<strong>VERSO</strong> <strong>IL</strong> <strong>SECONDO</strong> <strong>PIANO</strong> <strong>STRATEGICO</strong> INNOVAZIONE E SV<strong>IL</strong>UPPO: ASSI, FATTORI E PROGETTI per un recupero e una rinnovata funzione sociale nel tessuto urbano. Molti sarebbero gli esempi da citare in proposito, dal Lingotto di Torino, all’Ansaldo a Milano, dall’India di Roma, alle aree del tessile a Cardiff, al porto di Valencia, al Guggenhaim di Bilbao, fino al più recente intervento della Fabbrica del Pane a Bologna. In tutti questi, e nei molti altri casi che potremmo analizzare, però possiamo rilevare almeno tre elementi trainanti che ne hanno reso possibile la realizzazione in tempi relativamente rapidi: - Una localizzazione strategica, capace non solo di cambiare realmente il volto di interi pezzi di città, fungendo da volano per un ridisegno completo delle aree dove vanno ad insistere, mutandone spesso l’identità, ma anche di esercitare una forte capacità attrattiva sui flussi turistici. - Un forte rapporto tra contenuto e contenitore – sia quando quest’ultimo sia progettato ex novo (come ad es. nel caso di Bilbao), sia quando conservi in tutto o in parte la struttura originaria – che che si traduce in una profonda consapevolezza della necessità di quel determinato intervento in quel preciso contesto urbano. - Infine, condizione imprescindibile, una forte condivisione del progetto fra tutti gli attori coinvolti, che si traduce in volontà politica e capacità di mobilitare ingenti risorse pubbliche e/o private. Ora, pare evidente dopo quasi un trentennio, che, nel caso del Meccanotessile, queste condizioni non si siano verificate se non in maniera parziale e sporadica. Lotti di lavori succedutisi con ingente impiego di risorse si sono alternati a periodi di abbandono, in assenza di un vero progetto che ne guidasse la razionalità. In origine Museo d’Arte Contemporanea, poi Centro, Laboratorio, spazio per residenze d’artista, luogo di formazione, senza rendersi conto che l’incertezza circa i contenuti si traduceva in vuoto progettuale, sino a giungere ad affidare agli uffici tecnici comunali un piano di recupero “polivalente”, dunque anonimo e anodino. Per non parlare dell’area circostante, di cui il Centro d’Arte doveva essere il cuore pulsante, portata a saturazione con lottizzazioni di dubbia qualità architettonica e scarsa integrazione funzionale. Nel frattempo sono accadute molte cose nel campo dell’arte contemporanea. Il forte ruolo conquistato negli anni di Barzel dal Museo Pecci, seguiti da un altrettanto forte e profonda crisi di cui solo ora si immagina la via d’uscita, l’affermarsi in regione di nuove realtà, come la Fondazione Celle e Palazzo Fabroni a Pistoia, il Palazzo delle Papesse a Siena, la Fondazione Ragghianti a Lucca, vari percorsi e iniziative in zone più decentrate come il Chianti e la Val d’Orcia. Alcuni tentativi più o meno episodici hanno avuto luogo anche a Firenze e con notevole successo, con interventi alla ex Manifattura Tabacchi (Sboom nel 2001, promosso dalla Camera di Commercio), la riapertura – fortemente voluta da Franco Camarlinghi e durata purtroppo solo per un anno – del Forte Belvedere da parte di Firenze Mostre, con la grande mostra Orizzonti curata da Achille Bonito Oliva, il nuovo spazio Quarter realizzato dall’Unicoop in Gavinana e diretto da Sergio Risaliti, alcune installazioni alla Stazione Leopolda in occasione di Fabbrica Europa e altre iniziative più o meno episodiche. Da queste esperienze scaturisce un forte segnale che andrebbe recepito con attenzione se si vuole affrontare con lucidità e concretezza il tema dell’arte contemporanea a Firenze e nell’area metropolitana. Un segnale che spinge nella direzione di un modello reticolare le cui maglie vadano a costituire un sistema che sia assolutamente permeabile ed in costante dialogo con le circostanti presenze dell’arte “storicizzata” e della vita culturale della città. Solo così si può sperare nella piena cittadinanza di un discorso il cui statuto linguistico cerca ogni giorno la propria legittimazione a partire dal confronto e dalla messa in discussione dello status quo. Questo ci insegnarono con forza dirompente le opere di Henry Moore sul terrazzo del Forte Belvedere, sul fondale prospettico della Basilica di Santa Croce o della Cupola del Brunelleschi. Firenze non necessita di un contenitore eclatante “alla Gehry”, capace di per sé di riconvertire l’immagine di una città come Bilbao. È possibile immaginare un sistema vitale, fatto di luoghi diversi e complementari, dove pubblico e privato possano trovare motivazioni di incontro nel reciproco rispetto dei ruoli, e dove far crescere quella cultura del contemporaneo che a Firenze, come ovunque, non è assente, solo assopita da troppi anni di inutile attesa. Un sistema che parta dalla valorizzazione e dal potenziamento delle esperienze fatte, individuando per ciascuno spazio la propria missione a partire dalla vocazione. Quindi in primis il Forte, forte appunto di una tradizione trentennale votata principalmente alla scultura e alla “monumentalità” contemporanea; poi Quarter uno spazio nato e subito “esploso” con un’attività di grande livello dal timbro provocatorio, proprio di una Kunsthalle e fortemente coinvolgente per tutto l’ambiente cittadino. Attività attualmente sospesa e in attesa di un riavvio da più parti sollecitato E ancora la Fondazione Palazzo Strozzi, con i suoi spazi al piano interrato, per un lavoro più didattico e di documentazione; la Stazione Leopolda, con Fabbrica Europa e Pitti Immagine per i rapporti dell’arte contemporanea con i linguaggi della scena o della moda; il Museo Alinari alle Leopoldine, per la fotografia.
Ma poi, perché fermarsi qui e non immaginare che, una volta fatto il primo passo e creato un sistema che dia legittimità a un discorso culturale, non si possano inventare “spazi d’arte per una città d’arte”, nell’ambito dei cantieri per le nuove infrastrutture che interesseranno la città nei prossimi anni, tramvia e alta velocità in primo luogo? Come non vedere l’opportunità offerta da quel mix di modernità e archeologia della nuova stazione di Forster nell’area degli ex-Macelli? Oppure da alcuni degli straordinari volumi della ex-Manifattura Tabacchi? O quel perfetto complesso a vocazione espositiva che è il Parterre di Piazza della Libertà, con i suoi cubi e il suo anfiteatro all’aperto, da troppi anni utilizzato troppo parzialmente. Naturalmente tutto ciò necessita in primo luogo di risolvere una volta per tutte la questione del Meccanotessile, individuandone una destinazione alternativa, ma pur sempre compatibile con la funzione per la quale si sono richiesti – e ottenuti – i finanziamenti finora impiegati. Non si può pensare infatti di rimettere in discussione l’intero intervento di recupero a fini culturali dell’intero complesso, quanto riorientarne i contenuti specifici, valutando quali tra quelli possibili siano i più idonei a una gestione economica della struttura, tenendo conto anche qui della vocazione dei luoghi, dell’offerta culturale complessiva di Firenze e dell’area metropolitana nei settori <strong>VERSO</strong> <strong>IL</strong> <strong>SECONDO</strong> <strong>PIANO</strong> <strong>STRATEGICO</strong> INNOVAZIONE E SV<strong>IL</strong>UPPO: ASSI, FATTORI E PROGETTI 123
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