livello “meno<br />

vistoso e più produttivo,” 313 impegnandosi in azioni eclatanti, come<br />

l’uccisione del giudice Scopellitti, esclusivamente in maniera estemporanea e<br />

slegata da qualsiasi articolato progetto di lotta alle istituzioni 314 .<br />

Sono tuttavia state documentate dagli inquirenti relazioni tra gli<br />

uomini del boss De Stefano ed il terrorismo di estrema destra, prima<br />

nell’organizzazione della rivolta di Reggio Calabria del luglio 1970-febbraio<br />

311 E. Ciconte, op.cit., p. 354.<br />

312 Ivi, p. 355.<br />

313 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 94.<br />

314 Si è infatti osservato che l’eliminazione di Scopellitti, pur essendo stata eseguita materialmente in Calabria<br />

dalla criminalità autoctona, aveva in realtà come mandante Cosa Nostra, che stava cercando in ogni modo di<br />

creare degli ostacoli alla celebrazione dell’ultimo grado di giudizio del maxiprocesso, in modo tale da fare<br />

scadere i termini della custodia cautelare degli imputati<br />

79


1971 e poi nell’evasione di Franco Freda dal carcere di Reggio, che sarebbe<br />

stata organizzata e realizzata proprio dalla ‘ndrangheta. 315 Inoltre, come<br />

risulta nella richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del deputato<br />

Paolo Romeo, accusato dagli inquirenti di associazione mafiosa, sarebbero<br />

stati posti in essere dai capibastone calabresi importanti rapporti con logge<br />

massoniche deviate. 316 Tale circostanza è stata ulteriormente avvalorata dal<br />

giudice Agostino Cordova durante la sua audizione del 1993 davanti alla<br />

Commissione antimafia. 317<br />

A proposito dei rapporti con altre entità, risultano molto forti i legami<br />

tra la ‘ndrangheta reggina, Cosa Nostra e la Camorra 318 , sia nella gestione in<br />

collaborazione di attività illecite complesse, come il contrabbando o il traffico<br />

di droga, sia in funzione di ospitare e nascondere latitanti appartenenti ad<br />

altri sodalizi o di scambiarsi risorse umane per la realizzazione di specifiche<br />

attività delittuose. A questo riguardo esistono molteplici risultanze: in primis<br />

l’uccisione del giudice Scopelliti nel 1991, di cui si è riferito in precedenza; la<br />

sentenza di condanna del boss ‘ndranghetista Mario Albanese (dalla quale si<br />

evince che nel 1983 una grossa partita di droga di proprietà della cosca di<br />

Nitto Santapaola venne sbarcata sul litorale jonico di Saline e che un terzo<br />

della stessa venne consegnato a titolo di “provvigione” alla famiglia calabrese<br />

dei De Stefano, che controllava quella zona); 319 la lettera lasciata prima di<br />

suicidarsi dall’uomo d’onore Antonino Gioè, imputato per la strage di Capaci<br />

(tesa a scagionare, tra gli altri, il capobastone Papalia, a riprova che<br />

evidentemente la ‘ndrangheta e i suoi capi stavano più a cuore di quanto si<br />

pensi ai vertici della mafia siciliana); 320 l’attiva collaborazione tra<br />

‘ndranghetisti e clan dei catanesi a Torino durante i primi anni ’80, finalizzata<br />

tra l’altro all’eliminazione dei giudici Caccia e Sorbello. 321<br />

Per quanto riguarda i legami con la camorra è sufficiente ricordare la<br />

genesi della NCO, per mano dei capibastone Piromalli, Mammoliti e De<br />

315<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione conclusiva, approvata il 18 febbraio 1994, cit., p.43.<br />

316<br />

Cfr. A.P., Camera dei deputati, XI legislatura, doc. IV, n.465, Domanda di autorizzazione a procedere in<br />

giudizio nei confronti del deputato Paolo Romeo per il reato di cui all’articolo 416 bis, commi primo, secondo,<br />

terzo, quarto e sesto del codice penale, Roma 1993.<br />

317<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di<br />

Palmi dottor Agostino Cordova, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura,<br />

Seduta del 9 luglio 1993, Roma 1993.<br />

318<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione conclusiva, approvata il 18 febbraio 1994, cit., pp.52-<br />

53.<br />

319<br />

Cfr. Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza sentenza contro Albanese M. più 190, cit.<br />

320<br />

Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 104.<br />

321 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 230.<br />

80


Stefano, e gli strettissimi legami tra Raffaele Cutolo e De Stefano che<br />

caratterizzarono tra il 1977 ed il 1982 le più importanti vicende criminose del<br />

Mezzogiorno 322 .<br />

In relazione alla situazione attuale della ‘ndrangheta si può osservare<br />

come essa sia una forma malavitosa estremamente pericolosa perchè nel suo<br />

continuo mescolare elementi arcaici a caratteristiche di estrema modernità,<br />

nel suo alto numero di affiliati e soprattutto nella sua peculiare capacità di<br />

mantenere elevati livelli di impunità, anche grazie al rigoroso familismo che<br />

previene i pentimenti, esprime un modello criminale di indubbio successo e<br />

ciò è ulteriormente suffragato dalla massiccia penetrazione in zone non<br />

tradizionali come il Piemonte e la Lombardia, dove essa esercita un totale<br />

monopolio sui traffici illeciti.<br />

Si è detto, in riferimento alla camorra, che nell’attività di contrasto<br />

bisogna partire dall’educazione alla legalità e al senso civico dei giovani e<br />

delle masse sociali; ciò è sicuramente vero anche per la Calabria che è vittima<br />

di un’arretratezza cronica forse più della stessa Campania, però qui il<br />

discorso deve essere diviso in due tronconi. Sicuramente è fondamentale<br />

intervenire sulla disoccupazione giovanile e sulla percezione purtroppo<br />

comune a molti calabresi secondo cui il modello mafioso rappresenta un<br />

modello vincente. Tale azione, combinata ad una organica attività di polizia,<br />

potrebbe probabilmente risolvere una parte del problema: quella legata al<br />

controllo del territorio calabrese e alla situazione di autentico terrore vissuta<br />

dagli imprenditori, 323 in una zona d’Italia che sotto molti aspetti sfugge alla<br />

sovranità dello Stato, non esercitando quest’ultimo, in maniera esclusiva, il<br />

monopolio dell’elemento fondamentale di ogni ordinamento giuridico: quello<br />

della coercizione.<br />

Tuttavia l’impressione è che ciò non sia di per sé sufficiente per<br />

sconfiggere completamente la ‘ndrangheta, poichè essa pur non tralasciando<br />

le proprie attività tradizionali legate alla realtà locale, ha contestualmente<br />

raggiunto una tale modernità, soprattutto a livello di attività riconducibili al<br />

concetto di enterprise syndicate, da rendere necessaria un’azione di contrasto<br />

ben più specialistica, concentrata sulla prevenzione e la repressione dei<br />

322 Cfr. Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza sentenza contro Albanese M. più 190, cit.<br />

323 Per un approfondimento sul clima che si respira in Calabria tra gli imprenditori, mediante una serie di<br />

interviste ad operatori economici ivi operanti, cfr. R. Sciarrone, op.cit., pp. 53-111.<br />

81


grandi affari internazionali in cui essa si è recentemente cimentata e<br />

soprattutto improntata alla collaborazione con le forze di polizia di altri paesi.<br />

“Ha una struttura fortemente organizzata; è presente massicciamente<br />

nel traffico internazionale di droga e, a quanto pare, di armi e di preziosi; ha<br />

una potenza economica e una potenza politica; possiede una notevole<br />

capacità militare; ha affinato il proprio sistema fiscale basato sulle mazzette;<br />

ha sviluppato una notevole capacità di penetrazione nelle istituzioni e di<br />

rapporti con pezzi del potere e dell’apparato pubblico”. 324<br />

Sotto questi aspetti, pur mantenendo la sua originalità organizzativa e<br />

culturale, la ‘ndrangheta, nell’ultimo trentennio, si è ispirata ed avvicinata<br />

tantissimo a Cosa Nostra ma, a sua differenza, ha saputo mantenere un<br />

atteggiamento improntato al basso profilo, perlomeno a livello nazionale, ed<br />

ha sapientemente giocato sul suo apparente ruolo di mero “sottoprodotto”<br />

della mafia siciliana, elementi che l’hanno protetta da repressioni istituzionali<br />

troppo capillari; inoltre, come si diceva, non ha dovuto fare i conti con quello<br />

che è stato l’incubo dei siciliani: il pentitismo. A ciò si deve aggiungere la sua<br />

capacità di proporsi come una sorta di cerniera che collega tutte le altre<br />

consorterie criminali operanti nel mezzogiorno, caratteristica che l’ha resa di<br />

conseguenza un’assoluta protagonista della criminalità organizzata<br />

nazionale.<br />

Alla luce di tali considerazioni pare corretto porre l’accento sulla<br />

versatilità e l’astuzia palesate da questa consorteria criminale ed auspicare un<br />

pronto e determinato impegno istituzionale nell’azione di contrasto, prima<br />

che sia veramente troppo tardi per arginarne lo sviluppo e gli effetti sulla<br />

società civile.<br />

324 E. Ciconte, op.cit., p. 362.<br />

82


3.1 Puglia: regione mafiosa?<br />

La “Quarta mafia” pugliese<br />

Sino a qualche tempo fa, la Puglia era una regione che poteva definirsi<br />

immune dalla fenomenologia mafiosa; infatti, a differenza di altri contesti<br />

territoriali appartenenti al meridione italiano, essa non ha storicamente<br />

convissuto con un underworld criminale organizzato che si fosse<br />

perfettamente integrato con il tessuto socioeconomico e politico del mondo<br />

legale, in maniera analoga alle forme delinquenziali esaminate sino a questo<br />

punto.<br />

L’oggettiva assenza di consorterie criminali articolate e perfettamente<br />

integrate con il territorio è stata attribuita da Luciano Violante 325 al fatto che<br />

la Puglia ha avuto una storia diversa da quella parte del Mezzogiorno che, sin<br />

dal secolo scorso, ha assistito passivamente all’insediamento ed allo sviluppo<br />

di esperienze criminali riconducibili al concetto di mafia. I feudi pugliesi<br />

erano infatti in gran parte coltivati in maniera intensiva da proprietari che<br />

vivevano sui loro terreni, amministrando in prima persona i propri interessi<br />

economici e non adottando, quindi, l’abitudine in voga tra i latifondisti<br />

calabresi, campani e siciliani di vivere nelle grandi capitali del Sud. Inoltre,<br />

storicamente la Puglia ha dato prova di notevole dinamismo economico ed<br />

imprenditoriale, dotandosi sin dal Settecento di una rete viaria<br />

all’avanguardia per quei tempi (era la più moderna di tutto il Regno di<br />

Napoli) e manifestando generalmente i più alti livelli di reddito riscontrati,<br />

con una bassa percentuale di appartenenti alle classi povere.<br />

A queste evidenze storiche si deve aggiungere la notazione di<br />

Galasso 326 , secondo cui il ceto dirigente pugliese aveva saputo emanciparsi<br />

dalla rovinosa consuetudine in voga soprattutto in Sicilia ed in Campania di<br />

delegare alla cosiddetta mafia notabiliare il controllo delle classi popolari, con<br />

la duplice funzione di garantire la gestione dell’ordine pubblico e di tutelare<br />

gli interessi dei nobili meridionali contro gli eventuali abusi dei sovrani<br />

spagnoli. Tale pratica ha infatti determinato il deleterio risultato sociale di<br />

325 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 114.<br />

326 G. Galasso, Alla periferia dell’impero. Il regno di Napoli nel periodo spagnolo (secoli XVI-XVII), Einaudi,<br />

Torino 1994, pp. 408-421.<br />

83


ammantare le fenomenologie mafiose di un’aura di legittimità che ha finito<br />

col costituire un notevole contributo offerto dalle classi dirigenti del mondo<br />

legale per il loro sviluppo successivo.<br />

Eppure, nonostante questa storia di modernità e di immunità dalla<br />

criminalità organizzata, oggi si deve purtroppo parlare di una “quarta mafia”<br />

che si discosta così poco dalle caratteristiche delle tre mafie italiane<br />

“tradizionali” da avere suscitato nell’opinione pubblica l’errata impressione<br />

secondo cui anche la Puglia sarebbe una regione storicamente mafiosa. Tale<br />

atteggiamento è ormai talmente radicato nella società italiana, che perfino un<br />

organismo istituzionale tecnico, quale è la Commissione Parlamentare<br />

antimafia, è incorso nel 1994 in un errore, poichè, in ben due documenti<br />

ufficiali relativi alla diffusione della mafia in aree non tradizionali, 327 ha<br />

clamorosamente omesso di contemplare la regione Puglia, ritenendola, a<br />

torto, una zona mafiosa originale e non colonizzata. Per Gorgoni, si è trattato<br />

di una valutazione “che appare storicamente errata non solo sul piano delle<br />

datazioni dell’insorgenza del fenomeno mafioso, ma anche su quello delle<br />

modalità attraverso le quali la criminalità si è insediata e diffusa nella<br />

regione”. 328<br />

Che il caso pugliese appartenga alla categoria delle mafie non<br />

tradizionali era stato peraltro avvalorato dalla stessa Commissione<br />

parlamentare che, nella legislatura precedente, aveva approfondito tale<br />

tematica concludendo che si trattava di una mafia di recente diffusione,<br />

originata e sviluppata mediante meccanismi peculiari e che non presentava,<br />

perlomeno in prima battuta, le caratteristiche tipiche delle fenomenologie<br />

presenti nelle aree di radicamento mafioso tradizionale. 329<br />

La definizione che pare più corretta è quella che identifica la Puglia<br />

come “la prima tra le regioni italiane a sviluppare una nuova mafia”; 330<br />

analizzare a fondo “la vicenda pugliese può forse essere utile per<br />

327 Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di<br />

stampo mafioso in aree non tradizionali. Schede allegate delle singole regioni, cit. e Commissione<br />

Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere<br />

accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di stampo mafioso in aree non<br />

tradizionali, A.P., Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.11, Roma 1994.<br />

328 R.Gorgoni, op.cit., p. 273.<br />

329 Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’indagine del gruppo di lavoro<br />

incaricato di svolgere accertamenti sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Puglia, A.P., Camera<br />

dei Deputati-Senato della Repubblica, X legislatura, doc. XXIII, n.10, Roma 1989. Dello stesso avviso è anche<br />

Maritati in un articolo del 1992. (Cfr. A. Maritati, Puglia. Dai tentativi di infiltrazione alla Sacra Corona<br />

Unita, in “Asterischi”, 2, 1992).<br />

330 R.Gorgoni, op.cit., p. 11.<br />

84


comprendere, per così dire, la mafia nell’epoca della sua riproducibilità<br />

tecnica”. 331<br />

Il fatto è che , per una serie di cause, “la Puglia è stata utilizzata come<br />

colonia da parte delle organizzazioni più titolate [...] ha costituito una sorta di<br />

