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<strong>GESU</strong> <strong>CRISTO</strong><br />
IL FATTO CRISTIANO
LA PALESTINA 2000 ANNI OR SONO<br />
Il “fatto cristiano” ha inizio, circa 2000 anni or sono, in Palestina, territorio situato fra<br />
il Mediterraneo, il deserto siro-arabico, il limite meridionale del Libano ed il Mar Morto. Il<br />
termine “Palestina” si trova per la prima volta in Erodoto (V secolo a.C.) e indica gli abitanti<br />
della costa tra il Carmelo e Gaza: “ I Siri, che si chiamano Palestinoi”. Palestinoi corrisponde<br />
ai Filistei della Bibbia, perciò “Palestina” significa “terra dei Filistei,” e, in italiano, andrebbe<br />
tradotta con “Filistea”. La Palestina confinava con la Transgiordania, che era tutto il territorio<br />
ad est del Giordano e del Mar Morto, attraversato dai fiumi Jabbok, Iarmuk ed Arnon. Ai tempi<br />
di Gesù sono menzionati tra i territori della Transgiordania la Perea e la Decapoli. In queste due<br />
regioni si è svolta la storia biblica ed è possibile indicarle con l’unico nome di Palestina.<br />
La Palestina era la terra sofferta e amata del popolo eletto, con una storia antica, era<br />
“la terra promessa”, raggiunta dopo l’Esodo, in cui un popolo aveva vissuto tutte le<br />
vicissitudini dei tempi dei Giudici e dei due regni, aveva udito le voci dei profeti, aveva subito<br />
le invasioni degli imperi assiro, babilonese, persiano, greco e infine romano, che si erano<br />
susseguiti nei secoli.
Situazione politica<br />
Ai tempi di Gesù la Palestina era dominio romano da quando Pompeo il Grande nel 63<br />
aveva conquistato Gerusalemme e la regione era entrata a far parte della Provincia Siriae che<br />
comprendeva la Siria e la Palestina. Dal 27 a.C. al 14 d. C., la governò Cesare Augusto e dal<br />
14 al 37 d. C., Tiberio Cesare. Augusto concesse ad Erode, detto poi il Grande, figlio<br />
di un idumeo amico di Cesare, il titolo di re dei Giudei (rex socius et amicus populi romani =<br />
re socio e amico del popolo romano). Erode ebbe l’organizzazione del diritto civile e penale,<br />
pubblico e privato, dell’amministrazione finanziaria e militare e fu re dal 37 al 4 a. C. di un<br />
territorio grande quasi come quello che aveva avuto Davide. Durante il suo regno nacque Gesù<br />
a Betlemme.<br />
Dopo la morte di Erode, Augusto divise il territorio in quattro parti e creò una<br />
tetrarchia. Tetrarca di Abilene fu Lisania, etnarca della Giudea, Samaria e Idumea (4 a. C.-<br />
6 d. C) fu Archelao che, per la sua impopolarità, fu deposto nel 6 e confinato in Gallia, e<br />
Roma lo sostituì con dei governatori (procurator), il quinto dei quali, dal 26 al 36 d.C. , fu<br />
Ponzio Pilato. Tetrarca della Galilea fu Erode Antipa (4 a.C - 39 d.C.) . E’ l’Erode che fece<br />
arrestare e decapitare Giovanni, che lo aveva rimproverato perché aveva preso in moglie<br />
Erodiade, madre di Salomè, già moglie di Filippo, anch’egli figlio di Erode il Grande. Questo<br />
Filippo fu tetrarca dell’Iturea e della Traconitide ( 4 a. C. -34 d. C. ) . Alla sua morte la<br />
tetrarchia passò al nipote Erode Agrippa 1°, che in seguito ebbe fino al 44, anche la Giudea,<br />
regione che, alla sua morte, ritornò ai procuratori romani fino al 66. Erode Agrippa 1° fece<br />
uccidere Giacomo e incarcerare Pietro (Atti 12,1-23 ).<br />
I procuratori della Giudea furono in tutto 14, dal 6 fino al 66 d.C., prima che<br />
scoppiasse la guerra giudaica che porterà alla distruzione di Gerusalemme nel 70. Uno dei<br />
motivi di questa guerra fu il movimento di guerriglia, detto dei Sicari, a motivo di un corto<br />
coltello, detto “sica”, iniziato da un certo Giuda il Galileo nell’anno 6. Due dei 14 governatori<br />
furono Antonio Felice e Porcio Festo, menzionati negli Atti degli Apostoli, in occasione della<br />
prigionia di Paolo.<br />
Roma, rispettò la religiosità ebraica e lasciò una certa libertà civile e penale, ma si<br />
riservò alcuni poteri e alcune prerogative: il procuratore della Giudea nominava il<br />
sommo sacerdote, assicurava il sacrificio quotidiano per l’imperatore e per il popolo romano,<br />
disponeva di soldati arruolati tra i Samaritani e gli Arabi, riscuoteva i tributi per il fisco<br />
imperiale, faceva eseguire la pena di morte.
La terra e la popolazione<br />
Il clima, duemila anni or sono, era mediterraneo, come anche ora : caldo-secco d’estate,<br />
temperato e umido d’inverno; la zona più calda era la fossa giordanica. La pioggia cadeva da<br />
Novembre a Marzo. Le acque correnti erano poche; i fiumi, eccetto il Giordano e i principali<br />
affluenti, corti e secchi d’estate; le fonti rare; i pozzi profondi. La flora era mediterranea nella<br />
zona piana e tropicale in quella desertica; crescevano bene piante da frutta, la vite, l’ulivo, e i<br />
cereali in genere. Si coltivava con fatica la terra arida e sassosa, si allevava il bestiame, a<br />
nord veniva praticata la pesca, nel sud prevaleva l’artigianato e il commercio. Non mancavano i<br />
disoccupati, che spesso venivano presi a giornata, vi erano anche gli schiavi, che erano trattati<br />
meglio che nel mondo romano e greco e venivano liberati nell’anno giubilare.<br />
La popolazione di circa un milione di persone, non aveva una vita rosea ed era gravata<br />
da un sistema fiscale opprimente: tasse per il tempio, dazi sulle merci, pedaggi per i mercati,<br />
tasse sul suolo e sulla persona, disposte dai Romani e riscosse dai pubblicani. Si trovava un<br />
momento di sosta e di incontro con i parenti nelle feste religiose e di matrimonio. La vita<br />
della famiglia si svolgeva nelle case, che nei villaggi erano ad un solo piano e in città a due<br />
piani. La donna contava poco, non poteva ereditare, testimoniare, partecipare ai banchetti<br />
solenni e poteva essere abbandonata dal marito, con un libello di ripudio.<br />
L’IMPIANTO RELIGIOSO
Tutto il mondo religioso ebraico ruotava intorno a due poli: la legge e il tempio. Leggere<br />
e ascoltare la Scrittura il sabato in Sinagoga e celebrare periodicamente il culto di Javhé al<br />
tempio era l’impegno di ogni buon ebreo. Con la perdita dell’indipendenza politica si venne a<br />
creare una frammentazione anche dal punto di vista religioso e si formarono vari gruppi.<br />
Gli Esseni erano scrupolosi osservanti della legge, vivevano in povertà, nel celibato e<br />
in comunità claustrali. Qualche loro credenza proveniva dai parsi o dai neopitagorici.<br />
Vivevano a Qumran nel deserto di Giuda e ritenevano di essere il vero tempio spirituale,<br />
separato dal culto di Gerusalemme. Qumram è diventata famosa nel XX secolo, quando, vicino<br />
alla spiaggia Nord-Ovest del Mar Morto, sono stati rinvenuti numerosi manoscritti con quasi<br />
tutti i libri dell’A.T., alcuni libri apocrifi e deuterocanonici, commentari e scritti della Setta, e,<br />
in seguito a scavi, venne alla luce un’installazione simile a un monastero.<br />
I Samaritani vivevano presso il Monte Garizin, con un vero e proprio culto etnico<br />
indipendente. Anche loro avevano una posizione separatista.<br />
I Farisei erano i custodi della più stretta ortodossia religiosa, erano scrupolosi<br />
osservanti della Legge, verso la quale alcuni avevano un atteggiamento più aperto (i seguaci del<br />
maestro Hillel) e altri più rigido (quelli del maestro Smammai) . Tenevano viva la speranza di<br />
un messia regale davidico, frequentavano il tempio, godevano il favore del popolo.<br />
Appartenevano alla borghesia medio-alta.<br />
I Sadducei erano il gruppo egemone, più aristocratico e conservatore. Appartenevano<br />
alla classe sacerdotale, erano orientati verso l’ellenismo, controllavano il culto, erano<br />
nazionalisti. Riconoscevano come normativa la Legge (Pentateuco), ma non gliScritti dei<br />
Profeti, negavano la risurrezione dei corpi, la vita dopo la morte e gli angeli. Avevano meno<br />
influenza nel popolo, ma erano predominanti nel Sinedrio.<br />
Gli Zeloti provenivano dall’ala separatista dei Farisei ed avevano tendenze<br />
indipendentiste. Pensavano che lo zelo per Javhé poteva esigere anche l’uso della violenza.<br />
Avevano influenza negli strati più deboli della società.<br />
Il più autorevole consesso religioso era il Sinedrio (= Assemblea), sorto nel periodo<br />
persiano, composto di 71 membri, in gran parte provenienti dall’aristocrazia terriera e<br />
sacerdotale, suddiviso in tre gruppi: Anziani (= i più anziani rappresentanti delle famiglie e dei<br />
clan), Sacerdoti ( = nobiltà sacerdotale ed ex-sommi sacerdoti ), Scribi (=teologi e giuristi,<br />
generalmente appartenenti ai farisei). Lo presiedeva il Sommo Sacerdote.<br />
L’EREDITA SPIRITUALE<br />
Israele ha conservato con amore e scrupolo il suo patrimonio religioso, con il commento<br />
e l’interpretazione delle Scritture, le celebrazioni liturgiche, il modo di vivere e la ricchezza<br />
del popolo in cui nasce Gesù e che egli eredita.<br />
Il Dio, cui crede Israele è il Dio di Abramo, di Isacco di Giacobbe, il Dio storico che lo<br />
ha fatto uscire dall’Egitto, che partecipa alla sorte del popolo scelto, cui fa dono delle “dieci
parole”, il Santo (Qados), il Misericordioso (Rehamim), colui che è sempre vicino all’uomo.<br />
E’ il Dio dell’alleanza, che mantiene sempre le sue promesse, anche quando sembra<br />
nascondersi, come nell’esperienza di Giobbe o nell’esilio babilonese, il Dio che libera, che<br />
redime e si serve della collaborazione di “mediatori”, come Abramo, Mosè, Davide, i Profeti,<br />
che preannunziano il grande mediatore che dovrà venire, il Messia.<br />
Ai tempi della venuta di Gesù, Israele era da tempo percorsa da fremiti messianici,<br />
sostanzialmente inesistenti altrove, ma il quadro delle attese non era unitario e la figura del<br />
mediatore si configurava come un re “unto”, come un profeta, come un sacerdote, come un<br />
misterioso Figlio dell’uomo veniente sulle nubi. A questa complessità il cristianesimo nascente<br />
aggiungerà i tratti specifici di un Servo sofferente.<br />
AMBIENTE VITALE<br />
L’insieme delle condizioni politiche, culturali, religiose, ambientali, i costumi, le<br />
abitudini di un popolo di una specifica località in un determinato periodo storico può venire<br />
denominato “ambiente vitale” (in tedesco: sitz im leben ) . Da tempo si ritiene comunemente che<br />
uno scritto nel quale sono in rilievo le caratteristiche proprie di un determinato periodo storico<br />
e di una determinata regione si può considerare scritto nel periodo in cui esisteva quella<br />
situazione ambientale. E’ questo il caso dei Vangeli che riflettono la situazione vitale della<br />
Palestina della prima metà del I secolo.
LE COMUNITA DELLE ORIGINI<br />
Nella Palestina di circa 2000 anni or sono intorno agli anni 30, sorse il cristianesimo.<br />
Fu in una primavera di quegli anni che cominciò a risuonare la straordinaria notizia che Gesù<br />
di Nazaret, messo in croce, morto e sepolto era risuscitato. Questo inedito annunzio fu rafforzato<br />
dall’esperienza di una straordinaria effusione dello Spirito, avvenuta in occasione della<br />
Pentecoste ebraica.<br />
La prima comunità di seguaci di Cristo si costituì a Gerusalemme attorno alle idee forti<br />
di morte-risurrezione-Spirito, e comprendeva solo ebrei. Era organizzata attorno alla precisa<br />
figura di un capo che fino al 40 fu Pietro e poi, fino al 62, Giacomo un parente di Gesù. La<br />
comunità incontrò subito difficoltà, persecuzioni, ed ebbe dei martiri: il primo martire fu<br />
Stefano, che subì la lapidazione. In seguito alle persecuzioni molti membri di quella<br />
comunità sciamarono verso il Nord fino ad Antiochia nella Siria, dove per la prima volta il<br />
Vangelo venne annunziato ai pagani (Atti 11, 19-26 ) e i seguaci di Cristo vennero chiamati<br />
cristiani.<br />
Pietro occupò subito un posto di rilievo nella chiesa primitiva. Prese la parola il<br />
giorno di Pentecoste, battezzò il centurione Cornelio a Cesarea Marittima, fu ad Antiochia di<br />
Siria, intervenne nel concilio di Gerusalemme del 48-49 in favore della tesi paolina di non<br />
richiedere la circoncisione ai gentili che avessero accettato il Vangelo. Da lui venne per<br />
consultarsi anche Paolo, che aveva avuto una rivelazione personale. Un’antichissima tradizione<br />
dice che morì martire a Roma.<br />
L’altro personaggio di grande rilievo dei primi tempi fu Paolo, un abitante di<br />
Gerusalemme, ma proveniente da Tarso in Cilicia. In un primo tempo perseguitò i cristiani,<br />
poi fu “ghermito da Cristo” (Filippesi 3, 12). Non incontrò mai Gesù nelle strade della<br />
Palestina, ma lo vide glorioso lungo la via di Damasco. Entrò in contatto con la comunità<br />
delle origini, prima attraverso Anania, un giudeo cristiano, che lo battezzò a Damasco (Atti 9,<br />
17-19), poi con Pietro a Gerusalemme, dove si recò dopo tre anni “per consultare Cefa” (Galati<br />
1, 18) . Fu un apostolo zelantissimo. La sua figura nel secolo XIX fu bistrattata in particolare<br />
da parte di scrittori come Nietzsche e Renan, che non avevano compreso la grandezza<br />
dell’uomo e lo accusarono di moralismo, cavillosità, antifemminismo, ecc.. Paolo partì tre volte<br />
da Antiochia di Siria, prima con Barnaba, poi con Sila e Timoteo, per altrettante missioni di<br />
evangelizzazione alla volta di Cipro, dell’Anatolia, della costa Egea, dell’Asia, della
Macedonia. Privilegiò centri come Efeso, Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto e, in parziale<br />
analogia con quanto facevano i filosofi cinici itineranti, annunziò il Vangelo nelle agorà o nelle<br />
strade o nelle sinagoghe. Si mantenne da solo, lavorando con le proprie mani il cuoio o il lino<br />
per fare delle tende. Annunziò il Vangelo di Cristo e diede origine a molte comunità. Affrontò<br />
sofferenze e persecuzioni, fu imprigionato, si appellò a Cesare, che allora era Nerone, e, dopo<br />
un viaggio avventuroso, arrivò prigioniero a Roma. Il racconto degli Atti lucani finisce con<br />
questo avvenimento. Secondo alcuni in quella circostanza Paolo fu assolto e potè continuare la<br />
sua predicazione per alcuni anni, secondo altri fu subito condannato a morte. Un’antichissima<br />
tradizione dice che finì la vita con il martirio, ucciso a Roma con la decapitazione, o prima o<br />
durante la persecuzione di Nerone.<br />
Degli altri personaggi delle origine cristiane sappiamo poco. Di Giacomo figlio di<br />
Zebedeo sappiamo soltanto che venne messo a morte negli anni 41-44 da Erode Agrippa. Di<br />
Giovanni una tradizione dice che andò ad Efeso, dove sarebbe morto vecchissimo ed avrebbe<br />
composto il quarto Vangelo e l’Apocalisse. Degli altri nove, a parte la fine tragica di Giuda, non<br />
sappiamo praticamente nulla. Solo di alcuni di loro, specie di Tommaso e Andrea, si<br />
interessarono alcuni apocrifi, ma soltanto dal II-III secolo in poi.<br />
UNA COMUNITA CHE ATTIRO’ L’ATTENZIONE<br />
Nei primi decenni dopo la morte-risurrezione di Gesù il cristianesimo si andò<br />
progressivamente diffondendo prima nella Palestina, poi nell’attuale Turchia, in Grecia, a Roma,<br />
e i cristiani furono subito notati dalla gente, per il particolare modo di vita e per l’annunzio<br />
che facevano del Vangelo.<br />
Un documento del II o III secolo di autore ignoto, conosciuto come “Lettera a<br />
Diogneto”, presenta il Cristianesimo, che ormai si era diffuso dovunque nell’impero romano.<br />
Tra l’altro dice: “ I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere<br />
dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né<br />
conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di<br />
uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri.<br />
Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del<br />
luogo, nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un genere di vita sociale mirabile e<br />
indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a<br />
tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria<br />
loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati.<br />
Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la<br />
carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi
stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non<br />
sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri e fanno<br />
ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno<br />
gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed<br />
onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se<br />
ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro<br />
che li odiano non saprebbero dire il motivo del loro odio. A dirla in breve, come è l’anima<br />
nel corpo così nel mondo sono i cristiani.”
LE FONTI DELLA VITA DI <strong>GESU</strong><br />
L’evento cristiano, a partire dal suo inizio, è un evento storico, verificabile con i<br />
documenti, come ogni altro evento. La ricerca delle sue fonti permette di avviare un dialogo<br />
con ogni onesto ricercatore della verità. Sui documenti storici del Cristianesimo sono state<br />
scritte intere biblioteche e su di loro si conosce con chiarezza tutto: ciò che ha preceduto gli<br />
scritti, i tempi della composizione, i motivi della scelta da parte della comunità dei credenti, il<br />
valore dei testi, la storia dei codici giunti fino a noi.<br />
SCRITTI SU <strong>GESU</strong><br />
Di Gesù di Nazaret trattano molti scritti dei primi secoli della Chiesa. Alcuni sono di<br />
un periodo molto vicino al tempo in cui è vissuto Gesù; altri di un periodo più lontano. Alcuni<br />
scrittori sono cristiani, altri eretici e altri non cristiani.<br />
Quale importanza hanno queste fonti per la conoscenza di Gesù e della sua opera? Quale<br />
è il loro valore storico?
FONTI NON CRISTIANE<br />
Essendo Gesù un ebreo, nato, vissuto e morto in Palestina, ci si potrebbe attendere che i<br />
documenti ebraici contemporanei o di poco posteriori parlassero di lui; invece dalle fonti<br />
ebraiche non si ricava quasi nulla di storicamente valido circa la persona, l'insegnamento, la<br />
vita e la morte di Gesù.<br />
Certo nel Talmud (IV-V secolo d. C.) si parla di Gesù, ma si tratta di tradizioni tardive<br />
e non autonome, dipendenti dagli scritti canonici o apocrifi cristiani. Gesù è presentato — in<br />
polemica con i cristiani — come figlio di un soldato chiamato Pandera, che avrebbe messo<br />
incinta sua madre Maria, una parrucchiera, e come mago e seduttore del popolo: egli, per aver<br />
indotto il popolo all'idolatria, sarebbe stato lapidato e poi appeso a un palo nella città di Lidda<br />
alla vigilia della Pasqua. Probabilmente, nella tradizione si trattava di un giudeo dedito alla<br />
magia a cui il Talmud avrebbe dato il nome di Gesù Han-notsri. ( da “Nostri” – Nazaret)<br />
Una testimonianza proveniente dal mondo ebraico è quella dello storico Giuseppe<br />
Flavio, nato verso il 37-38 d. C. in Palestina, fariseo e organizzatore della resistenza antiromana<br />
in Galilea nel 66, ma passato ai romani dopo le vittorie di Vespasiano e di Tito, dai quali prese il<br />
nome gentilizio di Flavius. Nella sua opera Antichità giudaiche egli parla due volte di Gesù.<br />
Nel primo testo riferisce che il sommo sacerdote Anano (Anna), al tempo della successione del<br />
procuratore romano della Giudea, Albino, alla morte di Festo, approfittò dell'assenza del<br />
governatore romano per un colpo di mano: convocò infatti il Sinedrio e fece comparire dinanzi<br />
ad esso «il fratello di Gesù, chiamato Cristo, il cui nome era Giacomo e alcuni altri come<br />
trasgressori della Legge e li fece lapidare» .<br />
Il secondo testo è molto più ampio e da’ numerose notizie su Gesù; ma sembra che<br />
copisti cristiani lo abbiano interpolato per renderlo favorevole al cristianesimo. Ad ogni modo,<br />
come scrive un autorevole esegeta, quello che di sicuro si ricava da questi due testi è che<br />
«Giuseppe Flavio menziona Gesù come fratello di Giacomo e lo distingue da altri personaggi<br />
chiamati con lo stesso nome, riferendo l'appellativo e la credenza: chiamato o considerato<br />
"Cristo"; di lui conosce l'attività d'insegnamento e miracolistica; riguardo al processo e alla<br />
condanna di Gesù alla morte di croce menziona l'iniziativa giudaica e l'intervento decisivo di<br />
Pilato; sa anche dell'esistenza di un movimento di discepoli di origine giudaica e greca che si<br />
richiamano alla sua persona e alla convinzione di averlo visto vivo dopo la morte» .<br />
Una seconda testimonianza proviene dal mondo romano: lo storico Tacito, che scrive<br />
gli Annales negli anni 115-117 d. C., descrivendo l'incendio di Roma (luglio del 64 d. C.),<br />
osserva che Nerone, per stornare da sé l'accusa di aver provocato l'incendio, «fece passare per
colpevoli e sottopose a raffinatissimi tormenti coloro che il volgo chiamava cristiani e odiava per<br />
le loro azioni nefande. Cristo, il fondatore della setta, dal quale avevano preso il nome, era<br />
stato giustiziato dal procuratore Ponzio Pilato, sotto il regno di Tiberio. “Ma la rovinosa<br />
superstizione, repressa per il momento, dilagava di nuovo non solo per la Giudea, luogo di<br />
origine di quel male, ma anche per Roma, dove confluiscono e trovano seguito tutte le atrocità e<br />
le vergogne del mondo” .<br />
Questa notizia è assai importante, perché proviene da uno storico serio e molto<br />
informato, fortemente contrario al cristianesimo, che egli considera una «rovinosa<br />
superstizione»: egli conosce il fondatore della setta cristiana, Cristo, e sa che è stato condannato<br />
alla pena capitale (supplicium) dal procuratore della Giudea, Ponzio Pilato, sotto il regno di<br />
Tiberio. Tutto ciò concorda perfettamente con quanto affermano i Vangeli circa il titolo<br />
attribuito a Gesù — Cristo — e circa la morte di Gesù. Specialmente la notizia del supplicium<br />
inflitto da Pilato a Gesù rende vane e ridicole le leggende secondo le quali la morte di Gesù<br />
sarebbe stata apparente oppure un altro sarebbe morto al suo posto, cosicché Gesù, scampato<br />
alla morte, sarebbe fuggito in India, dove sarebbe morto alla bella età di oltre 80 anni: leggende<br />
che ritornano anche sulla stampa italiana nel tempo di Pasqua!<br />
Accenni a Cristo e ai cristiani si trovano anche in Svetonio e in Plinio il Giovane, ma<br />
sono accenni piuttosto vaghi. Ad ogni modo, servono a smentire la supposizione, davvero<br />
peregrina, di alcuni studiosi (pochissimi in verità) secondo i quali Gesù non sarebbe mai esistito<br />
e la sua storia sarebbe un'invenzione dei cristiani. Infatti non sono soltanto le fonti cristiane a<br />
parlare di Gesù, ma anche fonti ebraiche e pagane.<br />
VANGELI APOCRIFI<br />
. Di Gesù trannato molti Vangeli apocrifi cioè «segreti» (apokryphos, segreto). Sono<br />
scritti attribuiti ad alcuni Apostoli, ma non accolti dalla Chiesa nel Canone, cioè non<br />
riconosciuti come ispirati da Dio. Sono opere che vanno dal 100-150 d. C. al V-VI secolo. Sono<br />
quindi tutti posteriori ai Vangeli canonici. Ma alcuni sono più vicini a questi ultimi, come il<br />
Vangelo degli Ebrei, il Vangelo degli Egiziani, il Vangelo degli Ebioniti, il Vangelo di Pietro,<br />
che risalgono agli anni 100-150 e di cui si possiedono solo frammenti: questi Vangeli sono di<br />
origine giudaico-cristiana ed è probabile che contenessero anche qualche tradizione o qualche<br />
parola autentica di Gesù, che non si trova nei Vangeli canonici; alcuni di essi avevano tendenze<br />
gnostiche o encratiche (cioè erano contrari al matrimonio e proibivano di mangiare la carne).<br />
Più tardivi sono il Protovangelo di Giacomo (verso il 150-200 d. C.) e altri Vangeli<br />
dell'infanzia di Gesù, che furono scritti per soddisfare la curiosità dei fedeli su punti che i<br />
Vangeli canonici avevano appena sfiorato: perciò si dilungano, in forma romanzata, sulla
nascita e la giovinezza di Maria, la madre di Gesù; sulla nascita e sull'infanzia di Gesù, con<br />
intenti apologetici (per esempio, difendere la verginità di Maria) o edificanti. Talvolta mancano<br />
di buon gusto (come nell'episodio dell'incredula ostetrica Salomè) o presentano Gesù come un<br />
piccolo mago, che fabbrica uccelli di creta in giorno di sabato e in risposta alle critiche che gli<br />
sono rivolte da’ ad essi la vita e li fa volare; o come un ragazzino cattivo che fa morire i<br />
compagni che lo deridono (salvo poi a risuscitarne alcuni poco dopo).<br />
Ci sono poi i Vangeli gnostici, il più noto dei quali è il Vangelo di Tommaso (o Parole<br />
segrete di Gesù a Tommaso), scritto verso il 200-250, che riporta 114 «detti» (Loghia) di Gesù:<br />
alcuni detti sono identici o molto vicini a quelli dei Vangeli canonici, e qualcuno è anche molto<br />
bello, come il loghion 82, conosciuto anche da Origene: «Colui che è vicino a me è vicino al<br />
fuoco e colui che è lontano da me è lontano dal Regno» ; ma la maggior parte sono manipolati<br />
in senso gnostico oppure sono formulazioni propriamente gnostiche. Il Vangelo di Tommaso ha<br />
in realtà lo scopo di mettere sotto l'autorità di Gesù le dottrine dello gnosticismo, un sistema di<br />
pensiero radicalmente anticristiano e vivacemente combattuto dalla Chiesa.<br />
In conclusione, dai Vangeli apocrifi non si può ricavare quasi nulla, per quanto<br />
riguarda la storia di Gesù, perché la maggior parte di essi contengono leggende inventate di<br />
sana pianta per motivi di edificazione o per motivi apologetici, e alcuni di essi sono redatti per<br />
giustificare dottrine eretiche: il docetismo, l'ebionismo encratico e lo gnosticismo. Cosicché «il<br />
loro valore storico diretto, generalmente parlando, è assai tenue e il più delle volte nullo» .<br />
DA <strong>GESU</strong> AGLI SCRITTI<br />
Nella Bibbia abbiamo 27 libri che trattano della vita di Gesù e della Chiesa delle<br />
origini La loro composizione ha avuto varie fasi in un arco complessivo di 70 anni circa.<br />
Prima ci fu Gesù “ un uomo mandato da Dio, predicò, operò prodigi, fu ucciso dagli<br />
uomini e risuscitato dal Padre ( vedi Atti, 2, 22-24 e kerigma primitivo ) . Gesù non ha scritto<br />
nulla, ma ha facilitato il sorgere di tradizioni orali, che poi vennero scritte, la sua familiarità<br />
di vita con gli Apostoli, l’insegnamento che egli, secondo lo stile dei maestri di allora, faceva,<br />
ripetendo quanto diceva frase per frase, per farlo imparare a memoria, le risposte alle<br />
domande che gli venivano rivolte, i fatti inattesi drammatici o straordinari ( passione,<br />
risurrezione, trasfigurazione, miracoli ) cui gli Apostoli assistevano, le norme di vita espresse<br />
in forma ritmica, legati alla vita pratica, facili da memorizzare.