“cortile di casa” delle tre mafie tradizionali”. 332<br />

Sicuramente uno dei fattori che hanno suscitato l’interesse di Cosa<br />

Nostra, ‘ndrangheta e camorra risiede nelle peculiari caratteristiche<br />

geopolitiche di questa regione: essa, caratterizzata perlopiù da coste piatte e<br />

sabbiose, ideali per gli attracchi dei natanti, è un crocevia delle rotte<br />

commerciali che vanno da Est ad Ovest, dista poche miglia nautiche dalla<br />

Jugoslavia e può contare su una tradizione di rapporti che la legano<br />

all’Albania, alla Grecia ed al Medio Oriente. Tali caratteristiche avevano, già<br />

da molto tempo, spinto la malavita autoctona ad occuparsi principalmente<br />

del contrabbando di tabacchi e, attorno agli anni settanta, a stringere<br />

addirittura accordi, peraltro temporanei ed a livello individuale, con alcuni<br />

elementi della camorra. Come più volte osservato in precedenza, le dotazioni<br />

di natanti, il knowhow degli uomini impegnati, le relazioni con sodalizi<br />

criminali esteri finalizzati a questa attività illecita si prestavano facilmente ad<br />

essere riconvertiti nei business del traffico di droga ed armi, che proprio<br />

attorno alla metà degli anni settanta era la principale fonte di arricchimento<br />

delle tre mafie tradizionali.<br />

Ma come sono riusciti siciliani, calabresi e campani a penetrare<br />

capillarmente nel territorio pugliese?<br />

I meccanismi di diffusione della mafia - ricorrendo ad un’ottica<br />

sociologica che fa riferimento specificamente al comportamento strategico<br />

adottato dagli attori - sono stati schematizzati mediante il ricorso a due forme<br />

ideal-tipiche: la colonizzazione, cioè l’espansione vera e propria in nuove aree<br />

e l’imitazione, vale a dire la “copiatura” endogena operata da gruppi<br />

criminali autoctoni che perseguono la riproduzione di modelli organizzativi<br />

ed operativi riferibili a consorterie mafiose tradizionali. 333<br />

Se da un lato, il ricorso a forme ideal-tipiche permette di realizzare dei<br />

modelli sociologici finalizzati allo studio dei meccanismi sociali, dall’altro<br />

nasconde un oggettivo limite che risiede nel pericolo di produrre<br />

331 Ibidem.<br />

332 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 113.<br />

333 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., pp. 125-126.<br />

85


semplificazioni di tale portata da stravolgere l’interpretazione della realtà;<br />

nell’affrontare casi di mafia “esportata” è quindi di fondamentale importanza<br />

sottolineare come colonizzazione ed imitazione non si escludano a vicenda,<br />

ma si combinino mediante il ricorso ad una grande varietà di meccanismi che,<br />

di caso in caso, modificano i termini percentuali di questo connubio. A questo<br />

proposito infatti, già nel lontano 1897, Durkheim osservava che nei processi<br />

sociali “ben raramente l’imitazione è, da sola, una spiegazione sufficiente” 334<br />

e si comprende facilmente come questa riflessione possa essere estesa anche<br />

al concetto di colonizzazione.<br />

Passando ad esaminare lo specifico caso pugliese, si può prendere atto<br />

di come tali considerazioni siano pienamente avvalorate dall’osservazione<br />

della realtà, poichè non solo si sono presentati entrambi i meccanismi di<br />

diffusione postulati dai sociologi, ma essi si sono intrecciati, combinati,<br />

sovrapposti, dando luogo ad una situazione in cui ai tentativi espansivi posti<br />

in essere dalle fenomenologie mafiose di altre regioni, è corrisposta la<br />

creazione di organizzazioni autoctone per reagire a tale sconfinamento, che<br />

hanno però finito per strutturarsi in maniera analoga al modello proposto<br />

dagli “invasori”. 335<br />

Geograficamente la Puglia è contigua alle aree tradizionali e questa<br />

caratteristica a parere di Maritati ha fatto sì che “per una serie di attività<br />

illecite rappresenta da tempo immemorabile una sorta di terreno naturale di<br />

sconfinamento, a volte con sortite rapide quanto micidiali (si pensi ai<br />

sequestri di persone consumati negli anni ’70-80 dal Salento al nord Barese ed<br />

ai grossi sbarchi di tabacchi lavorati esteri, droga ed armi lungo le estese coste<br />

della regione) e di progetto, non nuovo, di farne una vera e propria terra di<br />

conquista criminale”. 336<br />

Proprio l’attività dei sequestri, su cui si sofferma Maritati, ha visto<br />

l’instaurarsi dei primi rapporti tra la ‘ndrangheta e delinquenti comuni<br />

pugliesi che collaboravano, sotto la supervisione calabrese, alla realizzazione<br />

dei rapimenti nella loro regione. Come si vedrà nel paragrafo dedicato alla<br />

Sacra Corona Unita, l’intervento dell’onorata società in Puglia non è destinato<br />

ad esaurirsi a questo livello - che, come per il contrabbando gestito in<br />

collaborazione con la camorra, è caratterizzato da rapporti non organici<br />

334<br />

E. Durkheim, Sociologia del suicidio (1897), Newton Compton, Roma 1978, p.164 nota.<br />

335<br />

Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 156.<br />

336<br />

A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, in F. Occhiogrosso (a cura di), Ragazzi della mafia, in<br />

“Minori giustizia”, 1, 1993, p.120.<br />

86


ealizzati perlopiù mediante accordi temporanei e individuali - ma si<br />

svilupperà sino ad acquisire i caratteri di una vera e propria leadership.<br />

E’ dunque corretto sottolineare che, nella fase iniziale di contatto con la<br />

criminalità pugliese, sono stati esclusivamente coinvolti singoli appartenenti<br />

alle mafie tradizionali e non le organizzazioni nel loro complesso. 337<br />

Uno dei principali fattori che stanno alla base della “mafizzazione”<br />

della Puglia è da ricercarsi in due sfortunate (consideratene a posteriori le<br />

conseguenze) decisioni politiche: l’invio al soggiorno obbligato nella regione<br />

di alcuni boss siciliani e campani nella seconda metà degli anni settanta e<br />

l’utilizzazione delle carceri pugliesi per la detenzione dei membri della NCO<br />

– decisione scaturita a seguito dell’esigenza di tenerli separati dagli<br />

appartenenti al sodalizio avversario dei Bardellino-Nuvoletta-Zaza con cui<br />

era in corso la “guerra di camorra” – nei primi anni ottanta. 338<br />

A proposito delle deleterie conseguenze del soggiorno obbligato è<br />

sufficiente ricordare il caso del palermitano Amedeo Pecoraro, affiliato alla<br />

potente cosca dei Madonia, vicina ai corleonesi, che inviato nel 1978 nel<br />

comune di Fasano, in provincia di Brindisi, in pochissimo tempo avviò una<br />

collaborazione finalizzata al traffico di eroina con alcuni criminali locali, il più<br />

importante dei quali era Giuseppe D’Onofrio. A riprova dell’interesse di Cosa<br />

Nostra per il territorio pugliese si pensi solo che, allo scadere della misura di<br />

prevenzione, Pecoraro non solo non fece rientro in Sicilia, ma venne<br />

addirittura raggiunto da Pietro Vernengo della famiglia di Santa Maria di<br />

Gesù, specializzata nella raffinazione di eroina, dal contrabbandiere Filippo<br />

Messina e dai trafficanti di stupefacenti Giuseppe Baldi e Stefano Fontana,<br />

tutti convenuti per incrementare il business inaugurato da Pecoraro. 339 Tale<br />

profondo interesse per la Puglia è ulteriormente avvalorato dall’invio nel<br />

brindisino, nei primi anni ottanta, di un uomo di spicco della potentissima<br />

cosca Fidanzati, anch’essa attiva nel traffico di droga: si tratta di Francesco La<br />

Manna, successivamente arrestato in Colombia durante un incontro con i<br />

rappresentanti del cartello di Medellin. 340<br />

Sulla vicenda di Fasano si sarebbero anche soffermati i collaboratori di<br />

giustizia Francesco Marino Mannoia e Joseph Cuffaro: “il noto pentito<br />

337<br />

Cfr. Eurispes-Osservatorio permanente sui fenomeni criminali, La quarta mafia: percorsi e strategie della<br />

criminalità organizzata pugliese, in “up & down”, 7-8, 1994.<br />

338<br />

Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 115.<br />

339<br />

Cfr. R. Gorgoni, op.cit., pp. 268-269.<br />

340<br />

Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 116.<br />

87


Mannoia e tale Joseph Cuffaro, collaborando dinanzi ai giudici palermitani,<br />

fecero un significativo richiamo alla vicenda di Fasano come un esempio di<br />

espansione, verso quella zona della Puglia, della mafia palermitana ed in<br />

particolare come una vera e propria testa di ponte dei Corleonesi e di<br />

Madonia per il traffico di stupefacenti verso il nord Italia”. 341<br />

Ma, nonostante questa vicenda nel suo costituire una prova della<br />

propensione manifestata da Cosa Nostra all’espansione in Puglia sia di<br />

indiscutibile importanza nell’analisi dello sviluppo di una mafia pugliese, è<br />

indispensabile sottolineare che è dalla Campania che partì il più importante<br />

tentativo di colonizzazione della regione: è la Nuova Camorra Organizzata di<br />

Raffaele Cutolo il sodalizio campano che, alla fine degli anni settanta, tenta<br />

l’espansione nella regione, sia a seguito delle gravi difficoltà incontrate a<br />

Napoli, originate dalla cruenta faida con i clan rivali che facevano capo alle<br />

famiglie Bardellino, Nuvoletta e Zaza, sia per una valutazione di tipo<br />

economico, che originò dalla consapevolezza dell’importanza rivestita dalle<br />

coste pugliesi per i traffici illeciti. Per Rocco Sciarrone: “è stata accertata<br />

l’esistenza, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, di un diretto<br />

collegamento tra criminalità pugliese e camorra. Si può dire che il processo di<br />

espansione della camorra in Puglia prende avvio quando i gruppi della NCO<br />

cominciano a trasferire l’attività di contrabbando di tabacchi dal Tirreno alle<br />

coste pugliesi”. 342<br />

Ai contatti estemporanei ed esclusivamente individuali, che avevano<br />

contraddistinto la collaborazione tra la delinquenza autoctona e le mafie<br />

tradizionali, si sostituì da questo momento in poi la strategia di diffusione<br />

camorristica orientata a vere e proprie alleanze permanenti. Ancora una volta<br />

l’istituto del soggiorno obbligato aveva giocato il suo ruolo deleterio, poichè<br />

in Puglia oltre ad elementi di Cosa Nostra, si trovavano anche alcuni<br />

camorristi. 343<br />

Il collaboratore di giustizia Pasquale Galasso ha spiegato che: “fino a<br />

quando Cutolo non evade dal carcere, in Puglia di delinquenza organizzata non<br />

ce n’è; Cutolo è quello che da latitante si porta in Puglia e comincia a creare i<br />

primi associati malavitosi pugliesi alla NCO. Dopo Cutolo si va a creare<br />

341 A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit., p. 121.<br />

342 R. Sciarrone, op.cit., p. 169.<br />

343 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1992),<br />

Tipografia del Senato, Roma 1993. Nel 1979 venne inviato in soggiorno obbligato in Puglia il camorrista<br />

Giuseppe Sciorio che sino al suo omicidio, verificatosi il 28 novembre 1983, sarà una vera e propria “punta di<br />

diamante” della camorra nel foggiano. (Cfr. L. Violante, Non è la piovra, p. 117).<br />

88


questa associazione di gruppi delinquenziali pugliesi [la Sacra Corona Unita]<br />

e ci sono rapporti fra questa associazione e le nostre associazioni campane”. 344<br />

Infatti, il 5 gennaio 1979 in un albergo di Lucera in provincia di Foggia,<br />

Cutolo incontrò un numeroso gruppo di criminali pugliesi e ne affiliò alla<br />

NCO circa una quarantina. Ma l’attività di proselitismo avviata da don<br />

Raffaele non si esaurì qui, orientandosi anche su altre aree della regione,<br />

come il Salento; qualche mese dopo, infatti, Puca, uno dei suoi più stretti<br />

collaboratori, organizzò “la riunione dei 90” a Galatina, in provincia di Lecce,<br />

cui parteciparono anche un rappresentante di Cosa Nostra ed uno della<br />

‘ndrangheta, a riprova che, almeno in questa fase, le altre due organizzazioni<br />

“storiche” non si opponevano all’espansione in Puglia della NCO. 345<br />

Questa intensa attività aveva il preciso obiettivo di dare vita ad una<br />

“camorra pugliese,” con caratteristiche organizzative e strutturali analoghe a<br />

quelle della “casa madre” campana, ma subordinata alla Nuova Camorra<br />

Organizzata, cui avrebbe dovuto versare una provvigione pari al 40% di<br />

ciascun affare illecito realizzato. A tal fine fu direttamente lo stesso Raffaele<br />

Cutolo a nominare i cosiddetti capi-zona pugliesi “a cielo scoperto” vale a<br />

dire in libertà ed “a cielo coperto” cioè in carcere. Questa distinzione,<br />

apparentemente poco significativa, permette invece di focalizzare l’attenzione<br />

sia sulle deleterie conseguenze scaturite dalla decisione governativa di<br />

inviare i detenuti affiliati alla NCO nelle carceri pugliesi, sia sull’estrema<br />

importanza storicamente rivestita, in un’ottica di egemonia del mondo<br />

criminale, dal sottomondo degli istituti di reclusione per la Nuova Camorra<br />

Organizzata. Le ragioni del successo dell’intenso proselitismo perseguito<br />

nell’ambito carcerario dalla NCO sono state così spiegate da Luciano<br />

Violante: “all’interno di tutti gli istituti di pena ci sono gerarchie e regole di<br />

comportamento precise dettate dai gruppi criminali più forti, cui gli altri<br />

devono aderire oppure opporsi scatenando una guerra interna al carcere che<br />

può condurre anche alla morte.[...] Cutolo [...] attraverso le migliaia di affiliati<br />

detenuti poteva imporre in molte carceri italiane la propria volontà. Per i<br />

delinquenti pugliesi detenuti, l’invito dei cutoliani era insieme una cortesia<br />

irrifiutabile, una necessità di vita e una promozione criminale”. 346<br />

344 Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />

giustizia Pasquale Galasso, cit., p. 2240, il corsivo è mio.<br />

345 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, p. 117.<br />

346 L. Violante, Non è la piovra, p. 118.<br />

89


Che la Puglia sia stata una zona di intensa colonizzazione mafiosa è<br />

ulteriormente dimostrato da una sorta di lottizzazione del territorio tra le tre<br />

mafie tradizionali; infatti, secondo Rocco Sciarrone: “l’influenza di Cosa<br />

Nostra sembra essere più rilevante in alcune aree delle province di Brindisi e<br />

Lecce. In quella di Taranto è prevalente l’interesse delle cosche calabresi e nel<br />