Dopo la risurrezione ci fu la predicazione. Gli Apostoli annunziarono il Vangelo,<br />
che è Cristo stesso, “inviato, morto, risorto” (kerigma, ossia annunzio fondamentale),<br />
presentarono un quadro sintetico della sua vita (miracoli, morte, sepoltura, risurrezione,<br />
glorificazione, divinità ) e invitarono alla conversione, al cambio di mentalità (es 1 Cor 15, 3<br />
: professione di fede; 1 Tm 3, 16; 1 Cor 15, 3-5; Fil 2, 6-10 ) .<br />
Questa predicazione aveva caratteristiche precise: i predicatori erano gli stessi apostoli<br />
e quelli che avevano avuto un mandato per predicare ( At 1, 21-22; 2, 32; 3, 15; 4, 20; 10, 41;<br />
13, 31 ); ed erano testimoni oculari, degni di fede, che fondavano la predicazione su fatti e<br />
non su fantasie; la predicazione era viva e proponeva l’insegnamento senza alterare il<br />
messaggio; i fattori determinati erano la fede nella risurrezione di Gesù e l’illuminazione<br />
dello Spirito Santo” . A questo proposito la Dei Verbum dice: “con quella più competa<br />
intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi del Cristo e illuminati dallo Spirito di<br />
verità godevano “ ( DV 19 ).<br />
Suscitarono fede e incredulità e la predicazione, fatta con formule sunti, rilievi,<br />
messaggi vari, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo. I predicatori non diffondevano<br />
biografie di Gesù, ma messaggi di salvezza e ciò avveniva sotto stretta sorveglianza dei<br />
capi (vedi Atti 8, 14; 1 Corinzi 15 dove Paolo distingue tra annunzio comune e sue opinioni, e<br />
Gal 1, 6-9… in cui diffida di ascoltare altri annunzi).<br />
Si giunse progressivamente ad una catechesi sistematica. Si iniziò ad<br />
elaborare raccolte di detti, di fatti ( es 1 Cor 11, 24 : Eucaristia ), di parabole, di miracoli,<br />
di controversie. Il tutto veniva trasmesso in forma mnemonica. Quando i testimoni<br />
cominciarono a mancare nacquero probabilmente qua e là alcune sintesi ( Lc 1,1 ).<br />
Nell’evoluzione verso i vangeli scritti alcuni studiosi pensano che ci sia stata una<br />
prima sintesi in aramaico, attribuita a Matteo, non giunta fino a noi. Altri parlano di un
compendio, non meglio conosciuto se non col nome di “fonte”, o “Fonte Q” (quelle=fonte) .<br />
Altri ancora suppongono che Vangelo aramaico di Matteo e “fonte Q” fossero la stessa cosa.<br />
Comunque, sia Luca che Matteo hanno attinto anche ad una fonte, che non è pervenuta fino<br />
a noi.<br />
Dall’inizio del secolo scorso (1920), studiando l’evoluzione dal vangelo orale ai<br />
vangeli scritti, gli esegeti tedeschi e in particolare il biblista protestante Bultmann hanno<br />
elaborato la teoria della “formgeschichte “ (storia delle forme), secondo la quale i vangeli<br />
sono compilazione di materiale che già esisteva in forme fisse di racconti e detti (“forme”,<br />
appunto), che sono finite nei nostri vangeli anche se non sempre nella loro purezza<br />
originaria, come talora è anche avvenuto (es. At 2, 14,-40; 3, 12-26; 10, 28-43 ). La teoria<br />
prevede che le “forme” siano sorte in ambienti popolari , di cui avrebbero le caratteristiche, e<br />
sarebbero testimonianze di fede e non biografie. Questa teoria sostiene che i primi cristiani<br />
non avevano alcun interesse alla vita reale vissuta da Gesù, perché, presi interamente<br />
dall’imminenza della fine, avevano solo preoccupazioni di fede e di culto ed, essendo portati<br />
ad ingrandire la figura del Maestro, non avevano serenità e distacco per fare vera storia.<br />
La teoria portava a conseguenze distruttrici e per primi i discepoli di Bultmann<br />
cominciarono a prenderne le distanze.<br />
Chi oggi segue questo metodo, fa molte puntualizzazioni e in particolare asserisce che<br />
- le comunità in cui sorgevano le “forme” erano strutturate e organizzate<br />
gerarchicamente attorno agli apostoli, e ciò significa che il vero autore della tradizione è<br />
stata la chiesa e non singoli individui;<br />
- nella formazione delle tradizioni il ruolo principale l’avevano i “testimoni oculari e<br />
ministri della parola” ( Lc 1-2 );<br />
- le testimonianze erano espressione della fede della Chiesa intera e non potevano<br />
essere frutto di libera invenzione; la formazione delle “forme” ha subito l’influenza del<br />
vangelo come era vissuto, della “sitz im leben” (situazione di vita) dei cristiani (liturgia,<br />
catechesi, missione, ecc. ).<br />
Dopo la seconda guerra mondiale alcuni hanno adottato un altro metodo, quello<br />
della “redaktionsgeschichte” (storia della redazione) Essi dicono che da un esame<br />
approfondito dei testi si capisce che gli evangelisti furono veri autori con una propria<br />
teologia, un proprio modo di pensare e un proprio metodo di esporre le cose.<br />
Negli ultimi decenni è sorto un altro metodo ancora che cerca di vedere il sorgere della<br />
tradizione già durante la vita di Gesù. ( vedi De La Potterie )
LETTERE - ATTI E APOCALISSE<br />
Le fonti cristiane su Gesù si suddividono in due categoria:: i Vangeli e gli altri scritti<br />
del Nuovo Testamento.<br />
Questi ultimi sono stati scritti tra il 50 e il 100 s’interessano del presente della<br />
Chiesa e alcuni sono stati scritti prima dei Vangeli. Un gruppo di 13 lettere è attribuito a<br />
Paolo: due ai Tessalonicesi, due ai Corinzi, due a Timoteo, una ad ognuna delle seguenti chiese<br />
o persone: Efeso, Colossi, Roma, Galazia, Filemone, Efesini, Tito ; le lettere obbediscono a<br />
necessità derivanti dalla situazione in cui, di volta in volta, si trovavano comunità o persone<br />
destinatarie. Risaltano in esse la figura di Cristo con la profondità del suo messaggio, la<br />
personalità del mittente, la fisionomia dei destinatari Paolo comincia a scrivere le lettere al<br />
massimo 20 anni dopo la morte di Cristo, quando il Cristianesimo è ben consolidato nei suoi<br />
tratti essenziali. A questo filone della storia compositiva dei primi documenti riguardanti la<br />
vita della Chiesa primitiva, appartengono anche tutti gli altri scritti del Nuovo Testamento.<br />
Ne fanno parte altre otto lettere: tre di Giovanni, due di Pietro, una agli Ebrei, una di<br />
Giacomo, una di Giuda. E inoltre gli Atti degli Apostoli e l’Apocalisse. Gli Atti degli<br />
Apostoli ci danno informazioni sulla prima chiesa di Gerusalemme, parzialmente di quella di<br />
Antiochia di Siria e dei viaggi di S. Paolo. L’Apocalisse offre un quadro potente dello<br />
scontro tra l’Agnello e le varie bestie antagoniste, culminanti con la vittoria dell’Agnello<br />
stesso, la quale diventa, a sua volta, garanzia della testimonianza cristiana in questo mondo.<br />
Questi scritti rispondono a precisi problemi e a concrete esigenze delle comunità<br />
cristiane. Essi non trattano direttamente della vita e dell'insegnamento di Gesù, ma suppongono<br />
già la catechesi su di lui, sulla sua persona, sul suo insegnamento, sui suoi miracoli, sulla sua<br />
morte e sulla sua risurrezione; perciò si contentano di richiami storici, talvolta di semplici<br />
accenni a quanto, coloro a cui gli scritti sono diretti, già conoscono della tradizione che riguarda<br />
Gesù. Così non ci si deve aspettare di trovare molto in tali scritti per quanto concerne la sua<br />
figura. Per esempio, dalle Lettere di san Paolo si ricava che Gesù, ebreo della stirpe di Davide,<br />
è vissuto soprattutto in Giudea e Galilea, ha raccolto un gruppo di discepoli (i «Dodici»), tra i<br />
quali emergono Cefa-Pietro e Giovanni; alla vigilia della sua morte ha celebrato con i suoi<br />
discepoli la Cena, nella quale ha istituito l'Eucaristia; è stato messo a morte col supplizio della<br />
crocifissione, è stato sepolto, è risorto da morte ed è apparso vivente a molti testimoni. Si tratta<br />
certamente di notizie essenziali sulla figura di Gesù, ma non tali da farlo conoscere con una<br />
certa compiutezza.<br />
Nei primi decenni dell’era cristiana i libri sacri del cristianesimo vennero posti<br />
accanto a quelli dell’Antico. Ne abbiamo testimonianza nella 2° lettera di Pietro<br />
dell’anno 100 circa, che ritiene le lettere di Paolo ispirate alla pari di quelle dell’ Antico<br />
Testamento. Verso la metà del II secolo Giustino dice: “ Nel giorno chiamato del Signore ci
accogliamo in uno stesso luogo della città o della campagna e si fa la lettura delle Memorie<br />
degli Apostoli ( dette vangeli ) e degli scritti dei profeti, sinchè il tempo lo permette”.<br />
I VANGELI CANONICI<br />
Una trentina di anni dopo la morte-risurrezione di Cristo la tradizione orale o in parte<br />
scritta, comincia a diventare documento scritto, che giunge fino a noi (Vangelo). “ Gli autori<br />
sacri scrissero i quattro vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a<br />
voce o anche in scritto, alcune sintetizzando, altre spiegando con riguardo alla situazione delle<br />
chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però da riferire su Gesù con<br />
sincerità e verità” (D.V. 19). Gli evangelisti mettendosi in ascolto delle loro comunità, e<br />
interpretandone i bisogni hanno scritto sempre con sincerità e verità ma adeguando ad essa il<br />
messaggio per suscitare la fede e l’adesione dei fedeli a Cristo. Per questo i Vangeli sono<br />
simili, sono la voce della tradizione apostolica, ma anche dissimili, perché sono diverse le<br />
comunità cui erano destinati, perché ogni evangelista ha scelto alcune cose delle molte<br />
tramandate, ha sottolineato alcuni fatti particolari, ha il suo stile, la sua teologia e perché i<br />
vangeli non sono semplici libri di storia, ma predicazione.<br />
I Vangeli, composti tra il 60 e il 100 d.C., sono quattro. I primi tre presentano un<br />
impianto e un materiale narrativo tanto parallelo da essere considerati “sinottici”, cioè leggibili<br />
insieme, l’uno accanto all’altro. Il quarto invece ha un procedimento diverso, quanto a<br />
impianto, contenuto, stile e linguaggio.<br />
Per conoscere chi è Gesù si devono conoscere i quattro Vangelo che sono quelli secondo<br />
Matteo, secondo Marco, secondo Luca e secondo Giovanni. I primi tre si chiamano<br />
«sinottici», perché, essendo in buona parte concordanti, se sono disposti su tre colonne parallele,<br />
si possono leggere insieme, formando una «sinossi» (da synopsis, visione d'insieme).<br />
Parlando di Vangeli, è necessario chiarire il termine «vangelo». Esso viene dal greco<br />
euanghelion (latino: evangelium) e significa la «Buona Notizia» o il «Lieto Messaggio» di<br />
salvezza che Gesù annuncia, predicando la venuta del Regno di Dio, che si attua nella sua<br />
persona. Questo messaggio di salvezza ha perciò come suo contenuto essenziale la persona di<br />
Cristo, il suo insegnamento, la sua morte e la sua risurrezione. Perciò i termini «vangelo» ed<br />
«evangelizzare» nella predicazione apostolica designano, l'uno, la predicazione su Gesù Cristo e<br />
sulla salvezza da lui attuata, e l'altro, l'azione di annunciare Cristo e il suo messaggio. Ma questa<br />
predicazione s'intende, nel Nuovo Testamento, sempre come trasmissione orale, fatta a viva<br />
voce, non per iscritto. Colui che annunzia oralmente il messaggio di Gesù è chiamato<br />
«evangelista».<br />
Solo agli inizi del secondo secolo (dal 100 d. C.) si comincia a usare il termine<br />
«vangelo» per indicare lo scritto che contiene il messaggio di Gesù e il termine «evangelista»
per designare l'autore di tale scritto. Così san Giustino, verso il 150 d.C., ricorda che nelle<br />
assemblee cristiane si leggevano le «memorie degli apostoli che si chiamano vangeli» .<br />
I Vangeli canonici sono quattro piccoli libri, in parte somiglianti e in parte diversi, i<br />
quali però formano un unico Vangelo, quello che un Padre della Chiesa del secondo secolo,<br />
sant'Ireneo, vescovo di Lione, nel suo libro “Contro le eresie” scritto nel 180 d.C., chiamava<br />
«l'Evangelo quadriforme», cioè un unico Vangelo sotto quattro forme.<br />
Come si presentano a noi oggi?<br />
Quanto alla lingua, noi oggi li possediamo solo in greco; quanto al testo, non<br />
possediamo più gli originali, ma solo copie, che sono però antichissime: alcune frammentarie,<br />
come quelle dei papiri provenienti dall'Egitto (dove si poterono conservare a causa del clima<br />
secco), altre complete, come quelle dei codici in pergamena.<br />
I papiri sono molto antichi: uno — il p52 — risale addirittura alla prima metà del<br />
secondo secolo (circa il 120-130) e riporta un brano del Vangelo di Giovanni. Anzi, se si accetta<br />
l'ipotesi, che sembra ben fondata sotto il profilo papirologico, del p. J. O'Callaghan, il quale ha<br />
lavorato alla decifrazione dei frammenti di papiri trovati nella grotta 7 di Qumràn, avremmo nel<br />
frammento di papiro che porta il numero 7Q5 un frammento del Vangelo di Marco<br />
(precisamente Mc 6,5 2-5 3), che risalirebbe all'anno 50 circa, e sicuramente a prima del 68,<br />
quando la comunità di Qumràn scomparve .<br />
I codici, che contengono i quattro Vangeli — alcuni dei quali risalgono al IV secolo,<br />
come il Codice Vaticano (detto B) scritto verso il 350 d. C. — sono circa 270. Dagli studi di<br />
critica testuale compiuti con estrema accuratezza durante un secolo si rileva che il testo attuale<br />
dei Vangeli è criticamente sicuro e corrisponde sostanzialmente al testo originale. Siamo<br />
quindi sicuri di possedere i Vangeli quali sono stati redatti dai loro autori.<br />
AUTORI, DATA, LINGUA DEI VANGELI<br />
Chi sono gli autori dei quattro Vangeli? La tradizione della Chiesa che risale ai primi<br />
tempi del cristianesimo parla di quattro autori: Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Così sant'<br />
Ireneo scrive: «Matteo tra gli ebrei scrisse il Vangelo nella loro lingua, mentre Pietro e Paolo in<br />
Roma evangelizzavano e fondavano la Chiesa. Dopo la morte di questi, Marco, discepolo e<br />
interprete [traduttore?] di Pietro, ci comunicò le cose che erano state annunziate da Pietro. E<br />
Luca, compagno di Paolo, mise per iscritto il Vangelo che questi predicava. Poi Giovanni,<br />
discepolo del Signore, il quale si era appoggiato sul suo petto, scrisse il Vangelo mentre<br />
risiedeva in Efeso di Asia» . In realtà, i Vangeli si presentano senza il nome dei loro autori. Così,<br />
la dicitura «Vangelo secondo Marco» {kata Markon) non fa parte del Vangelo, che comincia con<br />
le parole: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo» {Mc 1,1)<br />
Circa la data di composizione ci sono due opinioni divergenti. L'opinione oggi più<br />
comune, sostenuta dalla maggioranza degli esegeti, colloca la composizione dei tre Sinottici tra
gli anni 65-70 e 75-80 e la composizione del Vangelo di Giovanni tra gli anni 90-100. Il<br />
Vangelo di Matteo, secondo alcuni, sarebbe stato composto poco dopo il 70 e, secondo altri, tra<br />
l'80 e 1'85. Marco avrebbe scritto il suo Vangelo negli anni tra la morte di san Pietro (64 d. C.) e<br />
la distruzione di Gerusalemme (70 d. C.). Luca avrebbe scritto il suo Vangelo intorno al 70, nè<br />
molto prima nè molto dopo. Secondo altri studiosi, che sono oggi una minoranza, tuttavia molto<br />
qualificata, i Vangeli dovrebbero essere retrodatati di alcuni decenni: il Vangelo di Matteo<br />
sarebbe stato composto verso il 56-60 o più probabilmente verso il 50; il Vangelo di Marco verso<br />
il 50 o con più probabilità verso il 42, e il Vangelo di Luca verso il 58-60 o più probabilmente<br />
poco dopo il 50.<br />
Ci sono divergenze anche per quanto riguarda la lingua originale in cui i Vangeli<br />
furono scritti. La maggior parte degli esegeti sostiene che furono scritti in greco; una<br />
minoranza ritiene che furono scritti in una lingua semitica (aramaico o più probabilmente<br />
ebraico) e poi tradotti in greco, a causa dei numerosissimi semitismi che non si spiegherebbero<br />
se la lingua originale fosse stata la greca. Ad ogni modo, i Vangeli che oggi possediamo sono in<br />
greco.<br />
GENERE LETTERARIO DEI VANGELI<br />
Quale scopo hanno avuto gli autori dei Vangeli nel redigerli? Gli evangelisti sono<br />
credenti in Gesù di Nazaret che scrivono su di lui, raccontando quello che egli ha operato e<br />
riportando i suoi insegnamenti, per destare e consolidare la fede dei discepoli di Gesù. Scrive,<br />
infatti, Giovanni a chiusura del suo Vangelo: «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi<br />
discepoli, ma non sono scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è<br />
il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-51). A<br />
sua volta Luca inizia il suo Vangelo dicendo che lo scrive perché il cristiano Teofilo «si possa<br />
rendere conto della solidità degli insegnamenti che ha ricevuto» (Lc 1,4). Anche di Marco si<br />
può affermare che scrive il suo Vangelo per «condurre il lettore a riconoscere in Gesù di<br />
Nazaret il Figlio di Dio, Colui che ci ha salvati trionfando del demonio»<br />
I Vangeli appartengono perciò ad un genere letterario particolare: sono opere di<br />
catechesi, con finalità di evangelizzazione. Appartengono cioè al genere catechetico, non al<br />
genere storico. Non sono vite di Gesù: l'interesse cronologico è assente, tanto che, attenendosi<br />
ai dati dei Vangeli, non si può stabilire con certezza neppure la durata della vita pubblica di Gesù<br />
nè sapere con precisione in quali anni Gesù sia nato e sia morto.
A questo punto si pone un problema: poiché i Vangeli sono stati redatti alcuni decenni<br />
dopo la morte di Gesù e poiché sono opere non storiche, ma catechetiche, possiamo attraverso<br />
di essi conoscere chi è stato realmente Gesù di Nazaret? In altre parole, qual’ è il valore<br />
storico dei Vangeli? Il loro genere letterario e la loro distanza dagli avvenimenti che narrano non<br />
costituiscono un impedimento alla conoscenza storica di Gesù? A questo problema — che è<br />
estremamente importante, perché la fede cristiana è essenzialmente «storica», cioè fondata<br />
sulla storia, non su miti o su leggende — cercheremo ora di dare una risposta.<br />
( Vedi De Giuseppe Rosa: Gesù di Nazaret-Ldc-C.Cattolica e autori vari)<br />
ALLA BASE DELLA FEDE<br />
Il Nuovo Testamento è la raccolta ufficiale degli Scritti che stanno alla base della<br />
fede cristiana. Sono ritenuti sacri e canonici, cioè divinamente ispirati e normativi per la<br />
fede e l’agire morale a partire dalla scomparsa dell’ultimo apostolo ( fine del II secolo ). I libri<br />
che contenevano la storia sacra del popolo ebraico furono denominati da Paolo (2 Cor 3, 14)<br />
“Antica Alleanza”, e di conseguenza i libri canonici del Cristianesimo presero il nome di<br />
“Nuova Alleanza”. Il termine “Testamento” proviene dal fatto che coloro che curarono la<br />
versione in greco della Bibbia ebraica del II secolo a.C. ( versione detta “dei settanta” )<br />
tradussero il termine “berit” ( alleanza ) col greco “diatheke (deliberazione definitiva ), e i<br />
latini la resero con “testamentum”; così già dall’inizio del III secolo la “Nuova Alleanza” era<br />
diventata “ Nuovo Testamento” nell’uso corrente.
SCELTA GIUSTA<br />
Tutta la critica storica riconosce che i Vangeli e gli altri libri del Nuovo Testamento<br />
sono stati composti nell’”ambiente vitale” (definito “ sitz im leben” da studiosi tedeschi)<br />
delle prime comunità cristiane dell’età apostolica, vissute ad una distanza di pochi anni tra i<br />
fatti e la redazione scritta. Gesù ha compiuto la sua missione verso gli anni 30 e tutti i libri<br />
“canonici” sono stati scritti tra il 50 e il 100. Questi libri sono detti “canonici” , perché inseriti<br />
nella lista, o canone dei libri e ritenuti normativi ( il termine “canone” viene dal greco<br />
“kanon” e dall’ebraico “kaneb” che indicano la “canna” usata come strumento di misura, e<br />
significa quindi “misura” o “regola” ).<br />
La scelta dei libri canonici è avvenuta ai tempi della Chiesa primitiva che ha seguito<br />
per questo alcuni criteri.<br />
Il primo criterio di cui ha tenuto conto è stato la certezza che ci fosse un legame<br />
stretto tra lo scritto e gli Apostoli; tale legame è garantito per tutti i libri che sono scritti o da<br />
Apostoli o da loro discepoli.<br />
Il secondo criterio è stato quello della fedeltà agli insegnamenti di Gesù: le prime<br />
comunità cristiane erano molto vigili e notavano subito chi “usciva fuori dal seminato”,<br />
diffondendo eresie o deviando dal retto annunzio.<br />
Il terzo criterio è liturgico: erano i testi più citati, usati nelle comunità del primo secolo<br />
ad essere poi accolti come “testi sacri”, che erano non solo ispirati dallo Spirito Santo, ma<br />
anche impreziositi dalla preghiera e dalla riflessione dei discepoli della prima ora. (es. inni<br />
inseriti nelle lettere di Paolo, liste di miracoli e di parabole, giornata di Gesù…).
FORMAZIONE DEL CANONE DEL N.T.<br />
La raccolta dei libri del “Nuovo Testamento” si è formata lentamente. I primi<br />
cristiani, sull’esempio di Gesù e dei dodici, consideravano sacre ed ispirate le Scritture degli<br />
Ebrei (Thorà (= Legge), Nabiin ( = Profeti ), Ketubin ( = Scritti ) = Tanak ), che venivano<br />
lette e spiegate nelle Sinagoghe. Nelle loro adunanze, che avvenivano “nel giorno del<br />
Signore”, insieme a questi Scritti essi cominciarono a leggere le lettere che arrivavano dagli<br />
Apostoli e narrazioni contenenti parole e fatti del Signore (Vedi Col 4, 16; 1 Cor 11, 23-26 ;<br />
1 Cor 15, 3-7 ). Anche questi nuovi scritti venivano ritenuti sacri. Da queste letture nacque a<br />
poco a poco la raccolta degli Scritti del “ Nuovo Testamento”. All’inizio ci furono<br />
divergenze tra una chiesa locale ed un’altra e in alcune chiese inizialmente ci furono<br />
incertezze su qualche libro ( Ebrei, Apocalisse, seconda e terza lettera di Giovanni, seconda di<br />
Pietro, lettere di Giacomo e di Giuda ).<br />
Intanto alcuni libri vennero presto relegati tra gli Apocrifi, e altri di maggiore<br />
interesse, ma non apostolici, vennero considerati come “Padri Apostolici” (lettera di<br />
Barnaba, due lettere di Clemente, il Pastore d’Erma ).<br />
L’elenco dei libri normativi si andò progressivamente precisando. Prima di giungere<br />
alla completa ammissione di tutti ci sono state alcune incertezze su Apocalisse, Ebrei, 2<br />
Pietro, Giacomo e Giuda, 2 e 3 di Giovanni.<br />
Le questioni intorno al canone sostanzialmente si conclusero alla fine del II secolo<br />
con l’accettazione dei 27 scritti . La ragione ultima e dirimente che ha motivato questa<br />
accettazione è stata la constatazione che questi libri erano accolti da tutta la Chiesa. Un<br />
documento scoperto da L. Muratori, risalente al 190 circa, contiene l’elenco completo dei<br />
libri canonici del Nuovo Testamento. Qualche restante dubbiosità su qualche caso si può<br />
ritenere rientrata dopo il 400. La prima edizione critica del N.T. è di Origene (185-215 ) . Il<br />
canone fu ripreso dal Concilio di Firenze nel 1422.<br />
Nuove contestazioni sorsero solo nel XVI secolo. Gli umanisti del XVI secolo<br />
sollevarono antiche discussioni a proposito di alcuni libri. In campo protestante, Lutero<br />
attribuì un valore secondario ad Ebrei, Giacomo e Apocalisse e li collocò alla fine della sua
Bibbia, tradotta in tedesco; Zuiglio ebbe qualche dubbio sull’Apocalisse. Ma dopo di loro le<br />
Chiese della Riforma accettarono l’intero canone. Il Concilio di Trento nel 1546 fissò il<br />
canone di tutta la Bibbia e quindi anche dei 27 libri del NT.<br />
LA TESTIMONIANZA DEI VANGELI<br />
I Vangeli presentano ciò che i Cristiani credono di Gesù. Riferiscono fedelmente le<br />
opere e le parole di Gesù Cristo, ripensate alla luce degli eventi pasquali, sotto l’influsso<br />
dello Spirito Santo e hanno valore storico. Certamente i Vangeli sono espressione della fede<br />
degli evangelisti e della prima Comunità cristiana, ma questo non impedisce di considerarli<br />
fonte sicura di informazione, perché la fede cristiana si caratterizza proprio per il suo radicarsi<br />
nella storia. La Dei Verbum dice: “ La Santa Madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza<br />
e costanza massima, che i quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza alcuna esitazione la<br />
storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini,<br />
effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza fino al giorno in cui fu assunto in<br />
cielo. Gli Apostoli poi, dopo l’Ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che<br />
Egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza delle cose, di cui essi,<br />
ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità godevano. E gli<br />
autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano state<br />
tramandate a voce o anche per iscritto, alcune altre sintetizzando, altre spiegando con riguardo<br />
alla situazione delle chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in<br />
modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità. Essi infatti attingendo, sia ai propri<br />
ricordi sia alla testimonianza di coloro, i quali “fin dal principio furono testimoni oculari e<br />
ministri della parola”, scrissero con l’intenzione di farci conoscere la “verità” (Lc 1, 2-4), delle<br />
cose sulle quali siamo stati istruiti . ( DV 19 )
LA SCRITTURA E’ <strong>CRISTO</strong><br />
Il Cristianesimo crede che “Dio si è rivelato all’uomo per amore e ha dato una risposta<br />
definitiva e sovrabbondante agli interrogativi che l’uomo si pone sul senso e sul fine della<br />
propria vita…. Egli ha rivelato gradualmente all’uomo il suo mistero attraverso eventi e parole<br />
al popolo d’Israele e si è rivelato pienamente mandando il suo proprio Figlio, nel quale ha<br />
stabilito la sua alleanza per sempre. Gesù Cristo è la parola definitiva del Padre, così che,<br />
dopo di lui, non ci sarà un’altra Rivelazione”. (CCC 68-73 )<br />
Noi conosciamo la rivelazione perché ci è stata trasmessa dalla tradizione della Chiesa<br />
e la troviamo nella Sacra Scrittura, che è ispirata e contiene la Parola di Dio. Tutta la divina<br />
Scrittura è come un solo libro e quest’unico libro è Gesù Cristo; infatti tutta la Scrittura parla<br />
di Cristo e in Lui trova compimento.<br />
Gesù di Nazaret è al centro della rivelazione, irradia in ogni direzione la forza<br />
della verità e dell’amore, è il grande segno di Dio, il rivelatore e nello stesso tempo il<br />
motivo di credibilità della rivelazione. Egli completa la rivelazione e ne conferma<br />
l’autenticità con la sua stessa presenza, con le parole e le opere, con i miracoli, con la sua<br />
morte e risurrezione, con la manifestazione dello Spirito Santo nella comunità dei credenti,<br />
è il Messia promesso, il Salvatore di ogni uomo, il Figlio di Dio («Il Verbo si fece carne e<br />
venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal<br />
Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). ” Il mistero infinito ci ha rivolto la parola e<br />
addirittura ci è venuto incontro personalmente con il nome e con il volto di Gesù di Nazaret e<br />
ci ha chiamati a vivere insieme a Lui per l’eternità.<br />
Gesù è la via maestra per arrivare a Dio. “ Io sono la via, la verità, la vita.<br />
Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me “ (Gv 14, 6 ). Con Cristo dobbiamo dunque<br />
entrare in contato, conoscerlo e accettarlo per giungere a Dio.
Libri canonici del Nuovo Testamento<br />
Vangeli<br />
Matteo Mt Matteo 85<br />
Marco Mc Marco 65-70<br />
Luca Lc Luca 80-85<br />
Giovanni Gv Giovanni 95-100<br />
Lettere<br />
Romani Rm Paolo 57-58<br />
1 Corinzi 1 Cor Paolo 55<br />
2 Corinzi 2 Cor Paolo 57<br />
Galati Gal Paolo 57<br />
Efesini Ef Paolo 61-63<br />
Filippesi Fil Paolo 61-63<br />
Colossesi Col Paolo 61-63<br />
1 Tessalonicesi 1 Ts Paolo 51<br />
2 Tessalonicesi 2 Ts Paolo 52<br />
1 Timoteo 1 Tm Paolo 63<br />
2 Timoteo 2 Tm Paolo 67<br />
Tito Tt Paolo 67<br />
Filemone Fm Paolo 61-63<br />
Ebrei Eb Sconosciuto 60<br />
Giacomo Gc Giacomo 60-70<br />
1 Pietro 1 Pt Pietro 64<br />
2 Pietro 2 Pt Sconosciuto 95-100
Giuda Gd Sconosciuto 95<br />
1 Giovanni 1 Gv Giovanni 95<br />
2 Giovanni 2 Gv Giovanni 95-100<br />
3 Giovanni 3 Gv Giovanni 95-100<br />
Atti e Apocalisse<br />
Atti At Luca 85<br />
Apocalisse Ap Giovanni 95-100<br />
Fonti non cristiane<br />
Plinio il Giovane (62-114) dice che i cristiani “solevano riunirsi in un giorno<br />
determinato della settimana…a cantare inni a Cristo come a un Dio “.<br />
Traiano nel 112 asserisce che i seguaci di Cristo non devono essere cercati, ma<br />
se denunziati non con lettera anonima devono essere puniti se non accettano di sacrificare agli<br />
dei.<br />
Cornelio Tacito (55-120 ) scrive che Nerone punì con raffinati supplizi coloro<br />
che la gente chiamava cristiani, nome che ha origine da Cristo, condannato a morte sotto il<br />
regno di Tiberio dal procuratore Ponzio Pilato.<br />
Svetonio Tranquillo (75-150 ) ricorda che ai tempi di Claudio furono espulsi da<br />
Roma i Giudei i quali “ istigati da un certo Cristo, provocavano spesso tumulti” .<br />
Giuseppe Flavio tratta con chiarezza sia della condanna a morte di Gesù, sotto<br />
Ponzio Pilato, sia dei cristiani, sia del martirio di Giacomo, “fratello di Gesù, detto il Cristo”.<br />
Il Talmud (IV-V secolo) che è polemico nei confronti dei cristiani, indica come<br />
data della morte di Gesù il 14 di Nissan, che è la stessa data segnalata da Giovanni.<br />
Un manoscritto siriano del VII secolo contiene una lettera in cui un certo Mara<br />
Bar Serapion del 73 d. C. dice che i Giudei avevano giustiziato il loro re sapiente e che perciò<br />
Israele fu punito.
Vari polemisti pagani tentano di presentare Gesù in forma negativa, ma ne<br />
attestano l’esistenza.<br />
Principali Apocrifi del Nuovo Testamento<br />
Vangelo di Giacomo ( II d. C )<br />
Vangelo di Tommaso ( data incerta )<br />
Vangelo arabo dell’infanzia ( raccolta tardiva )<br />
Storia di Giuseppe il carpentiere ( IV d. C .)<br />
Vangelo di Pietro ( 150 d. C. )<br />
Vangelo di Nicodemo o di Pilato ( IV d. C. )<br />
Vangelo di Bartolomeo (IV d.C )<br />
Libro di Giovanni Evangelista ( VI o VII d. C. )<br />
Assunzione della Vergine ( VII d. C. )<br />
Atti di Giovanni ( 150 d. C. )<br />
Atti di Paolo ( 160 d. C. )<br />
Atti di Pietro (200 d. C. )<br />
Atti di Andrea ( 200 d. C.)<br />
Atti di Tommaso ( V secolo )<br />
Atti di Filippo ( V d.C. )<br />
Storia di Abdia ( IV sec. )<br />
Epistola di Abdar (IV d. C. )<br />
Epistola ai Laodicesi ( IV d. C. )<br />
Paolo e Seneca ( IV d. C. )<br />
Epistola degli Apostoli ( 160 d.C. )<br />
Apocalisse di Pietro ( II d. C. )<br />
Apocalisse di Paolo ( IV d. C )<br />
Ritrovati nel secolo scorso<br />
Apocalisse di Tommaso ( IV d. C. )<br />
Vangelo di Tommaso (gnostico ) ( II o III d. C. )<br />
Vangelo di Giuda ( 140-180 )<br />
Vangelo segreto di Marco (data incerta )<br />
Vangelo del Salvatore (data incerta )
Alcuni Padri della Chiesa<br />
Didachè ( circa 80 )<br />
Clemente (c. 90-100 )<br />
Lettera di Barnaba ( 100-110)<br />
Ignazio di Antiochia ( +110)<br />
Policarpo (69-155)<br />
Pastore d’Erma ( 100-150)<br />
Lettera a Diogneto ( 150 ? )<br />
Giustino ( + 165)<br />
Ireneo di Lione (130-2)<br />
Tertulliano (160-210 )<br />
Clemente Alessandrino ( 150-215)<br />
Origene (185-254 )<br />
Atanasio ( 296-373 )<br />
Cirillo di Gerusalemme (313-387)<br />
Basilio il Grande (329- 379)<br />
Gregorio Nisseno ( 335-395)<br />
Gregorio Nazianzeno ( 330-390)<br />
Cirillo di Alessandria (370- 431 )<br />
Giovanni Crisostomo ( 350-407)<br />
Girolamo ( 340-420)<br />
Ambrogio (334-397)<br />
Leone Magno ( 395- 461)<br />
Agostino (354-430)
RICERCA STORICA<br />
RICERCA SULLA VITA DI <strong>GESU</strong><br />
Nella sua lunga storia, il Cristianesimo ha cercato di conoscere sempre meglio Gesù,<br />
di penetrare nel mistero della sua persona e di capire il senso della sua opera.<br />
Nei primi secoli della Chiesa, ci sono state molte cristologie (cristo-logie=studi su<br />
Cristo), che hanno avuto come fondamento il “Cristo storico”, ossia “ gli eventi e le parole”<br />
di Gesù ( Dei Verbum 2 ), che ha concluso la sua esistenza terrena mentre era governatore della<br />
Galilea Ponzio Pilato ed imperatore di Roma Tiberio. Ma non si sono fermate al “Cristo<br />
storico”, perché sarebbe stata una semplice ricostruzione di fatti e di detti di un Gesù solo<br />
modello, come Buddha, Socrate, Maometto.<br />
A fondamento delle cristologie cristiane c’è anche Cristo visto con gli occhi della<br />
fede come il Signore, il Salvatore, il vivente, colui con cui ogni credente entra in contatto, che<br />
è “via, verità e vita”, che è sempre in mezzo ai suoi: “Io sono con voi… fino alla fine dei<br />
tempi” (Mt 28, 20). Nelle cristologie veramente cristiane non c’è stata solo una “fede<br />
storica”, ma anche una fede soprannaturale, trasmessa ai discepoli di Gesù dal suo<br />
Spirito.(Gv 14, 26; 15, 26; 16,13).