Foggiano quello della camorra”. 347<br />

La Commissione Parlamentare antimafia della XII legislatura 348 ha<br />

inoltre posto l’accento sul fatto che lo sviluppo della mafia pugliese ha<br />

coinciso con il dilagare del ricorso a pratiche illegali nel campo della pubblica<br />

amministrazione e con l’imputazione di un grande numero di funzionari e<br />

rappresentanti delle istituzioni. 349<br />

Lo stesso prefetto di Bari ha a questo proposito dichiarato: “si è<br />

verificato uno sviluppo parallelo della criminalità organizzata e di una certa<br />

classe politico-imprenditoriale: la penetrazione della delinquenza è avvenuta<br />

contemporaneamente e anche con l’aiuto di una parte delle forze politiche ed<br />

economiche che hanno dominato incontrastate per decenni consolidando il<br />

loro potere sull’illegalità”. 350<br />

Questo non significa che dove c’è un’estesa corruzione politica e<br />

amministrativa si debba per forza sviluppare un’articolata criminalità<br />

organizzata, tuttavia è innegabile che il circolo vizioso che viene ad<br />

instaurarsi tra i due fenomeni sia fonte di vicendevole rafforzamento.<br />

“La criminalità organizzata rafforza con i suoi pacchetti di voti e le<br />

risorse di violenza i politici corrotti i quali poi utilizzano il loro potere per<br />

accrescere il potere della criminalità organizzata che li appoggia, e, attraverso<br />

l’impunità e il controllo del territorio che garantiscono loro gli appalti,<br />

aumentano il potere dei malavitosi stessi”. 351<br />

Un clima di dilagante corruzione, nel suo deteriorare il tessuto<br />

istituzionale della società locale, realizza comunque quella connivenza<br />

responsabile della riduzione degli ostacoli alla commissione di gravi reati<br />

347<br />

R. Sciarrone, op.cit., p. 157.<br />

348<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in<br />

Puglia, doc. XXIII, n.6, in Commissione Parlamentare antimafia, Relazioni e documenti approvati nella XII<br />

legislatura (18 ottobre 1994-31 gennaio 1996), A.P., Camera dei Deputati, XII legislatura, Roma 1996.<br />

349<br />

Cfr. A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit.<br />

350<br />

Cit. in Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in<br />

Puglia, cit., p. 129 nota.<br />

351<br />

D. della Porta, I circoli viziosi della corruzione in Italia, in D. della Porta-Y. Mény (a cura di), Corruzione e<br />

democrazia. Sette paesi a confronto, Liguori, Napoli 1995, p. 62.<br />

90


associativi; la vicendevole protezione che scaturisce dall’intreccio mafiapolitica<br />

accresce i rispettivi poteri implementandone le possibilità<br />

espansive 352 “e dando luogo ad un adeguamento delle strutture organizzative<br />

ed operative dell’azienda del crimine, che passa da una fase individuale ad<br />

una di tipo consorziale industriale”. 353<br />

Inoltre, come ha rilevato Vannucci: “riducendo i rischi delle transazioni<br />

occulte, la mafia contribuisce all’espansione del mercato della tangente. Al<br />

tempo stesso un’omertà molto forte copre quelle attività, ostacolando<br />

enormemente le indagini della magistratura”. 354<br />

A conferma del fatto che la mafia moderna non si sviluppa in zone<br />

povere ed arretrate, ma, al contrario, punta su habitat contraddistinti da<br />

dinamismo ed espansione economica, è interessante osservare che il periodo<br />

del consolidamento sul territorio pugliese delle organizzazioni mafiose,<br />

avvenuto nel biennio 1985-1986, è contestuale al boom economico vissuto<br />

dalla regione che all’epoca godeva addirittura del “più alto tasso annuo di<br />

crescita economica d’Italia dopo quello del Trentino Alto Adige (21,6%, il 4%<br />

in più del tasso medio italiano) e vive[va] un momento di prosperità<br />

economica e di sviluppo consistente.” 355<br />

Sintetizzando quanto sin qui esposto, è ora possibile affermare che la<br />

stretta interazione di una serie di circostanze di varia natura, originariamente<br />

indipendenti, ha prodotto la nascita e lo sviluppo del fenomeno mafioso in<br />

una zona di non tradizionale insediamento, quale è la Puglia. I fattori più<br />

rilevanti a questo riguardo sono stati: posizione geopolitica della regione che<br />

attrae altri sodalizi criminali per le favorevoli opportunità delinquenziali che<br />

essa detiene in potenza; interesse delle tre mafie tradizionali all’adozione di<br />

una strategia espansiva in Puglia; dinamismo economico dei mercati legali<br />

che, nel loro produrre ricchezza, investimenti e nuove iniziative produttive<br />

fatalmente finirono con l’offrire interessanti opportunità anche a quelli illeciti;<br />

marcato deterioramento delle istituzioni locali, fortemente soggette a<br />

corruzione e collusione con l’underworld criminale; soggiorno obbligato di<br />

affiliati alle consorterie tradizionali che, approfittando della misura di<br />

prevenzione, posero in essere business illegali in nuove zone; utilizzo delle<br />

352<br />

Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 158.<br />

353<br />

A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit., p. 132.<br />

354<br />

A. Vannucci, Politici e padrini. Mafia e corruzione politica in Italia, in D.della Porta-Y.Mény (a cura di),<br />

op.cit., p.84.<br />

355<br />

N. Piacente, Seconda a nessuno, in “Narcomafie”, 7/8, 1997, p.18. Peraltro lo stesso Piacente rileva come il<br />

tasso di investimento pubblico sia superiore del 30% alla media italiana.<br />

91


carceri pugliesi per la detenzione di camorristi della NCO, con la conseguente<br />

affiliazione all’organizzazione campana dei delinquenti autoctoni ivi reclusi;<br />

imitazione da parte della delinquenza locale dei modelli criminali “di<br />

successo” introdotti dalle mafie colonizzatrici; inconsistenza dell’azione di<br />

contrasto posta in essere dalle istituzioni, frutto di sottovalutazione e<br />

superficialità.<br />

3.2 Imitazione e originalità<br />

Nel paragrafo precedente si è posto l’accento sull’importanza della<br />

colonizzazione da parte delle tre mafie storiche nel processo di<br />

mafiosizzazione della regione Puglia. E’ peraltro emerso come, tra le tre, sia<br />

stata la camorra ad assumere l’atteggiamento maggiormente invasivo.<br />

“In Puglia […] è soprattutto la camorra a mettere in atto tentativi di<br />

colonizzazione rispetto alla criminalità locale, mentre la ‘ndrangheta e Cosa<br />

Nostra sembrano interessate a trovare alleanze e partner affidabili per portare<br />

avanti traffici illeciti. Anche quando mafiosi calabresi […] intervengono in<br />

modo più sostanziale, con funzioni di regolamentazione, nei rapporti interni<br />

alle organizzazioni criminali pugliesi, sembrano essere spinti in ciò non tanto<br />

dall’obiettivo di assumere il controllo della criminalità locale, quanto<br />

piuttosto dall’esigenza di creare quelle condizioni di garanzia che rendono<br />

più agevole la loro presenza nei mercati illegali della regione. Si tratta pur<br />

sempre di processi di colonizzazione, anche se meno forti e “totalizzanti”<br />

rispetto a quelli progettati dalla camorra”. 356<br />

Qualcosa di simile a quanto verificatosi in Campania, con la nascita<br />

della NCO in risposta alla colonizzazione di Cosa Nostra, si verifica anche in<br />

Puglia, proprio in relazione al disegno dei cutoliani di dominio criminale<br />

sulla regione. Parte della criminalità locale inizia quindi a progettare la<br />

costituzione di consorterie delinquenziali endogene, sulla falsariga del<br />

modello organizzativo di quelle tradizionali.<br />

“Sia la collaborazione continuativa con esponenti delle famiglie<br />

mafiose, che la crescita delle opportunità di azione nei locali mercati leciti e<br />

356 R. Sciarrone, op.cit., p. 170.<br />

92


illeciti, costituiscono dei potenti stimoli alla maturazione e all’espansione<br />

delle formazioni criminali pugliesi”. 357<br />

Ma ciò che è importante osservare è che non è il semplice processo<br />

imitativo a conferire alla criminalità pugliese i caratteri di organizzazione<br />

mafiosa, ma è il riconoscimento che essa riesce ad ottenere dalle mafie<br />

tradizionali.<br />

“Nessuna di queste organizzazioni può muoversi nel panorama<br />

criminale nazionale e internazionale, senza l’appoggio e il riconoscimento<br />

della grandi famiglie mafiose siciliane, calabresi e campane.<br />

L’approvvigionamento dei prodotti del mercato criminale è infatti mediato<br />

da Cosa Nostra, dalla ‘ndrangheta e dalla camorra”. 358<br />

Nel momento in cui alle inevitabili tensioni legate al regime di<br />

sudditanza con la NCO ed alla forte pressione “fiscale” esercitata da<br />

quest’ultima si aggiunge la percezione della profonda crisi che essa sta<br />

vivendo, sia a seguito della repressione statale, sia per la faida che la<br />

contrappone ai clan rivali, parte della malavita pugliese tenta di andare ad<br />

occupare direttamente alcuni spazi nel mondo criminale della regione. In un<br />

rapporto del ROS (Raggruppamento Operativo Speciale) dell’Arma dei<br />

Carabinieri, a questo proposito si afferma: “intuiti i vantaggi che si potevano<br />

ricavare, si svincolarono in tempi successivi dall’iniziale regime di<br />

sudditanza ed imposizione che avevano con i cutoliani e si posero la<br />

prospettiva di consociarsi in un’unica organizzazione, di natura prettamente<br />

pugliese, con l’intento di gestire autonomamente le varie attività delittuose<br />

svolte in Puglia e i derivati ad esse connesse, nonché di controllare eventuali<br />

infiltrazioni di ogni qualsivoglia famiglia mafiosa, come già si era verificato<br />

con la NCO”. 359<br />

Esattamente come nel caso della nascita della NCO è anche in questo<br />

caso il carcere l’ambiente “naturale” ove progettare e realizzare l’avventura<br />

mafiosa “autonomista” pugliese. Ma le analogie con la genesi della camorra<br />

cutoliana si spingono oltre, poiché anche in Puglia il progetto di realizzare<br />

una mafia realmente autoctona, non potendo prescindere da un forte<br />

protettore criminale, viene realizzato sotto l’egida della ‘ndrangheta. Il 25<br />

357<br />

<strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1992), cit.,<br />

p.200.<br />

358<br />

Eurispes-Osservatorio permanente sui fenomeni criminali, La quarta mafia: percorsi e strategie della<br />

criminalità organizzata pugliese, cit., p. 76.<br />

359<br />

Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia,<br />

A.P., Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.7, Roma 1993, p.53.<br />

93


dicembre del 1981 Giuseppe Rogoli, originario di Mesagne nel brindisino ed<br />

all’epoca detenuto nel carcere di Bari a seguito di una condanna a ventitré<br />

anni di reclusione per omicidio a scopo di rapina, fonda la Sacra Corona<br />

Unita, la prima organizzazione mafiosa pugliese indipendente che si prefigge<br />

di dominare tutto il territorio della regione. 360 Il progetto è, come detto,<br />

orchestrato dalla ‘ndrangheta nella persona del potente boss Umberto<br />

Bellocco che in precedenza aveva “battezzato” lo stesso Rogoli. 361 Secondo il<br />

collaboratore di giustizia Annacondia: “il padre della Sacra Corona Unita era<br />

Umberto Bellocco, grande ‘ndranghetista, [essa] è stata fondata dalla<br />

Calabria”. 362<br />

Sull’importante ruolo svolto dalla ‘ndrangheta nella vicenda della<br />

nascita della Sacra Corona Unita si sono soffermati anche gli analisti del<br />

<strong>Ministero</strong> dell’Interno che nel Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata<br />

del 1994 hanno addirittura ipotizzato che alcuni ruoli di vertice<br />

dell’organizzazione pugliese sarebbero stati ricoperti da esponenti della<br />

mafia calabrese. 363<br />

Dal punto di vista organizzativo, secondo Gorgoni: “la Scu delle origini<br />

divide la Puglia in due aree di competenza: Bari e Foggia da una parte e<br />

Lecce, Brindisi e Taranto dall’altra. Ciascun’area è poi suddivisa in una serie<br />

di subaree. E’ ovvio che una così articolata suddivisione del territorio<br />

comporta un controllo gerarchico e quindi che i preposti al controllo delle<br />

zone abbiano, a seconda della loro importanza, un “grado””. 364<br />

L’idea originale di Rogoli prevedeva infatti una struttura piramidale<br />

sul modello di Cosa Nostra, 365 con otto livelli gerarchici suddivisi in tre fasce<br />

ed un articolato sistema di norme, mutuato dalle consorterie tradizionali, per<br />

regolare l’affiliazione e la promozione interna. 366 Ma l’ambizioso progetto di<br />

360 Cfr. Tribunale di Lecce, Sentenza contro De Tommasi G. più 133, Corte d’Assise, Lecce 1991.<br />

361 Ci si riferisce al rito di affiliazione ‘ndranghetista che, strumentalizzando il ritualismo cristiano, prevede per<br />

gli iniziati la cerimonia del battesimo con un “padrino” che funge da garante per il nuovo adepto.<br />

362 Commissione parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />

giustizia Salvatore Annacondia, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura,<br />

Seduta del 30 luglio 1993, Roma 1993, pp. 2458-2459.<br />

363 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1994),<br />

Tipografia del Senato, Roma 1995, p.124. Si noti inoltre che la stessa scelta del nome e della data di<br />

nascita della nuova consorteria è spiegabile con l’abitudine delle organizzazioni mafiose di servirsi<br />

di elementi sacri.<br />

364 R. Gorgoni, op.cit., p. 242.<br />

365 Cfr. L.Violante, Non è la piovra, cit., p. 119.<br />

366 Cfr. Arma dei Carabinieri, Studio sulla criminalità organizzata in Puglia, con particolare riferimento alla<br />

“Sacra Corona Unita”, Raggruppamento Operativo Speciale (ROS), Bari 1993.<br />

94


organizzare verticisticamente tutto il sottomondo criminale pugliese rimarrà<br />

un’aspirazione, poiché la struttura ideata da Rogoli non resisterà alla<br />

notevole conflittualità interna dei singoli gruppi e alla storica diffidenza e<br />

ostilità che divide, nel territorio pugliese, chi è originario della zona di Bari,<br />

da chi è foggiano o salentino.<br />

“Si afferma piuttosto una struttura ad arcipelago, caratterizzata dalla<br />

frammentazione delle cosche e, di conseguenza, da un’estrema<br />

parcellizzazione territoriale”. 367<br />

Peraltro, questa circostanza non costituirà un problema per la mafia<br />

pugliese poiché permetterà lo sviluppo di numerosi gruppi criminali,<br />

costituendo “un volano di crescita per le organizzazioni mafiose non<br />

ingessate in strutture verticistiche”. 368<br />

Inoltre, proprio la descritta mancanza di coesione interna sarà<br />

responsabile dell’attitudine operativa della SCU che, invece di essere mirata<br />

ad un capillare controllo del territorio sul modello del power syndicate<br />

tipicamente siciliano e calabrese, si caratterizzerà come enterprise syndicate,<br />

privilegiando l’accumulazione di ricchezza e la gestione dei mercati illegali; si<br />

osservino a questo proposito le riflessioni del collaboratore di giustizia<br />

Cosimo Cirfeda: “la filosofia della Sacra Corona Unita, così come concepita<br />

da Rogoli e dai suoi uomini più rappresentativi, è stata basata sul concetto<br />

puramente economico dell’attività della società per il quale l’avanzamento<br />

nella scala gerarchica della stessa non avveniva in base ad una valutazione<br />

dell’effettivo valore dell’uomo o in base al superamento di prove, anche di<br />

sangue, così come proveniva dall’insegnamento delle altre organizzazioni,<br />

bensì sulla valutazione fatta da Rogoli della capacità di qualsiasi persona di<br />

portare utili e ricavo a lui e ai suoi uomini”. 369<br />

Ciò non significa assolutamente che la SCU non sia identificabile col<br />

concetto di associazione mafiosa poiché, come ha osservato il magistrato<br />

Nicola Piacente, il suo carattere mafioso deriva comunque da una gestione<br />

dei mercati illegali che “passa attraverso la formazione e l’aggregazione del<br />

consenso” 370 e ciò può andare a costituire la premessa per un successivo<br />

stadio evolutivo maggiormente incentrato sul controllo del territorio.<br />

367 R.Sciarrone, op.cit., p. 173.<br />

368 R. Gorgoni, op.cit., p. 246.<br />

369 Cit. in N.Piacente, op.cit., p. 16.<br />

370 Ibidem.<br />

95


La Sacra Corona Unita ha palesato, sin dalle origini, una necessità<br />

quasi fisiologica di ricorrere ad un esasperato ritualismo, allo scopo di dotare<br />

un’organizzazione del tutto priva di tradizioni di un “marchio” di<br />

riconoscimento e di permettere ai propri adepti di avvertire in maniera più<br />

profonda la propria condizione di affiliati; dalle risultanze investigative è<br />

emerso che tali codici comportamentali e simbolici non vennero però<br />

realizzati semplicemente ricorrendo alla strumentalizzazione delle tradizioni<br />

pugliesi, ma invece trassero la propria origine da quelli delle mafie storiche,<br />

che venivano semplicemente rivisitati in chiave locale, rimanendo<br />

sostanzialmente immutati nelle proprie caratteristiche fondamentali. In<br />

particolare, sia perché la ‘ndrangheta mediante Bellocco 371 fu la consorteria di<br />

riferimento nella genesi della SCU, sia perché essa tra i sodalizi storici è senza<br />

dubbio quella che offre il più corposo bagaglio di simboli e rituali, fu proprio<br />

la mafia calabrese la principale fonte di ispirazione di Rogoli; ciò è vero sia<br />

per quanto concerne la redazione delle “leggi” e dei “rituali” pugliesi (nella<br />

documentazione sulle formule di giuramento e sui riti di iniziazione è<br />

costante il richiamo alla “Famiglia Montalbano” di cui si è riferito nel capitolo<br />

dedicato alle origini della ‘ndrangheta), sia per la stessa struttura<br />

organizzativa che man mano acquisirà la SCU; per Maritati: “tutti i gruppi<br />

organizzati pugliesi, di cui la Sacra corona unita rappresenta quello più<br />

agguerrito ed organizzato, presentano le caratteristiche delle cosche calabresi<br />

(‘ndrine), perché senza essere organizzati in una o più “famiglie” con<br />

strutture piramidali convergenti comunque in un unico organismo supremo<br />

di comando, operano invece in autonomia, accaparrandosi o spartendosi il<br />

territorio e le attività illecite più lucrose”. 372<br />

La SCU può, senza dubbio, essere considerata l’organizzazione<br />

criminale pugliese che ha operato in maniera maggiormente simile alle mafie<br />

tradizionali, 373 sia nella sua ricerca di coordinamento della criminalità<br />

regionale, sia per i suoi profondi legami con la ‘ndrangheta, sia per gli stabili<br />

collegamenti con altre organizzazioni pugliesi con cui vennero posti in essere<br />

“rapporti di confederazione, di alleanza o di subordinazione”. 374 Inoltre, sulla<br />

base dell’insegnamento della NCO, Rogoli tentò di realizzare un circuito di<br />

371 Oltre che con Bellocco, sono peraltro accertati collegamenti tra Rogoli e la ‘ndrangheta reggina di Paolo De<br />

Stefano (Cfr. L.Violante, Non è la piovra, cit., p.119).<br />

372 A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit., p. 131.<br />

373 Cfr. Tribunale di Lecce, Sentenza contro Leone P. più altri, Corte d’Appello, Lecce 1990 e Tribunale di<br />

Lecce, Ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Accettura R. più 68, Ufficio del Giudice per<br />

le indagini preliminari, Lecce 1993.<br />

374 R. Sciarrone, op.cit., p. 174.<br />

96


tutela e assistenza nei confronti dei detenuti che si affiliavano alla SCU,<br />

ottenendo il duplice risultato già sperimentato da Cutolo, di incrementare la<br />

coesione interna e di ottenere nuove affiliazioni nel sottomondo degli istituti<br />

di pena. 375<br />

Tuttavia, la storia della Sacra Corona Unita è quella di un sodalizio<br />

criminale che accantona rapidamente il progetto di dotarsi di una struttura<br />

coesa e piramidale sul modello siciliano. E’ comunque corretto osservare che<br />

tale evoluzione organizzativa non è esclusivamente riconducibile a concetti<br />

come le peculiarità etnico sociali regionali, la difficoltà di imporre una<br />

disciplina malavitosa ai propri aderenti, l’inesperienza di una organizzazione<br />

appena nata, ma anche al disegno delle mafie tradizionali teso ad evitare la<br />

costituzione di un quarto polo mafioso che col tempo avrebbe potuto divenire<br />

un temibile concorrente. La profonda conflittualità, le scissioni e<br />

riunificazioni, la creazione di altre consorterie pugliesi che non riconoscono<br />

alla SCU il monopolio dell’illecito sull’intera regione, sottintendono, oltre che<br />

una fragile unità organizzativa, soprattutto l’influenza “delle altre<br />

organizzazioni che avevano adottato in Puglia il principio del divide et impera.<br />

Mentre in Calabria Cosa Nostra era intervenuta per mettere fine alla guerra<br />

di mafia di Reggio Calabria, nessuno sarebbe mai intervenuto in Puglia per<br />

mettere un po’ d’ordine. Evidentemente l’ordine in Puglia non<br />

interessava”. 376<br />

Già nel febbraio del 1984 nel carcere di Pianosa viene creata la<br />

“Famiglia Salentina Libera”, ad opera del leccese Salvatore Rizzo che<br />

intendeva rivendicare l’autonomia della criminalità del Salento dal disegno<br />

monopolizzatore della Sacra Corona Unita.<br />

Poi, a seguito delle ammissioni di Rogoli rese al giudice istruttore di<br />

Bari Alberto Maritati nel maggio dello stesso anno in ordine all’effettiva<br />

esistenza della SCU ed alla sua funzione di coordinamento e<br />

regolamentazione della criminalità pugliese, gli affiliati di Foggia e Bari se ne<br />

scindono ed il ramo leccese si rifonda con il nome di “Remo Lecce Libera” 377 ;<br />

a riprova del profondo disordine che contraddistingue la criminalità<br />

organizzata pugliese, nel 1986 anche la Famiglia Salentina Libera si dissolve e<br />

viene sostituita da un nuovo sodalizio che prende il nome di “Nuova<br />

375 Cfr. Tribunale di Lecce, Sentenza contro De Tommasi G. più 133, cit.<br />

376 L.Violante, Non è la piovra, cit., pp. 119-120.<br />

377 Dal nome di un criminale locale, Remo Morello, che era stato ucciso nei primi anni ottanta da uomini della<br />

NCO poiché si opponeva fermamente ai tentativi di colonizzazione dell’organizzazione campana (Cfr. R.<br />

Sciarrone, op.cit., p. 175).<br />

97


Famiglia Salentina,” che si propone di instaurare una pacifica coesistenza con<br />

la SCU fondata su un’equa suddivisione delle aree illegali. Rogoli,<br />

consapevole del momento estremamente complesso vissuto dalla SCU che sta<br />

perdendo quel poco della coesione organizzativa raggiunta, fonda la “Nuova<br />

Sacra Corona Unita,” ma non riesce comunque a riassorbire i gruppi foggiani,<br />

che intendono serbare la propria autonomia. Ancora più complessa è la<br />

situazione nel barese, dove operano diverse entità criminali autonome: alcuni<br />

sodalizi nel 1987, grazie all’appoggio della cosca Fidanzati appartenente a<br />

Cosa Nostra e con il beneplacito della ‘ndrangheta e dello stesso Rogoli che è<br />

consapevole di non potere agire diversamente, si associano in una nuova<br />

consorteria che verrà denominata “La Rosa” con a capo il boss Oronzo<br />

Romano; 378 ma il territorio di Bari nel quadriennio 1989-1992 sarà teatro di<br />

una cruenta faida, poiché altri gruppi si schiereranno con la potente famiglia<br />

di Savino Parisi, che spadroneggia sul rione Japigia, ed altri ancora con il<br />

gruppo facente capo al boss Salvatore Annacondia, personalmente affiliato dal<br />

1989 a Cosa Nostra. Essere affiliati alla mafia siciliana, come ha ammesso lo<br />

stesso Annacondia, 379 garantiva sia una forma di tutela dalla conflittualità che<br />

stava sconvolgendo il territorio del capoluogo pugliese, sia la possibilità di<br />

operare sotto il “marchio” di Cosa Nostra che era unanimemente riconosciuto<br />

nei mercati illeciti nazionali ed internazionali. 380<br />

Un’altra importante organizzazione autoctona operante sul territorio<br />

pugliese è la “Rosa dei Venti”, fondata nel settembre del 1990, nel carcere di<br />

Lecce, dai pregiudicati De Tommasi e Stranieri ancora una volta per sancire<br />

l’autonomia della criminalità salentina dal resto della regione. Dietro alla<br />

nascita di quest’ultima consorteria ci sarebbero ancora una volta alcuni<br />

gruppi criminali calabresi, 381 ma le risultanze giudiziarie raccontano che vi<br />

sarebbe anche una componente riferibile alle dinamiche di interazione<br />

profondamente conflittuali che contraddistinguono i rapporti tra esponenti<br />

della malavita pugliese; infatti pare che la “Rosa dei Venti” tragga la propria<br />

origine soprattutto dall’odio che separava Rogoli da De Tommasi e dal grave<br />

affronto subito da quest’ultimo che aveva dovuto prendere atto del rifiuto di<br />

Rogoli, all’atto del suo ingresso nel carcere di Lecce, di farsi recludere nel suo<br />

378<br />

Cfr. Eurispes-Osservatorio permanente sui fenomeni criminali, La quarta mafia: percorsi e strategie della<br />

criminalità organizzata pugliese, cit., p. 58.<br />

379<br />

Cfr. Commissione parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />

giustizia Salvatore Annacondia, cit., p.2462.<br />

380<br />

Cfr. D.Gambetta, La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Einaudi, Torino 1992, p. 216.<br />

381<br />

Cfr., <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1994),<br />

cit., pp. 124 sgg.<br />

98


stesso braccio, preferendo proprio quello dove si trovavano gli assassini di<br />

suo fratello. 382<br />

Quest’ultimo aneddoto è profondamente esemplificativo di due aspetti<br />

ricorrenti nelle dinamiche evolutive vissute dalla “quarta mafia”: il primo è<br />

che esse sono senza dubbio condizionate dalle mire espansionistiche delle<br />

mafie tradizionali (in questo caso della ‘ndrangheta), ma anche notevolmente<br />

influenzate dalle rivendicazioni autonomistiche dei gruppi autoctoni e<br />

soprattutto dai rapporti spesso contrastanti tra i leader; il secondo è invece da<br />

riferirsi alla predilezione di alcuni tra i principali sodalizi criminali pugliesi<br />

(Sacra Corona Unita, Nuova Sacra Corona Unita, Remo Lecce Libera, Rosa<br />

dei Venti) nell’instaurare rapporti con la ‘ndrangheta, “storicamente intesa<br />

come associazione madre più completa.” 383 Le cosche pugliesi, pur<br />

manifestando istanze autonomiste, hanno spesso non solo tollerato, ma<br />

addirittura sollecitato un riconoscimento, considerato prestigioso, da parte<br />

della ‘ndrangheta, in aperto contrasto con l’atteggiamento serbato nei<br />

confronti della camorra. Enzo Ciconte ha tentato di fornire una spiegazione a<br />

questa differente attitudine nei confronti delle mafie esogene: “probabilmente<br />

perché la ‘ndrangheta nel rapporto con le altre organizzazioni si muoveva<br />

lungo una via che era quella di stabilire zone di influenza per portare avanti i<br />

propri traffici illeciti senza porsi problemi di egemonia o di predominio<br />

ossessivo sulle altre organizzazioni e senza ledere l’autonomia altrui.<br />

Sembrano stabilirsi rapporti, per così dire, alla pari. I calabresi si sono sempre<br />

ben guardati dall’interferire nelle guerre interne alle altre organizzazioni. Le<br />

consideravano come faccende di quelle organizzazioni, che dovevano<br />

dirimere da sole”. 384<br />

Ma, a prescindere del rapporto spesso privilegiato intessuto con la<br />

‘ndrangheta, pare interessante evidenziare come il processo di<br />

mafiosizzazione della Puglia si sia differenziato da quello di altre aree italiane<br />

soggette all’espansione di sodalizi criminali esogeni, come per esempio<br />

alcune regioni del Nord. In queste zone la colonizzazione non ha prodotto il<br />

risultato, verificatosi invece in Puglia, di dare vita ad una forte mafia locale,<br />

non ha insomma, per usare le parole di Gorgoni, dato luogo a “crimine<br />

382 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 175.<br />

383 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Relazione sull’attività delle forze di polizia e sullo stato dell’ordine e della<br />

sicurezza pubblica nel territorio nazionale (anno 1995), Tipografia del Senato, Roma 1996.<br />

384 E. Ciconte, Processo alla ‘ndrangheta, Laterza, Roma-Bari 1996, p.208.<br />

99


organizzato con tendenze antagoniste.” 385 Qui, la malavita locale solo<br />

raramente ha intrapreso azioni di contrasto alla penetrazione esogena,<br />

preferendo propendere per un atteggiamento accomodante, improntato al<br />

raggiungimento di accordi per il rispetto delle rispettive aree illecite di<br />

interesse, che è spesso culminato in una posizione subalterna rispetto alle<br />

potenti mafie colonizzatrici. 386<br />

3.3 Il contrabbando<br />

Il più redditizio traffico illecito della Sacra Corona Unita resta ancora il<br />

contrabbando, il quale ha purtroppo finito con il costituire una fondamentale<br />

risorsa dell’economia regionale, se solo si pensa all’elevato numero di<br />

persone anche non affiliate coinvolte in qualità di manovalanza nelle<br />

operazioni di imbarco e sbarco e ai numerosi depositi ubicati sul territorio. 387<br />

Questa attività illegale che, come si è sottolineato precedentemente, è stata<br />

tradizionalmente praticata dalla malavita pugliese, ha vissuto, al termine del<br />

processo che ha determinato l’egemonia della Sacra Corona Unita, un<br />

ulteriore sviluppo, poiché alla flessibilità operativa garantita da molteplici<br />

organizzazioni satelliti e indipendenti 388 , dunque molto difficili da<br />

contrastare, si è aggiunta una forte sovrastruttura in grado di ottimizzarne la<br />

gestione complessiva e di condurre efficacemente la contrattazione sui<br />

mercati internazionali sia con altre consorterie illegali, sia con gli stessi<br />

produttori di sigarette. E’ infatti documentato addirittura un tentativo di<br />

compenetrazione nella struttura societaria della Philip Morris, attraverso<br />

l’acquisto di consistenti quote azionarie della multinazionale americana del<br />

tabacco. 389<br />

A ciò si deve aggiungere che la superiorità organizzativa e la forza<br />

militare raggiunte dalla Sacra Corona Unita hanno permesso a quest’ultima<br />

di imporre il meccanismo della protezione – estorsione su tutte le transazioni<br />