Per i problemi che i Vangeli sollevavano soprattutto a proposito delle concordanze,<br />
venivano trovate soluzioni che parevano soddisfacenti. Ci sono stati anche avversari come<br />
Celso (180) e Porfirio ( III secolo ), ma non venne mai attaccata la storicità dei Vangeli.<br />
MODERNA RICERCA SULLA VITA DI <strong>GESU</strong><br />
Con l’avvento dell’era moderna sulla credibilità dei Vangeli sono stati sollevati seri<br />
dubbi e sono stati intrapresi numerosi studi che hanno rivisto da capo, a fondo e<br />
secondo i sistemi critici del tempo, tutte le fonti del Cristianesimo.<br />
“L’epoca storica che chiamiamo modernità prende l’avvio a partire dai secoli XV e<br />
XVI, grazie a numerosi avvenimenti: le invenzioni e le scoperte, l’allargamento<br />
dell’immagine geografica e astronomica del mondo, le trasformazioni spirituali e religiose,<br />
così come quelle politiche e culturali, che si condizionano reciprocamente ed entrano in conflitto<br />
tra di loro; tutto questo cambia profondamente il mondo dell’uomo, trasformando anche il<br />
pensiero filosofico, in particolare per quanto riguarda la questione di Dio e quella del rapporto<br />
fra l’uomo e Dio…….Dopo un periodo di transizione, il pensiero moderno, fino all’illuminismo<br />
del XVIII secolo, presenta due filoni principali, quello razionalistico e quello empiristico. ( E.<br />
Coreth “Dio nel pensiero filosofico” p. 172-173 ). Tanto il razionalismo quando l’empirismo<br />
confluiscono nel movimento spirituale che prende il nome di illuminismo, che ha una fede<br />
illimitata nella ragione e nel progresso della scienza e sostiene che se la scienza si libera da<br />
tutti i vincoli e pregiudizi, può risolvere tutti gli enigmi del mondo, può migliorarlo e fare<br />
felice l’umanità.<br />
Quanto alla vita religiosa “uno scuotimento profondo della vita spirituale<br />
dell’occidente è dato dalla Riforma…. che raggiunse tutti gli strati della popolazione…Già da<br />
tempo la riforma della Chiesa era invocata e sempre era stata procrastinata. L’impulso per<br />
quest’ultima venne da Martin Lutero (1483-1546), che non intendeva dividere la Chiesa, ma<br />
rinnovarla nello spirito del Vangelo. Di fatto, però, si arrivò ad una fatale divisione ecclesiale e<br />
dottrinale. Dal punto di vista dottrinale la comprensione del cristianesimo venne spostata dalla<br />
tradizione alla pura parola della Scrittura, dall’istituzione ecclesiale alla giustificazione del<br />
singolo di fronte a Dio, dalla gerarchia ecclesiale alla fede e all’esperienza della salvezza,<br />
cioè dalla dottrina della fede oggettiva all’esperienza di fede e di grazia soggettive.<br />
Con ciò si annunzia quella svolta moderna verso la soggettività, che dal punto di vista<br />
filosofico sarà ancora più accentuata”. ( E. Coreth “Dio nel pensiero filosofico” p. 174-175)<br />
La Riforma ha dato un notevole impulso, di portata storica, alla riflessione sulle origini<br />
del Cristianesimo, ma nel secolo XIX la cristologia protestante è restata vittima della<br />
“secolarizzazione”, un indirizzo della modernità, che escludeva ogni riferimento a Dio, (etsi<br />
Deus non daretur), alla Chiesa e alla fede, ed era dominata dal razionalismo.
In una confluenza di illuminismo e di visione protestante, è sorta in Germania, nel<br />
XIX secolo, l’importante teologia biblica denominata “ Leben-Jesu-Formschung (=ricerca<br />
sulla vita di Gesù), che, secondo A. Schweitzer, è stato “ il più grande fatto verificatosi nella<br />
teologia tedesca”, ma che “non fu animata da un interesse meramente storico, in quanto<br />
essa cercò nel Gesù della storia colui che avrebbe dovuto aiutarla nella lotta di liberazione<br />
dal dogma” . La questione storica di Gesù celava da una parte un interesse per la fede e il suo<br />
rinnovamento, dall’altra lo spirito dell’illuminismo, il quale tenne a battesimo la nuova teologia<br />
biblica e la stessa ricerca della vita di Gesù. Dalla confessione del Cristo Figlio del Dio vivente<br />
si passò ad un’indagine solo razionale intorno alla figura storica di Gesù di Nazaret.<br />
Gli inizi<br />
Nei secoli XVII-XIX, in pieno periodo di ammirazione per la ragione e di conseguente<br />
disprezzo di quanto non si può cogliere col suo solo lume, grandi avversari della fede come<br />
Spinosa e Voltaire, avviano una critica dei vangeli principalmente per l’impossibilità di<br />
spiegare con la sola ragione naturale alcuni degli eventi ivi narrati; essi partono da un<br />
preconcetto di carattere filosofico.<br />
Il tedesco Johan S. Semler (1725-1791 ) asserisce che l’origine della Sacra Scrittura non<br />
è completamente divina, come avevano insegnato fino allora i Protestanti, ma vi hanno<br />
contribuito alcuni fattori umani, come risulta dagli errori scientifici, biblici e geografici.<br />
Gottohold E. Lessing (1729-1781) nega qualsiasi distinzione tra il cristianesimo e le altre<br />
religioni e propose di introdurre la religione dell’Essere supremo. Herman S. Raeimarus<br />
(1694-1768 ) sostiene che tutti gli elementi miracolosi e soprannaturali del Vangelo sono<br />
invenzioni degli Apostoli: Gesù non è affatto risorto, ma è morto disperato, visto l’insuccesso<br />
della sua predicazione sul Regno dei cieli.<br />
Anche i filosofi contribuiscono con le loro idee alla distruzione della visione ortodossa<br />
di Cristo. I. Kant (1724-1804 ) nell’opera “ La religione nei limiti della ragione”, legge tutti gli<br />
elementi dogmatici del cristianesimo come simboli: così per es. Gesù è il simbolo della lotta<br />
dell’umanità contro il male e della sua vittoria su di esso. G.W.F Hegel (1770-1831 ), nella sua<br />
“Vita di Gesù”, riduce Gesù ad un buon moralista; altre opere vedono nei dogmi<br />
dell’incarnazione e della redenzione solo dei simboli.
Critica razionalistica<br />
Nell’Ottocento D. F. Strauss (1808-1874 ) applica con pregiudizi razionalistici i<br />
principi della critica letteraria e storica alla Bibbia e arriva a concludere che i miracoli dei<br />
vangeli sono miti e che il vangelo di Giovanni non è attendibile dal punto di vista storico. Da<br />
allora l’ala radicale della critica respinge in tronco Giovanni e il suo interesse si rivolge in un<br />
primo tempo sui sinottici. In un secondo tempo, vedendo che tra di essi c’è una certa priorità<br />
di Marco, che appare il più scarno e il più riservato sulla persona di Gesù, pensando di aver<br />
trovato in esso la base di ogni ricerca scientifica, l’interesse si concentra in pratica su<br />
questo vangelo e Marco diventa il testo su cui si costruiscono le biografie di Gesù del<br />
diciannovesimo secolo. Tra gli studiosi di questa scuola emergono: H. J. Holzmann (1832-<br />
1910); J.Weiss (1863-1914); A. Von Harnak (1851-1930). In seguito anche Marco viene<br />
messo in discussione. Sembra ai critici che l’evangelista abbia rielaborato il materiale a<br />
disposizione secondo le sue tendenze. Così W. Wrede (1859-1906) pone in discussione il<br />
cosiddetto “segreto messianico”, che sarebbe stato aggiunto dopo; J. Welhausen (1844-1918)<br />
smembra il testo del vangelo; K.L. Schmidt ( 1919 ) cerca di dimostrare l’artificiosità del<br />
quadro in cui Marco descrive la vita di Gesù. Così questi studiosi, che hanno condotto una<br />
ricerca puramente letteraria, si trovano in un vicolo cieco.<br />
Storia comparata delle religioni<br />
All’inizio del 1900 si afferma un movimento, già avviato nel secolo precedente, per lo<br />
studio della storia delle religioni, che include il cristianesimo nell’ambito delle grandi
eligioni dell’antichità. I nomi più importanti sono: W. Bousset (+1920); E. Reitzenstein<br />
(+1932) e S. Reinach (1858-1932). Soprattutto con quest’ultimo il cristianesimo appare come<br />
un sincretismo, deformato per opera di Paolo, ad imitazione delle religioni misteriche e dello<br />
gnosticismo. Gli avvenimenti descritti nei vangeli vengono erroneamente inquadrati nella vita<br />
dell’antico Oriente, mentre il terreno di cultura dei vangeli è diverso da quello delle antiche<br />
religioni ed è da ricercarsi soprattutto nell’A. Testamento.<br />
Scuola escatologica<br />
Un ricordo particolare, per il principale personaggio che ne è stato rappresentante,<br />
Albert Schweitzer, merita la scuola escatologica, che non si preoccupa del Gesù storico, ma<br />
immagina che Gesù tutto preso dall’aspettativa della fine imminente, non sia stato<br />
interessato a fondare la chiesa, ma ad invitare il popolo alla conversione e alla penitenza, in<br />
vista dell’imminente fine del mondo. Schweitzer, vedendo il fallimento cui porta questo tipo di<br />
critica, pensa sia più importante dedicarsi alla carità e, lasciati gli studi, va in Africa, dove<br />
rifulge per il servizio ai malati.<br />
Storia delle forme<br />
Verso gli anni 1930 nasce il nuovo metodo della “storia delle forme” che, superando<br />
la ricerca puramente letteraria, indaga sulla preistoria orale dei vangeli. Il più celebre
studioso è il protestante Rudolf Bultmann. Egli asserisce che bisogna leggere il vangelo con gli<br />
occhi del periodo anteriore agli scritti, di cui bisogna studiare l’ambiente vitale (sitz im<br />
leben ), col metodo della “storia delle forme” (formegeschichte). Posto questo presupposto<br />
metodologico, l’esegeta tedesco fa un passo troppo lungo e conclude che i vangeli sono solo<br />
“testimonianze di fede” . Secondo lui essi vanno sottoposti ad un’interpretazione essenziale<br />
della fede, per la quale la storicità di Cristo non ha nessuna importanza tanto da poter asserire:<br />
“ non possiamo più sapere quasi nulla della vita e della personalità di Gesù, perché le fonti<br />
cristiane non se ne sono preoccupate” , “la fede pasquale non si è preoccupata di problemi<br />
storici” . E’ famosa la triade di pronomi tedeschi che usa per demolire la realtà storica di<br />
Gesù: Wie (come) , Was (ciò), Dass (dato esistente) : non sappiamo nulla del “come” egli abbia<br />
vissuto, amato, parlato, nulla sul “ciò”, sul contenuto di quanto ha detto; sappiamo solo “il<br />
dato”, ossia che Gesù è esistito. Inoltre lo studioso dice che gli autori neotestamentari hanno<br />
scritto con il linguaggio mitico del tempo e ci hanno tramandato il messaggio di Gesù unito<br />
al mito, dal quale bisogna liberare i vangeli. Bultmann ha segnato la storia dell’esegesi, ma<br />
ha passato ogni limite e le sue posizione così estreme sono state sconfessate anche dai suoi<br />
allievi.<br />
La situazione oggi<br />
Più di due secoli di discussioni attorno alla questione del “Cristo storico” si sono<br />
concluse con il riconoscimento dell’attendibilità delle fonti evangeliche, le quali hanno retto al<br />
vaglio della critica più minuziosa ed esigente. “ I Vangeli sono i libri più vagliati dalla critica<br />
che, anziché demolirli, ha messo in luce che essi sono rimasti essenzialmente inalterati lungo<br />
i secoli. Il contesto storico e geografico dei vangeli si è rivelato sempre più esatto e<br />
documentato: quasi tutti i luoghi citati nei Vangeli sono stati identificati da archeologi e storici;<br />
la flora, la fauna, la situazione agricola, il tenore di vita familiare, i modi di vestire,<br />
corrispondono alle descrizioni contemporanee o agli usi tuttora conservati; i personaggi storici<br />
(Erode il Grande, Archelao, Erode Antipa, Pilato) corrispondono a quelli presenti in altre fonti;<br />
le notizie circa la vita sociale, religiosa, politica del popolo ebreo, le abitudini, le sette,<br />
l’autorità degli scribi e dei farisei, le varie autorità, (imperiale, nazionale, religiosa), i riti, le
feste, le tasse, il sabato, rappresentano una cornice rigidamente storica”. ( A. Vigano: “ Gesù<br />
persona storica” )<br />
L’interpretazione data da non pochi critici dell’Ottocento era spesso inficiata da idee<br />
filosofiche non conciliabili con la fede (razionalismo, positivismo, ateismo), con conseguente<br />
esclusione di ogni realtà superiore all’esperienza . Oggi gli studiosi non hanno più quelle<br />
posizioni e nemmeno pensano alla divisione tra il Gesù pre-pasquale e a quello postpasquale<br />
( della storia e della fede ). Gli studiosi cattolici, che hanno combattuto le posizioni<br />
razionalistiche e smascherato errori e preconcetti, hanno accolto le cose serie e<br />
scientificamente accettabili delle varie scuole e usano ora i migliori metodi scientifici del<br />
periodo della critica liberale ed altri escogitati dopo.<br />
<strong>GESU</strong>’ PERSONAGGIO STORICO<br />
La storicità dei Vangeli è facilmente verificabile se vengono studiati senza pregiudizi e<br />
vengono usati i molti strumenti scientifici a disposizione. Essa è l’unica conclusione logica di<br />
ogni vera ricerca. “Possiamo essere sicuri che i Vangeli ci consentono di raggiungere la figura<br />
storica di Gesù nei suoi lineamenti principali, nelle costanti del suo insegnamento e della sua<br />
prassi, nei momenti cruciali della sua vita pubblica, nella sua assoluta originalità. La figura di<br />
Gesù è così singolare che nessuno avrebbe potuto immaginarla, se non si fosse imposta da sé.<br />
Gesù è diverso dai grandi uomini religiosi: non manifesta incertezze, non si riconosce<br />
peccatore; parla e opera con una sicurezza e un potere senza pari. Identifica concretamente se<br />
stesso e il proprio agire con la presenza di Dio e la venuta del suo regno; rivendica un’autorità<br />
superiore a quella dei profeti; si considera decisivo per la salvezza, esigendo dedizione<br />
incondizionata. Eppure queste pretese esorbitanti non risultano odiose in lui, perché vive<br />
totalmente al servizio del Padre e degli uomini, dimentico di sé, fedele fino alla morte in<br />
croce”. (VVL 80 )<br />
Si può asserire senza possibilità di smentite che tra quelli che prendono sul serio la<br />
storia non c’è nessuno che neghi l’esistenza di Gesù. Il grande esegeta protestante Bultmann
osserva: “il dubbio circa l’esistenza di Gesù manca di fondamento e non merita nemmeno una<br />
parola di replica”.<br />
LA VITA DI <strong>GESU</strong><br />
Di Gesù è possibile abbozzare un profilo storico. Nasce a Betlemme, in un periodo<br />
verificabile della storia (Lc 2, 2 ) . Secondo Papia ( morto nel 550 d. C ), che però non<br />
segue un computo del tutto esatto, Gesù sarebbe nato l’anno 754 dalla fondazione di Roma;<br />
secondo studi più accurati risulta invece che è nato circa il 6 a. C.; in un giorno dell’anno che<br />
non conosciamo; (l’indicazione del 25 di Dicembre come data di nascita di Gesù risale ai tempi<br />
di Costantino (morto nel 337 ), quando la Chiesa trasformò la festa pagana del “natale del<br />
sole invitto” nella festa cristiana del “sole di giustizia”). Fece parte di una famiglia modesta<br />
(Mt 13, 35 ) e per buona parte delle vita si guadagnò da vivere facendo l’operaio ( è chiamato:<br />
“il figlio del carpentiere”) . Passò quasi tutta la vita in Palestina, il cui ambiente presentato<br />
nei Vangeli corrisponde a quello reale del tempo di Gesù (mondo agricolo, notabili, autorità,<br />
sfondo religioso e sociale, celebrazioni, feste, ecc. ).<br />
Studiando attentamente i dati di Luca 3, 23-38 e il Vangelo di Giovanni si può asserire<br />
che il ministero di Gesù ha inizio negli anni 27-28, quando egli è sui 30 anni, e dura circa due<br />
anni e mezzo. E’ preceduto dal battesimo, ricevuto da Giovanni nel Giordano, cui fa seguito<br />
una dura tentazione. Gesù passa di villaggio in villaggio predicando a tutti, annunzia il Regno,<br />
compie miracoli, perdona i peccati, invita alla sua sequela. Molti lo seguono, dodici discepoli<br />
sono da lui preparati in modo particolare per continuare la sua opera. La sua predicazione urta i<br />
notabili che lo arrestano e lo condannano a morte. La data più probabile della morte è quella<br />
fornita da Giovanni e corrisponde al 7 Aprile (14 di Nissan ) dell’anno 30. Il terzo giorno dopo<br />
la morte risorge, e dopo 40 giorni sale al cielo.<br />
STUDI VARI<br />
Sull’importanza dei Vangeli, gli studi critici su di essi, i metodi di esegesi, la storicità<br />
di Gesù Cristo vengono di seguiti riprodotte le seguenti pubblicazioni di scrittori attuali:<br />
Ricerca storica Giuseppe de Rosa<br />
Gesù della storia e della fede Raniero Cantalamessa<br />
Andare oltre Joseph Ratzinger-Benedetto XVI
IL VALORE STORICO DEI VANGELI<br />
VALORE STORICO DEI VANGELI<br />
I Vangeli come unica fonte per conoscere chi è stato Gesù di Nazaret, per il loro genere<br />
letterario, che non è storico, ma catechetico, e per la distanza che li separa dai fatti che<br />
narrano, pongono il problema del loro valore storico. In altri termini: i Vangeli in uso oggi<br />
sono il risultato di un lungo processo, durato circa tre-quattro decenni, durante i quali il<br />
materiale che forma i Vangeli è servito nella Chiesa primitiva per la catechesi, per il culto e per<br />
la polemica. D'altra parte gli autori dei Vangeli non si sono accontentati di riportare<br />
semplicemente la tradizione anteriore, ma, da veri autori, l'hanno ripensata e riscritta<br />
secondo le proprie prospettive teologiche e tenendo presenti le necessità dei cristiani per i quali<br />
scrivevano.<br />
Ecco allora la domanda: possiamo essere sicuri che prima gli Apostoli, poi la Chiesa<br />
primitiva, poi coloro che per primi hanno messo per iscritto le tradizioni e infine i quattro<br />
evangelisti che hanno redatto i Vangeli quali noi li possediamo, interpretando la figura e il<br />
messaggio di Gesù, non li abbiano alterati o deformati? In altre parole, possiamo essere<br />
sicuri che, attraverso questa lunga catena di «testimoni», giungiamo a conoscere Gesù di<br />
Nazaret?<br />
Il problema è essenziale, perché, a differenza di tutti i sistemi gnostici, passati e<br />
presenti, il cristianesimo si fonda non su una dottrina, una «conoscenza» (gnosi), per quanto<br />
elevata possa essere, ma si fonda sull'evento storico di Gesù di Nazaret, sulla sua «persona»,<br />
cioè su quello che egli storicamente è stato, sulle parole che egli ha detto e sulle azioni che egli<br />
ha compiuto, sulla sua vita, sulla sua morte in croce e sulla sua risurrezione dalla morte. Solo se<br />
è in continuità vivente con Gesù di Nazaret, il cristianesimo sta solidamente in piedi e non si<br />
riduce a fatto mitico e leggendario, senza reale consistenza.
LA STORIA DELLA CRITICA DEI VANGELI<br />
Come, storicamente, è stato affrontato questo problema? Fino al Settecento, il problema<br />
del valore storico dei Vangeli non si è posto. Il primo a sollevarlo fu H. S. Reimarus, a cui<br />
seguirono nell'Ottocento D. F. Strauss con la sua Vita di Gesù (1857) e parecchi altri esegeti.<br />
Essi espressero nei confronti dei Vangeli uno scetticismo totale. Secondo Strauss, il Cristo dei<br />
Vangeli, confessato dai cristiani come il Dio incarnato, è un Gesù «mitizzato» e quindi c'è un<br />
fossato invalicabile tra Gesù di Nazaret e il Cristo dei Vangeli. Al contrario di Strauss, la<br />
scuola liberale protestante, rappresentata tra gli altri da H. J. Holtzmann, A.Harnack ed E.<br />
Renan, ritenne che fosse possibile scoprire l’uomo Gesù servendosi di fonti «storicamente<br />
pure», quali si ritenevano il Vangelo di Marco e una raccolta di parole di Gesù, detta fonte Q<br />
(dal tedesco “Quelle”=fonte). Ma nel 1906 A. Schweitzer mostrò che il tentativo della scuola<br />
liberale era fallito, non essendo possibile scrivere una vita di Gesù. Negli stessi anni M.<br />
Kàhler, distinguendo il «Gesù storico» e il «Cristo del kerygma», affermò che quello che a<br />
noi oggi interessa è il «Cristo predicato», che è il Gesù «reale». Quanto al «cosiddetto Gesù<br />
storico», sappiamo assai poco; ma questo è senza importanza.<br />
Colui che ha dato a queste idee un carattere radicale è stato però R. Bultmann (1884-<br />
1976). Egli afferma anzitutto che noi non possiamo sapere praticamente niente della vita e<br />
della personalità di Gesù, perché le fonti cristiane in nostro possesso, assai frammentarie e<br />
invase dalla leggenda, non hanno manifestato nessun interesse su questo punto. Gesù è<br />
certamente esistito, ha esercitato il suo ministero di rabbì giudaico ed è morto sotto Ponzio<br />
Pilato. Ma oltre questo non possiamo saper nulla di lui, perché i Vangeli sono professioni di<br />
fede e il Gesù che essi presentano è in buona parte un Gesù «mitizzato» dalla primitiva<br />
comunità cristiana, la quale, con la sua forte capacità «creativa», del Gesù storico ha fatto il<br />
Figlio di Dio incarnato nel seno della Vergine, gli ha attribuito miracoli, lo ha fatto risorgere<br />
dalla morte. Dunque il Gesù dei Vangeli è una figura creata dalla primitiva comunità<br />
cristiana. Del vero Gesù storico possiamo sapere soltanto che è esistito, ha predicato ed è<br />
morto crocifìsso. Ma questo fatto non ha oggi per noi importanza alcuna, perché la fede<br />
autentica non si fonda sulla storia; anzi, trova in questa un impedimento. La fede si fonda sul
kerygma, cioè sul «Cristo predicato» dalla Chiesa e consiste nella decisione di rimettersi<br />
totalmente a Dio che ci interpella nel kerygma.<br />
Scettici sul valore storico dei Vangeli si dichiararono anche gli esegeti K. L. Schmidt,<br />
M. Dibelius, G. Bertram, M. Albertz, che, come R. Bultmann, si dedicarono allo studio delle<br />
tradizioni che sono alla base dei Vangeli, con lo scopo di fare la «storia delle forme»<br />
(Formgeschichte) in cui tali tradizioni si espressero, a cominciare dalle più antiche, cioè da<br />
quelle orali, per passare a mano a mano alle tradizioni scritte. Essi posero l'accento sul potere<br />
creativo della comunità primitiva, per cui le tradizioni sarebbero creazioni di questa e quindi<br />
prive di ogni valore storico.<br />
A questo scetticismo di Bultmann e degli altri esegeti della Formgeschichte reagirono<br />
non soltanto esegeti protestanti «conservatori», come J. Jeremias, ma anche gli stessi discepoli<br />
di Bultmann, come E. Kàsemann e G. Bornkamm.<br />
I Vangeli — scriveva quest'ultimo nel 1956 — non autorizzano affatto «lo scetticismo.<br />
Essi ci rivelano invece con immediata potenza la figura storica di Gesù, sia pure in<br />
maniera diversa dalle cronache e dalle descrizioni storiche. In maniera molto evidente, ciò che<br />
i Vangeli riportano del messaggio di Gesù, delle sue opere e della sua storia, è ancor sempre<br />
contrassegnato da un'autenticità, una freschezza e una originalità per nulla offuscate dalla fede<br />
pasquale della Chiesa, tratti questi che ci riconducono direttamente alla figura terrena di Gesù».<br />
La reazione contro il radicalismo di Bultmann è proseguita tanto negli esegeti e nei<br />
teologi protestanti, come J. M. Robinson, E. Fuchs, G. Ebeling, W. Pannenberg e J.<br />
Molmann, quanto negli esegeti e nei teologi cattolici, cosicché dopo due secoli il cerchio si è<br />
chiuso. La critica storica, partita dallo scetticismo di Reimarus, per raggiungere il suo culmine<br />
in Bultmann, è giunta oggi ad affermare che noi attraverso i Vangeli possiamo conoscere<br />
veramente Gesù di Nazaret, quello che egli è stato, quello che egli ha insegnato e<br />
ha fatto. Solo che oggi l'affermazione del valore e della solidità storica dei Vangeli non è<br />
acritica, come poteva essere quella dei secoli passati, ma è criticamente fondata, essendo<br />
passata attraverso un vaglio estremamente severo. Così noi, oggi, abbiamo la sicurezza<br />
morale del valore storico dei Vangeli.<br />
QUALE STORICITA’ NEI VANGELI?<br />
Come possiamo oggi - utilizzando i risultati della critica letteraria e storica dei Vangeli -<br />
abbozzare nelle sue grandi linee la dimostrazione del loro valore storico, cioè della possibilità<br />
di giungere attraverso i Vangeli a conoscere quello che storicamente Gesù è stato e quello che<br />
ha realmente operato e insegnato? Premettiamo che la storicità che dobbiamo chiedere ai<br />
Vangeli non è la registrazione dei fatti nella loro materialità, cioè «come sono realmente<br />
avvenuti», dunque allo stato bruto, al di fuori di ogni interpretazione. Questa è una visione
«positivista» della storia, che non può esistere nella realtà, perché lo storico non coglie mai il<br />
fatto allo stato nudo e crudo e nella sua pura oggettività, ma lo interpreta, mette ordine nei<br />
suoi elementi, lo giudica, lo collega con altri fatti; soprattutto, nell'interpretazione del fatto, lo<br />
storico porta la sua precomprensione e la sua opzione affettiva. D'altra parte, un fatto o una<br />
parola hanno un'intenzionalità che va al di là di essi e che ne da’ il senso: lo storico, perciò,<br />
riporta esattamente un fatto o una parola quando ne scopre l'intenzionalità e il senso. Può anche<br />
avvenire che lo storico si trovi dinanzi a un fatto che è stato oggetto di riletture e di<br />
interpretazioni nel corso dei secoli: in questo caso egli dovrà fare un lavoro ermeneutico,<br />
sforzandosi di scoprire il fatto e il senso iniziale. Lo storico è perciò colui che coglie il fatto,<br />
non nella sua materialità oggettiva, come potrebbe farlo una macchina fotografica o un<br />
magnetofono, ma nel suo senso e nella sua intenzionalità.<br />
In questo senso i Vangeli sono storici. Gli evangelisti, infatti, riportano i fatti e i detti<br />
di Gesù, e dunque la sua esistenza terrena, ma nel senso che Gesù ha dato ad essi e con la<br />
comprensione che ha avuto di essi la primitiva comunità cristiana. Nei Vangeli il fatto<br />
storico narrato fa corpo col suo senso e la sua intenzionalità: quello che all'evangelista<br />
interessa non è il solo fatto storico, ma anche e soprattutto quello che esso significa. In<br />
altre parole, i Vangeli sono storici perché riportano «avvenimenti significanti», carichi di un<br />
senso che non è ad essi aggiunto dall'esterno, ma che è ad essi «interiore», e che è venuto a<br />
mano a mano manifestandosi, quando i fatti e i detti di Gesù sono stati «vissuti» nella primitiva<br />
comunità apostolica. Bisogna infine notare, sempre a proposito della storicità dei Vangeli, da<br />
una parte che si tratta di «storicità globale» e, dall'altra, che possono esserci diversi livelli di<br />
storicità: così il racconto della passione ha un livello di storicità più alto dei racconti<br />
dell'infanzia.<br />
L’IMPORTANZA DEL PROBLEMA<br />
La dimostrazione della storicità dei Vangeli deve procedere per tappe successive.<br />
Bisogna dapprima esaminare criticamente i Vangeli, quali noi li possediamo, sia per<br />
definirne il genere letterario, sia per studiarne la formazione. Poiché i Vangeli sono il punto di<br />
arrivo di un lungo processo di rilettura e d'interpretazione della vita di Gesù compiuto dalla<br />
primitiva comunità cristiana, si deve esaminare l'attività di questa comunità per scoprire se<br />
nell'interpretare l'esistenza terrena di Gesù sia stata fedele nel riportarne i fatti e i detti. Infine,<br />
si deve vedere se negli stessi Vangeli ci sono indicazioni le quali mostrino che quanto gli<br />
autori dicono di Gesù non può essere stato inventato da loro, perché non corrisponde alla<br />
situazione storica e teologica in cui essi scrivono, ma risale a tempi e situazioni che non<br />
potevano conoscere perché, quando essi redigevano i Vangeli, non esistevano più.
In realtà, la storicità dei Vangeli è una questione di «fedeltà». Il gruppo dei discepoli<br />
di Gesù, in particolare i Dodici, hanno trasmesso fedelmente alla comunità primitiva, nata<br />
dopo la Pasqua, quanto Gesù aveva fatto e insegnato? La Chiesa primitiva postpasquale ha<br />
trasmesso fedelmente l'insegnamento degli Apostoli o ha creato tradizioni mitiche e<br />
leggendarie su Gesù? Gli evangelisti, nel redigere i loro Vangeli, servendosi dei materiali ad<br />
essi giunti dalla Chiesa primitiva, e di cui essi stessi facevano parte, si sono preoccupati di<br />
non tradire il loro compito? Se si può dimostrare che ai tre livelli suddetti c'è stata la volontà<br />
di trasmettere fedelmente il messaggio di Gesù e i gesti da lui compiuti, si può avere<br />
la sicurezza morale che dai Vangeli possiamo giungere a Gesù e conoscere che cosa egli ha<br />
fatto e ha detto realmente.<br />
LA TESTIMONIANZA DELLA CHIESA<br />
Quando si esaminano i Vangeli, la prima cosa che colpisce lo storico è la<br />
considerazione in cui essi sono tenuti nella Chiesa fin dal II secolo: la loro autorità come<br />
norma della fede è incontestabile, tanto che nella discussione con gli eretici l'appello al<br />
Vangelo è per i primi Padri della Chiesa l'argomento decisivo. Anzi gli stessi eretici, per<br />
giustificare le loro posizioni, fanno ricorso a un Vangelo: gli ebioniti al Vangelo di Matteo;<br />
Marcione a quello di Luca; Cerinto a quello di Marco e lo gnostico Valentino a quello di<br />
Giovanni. Quest'autorità si fonda sulla convinzione che i Vangeli riportano fedelmente la vita e<br />
l'insegnamento di Gesù. A sua volta tale convinzione si fonda sul fatto che i Vangeli hanno<br />
un'origine apostolica: Matteo e Giovanni sono apostoli; Marco è discepolo e portavoce di<br />
Pietro e Luca è discepolo di Paolo. Nella Chiesa antica si è dunque convinti che per mezzo dei<br />
Vangeli conosciamo con certezza Gesù, perché essi contengono la predicazione degli Apostoli<br />
su Gesù.<br />
Quando si riflette sulla storicità dei Vangeli, questa convinzione della Chiesa, che già<br />
dal II secolo chiama i Vangeli «le memorie degli Apostoli», ha un peso notevole a favore della<br />
storicità, anche se non decisivo, perché, mentre la tradizione ecclesiastica tende a ridurre, fin<br />
quasi ad abolirla, la distanza tra Gesù e i Vangeli, che sarebbero opera di testimoni oculari o<br />
di loro discepoli, la critica interna dei Vangeli rileva che tale distanza è più grande di quanto si<br />
pensasse.