385<br />

R. Gorgoni, op.cit., p. 23.<br />

386<br />

Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 176.<br />

387<br />

Cfr. N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, intervista di L. Rastello, in<br />

“Narcomafie”, 7, 1995, p. 15.<br />

388<br />

Cfr. Questura di Brindisi, Informativa di denuncia a carico di Andriola più altri, Brindisi 1994.<br />

389<br />

Cfr. N. Piacente, Seconda a nessuno, cit., pp. 16-17.<br />

100


illegali svolte nella regione, comprese quelle tra soggetti non mafiosi in senso<br />

stretto. 390<br />

Il giudice Falcone in ordine alla pratica del contrabbando osservava: “il<br />

contrabbando è stato a lungo ritenuto una violazione di lieve entità perfino<br />

negli ambienti investigativi e giudiziari ed il contrabbandiere è stato<br />

addirittura tratteggiato dalla letteratura e dalla filmologia come un romantico<br />

avventuriero. La realtà era però ben diversa…” 391<br />

Purtroppo il contrabbando è stato a lungo considerato un’attività<br />

illecita minore, in funzione dello scarso allarme sociale da esso destato e della<br />

sua effettiva funzione di ammortizzatore sociale che riesce a realizzare in<br />

realtà fortemente soggette alla disoccupazione ed alla povertà; chiunque<br />

abbia avuto la possibilità di visitare Brindisi o Taranto può capire quanto sia<br />

diffusa questa pratica anche tra chi non si considera, e non può effettivamente<br />

essere ritenuto un mafioso. La Sacra Corona Unita ha saputo sfruttare al<br />

massimo questa situazione, passando a gestirlo mediante una metodologia<br />

mafiosa.<br />

“La circostanza che il contrabbando avesse una così grande diffusione<br />

poteva consentire all’organizzazione che ne avesse acquisito il controllo e la<br />

gestione diretta di puntare sulla contiguità, se non sull’affiliazione di un<br />

numero enorme di persone. E questo significa controllo del territorio”. 392<br />

La peculiare geopolitica regionale, con le coste dell’ex Jugoslavia a<br />

poche miglia nautiche di distanza, ha consentito alla Sacra Corona Unita,<br />

soprattutto dopo le note vicende del conflitto serbo-croato, “di fare il salto di<br />

qualità o, quantomeno, di accreditarsi rispetto alle altre organizzazioni<br />

criminali come interlocutrice privilegiata per alcuni traffici.” 393<br />

Le vicende politiche dell’ex Jugoslavia e la profonda instabilità che ne è<br />

conseguita, associata alla repressione che ha colpito gli affiliati della Sacra<br />

Corona Unita, hanno indotto questi ultimi a cercare rifugio sulle coste<br />

montenegrine dove è anche stato possibile, grazie alla connivenza delle forze<br />

di polizia locali, creare infrastrutture per il contrabbando di sigarette.<br />

390<br />

Cfr. M. Fiasco, Geopolitica mafiosa del Mediterraneo. Il modello italiano di contrasto del crimine<br />

organizzato, Mimeo, Bruxelles 1995, p. 7.<br />

391<br />

G. Falcone, Interventi e proposte (1982-1992), Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, Sansoni, Firenze<br />

1994, p.322.<br />

392 N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, cit., p. 15. Si noti, proprio in tale<br />

fattispecie, quanto siano simili le strategie ed il modus operandi della mafia pugliese e della camorra<br />

393 N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, cit., p. 15.<br />

101


“Dopo i colpi che subisce tra il 1991 e il 1993, la SCU trasferisce la<br />

direzione strategica nel Montenegro, incoraggiata dal disordine istituzionale<br />

che offre sicurezza ai suoi latitanti […]. Dalla nuova sede operativa, i grandi<br />

latitanti brindisini saggiano le potenzialità che offrono gli eventi di guerra per<br />

valorizzare le loro risorse, che consistono nella spendibilità del network del<br />

contrabbando per muovere carichi di armi e di valuta, oltre che nei<br />

collegamenti tra oriente e l’Europa. Attorno a quel nucleo salentino si forma<br />

un milieu di criminali baresi, siciliani, calabresi”. 394<br />

Questa strategia è stata poi responsabile di un ulteriore risultato: si è<br />

accelerato il processo di conversione del network del contrabbando in una<br />

struttura pronta a garantire una proficua conduzione di altri traffici illeciti<br />

prettamente strumentali alle condizioni di guerra, 395 primo fra tutti quello di<br />

armi 396 ed in misura minore quello di droga. 397<br />

“A questo proposito è necessario precisare che l’intreccio tra tabacchi<br />

lavorati esteri e droga non avveniva - e non avviene neppure oggi – nel senso<br />

di una sovrapposizione dei canali di traffico. Il valore di ciascuna merce,<br />

inversamente proporzionale al volume, è troppo differente. I rischi di una<br />

commistione nel trasporto e nella distribuzione sarebbero troppo alti.<br />

Tuttavia è ampiamente mostrato che il know-how accumulato dalle diverse<br />

organizzazioni criminali nel contrabbando ha finito poi per rivelarsi<br />

spendibilissimo nei traffici più diversi, dalle droghe leggere e pesanti alle<br />

armi”. 398<br />

Contrariamente a quanto prima osservato per il contrabbando di<br />

tabacchi, la Sacra Corona Unita non è riuscita a interagire direttamente con i<br />

grandi produttori internazionali di stupefacenti, ma ha dovuto<br />

frequentemente fare ricorso ad intermediari appartenenti alle mafie<br />

tradizionali; la scelta di impegnarsi maggiormente nella risorsa locale<br />

394<br />

M. Fiasco, op.cit., p.6.<br />

395<br />

Ibidem.<br />

396<br />

E’ infatti noto che questo processo ha finito con il rendere le cosche pugliesi le più importanti fornitrici<br />

d’armi alle altre organizzazioni criminali italiane. (Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno<br />

della criminalità organizzata (anno 1995), Tipografia del Senato, Roma 1996, p. 19).<br />

397<br />

Pare che questa attività illecita fosse inizialmente stata sfruttata solamente da alcuni gruppi criminali e non<br />

dall’organizzazione nel suo complesso ( Cfr. Tribunale di Lecce, Sentenza contro De Tommasi G. più 133, cit.,<br />

pp.143 sgg.); poi, proprio a seguito del conflitto jugoslavo e del conseguente dirottamento del traffico di droga<br />

sulle cosche pugliesi, si è assistito ad un ben più marcato interesse della mafia pugliese per questa attività. I<br />

trafficanti sono infatti stati costretti “ ad utilizzare, in alternativa alla parte terminale della classica “rotta<br />

balcanica”, un nuovo percorso marittimo che prevede lo sbarco della droga nei porti pugliesi ed il suo<br />

trasferimento al Nord via autostrada.” (<strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della<br />

criminalità organizzata (anno 1992), cit., pp. 210-211).<br />

398<br />

R. Gorgoni, op.cit., p. 265.<br />

102


costituita dal contrabbando può dunque essere interpretata come funzionale<br />

alla creazione di un regime di monopolio gestionale su almeno un’attività<br />

illecita, caratteristica che una vera mafia deve assolutamente detenere, alfine<br />

di accreditare la propria reputazione nel panorama criminale nazionale ed<br />

internazionale. A questo proposito, il magistrato Nicola Piacente ha<br />

osservato: “il percorso strategico della Scu è inverso rispetto a quello di<br />

‘ndrangheta e camorra, società contrabbandiere convertitesi col tempo agli<br />

stupefacenti: la Scu nasce come organizzazione che, quanto meno in Puglia,<br />

intende assumere il controllo della droga, non ce la fa e si converte, sia pure<br />

con l’introduzione di metodologie mafiose, al contrabbando”. 399<br />

Contrariamente a quanto spesso sostenuto dai mass media ed alla<br />

diffusa convinzione dell’opinione pubblica, un’attività illecita nei confronti<br />

della quale la mafia pugliese si è tutto sommato disinteressata è quella<br />

dell’immigrazione clandestina; 400 l’interesse della SCU per il traffico di esseri<br />

umani pare infatti essere limitato al meccanismo dell’estorsione-protezione<br />

nei confronti di quei soggetti criminali che ne sono protagonisti; 401 essa non vi<br />

parteciperebbe direttamente “perché assicura guadagni tutto sommato<br />

ristretti rispetto al contrabbando e comporta margini di rischio notevoli, per<br />

la possibilità che le persone trasportate collaborino con le autorità italiane.” 402<br />

Le risultanze investigative hanno evidenziato che la gestione di questo<br />

business è nelle mani di alcune organizzazioni albanesi che hanno tentato di<br />

trovare dei partner italiani ma, considerato il manifesto disinteresse delle<br />

organizzazioni mafiose, si sono orientate verso “soggetti che molto spesso<br />

avevano avuto dei trascorsi economici non propriamente brillanti: falliti,<br />

protestati, persone considerate assolutamente inaffidabili dalle banche che<br />

hanno svolto una vera e propria attività di supporto logistico nei confronti<br />

delle organizzazioni albanesi.” 403 Infatti, secondo il <strong>Ministero</strong> dell’Interno:<br />

“non si hanno, allo stato, risultanze che confermino la costituzione tra gli<br />

albanesi di organizzazioni criminali di tipo mafioso, né la loro affiliazione a<br />

quelle presenti in Italia”. 404<br />

399<br />

N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, cit., p. 16.<br />

400<br />

Ivi, p. 15.<br />

401<br />

Cfr. M. Fiasco, op.cit., p. 7.<br />

402<br />

N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, cit., p. 17.<br />

403<br />

N. Piacente, Seconda a nessuno, cit., p. 19.<br />

404<br />

<strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata (anno 1996),<br />

Tipografia del Senato, Roma 1997.<br />

103


Esiste invece una spartizione dei contesti illegali che permette ai gruppi<br />

albanesi di gestire i loro traffici illeciti, dietro il pagamento di una tangente<br />

alla criminalità autoctona, “legittima proprietaria” del territorio pugliese.<br />

“Esiste dunque una direttrice di ingresso in Italia di tabacchi lavorati<br />

esteri e di armi che provengono dalla ex Jugoslavia gestita in maniera<br />

monopolistica dalla Scu, e una direttrice di ingresso di clandestini e droghe –<br />

leggere, perché gli albanesi non hanno mai avuto contatti diretti con le grandi<br />

organizzazioni del narcotraffico internazionale – che proviene dall’Albania e<br />

che è gestita direttamente da organizzazioni albanesi, e se ci sono componenti<br />

italiani in questa organizzazione, non fanno parte della Scu”. 405<br />

Questa “coabitazione” dell’illegalità da parte di gruppi criminali<br />

diversi è particolarmente sviluppata nella zona di Brindisi, dove “si assiste<br />

alla presenza contestuale nello stesso territorio di alcune organizzazioni<br />

criminali che hanno trovato un loro punto di equilibrio per quanto riguarda<br />

le attività illecite che devono svolgere e i capitali da reinvestire.” 406<br />

Come osservato da Barbagli, anche se negli ultimi anni il numero di<br />

reati commesso da immigrati è decisamente aumentato, non risulta ancora<br />

che essi siano entrati nei settori illegali gestiti dalla mafia pugliese 407 , in<br />

ossequio ad una logica non conflittuale, probabilmente risultato di un<br />

accordo consensuale per la spartizione dei mercati illegali. 408<br />

3.4 Caratteristiche<br />

Tralasciando l’analisi della distribuzione territoriale e numerica per<br />

province dei singoli sodalizi e degli affiliati, è comunque ora possibile<br />

delineare quali siano le caratteristiche più significative della mafia pugliese.<br />

Secondo gli analisti del Viminale: “le manifestazioni criminali pugliesi<br />

sono in gran parte riconducibili alla categoria del gangsterismo urbano: si<br />

tratta per lo più di bande composte da un numero consistente di individui,<br />

che si caratterizzano per un’età media relativamente bassa, una elevata<br />

eterogeneità socio-culturale derivante dalla scarsa severità dei criteri di<br />

405<br />

N. Piacente, Seconda a nessuno, cit., p. 19.<br />

406<br />

Ibidem.<br />

407<br />

Cfr. M. Barbagli, Immigrazione e criminalità in Italia, Il Mulino, Bologna 1998, p.72.<br />

408 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 184.<br />

104


eclutamento, ed una bassa capacità di infiltrazione e di manipolazione delle<br />

istituzioni pubbliche”. 409<br />

Ciò che pare emergere è dunque che, per quanto le varie consorterie<br />

mafiose pugliesi abbiano a più riprese palesato una sorta di “predilezione”<br />

per il modello offerto dalla ‘ndrangheta, cui corrisponde un ben più<br />

sporadico ricorso a rapporti organici con Cosa Nostra e addirittura una forte<br />

avversione per la camorra e per il suo tentativo di colonizzazione e controllo<br />

della criminalità autoctona, in concreto invece è proprio con quest’ultimo<br />

sodalizio, perlomeno nelle sue manifestazioni più recenti, che si possono<br />

riscontrare le maggiori affinità.<br />

Innanzitutto il carattere di criminalità di massa, con la capacità di<br />

governare la disperazione sociale ed un consistente ricorso al reclutamento di<br />

manovalanza, spesso minorile 410 , da qualsiasi ambito delinquenziale, in<br />

ossequio ad una manifesta labilità dei criteri di reclutamento; 411 la pressoché<br />

totale mancanza del ricorso al familismo nella formazione delle cosche, che<br />

viene sostituito da un altro requisito di identificazione: la comune origine<br />

territoriale; 412 la struttura pulviscolare, o ad arcipelago, che se da un lato<br />

conferisce elasticità e flessibilità all’organizzazione, dall’altro la pone nella<br />

necessità di fronteggiare una sorta di conflitto perenne tra i singoli clan e,<br />

all’interno degli stessi, tra gli affiliati che vivono questa mancanza di<br />

coesione come una chance di affermazione personale; il carattere “aperto” e<br />

dinamico delle cosche che le porta ad un frequente interscambio con altre<br />

forme criminali “che si sviluppa secondo logiche di alleanza, di<br />

inglobamento, di confederazione” 413 ed all’attribuzione della leadership<br />

interna ad individui anche di giovane età; la scarsa compenetrazione, se<br />

409<br />

<strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata ( anno 1992), cit.,<br />

p.202.<br />

410<br />

“Una specificità della mafia pugliese, che l’accomuna alla camorra, è l’utilizzazione di minori. Si tratta però<br />

di un fenomeno non omogeneo sul territorio regionale; il dato è rilevante nelle province di Bari e Foggia, lo è<br />

meno a Brindisi e Lecce. Si può trarre un principio da questa prima valutazione, per il quale a forme<br />

consolidate e strutturate di criminalità corrisponde un basso ricorso ai minori; al contrario le organizzazioni<br />

criminali meno strutturate tendono a utilizzare ogni tipo di disponibilità, compresa quella minorile. Infatti a<br />