I QUATTRO VANGELI<br />
Come si presentano dunque i Vangeli, secondo i risultati della critica interna? Il più<br />
antico dei quattro è quello di Marco. Esso sarebbe stato scritto, secondo la grande<br />
maggioranza degli esegeti, negli anni immediatamente precedenti il 70 d. C., probabilmente a<br />
Roma, dopo la morte di san Pietro, di cui riporterebbe la predicazione. Il suo autore è con<br />
molta verosimiglianza il giudeocristiano Giovanni Marco, dapprima compagno di<br />
apostolato di san Paolo e poi discepolo e «interprete» di san Pietro. Esso è diretto ai cristiani di<br />
cultura latina, convertiti dal paganesimo. Per la lingua e per lo stile è più semplice dei Vangeli<br />
di Matteo e di Luca. Quanto alla materia. Marco riporta pochi discorsi di Gesù (manca, per<br />
esempio, nel suo Vangelo il discorso della montagna), mostrando che il suo interesse non è di<br />
tratteggiare la figura di Gesù come maestro. Quanto alla forma espositiva, Marco ama molto i<br />
racconti ricchi di particolari pittoreschi e concreti, i quali fanno pensare che dietro di essi ci sia<br />
un testimone oculare. È poi l'unico a notare i sentimenti delle persone implicate nei racconti e<br />
dello stesso Gesù e non esita a narrare episodi che mettono in luce sfavorevole i discepoli di<br />
Gesù, soprattutto Pietro.<br />
Qual è l'intenzione di Marco nello scrivere il suo Vangelo? Certamente c'è<br />
un'intenzione biografica, storica, ma la storia di Gesù è presentata in chiave teologica. Per lui la<br />
storia di Gesù è un «vangelo», cioè è la gioiosa proclamazione che Gesù è il Messia, Figlio di<br />
Dio. Egli infatti si dimostra tale con le sue parole e le sue opere, ma solo i suoi discepoli lo<br />
riconoscono, mentre è misconosciuto dalle folle e dai capi del popolo. Impone tuttavia che sulla<br />
sua messianicità si mantenga il segreto, perché potrebbe non essere compresa nella sua vera<br />
realtà, data l'idea che a quel tempo ci si faceva del Messia. Solo la sua morte e la sua<br />
risurrezione riveleranno la sua vera natura di salvatore sofferente e glorioso; perciò solo allora<br />
potrà e dovrà essere proclamata a tutte le genti la vera identità di Gesù, Messia e Figlio di Dio.<br />
Il Vangelo secondo Matteo è stato scritto da un autore sconosciuto, un giudeocristiano,<br />
di lingua greca, profondamente iniziato all'ambiente giudaico e rabbinico. Per redigere il suo<br />
Vangelo egli ha utilizzato il Vangelo di Marco (dei 1.068 versetti di Matteo più di 600 sono
attinti da Marco), una raccolta di «detti» di Gesù e tradizioni orali o scritte. Destinato a lettori<br />
giudeocristiani, il Vangelo di Matteo segue il canovaccio di quello di Marco, ma ha scarso<br />
interesse cronologico, perché raccoglie in grandi unità detti e fatti dal contenuto omogeneo e<br />
similare. Così ci sono in esso sei grandi discorsi - tra i quali il discorso della montagna -<br />
che non sono stati pronunciati da Gesù nella forma in cui sono riportati dall'evangelista, ma<br />
che formano il compendio della sua predicazione e dei suoi insegnamenti.<br />
In realtà, il Vangelo di Matteo ha un prevalente interesse per gli insegnamenti di Gesù.<br />
La sua intenzione è di dimostrare che Gesù di Nazaret è il Messia annunciato dai profeti, ma<br />
rifiutato dal suo popolo e in primo luogo dai capi della nazione giudaica, principali responsabili<br />
della sua morte sulla croce. Così, il Vangelo di Matteo ha un tono drammatico: il popolo<br />
giudaico rifiuta Gesù che si presenta potente in parole e in opere, mentre alcuni lo accolgono.<br />
Questi formano il «nuovo» Israele, la Chiesa, aperta a tutte le genti. Così, per Matteo, Gesù<br />
porta a compimento l'Antico Testamento e inaugura il tempo del nuovo Israele.<br />
Il terzo Vangelo è opera di Luca, che è autore anche degli Atti degli Apostoli. Egli è<br />
un cristiano di origine ellenistica e scrive il suo Vangelo per i cristiani convertiti dal<br />
paganesimo. La data di composizione è la stessa di quella del Vangelo di Matteo: 70-80 d. C.<br />
Luca scrive dopo aver fatto ricerche accurate delle fonti che utilizza, come dice all'inizio del<br />
suo Vangelo (Le 1,1-4). Come Matteo, anche Luca segue il quadro storico-geografico di Marco<br />
e ne utilizza in parte il contenuto; ma il suo Vangelo per una metà è composto di materiale di<br />
provenienza sconosciuta. Esso si distingue dai Vangeli di Marco e di Matteo per il fatto di<br />
collocare la storia di Gesù nella cornice della storia universale; per la sua intenzione di narrare<br />
una storia continuata, non una serie di episodi; per l'accuratezza della lingua e dello stile; per lo<br />
sforzo di essere preciso sia nel contenuto sia nella forma; per la maggiore attenzione ai suoi<br />
lettori (ciò che lo porta a omettere particolari o scene che potrebbero essere fraintesi o essere<br />
motivi di scandalo). Luca mostra Gesù come profeta e salvatore di tutti gli uomini. Egli mette<br />
in risalto la misericordia di Dio per i peccatori e il suo amore per i poveri e gli umili, ma anche<br />
le forti rinunzie che si richiedono per essere discepoli di Gesù.<br />
Il Vangelo di Giovanni è opera di un giudeo palestinese che vive in ambiente<br />
ellenistico e ha una buona padronanza della lingua greca. Egli scrive il suo Vangelo negli<br />
anni 90 d. C. a Efeso o forse in Siria e si rivolge ai cristiani per rafforzarli nella fede. Nel suo<br />
Vangelo Gesù si manifesta progressivamente come Messia, Figlio di Dio fatto uomo e<br />
Salvatore del mondo: gli uomini possono ottenere la vita eterna se credono in lui e vivono nella<br />
carità, rimanendo nell'amore di lui e dei fratelli. Il Vangelo di Giovanni è molto diverso dai tre<br />
Sinottici Marco, Matteo e Luca: mentre questi raccontano molti fatti e i loro discorsi sono<br />
composti da una serie di detti di Gesù in genere molto brevi, Giovanni racconta pochi fatti<br />
particolarmente significativi, ai quali fa seguire lunghi discorsi che sviluppano organicamente<br />
un certo pensiero. E’ diverso anche lo schema cronologico e topografico: mentre per i Sinottici,<br />
Gesù, dopo aver predicato piuttosto a lungo nella Galilea, fa un viaggio a Gerusalemme, che si<br />
conclude con la sua morte, per Giovanni, Gesù si reca a Gerusalemme tre volte e il terzo<br />
soggiorno nella città santa dura circa sei mesi. Giovanni è poi più accurato dei Sinottici nelle<br />
date e nella topografìa, mostrando un preciso interesse storico.
TRADIZIONI ANTERIORI AI VANGELI<br />
Come risulta dalla «storia della redazione», i Vangeli, da una parte sono stati redatti<br />
dopo alcuni decenni dalla morte di Gesù e, dall'altra, utilizzano tradizioni scritte e orali che<br />
giungono agli evangelisti dalla primitiva comunità cristiana. Si pone allora il problema: che<br />
cosa è avvenuto nell'intervallo tra la morte di Gesù e la redazione dei Vangeli? È precisamente<br />
il tempo in cui si sono formate le tradizioni orali e scritte su Gesù, poi raccolte e ordinate dai<br />
quattro evangelisti. Essi infatti, come appare chiaramente dalla critica interna dei testi<br />
evangelici, sono veri e propri autori e non semplicemente compilatori; ma il materiale che<br />
hanno elaborato, imprimendovi un marchio personale, non è un prodotto della loro fantasia,<br />
bensì proviene dalla tradizione. Lo dice chiaramente Luca all'inizio del suo Vangelo,<br />
parlando di «molti che hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra<br />
di noi» (Lc 1, 1).<br />
Sorge a questo punto l'intricatissima «questione sinottica» del rapporto fra i tre<br />
Vangeli sinottici e le fonti da essi usate; ma quale che sia la soluzione che si da’ a tale<br />
questione, quello che importa è mettere in rilievo che, prima dei Vangeli quali attualmente<br />
esistono, ci sono state tradizioni orali e scritte che i Vangeli hanno elaborato. Come si<br />
sono formate tali tradizioni e qual’è il loro valore storico? Ecco il nodo centrale nel problema<br />
della storicità dei Vangeli. Questo problema è stato studiato da una schiera di esegeti, che<br />
hanno tentato di scrivere la preistoria dei Vangeli, cercando di giungere alle «forme» più<br />
antiche della tradizione evangelica (Formgeschichte).<br />
Questo studio ha portato ad alcuni risultati negativi, in particolare a uno scetticismo<br />
storico, spesso radicale, circa la possibilità di accedere a Gesù per mezzo dei Vangeli; ma tali<br />
risultati negativi sono dovuti non al metodo in se stesso, bensì ai presupposti ideologici con i<br />
quali gli studiosi hanno affrontato il problema: il primo dei quali è stato il principio sociologico<br />
della comunità «creatrice» e il secondo il principio razionalista che nega ogni intervento di Dio<br />
nella storia. Ma la Formgeschichte ha portato anche a risultati positivi, in quanto ha<br />
individuato le «unità minori» dei nostri Vangeli, ne ha studiato l'ambiente in cui sono nate (il<br />
loro Sitz im Leben), ha descritto la vita e l'attività della comunità primitiva.<br />
In realtà, le tradizioni di cui si sono serviti gli evangelisti sono nate nelle primitive<br />
comunità cristiane: dapprima in quella di Gerusalemme, che si formò subito dopo la morte e<br />
la risurrezione di Gesù; poi nelle comunità che nascevano nei vari luoghi in cui il cristianesimo<br />
si diffondeva: Samaria, Fenicia, Antiochia, Asia Minore, Filippi, Corinto, Roma. Queste<br />
comunità avevano due attività fondamentali: celebrare la liturgia, al centro della quale c'era
la «memoria» della Cena di Gesù; fare opera di catechesi per i nuovi convertiti. Poiché sia il<br />
centro della liturgia sia il nocciolo della catechesi era Gesù, a poco a poco si formarono delle<br />
tradizioni su Gesù: sulla sua vita, sui suoi «detti», sui suoi miracoli e soprattutto sull'evento<br />
centrale della passione, morte e risurrezione.<br />
Queste tradizioni dapprima furono trasmesse oralmente di bocca in bocca: la fedeltà<br />
della trasmissione era assicurata dalla capacità mnemonica degli antichi, che noi, che viviamo<br />
nella «civiltà del libro e dell'immagine», non possediamo più. Poi, sia per meglio<br />
conservarle, sia per aiutare gli evangelizzatori e i catechisti nel loro lavoro apostolico, queste<br />
tradizioni furono messe per iscritto. Tali raccolte erano di diversa estensione: alcune<br />
molto brevi, altre più ampie; alcune narravano i fatti della vita di Gesù, soprattutto la sua<br />
passione e i suoi miracoli; altre riportavano le sue parole, i suoi insegnamenti, le sue polemiche<br />
con gli scribi e i farisei. Così, insieme con le tradizioni orali, che continuarono a sussistere, si<br />
ebbero delle collezioni scritte. Qui sorge il problema: le primitive comunità cristiane, nelle<br />
loro tradizioni orali e scritte, hanno conservato e riferito fedelmente quello che Gesù ha fatto e<br />
ha detto, oppure hanno «creato» di sana pianta, per i loro bisogni liturgici e catechetici, detti e<br />
fatti, attribuendoli a Gesù per dare ad essi maggiore autorità? E’ la comunità primitiva che ha<br />
«creato» il «mito» Gesù, come pretende R. Bultmann?<br />
CONTINUITA TRA <strong>GESU</strong> E LA CHIESA PRIMITIVA<br />
Che la comunità cristiana primitiva sia stata «creatrice» - e non, invece, «tradizionale»<br />
- è cosa storicamente non verosimile. Che cos'era, infatti, la comunità primitiva? Dalla<br />
storia sappiamo che era la comunità dei credenti in Gesù di Nazaret, il Messia Figlio di Dio,<br />
crocifisso e risorto, riunita attorno ai «Dodici», cioè attorno a coloro che erano vissuti con Gesù<br />
dal battesimo di Giovanni fino alla sua ascensione al cielo, oppure attorno a persone da essi<br />
designate per essere come loro, «testimoni» di Gesù, della sua vita, della sua morte e,<br />
soprattutto, della sua risurrezione. Nella comunità di Gerusalemme i «Dodici» e nelle altre<br />
comunità i «testimoni» da essi designati esercitavano (Le 1,2) «il ministero della parola», cioè<br />
trasmettevano quello che essi avevano visto e udito da Gesù stesso. In realtà le primitive<br />
comunità cristiane non erano raccolte di liberi pensatori, intenti a creare storie leggendarie su<br />
Gesù, ma erano comunità ben strutturate, assidue -come è detto della primissima comunità di<br />
Gerusalemme -«nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella<br />
frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42).<br />
Così le primitive comunità cristiane vivevano dell'insegnamento degli Apostoli. Ora è<br />
chiaro che questi, legati a Gesù da un affetto profondo e insieme da una profonda fede nella sua<br />
qualità di Signore risorto, parlando di Gesù non potevano dire se non quello che avevano<br />
visto con i propri occhi e udito con le proprie orecchie. Il contrario sarebbe stato<br />
psicologicamente impossibile. Solo dopo aver visto Gesù risorto ed essere stati per molto
tempo con lui, e soprattutto dopo che erano stati istruiti da Gesù risorto sul suo destino e sul<br />
modo di comprendere le Sacre Scritture, i loro occhi si erano aperti sul suo mistero. Così, alla<br />
luce di questo mistero, vedevano in una luce nuova i fatti e i detti del Gesù storico.<br />
Proiettavano cioè sulla vita terrena di Gesù la luce della risurrezione, che faceva loro vedere e<br />
capire Gesù in maniera assai più profonda e dunque assai più vera.<br />
Si formarono così, all'interno delle comunità, alcune tradizioni su Gesù, che<br />
risalivano agli Apostoli e ai loro discepoli e che le comunità si trasmettevano fedelmente,<br />
poiché l'atteggiamento delle comunità primitive era quello della fedeltà nel «trasmettere» ciò<br />
che avevano «ricevuto», della fedeltà alla «tradizione». San Paolo, scrivendo ai cristiani di<br />
Corinto nel 53-54 d. C., diceva: «Vi rendo noto, fratelli, il Vangelo che vi ho annunziato e che<br />
voi avete ricevuto [...]. Vi ho trasmesso, dunque, anzitutto quello che anch'io ho ricevuto» (7<br />
Cor 15,1.5). Cioè, san Paolo ha «ricevuto» dalla primitiva comunità cristiana già verso il 35 d.<br />
C. (cioè circa cinque anni dopo la morte e la risurrezione di Gesù) ciò che egli ora «trasmette»<br />
ai Corinzi: che Gesù è morto, è stato sepolto ed è risuscitato il terzo giorno; che è apparso a<br />
Cefa (Pietro) e quindi ai Dodici, poi a più di 500 fratelli, la maggior parte dei quali vive ancora,<br />
poi a Giacomo e a tutti gli apostoli.<br />
Perciò nelle comunità tutto si reggeva sulla «trasmissione» delle «tradizioni».<br />
Certamente, queste comunità primitive erano comunità vive con le loro esigenze liturgiche e<br />
catechetiche: è chiaro allora che dovettero adattare alle loro necessità le tradizioni ricevute<br />
dagli Apostoli e dagli altri «testimoni» di Gesù. Così le tradizioni - che non erano<br />
considerate cose morte, archeologiche - vennero attualizzate e adattate ai bisogni liturgici e<br />
catechetici delle comunità. Ma, proprio per il profondo senso di fedeltà all'insegnamento<br />
apostolico che le caratterizzava, si trattò di un adattamento e di un'attualizzazione che<br />
conservava nella sostanza le parole e i fatti di Gesù, anche se quelle parole e quei fatti, visti alla<br />
luce della risurrezione e letti come compimento dell'Antico Testamento, acquistavano un<br />
senso nuovo e potevano quindi essere espressi in forme che ne esplicitavano tale senso.<br />
Esiste dunque una continuità tra il Gesù terreno e la Chiesa primitiva<br />
postpasquale: tale continuità è assicurata dai «testimoni» di Gesù, cioè in primo luogo dai<br />
Dodici e poi da quelli che erano stati testimoni oculari di quanto Gesù aveva compiuto. Si va<br />
quindi dai Vangeli, quali oggi li possediamo, alle comunità primitive, mediante le tradizioni<br />
orali e scritte da queste tramandate; dalle comunità primitive a Gesù di Nazaret mediante la<br />
testimonianza apostolica.<br />
GLI APOSTOLI TESTIMONI FEDELI<br />
Nasce a questo punto la domanda: i Dodici e gli altri testimoni sono stati fedeli nel<br />
trasmettere quello che hanno visto e udito da Gesù? Tutto va nel senso di una risposta<br />
positiva. Gli Apostoli sono vissuti per oltre due anni con Gesù giorno e notte: hanno avuto
dunque il tempo di entrare in un contatto profondo e familiare con lui. E vero che non sempre<br />
riuscivano a capirlo, tanto che Gesù talvolta ha dovuto rimproverarli per la loro lentezza a<br />
comprendere; ma ciò non impediva che quanto Gesù faceva e diceva s'imprimesse fortemente<br />
nel loro spirito. Erano persone semplici, ma spesso, come nel caso di Pietro e Giovanni,<br />
d'intelligenza vivace. Appartenendo a una «civiltà orale», in cui la memoria era molto<br />
sviluppata, erano in grado di ritenere le parole e i gesti di Gesù. D'altra parte, Gesù nel suo<br />
parlare o ricorreva a parabole oppure usava frasi brevi e incisive che si imprimevano facilmente<br />
nella memoria degli ascoltatori. Tutti questi motivi fanno pensare che gli Apostoli, nel riferire<br />
le opere e le parole di Gesù, siano stati sostanzialmente fedeli.<br />
Del resto non si vede quale motivo avrebbero avuto per non esserlo, tanto più che<br />
essi non solo erano profondamente affezionati a Gesù, ma erano colpiti dal fatto che<br />
parlasse con autorità, cosicché le sue parole godevano presso di loro di un altissimo prestigio.<br />
Non potevano dunque essere tentati di cambiarne le parole, nelle quali vedevano non semplici<br />
parole umane, ma una «rivelazione» di Dio, che andava accolta con rispetto e alla quale non si<br />
poteva aggiungere o togliere nulla.<br />
In conclusione, per mezzo della testimonianza degli Apostoli possiamo giungere<br />
fino a Gesù, possiamo cioè conoscere quello che egli realmente ha compiuto e ha detto.<br />
Naturalmente spesso non possiamo conoscere le parole di Gesù nella loro esattezza materiale -<br />
i cosiddetti ipsissima verbo -, perché i detti e le parabole di Gesù sono stati elaborati,<br />
attualizzati e applicati alle situazioni concrete sia dalla Chiesa primitiva, sia dagli evangelisti<br />
nella loro qualità di autori dei Vangeli, di teologi e di maestri delle comunità per le quali<br />
scrivevano; ma almeno in certi casi siamo sicuri di ascoltare le parole di Gesù come egli le ha<br />
pronunziate. Il caso più importante è quello della parola Abbà, usata da Gesù per rivolgersi al<br />
Padre: parola che rappresenta il vertice della rivelazione cristiana, perché con essa, da una<br />
parte. Gesù si rivela come Figlio di Dio e, dall'altra, rivela Dio come Padre affettuoso e<br />
misericordioso degli uomini.<br />
DAGLI APOSTOLI AI VANGELI<br />
Siamo così all'ultima domanda: i Vangeli, quali oggi li possediamo, sono stati fedeli<br />
nel riportare la testimonianza degli Apostoli consegnata alla Chiesa primitiva o l'hanno<br />
alterata e deformata nel loro sforzo d'interpretare e attualizzare il messaggio di Gesù e di<br />
applicarlo alle necessità concrete della loro comunità? Alcuni fatti obbligano a rispondere che i
Vangeli riportano fedelmente la tradizione apostolica. Così, quando gli evangelisti scrivono<br />
il loro Vangelo, Gesù è adorato come Signore e Figlio di Dio; eppure i Vangeli riferiscono fatti<br />
che potevano sembrare in contrasto con la divinità di Gesù: che Gesù si è fatto battezzare da<br />
Giovanni e si è collocato in tal modo tra i peccatori, è stato tentato da Satana, nell'Orto degli<br />
Ulivi ha avuto paura di fronte alla morte e sulla croce ha sentito l'abbandono di Dio, ha<br />
detto di non conoscere l'ora della fine del mondo. Evidentemente, non avrebbero potuto<br />
inventare tali fatti.<br />
Inoltre, quando gli evangelisti scrivono, la fede cristiana si è diffusa nel mondo pagano;<br />
eppure nei Vangeli si riporta l'ordine di Gesù agli Apostoli di non predicare ai samaritani e ai<br />
pagani. Quando sono redatti i Vangeli, gli Apostoli sono venerati come le colonne della Chiesa<br />
e i testimoni privilegiati di Gesù; eppure i Vangeli in molti passi riportano fatti che non fanno<br />
loro onore e li mettono in cattiva luce: così, sottolineano la loro incomprensione, i loro difetti, i<br />
rimproveri che Gesù loro rivolge, la loro pusillanimità, il tradimento di Giuda e il rinnegamento<br />
di Pietro. Quando sono composti i Vangeli, il mondo palestinese in cui Gesù è vissuto è del<br />
tutto scomparso, con la distruzione di Gerusalemme; eppure i Vangeli danno un quadro di quel<br />
mondo estremamente esatto e preciso, che essi non potevano conoscere se non attraverso<br />
antiche testimonianze. Infine, al tempo della redazione dei Vangeli, la teologia, soprattutto per<br />
merito di san Paolo, si è molto sviluppata e termini come «Regno dei cieli», «Regno di Dio» e<br />
«Figlio dell'uomo» non sono più usati; invece nei Vangeli Gesù parla continuamente del<br />
«Regno di Dio» e abitualmente chiama se stesso «il Figlio dell'uomo».<br />
Questi fatti inducono a concludere che i Vangeli, benché siano stati redatti<br />
definitivamente alcuni decenni dopo la morte di Gesù, ne presentano fedelmente la figura e<br />
l'insegnamento. Essi non si possono spiegare altrimenti se non con la chiara intenzione degli<br />
evangelisti di far conoscere ai lettori nella loro autenticità storica la figura e l'insegnamento di<br />
Gesù. Così si chiude il cerchio: dai Vangeli attuali si va alla Chiesa primitiva; da questa agli<br />
Apostoli; dagli Apostoli a Gesù. Possiamo allora concludere che i Vangeli, nonostante il loro<br />
carattere catechetico e la loro relativa distanza dagli avvenimenti che narrano, hanno un<br />
innegabile e documentato valore storico. Attraverso di essi noi abbiamo sicuro accesso a<br />
Gesù di Nazaret. (Giuseppe De Rosa- Ldc-C. Cattolica )
<strong>GESU</strong> DELLA STORIA E DELLA FEDE<br />
In un articolo apparso su Avvenire, Raniero Cantalamessa sottolinea il fatto che la<br />
storia di Gesù è “vera” ed è stata inizialmente trasmessa come facevano coloro che facevano<br />
uso della trasmissione orale. Il Cantalamessa scrive: “È in corso di pubblicazione un'opera<br />
monumentale di James Dunn, professore emerito dell'università di Durham in Inghilterra,<br />
autore in passato di studi sul Nuovo Testamento che hanno fatto epoca. L'opera in tre volumi è<br />
intitolata Christianity in the Making e nella traduzione italiana «Gli albori del cristianesimo»<br />
(Paideia). Il primo volume di oltre mille pagine, intitolato Jesus Remembered, «La memoria di<br />
Gesù», nella edizione italiana è stato diviso per comodità in 3 volumi, di cui i primi due,<br />
disponibili da ottobre, hanno rispettivamente come sottotitolo: «Fede e Gesù storico» e «La<br />
missione di Gesù».<br />
Credo che l'opera chiuda un ciclo e costringa a voltare pagina nelle ricerche su Gesù.<br />
In essa, dopo una serrata analisi dei risultati degli ultimi tre secoli di ricerche, lo studioso giunge<br />
alla conclusione che non c'è stata nessuna cesura tra il Gesù predicante e il Gesù predicato e<br />
quindi tra il Gesù della storia e quello della fede. Questa non è nata dopo la Pasqua, ma con i<br />
primi incontri dei discepoli, i quali sono divenuti discepoli proprio perché hanno creduto nel<br />
Rabbi di Nazareth. Il contrasto tra il Cristo della fede e Gesù della storia è il risultato di una<br />
«fuga dalla storia», prima ancora che di una «fuga dalla fede», dovute, l'una e l'altra, al fatto di<br />
aver proiettato su Gesù interessi e ideali del momento.<br />
La difficoltà di risalire dai Vangeli sinottici al Gesù reale è nata in buona parte dal fatto<br />
che non si è tenuto conto delle leggi che regolano la trasmissione delle tradizioni fondatrici<br />
di una comunità, presso gruppi umani dalla cultura non scritta, come erano quelli tra cui si<br />
formarono e circolarono i racconti su Gesù. Lo studio di tali leggi (tuttora verificabili presso<br />
gruppi umani di cultura preletteraria) mostra che un fatto o un discorso ritenuto importante per la<br />
storia e la vita della comunità può trasmettersi con singolare accuratezza nei suoi<br />
elementi centrali, pur variando a ogni rinarrazione neii particolari per rispondere alle<br />
esigenze del momento.<br />
La «storia delle forme» (la Formgeschichte) supponeva anch'essa l'esistenza di una fase<br />
orale della tradizione, ma non ne traeva le dovute conseguenze e soprattutto la faceva iniziare<br />
in seno alla comunità successiva alla Pasqua. La critica storica ha tacitamente proiettato<br />
all'epoca del Nuovo Testamento le leggi che portano oggi all'edizione definitiva di un libro:<br />
riedizioni successive, ognuna basata sulla precedente, che modifica, aggiungendo o togliendo<br />
qualcosa. Questo ha creato l'illusione di poter risalire da uno strato al precedente, fino a
isolare un ipotetico nucleo originario, che finisce quasi sempre per riflettere da vicino<br />
l'opzione di partenza dello studioso di turno.<br />
Dunn invita il lettore moderno dei Vangeli a cambiare l'impostazione del suo<br />
computer di bordo da «letteraria» a «orale». Cosa giungiamo a conoscere per questa via? Non<br />
- almeno direttamente - l'«interiorità segreta» di Cristo, cosa egli pensava di se stesso, ma il<br />
«Gesù come era ricordato»; «ricordato» però - e qui sta la differenza - non a distanza di tempo,<br />
dopo la Pasqua, da discepoli e comunità che reinterpretavano i fatti e gli insegnamenti mossi da<br />
interessi estranei, ma da coloro che per primi avevano visto e udito e avevano cominciato da<br />
subito a dare forma ai racconti.<br />
Letti in questo modo, «i Vangeli sinottici attestano un modello e una tecnica di<br />
trasmissione orale che hanno garantito una stabilità e una continuità nella tradizione di<br />
Gesù maggiori di quelle che si sono sin qui generalmente immaginate». È ciò che l'autore<br />
dimostra nelle restanti 700 pagine del primo volume, analizzando i singoli detti e fatti di<br />
Gesù.<br />
All'analisi di Dunn, anche l'immagine di un Gesù che sovverte i legami familiari e<br />
conduce con i suoi discepoli una vita da «carismatico itinerante» o di «vagabondo cinico» appare<br />
il frutto di una lettura parziale e forzata dei testi; non tiene conto della differenza tra ciò che<br />
Gesù chiedeva a tutti e ciò che chiedeva a quelli che chiamava a condividere la sua vita dedicata<br />
al regno, come avviene anche oggi nella Chiesa. Gesù è più rigoroso di tutti circa<br />
l'indissolubilità del vincolo matrimoniale e ribadisce con forza il comandamento di onorare il<br />
padre e la madre, condannando il sottrarsi, con pretesti religiosi, al dovere di assisterli.<br />
Dunn non ha certamente posto fine alla ricerca storica su Gesù, ma con i risultati del<br />
suo studio, unitamente a quelli, spesso convergenti, del cattolico John P. Meier “Un ebreo<br />
marginale” (3 volumi, Queriniana), dovranno presumibilmente misurarsi per decenni tutti gli<br />
studiosi delle origini del cristianesimo.<br />
RESISTENZA AD OGNI CRITICA<br />
Sempre nel citato articolo di Avvenire il Cantalamessa ricorda la serrata critica dei<br />
Vangeli fatta dall’Ottocento in poi. “Negli ultimi secoli, ciò che pensano i credenti della<br />
Bibbia non è stato ammesso da vari studiosi . Nel 1700 è iniziata una meticolosa critica di<br />
tutta la Bibbia, e in particolare dei Vangeli, che ne ha minuziosamente vagliato ogni brano,<br />
ogni asserzione, ogni vocabolo. Da allora fino ai primi decenni del secolo scorso si sono<br />
succedute in quest’opera varie scuole, (razionalistica, comparata delle religioni, escatologica,
delle forme), le cui interpretazioni erano spesso inficiate da razionalismo, positivismo,<br />
ateismo, ed escludevano per principio ogni realtà soprannaturale. Il loro sforzo non ha<br />
raggiunto il risultato atteso e non è riuscito a demolire la credibilità della Bibbia. A<br />
proposito del Nuovo Testamento lo scrittore Messori dice che “tutte le ipotesi sono state fatte,<br />
tutte le obiezioni confutate, ribadite, riconfutate all’infinito. Ogni parola del Nuovo Testamento<br />
è stata passata al vaglio mille volte; tra in testi di ogni tempo e paese questo è di gran lunga il<br />
più studiato, con incredibile accanimento”. Ma questa critica anziché demolirlo ha messo in luce<br />
che essi sono rimasti essenzialmente inalterati lungo i secoli e che consentono di raggiungere<br />
l’autentica figura di Gesù, i suoi insegnamenti”.<br />
NUOVA RICERCA STORICA SU <strong>GESU</strong>’<br />
Dagli ultimi decenni del secolo scorso è in corso una cosiddetta “nuova ricerca<br />
storica di Gesù” . Il Cantalamessa ne fa cenno nel suo articolo. “Vorrei prendere lo spunto dal<br />
lavoro di Dunn, prescindendo dai casi particolari di cui si è discusso di recente in Italia, per<br />
allargare lo sguardo al panorama mondiale sul problema. La nuova ricerca storica su Gesù<br />
fonda la sua "novità" sul ritrovamento di nuovi testi e sui risultati di recenti scoperte<br />
archeologiche. È giusto che il lettore non addetto ai lavori sia informato in che consistono<br />
queste scoperte.<br />
Di veramente nuovo c'è stata, nell'ultimo mezzo secolo, la scoperta e la successiva<br />
laboriosa decifrazione dei manoscritti di Qumran, risalenti all'epoca del Nuovo Testamento e<br />
appartenuti (ormai si è d'accordo su ciò) alla setta giudaica degli Esseni. Altra scoperta<br />
clamorosa è stata quella della biblioteca gnostica di Nag Hammadi in Egitto verso la metà del<br />
secolo scorso (precisamente nel dicembre 1945). A questi documenti scritti vanno aggiunti i<br />
risultati di scavi archeologici che hanno stimolato l'indagine sociologica sulle condizioni di<br />
vita al tempo di Gesù.<br />
Una grandissima importanza hanno i manoscritti di Qumran. Essi però, lungi<br />
dall'indebolire la testimonianza dei Vangeli, su innumerevoli punti ne hanno costituito una<br />
sorprendente conferma, mostrando la corrispondenza di linguaggio e di idee con le correnti del<br />
giudaismo del tempo. Il ritrovamento dei testi di Nag Hammadi ha avuto anch'esso<br />
un'importanza enorme per la conoscenza dello gnosticismo cristiano e delle sue varie correnti.<br />
Assai minore è invece il loro apporto alla conoscenza del Nuovo Testamento, se si eccettua il<br />
Vangelo di Tommaso per le parti che si prestano a un confronto con i Sinottici e contribuiscono<br />
alla ricostruzione della «fonte Q» (la raccolta di detti di Gesù che conosciamo dall'utilizzo che<br />
ne hanno fatto Matteo e Luca). Va notato che questi vangeli apocrifi, compresi quelli di<br />
Tommaso e di Giuda, erano noti, nei loro passaggi e idee centrali, fin dai Padri della Chiesa<br />
che ne citano larghi brani, rivelando anche lo sfondo ideologico da cui provengono. Nuova,
quindi, è l'attenzione che essi hanno richiamato e l'utilizzo che se ne è fatto, più che le idee in<br />
essi contenute.<br />
Quanto alle scoperte archeologiche, la convinzione di poter basare su di esse l'idea di<br />
un Gesù fortemente influenzato dalla cultura greca si è rivelata infondata o esagerata, in<br />
seguito a una valutazione più attenta del ruolo svolto dalle città di Sepphoris e Tiberiade<br />
(distanti pochi chilometri da Nazareth) come centri di cultura ellenistica. Nessuna tipica<br />
istituzione ellenistica (biblioteca, ginnasio) o consistente insediamento pagano sono stati<br />
ritrovati in queste città. La «Galilea delle genti» del tempo dell'esilio era stata rigiudaizzata nei<br />
secoli anteriori a Cristo.<br />
Quanto aperte siano le conseguenze da tirare da queste nuove fonti storiche, appare dal<br />
fatto che esse hanno dato luogo a due immagini di Cristo opposte e inconciliabili tra loro,<br />
tuttora presenti sul campo. Da una parte (con ben maggiore plausibilità) un Gesù «in tutto e per<br />
tutto ebreo»; dall'altra un Gesù figlio della Galilea ellenizzata del suo tempo, imbevuto di<br />
filosofia cinica che si è limitato a pronunciare massime di saggezza, «nello stile di un maestro<br />
Zen». Entrambe queste tendenze sono nate con il proposito di riportare alla luce il Gesù in<br />
carne ed ossa, quello che era stato «veramente», che aveva detto «veramente». Così si<br />
esprimeva, tra gli altri, il manifesto con cui Robert Funk nel 1985 lanciò a Berkeley il «Jesus<br />
Seminar», il centro più attivo di promozione della «nuova ricerca» su Gesù, da cui è partita<br />
anche l'ipotesi del «Gesù cinico».<br />
Quale immagine di Gesù ne è risultata? Cito alcune definizioni messe in circolazione:<br />
«un eccentrico Galileo», «il proverbiale festaiolo», un «saggio vagabondo o sovversivo», il<br />
«maestro di una sapienza aforismica», «un contadino giudeo imbevuto di filosofia cinica».<br />
Significativa la definizione del Gesù del Vangelo di Tommaso: «Un saggio autore di aforismi<br />
che ci risparmia la crocifissione, rende inutile la risurrezione e non ci obbliga a credere in<br />
nessun Dio chiamato Gesù» (Harold Bloom).<br />
Dunn ha coniato per questo movimento il termine di «neoliberalismo», a causa del suo<br />
ritorno al Gesù della teologia liberale ottocentesca: un Gesù propagatore di idee morali, non<br />
più di grande respiro come nel liberalismo classico (paternità di Dio, valore dell'anima umana),<br />
ma di una sapienza contadina, di portata sociologica più che teologica.<br />
Albert Schweitzer, all'inizio del '900, aveva concluso la rassegna delle ricerche sulla<br />
vita di Gesù dei due secoli precedenti, dicendo che esse erano inficiate dal tentativo di<br />
modernizzare Gesù, attribuendogli gli ideali in auge nella società. Si era avuto così, di volta<br />
in volta, un Cristo idealista, romantico, liberale, socialista… Alla stessa conclusione<br />
arrivano Dunn e Meier nella loro rassegna degli studi apparsi dopo Schweitzer. Abbiamo avuto<br />
via via il Gesù dell'esistenzialismo heideggeriano di Bultmann, il Gesù rivoluzionario degli<br />
anni di Che Guevara e ai nostri giorni il Gesù post-moderno, dal pensiero debole. Nella<br />
premessa al libro Gesù di Nazaret, Benedetto XVI definisce questi studi «fotografie degli<br />
autori e dei loro ideali». Alla nascita di Gesù, Simeone disse che sarebbe stato «segno di<br />
contraddizione perché fossero svelati i segreti di molti cuori», e così è stato. Scrivendo di lui,<br />
ognuno, senza volerlo, manifesta quello che c'è nel proprio cuore.<br />
E tuttavia - Dunn è il primo ad ammetterlo - nessuno di questi tentativi è stato inutile<br />
ed è da scartare. A parte l'immenso guadagno critico realizzato in molti di questi studi, a<br />
partire dalla Vita di Gesù dello Strauss, è comunque grazie ad essi che si può giungere, anche<br />
per esclusione, a un'immagine del Gesù della storia sempre meno lontana dal vero. Essi<br />
contribuiscono anche a liberare la persona di Gesù e la fede cristiana da tante ingenue<br />
rappresentazioni oleografiche, a tutto vantaggio della fede stessa. Gesù è «patrimonio<br />
dell'umanità»; nessuno, neppure la Chiesa naturalmente, ha il monopolio su di lui. È<br />
nell'interesse della verità storica che una certa indagine innovativa rimetta in discussione i<br />
risultati del passato e sperimenti nuove vie, purché anch'essa accetti di essere messa in<br />
discussione nei suoi risultati, quando essi si rivelano inconsistenti a un esame più approfondito e<br />
meno selettivo delle fonti”. (Raniero Cantalamessa: Avvenire 26-01-07 )
ANDARE OLTRE<br />
PREMESSA A “<strong>GESU</strong>’ DI NAZARET”<br />
Nella Primavera del 2007 è uscito, edito dalla Rizzoli, l’atteso libro di Joseph<br />
Ratzinger-Benedetto XVI dal titolo : “Gesù di Nazaret”. La premessa, resa nota alcuni mesi<br />
prima, spiega i motivi della pubblicazione e gli orientamenti metodologici che hanno<br />
guidato il Papa nell’elaborazione del libro. Per l’importanza che ha per la comprensione del<br />
testo, ma anche in generale per gli studi sul Nuovo Testamento, viene qui presentata<br />
integralmente.<br />
INIZIO DELLA PREMESSA
Al libro su Gesù, di cui ora presento al pubblico la prima parte, sono giunto dopo un<br />
lungo cammino interiore. Al tempo della mia giovinezza - negli anni Trenta e Quaranta -<br />
esisteva una serie di opere entusiasmanti su Gesù. Ricordo solo il nome di alcuni autori:<br />
Karl Adam, Romano Guardini, Franz Michel Willam, Giovanni Papini, Daniel-Rops. In tutte<br />
queste opere l'immagine di Gesù Cristo veniva delineata a partire dai Vangeli: come Egli<br />
visse sulla terra e come, pur essendo interamente uomo, portò nello stesso tempo agli uomini<br />
Dio, con il quale, in quanto Figlio, era una cosa sola. Così, attraverso l'uomo Gesù, divenne<br />
visibile Dio e a partire da Dio si potè vedere l'immagine dell'autentico uomo.<br />
UNO STRAPPO<br />
A cominciare dagli anni Cinquanta la situazione cambiò. Lo strappo tra il «Gesù<br />
storico» e il «Cristo della fede» divenne sempre più ampio; l'uno si allontanò dall'altro a vista<br />
d'occhio. Ma che significato può avere la fede in Gesù il Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente,<br />
se poi l'uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo<br />
dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa?<br />
I progressi della ricerca storico-critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i<br />
diversi strati della tradizione. Dietro di essi, la figura di Gesù, su cui poggia la fede, divenne<br />
sempre più nebulosa, prese contorni sempre meno definiti. Nello stesso tempo le ricostruzioni<br />
di questo Gesù, che doveva essere cercato dietro le tradizioni degli evangelisti e le loro fonti,<br />
divennero sempre più contrastanti: dal rivoluzionario anti-romano che mira al rovesciamento<br />
dei poteri esistenti e naturalmente fallisce, al mite moralista che tutto permette e<br />
inspiegabilmente finisce per causare la propria rovina. Chi legge di seguito un certo numero di<br />
queste ricostruzioni può subito constatare che esse sono molto più fotografie degli autori e<br />
dei loro ideali che non la messa a nudo di una icona fattasi sbiadita, in conseguenza di ciò nel<br />
frattempo è sì cresciuta la diffidenza nei confronti di tali immagini di Gesù; la figura stessa di<br />
Gesù, tuttavia, si è allontanata ancora più da noi.<br />
Come risultato comune di tutti questi tentativi è rimasta l'impressione che, comunque,<br />
sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo in seguito la fede nella sua divinità abbia<br />
plasmato la sua immagine. Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella<br />
coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede perché
ende incerto il suo autentico punto di riferimento: l'intima amicizia con Gesù, da cui tutto<br />
dipende, minaccia di annaspare nel vuoto.<br />
OLTRE IL METODO STORICO CRITICO<br />
Rudolf Schnackenburg, forse il più importante esegeta cattolico di lingua tedesca<br />
della seconda metà del XX secolo, nei suoi ultimi anni avvertiva evidentemente con forza il<br />
pericolo che da tale situazione derivava per la fede, e di fronte all'inadeguatezza di tutte le<br />
immagini «storiche» di Gesù, nel frattempo elaborate dall'esegesi, si sottopose allo sforzo di<br />
portare a termine un'ultima grande opera: Die Person Jesu Christ im Spiegel der vier<br />
Evangelien (La persona di Gesù Cristo nei quattro Vangeli). Il libro vuole porsi al servizio dei<br />
credenti «resi oggi incerti dalla ricerca scientifica [...] perché conservino la fede nella<br />
persona di Gesù Cristo, portatore della salvezza e redentore del mondo» (p. 6). Alla fine del<br />
libro, quale risultato di una ricerca durata una vita, Schnackenburg afferma: «Mediante gli<br />
sforzi della ricerca coi metodi storico-critici non si riesce o si riesce solo in misura<br />
insufficiente a raggiungere una visione affidabile della figura storica di Gesù di Nazaret»<br />
(p. 348); «lo sforzo della ricerca esegetica di individuare queste tradizioni e di ricondurle a quel<br />
che è storicamente degno di fede [...] ci impegna in una discussione continua e senza fine<br />
della storia delle tradizioni e delle redazioni» (p. 349).<br />
Le costrizioni del metodo, che egli ritiene vincolante e al tempo stesso insufficiente,<br />
fanno sì che nella sua stessa presentazione della figura di Gesù persista un certo dissidio:<br />
Schnackenburg ci mostra sì l'immagine di Cristo dei Vangeli, ma la vede formata da svariati<br />
strati di tradizione sovrapposti, attraverso i quali si può solo scorgere da lontano il «vero»<br />
Gesù. «Il fondamento storico è presupposto, ma viene oltrepassato nella visione di fede degli<br />
evangelisti», scrive (p. 353). Ora, nessuno mette in dubbio questa affermazione, ma rimane<br />
incerto fin dove arrivi il «fondamento storico». Schnackenburg, tuttavia, ha posto in chiaro<br />
come dato veramente storico il punto decisivo: l'essere relativo a Dio di Gesù e la sua unione<br />
con Lui (p. 353). «Senza il radicamento in Dio la persona di Gesù rimane fuggevole, irreale e<br />
inspiegabile» (p. 354). Questo è anche il punto di appoggio su cui si basa questo mio libro:<br />
considera Gesù a partire dalla sua comunione con il Padre. Questo è il vero centro della<br />
sua personalità. Senza questa comunione non si può capire niente e partendo da essa Egli si fa<br />
presente a noi anche oggi.
Naturalmente, nella concreta descrizione della figura di Gesù ho cercato con decisione<br />
di andare oltre Schnackenburg. Elemento problematico della sua definizione del rapporto tra<br />
le tradizioni e la storia realmente accaduta appare, a mio avviso, con molta chiarezza nella<br />
frase: I Vangeli «vogliono per così dire rivestire di carne il misterioso figlio di Dio apparso<br />
sulla terra» (p. 354). Faccio osservare al riguardo: non avevano bisogno di «rivestirlo» di<br />
carne, Egli si era davvero fatto carne. Ma questa carne la si riesce a trovare attraverso la<br />
giungla delle tradizioni?<br />
Nella premessa al suo volume Schnackenburg ci dice di sentirsi vincolato al metodo<br />
storico-critico, al cui utilizzo nella teologia cattolica aprì nel 1943 le porte l'Enciclica Divino<br />
afflante Spiritu (p, 9).<br />
Quell'Enciclica fu davvero un'importante pietra miliare per l'esegesi cattolica. Da allora<br />
tuttavia il dibattito sui metodi ha fatto ulteriori passi sia dentro la Chiesa cattolica come<br />
fuori di essa; si sono sviluppate nuove essenziali visioni metodologiche - sia quanto al lavoro<br />
rigorosamente storico come tale, sia quanto alla collaborazione di teologia e metodo storico<br />
nell'interpretazione della Sacra Scrittura. Un decisivo passo in avanti venne compiuto dalla<br />
Costituzione conciliare Dei Verbum sulla Divina Rivelazione. Altre importanti prospettive<br />
maturate nell'ambito dell'affannosa ricerca esegetica offrono inoltre due documenti della<br />
Pontificia Commissione Biblica: L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa (Città del<br />
Vaticano, 1993) e II popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana (Città del<br />
Vaticano, 2001).<br />
Desidero accennare almeno a grandi linee agli orientamenti metodologici che risultano<br />
da questi due documenti e che mi hanno guidato nell'elaborazione del mio libro. Va detto<br />
innanzitutto che il metodo storico - proprio per l'intrinseca natura della teologia e della fede –<br />
è e rimane una dimensione irrinunciabile del lavoro esegetico. Per la fede biblica, infatti, è<br />
fondamentale il riferimento a eventi storici reali. Essa non racconta la storia come un<br />
insieme di simboli di verità storiche, ma si fonda sulla storia che è accaduta sulla superficie di<br />
questa terra. Il factum historicum per essa non è una chiave simbolica che si può sostituire,<br />
bensì fondamento costitutivo: Et incarnatus est - con queste parole noi professiamo l'effettivo<br />
ingresso di Dio nella storia reale.<br />
Se mettiamo da parte questa storia, la fede cristiana in quanto tale viene eliminata e<br />
trasformata in un'altra religione. Se dunque la storia, la fatticità, in questo senso appartiene<br />
essenzialmente alla fede cristiana, quest'ultima deve esporsi al metodo storico. E’ la fede<br />
stessa che lo esige. La ricordata Costituzione conciliare sulla Divina Rivelazione lo<br />
afferma molto chiaramente al numero 12, indicando anche singoli concreti elementi<br />
metodologici da tenere presenti nell' interpretazione della Scrittura. Molto più esauriente è il<br />
documento della Pontificia Commissione Biblica sull'interpretazione della Bibbia nella<br />
Chiesa, nel capitolo Metodi e approcci per l'interpretazione.<br />
Il metodo storico-critico - ripetiamolo - resta indispensabile a partire dalla struttura<br />
della fede cristiana. Dobbiamo tuttavia aggiungere due considerazioni: il metodo storicocritico<br />
è una delle dimensioni fondamentali dell'esegesi, ma non esaurisce il compito<br />
dell'interpretazione per chi nei testi biblici vede l'unica Sacra Scrittura e la crede ispirata da<br />
Dio. Dovremo ancora ritornare su questo punto in modo più dettagliato.<br />
Per il momento - è la seconda considerazione - è importante che vengano riconosciuti<br />
i limiti dello stesso metodo storico-critico. Il primo limite, per chi si sente oggi interpellato<br />
dalla Bibbia, consiste nel fatto che, di sua natura, esso deve lasciare la parola nel passato. In<br />
quanto metodo storico, esso per i diversi eventi ricerca il contesto dell'epoca passata, in cui si<br />
sono formati i testi. Cerca di conoscere e capire nel modo più preciso il passato - così com'era<br />
in se stesso - per scoprire così anche ciò che l'autore in quel momento, nel contesto del suo<br />
pensiero e degli eventi, poté e volle esprimere. Nella misura in cui il metodo storico rimane<br />
fedele a se stesso, non deve soltanto cercare la parola come qualcosa che appartiene al passato,<br />
ma deve anche lasciarla nel passato. In essa può intravedere punti di contatto con il presente,
l'attualità, cercarne applicazioni al presente, ma non può renderla attuale, «odierna» - in tal<br />
caso oltrepasserebbe ciò che gli è proprio. E’ infatti la precisione nella spiegazione del passato<br />
che costituisce tanto la sua forza quanto il suo limite.<br />
A ciò è collegato un ulteriore elemento, in quanto metodo storico presuppone<br />
l'uniformità del contesto in cui sono inseriti gli eventi della storia, e quindi deve trattare le<br />
parole che ha di fronte come parole umane.<br />
Grazie a una riflessione accurata può forse intuire il «valore aggiunto» racchiuso nella<br />
parola, attraverso la parola umana può, per così dire, percepire in qualche modo una<br />
dimensione più alta e avviare così l'autotrascendimento del metodo; l'oggetto proprio, però, è<br />
la parola degli uomini in quanto umana. Infine vede i singoli libri della Scrittura nel loro<br />
momento storico e li suddivide ulteriormente secondo le loro fonti, ma l'unità di tutti questi<br />
scritti come «Bibbia» non gli risulta come un dato storico immediato. Naturalmente può<br />
vedere le linee di sviluppo, la crescita delle tradizioni e quindi nuovamente, al di là dei singoli<br />
libri, percepire il movimento in direzione dell'unica «Scrittura», in prima istanza, però, il<br />
metodo storico dovrà necessariamente risalire all'origine dei singoli testi e quindi collocarli<br />
dapprima nel loro passato, per poi completare questo viaggio a ritroso con un movimento in<br />
avanti seguendo la formazione delle unità di testo. Come limite di ogni sforzo volto a<br />
conoscere il passato, bisogna prendere atto del fatto che non si può oltrepassare l'ambito<br />
delle ipotesi, perché propriamente non possiamo recuperare il passato nel presente. Certo, ci<br />
sono ipotesi con un alto grado di probabilità, ma nell'insieme dovremmo restare consapevoli<br />
del limite delle nostre certezze. Proprio la storia anche dell'esegesi moderna mette questo<br />
limite sotto gli occhi.<br />
Con tutto questo, da un lato, è accennata l'importanza del metodo storico-critico,<br />
dall'altro è descritto anche il suo limite, insieme con il limite è divenuto evidente - così spero -<br />
che il metodo per la sua stessa natura rimanda a qualcosa che lo supera e porta in sé<br />
un'intrinseca apertura verso metodi complementari. Nella parola passata si può percepire la<br />
domanda circa il suo oggi; nella parola dell'uomo risuona qualcosa di più grande; i singoli testi<br />
biblici rimandano in qualche modo al processo vitale dell'unica Scrittura, che si attua in essi.<br />
Proprio a partire da quest'ultima intuizione si è sviluppato circa trent'anni fa in<br />
America il progetto dell'esegesi canonica , che intende leggere i singoli testi biblici nel<br />
complesso dell'unica Scrittura, facendoli così apparire in una nuova luce. Il numero 12 della<br />
Costituzione sulla Divina Rivelazione del Concilio Vaticano II aveva già messo chiaramente in<br />
risalto questo aspetto come un principio fondamentale dell'esegesi teologica: chi vuole<br />
comprendere la Scrittura nello spirito in cui è stata scritta deve badare al contenuto e<br />
all'unità dell'intera Scrittura. Il Concilio aggiunge che si deve tenere in debito conto anche<br />
la viva tradizione di tutta la Chiesa e l'analogia della fede (le corrispondenze interiori nella<br />
fede).<br />
Soffermiamoci dapprima sull'unità della Scrittura. È un dato teologico che non è,<br />
tuttavia, attribuito solo dall'esterno a un insieme in sé eterogeneo di scritti, L’ esegesi moderna<br />
ha mostrato come le parole trasmesse nella Bibbia divengano Scrittura attraverso un<br />
processo di sempre nuove riletture: i testi antichi, in una situazione nuova, vengono ripresi,<br />
compresi e letti in modo nuovo. Nella rilettura, nella lettura progrediente, mediante<br />
correzioni, approfondimenti e ampliamenti taciti, la formazione della Scrittura si configura<br />
come un processo della parola che a poco a poco dischiude le sue potenzialità intcriori, che<br />
in qualche modo erano presenti come semi, ma si aprono solo di fronte alla sfida di nuove<br />
situazioni, nuove esperienze e nuove sofferenze.<br />
Chi osserva questo processo - certamente non lineare, spesso drammatico e tuttavia<br />
in progresso - a partire da Gesù Cristo può riconoscere che nell'insieme c'è una dirczione, che<br />
l'Antico e il Nuovo Testamento sono intimamente collegati tra loro. Certo, l'ermeneutica<br />
cristologica, che in Gesù Cristo vede la chiave del tutto e, partendo da Lui, apprende a capire<br />
la Bibbia come unità, presuppone una scelta di fede e non può derivare dal puro metodo
storico. Ma questa scelta di fede ha dalla sua la ragione - una ragione storica - e permette<br />
di vedere l'intima unità della Scrittura e di capire così in modo nuovo anche i singoli tratti di<br />
strada, senza togliere loro la propria originalità storica.<br />
L’«esegesi canonica» - la lettura dei singoli testi della Bibbia nel quadro della sua<br />
interezza - è una dimensione essenziale dell'esegesi che non è in contraddizione con il<br />
metodo storico-critico, ma lo sviluppa in maniera organica e lo fa divenire vera e propria<br />
teologia. Desidero porre in risalto ancora altri due aspetti dell'esegesi teologica.<br />
L’interpretazione storico-critica del testo cerca di individuare con precisione il senso originario<br />
delle parole, quali erano intese nel loro luogo e nel loro tempo. Questo è giusto e importante.<br />
Ma - a prescindere dalla certezza solo relativa di tali ricostruzioni - occorre tener presente<br />
che ogni parola umana di un certo peso reca in sé una rilevanza superiore alla immediata<br />
consapevolezza che può averne avuto l'autore al momento. Questo intrinseco valore aggiunto<br />
della parola, che trascende il momento storico, vale ancora di più per le parole che sono<br />
maturate nel processo della storia della fede. Lì l'autore non parla semplicemente da sé e per sé.<br />
Varia a partire da una storia comune che lo sostiene e nella quale sono già silenziosamente<br />
presenti le possibilità del suo futuro, del suo ulteriore cammino. Il processo delle letture<br />
progredienti e degli sviluppi delle parole non sarebbe possibile, se nelle parole stesse non<br />
fossero già presenti tali aperture intrinseche.<br />
Qui possiamo, per così dire, intuire anche storicamente che cosa significhi<br />
ispirazione: l'autore non parla da privato come un soggetto chiuso in se stesso. Varia in una<br />
comunità viva e quindi in un vivo movimento storico che non è fatto da lui e neppure dalla<br />
collettività, ma nel quale è all'opera una superiore forza guida. Esistono dimensioni della<br />
parola che l'antica dottrina dei quattro sensi della Scrittura ha colto in nuce in maniera<br />
assolutamente adeguata. I quattro sensi della Scrittura non sono significati singoli<br />
giustapposti, ma appunto dimensioni dell'unica parola, che va oltre il momento.<br />
Con ciò è già evocato il secondo aspetto di cui volevo ancora parlare. I singoli libri<br />
della Sacra Scrittura, come essa stessa nel suo insieme, non sono semplicemente letteratura.<br />
La Scrittura è cresciuta nel e dal soggetto vivo del popolo di Dio in cammino e vive in esso. Si<br />
potrebbe dire che i libri della Scrittura rimandano a tre soggetti che interagiscono tra loro.<br />
Dapprima c'è l'autore singolo o il gruppo di autori, a cui dobbiamo un libro della Scrittura.<br />
Ma questi autori non sono scrittori autonomi nel senso moderno del termine, appartengono,<br />
invece, al soggetto comune «popolo di Dio»: partendo da esso par-<br />
lano e a esso si rivolgono al punto che il popolo è il vero, più profondo «autore» delle Scritture.<br />
E ancora: questo popolo non è autosufficiente, ma sa di essere condotto e interpellato da Dio<br />
stesso che, nel profondo, parla attraverso gli uomini e la loro umanità.<br />
Per la Scrittura il rapporto con il soggetto «popolo di Dio» è vitale. Da una parte,<br />
questo libro - la Scrittura - è il criterio che viene da Dio e la forza che indica la strada al<br />
popolo, ma, dall'altra parte, la Scrittura vive solo in questo popolo, che nella Scrittura<br />
trascende se stesso e così - nella profondità definitiva in virtù della Parola fatta carne - diventa<br />
appunto popolo di Dio. Il popolo di Dio - la Chiesa - è il soggetto vivo della Scrittura; in<br />
esso le parole della Bibbia sono sempre presenza. Naturalmente, però, si richiede che questo<br />
popolo riceva se stesso da Dio, ultimamente dal Cristo incarnato e da Lui si lasci ordinare,<br />
condurre e guidare.<br />
Ho ritenuto di dovere al lettore queste indicazioni metodologiche, perché esse<br />
determinano la strada della mia interpretazione della figura di Gesù nel Nuovo Testamento<br />
(si veda anche quanto ho scritto a questo riguardo nell'introdurre la bibliografia). Per la mia<br />
presentazione di Gesù questo significa anzitutto che io ho fiducia nei Vangeli. Naturalmente<br />
do per scontato quanto il Concilio e la moderna esegesi dicono sui generi letterari,<br />
sull'intenzionalità delle affermazioni, sul contesto comunitario dei Vangeli e il loro parlare in<br />
questo contesto vivo. Pur accettando, per quanto mi era possibile, tutto questo, ho voluto fare il<br />
tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il «Gesù storico» in
senso vero e proprio. Io sono convinto, e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore,<br />
che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile<br />
delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo che<br />
proprio questo Gesù, quello dei Vangeli — sia una figura storicamente sensata e<br />
convincente.<br />
Solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù<br />
avevano superato radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell'epoca, si spiega la sua<br />
crocifissione e si spiega la sua efficacia. Già circa vent'anni dopo la morte di Gesù<br />
troviamo pienamente dispiegata nel grande inno a Cristo della lettera ai Filippesi (cfr. 2,6-11)<br />
una cristologia, in cui si dice che Gesù era uguale a Dio ma spogliò se stesso, si fece uomo, si<br />
umiliò fino alla morte sulla croce e che a Lui spetta l'omaggio del creato, l'adorazione che nel<br />
profeta Isaia (cfr.45,23) Dio aveva proclamata come dovuta a Lui solo.<br />
La ricerca critica si pone a buon diritto la domanda: che cosa è successo in questi<br />
vent'anni dalla crocifissione di Gesù? Come si è giunti a questa cristologia? L’azione di<br />
formazioni comunitarie anonime, di cui si cerca di trovare gli esponenti, in realtà non<br />
spiega nulla. Come mai dei raggruppamenti sconosciuti poterono essere così creativi,<br />
convincere e in tal modo imporsi? Non è più logico, anche dal punto di vista storico, che la<br />
grandezza si collochi all'inizio e che la figura di Gesù abbia fatto nella pratica saltare tutte le<br />
categorie disponibili e abbia potuto così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio?<br />
Naturalmente, credere che proprio come uomo egli era Dio e che abbia fatto conoscere questo<br />
velatamente nelle parabole e tuttavia in un modo sempre più chiaro, va al di là delle possibilità<br />
del metodo storico. Al contrario, se alla luce di questa convinzione di fede si leggono i testi<br />
con il metodo storico e con la sua apertura a ciò che è più grande, essi si schiudono, per<br />
mostrare una via e una figura che sono degne di fede. Diventano allora chiari anche la ricerca<br />
complessa presente negli scritti del Nuovo Testamento intorno alla figura di Gesù e, nonostante<br />
tutte le diversità, il profondo accordo di questi scritti.<br />
E’ chiaro che con questa visione della figura di Gesù io vado al di là di quello che<br />
dice, per esempio, Schnackenburg in rappresentanza di una buona parte dell'esegesi<br />
contemporanea. Io spero, però, che il lettore comprenda che questo libro non è stato scritto<br />
contro la moderna esegesi, ma con grande riconoscenza per il molto che essa ci ha dato e<br />
continua a darci. Ci ha dischiuso una grande quantità di materiali e di conoscenze attraverso le<br />
quali la figura di Gesù può divenirci presente con una vivacità e profondità che pochi decenni<br />
fa non riuscivamo neppure a immaginare. Io ho solo cercato, al di là della mera interpretazione<br />
storico-critica, di applicare i nuovi criteri metodologici, che ci consentono una<br />
interpretazione propriamente teologica della Bibbia e che però richiedono la fede, senza con ciò<br />
voler e poter per nulla rinunciare alla serietà storica.<br />
Non ho di sicuro bisogno di dire espressamente che questo libro non è in alcun modo<br />
un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del «volto del<br />
Signore» (cfr. Sl 27,8). Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai<br />
lettori quell'anticipo di simpatia senza il quale non c'è alcuna comprensione.<br />
Come ho detto all'inizio di questa premessa, il cammino interiore verso questo libro è<br />
stato lungo. Ho potuto cominciare a lavorarci durante le vacanze estive del 2003. Nell'agosto<br />
del 2004 ho poi dato forma definitiva ai capitoli dall'l al 4. Dopo la mia elezione alla sede<br />
episcopale di Roma ho usato tutti i momenti liberi per portare avanti il libro. Poiché non so<br />
quanto tempo e quanta forza mi saranno ancora concessi, mi sono ora deciso a pub-blicare,<br />
come prima parte del libro, i primi dieci capitoli, che vanno dal battesimo al Giordano fino alla<br />
confessione di Pietro e alla trasfigurazione.<br />
Con la seconda parte spero di poter ancora offrire anche il capitolo sui racconti<br />
dell'infanzia che, per ora, ho rimandato, perché mi sembrava soprattutto urgente presentare la<br />
figura e il messaggio di Gesù nella sua attività pubblica, al fine di favorire nel lettore la crescita<br />
di un vivo rapporto con Lui. ( premessa a “Gesù di Nazaret” di J. Ratzinger- Benedetto XVI )
AFFIDABILITA STORICA DEL N.T.<br />
Quest’opera di Benedetto XVI, iniziata nel 2003, due anni prima della sua elezione a<br />
Pontefice, è impostata in forma di “quaestio theologica”, nella quale il teologo professionista<br />