Brindisi e Lecce c’è tradizionalmente una criminalità più strutturata rispetto a Bari e Foggia. Il principio<br />

sembrerebbe confermato guardando a Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra. Le prime due organizzazioni non si<br />

avvalgono di minori. La camorra, invece, che è molto più labile dal punto di vista organizzativo, se ne avvale<br />

ampiamente.” (L. Violante, Non è la piovra, cit., pp. 136-137).<br />

411<br />

Si pensi, solo per fare un esempio, all’elevata probabilità di trovare tra le file degli affiliati alla mafia<br />

pugliese ed alla camorra tossicodipendenti o spacciatori, eventualità assolutamente impensabile nella<br />

‘ndrangheta ed in Cosa Nostra dove l’estrema rigidità dei criteri selettivi non permette a queste categorie di<br />

entrare nelle cosche.<br />

412<br />

Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 178.<br />

413<br />

Cfr. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, cit., p.20.<br />

105


affrontata a quella di Cosa Nostra e ‘ndrangheta, dei centri di potere; la<br />

bassa età media degli affiliati.<br />

Si potrebbe motivare una così marcata affinità tra la mafia pugliese e la<br />

camorra ricordando come l’unica consorteria tradizionale che abbia attuato<br />

un progetto di palese colonizzazione della Puglia sia stata proprio<br />

quest’ultima, e che quindi il “marchio” impresso dai cutoliani sia penetrato<br />

così a fondo nella criminalità autoctona da influenzarne ineluttabilmente lo<br />

sviluppo successivo; tuttavia questa interpretazione pare un po’ troppo<br />

semplicistica, considerato il breve periodo di effettivo dominio della NCO.<br />

Più probabilmente, queste marcate analogie con la mafia campana sono da<br />

imputarsi ad altri due fattori: innanzitutto entrambe le consorterie contano su<br />

un’origine urbana e non rurale e tale circostanza, come è emerso nel<br />

paragrafo dedicato alle caratteristiche della camorra, è come minimo<br />

responsabile del loro comune carattere di massa e di strumentalizzazione<br />

della disperazione sociale. Secondariamente, per quanto la camorra esista<br />

almeno da duecento anni, pare corretto porre l’accento sul fatto che le<br />

caratteristiche assunte da questa entità nell’ultimo trentennio non hanno<br />

quasi nulla a che vedere con il modello originario 414 ; si ritiene quindi<br />

accettabile l’affermazione secondo cui anche la camorra attuale sia, tutto<br />

sommato, una mafia relativamente giovane come senza dubbio è la sua<br />

omologa pugliese. In tal senso, il tentativo cutoliano di strumentalizzare il<br />

ritualismo della camorra delle origini allo scopo di sollecitare il senso di<br />

appartenenza e di nobilitare la figura del camorrista si potrebbe definire un<br />

bluff, considerate quelle che sono state poi concretamente le caratteristiche<br />

espresse dagli affiliati alla NCO, che ben poco hanno avuto a che vedere con i<br />

camorristi pro-plebe ottocenteschi. Ben diversa è la profonda continuità che<br />

sia Cosa Nostra che la ‘ndrangheta hanno saputo mantenere nella loro storia.<br />

Adottando questa chiave di lettura della camorra, diviene quindi<br />

possibile sottolineare come le analogie precedentemente elencate tra i due<br />

sodalizi possano essere imputate alla mancanza di radicamento e di<br />

tradizione che entrambi, seppur in misura diversa, condividono.<br />

Un’altra peculiarità della mafia pugliese è l’avere mantenuto, anche al<br />

termine del processo di autonomizzazione, stretti legami con le mafie<br />

tradizionali, quasi a significare che la nascita di una criminalità organizzata<br />

endogena, invece di avere espulso dalla gestione dei traffici illeciti della<br />

414 Ibidem.<br />

106


egione i gruppi appartenenti a Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra, li abbia<br />

posti nella condizione di potere operare in un habitat criminale maggiormente<br />

organizzato e quindi più efficiente sotto l’aspetto dei risultati. Per Maritati<br />

infatti: “mentre prima, per il compimento di singole operazioni criminali, le<br />

varie mafie erano costrette a scegliere volta per volta l’interlocutore ed il socio<br />

locale, con tutti gli imprevisti e i rischi di una più ridotta “professionalità”;<br />

attualmente le alleanze sembrano essere divenute più rapide ed agevoli,<br />

atteso che il collegamento e l’alleanza viene stabilita sulla base della materia<br />

trattata (contrabbando di sigarette, armi, droga, rapimenti, ecc.), del ruolo<br />

rivestito in loco dai vari capi e dalle zone di influenza territoriale”. 415<br />

A riprova di tali considerazioni, sono accertati stretti legami con le tre<br />

mafie tradizionali soprattutto nella zona della provincia di Taranto. 416 E’<br />

comunque sempre preponderante il rapporto con la ‘ndrangheta,<br />

probabilmente in ossequio alla contiguità geografica tra le due regioni, che è<br />

talmente forte da permettere addirittura l’inserimento di capibastone<br />

calabresi nei vertici dei gruppi locali; nei confronti di Cosa Nostra vi sono<br />

semplici scambi di uomini e dotazioni per la realizzazione di omicidi,<br />

attentati e rapine, mentre con la camorra permangono legami d’affari<br />

strumentali al contrabbando ed al più recente business dello smaltimento<br />

illecito di rifiuti. 417<br />

“Il processo di imitazione delle mafie tradizionali da parte delle<br />

formazioni criminali pugliesi si evidenzia con la massima intensità nel<br />

frequente ricorso a una simbologia che risulta molto simile a quella tipica<br />

della camorra e soprattutto della ‘ndrangheta, sia pure con l’inserimento di<br />

elementi appartenenti alla tradizione locale (o che tali vengono fatti<br />

apparire)”. 418<br />

Se la propensione ad un marcato ritualismo è tradizionalmente<br />

presente nelle organizzazioni storiche, è ancor più importante nel caso di un<br />

nuovo sodalizio dove si supplisce all’oggettiva mancanza di un codice<br />

culturale radicato con il ricorso ad un esasperato e spesso fittizio ritualismo.<br />

Come ha rilevato Gambetta: “l’appropriazione (e la manipolazione) di una<br />

degna tradizione è pratica comune di ogni istituzione per elevare il proprio<br />

status agli occhi degli altri, e per rafforzare la coesione interna”. 419<br />

415 A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit., p. 133.<br />

416 Cfr. Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in<br />

Puglia, cit., pp. 35-36.<br />

417<br />

Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 180.<br />

418<br />

Ivi, p. 184.<br />

419<br />

D. Gambetta, op.cit., p. 186.<br />

107


Come rilevato precedentemente, sotto questo punto di vista la<br />

principale fonte di ispirazione della mafia pugliese è stata la ‘ndrangheta, ed<br />

in misura minore la camorra. Effettivamente questa predilezione per i<br />

modelli simbolici calabresi e campani, cui corrisponde un palese disinteresse<br />

per quelli offerti da Cosa Nostra, trova la sua motivazione nelle numerose<br />

somiglianze nei codici e nei rituali di camorra e ‘ndrangheta e nella scarsa<br />

affinità di questi ultimi con quelli della mafia siciliana 420 ; come ha evidenziato<br />

Ciconte: “è comune alla camorra e alla ‘ndrangheta la pratica costante di una<br />

accentuata e accurata simbologia che si coglie a piene mani. Segno di una<br />

comunanza, di un rapporto stabilitosi nel tempo”. 421<br />

Come avevano a suo tempo fatto le organizzazioni tradizionali, anche<br />

quelle pugliesi si circondano di un apparato simbolico che sembra derivare<br />

“da un cocktail quasi surreale di fonti false e autentiche, personaggi mitici e<br />

quotidiani, invenzione e realtà;” 422 la differenza è che esse lo copiano<br />

direttamente dalle tradizioni dei modelli vincenti offerti dalle mafie storiche.<br />

Tuttavia, la caratteristica di avere importato i propri codici da fonti esterne e<br />

non averne quindi elaborati di propri non implica affatto che “siano senza<br />

scopo, né che gli importatori stessi, in questo caso la mafia, non siano autentici,<br />

quasi che la falsità della simbologia li potesse contaminare. Tale pensiero si<br />

fonda sulla convinzione che coloro i quali non producono i propri simboli,<br />

ma li copiano, siano essi stessi inautentici: trasposta nel mondo comune<br />

questa idea è ovviamente ridicola.” 423<br />

Specificamente, i rituali adottati dal principale gruppo mafioso<br />

pugliese, la Sacra Corona Unita, hanno una manifesta origine ‘ndranghetista<br />

cui si affiancano una serie di innovazioni autoctone: per esempio,<br />

analizzando la complessa “liturgia” prevista per il passaggio di grado<br />

all’interno dell’organizzazione, si possono osservare elementi tipicamente<br />

calabresi, come l’invocazione ai tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e<br />

Carcagnosso, o il richiamo alla tradizione massonica con Garibaldi,<br />

Lamarmora e Mazzini, affiancati da riferimenti a personaggi mutuati dalla<br />

letteratura (il Conte Ugolino, Fiorentin di Russia, Cavalier di Spagna, Athos e<br />

Porthos) e dalla storia antica e moderna (Carlo Magno, Cavour). Inoltre si<br />

provvede alla realizzazione dei cosiddetti “Rintagli” che Gorgoni ha definito:<br />

420 Ivi., pp. 211-212.<br />

421 E. Ciconte, ‘Ndrangheta dall’Unità a oggi, cit., p. 24.<br />

422 D. Gambetta, op.cit., p. 178.<br />

423 Ivi, p. 187.<br />

108


“una serie di dialoghi, di gesti, di comportamenti necessari al riconoscimento<br />

tra affiliati che non si conoscono.” 424<br />

“L’antropologo Alfonso Maria Di Nola, nel commentare queste<br />

formule, ricorda che esse si riferiscono a varie simbologie, cattolica,<br />

pseudomassonica, veteroborbonica, scelte probabilmente per la loro idoneità<br />

a confermare il vincolo tra gli affiliati sulla base di quanto appare, alla<br />

modesta cultura di queste persone, idoneo allo scopo. L’espressione Sacra<br />

Corona era il titolo con il quale ci si rivolgeva ai sovrani borbonici sino a metà<br />

dell’Ottocento”. 425<br />

La necessità di garantire agli affiliati di un’organizzazione giovane un<br />

“marchio” di garanzia ed una forte identità interna, determina l’esigenza di<br />

inventare una tradizione dove non c’è, fondata su complessi riti nei quali si<br />

mescolano elementi sacri e profani. 426<br />

“Il significato profondo di questo “patrimonio culturale” – mutuato in<br />

larga parte dalla più antica tradizione ‘ndranghetista – non è da ricercare<br />

esclusivamente nei contenuti che veicola, spesso del tutto privi di senso, ma<br />

nella dimensione psicologica che crea e che assume un ruolo centrale nel<br />

processo di costruzione di identità in cui risultano coinvolti non solo i singoli<br />

affiliati, ma l’organizzazione nel suo complesso”. 427<br />

Vi è peraltro una grande differenza con il ritualismo proprio delle<br />

mafie tradizionali: un ricorso esasperato agli elementi mitologici e sacrali.<br />

Analizzando i codici pugliesi, non si può infatti fare a meno di osservare un<br />

strumentalizzazione effettivamente sovradimensionata di questa simbologia,<br />

come se le organizzazioni della regione, consce della loro mancanza di un<br />

pedigree mafioso ma determinate a “clonare” i modelli vincenti offerti dalle<br />

consorterie storiche, avvertissero l’esigenza di colmare il profondo divario in<br />

termini di tradizione che le separa da essi. Maritati ha in tal senso osservato<br />

che: “le forme pseudo-sacrali sono comunque segno di una fase primordiale<br />

dell’associazione criminosa, tant’è che nelle zone ove il fenomeno è ormai di<br />

antica origine non si ha notizia di simili procedure, quanto meno in modo<br />

così evidente”. 428<br />

424 R. Gorgoni, op.cit., pp. 244-245.<br />

425 L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 128.<br />

426 Cfr. R. Sciarrone, op.cit., p. 185.<br />

427 M. Massari, Potere e segreto nella Sacra Corona Unita, Relazione al Convegno su La giovane ricerca<br />

italiana sulla grande criminalità, Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, Sesto Fiorentino, Firenze 8-9<br />

dicembre 1995, p. 10.<br />

428 A. Maritati, La criminalità organizzata in Puglia, cit., p.131.<br />

109


I riti pugliesi sono infinitamente più elaborati e dettagliati di quelli per<br />

esempio di Cosa Nostra, definiti da Gambetta “elementari e non artificiosi,” 429<br />

ma anche di quelli di ‘ndrangheta e camorra, certamente “intricati e<br />

verbosi,” 430 in alcun modo paragonabili a quelli della mafia pugliese che<br />

appaiono “esagerati, come se fossero costruiti solo per far colpo sugli altri.” 431<br />

Tale elaborato ricorso al ritualismo si intreccia con una numerosa<br />

creazione di nomi e sigle delle associazioni mafiose pugliesi; proprio questa<br />

forte dispersione finisce con l’indebolire la loro credibilità, poiché non<br />

permette la creazione di un unico marchio, facilmente riconoscibile e con una<br />

precisa identità. Fatto salvo il tentativo della Sacra Corona Unita, non si è<br />

infatti verificata l’affermazione di un marchio comune o predominante sugli<br />

altri; inoltre la denominazione assunta dai sodalizi pugliesi non riesce a<br />

imitare efficacemente la “particolare combinazione di precisione e vaghezza”<br />

che per Gambetta ha reso i termini “mafia” e “Cosa Nostra” marchi di<br />

successo e di difficile imitazione. 432 Il cammino che conduce alla costruzione<br />

di una reputazione affidabile spendibile nell’underworld criminale non può<br />

prescindere dall’utilizzo di un unico “marchio di garanzia” che goda di<br />

caratteristiche di continuità temporale, in maniera del tutto analoga alle<br />

esigenze di marketing di qualsiasi impresa legale che non può continuare a<br />

mutare la propria denominazione se vuole difendere le quote di mercato<br />

acquisite.<br />

“In definitiva, non si è realizzato in Puglia quel riconoscimento<br />

reciproco, tra i diversi gruppi, di un marchio comune e della legittimità del<br />

suo uso, che rappresenta un importante elemento costitutivo e, quindi, un<br />

punto di forza delle organizzazioni mafiose tradizionali”. 433<br />

Precedentemente si è rilevato come le organizzazioni pugliesi, più che<br />

una forte attitudine al controllo del territorio, abbiano manifestato un<br />

interesse specifico per i traffici illeciti; in tal senso si è osservato come il<br />

contrabbando continui ad essere uno dei principali ambiti d’attività, seguito<br />

dai traffici, come quello di armi o di stupefacenti, realizzati mediante la<br />

conversione del network su cui esso è fondato.<br />

Tuttavia l’impegno affaristico della quarta mafia non è limitato al solo<br />

mondo dell’illegalità, andando ad investire attività apparentemente lecite; per<br />

429 D. Gambetta, op.cit., p. 209.<br />

430 Ivi, p. 210.<br />

431 R. Sciarrone, op.cit., p. 186.<br />

432 Cfr. D. Gambetta, op.cit., p. 200.<br />

433 R. Sciarrone, op.cit., p. 187.<br />

110


esempio secondo la Commissione Parlamentare antimafia negli anni novanta<br />

si è registrato in Puglia un boom delle società finanziarie anomalo in funzione<br />

delle effettive esigenze economiche della regione, che potrebbe nascondere<br />

attività di riciclaggio dei proventi realizzati con attività illecite.<br />

Parallelamente è conclamato un attivo intervento nell’ambito delle truffe<br />

agricole collegate all’ottenimento dei fondi CEE ed AIMA. 434<br />

Sia a proposito delle infiltrazioni nell’economia legale che di quelle<br />

nella politica, è purtroppo da registrarsi un’inspiegabile difformità tra le<br />

analisi esperite dal <strong>Ministero</strong> dell’Interno e quelle della Commissione<br />

Parlamentare antimafia nel corso del decennio scorso; per esempio si osservi<br />

quanto rilevato nel Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata<br />

per l’anno 1992 dal Viminale: “il numero di società controllate direttamente o<br />

attraverso prestanome dagli imprenditori criminali è ridotto, ed il loro<br />

interesse si limita per lo più al settore agricolo ed a quello commerciale.<br />

Anche i pochi esercizi, individuati dagli apparati di contrasto, sono in gran<br />

parte di modeste dimensioni (negozi di abbigliamento, bar, ristoranti). Solo in<br />

alcuni casi si hanno concreti elementi per affermare che aziende di<br />

dimensioni medie o grandi siano utilizzate dai clan per il reinvestimento dei<br />

profitti criminali”. 435<br />

Tali considerazioni stridono con quanto invece sostenuto dalla<br />

Commissione Parlamentare antimafia che osserva che in Puglia le presenze<br />

criminali nel mondo economico legale “sono ormai tali da non fare più<br />

pensare a semplici infiltrazioni, ma ad una vera e propria sostituzione<br />

dell’economia legale con quella illegale.” 436<br />

Analogamente, se nello stesso documento si afferma che la mafia<br />

pugliese “appare dotata di grande capacità imprenditoriale e saldamente<br />

collegata con le pubbliche amministrazioni e con la politica,” 437 il <strong>Ministero</strong><br />

dell’Interno osserva che le consorterie attive nella regione non paiono<br />

possedere una grande capacità di infiltrazione nelle istituzioni, con la sola<br />

eccezione della Sacra Corona Unita che esercita una certa influenza su politici<br />

434<br />

Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in<br />

Puglia, cit.<br />

435<br />

<strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata (anno 1992), cit., pp.<br />

211-212.<br />

436<br />

Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia,<br />

cit., p. 23, il corsivo è mio.<br />

437 Ibidem.<br />

111


e funzionari pubblici non tanto a seguito dell’instaurazione di rapporti<br />

collusivi quanto piuttosto in virtù di alcune azioni intimidatorie. 438<br />

Successivamente, la Commissione antimafia ha ulteriormente ribadito<br />

le proprie preoccupazioni segnalando “il definitivo accertamento del<br />

fittissimo intreccio che esiste tra politica, imprenditoria e criminalità<br />

organizzata” e che “il controllo della attività criminale non sarebbe possibile<br />

senza la attiva partecipazione collusiva di soggetti appartenenti alla politica<br />

(centrale e locale), alla pubblica amministrazione ed alla imprenditoria.” 439<br />

Prescindendo da questa difformità interpretativa, che peraltro è stata<br />

superata dalle analisi più recenti che si attestano sulla stessa linea, giova<br />

ricordare che tra il 1991 ed il 1998 ben sette consigli comunali pugliesi sono<br />

stati sciolti per infiltrazione mafiosa; dalla disamina dei decreti di<br />

scioglimento 440 emerge il solito meccanismo intimidatorio-collusivo nei<br />

confronti degli amministratori pubblici che permetteva l’aggiudicazione<br />

illecita di appalti ad imprese mafiose o comunque collegate alla criminalità.<br />

Ad ulteriore riprova dell’intreccio imprenditoria-politica-mafia sono<br />

documentati una serie di episodi quali gli arresti, nel 1995 e nel 1996, di tre<br />

consiglieri dei comuni di Brindisi, Taranto ed Alliste con accuse che vanno<br />

dall’estorsione, all’usura, al riciclaggio, all’associazione a delinquere, sino<br />

all’associazione a delinquere di stampo mafioso; 441 è stato inoltre provato che<br />

a Bari la gestione dei parcheggi pubblici veniva affidata dal comune ad<br />

esponenti del clan Campanale, 442 ma l’episodio sicuramente più clamoroso è<br />

quello della Commissione edilizia del comune di Foggia, rimasta in regime di<br />

prorogatio per ben undici anni, con l’accertata esistenza di corsie preferenziali<br />

per alcuni costruttori che “riuscivano a portare una pratica, anche in una<br />

settimana, due volte in commissione, mentre altre pratiche rimanevano ferme<br />

da 15 anni.” 443<br />

438 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata (anno 1992), cit.,<br />

p. 212.<br />

439 Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia,<br />

cit., p. 129.<br />

440 Cfr. Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Gallipoli (LE), Roma<br />

1991; Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Surbo (LE), Roma<br />

1991; Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Modugno (BA), Roma<br />

1993; Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Terlizzi (BA), Roma<br />

1993.<br />

441 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Rapporto annuale sul fenomeno della criminalità organizzata (anno 1996), cit.,<br />

pp. 157,161,165.<br />

442 Cfr. <strong>Ministero</strong> dell’Interno, Relazione sull’attività delle forze di polizia e sullo stato dell’ordine e della<br />

sicurezza pubblica nel territorio nazionale (anno 1996), Tipografia del Senato, Roma 1997, p. 227.<br />

443 Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro<br />

incaricato di svolgere accertamenti sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Puglia, A.P., Camera<br />

dei Deputati-Senato della Repubblica, X legislatura, doc. XXIII, n.38, Roma 1991.<br />

112


Analizzando i legami tra mafia e mondo legale in Puglia non si può<br />

prescindere dal caso della famiglia di Pasquale Casillo, imprenditore<br />

foggiano leader nel settore della macinazione del grano, nonché armatore<br />

mercantile, azionista di svariate squadre di calcio (Foggia, Salernitana,<br />

Bologna), editore del quotidiano napoletano il Roma, presidente, dalla fine del<br />

1992, dell’Unione Industriale di Foggia, a capo di un gruppo composto da 62<br />

aziende, con più di tremila dipendenti e con un volume d’affari che nel 1992<br />

ha toccato i 2200 miliardi di vecchie lire. 444 Pasquale Casillo, già coinvolto nel<br />

1989 in una frode ai danni dell’AIMA, è stato poi arrestato il 21 aprile 1994<br />

con l’accusa di avere sottratto 430 miliardi di lire alla CEE e 94 miliardi<br />

all’AIMA, di avere emesso fatture false per 36 miliardi e soprattutto di<br />

appartenere ad un’associazione camorristica; per comprendere quanto fosse<br />

potente l’imprenditore foggiano, si pensi che l’indagine che lo riguardava era<br />

precedentemente stata insabbiata presso la Procura di Foggia, con il<br />

trasferimento d’ufficio dei tre funzionari di polizia che se ne occupavano. 445<br />

La figura di Pasquale Casillo era tutt’altro che ignota agli inquirenti, se<br />

solo si pensa che secondo il pentito D’Amico egli sarebbe addirittura stato<br />

presente alla riunione organizzata nel 1979 dalla NCO per l’affiliazione dei<br />

delinquenti locali. 446 Alla dichiarazione di D’Amico si può aggiungere che<br />

Gennaro Casillo, padre di Pasquale, era lo zio del braccio destro di Raffaele<br />

Cutolo, Vincenzo Casillo, e che, secondo il collaboratore Pasquale Galasso,<br />

sarebbe stato il tramite “per l’esportazione del modello camorristico nella<br />

zona di Foggia.” 447<br />

Il caso della famiglia Casillo è pienamente rappresentativo del rapporto<br />

di collusione tra imprenditori e mafia che è caratteristico delle zone di<br />

tradizionale presenza mafiosa; vi è uno scambio che reca reciproci vantaggi,<br />

poiché permette ai Casillo di fruire della protezione dei gruppi camorristici<br />

sia nei confronti dei concorrenti, sia nella realizzazione delle truffe ad AIMA<br />

e CEE ed alla camorra di avvantaggiarsi dei servizi di un imprenditore amico<br />

che mette a disposizione i circuiti dell’economia legale di cui è titolare per<br />

444 Cfr. G. Ruotolo, La quarta mafia. Storie di mafia in Puglia, Pironti, Napoli 1994, p. 47 e R. Gorgoni,<br />

op.cit., p. 228.<br />

445 Ivi, pp. 227 sgg.<br />

446 Cfr. Tribunale di Bari, Sentenza contro Romano Oronzo più 194, Bari 1986.<br />

447 Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia,<br />

cit., p 27. Si noti che nonostante i vincoli di parentela con il numero due della NCO, Gennaro Casillo era<br />

personalmente molto legato al boss dello schieramento rivale Carmine Alfieri, con cui non esitava ad<br />

intrattenere rapporti di affari. (Cfr. Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico<br />

dell’audizione del collaboratore della giustizia Pasquale Galasso, cit., pp. 2323 -2324, 2740).<br />

113


coprire traffici illeciti orchestrati dai gruppi criminali, e soprattutto può<br />

fornire un capitale di relazioni sociali fondamentale, grazie ai propri legami<br />

con uomini politici ed esponenti della Magistratura. 448<br />

Il caso dei Casillo non è certamente un episodio isolato; sono stati<br />

infatti documentati altri collegamenti incentrati sulla collusione tra mafia ed<br />

imprenditoria, perlopiù basati sullo scambio di prestazioni fittizie, come false<br />

fatturazioni o registrazione di costi non sostenuti nei confronti di aziende<br />

mafiose, che in tal modo possono giustificare la detenzione di liquidità in<br />

realtà realizzata con traffici illeciti. A Bari le indagini giudiziarie hanno<br />

evidenziato come l’incendio doloso che nel 1991 ha distrutto il teatro<br />

Petruzzelli sia frutto della collusione tra mafia ed imprenditoria; 449 sempre<br />

nel capoluogo pugliese sono stati accertati rapporti di cointeressenza<br />

economica tra la cosca Capriati, le Case di Cura Riunite di Francesco<br />

Cavallari 450 (maggiore presidio sanitario dell’area), ed una sua società<br />

satellite, la Geroservice srl che ne curava il reperimento di personale<br />

ausiliario. Le indagini hanno evidenziato un meccanismo collusivo che<br />

prevedeva l’assunzione fittizia di affiliati alla cosca mafiosa (addirittura in<br />

stato di detenzione), in cambio della “tranquillità sindacale” all’interno<br />

dell’azienda, oltre che l’illecita spartizione tra politici, imprenditori e mafiosi<br />

dei finanziamenti sanitari regionali illecitamente erogati alle C.C.R. Nel<br />

marzo 1995 l’inchiesta della Magistratura ha condotto all’arresto, oltre che di<br />

Cavallari e dei capimafia baresi, anche di veri e propri insospettabili<br />

appartenenti al mondo legale, come i politici Rino Formica e Vito Lattanzio,<br />

l’ex presidente della Regione Puglia Michele Bellomo, l’ex vice presidente<br />

Franco Borgia, l’ex assessore regionale al bilancio Nicola di Cagno, il sindaco<br />

di Bari Giovanni Memola, oltre ad imprenditori, magistrati, ufficiali e<br />

sottufficiali della Guardia di Finanza e addirittura il direttore della Gazzetta<br />

del Mezzogiorno Franco Russo. 451<br />

Anche la zona di Taranto non è esente dalla collusione tra mafia,<br />

politica ed imprenditoria; emblematica in tal senso è la vicenda di Giancarlo<br />

Cito, inizialmente proprietario di un’emittente televisiva, dal 1990 consigliere<br />

448 Per Pasquale Galasso, Casillo aveva numerose amicizie tra i giudici; in particolare era in ottimi rapporti con<br />

il magistrato Nicola Damiano con cui metteva addirittura a punto gli atti processuali relativi ad Alfieri. (Ivi, pp.<br />

2324-2325).<br />

449 Cfr. G. Ruotolo, op.cit., pp. 110 sgg.<br />

450 Francesco Cavallari, sino al suo arresto, è stato unanimemente considerato il vero re della sanità pugliese.<br />

(Cfr. Tribunale di Bari – Direzione Distrettuale Antimafia, Richiesta per applicazione di misure cautelari<br />

contro Cavallari Francesco più 11, Proc. Pen. N. 6992/93, Bari 1993).<br />

451 Su questa vicenda si veda l’attenta ricostruzione di Rocco Sciarrone. (Cfr. R. Sciarrone, op.cit., pp. 194-<br />

196).<br />

114


comunale, dal 1993 sindaco di Taranto, poi rinviato a giudizio per concorso<br />

esterno in associazione mafiosa, quindi sospeso dalle funzioni di primo<br />

cittadino, e ancora eletto nel 1996 in Parlamento. Secondo ben nove<br />

collaboratori di giustizia Cito intratteneva rapporti privilegiati con il potente<br />

clan Modeo in cambio di voti alle elezioni. 452<br />

A fronte di questa imprenditoria accomodante ed aperta al rapporto<br />

con la criminalità, sono numerosi i casi di uomini d’affari, soprattutto edili<br />

che, non avendo accettato la collusione, si sono poi trovati nella condizione di<br />

esserle subordinati e di dovere sottostare al meccanismo dell’estorsioneprotezione,<br />

alle intimidazioni, agli attentati ed in qualche caso anche agli<br />

omicidi. 453 E’ soprattutto nella zona del foggiano che l’estorsione pare avere la<br />

maggiore diffusione, probabilmente per gli stretti legami della criminalità<br />

autoctona con la camorra; si pensi solo al cosiddetto “racket del pomodoro”: i<br />

meccanismi mediante i quali si manifestano le estorsioni testimoniano il<br />

collegamento tra la criminalità pugliese e quella campana. Infatti, l’intervento<br />

malavitoso si realizza, ai danni dei produttori e dei trasportatori, nel<br />

momento del trasferimento delle derrate dal luogo di produzione agli<br />

impianti di trasformazione, collocati tutti nel territorio campano. Si tratta di<br />

un affare di oltre 18 miliardi in quanto il “pizzo” richiesto è di lire 1000 al<br />

quintale per una produzione di oltre 18 milioni di tonnellate di pomodoro. 454<br />

Anche nella zona di Brindisi il meccanismo estorsivo risulta essere<br />

decisamente diffuso, in questo caso ad opera della Sacra Corona Unita.<br />

“E’ emblematico il fatto che l’organizzazione non si preoccupasse di<br />

pilotare l’appalto in favore di questo o quel personaggio a essa legato, ma<br />

soltanto che l’appalto fosse aggiudicato perché poi la ditta, qualunque fosse,<br />

diventava necessariamente oggetto di taglieggiamento”. 455<br />

Come si è potuto notare in Puglia si delinea una tipologia di legami tra<br />

la mafia ed il mondo legale del tutto analoga a quella delle aree tradizionali; a<br />

ciò si aggiunga che le frequenti guerre tra clan rivali e l’estensione raggiunta<br />

dal mercato dell’estorsione determinano un’impressionante mole di episodi<br />

di violenza che turbano la gente e le città pugliesi.<br />

452<br />

Cfr. S.M. Bianchi, Geometra Cito, Sindaco di Taranto, Kaos Edizioni, Milano 1996, pp. 141 sgg.<br />