dà ampio spazio al dibattito e al dialogo con esegeti e teologi contemporanei, offrendo poi le<br />
adeguate motivazioni per le sue scelte interpretative. Per questo lo stesso Papa avverte che il<br />
libro «non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca<br />
personale del “volto del Signore”».<br />
Sono due le premesse, una metodologica e l’altra contenutistica, che occorre tener<br />
presenti per l’esatta valutazione dell’opera.<br />
La premessa metodologica ci informa che questo volume costituisce l’approdo di un<br />
lungo viaggio interiore. Se fino agli anni Cinquanta l’immagine di Gesù era delineata a partire<br />
dai Vangeli, nei quali si vedeva continuità, armonia e identificazione tra il Gesù storico e il<br />
Cristo della fede, subito dopo l’esegesi storico-critica è diventata sempre più sospettosa circa<br />
l’affidabilità storico-documentaria delle narrazioni evangeliche, consegnandoci ritratti<br />
“storici” parziali di Gesù, dando l’impressione che si saprebbe ben poco di certo su di lui e che<br />
solo la fede avrebbe plasmato la sua immagine.<br />
In realtà, nota giustamente il Papa, per la fede biblica è indispensabile e fondamentale<br />
il factum historicum, il riferimento, cioè, a eventi storici realmente accaduti. L’incarnatus est<br />
non è un’affermazione poetica o simbolica, ma fortemente realistica.<br />
Per questo egli opta per un’interpretazione ecclesiale (esegesi canonica), che, pur<br />
confidando nei risultati dell’indagine storico-critica, non ne assolutizza il valore e non ne<br />
condivide l’atteggiamento di sospetto metodico. I suoi criteri interpretativi sono pertanto i<br />
seguenti: fiducia nell’attendibilità storica del dato neotestamentario; affermazione<br />
dell’unità e della continuità tra Antico e Nuovo Testamento; importanza ermeneutica della<br />
tradizione viva della Chiesa; attenzione all’analogia della fede, intesa come consonanza delle<br />
corrispondenze interne del dato di fede.<br />
Ciò premesso, nei dieci capitoli del primo volume, il Papa si propone di presentare il<br />
Gesù dei Vangeli, come il Gesù reale, “storico” nel vero senso della parola. Se la figura di<br />
Gesù non fosse stata altamente straordinaria, non si potrebbe spiegare l’efficacia della sua
dottrina e della sua persona dopo la morte ignominiosa sulla croce. Infatti, a pochi anni dalla sua<br />
crocifissione, l’inno della Lettera ai Filippesi (Fil 2,5-11) schizza già una cristologia completa,<br />
in cui di Gesù si dice che era uguale a Dio, ma che spogliò se stesso, si fece uomo, si umiliò<br />
fino alla morte sulla croce e che a Lui spetta l’omaggio del creato, l’adorazione dovuta solo a<br />
Dio.<br />
Subito agli inizi la comunità ecclesiale ha avuto una cristologia “sviluppata”, come quella<br />
che si avrà in seguito nei Sinottici e soprattutto in Giovanni. La grandezza di Gesù, quindi, è da<br />
collocarsi già all’inizio, deve risalire alla sua vicenda storica, in cui ci sono tutti gli indizi per<br />
una sua corretta identificazione. (Angelo Amato : L’Osservatore Romano del 17/18 aprile<br />
2007)<br />
UN RITRATTO VERITIERO DI <strong>GESU</strong><br />
L’opera è una riflessione sapienziale su Gesù, frutto di studio, di conoscenza, di esperienza e<br />
soprattutto di amore. Come il minatore che, trovata la pepita dorata nascosta nella roccia, ne smuove il<br />
terriccio e la mostra splendente, così il Papa ricupera dalla miniera evangelica il ritratto vivo di Gesù,<br />
spesso sepolto nelle polverose biblioteche del mondo e appannato, fino a risultare irriconoscibile, dalle<br />
mille ipotesi di indagini scientifiche, pregiudizialmente disancorate dalla storia e dalla fede.<br />
In quest’opera non si tratta del Gesù di Renan o di Loisy o di Bultmann. Si tratta, invece, del<br />
Gesù di Nazaret, del Gesù dei Vangeli, del Gesù della Chiesa. Si tratta di quell’uomo veramente vissuto<br />
su questa nostra terra, che ha lasciato nelle sue parole e nelle sue opere una “luminosissima scia<br />
cristologica”, che lo qualifica già prima della Pasqua, come Figlio di Dio, in comunione d’amore col<br />
Padre, del quale è il Figlio prediletto. Si tratta del Gesù della storia e della fede.<br />
Affidabilità storica delle fonti neotestamentarie, divinità di Gesù e cristologia prepasquale<br />
sono i tre fili dorati, che intessono tutta intera la trama di quest’opera, consegnandoci un ritratto plausibile<br />
del Redentore, che sarà poi completato, nel secondo volume, con gli eventi straordinari della sua nascita e<br />
della sua passione, morte e risurrezione.<br />
Joseph Ratzinger Benedetto XVI compie qui un’indispensabile opera di purificazione e di<br />
ossigenazione della ricerca contemporanea su Gesù, sia accademica sia pubblicistica, spesso impegnata
a riproporre ipotesi superate del vecchio armamentario della Leben-Jesu-Forschung razionalistica,<br />
spacciate come novità di alto valore scientifico; in realtà, in quest’ultimo caso, si falsificano i fatti e si<br />
sostituisce la concretezza di una fondata documentazione storica, con la fatua inconsistenza di<br />
ricostruzioni apocrife inattendibili e romanzesche. Il Papa, invece, toglie dall’icona del Cristo quella<br />
patina di fumo e quella cortina di nebbia, che lo nasconde o ne deturpa i lineamenti, restituendoci lo<br />
splendore del suo volto santo e facendo ancora una volta risuonare con convinzione la confessione sincera<br />
di Pietro, di cui è diventato il successore.<br />
Può essere molteplice l’utilizzo di quest’opera: semplice e tonificante lettura; accompagnamento<br />
e complemento – da noi ritenuto “indispensabile” – delle trattazioni scolastiche, spesso frammentarie, di<br />
cristologia biblica e dogmatica; formazione permanente del clero e dei consacrati; verifica spirituale<br />
della propria sequela Christi da parte di ogni battezzato; primo approccio alla figura di Gesù da parte dei<br />
seguaci di altre religioni. Qualsiasi uso se ne faccia, resta comunque assicurata la garanzia di una proposta<br />
oggettiva e non ideologica.<br />
E se nel lettore sorgono domande, dubbi o ulteriori richieste di chiarimento di aspetti ancora oscuri<br />
del mistero di Cristo, il Papa rimanda alla meditazione delle pagine ispirate del Nuovo Testamento,<br />
dove Gesù è presentato al mondo di ieri e di oggi in tutta la sua provocante autenticità e radicalità. Gesù,<br />
infatti, è, e resta pur sempre, la presenza misericordiosa di Dio nella storia dell’umanità. (Angelo<br />
Amato : L’Osservatore Romano del 17/18 aprile 2007)
MOLTI VOLTI DI <strong>GESU</strong>’<br />
CHI E’ <strong>GESU</strong>?<br />
Chi fu veramente Gesù di Nazaret? Molti pensano di saper dare un’esatta risposta a<br />
questa domanda. Si ha però l’impressione che sotto il nome di Gesù Cristo ci sia un po’ di<br />
tutto. Ne è un sintomo l’uso dell’aggettivo “cristiano”, che è un termine sfuocato; infatti troppe<br />
cose pretendono di essere “cristiane”: chiese, associazioni, scuole, partiti, persone, l’Europa,<br />
l’Occidente, l’uomo stesso, in contrapposizione all’animale (“siamo cristiani, non bestie!”). E si<br />
capisce che dietro l’immagine che tanti hanno di Gesù ci sono convinzioni personali o<br />
ideologie che ne falsano la vera identità.<br />
Un giorno Gesù interrogò i suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il Figlio<br />
dell’uomo? Risposero: “Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia, o qualcuno dei<br />
profeti”. Disse loro: “Voi chi dite che io sia?” Rispose Simon Pietro: “ Tu sei il Cristo, il Figlio<br />
del Dio vivente”. (Mt 16, 13-16) Già quando Gesù viveva in Palestina su di lui c’erano opinioni<br />
diverse. Nel corso dei secoli egli ha avuto molti volti. E anche oggi molte sono le sue<br />
fisionomie sia all’interno della Chiesa che nel mondo non cristiano.<br />
VOLTI DI <strong>GESU</strong>’ FUORI DEL CRISTIANESIMO<br />
Nella grande evoluzione del pensiero europeo dei secoli passati si affermò verso la fine<br />
del settecento l’illuminismo, per il quale vale soltanto ciò che è “scientificamente”
dimostrabile (e per scienza s’intende solo la “scienza esatta”), e ciò che non è dimostrabile<br />
viene considerato pregiudizio e superstizione. L’illuminismo, che all’inizio ammetteva Dio,<br />
anche se lontano dal mondo (deismo), passò presto al panteismo e all’ateismo. Nell’ottocento e<br />
nel novecento la religione venne sottoposta a critiche e contestazioni radicali, soprattutto da<br />
parte di coloro che si ispiravano alle idee di Marx, Freud e Nietzesche, definiti i tre “maestri del<br />
sospetto”. Le accuse nei confronti delle istituzioni ecclesiali e le profezie su un imminente<br />
declino della Chiesa sono state continue. L’atmosfera dominante è stata di indifferenza e il modo<br />
di vivere “come se Dio non ci fosse” ( etsi Deus non daretur ) . Verso la fine del Novecento si è<br />
iniziato a verificare un ritorno del religioso, ma resta il sospetto che talora si abbia a che fare<br />
con una religione senza Dio.<br />
Sull’onda delle idee dominanti, negli ultimi secoli c’è stato un attacco a Dio e alla<br />
Chiesa, ma la figura di Gesù ha continuato ad avere un alto indice di gradimento. Spesso<br />
però si è trattato di un Gesù con cui tutti hanno voluto essere d’accordo, che tutti hanno visto<br />
dalla loro parte. Questo Gesù accettato, infatti, non ha per tutti lo stesso volto, ma ha molti<br />
volti, non di rado contradditori. Il fenomeno era già evidente nell’ambiente dell’illuminismo e<br />
idealismo tedesco dell’Ottocento, che intraprese studi sistematici e scientifici sulla figura di<br />
Gesù, nei quali però ogni studioso finiva per ritrovare un suo “Gesù storico”, che rifletteva<br />
l’ideale di vita e le tendenze dominanti dell’epoca ed era contrapposto al Cristo della Chiesa<br />
e del dogma. Si parlava così di un Gesù idealista, romantico, moralista, socialista, ecc. .<br />
Anche oggi molti vogliono avere dalla loro parte un Gesù, che creano a immagine e<br />
somiglianza dei propri desideri e bisogni. Si dice spesso: “Cristo sì, Chiesa no”, e il Gesù che<br />
si accetta è diverso da quello cui crede la Chiesa. Il Gesù con cui tanti si dichiarano<br />
d’accordo è addomesticabile, è un piccolo Gesù, che mette in risalto chi lo “crea”.<br />
Accettandolo, si passa “dal grande Dio al piccolo Gesù, dal piccolo Gesù al grande io”. ( A.<br />
Lapple ). “Una cosa è certa: disgiunto Gesù dalla Chiesa, se ne può fare quello che si vuole;<br />
inversamente, è chiaro che la Chiesa viene giustamente considerata custode e garante di una<br />
visione omogenea e non mercificabile di Cristo”. ( R. Penna:” Dna del Cristianesimo)<br />
All’inizio del terzo millennio Gesù si presenta con molti volti. Si può constatare che c’è<br />
il Gesù della fede, del dogma, della devozione, degli entusiasti, dei letterati, degli ebrei, degli<br />
umanisti laici, degli psicologi, del femminismo, della nuova religiosità, ecc. Vediamo alcune di<br />
queste immagini di Gesù.<br />
L’IMMAGINE EBREA<br />
L’immagine iniziale che gli ebrei hanno avuto di Gesù è stata abbastanza negativa. Già i<br />
suoi contemporanei dicevano che era “un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei<br />
peccatori” (Mt 9, 11), un bestemmiatore ( Mc 14, 64 ), un indemoniato, ( Mc 3, 22), una<br />
persona fuori di senno ( Mc 3, 21 ) , un impostore ( Mt 27, 63 ). In seguito per secoli gli Ebrei
furono ostili nei confronti di Gesù. Già nel II secolo circolavano nel mondo ebraico racconti<br />
leggendari, diffamatori e scandalistici su Gesù, che troviamo nelle “Storie di Gesù” (Toldoth<br />
Jeshu ) .<br />
L’atteggiamento degli studiosi ebrei è mutato profondamente negli ultimi tempi. Essi<br />
hanno approfondito, secondo la prospettiva ebraica, il messaggio di “Gesù che fino alla fine fu<br />
un membro della comunità giudaica, pensò e parlò, anche religiosamente, servendosi dei suoi<br />
concetti e delle sue rappresentazioni” (L .Gappelt), ritenendolo in parte autentico. Non c’è<br />
una visione unitaria tra gli ebrei su Gesù, ma si può dire che generalmente guardano a lui<br />
positivamente. Tra l’altro Gesù è visto come uno dei più grandi personaggi della storia<br />
ebraica, ad essa appartenente, un profeta, un grande maestro ebraico, il “fratello maggiore”,<br />
un guaritore, la personificazione del martirio del suo popolo. Si asserisce che la “religione<br />
di Cristo” e la “religione cristiana” sarebbero due cose ben diverse. Naturalmente Gesù non è<br />
visto come il Messia promesso, né come il Salvatore e tanto meno come il Figlio di Dio. Nei<br />
libri scolastici si è passati dal dispregiativo “quell’uomo” alla presentazione di un Gesù<br />
“liberato” dalle “strutture cristiane”.<br />
L’IMMAGINE UMANISTICO-LAICA<br />
Gli umanisti laici ritengono che Gesù sia una personalità eccezionale e che abbia<br />
portato un messaggio sublime. Essi colgono gli aspetti umanamente rilevanti del messaggio<br />
di Gesù, la sua personalità singolare, il valore esemplare della vita e della morte di Gesù. Poi,<br />
come sostiene lo psichiatra e filosofo tedesco K. Jaspers (1883-1969), lo indicano come uno dei<br />
quattro uomini normativi dell’umanità, che lui individua in Socrate, Buddha, Confucio e Gesù.<br />
Anzi dice che Gesù con il suo amore senza condizioni rivolto verso tutti, la libertà, la capacità<br />
unica di sofferenza, è il più grande dei quattro uomini normativi. Ma si tratta di un Gesù che<br />
non è né Messia, né Figlio di Dio.<br />
Questa posizione esprime la difficoltà che molti uomini moderni sperimentano di fronte<br />
al Cristianesimo: di accettare che un uomo, Gesù Cristo, possa essere Dio e assurgere ad un<br />
significato universale, assoluto, unico. Si tratta della difficoltà che una persona situata in un<br />
determinato tempo e spazio possa essere la manifestazione di Dio, il Salvatore, il punto di<br />
riferimento di tutta l’esistenza e di tutta la storia universale. Essi si trovano davanti allo<br />
scandalo della fede. Il filosofo danese Kierkegaard (1813-1855) diceva che il vero dilemma di<br />
fronte Cristo è : “essere scandalizzato o credere”.
IMMAGINI MARXISTE E POLITICHE<br />
Alcuni pensatori neomarxisti del secolo scorso hanno mostrato interesse per la persona<br />
e per il messaggio di Gesù e lo hanno ritenuto un uomo coerente, portatore di un messaggio<br />
rivoluzionario, ancora attuale. R. Garaudy vedeva Gesù come “il grande modello di libertà”,<br />
Kolakowsky, come “un esempio di coraggio senza compromessi”. Secondo Gardarvsky ,<br />
Gesù è stato colui che con le sue azioni “ci mostra che l’uomo può fare miracoli”. Il<br />
cecoslovacco M. Machovec era interessato alla “causa di Gesù”, ossia la sua totale<br />
dedizione al prossimo, soprattutto ai sofferenti, agli oppressi; e riteneva che tra i marxisti del XX<br />
secolo ci fossero molti uomini simili a Gesù “che non credono in Dio, ma portano avanti, in<br />
sostanza la causa di Gesù”. Bloch (1885-1977), ammetteva come storiche molte pagine<br />
evangeliche e diceva che Gesù non era il mite agnello di certe rappresentazioni cristiane, ma un<br />
lottatore, venuto a portare il fuoco e la spada, un ribelle, il “ribelle dell’amore”, con un<br />
messaggio che comporta una rivoluzione mondiale, con un regno che è un programma<br />
politico. Per lui però Gesù non era il Figlio di Dio, ma il figlio dell’uomo, l’uomo libero,<br />
senza alienazioni, in un certo senso un ateo che depone dal trono l’autoritario Dio dei cieli e<br />
mette al suo posto se stesso quale uomo nuovo, che si è liberato di Dio e di tutti gli altri<br />
padroni.<br />
Altri autori, non necessariamente marxisti, presentano un Gesù nettamente<br />
politicizzato. Lo storico inglese F. Brandon (+1971) sostiene che Gesù era un messia politico<br />
che lottò contro i Romani per l’indipendenza del suo popolo, con un programma simile a quello<br />
degli zeloti. Anche la sua morte sarebbe stata un fatto esclusivamente politico, deformato da<br />
Paolo, il quale avrebbe sostituito all’uomo Gesù un essere divino. Si tratta di tesi fantasiose,<br />
prive di ogni fondamento. F. Belo, nel suo libro “ Una lettura politica del Vangelo”<br />
(Claudiana 1975), privilegia del Vangelo gli aspetti socio-economici e trascura ciò che il<br />
Vangelo annunzia come importante. Il Gesù che viene fuori è un rivoluzionario non violento,<br />
che vuole trasformare la società del suo tempo liberandola dal dominio del Tempio di<br />
Gerusalemme e dei Romani. Ciò che conta in Gesù è la prassi non l’insegnamento. Per Belo il<br />
cristianesimo sarebbe un colossale tradimento, perchè da politico e sovversivo è diventato<br />
religioso. Nel libro non troviamo una sola parola che parli della divinità di Gesù e la stessa<br />
risurrezione è problematica.<br />
Ci sono anche teologi cattolici del Terzo Mondo che sottolineano l’aspetto politico del<br />
messaggio di Gesù, portando l’attenzione sulla prassi e ponendo la domanda: “dov’è che oggi<br />
questa prassi di liberazione e di amore continua ad essere operante?” Ma non trascurano il<br />
resto, e non separano la “causa di Gesù” dalla sua persona, di uomo, Messia, Figlio di Dio,<br />
Salvatore del mondo.
IMMAGINE ANTICONFORMISTA<br />
Ci sono vari tentativi di leggere la storia di Gesù in chiave provocatrice, contraria al<br />
“sistema”, scandalistica. Negli anni 70 dello scorso secolo per alcuni giovani, Gesù era “tutto<br />
il possibile e l’impossibile ad esclusione del Cristo della Chiesa e del catechismo” (H. G.<br />
Pohlmmann). Gesù era la superstar al suono della musica elettronica, l’arrabbiato contro il<br />
sistema centroeuropeo e nordamericano, un hippy. Così è presentato Gesù nel famoso film<br />
“Jesus Christ superstar” . Una rivista americana pubblicò un famoso mandato di cattura: “<br />
Ricercato: Gesù di Nazaret, alias messia, Figlio di Dio, re dei re, Signore dei signori, Principe<br />
della pace, ecc. Capo famigerato di un movimento clandestino di liberazione. Fisionomia<br />
esteriore: tipico hippy ( capelli lunghi, barba, tunica, sandali ). Ama aggirarsi negli slums, ha<br />
qualche amico facoltoso, si apparta nel deserto. Attenzione: quest’uomo è estremamente<br />
pericoloso! Il suo messaggio subdolamente esplosivo, trova terreno particolarmente fertile in<br />
quei giovani ai quali non si è ancora insegnato ad ignorarlo. Trasforma gli uomini e pretende<br />
redimerli. Attenzione: è ancora a piede libero.”<br />
H. Miller, padre della beat-generation americana, nel suo romanzo “Big Sur e le arance<br />
di Hieronymus Bosch” (Einaudi 1968) offre di Gesù un’immagine protestatoria contro la<br />
società avvelenata dal virus del successo e della sicurezza a tutti i costi, lo presenta come l’uomo<br />
libero dai bisogni, agli antipodi della società dei consumi e dell’efficienza. S’intende “ Gesù era<br />
soltanto un uomo non un dio. Dio si sarebbe lasciato crocifiggere?”. ( H Miller )<br />
L’austriaco A. Holl, partendo da una lettura per niente scientifica dei Vangeli, nel<br />
libro “ Gesù in cattiva compagnia” , presenta Gesù come il ribelle, il rivoluzionario in campo<br />
religioso e morale, un uomo dal “comportamento deviante” rispetto alla normativa familiare,<br />
sociale e religiosa del suo tempo. Gesù è un uomo “normativo” alla maniera di Socrate, Buddha,<br />
Confucio, ma solo un uomo, sarebbe stata la Chiesa a farne un borghese perfettamente<br />
integrato, un aristocratico “figlio di Dio”.
IL <strong>GESU</strong>’ DI ALCUNI PSICOLOGI<br />
Per qualche psicologo, la religione non è solo una forma di nevrosi ossessiva (S.<br />
Freud), ma una realtà da rivalutare, almeno dal punto di vista terapeutico e può costituire un<br />
potenziale rimedio nei confronti delle nevrosi esistenziali. Gesù viene indicato come<br />
l’insuperabile modello di equilibrio psichico. Secondo Hanna Wolff Gesù conosceva a fondo<br />
l’animo umano, tanto che gli si potrebbe attribuire il titolo di “psicoterapeuta”. J. Tyrrel parla<br />
di “cristoterapia”.<br />
Franz Alt , giornalista della televisione tedesca, nel suo libro: “Gesù, il primo uomo<br />
nuovo “ (Jesus, der erste neue mann” 1989), dice che Gesù conosceva se stesso e l’animo<br />
umano, aveva fiducia nella forza curativa dell’amore e in lui erano presenti le forze<br />
terapeutiche derivanti dalla fiducia curativa del cuore. Egli ha avuto il coraggio di non<br />
sfuggire a se stesso, di guardare in se stesso in profondità. Gesù si conosceva<br />
perfettamente e perfettamente aveva integrato in sé l’elemento maschile e il femminile,<br />
ragione e sentimenti, conscio e inconscio, testa e cuore. Egli ha invitato gli uomini a cercare il<br />
regno di Dio in se stessi, a liberarsi dalla paura e dalla paura della paura, e li ha aiutati a<br />
diventare felici mediante una fiducia profonda, perché là dove la fiducia trionfa gli uomini<br />
cambiano, gli occhi vedono e gli orecchi odono cose che prima non udivano e non vedevano. Per<br />
capire Gesù la parola chiave è capire noi stessi alla sua luce e cambiarsi, avendo fiducia,<br />
amore, autocoscienza, integrazione. Alt penetra, con le sue conoscenze psicologiche, nella<br />
ricca personalità di Gesù, nella sua umanità. Ma qui si arresta. Per lui Gesù è uomo, uomo<br />
normativo, l’uomo migliore in assoluto, ma solo uomo. Non Messia, non Salvatore, non Figlio<br />
di Dio.<br />
.
IL <strong>GESU</strong> DELLA NUOVA RELIGIOSITA<br />
Si parla oggi di ritorno del religioso, ma in parte questo ritorno coincide con la ricerca di<br />
una nuova religiosità che si esprime in sette quasi mistiche o in credenze occultistiche, che<br />
mischiano religiosità orientali e occidentali. In questo miscuglio appare anche la figura di<br />
Gesù, ma non si tratta del Gesù di Nazaret.<br />
Alcuni vedono in Gesù una delle tante manifestazioni del divino, delle tante possibili<br />
incarnazioni, e un modello cui fare riferimento per conoscere meglio se stessi e risvegliare le<br />
proprie energie spirituali. E’ il caso del New Age e di altri movimenti neo-gnostici, che hanno un<br />
qualche riferimento ai libri apocrifi. E anche il caso della religiosità presentata dal noto<br />
thriller di Dan Brown, “Il Codice da Vinci”.<br />
Altri hanno una concezione esoterica di Gesù. Per quanto sembri strano, c’è un gran<br />
pullulare di vite di Gesù, deliranti e prive di ogni fondamento scientifico, come “Il Vangelo<br />
buddhista della vita di Gesù” di Nicola Notovitch (Parigi 1894) , che tratta di viaggi di Gesù in<br />
India, nel Kashmir, dove si sarebbe fatto chiamare Issa, o come “Gesù mago” di M. Smith<br />
(Roma 1990), che invece sostiene che Gesù si sarebbe recato in Egitto, dove avrebbe appreso<br />
le tecniche ipnotiche e avrebbe avuto doti di evocare gli spiriti, capacità di produrre incantesimi,<br />
conoscenze sciamaniche, ecc..
VOI CHI DITE CHE IO SIA<br />
Alla domanda “ Chi sono io per voi”? anche la Chiesa ha sempre cercato di rispondere.<br />
Se si percorre la storia del Cristianesimo si vede l’impressionante varietà di fisionomie che<br />
Gesù ha avuto.<br />
Già i vari libri del Nuovo Testamento hanno sottolineato di Gesù uno o più aspetti.<br />
“Marco presenta Gesù come il Messia sofferente e nascosto, che è perfettamente rivelato come<br />
Figlio di Dio al momento della crocifissione; Matteo indica Gesù come il maestro, il nuovo<br />
Mosè, il nuovo Legislatore del popolo; Luca lo presenta come l’amico dei poveri, dei peccatori,<br />
degli emarginati; Giovanni evidenzia più degli altri evangelisti che Gesù è il Figlio di Dio, la sua<br />
Parola, il rivelatore del Padre; Paolo lo presenta in particolare come crocifisso, risuscitato dai<br />
morti, liberatore dal potere del peccato, della legge, della morte, colui che dona la libertà di figli<br />
di Dio; l’Apocalisse contempla Gesù come Agnello immolato e vittorioso, il Signore della storia<br />
e della Chiesa, colui che verrà presto”. (F. Ardusso )<br />
Anche oggi nel cristianesimo ci sono molte cristologie. In tutte però ci sono due<br />
elementi di fondo, presenti nella tradizione della Chiesa, a partire dal Nuovo Testamento.<br />
Innanzitutto Gesù è veramente uomo, un uomo pienamente inserito nella storia, coinvolto fino<br />
in fondo nella vicenda umana. Inoltre Gesù è colui in cui Dio si è manifestato in pienezza e per<br />
mezzo suo ha salvato il mondo. Gesù è il Salvatore, il Figlio di Dio stesso.<br />
Bibliografia:<br />
F. Ardusso: “Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente S. Paolo 1992
I MISTERI DELLA VITA DI <strong>CRISTO</strong><br />
TUTTA LA VITA DI <strong>CRISTO</strong> E’ MISTERO<br />
Il Simbolo della fede, a proposito della vita di Cristo, non parla che dei Misteri<br />
dell'Incarnazione (concezione e nascita) e della Pasqua (passione, crocifissione, morte,<br />
sepoltura, discesa agli inferi, risurrezione, ascensione). Non dice nulla, in modo esplicito, dei<br />
Misteri della vita nascosta e della vita pubblica di Gesù, ma gli articoli della fede concernenti<br />
l'Incarnazione e la Pasqua di Gesù, illuminano tutta la vita terrena di Cristo. “Tutto quello che<br />
Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui fu assunto in cielo” (At 1,1-2) deve essere<br />
visto alla luce dei Misteri del Natale e della Pasqua.<br />
Non compaiono nei Vangeli molte cose che interessano la curiosità umana a riguardo<br />
di Gesù. Quasi niente vi si dice della sua vita a Nazaret, e anche di una notevole parte della sua<br />
vita pubblica non si fa parola (Cf Gv 20,30 ). Ciò che è contenuto nei Vangeli, è stato scritto<br />
“perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo<br />
Nome” (Gv 20,31).<br />
I Vangeli sono scritti da uomini che sono stati tra i primi a credere (Cf Mc 1,1 Gv 21,24)<br />
e che vogliono condividere con altri la loro fede. Avendo conosciuto, nella fede, chi è Gesù,<br />
hanno potuto scorgere e fare scorgere in tutta la sua vita terrena le tracce del suo Mistero.<br />
Dalle fasce della sua nascita, (Cf Lc 2,7 ) fino all'aceto della sua passione (Cf Mt 27,48) e al<br />
sudario della Risurrezione, (Cf Gv 20,7) tutto nella vita di Gesù è segno del suo Mistero.<br />
Attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, le sue parole, è stato rivelato che “in lui abita<br />
corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). In tal modo la sua umanità appare<br />
come “il sacramento”, cioè il segno e lo strumento della sua divinità e della salvezza che egli<br />
reca: ciò che era visibile nella sua vita terrena condusse al Mistero invisibile della sua filiazione<br />
divina e della sua missione redentrice. ( C.C.C. 512-515)
TRATTI COMUNI DEI MISTERI DI <strong>GESU</strong><br />
Tutta la vita di Cristo è Rivelazione del Padre: le sue parole e le sue azioni, i suoi<br />
silenzi e le sue sofferenze, il suo modo di essere e di parlare. Gesù può dire: “Chi vede me, vede<br />
il Padre” (Gv 14,9), e il Padre: “Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo” (Lc 9,35). Poiché il<br />
nostro Signore si è fatto uomo per compiere la volontà del Padre, ( Eb 10,5-7) i più piccoli tratti<br />
dei suoi Misteri ci manifestano “l'amore di Dio per noi” ( 1Gv 4,9).<br />
Tutta la vita di Cristo è Mistero di Redenzione. La Redenzione è frutto innanzi tutto<br />
del sangue della croce, (Cf Ef 1,7; Col 1,13-14; 1Pt 1,18-19 ) ma questo Mistero opera<br />
nell'intera vita di Cristo: già nella sua Incarnazione, per la quale, facendosi povero, ci ha<br />
arricchiti con la sua povertà; (Cf 2Cor 8,9) nella sua vita nascosta che, con la sua sottomissione,<br />
(Cf Lc 2,51) ripara la nostra insubordinazione; nella sua parola che purifica i suoi ascoltatori;
(Cf Gv 15,3 ) nelle guarigioni e negli esorcismi che opera, mediante i quali “ha preso le nostre<br />
infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17); (Cf Is 53,4 ) nella sua Risurrezione, con<br />
la quale ci giustifica (Cf Rm 4,25).<br />
Tutta la vita di Cristo è Mistero di Ricapitolazione. Quanto Gesù ha fatto, detto e<br />
sofferto, aveva come scopo di ristabilire nella sua primitiva vocazione l'uomo decaduto:<br />
Allorché si è incarnato e si è fatto uomo, ha ricapitolato in se stesso la lunga storia degli uomini<br />
e in breve ci ha procurato la salvezza, così che noi recuperassimo in Gesù Cristo ciò che<br />
avevamo perduto in Adamo, cioè d'essere ad immagine e somiglianza di Dio. Per questo<br />
appunto Cristo è passato attraverso tutte le età della vita, restituendo con ciò a tutti gli uomini<br />
la comunione con Dio. (Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 18, 1) (C.C.C. 516-518 )<br />
COMUNIONE AI MISTERI DI <strong>GESU</strong><br />
Tutta la ricchezza di Cristo “è destinata ad ogni uomo e costituisce il bene di<br />
ciascuno” (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 11). Cristo non ha vissuto la sua<br />
vita per sé, ma per noi , dalla sua Incarnazione “per noi uomini e per la nostra salvezza” fino<br />
alla sua morte “per i nostri peccati” (1Cor 15,3) e alla sua Risurrezione “per la nostra
giustificazione” (Rm 4,25). E anche adesso, è “nostro avvocato presso il Padre” (1Gv 2,1),<br />
“essendo sempre vivo per intercedere” a nostro favore ( Eb 7,25). Con tutto ciò che ha vissuto e<br />
sofferto per noi una volta per tutte, egli resta sempre “al cospetto di Dio in nostro favore” (Eb<br />
9,24).<br />
Durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello : ( Rm 15,5; Fil 2,5 )<br />
è “l'uomo perfetto” (Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 38) che ci invita a diventare suoi<br />
discepoli e a seguirlo; con il suo abbassamento, ci ha dato un esempio da imitare, (Cf Gv<br />
13,15) con la sua preghiera, attira alla preghiera, (Cf Lc 11,1) con la sua povertà, chiama ad<br />
accettare liberamente la spogliazione e le persecuzioni (Cf Mt 5,11-12).<br />
Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo<br />
viva in noi. “Con l'Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo” (Conc.<br />