453<br />

Cfr. Tribunale di Foggia, Procedimento penale contro Antoniello Cesare più 67, Foggia 1994.<br />

454<br />

Commissione parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia,<br />

cit., pp. 25-26.<br />

455<br />

N. Piacente, Con la Sacra Corona Unita la partita è ancora aperta…, cit., p. 18.<br />

115


“Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, a Taranto e<br />

provincia uccisioni, ferimenti, attentati sono all’ordine del giorno, frutto di<br />

una violenza che pare non avere limiti”. 456<br />

Un’ulteriore prova del livello di pericolosità sociale raggiunto in pochi<br />

anni dalla quarta mafia si manifesta a partire dalla fine del 1991, proprio nel<br />

periodo di più aspro scontro tra lo Stato e le varie organizzazioni che si<br />

muovono sulla scena italiana; ispirandosi palesemente alla strategia della<br />

tensione progettata dai corleonesi, alcuni gruppi criminali pugliesi della zona<br />

di Surbo, capeggiati da Angelo Vincenti e Raffaele Gianfreda 457 , compiono<br />

due attentati dinamitardi che hanno come obiettivo il Palagiustizia di Lecce; il<br />

5 gennaio 1992, lo stesso giorno del secondo attentato contro l’ufficio<br />

giudiziario salentino, con una bomba collocata sui binari, tentano,<br />

fortunatamente senza successo, di fare deragliare il rapido Lecce-Milano-<br />

Zurigo. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, le motivazioni di tali azioni<br />

- cui si devono aggiungere l’attentato al Presidente della Corte d’Assise di<br />

Lecce Francesco Cosentino e la decisione di eliminare il procuratore Cataldo<br />

Motta - andrebbero ricercate in un tentativo di golpe, attuato nei confronti di<br />

Rogoli e dei vertici della Sacra Corona Unita, che in quei giorni si trovavano<br />

sotto processo a Brindisi e sui quali i media avrebbero fatto ricadere la<br />

responsabilità. 458 E’ invece della Sacra Corona Unita la responsabilità<br />

dell’attentato dinamitardo del 10 novembre 1992, nei confronti dell’abitazione<br />

di campagna di Vittorio Bruno Gamerra, direttore del Quotidiano di Brindisi,<br />

Lecce e Taranto, attivamente impegnato con servizi di denuncia nei confronti<br />

della consorteria. 459 A questa catena di episodi inquietanti si deve aggiungere<br />

il fallito attentato al procuratore della repubblica di Trani, dottor Rinella,<br />

attivamente impegnato sul fronte della lotta agli abusi edilizi, ed i<br />

complessivi 1956 attentati dinamitardi ed incendiari compiuti in Puglia dal<br />

1989 al 1992. 460<br />

Ciò è ampiamente indicativo del livello di sviluppo raggiunto dalla<br />

criminalità organizzata in questa regione che, giova ricordarlo, nonostante le<br />

caratteristiche mafiose raggiunte negli ultimi anni, rimane un contesto<br />

colonizzato e non originale ed è altresì probante in ordine all’effettiva<br />

possibilità di riproduzione del modello criminale mafioso in aree non<br />

456<br />

R. Sciarrone, op.cit., p. 200.<br />

457<br />

Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 130.<br />

458<br />

Ibidem.<br />

459<br />

R. Sciarrone, op.cit., p. 200.<br />

460<br />

Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 131.<br />

116


tradizionali; i paradigmi culturalisti che, nel loro imputare il fenomeno<br />

mafioso alle caratteristiche socio culturali e tradizionali di un determinato<br />

contesto ambientale, non ne prevedono una sua efficiente esportazione in<br />

habitat che non condividano quel particolare humus, dinnanzi al caso pugliese<br />

subiscono un deciso ridimensionamento. La mafia pugliese non riproduce in<br />

maniera onnicomprensiva i modelli storici di riferimento, ma è certo che un<br />

processo avviatosi alla fine degli anni settanta, con il giusto cocktail di<br />

colonizzazione e di imitazione, ha realizzato un prodotto criminale che è<br />

mafioso a tutti gli effetti e che, sia pure con intensità diversa, ha investito<br />

l’intera regione. Vive tuttora dei limiti, che sono i responsabili della sua<br />

incapacità di essere una vera e propria organizzazione per il controllo del<br />

territorio e della protezione privata, e della sua propensione verso il modello<br />

criminale dell’enterprise syndicate: deboli radici sociali, scarsa selezione nel<br />

reclutamento, debolezza dei vincoli interni, bassa attitudine cospirativa,<br />

fragilità dissimulatoria, elevata conflittualità, ottica predatoria di breve<br />

periodo, incapacità di gestire efficacemente il proprio capitale sociale, uso<br />

smodato ed eccessivo della violenza, mancata realizzazione di network<br />

relazionali atti a massimizzare la coesione interna e a implementare la<br />

cooperazione esterna. 461 Eppure ciò che deve fare attentamente riflettere i<br />

responsabili istituzionali del contrasto alla mafia, in Puglia troppo a lungo<br />

inerti, non è l’elenco dei limiti di questa realtà criminale, ma piuttosto il<br />

cospicuo sviluppo che essa ha vissuto in un periodo di tempo oggettivamente<br />

breve, nonché l’acquisizione e la sapiente sintesi di peculiarità mutuate dalle<br />

organizzazioni storiche, come la ferocia ‘ndranghetista, la capacità di calcolo<br />

di Cosa Nostra ed il carattere carsico della camorra. 462 Infatti, come ha avuto a<br />

dichiarare Salvatore Annacondia: “la malavita pugliese è abbastanza<br />

pericolosa ed è molto più avanzata delle altre perché, dopo anni di<br />

frequentazioni, ha assorbito la mentalità della mafia, della ‘ndrangheta e<br />

infine della camorra”. 463<br />

461 Ivi, p. 205.<br />

462 Cfr. L. Violante, Non è la piovra, cit., p. 125.<br />

463 Commissione parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del collaboratore della<br />

giustizia Salvatore Annacondia, cit., p. 2457.<br />

117


FONTI<br />

A.P., Compimento dello stato dei camorristi di questa città, trasmesso dal Questore<br />

al <strong>Ministero</strong> dell’Interno il 21 giugno 1861, Archivio di Stato di Napoli, f.202,<br />

fasc.4.<br />

A.P., Camera dei deputati, II legislatura, Intervento dell’on. R. Minasi, seduta<br />

del 4 ottobre 1955.<br />

A.P., Camera dei deputati, II legislatura, Intervento dell’on. F. Tambroni, seduta<br />

del 6 ottobre 1955.<br />

A.P., Camera dei deputati, X legislatura, Intervento dell’on. G. Lavorato, seduta<br />

del 12 ottobre 1987, pp. 3411-15.<br />

A.P., Camera dei deputati, X legislatura, Commissione I., Indagine conoscitiva<br />

sulla minaccia della grande criminalità organizzata. Audizione del capo della polizia,<br />

prefetto V. Parisi, seduta del 5 giugno 1990, Roma 1990.<br />

A.P., Camera dei deputati, XI legislatura, doc. IV, n.465, Domanda di<br />

autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti del deputato Paolo Romeo per il<br />

reato di cui all’articolo 416 bis, commi primo, secondo, terzo, quarto e sesto del codice<br />

penale, Roma 1993.<br />

Arma dei Carabinieri, Studio sulla criminalità organizzata in Puglia, con<br />

particolare riferimento alla “Sacra Corona Unita”, Raggruppamento Operativo<br />

Speciale (ROS), Bari 1993.<br />

Comitato Parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il<br />

segreto di Stato, Relazione del Comitato sui problemi relativi all’operato dei servizi<br />

di informazione e sicurezza durante il sequestro dell’assessore democristiano della<br />

regione Campania Ciro Cirillo, A.P., IX legislatura, doc. XLVIII n.1, maggio –<br />

luglio 1981, Roma 1984.<br />

Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia<br />

(legge 20 dicembre 1962, n.1720, Atti della Commissione, AP, Camera dei<br />

Deputati, VI legislatura, doc.XXIII, n. 2, Tipografia del Senato, Roma 1976.<br />

Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre<br />

1982, n.646, art.32), Relazione presentata alla Presidenza della Camera il 16 aprile<br />

1985 (relatore on. A. Alinovi), Camera dei Deputati-Senato della Repubblica,<br />

IX legislatura, doc.XXIII, n.3, Colombo, Roma 1985.<br />

118


Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’indagine del<br />

gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti sullo stato della lotta alla<br />

criminalità organizzata in Puglia, A.P., Camera dei Deputati-Senato della<br />

Repubblica, X legislatura, doc. XXIII, n.10, Roma 1989.<br />

Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre<br />

1982, n.646, art.32), Audizione del ministro dell’Interno on. O.L. Scalfaro, Camera<br />

dei Deputati-Senato della Repubblica, IX legislatura, seduta del 30 luglio<br />

1985, Roma 1990.<br />

Commissione Parlamentare sul fenomeno della mafia (legge 13 settembre<br />

1982, n.646, art.32), Relazione di minoranza del 24 gennaio 1990, (relatore on. L.<br />

Violante), Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, X legislatura, Roma<br />

1990.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’attività del<br />

gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti sullo stato della lotta alla<br />

criminalità organizzata in Puglia, A.P., Camera dei Deputati-Senato della<br />

Repubblica, X legislatura, doc. XXIII, n.38, Roma 1991.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del<br />

collaboratore della giustizia Salvatore Annacondia, AP 1992-1994, Camera dei<br />

Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 30 luglio 1993,<br />

Roma 1993.<br />

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Commissione Parlamentare antimafia, Audizione del Procuratore della<br />

Repubblica presso il Tribunale di Palmi dottor Agostino Cordova, AP 1992-1994,<br />

Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 9<br />

luglio 1993, Roma 1993.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del<br />

collaboratore della giustizia Pasquale Galasso, AP 1992-1994, Camera dei<br />

Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 13 luglio 1993,<br />

Roma 1993.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione<br />

dell’onorevole Vincenzo Scotti, AP 1992-1994, Camera dei Deputati-Senato della<br />

Repubblica, XI legislatura, Seduta del 15 luglio 1993, Roma 1993.<br />

119


Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del<br />

prefetto Vincenzo Parisi, direttore vicario pro-tempore del SISDE, AP 1992-1994,<br />

Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 10<br />

settembre 1993, Roma 1993.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Resoconto stenografico dell’audizione del<br />

generale Abelardo Mei, direttore vicario pro-tempore del SISMI, AP 1992-1994,<br />

Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, Seduta del 10<br />

settembre 1993, Roma 1993.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla camorra, (relatore<br />

Luciano Violante), approvata a maggioranza il 21 dicembre 1993, A.P.,<br />

Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.12,<br />

Roma 1993.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della<br />

criminalità organizzata in Puglia, A.P., Camera dei Deputati-Senato della<br />

Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.7, Roma 1993.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Audizione del questore e del comandante<br />

dei Carabinieri di Reggio Calabria sul problema delle cosiddette “vacche sacre”,<br />

seduta del 13 gennaio 1994, A.P., Camera dei Deputati-Senato della<br />

Repubblica, XI legislatura, Roma 1994.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulle risultanze dell’attività del<br />

gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti su insediamenti e infiltrazioni<br />

di soggetti ed organizzazioni di stampo mafioso in aree non tradizionali, A.P.,<br />

Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI legislatura, doc. XXIII, n.11,<br />

Roma 1994.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed<br />

organizzazioni di stampo mafioso in aree non tradizionali. Schede allegate delle<br />

singole regioni, A.P., Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI<br />

legislatura, Roma 1994.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Relazione conclusiva, approvata il 18<br />

febbraio 1994, A.P., Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, XI<br />

legislatura, doc. XXIII, n.14, Roma 1994.<br />

Commissione Parlamentare antimafia, Relazione sulla situazione della<br />

criminalità organizzata in Puglia, doc. XXIII, n.6, in Commissione Parlamentare<br />

antimafia, Relazioni e documenti approvati nella XII legislatura (18 ottobre 1994-31<br />

gennaio 1996), A.P., Camera dei Deputati, XII legislatura, Roma 1996.<br />

120


Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Crocè Paolo più<br />

3, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 285, 22 marzo 1884.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Borgese Rocco,<br />

Archivio di Stato di Catanzaro, v. 315, 25 marzo 1889.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Tripodi Carmine,<br />

Archivio di Stato di Catanzaro, v. 323, 27 agosto 1890.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Calia<br />

Michelangelo più 65, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 324, 14 ottobre 1890.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Favasuli Bartolo<br />

più 28, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 359, 30 luglio 1896.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Zagari Antonino<br />

più 19, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 372, 22 agosto 1898.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Greco Francesco<br />

più 30, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 384, 17 maggio 1900.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Scidone Santo<br />

più 53, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 386, 27 ottobre 1900.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Auteri Felice più<br />

229, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 388, 25 febbraio 1901.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Aricò Antonio<br />

più 56, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 391, 2 agosto 1901.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Moscatello Pietro<br />

più 49, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 394, 22 gennaio 1902.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Adornato<br />

Salvatore più 121, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 395, 22 aprile 1902.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Arcidiacono<br />

Gregorio più 15, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 403, 1 agosto 1903.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Bagalà Michele<br />

più 86, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 405, 23 novembre 1903.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Mangione Bruno<br />

più 53, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 405, 2 dicembre 1903.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Favasulli<br />

Antonio più 44, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 406, 13 febbraio 1904.<br />

121


Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Abate Vincenzo<br />

più 86, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 407, 9 marzo 1904.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Martino<br />

Vincenzo più 46, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 414, 8 giugno 1905.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Marino Francesco<br />

più 147, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 336, 9 settembre 1905.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Castagna Bruno<br />

più 21, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 421, 6 luglio 1906.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Costa Giovanni<br />

più 10, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 421, 12 luglio 1906.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Gioffrè Filoreto<br />

più 11, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 429, 8 dicembre 1908.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Faccineri<br />

Giuseppe più 20, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 460, 18 gennaio 1916.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Lucà Luigi più<br />

38, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 504, 9 luglio 1928.<br />

Corte d’appello delle Calabrie, Sentenza emessa nei confronti di Annaccarato<br />

Vincenzo più 93, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 516, 25 novembre 1930.<br />

Corte d’appello di Catanzaro Sezione di Accusa, Sentenza emessa nei confronti<br />

di Calarco Domenico più 48, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 119, 19 agosto<br />

1885.<br />

Corte d’appello di Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti<br />

di Giovinazzo Francesco più 1, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 125, 20 maggio<br />

1887.<br />

Corte d’appello di Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti<br />

di Cantafio Vincenzo più 53, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 129, 25 maggio<br />

1888.<br />

Corte d’appello di Catanzaro Sezione di accusa, Sentenza emessa nei confronti<br />

di Maione Nicola più 68, Archivio di Stato di Catanzaro, v. 150, 15 dicembre<br />

1896.<br />

Corte di assise di Locri, Sentenza emessa nei confronti di Macrì Francesco più 141,<br />

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Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di<br />

Surbo (LE), Roma 1991.<br />

Presidenza della Repubblica, Decreto di scioglimento del Consiglio comunale di<br />

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