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 2). Siamo chiamati a formare una cosa sola con lui; egli ci fa<br />
comunicare come membra del suo Corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come<br />
nostro modello. Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completare gli<br />
stati e i Misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e<br />
in tutta la sua Chiesa. . . Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un'estensione<br />
e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi Misteri mediante le grazie che vuole<br />
comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso i suoi Misteri. E con questo mezzo<br />
egli vuole completarli in noi (San Giovanni Eudes, Tractatus de regno Iesu, cf Liturgia delle<br />
Ore, IV, Ufficio delle letture del venerdì della trentatreesima settimana). (C.C.C. 519-521)
INFANZIA E VITA NASCOSTA<br />
I vangeli dell’infanzia sono tra i capitoli più elaborati della teologia del Nuovo<br />
Testamento. Sono stati composti dopo i racconti della vita pubblica. Alla luce della<br />
risurrezione, il Natale appariva non come un episodio nascosto della vita di Gesù, ma come il<br />
periodo della prima manifestazione e delle prime operazioni salutari. Gesù è Messia fin dalla<br />
culla; è Figlio di Dio e agisce con tutte le sue prerogative divine fin dal primo momento della<br />
sua comparsa in mezzo agli uomini. La sua esistenza si ricollega con l’intera traiettoria del<br />
popolo eletto ed è al centro di avvenimenti che riguardano tutta la famiglia umana. L’infanzia,<br />
tutt’altro che un periodo nascosto e privato, appare un’anteprima del ministero pubblico di<br />
Cristo, della sua passione e risurrezione. Il racconto diventa un’opera a se stante, una<br />
composizione dove il contenuto storico è illustrato da richiami scritturistici, da<br />
considerazioni teologiche, da note polemiche. Sono le opere che ci hanno lasciato Matteo ( 1-<br />
2 ) e Luca (1-2 ).<br />
Mentre la tradizione apostolica si arrestava a questa approfondita ma sobria<br />
ricomposizione, e poneva la sottolineatura non nella straordinarietà ma nel “nascondimento”,<br />
la predicazione devozionale, che troviamo negli apocrifi, continuava ad arricchire il quadro di<br />
coreografie, scenografie, fatti prodigiosi. ( Vedi : De Spinetoli : Introd. Vangeli infanzia )<br />
IL MISTERO DEL NATALE<br />
Gesù è nato nell'umiltà di una stalla, in una famiglia povera; (Cf Lc 2,6-7) semplici<br />
pastori sono i primi testimoni dell'avvenimento. In questa povertà si manifesta la gloria del cielo<br />
(Cf Lc 2,8-20 ). La Chiesa non cessa di cantare la gloria di questa notte: La Vergine oggi dà<br />
alla luce l'Eterno e la terra offre una grotta all'Inaccessibile. Gli angeli e i pastori a lui<br />
inneggiano, i magi, guidati dalla stella, vengono ad adorarlo. Tu sei nato per noi Piccolo<br />
Bambino, Dio eterno! (Kontakion di Romano il Melode)<br />
“Diventare come i bambini” in rapporto a Dio è la condizione per entrare nel Regno; (Cf<br />
Mt 18,3-4 ) per questo ci si deve abbassare, (Cf Mt 23,12 ) si deve diventare piccoli; anzi,<br />
bisogna “rinascere dall'alto” (Gv 3,7), essere generati da Dio (Cf Gv 1,13) per “diventare figli<br />
di Dio” ( Gv 1,12). Il Mistero del Natale si compie in noi allorché Cristo “si forma” in noi (Cf<br />
Gal 4,19) Natale è il Mistero di questo “meraviglioso scambio”: “O meraviglioso scambio! Il
Creatore ha preso un'anima e un corpo, è nato da una vergine; fatto uomo senza opera d'uomo,<br />
ci dona la sua divinità” (Liturgia delle Ore, I, Antifona dei Vespri nell'Ottava di Natale).<br />
I MISTERI DELL’INFANZIA<br />
La Circoncisione di Gesù,<br />
otto giorni dopo la nascita, (Cf Lc 2,21) è segno del suo inserimento nella discendenza<br />
di Abramo, nel popolo dell'Alleanza, della sua sottomissione alla Legge, (Cf Gal 4,4 ) della<br />
sua abilitazione al culto d'Israele al quale parteciperà durante tutta la vita. Questo segno è<br />
prefigurazione della “circoncisione di Cristo” , che è il Battesimo (Cf Col 2,11-13).<br />
L'Epifania è la manifestazione di Gesù<br />
come Messia d'Israele, Figlio di Dio e Salvatore del mondo. Insieme con il battesimo<br />
di Gesù nel Giordano e con le nozze di Cana, (Cf Liturgia delle Ore, I, Antifona del<br />
Magnificat dei secondi Vespri dell'Epifania) essa celebra l'adorazione di Gesù da parte dei
“magi”, venuti dall'Oriente (Cf Mt 2,1). In questi “magi”, che rappresentano le religioni<br />
pagane circostanti, il Vangelo vede le primizie delle nazioni che nell'Incarnazione accolgono<br />
la Buona Novella della salvezza.<br />
La venuta dei Magi a Gerusalemme<br />
per adorare il re dei giudei (Cf Mt 2,2 ) mostra che essi, alla luce messianica della stella<br />
di Davide, (Cf Nm 24,17; 528 Ap 22,16 ) cercano in Israele colui che sarà il re delle<br />
nazioni (Cf Nm 24,17-19). La loro venuta sta a significare che i pagani non possono<br />
riconoscere Gesù e adorarlo come Figlio di Dio e Salvatore del mondo se non volgendosi ai<br />
giudei (Cf Gv 4,22 ) e ricevendo da loro la promessa messianica quale è contenuta nell'Antico<br />
Testamento (Cf Mt 2,4-6 ). L'Epifania manifesta che “la grande massa delle genti” entra<br />
“nella famiglia dei Patriarchi” (San Leone Magno, Sermones, 23: PL 54, 224B, cf Liturgia delle<br />
Ore, I, Ufficio delle letture dell'Epifania) e ottiene la “dignità israelitica” (Messale Romano,<br />
Veglia pasquale: orazione dopo la terza lettura).<br />
La Presentazione di Gesù al Tempio
(Cf Lc 2,22-39 ) lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore (Cf Es 13,12-<br />
13 ). In Simeone e Anna è tutta l'attesa di Israele che viene all' Incontro con il suo Salvatore (la<br />
tradizione bizantina chiama così questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto<br />
a lungo atteso, “luce delle genti” e “gloria di Israele”, ma anche come “segno di<br />
contraddizione”. La spada di dolore predetta a Maria annunzia l'altra offerta, perfetta e unica,<br />
quella della croce, la quale darà la salvezza “preparata da Dio davanti a tutti i popoli”.<br />
La fuga in Egitto e la strage degli innocenti<br />
(Cf Mt 2,13-18) manifestano l'opposizione delle tenebre alla luce: “Venne fra la sua<br />
gente, ma i suoi non l'hanno accolto” (Gv 1,11). L'intera vita di Cristo sarà sotto il segno della<br />
persecuzione. I suoi condividono con lui questa sorte (Cf Gv 15,20 ). Il suo ritorno dall'Egitto<br />
(Cf Mt 2,15) ricorda l'Esodo (Cf Os 11,1 ) e presenta Gesù come il liberatore definitivo.<br />
(“Misteri infanzia: CCC, 522-530 )<br />
MISTERI DELLA VITA NASCOSTA<br />
Durante la maggior parte della sua vita, Gesù ha condiviso la condizione della<br />
stragrande maggioranza degli uomini: un'esistenza quotidiana senza apparente grandezza, vita<br />
di lavoro manuale, vita religiosa giudaica sottomessa alla Legge di Dio, (Cf Gal 4,4 ) vita nella
comunità. Riguardo a tutto questo periodo ci è rivelato che Gesù era “sottomesso” ai suoi<br />
genitori e che “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” ( Lc 2,51-52).<br />
Nella sottomissione di Gesù a sua madre<br />
e al suo padre legale si realizza l'osservanza perfetta del quarto comandamento. Tale<br />
sottomissione è l'immagine nel tempo della obbedienza filiale al suo Padre celeste. La quotidiana<br />
sottomissione di Gesù a Giuseppe e a Maria annunziava anticipava la sottomissione del Giovedì<br />
Santo: “Non. . . la mia volontà. . . ” ( Lc 22,42). L'obbedienza di Cristo nel quotidiano della<br />
vita nascosta inaugurava già l'opera di restaurazione di ciò che la disobbedienza di Adamo aveva<br />
distrutto (Cf Rm 5,19 ).<br />
La vita nascosta di Nazaret<br />
permette ad ogni uomo di essere in comunione con Gesù nelle vie più ordinarie della vita<br />
quotidiana: Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del<br />
Vangelo. . . In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del<br />
silenzio, atmosfera ammirabile e indispensabile dello Spirito. . . Essa ci insegna il modo di<br />
vivere in famiglia. Nazaret ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua
ellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile. . . Infine impariamo una lezione<br />
di lavoro. Oh! dimora di Nazaret, casa del “Figlio del falegname”! Qui soprattutto desideriamo<br />
comprendere e celebrare la legge, severa certo, ma redentrice della fatica umana. . . Infine<br />
vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino<br />
fratello. (Paolo VI, discorso del 5 gennaio 1964 a Nazaret)<br />
Il ritrovamento di Gesù nel Tempio<br />
(Cf Lc 2,41-52) è il solo avvenimento che rompe il silenzio dei Vangeli sugli anni nascosti di<br />
Gesù. Gesù vi lascia intravedere il mistero della sua totale consacrazione a una missione, che<br />
deriva dalla sua filiazione divina: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre<br />
mio?” ( Lc 2,49). Maria e Giuseppe “non compresero” queste parole, ma le accolsero nella<br />
fede, e Maria “serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51) nel corso degli anni in cui<br />
Gesù rimase nascosto nel silenzio di una vita ordinaria. (Misteri vita nascosta: CCC, 531-
PRIME MANIFESTAZIONI<br />
INCONTRO COL PRECURSORE<br />
La vita pubblica di Gesù ha inizio con il Battesimo ricevuto dalle mani di Giovanni<br />
sulle rive del Giordano e si conclude con la morte in croce a Gerusalemme. Prima di questa<br />
vita pubblica i vangeli parlano dell’attività di Giovanni, della cui nascita e del suo annunzio,<br />
narrano in parallelo con l’annunzio e la nascita di Gesù. San Giovanni Battista è l'immediato<br />
precursore del Signore, (At 13,24 ) mandato a preparargli la via (Cf Mt 3,3). “Profeta<br />
dell'Altissimo” ( Lc 1,76), di tutti i profeti è il più grande (Cf Lc 7,26 ) e l'ultimo; (Cf Mt<br />
11,13 ) egli inaugura il Vangelo; (Cf At 1,22; Lc 16,16) saluta la venuta di Cristo fin dal seno<br />
di sua madre (Cf Lc 1,41 ) e trova la sua gioia nell'essere “l'amico dello sposo” (Gv 3,29), che<br />
designa come “l'Agnello di Dio... che toglie il peccato del mondo” ( Gv 1,29). Precedendo Gesù<br />
“con lo spirito e la forza di Elia” ( Lc 1,17), gli rende testimonianza con la sua predicazione, il<br />
suo battesimo di conversione ed infine con il suo martirio (Cf Mc 6,17-29 ) . (C.C.C. 525)<br />
Narra Luca che un giorno “la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel<br />
deserto; ed egli andò per tutti i dintorni del Giordano, predicando il battesimo di penitenza in<br />
remissione dei peccati” ( Lc 3, 2-3 ) . Giovanni dice al popolo che deve prepararsi alla venuta<br />
del Signore e amministra un battesimo di acqua, figura del Battesimo che Gesù conferirà “in<br />
Spirito Santo e fuoco” ( Lc 3, 16 ) . Tra i molti anche Gesù va al Giordano per essere<br />
battezzato. Giovanni lo battezza e annunzia la sua venuta al popolo: “Ecco l’Agnello di<br />
Dio” ( Gv 1, 35-36 ). Dopo questo incontro, la missione di Gesù e di Giovanni proseguono per<br />
qualche tempo in parallelo. Giovanni predica con toni simili a quelli che avrà poi Gesù:<br />
“Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” ( Mt 3, 2 ). Ma, nel constatare lo stile di<br />
Gesù, resta perplesso, perché per lui l’avvento del regno di Dio sta sotto il segno del giudizio,<br />
mentre per Gesù si effettua sotto il segno della misericordia e dell’amore di Dio per i<br />
peccatori.<br />
La missione di Giovanni non dura ancora a lungo dopo l’avvento di Gesù, perché<br />
viene subito arrestato per il suo coraggio nei confronti di Erode, uno dei quattro capi della<br />
Palestina. Marco ci dice che Giovanni rimprovera aspramente questo principe per la sua vita
di adultero ( “Non ti è lecito” ) e che dopo una breve prigionia viene ucciso su istigazione di<br />
Erodiade, compagna di Erode e moglie di suo fratello Filippo. ( Mc 8, 17-29 )<br />
L’elogio più grande di Giovanni lo farà Gesù stesso,: “tra i nati di donna non c’è<br />
nessuno più grande di Giovanni” ( Lc 7, 38). Il Battista ha questa grandezza per la speciale<br />
missione che gli è stata affidata. In quella circostanza Gesù dirà anche: “ però il più piccolo nel<br />
regno di Dio è più grande di lui” (Lc 7,39 ), perché Giovanni apparteneva ancora all’antica<br />
economia della salvezza, stava nell’atrio della nuova, nella quale il più piccolo che vive<br />
coerentemente in essa è più grande del Battista.<br />
IL BATTESIMO<br />
Del battesimo di Gesù parlano tutti e quattro gli evangelisti. I Vangeli narrano che un<br />
giorno, mentre Giovanni sta incitando alla penitenza e battezzando lungo il Giordano, arriva<br />
Gesù e domanda il battesimo. Giovanni si schernisce: “ io ho bisogno di essere battezzato e tu<br />
vieni a me?”, ma Gesù insiste: “conviene a noi di adempiere ogni giustizia”. Giovanni<br />
battezza Gesù. Dopo il battesimo si aprono i cieli, scende su di lui lo Spirito come colomba e<br />
la voce del Padre dice: “Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto. ( Mt 3,<br />
13-17 ). Alla luce dei successivi avvenimenti della Pasqua il fatto del Battesimo fu compreso<br />
in pieno e ogni dettaglio del racconto ha avuto un peso.<br />
Gesù che è il l’eterno Figlio di Dio, inviato dal Padre per salvare il mondo, che ha<br />
avuto un inizio fisico da circa trenta anni, ora nel Battesimo riceve dal Padre la vocazione<br />
ufficiale per una missione di liberazione e di speranza. E’ presente tutta la Trinità . Il Padre<br />
invia in missione Gesù ed Egli, dopo che l’avrà compiuta, ritorna a Padre, che però è sempre<br />
nel Figlio, come il Figlio è sempre nel Padre. Lo Spirito scende su di lui, come lui in seguito<br />
lo manderà dal Padre sugli uomini, e tuttavia lo Spirito è sempre nel Figlio. Qui c’è il<br />
mistero della Trinità che noi non possiamo penetrare.<br />
L’immersione nel fiume Giordano è quasi un preludio dell’immersione nella morte<br />
per la nostra salvezza. Nell’entrare e uscire nel fiume, Gesù appare come l’agnello di Dio che<br />
prende su di sé i peccati del mondo; dice una preghiera orientale: “solo si è immerso, ma ha<br />
alzato tutto il mondo, solo si è caricato dei peccati di tutti, perché in lui i peccati di tutti fossero<br />
distrutti”. Con l’apertura dei cieli il Paradiso che Adamo aveva chiuso si è riaperto. Durante<br />
il lavacro di Gesù viene purificata l’intera umanità. Dice un’antifona di Lodi: “ Nel battesimo<br />
di Cristo il mondo è santificato, i peccati sono perdonati, nell’acqua e nello Spirito diventiamo
nuove creature” ; la Pasqua e l’invio del Paraclito completa fino alla pienezza l’efficacia<br />
purificatrice e santificatrice del mistero del Giordano. Gesù si fa battezzare da Giovanni Battista,<br />
per affermare la sua solidarietà con i peccatori e assumere la missione di Messia-Servo.<br />
Respingendo la triplice tentazione della ricchezza, del successo e del dominio sugli altri,<br />
conferma la scelta di un messianismo basato sul servizio e sul dono di sé.<br />
LA TENTAZIONE<br />
La decisa scelta di Gesù è messa alla prova dalla tentazione, cui Gesù fu soggetto. La<br />
tentazione è reale per Gesù: fu «provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato»<br />
(Eb 4,15). Sperimenta la violenza della tentazione nell’ora della passione, quando è assalito<br />
dall’angoscia dell’uomo debole e solo di fronte alla morte, ed è provocato a scendere dalla croce<br />
per esibire la propria potenza. Ed è tentato subito dopo il Battesimo quando, guidato dallo<br />
Spirito Santo, Gesù si reca nel deserto. Là lo attende Satana, il tenebroso «principe di questo<br />
mondo» (Gv 12,31), che gli prospetta una strategia trionfalistica, un falso messianismo fatto di<br />
miracoli clamorosi, come trasformare le pietre in pane, gettarsi dall’alto del tempio con la<br />
certezza di essere salvato, conquistare il dominio politico di tutte le nazioni. Gesù respinge<br />
decisamente la tentazione: no alla facile prosperità materiale, perché si deve cercare «prima il<br />
regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33); no all’ambigua popolarità ottenuta con il miracolo<br />
spettacolare, perché non si deve strumentalizzare Dio ai propri bisogni di sicurezza; no<br />
all’ambizione del potere temporale, perché la vera liberazione dell’uomo nasce dal cuore. Il<br />
suo essere Figlio di Dio si manifesterà non nel possesso, nell’esibizione di potenza e nel<br />
dominio, ma nell’umile servizio, nel dono di sé, nella croce. Gesù si consegna alla misteriosa<br />
fedeltà del Padre e aderisce costantemente alla sua volontà, senza alcuna esitazione; vince<br />
Satana con la forza dello Spirito Santo; e ritrova l’armonia originaria con tutta la<br />
creazione, dagli angeli agli animali, come Adamo nel giardino paradisiaco.<br />
Si tratta di una scelta decisamente controcorrente. Le proposte di Satana sono anche le<br />
aspettative dell’ambiente; corrispondono anzi a ciò che gli uomini di ogni tempo<br />
spontaneamente desiderano per realizzarsi. Il regno di Dio è diverso, apparentemente<br />
debole; ma «ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25). Il cristiano è<br />
chiamato a condividere la scelta fondamentale di Gesù. Con le promesse battesimali si<br />
impegna a respingere le medesime tentazioni del benessere, del successo e del dominio. ( Vedi<br />
VFL nn 181-184 )
VICENDE DELLA VITA PUBBLICA<br />
INIZIO DELL’ANNUNZIO<br />
L’azione pubblica di Gesù inizia con l’annunzio: “il Regno di Dio è vicino”. Ciò<br />
avviene in Galilea. Matteo presenta Gesù intento alla predicazione in Galilea, dove appare,<br />
come aveva predetto Isaia, come “una grande luce” ; il primo annunzio è : “Convertitevi,<br />
perché il regno di Dio è vicino” ( Mt 4, 13 ). La stessa notizia abbiamo da Marco: “ Gesù si<br />
recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: “ Il Regno di Dio è vicino;<br />
convertitevi e credete al Vangelo”. Subito dopo sia Matteo che Marco pongono la scelta dei<br />
primi quattro discepoli, Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni ( Mt 4, 18-23; Mc 1, 16-20 ).<br />
I Vangeli sono ricolmi della dottrina del Regno di Dio. Il regno era il contenuto<br />
dell’attività di Gesù. Tutto il suo pensiero la sua dottrina, la sua azione e il suo destino vertevano<br />
intorno al Regno. Il “regno” non si può definire con poche righe, ma certamente significa che<br />
Dio regna, in un mondo dove regnano gli uomini o le cose, o addirittura satana. Con la venuta di<br />
Gesù è arrivato il momento in cui il regno di Dio, irrompe nella storia e ne assume il dominio:<br />
Egli perdona, santifica, illumina, dirige, trasforma tutto in una nuova esistenza risultante dalla<br />
grazia. Le parole profetiche, piene di mistero di Isaia hanno attuazione: “ Il lupo abiterà con<br />
l’agnello e il leopardo si coricherà col capretto; il vitello, il leone e la pecora staranno insieme,<br />
e un piccolo fanciullo li custodirà….” ( Is 11, 6-9 ). Esse non presentavano un’utopia,<br />
ma parlavano di una pace, di una verità, di una purità destinate ad investire l’universo, di uno<br />
stato di cose sante.<br />
Con la venuta di Gesù il Regno inizia ad affermarsi. Dice Marco: “Stupivano della sua<br />
dottrina, ( si dovrebbe meglio tradurre. Erano spinti fuori di sé” da un impulso divino” ( Mc 1,<br />
21-22 ) . La parola di Gesù scuoteva e la gente non poteva stare indifferente. Marco<br />
continua informandoci che Gesù cacciava demoni, faceva miracoli e la gente commentava: “<br />
Comanda con autorità anche agli spiriti immondi e gli obbediscono” (Mc 1, 27, 8). Agli inviati<br />
di Giovanni, che gli chiedono se è lui il Messia risponde operando miracoli e affermando: “ I<br />
ciechi recuparano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi riacquistano<br />
l’udito, i morti risorgono e ai poveri è predicata la buona novella” ( Mt 11, 2-3 ). Il regno<br />
venuto con Gesù irrompe nella storia quando e dovunque gli uomini si affidano a Dio. Ma
incontra anche l’ostilità di tanti, come si comincia a verificare subito nella stessa città di Gesù,<br />
Nazaret.<br />
DISCORSO PROGRAMMATICO<br />
Luca, dopo il battesimo (3, 21-22), la genealogia (23-38) e la tentazione (4, 1-12 ),<br />
pone all’inizio dell’attività di Gesù un discorso quasi programmatico che subito dopo il<br />
Battesimo e la tentazione, Gesù pronunzia nell’ignorato paese di Nazaret. In un giorno di sabato<br />
nella Sinagoga Gesù legge il brano di Isaia 61, 1-2, in cui un personaggio dichiara di aver<br />
ricevuto un messaggio di consolazione da trasmettere ad un popolo di derelitti e sbandati,<br />
esiliati in Babilonia. Tale annunzio, data la situazione, non può venire da un uomo, ma proviene<br />
da un’investitura messianica del profeta ( unzione ) e si fonda sulla missione di Dio.<br />
Destinatari del messaggio sono i “miseri”, gli uomini dal “cuore spezzato”, cioè “ i<br />
prigionieri”, “gli schiavi”. Per loro si apre una prospettiva di liberazione, un “condono dei<br />
debiti”, come avveniva nel grande giubileo, nell’”anno di grazia” del Signore . Questa<br />
profezia, anche se legata ad una situazione storica, va ben al di là di essa, e fa pensare ad<br />
ogni condizione di sofferenza, oppressione e povertà. in cui può trovarsi la vita umana. Dopo la<br />
lettura, commentando il brano, Gesù asserisce che le parole del profeta giungono al<br />
compimento “oggi”. “Oggi” è cronologicamente il momento in cui parla Gesù, ma evoca il<br />
momento decisivo e presente della salvezza. Tutto quanto detto da Isaia non è più attesa, ma<br />
si attua “oggi”: l’unzione, la missione messianica, profetica e sacerdotale conferita all’Unto,<br />
l’annunzio della salvezza ai poveri, il condono generale ai prigionieri. E tutto ciò è realtà in<br />
Gesù.<br />
La dichiarazione di Gesù appare scandalosa agli ascoltatori e suscita una reazione<br />
violenta. “All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono presi da sdegno, si levarono, lo<br />
cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte per gettarlo giù dal<br />
precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò”. (Lc 4,28-30 )
FESTA DI NOZZE A CANA<br />
Gesù guida i discepoli nella prima esperienza apostolica non nel deserto o in un luogo<br />
di ritiro solitario, ma in Galilea, la loro patria, e, per di più, a un pranzo di nozze. Non segue lo<br />
stile rigido del Battista, non avanza subito l'esigenza di abbandonare i familiari, come chiederà<br />
più tardi. Arrivando a Cana, città della Galilea, posta a oltre dieci chilometri a nord-est di<br />
Nazaret, incontra sua Madre eviene invitato alle nozze di parenti. Secondo l'uso<br />
dell'ospitalità orientale, l'invito è esteso anche ai suoi discepoli. Gesù vuole incontrare la gente,<br />
le persone, vuole farsi simile agli altri per avvicinarli. Maria, mamma premurosa e attenta, nota<br />
l'imbarazzo dei novelli sposi che, per l'arrivo di tanti ospiti, vedono mancare il vino. E<br />
dice al Figlio: «Non hanno più vino». La risposta di Gesù fa una certa impressione: «Che ho da<br />
fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Quale sarà l'ora di Gesù?<br />
Per Lui vale soprattutto la volontà del Padre. Ma anche la preghiera della Madre viene<br />
ascoltata, e l'acqua è cambiata in vino. Intanto il cuore materno di Maria si rende conto che la<br />
grande legge della vita di Gesù è che la volontà di Dio sia fatta. L'incondizionato e fiducioso<br />
abbandono a Dio ottiene sempre l'ascolto e l'esaudimento. Il miracolo dell'acqua cambiata in<br />
vino produce profondo stupore negli ospiti, rafforza la fede nei discepoli e la fama di Gesù si<br />
diffonde.<br />
PREDICAZIONE
Nonostante delusioni, insuccessi fallimenti, la gente umile sperava nel Messia, inviato<br />
da Dio. Ed ecco giunto il momento. «Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella<br />
Galilea, predicando il Vangelo di Dio», e diceva: «II tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino:<br />
convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Il Messia veniva per annunciare agli uomini il<br />
Regno di Dio, per inaugurare in terra il Regno dei cieli. Il disegno di Dio Padre era di elevare<br />
gli uomini fino a farli partecipare alla vita divina. Questo disegno non era conosciuto.<br />
Quando alcuni avvicinano Gesù, che gode fama di profeta, per sapere da Lui chi sia veramente,<br />
l'evangelista Luca annota: molti «credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un<br />
momento all'altro» (Lc 19,11). Perciò chiedono a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o<br />
dobbiamo aspettarne un altro?» (Mt 11,3). La Parola e i segni di Gesù annunciano una salvezza<br />
molto simile a quella promessa dai profeti, eppure misteriosamente diversa.<br />
PASSA DI VILLAGGIO IN VILLAGGIO<br />
Il “rabbi”, il profeta di Nazaret, per circa tre anni, attraversa la Galilea, la<br />
Samaria e la Giudea, entrando in borgate e città come un maestro itinerante,<br />
accompagnato da discepoli sempre più numerosi; ma è assai diverso dagli altri maestri. Le<br />
grandi personalità che guidano l'umanità nella faticosa ricerca del progresso, scienziati, artisti,<br />
filosofi, politici, parlano il linguaggio solenne di chi vuole conquistare il mondo e dominarlo.<br />
Gesù invece annuncia con parole semplici un’iniziativa gratuita, accessibile a tutti, ma<br />
sconvolgente; parla del Regno di Dio, del Regno dei cieli, lo annuncia, lo proclama, lo<br />
descrive, e comincia subito ad attuarlo. Insegnando. Egli opera, e operando insegna. Parla in<br />
parabole e con brevi sentenze, racconta, esorta, ammonisce, consola, conversa e polemizza con<br />
sorprendente novità; gradualmente chiarisce il progetto del Regno sconvolgendo il comune<br />
modo di pensare e insieme risponde con verità e bontà alle attese più profonde e più vere di ogni<br />
ascoltatore. Chi accetta la parola del Maestro e la mette in pratica costruisce la propria vita sul<br />
sicuro: cade la pioggia, straripano i fiumi, soffiano i venti, ma la casa non crolla, perché è<br />
fondata sulla roccia (cf Mt 7,24s).
GESÙ INVITA E CHIAMA<br />
II suo appello è un invito a decidere senza timori, senza tentennamenti e subito, a<br />
rinnovarsi personalmente, senza rimandi ad altra data. Afferma che le novità non verranno<br />
«dopo»; già il presente è saturo di novità. Sulle rive del lago di Tiberìade, quattro pescatori,<br />
Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, stanno aggiustando le reti e preparando le barche per la<br />
pesca. Il giovane maestro passa, e con autorità li chiama: «Seguitemi, vi farò pescatori di<br />
uomini» (Mt 4,19). Lasciato senza indugio il mestiere, la famiglia, il loro piccolo mondo, essi<br />
vanno con Lui verso un futuro tutto da scoprire, lontani dall'immaginare dove approderanno.<br />
Gesù suscita entusiasmo e anche ostilità; al suo passaggio nessuno resta neutrale. Provoca<br />
stupore e a volte un misterioso timore; chi va incontro a Gesù rimane sorpreso; chi si confronta<br />
con Lui non resta indifferente; molti lo rifiutano, e molti lo seguono; chi entra nel mistero della<br />
sua persona ne resta affascinato. Ma cosa promette questo maestro singolare? Non promette<br />
denaro, né agi, né sicurezza, ma soltanto: «Vi farò pescatori di uomini».<br />
IN MOLTI LO SEGUONO<br />
Non soltanto i quattro pescatori del lago in Galilea seguono immediatamente Gesù e<br />
diventano discepoli per il Regno; altri li imitano sia nella fede in Gesù sia nella itineranza.<br />
A quel tempo, chi voleva diventare discepolo di un grande «rabbi» (maestro) prendeva lui<br />
l'iniziativa. Invece con Gesù è il Maestro a chiamare i dodici (cf Mt 10,1-4) e a prepararli alla<br />
missione che assegna loro. Diversi, chiamati non rispondono: per esempio il giovane ricco che<br />
si allontana triste incapace di rinunciare ai suoi beni. Chi segue Gesù paga un duro prezzo:
innegare se stesso, prendere la propria croce e seguirlo a qualunque costo (cf Mt 16,24-26).<br />
Ai discepoli Gesù offre la possibilità di diventare membri di una grande famiglia, e la vita<br />
eterna alla fine (cf Mt 19,27-30); non promette sogni di carriera e di successo nella vita; chiede,<br />
anzi, di servire come Lui serve: se la gente ritiene posseduto dal demonio il Maestro,<br />
altrettanto farà con i discepoli (cf Mt 10,25). Ma «quale vantaggio avrà l'uomo se guadagnerà il<br />
mondo intero, e poi perderà la propria anima?» (Mt 16,26). E invece, chi segue Cristo trova la<br />
vita, anche se per questa strada incontra la croce.<br />
VUOLE VINCERE IL MALE<br />
II conflitto con il «potere delle tenebre» (cf Lc 22,53), iniziato; da Gesù nel deserto (cf<br />
Mt 4,1-11), durerà per tutta la vita fino al momento ultimo della passione (cf Gv12,31). Dove<br />
passa Gesù di Nazaret passa una potenza di liberazione e di perdono. Poveri e<br />
malati vengono guariti, peccatori e ossessi vengono liberati con la forza dello Spirito Santo. Il<br />
regno del maligno arretra inesorabilmente: «Vedevo Satana cadere dal ciclo come la folgore»<br />
(Lc 10,18). «Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo» (1 Gv 3,8), affinché<br />
gli uomini «abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). La vittoria di Gesù e dei<br />
suoi discepoli sul peccato, sulla morte, sulla sofferenza, sul disordine della natura (cf Mt 10,7-8),<br />
è vittoria del Regno di Dio sul regno del diavolo, al cui influsso nefasto ogni forma di male è<br />
connessa. A volte la lotta diventa uno scontro diretto, come nel caso di esorcismi in cui Gesù<br />
ordina a Satana di lasciare liberi gli indemoniati. La Chiesa conosce la potenza del maligno e<br />
la combatte. In casi particolari autorizza ancora oggi gli esorcismi contro Satana. La mentalità<br />
di un tempo riteneva possessione diabolica anche certe normali infermità fisiche o psichiche; e<br />
ancora oggi alcuni attribuiscono al maligno certi fenomeni che sono soltanto malattie. Ma<br />
credere che Satana non esista e che il suo regno non operi anche oggi, è una illusione e una<br />
ingenuità da superare.
VUOLE SALVARE CHI È IN PERICOLO<br />
Ma perché Gesù risana solo alcuni malati, perché risuscita solo alcuni morti e lo fa<br />
provvisoriamente e non definitivamente . Gesù non intende fermarsi a metà, vuole salvare l'uomo<br />
con la sua vita e con il suo mondo, e non soltanto ridare la salute fisica. Intende fare «nuove<br />
tutte le cose» (Ap 21,5). Il Regno che viene ha un segno che è ancora più grande di certi<br />
miracoli, ed è il perdono che Dio concede al peccatore, la rigenerazione che lo fa uomo nuovo.<br />
«Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). Questo<br />
comportamento di Gesù suscita scandalo; i suoi accusatori dicono di Lui: «Ecco un mangione<br />
e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). In realtà Gesù è un amico<br />
misericordioso, ma non è accomodante; è buono ma anche esigente. Alla<br />
donna adultera dice: «Va' e d'ora in poi non peccare più» (Gv 8,11). E addita a tutti come<br />
norma di comportamento la santità di Dio: «Siate voi perfetti come è perfetto il Padre vostro<br />
celeste» (Mt 5,48). Quando si intrattiene con i peccatori, lo fa perché si sentano amati da<br />
Dio, riconoscano il loro peccato e imparino a loro volta a perdonare e ad amare. «Simone ho<br />
una cosa da dirti... Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro<br />
cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo<br />
amerà di più?". Simone rispose: "Quello a cui ha condonato di più". Gli disse Gesù: "Hai<br />
giudicato bene"» (cf Lc 7,40-43).<br />
PERDONA I PECCATI
Può qualcuno perdonare i peccati? Gesù manifesta amore per le persone in totale sintonia<br />
con la bontà del Padre: ama per primo, ama appassionatamente, va in cerca dei peccatori e<br />
quando essi si convertono, Egli ne gioisce e vuole far festa con loro. «Chi di voi se ha cento<br />
pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché<br />
non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento,va a casa, chiama gli amici e i<br />
vicini dicendo: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta"» (Lc<br />
15,4-6). Gesù conosce l'intima misericordia del Padre e non esita ad attribuirsi il potere divino<br />
di perdonare i peccati, anche se intorno a Lui si leva un mormorio di riprovazione, e lo<br />
accusano di bestemmia. Davanti al paralitico, calato giù dal tetto nella sala, Gesù dice ai<br />
numerosi ascoltatori: «Che cosa è più facile dire al paralitico: "Ti sono rimessi i peccati", o<br />
dire: "Alzati, prendi il tuo tettuccio e cammina"? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo<br />
ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino — disse al paralitico — alzati, prendi il<br />
tuo tettuccio e va' a casa tua"» (Mc 2,9-11). Gli amici del paralitico e il malato stesso,<br />
avevano superato vari ostacoli per arrivare fino a Gesù. Avevano così dimostrato fiducia in Lui,<br />
disposizione all'ascolto e ricettività al perdono dei peccati.<br />
FA COMUNITÀ CON I DISCEPOLI<br />
Gesù si lega profondamente alla piccola comunità di quelli che credono in Lui, li<br />
considera la sua vera famiglia (cf Mc 3,31-35); vuole che tale comunità sia segno per gli<br />
uomini, un segno della santità e della bontà del Padre; un segno di verità e di carità visibile a<br />
tutti, simile a una città sul monte (cf Mt 5,14), un segno di salvezza per tutte le nazioni. All'inizio<br />
l'orizzonte di Gesù sembra circoscritto a Israele: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute<br />
della casa di Israele» (Mt 15,24); in realtà Egli guarda a tutti gli uomini e a tutti i popoli,<br />
pensa al raduno definitivo delle genti, nella prospettiva dell'amore e della pace universale. Gesù<br />
prova una profonda compassione per le folle, che vagano «come pecore senza pastore» (Mc<br />
6,34); le persone che si sentono sole e abbandonate vuole radunarle tutte in un solo ovile sotto<br />
un solo pastore. Fonda perciò la Chiesa, sacramento di salvezza, luce delle genti nel tempo e<br />
forza che durerà fino alla fine del tempo. La Chiesa, immersa nel presente, è proiettata verso<br />
il futuro, è destinata a realizzare il Regno di Dio. Gesù pone se stesso come pietra angolare di<br />
questa Chiesa, e conferisce a Pietro un potere specifico: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, e<br />
tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà<br />
sciolto nei cieli» (Mt 16,19). (Viganò “ La vicenda terrena di Gesù” elledici 1996 pp 14-25)
TRASFIGURAZIONE<br />
Dal giorno in cui Pietro ha confessato che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, il<br />
Maestro "cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme, e<br />
soffrire molto, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno" ( Mt 16,21 ). Pietro protesta a<br />
questo annunzio (cf Mt 16,22-23), gli altri addirittura non lo comprendono (cf Mt 17,23;<br />
Lc 9,45). In tale contesto si colloca l'episodio misterioso della Trasfigurazione di Gesù (Cf<br />
Mt 17,1-8 par; 2Pt 1,16-18 ) su un alto monte, davanti a tre testimoni da lui scelti: Pietro,<br />
Giacomo e Giovanni. Il volto e la veste di Gesù diventano sfolgoranti di luce, appaiono Mosè ed<br />
Elia che parlano "della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme" (Lc<br />
9,31 ). Una nube li avvolge e una voce dal cielo dice: "Questi è il Figlio mio, l'eletto;<br />
ascoltatelo" (Lc 9,35 ). Per un istante, Gesù mostra la sua gloria divina, confermando così la<br />
confessione di Pietro. Rivela anche che, per "entrare nella sua gloria" ( Lc 24,26 ), deve<br />
passare attraverso la croce a Gerusalemme. Mosè ed Elia avevano visto la gloria di Dio sul<br />
Monte; la Legge e i profeti avevano annunziato le sofferenze del Messia (Cf Lc 24,27 ). La<br />
passione di Gesù è proprio la volontà del Padre: il Figlio agisce come Servo di Dio (cf Is<br />
42,1). La nube indica la presenza dello Spirito Santo. E’ apparsa tutta la Trinità. Fin d'ora noi<br />
partecipiamo alla Risurrezione del Signore mediante lo Spirito Santo che agisce nel<br />
sacramento del Corpo di Cristo. La Trasfigurazione ci offre un anticipo della venuta gloriosa<br />
di Cristo "il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso" (<br />
Fil 3,21). Ma ci ricorda anche che "è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare<br />
nel Regno di Dio" ( At 14,22) ( sintesi da CCC n 554-556).<br />
Il contesto nel quale i sinottici parlano della Trasfigurazione è dominato dalla<br />
tematica della passione e della croce… Se si confronta Mc 9, 2 con Mc 14, 33 si vede che c’è<br />
uno stretto legame tra l’essere testimoni della trasfigurazione e l’essere testimoni delle<br />
debolezza dell’orto degli ulivi: sul monte è concesso loro di contemplare un anticipo della<br />
gloria del risorto, perché sappiano comprendere che la passione e la croce non sono qualcosa di<br />
incomprensibile, da rifiutare, ma rientrano nel medesimo disegno di amore. Non per nulla<br />
Luca precisa che con Mosè ed Elia Gesù parla del suo transito che doveva compiere in<br />
Gerusalemme” ( 9, 31): per chi ha occhi da vedere, Gesù Cristo non è l’abbandonato da Dio, ma<br />
la manifestazione suprema del suo amore. ( M. Serenthà : Gesù Cristo .. pag. 396 )
PRETESE DI <strong>GESU</strong><br />
PRETESE INAUDITE<br />
II messaggio di Gesù, i suoi miracoli, il suo modo di vivere suscitano l'entusiasmo, ma<br />
anche l'opposizione dei farisei e dei capi religiosi. Quali sono le ragioni di questa ostilità? Essa<br />
non proviene soltanto dai loro punti di vista troppo angusti, ma è dovuta essenzialmente alle<br />
pretese inaudite che essi colgono nelle intenzioni e nei gesti del profeta di Nazaret. Tutto ciò<br />
che Gesù vive e manifesta, infatti, ha a che fare con Dio. Questo appare evidente in tre<br />
controversie essenziali.<br />
RELAZIONE CON I PECCATORI<br />
Farisei e persone dotte, che ritengono Gesù un uomo giusto, sono tuttavia scandalizzati a<br />
causa delle persone che egli frequenta. Nel suo comportamento essi intuiscono la sua pretesa<br />
di essere in mezzo agli uomini la presenza stessa di Dio che, per mezzo del perdono, si<br />
riconcilia con i peccatori. Su questo suo comportamento Gesù stesso non lascia adito ad alcun
dubbio. Chi lo contesta di fatto contesta Dio. Chi lo accoglie, accoglie Dio. Non solo, ma gli<br />
uomini saranno giudicati in base all'atteggiamento che avranno avuto nei suoi confronti (Mc<br />
8,38). Una domanda pertanto si impone. Chi è dunque questo Gesù che fa coincidere la venuta di<br />
Dio e l'offerta del suo perdono con la sua presenza?<br />
Una simile pretesa scuote dalle fondamenta tutte le rappresentazioni religiose. Il modo<br />
di agire di Gesù rende caduche le istituzioni che, nel mondo ebraico, assicuravano il legame<br />
fra Dio e l'uomo: la Torah e il tempio. Gesù appare pertanto come una minaccia per il<br />
funzionamento ordinato della salvezza, così come lo pensavano gli uomini religiosi dell'epoca.<br />
RAPPORTO CON LA LEGGE<br />
Gesù non ha alcun disprezzo per la Legge, la santa Torah. Egli infatti non è venuto per<br />
abolirla, ma per portarla a compimento. A quell'epoca la Torah si presentava sotto due forme:<br />
la Torah scritta, che si identificava con i primi cinque libri della Bibbia, e la Torah orale,<br />
trasmessa dai maestri della Legge, che era riconosciuta come “Tradizione degli Antichi” ed<br />
attribuita ugualmente a Mosè. Ora Gesù pone le sue parole alla pari, anzi al di sopra di questa<br />
'”Tradizione degli Antichi”. Ciò significa che egli intende porsi al di sopra dello stesso Mosè.<br />
È in questo senso che bisogna leggere i testi in cui egli afferma: «Vi hanno detto”. “Ma io vi<br />
dico”, come pure tutti gli altri testi in cui egli sottolinea la sua autorità (Mt 7,29).<br />
Considerare l'autorità di Gesù non significa soffermarsi su una caratteristica del suo<br />
temperamento. Per un ebreo l'autorità ha un significato ben preciso. Quando un maestro parla,<br />
convalida le sue parole con opportuni riferimenti. Gesù invece parla giustificando le sue<br />
affermazioni con la propria autorità. Di fatto egli si sostituisce alla tradizione orale poiché<br />
enuncia la volontà di Dio in nome della propria autorità. E questo risulta intollerabile. Gesù non<br />
si pone fra Dio e il popolo come un semplice interprete della Legge, ma proclama la Legge e<br />
invita a mettersi alla sua scuola, poiché ogni autorità gli è stata data da Dio. (Mt 11,27-30).<br />
È quindi a lui che bisogna 'credere', è lui che bisogna seguire, poiché egli è «la Via, la Verità e<br />
la Vita» ! Con questa libertà Gesù manifesta «la sua consapevolezza del Regno sovrano di Dio<br />
in lui e per mezzo di lui». .
DI FRONTE AL TEMPIO<br />
II comportamento di Gesù di fronte al tempio va nella stessa direzione. Il tempio è il<br />
simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, è il luogo in cui si offrono i sacrifici per<br />
il perdono dei peccati, è la meta dei pellegrinaggi che celebrano le meraviglie di Dio nella storia<br />
d'Israele. Gesù frequenta il tempio, insegna sotto il portico, ma esprime anche una certa<br />
distanza nei confronti del tempio e nei confronti del sacerdozio che vi si esercita. Si rilegga la<br />
parabola del buon samaritano in cui i leviti e i sacerdoti non paiono particolarmente esemplari<br />
(Lc 10. Oppure l'episodio dei mercanti cacciati dal tempio: le parole pronunciate da Gesù in<br />
quella occasione costituiranno il motivo del suo arresto e della sua condanna (Mc 14,53-65).<br />
Ma l'atteggiamento di Gesù va molto più lontano. Egli non si limita semplicemente a<br />
criticare il sacerdozio di Gerusalemme, critica che del resto era condivisa anche da altri come<br />
gli Esseni, Egli pone fine concretamente a questo sacerdozio. E’ anche in questo senso che si<br />
può leggere l'episodio dei mercanti cacciati dal tempio, «...e non permetteva che si portassero<br />
cose attraverso il tempio». Cose, cioè oggetti del culto. Il significato di questo episodio è chiaro:<br />
Gesù interrompe l'itinerario del culto sacrificale. Nel tempio Gesù è a casa sua (Lc 2,46-49).<br />
Ed interrompendo l'antico culto egli si colloca al di sopra delle regole cultuali. «È in questa<br />
dinamica che trovano giustificazione l'emozione provocata e le conseguenze future del suo<br />
comportamento».<br />
Con questo comportamento critico, infatti, Gesù si sostituisce al tempio e presenta se<br />
stesso come colui che apre la strada verso Dio e che manifesta il suo perdono. È in questo<br />
senso che bisogna rileggere gli episodi evangelici che fanno apparire sulla scena i samaritani in<br />
lotta con i giudei proprio a causa della questione del tempio. Del resto, è Gesù stesso che fa<br />
comprendere alla samaritana come la sua presenza, che trascende ormai la controversia sulla<br />
localizzazione del tempio, rende il tempio inutile (Gv 4,21-24). Rileggendo questi episodi, i<br />
primi cristiani comprenderanno che Gesù è lui stesso il nuovo tempio che assicura la presenza di<br />
Dio in mezzo agli uomini (Gv 1,14; Ef2...). In lui, Tempio vivente di Dio, noi abbiamo «molto<br />
più di Salomone» che costruì il tempio di Gerusalemme (Mt 12,42).
INCOMPRENSIONI<br />
Le pretese che Gesù esprime manifestano la venuta di Dio che si sta realizzando, una<br />
venuta che, pur portando a compimento le promesse, le sconvolge e le sorpassa. Gesù infatti non<br />
è soltanto un testimone di Dio, ma colui nel quale Dio rende presente il suo perdono. Lo<br />
spazio in cui viene offerto il perdono non è più il Tempio, ma lo spazio della vita quotidiana<br />
degli uomini, visitata da Gesù (Mt 5,23-24). Lo spazio del culto come pure quello della Legge si<br />
dilatano fino a raggiungere tutti gli uomini, senza esclusioni, perché l'altro, chiunque sia, deve<br />
diventare il prossimo (Lc 10,29-37).<br />
Questa particolare irruzione di Dio nella storia dell'uomo non corrisponde<br />
immediatamente alle attese delle folle. Si capisce allora perché Gesù non è compreso e viene<br />
rifiutato. Le folle, che attendevano una liberazione di carattere politico, dopo un primo<br />
momento di entusiasmo, si allontanano da lui. Persino i suoi familiari si preoccupano, perché<br />
ritengono che Gesù abbia perduto il senno. I farisei fremono indignati perché la pretesa di Gesù<br />
di mettersi fra Dio e la Legge suona come una bestemmia alle loro orecchie. I sadducei lo<br />
temono perché Gesù mette in discussione il ruolo e il valore del tempio, che è la fonte dei loro<br />
guadagni. I capi del popolo vedono in lui un fautore di disordine che rischia di irritare<br />
l'occupante romano dal quale essi ricevono protezione. In breve, Gesù si mette contro l'opinione<br />
pubblica. I suoi stessi discepoli non mantengono l'unanimità. Chi è dunque costui? Che cosa<br />
dice di se stesso? (da : B. Rey: “Gesù il Cristo” Queriniana 1990 pp.22-28 )
L’ANNUNZIO DEL REGNO<br />
IL REGNO DI DIO<br />
Per comprendere che cosa Gesù insegna, cosa fa e chi è non basta mettere in evidenza<br />
qualche parola particolarmente significativa di Gesù e farne la chiave interpretativa del suo<br />
messaggio e della sua vita. Usando questo procedimento errato nel corso dei secoli Gesù è stato<br />
visto “come un grande maestro che insegna come si deve vivere, quale è il bene da compiere<br />
e il male da evitare”. Anche oggi questo tipo di interpretazione è molto diffusa, basta isolare<br />
dall’insieme del messaggio qualche parola di Gesù e si può fare di lui un mite qualunquista, al<br />
quale interessa solo Dio e l’anima, oppure un precursore di tutti i movimenti anticolonialisti e<br />
antimperialisti. Il messaggio autentico di Gesù può essere individuato soltanto ricercando il<br />
cuore pulsante e il centro vitale di tutto il suo annunzio e di tutta la sua attività. Ora non c’è<br />
dubbio, stando all’antichissima tradizione conservata dai Vangeli sinottici, che l’argomento<br />
abituale e centrale della predicazione di Gesù era il Regno di Dio o regno dei cieli, come si<br />
esprime il vangelo di Matteo. Il termine ricorre nei sinottici una settantina di volte. Ma la realtà<br />
del regno è presente ovunque nella parola e nella prassi di Gesù” ( F. Ardusso “Gesù Cristo”<br />
Ed Paoline 192 pp. 75-76 ).<br />
Marco riassume significativamente il messaggio di Gesù in questi termini: “ Dopo che<br />
Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: “ Il<br />
tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15).<br />
Quando si va a vedere Gesù e ci si ferma presso di lui, si riflette sulla sua predicazione, ci si<br />
accorge che il centro è l’annunzio di un avvenimento gioioso e definitivo per la vita di tutti,<br />
che si chiama Regno di Dio. L’annunzio di questo avvenimento è la buona notizia che Gesù<br />
porta al popolo di Israele e ad ogni uomo.
IL REGNO NELL’ANTICO TESTAMENTO<br />
L’espressione “Regno di Dio” affonda le sue radici nell’Antico Testamento, dove è<br />
abbastanza familiare.<br />
La regalità divina era un’idea comune a tutte le religioni orientali, ma gli Ebrei dettero ad<br />
essa un contenuto particolare. Si dice nella Bibbia che Javhé regna sempre ( Es 15, 18 ) in<br />
cielo (Sl 11, 4 ), sulla terra (Sl 47 3 ), sull’universo (Sl 93, 1), su tutte le nazioni (Ger 10,<br />
10). Ma regna soprattutto in Israele, “popolo che egli ha scelto”, che con l’alleanza ha fatto “<br />
regno di sacerdoti e nazione santa” ( Es 19, 6), che guida, protegge e raduna come un pastore il<br />
suo gregge (Sl 80), che vuole osservante della sua legge, quindi con un carattere morale, non<br />
politico.<br />
Israele ha anche una struttura politica, che si evolve nel tempo. Ad un certo punto<br />
della sua storia diventa monarchia e i re hanno la caratteristica particolare di essere<br />
luogotenenti di Dio, ma tra il Regno di Dio e il regno politico non c’è coincidenza.<br />
L’esperienza della monarchia resta ambigua, i progetti dei re non coincidono con la causa del<br />
Regno di Dio e i profeti devono intervenire spesso per rimproverare i peccati, preannunziare<br />
castighi, ricordare la subordinazione dell’ordine politico a quello religioso.<br />
Dopo l’esilio, spariti i re, i profeti annunziano che Javhé stesso come pastore e guida si<br />
occuperà del suo gregge ( Mc 2, 13; Is 40, 9-11). Le caratteristiche del regno diventano sempre<br />
più universali, si asserisce che tutte le genti verranno a Gerusalemme per adorare Javhé (Is 24,<br />
33 ), e la prospettiva diventa escatologica. ( Sl 47, 95 ). Con Daniele, il Regno appare<br />
instaurato sulle rovine degli imperi, con al centro il Figlio dell’uomo, che assume la regalità<br />
per sempre ( Dn 7).<br />
Israele capisce che le speranze nutrite per molti secoli in un regno teocratico hanno<br />
portato solo alla delusione e fa l’esperienza che quando Dio prende l’iniziativa c’è liberazione.<br />
Da sempre è consolidata nel popolo l’idea che se Dio stende la sua “signoria” sull’uomo e<br />
l’uomo l’accetta, nel mondo fioriscono la pace e la giustizia. Matura così l’attesa del Regno<br />
definitivo che i profeti annunziano.
UN’ASPIRAZIONE DIFFUSA<br />
Gesù non ha bisogno di spiegare a lungo in che cosa consista il regno di Dio che va<br />
annunciando: nel suo ambiente questa idea era già, per dir così, nell’aria, come fa intuire<br />
l’evangelista Luca con sobrie annotazioni: “il popolo era in attesa” (Lc 3, 15); “credevano che<br />
il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro” (Lc 19, 11). Tale aspettativa era<br />
maturata in Israele durante una secolare esperienza storica, a partire dall’esodo.<br />
Come un re vittorioso, Dio liberò e fece uscire dall’Egitto il popolo ebraico; gli fece dono<br />
della sua alleanza e della sua legge; gli procurò il possesso di una terra fertile, dove scorreva<br />
latte e miele. Israele vide nell’esodo dall’Egitto il fondamento e il simbolo di tutte le salvezze<br />
successive. Di generazione in generazione imparò a riconoscere la presenza di Dio nella<br />
propria storia e ad acclamarla nella liturgia con il grido gioioso: “Il Signore regna!” (Sal 96,1).<br />
Coltivò la speranza che in futuro la gloria del Signore avrebbe attirato verso<br />
Gerusalemme l’attenzione dei popoli e avrebbe diffuso la pace sulla terra. Arrivò invece<br />
un’altra sciagura nazionale, l’esilio a Babilonia. Sopraggiunsero altre invasioni, altre amarezze e<br />
sventure. Tuttavia le delusioni, anziché far appassire la speranza dei credenti, la resero più<br />
audace: Dio verrà definitivamente a liberare i poveri e gli oppressi, a portare giustizia e pace;<br />
“Il Signore sarà re di tutta la terra e ci sarà il Signore soltanto, e soltanto il suo nome” (Zc 14,<br />
9). I contemporanei di Gesù ogni giorno levavano al Signore l’appassionata invocazione: “Sii<br />
presto re sopra di noi”. Allo scopo di preparare la venuta del suo regno nel mondo, Dio ha<br />
riunito e ha educato pazientemente, con un cammino di secoli, un popolo, che potesse<br />
accoglierlo e manifestarlo a tutte le genti: il popolo di Israele. L’incontro con Dio rimane<br />
comunque carico di novità e di sorpresa.<br />
IL REGNO E’ UNA BUONA NOTIZIA
L’annunzio di Gesù si colloca sullo sfondo dell’attesa di Israele, ma<br />
contemporaneamente se ne distacca. A differenza della speranza ebraica, che è rivolta<br />
al futuro, Gesù dice che l’ora messianica è arrivata, è vicina. Essa è una inaudita volontà da<br />
parte di Dio nei confronti degli uomini di perdono e di riconciliazione, di amicizia e di<br />
familiarità, di solidarietà inconcepibile, di presenza continua. Si tratta essenzialmente della<br />
manifestazione dell’amore di Dio all’uomo, un amore inaspettato, al di là delle attese. Il<br />
messaggio del Regno rivela chi è Dio per l’uomo e chi è l’uomo per Dio, quanto Dio ami<br />
l’uomo e quanto l’uomo sia importante per Dio. Se si accetta il Regno ci si rende conto di<br />
essere amati in maniera unica da Dio, in questa vita e per sempre. La realizzazione del<br />
Regno ci assicura che Dio ama ognuno di noi e che nulla ci può strappare da questo<br />
amore.<br />
“Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la<br />
persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?....in tutte queste cose noi siamo più che<br />
vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte, né vita , né<br />
angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcuna<br />
altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore “. ( Rm<br />
8, 35-38 )<br />
ANNUNZIO DEL REGNO<br />
Gesù di Nàzaret annuncia l’intervento definitivo di Dio nella storia, come re e<br />
salvatore. La regalità divina si afferma senza clamore nel tessuto della vita ordinaria; si rivela<br />
come amore gratuito e misericordioso rivolto a tutti, specialmente agli oppressi e ai peccatori.<br />
Chi l’accoglie con umiltà e fede, fa esperienza della beatitudine già tra le angustie della vita<br />
presente; cammina con coraggio verso un futuro pieno di speranza.<br />
Gesù di Nàzaret non insegna una visione del mondo ricavata dalla comune esperienza<br />
umana, un insieme di verità religiose e morali, frutto di riflessione particolarmente penetrante. Si<br />
presenta piuttosto come il messaggero di un avvenimento appena iniziato e in pieno<br />
svolgimento. Il suo, prima di essere un insegnamento, è un annuncio, un grido di gioia: viene il<br />
regno di Dio! Una semplice frase, collocata in apertura del vangelo di Marco, riassume tutta la<br />
sua predicazione: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al<br />
vangelo” (Mc 1, 15). Questa è la buona notizia che Gesù ha da comunicare. Questa è la causa<br />
per cui vive, la ferma speranza che lo sostiene.<br />
I concetti, tra loro intimamente collegati, di vangelo e di regno di Dio, fanno<br />
riferimento ad alcuni oracoli del libro di Isaia, che prospettano un grandioso intervento di<br />
Dio a favore di Israele, un nuovo esodo. Dio si prenderà cura personalmente del suo popolo,<br />
come un pastore fa con il suo gregge. Lo libererà, lo risanerà, lo guiderà verso Gerusalemme.
Un messaggero correrà avanti a portare la buona notizia, “messaggero di lieti annunzi che<br />
annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo<br />
Dio”” (Is 52, 7); messaggero “mandato a portare il lieto annunzio ai miseri... per allietare gli<br />
afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere” (Is 61, 1.3). ( “La Verità vi farà<br />
liberi”- pag. 65- 70)<br />
PRESENZA E ATTESA DEL REGNO<br />
Gesù si inserisce nel suo ambiente, inquieto e pieno di aspettative, con continuità e<br />
originalità. Il suo passaggio desta nella gente interesse, stupore, entusiasmo; a volte perfino un<br />
misterioso timore. Provoca in molti diffidenza, delusione, rifiuto e ostilità. Non lascia però<br />
indifferente nessuno. Il suo annuncio è che il regno di Dio non è più solo da attendere nel<br />
futuro; è in arrivo, anzi, in qualche modo, è già presente. Viene in modo assai concreto, a<br />
risanare tutti i rapporti dell’uomo: con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose. Vuole<br />
attuare una pace perfetta, che abbraccia tutto e tutti.<br />
Allo scopo di preparare la venuta del suo regno nel mondo, Dio ha riunito e ha<br />
educato pazientemente, con un cammino di secoli, un popolo, che potesse accoglierlo e<br />
manifestarlo a tutte le genti: il popolo di Israele. L’incontro con Dio rimane comunque carico di<br />
novità e di sorpresa.<br />
Secondo Gesù, il Regno si affermerà pienamente solo nel futuro: adesso comincia<br />
appena a realizzarsi. Bisogna ancora pregare con insistenza e invocare: “Venga il tuo regno”<br />
(Mt 6 ,10). Presto, entro la durata di una generazione, accadrà qualcosa di nuovo: “In verità vi<br />
dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con<br />
potenza” (Mc 9 1). Finalmente, al termine della storia, la gloria del Regno riempirà il mondo<br />
intero. D’altra parte il futuro è anticipato già nel presente. Nelle parole, nei gesti e nella persona<br />
di Gesù, il Padre comincia a manifestare la sua sovranità salvifica: “Se io scaccio i demòni<br />
per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio” (Mt 12, 28). Il presente,<br />
umile e nascosto, contiene una meravigliosa virtualità, che si dispiegherà nel futuro. È come<br />
il seme che silenziosamente germoglia dalla terra e produce la spiga; come il minuscolo granello<br />
di senape che poi diventa un albero; come il modesto pugno di lievito che finisce per fermentare<br />
tutta la pasta. Il regno di Dio non si impone in modo clamoroso e spettacolare, come la gente<br />
immagina che debba succedere. Non viene in un istante. Non risolve magicamente tutti i<br />
problemi. Si propone piuttosto alla nostra cooperazione. Per sperimentarlo, bisogna accoglierlo<br />
attivamente, bisogna convertirsi. E, comunque, si tratta sempre di una esperienza germinale,<br />
destinata a compiersi perfettamente solo nell’eternità. Il Regno è più semplice e umano di quanto<br />
gli uomini stessi si aspettino. Si nasconde nella normalità della vita quotidiana e addirittura<br />
nella debolezza, nell’apparente fallimento.
Il regno di Dio è presente e futuro, umile e nascosto; non sconvolge, ma valorizza la<br />
realtà quotidiana; sviluppa la sua efficacia silenziosamente, come un piccolo seme o un pugno di<br />
lievito; esige da noi il coraggio della fede e una paziente cooperazione. ( “La Verità vi farà<br />
liberi”- pag..65- 70)<br />
IL REGNO INIZIA CON <strong>GESU</strong>’<br />
Il Regno ha inizio senza clamore con la vita e la predicazione di Gesù. Ed è legato alla<br />
persona di Gesù e alla sua missione. Egli è insieme annunciatore e portatore del Regno di<br />
Dio.<br />
“I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono guariti, i morti<br />
risorgono, i sordi odono, ai poveri è annunziata la buona novella. E beato chiunque non si sarà<br />
scandalizzato di me” ( Lc 7, 22-23 ).<br />
“Interrogato dai farisei: “Quando verrà il Regno d Dio?” rispose: “ Il Regno di Dio<br />
non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: eccolo qui o eccolo là: Perché il<br />
Regno di Dio è in mezzo a voi” . ( Lc 17, 20-21 )<br />
La Parola di Gesù ha una forza misteriosa e prodigiosa, è come un seme che produce<br />
non per opera di uomini ma per la forza di Dio. Se i risultati non sembrano subito evidenti è<br />
perché il seme gettato con straordinaria ricchezza dall’amore di Dio non è accolto da tutti. Ma<br />
quando c’è l’accoglienza, i segni del Regno sono davvero evidenti.<br />
“Ecco, uscì il seminatore a seminare, una parte del seme cadde lungo la strada e<br />
vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra cadde sopra i sassi, dove non c’era terra, e subito<br />
spuntò perché non c’era un terreno profondo; ma quando si levò il sole restò bruciata e, non<br />
avendo radici, si seccò. Un’ altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non<br />
diede frutto. Un’altra cadde sulla terra buona, diede frutto che spuntò e crebbe, e rese ora il<br />
trenta, ora il sessanta, ora il cento” (Mc 4,3-8 ).<br />
“Diceva: il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme sulla terra; dorma o vegli,<br />
di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce: come, egli stesso non lo sa. Perché la terra<br />
produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il<br />
frutto è pronto, mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura” ( Mc 4, 26-29 ).<br />
Il regno è presente nella storia “ non è più solo da attendere nel futuro; è in arrivo, anzi<br />
in qualche modo è presente. Viene in modo assai concreto, a risanare tutti i rapporti<br />
dell’uomo: con Dio, con se stesso, con gli altri, con le cose. Vuole attuare una pace perfetta,<br />
che abbraccia tutto e tutti. Bisogna credere innanzitutto all’amore di Dio Padre, che si<br />
manifesta attraverso Gesù, e convertirsi dal peccato, che è la radice di tutti i mali .
CARATTERISTICHE DEL REGNO<br />
Il regno di Dio non risolve i problemi e non cambia le situazioni come per incanto.<br />
Ci si può chiedere, allora, in che senso esso sia una buona notizia, quale felicità porti e a quali<br />
condizioni se ne possa fare l’esperienza. Senz’altro Gesù di Nàzaret intende fare un annuncio e<br />
un’offerta di felicità. Le beatitudini del Regno, riferite dagli evangelisti Matteo e Luca, non<br />
vogliono essere soltanto una promessa, ma una proclamazione. A motivo del futuro che<br />
comincia a venire, assicurano già nel presente gioia e bellezza di vita, come un anticipo. Però è<br />
paradossale che ne siano destinatari i poveri e i sofferenti. Gesù annuncia che Dio, nella sua<br />
nuova e definitiva manifestazione, si mette a fianco degli oppressi, degli affamati, dei malati,<br />
degli afflitti, dei perseguitati e comincia a liberarli. Gesù proclama beati gli ultimi della<br />
società, perché sono i primi destinatari del Regno. Proprio perché sono poveri e bisognosi, Dio<br />
nel suo amore gratuito e misericordioso va loro incontro e li chiama ad essere suoi figli,<br />
conferendo loro una dignità che nessuna circostanza esteriore può annullare o diminuire: né<br />
l’indigenza, né l’emarginazione, né la malattia, né l’insuccesso, né l’umiliazione, né la<br />
persecuzione, né alcun’altra avversità. Gli atteggiamenti per accogliere il Regno sono ben<br />
esplicitati nella redazione delle beatitudini fissata dall’evangelista Matteo. ( Vedi “ La verità vi<br />
farà liberi, pagine 66-75)
IL REGNO SUPERA LA NOSTRA ESPERIENZA<br />
Il regno supera la nostra esperienza e di esso non è possibile parlare con tutta<br />
chiarezza, ma solo con linguaggio inadeguato, con parabole, che aprono uno spiraglio sul<br />
Regno e contemporaneamente spingono alla riflessione. Ne coglie progressivamente la<br />
ricchezza chi è disposto e ha fede.<br />
Non s’impone con forza ed è apparentemente debole, ma ha la forza di Dio, come un<br />
seme trascurabile ( Mc 4, 30-31), come un grano seminato in terreno diseguale ( Mt 13, 23 ),<br />
come un pugno di lievito (Mt 13, 33 ), come una perla nascosta ( Mt 13, 44-46 ).<br />
“Il regno di Dio si può paragonare ad un granellino di senapa……E’ il più piccolo di<br />
tutti i semi, ma….diventa un albero…” (Mt 13. 31-32 ). “ Il regno dei cieli si può paragonare<br />
al lievito…. finché tutto si fermenta” ( Mt, 13, 33 ).<br />
“ Il Regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto, in un campo; un uomo lo trova<br />
e lo nasconde, poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo” ( Mt 13, 45-<br />
46).<br />
OFFERTA DI SALVEZZA
Il regno è un’offerta di salvezza, che è indirizzata a tutti e in modo particolare ai<br />
poveri, che non hanno nulla da attendere dagli uomini, ma che tutto possono attendere da Dio,<br />
e ai peccatori.<br />
Gesù annunzia il Regno a tutti coloro che erano comunemente ritenuti ai margini della<br />
gioia messianica, e il suo comportamento è caratterizzato dalla ricerca degli esclusi, dei<br />
peccatori, dei poveri, degli stranieri. Gesù non si separa dai peccatori ma cerca la loro<br />
compagnia, non li abbandona, ma li perdona, e così afferma che il perdono è offerto a loro.<br />
Egli costruisce il suo Regno con pazienza e tolleranza, mentre altri vorrebbero subito<br />
purificare il Regno da ogni contrasto.<br />
“ Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi<br />
mormoravano: “ Costui riceve i peccatori e mangia con loro” (Lc 15, 1-2).<br />
“Vedendo ciò tutti mormoravano: “E’ andato ad alloggiare da un peccatore”..... Gesù<br />
rispose: “ Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il<br />
Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” ( Lc 19, 7-10 ).<br />
“ Il Regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo<br />
campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se<br />
ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi<br />
andarono dal padrone di casa e dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo<br />
campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: un nemico ha fatto questo. E i<br />
servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda<br />
che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate il buon grano. Lasciate che l’una e l’altro<br />
crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete<br />
prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”<br />
(Mt 13, 24-30 ).<br />
<strong>GESU</strong> PROTAGONISTA DEL REGNO<br />
Gesù afferma che la storia è arrivata alla svolta decisiva: la grande promessa<br />
comincia a realizzarsi. Dio viene per regnare in modo nuovo e definitivo. Viene per aprire un<br />
cammino sicuro verso la pienezza della vita e della pace. Il suo regno è da intendere soprattutto<br />
come sovranità, regalità, come una realtà misteriosa e dinamica, che si è fatta vicina, anzi è già<br />
in mezzo agli uomini e deve essere accolta con umiltà e fiducia. Gesù identifica se stesso con<br />
la figura del messaggero che annuncia l’inaugurazione del regno di Dio: “Oggi si è adempiuta<br />
questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc 4, 21). Ma, oltre che messaggero,<br />
si considera anche protagonista del Regno: l’intervento di Dio si attua attraverso di lui. Egli<br />
è venuto a radunare le “pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15, 24), in modo da<br />
attirare anche le nazioni “dall’oriente e dall’occidente” (Mt 8, 11). È venuto per dare inizio alla<br />
liberazione integrale dell’umanità, con le meraviglie tipiche del nuovo esodo. Gesù è il
messaggero e il protagonista del regno di Dio che viene nella storia. La sua predicazione si<br />
può riassumere in questo annuncio e appello: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;<br />
convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1, 15). ( “La Verità vi farà liberi”- pag..65- 70)<br />
LA PIENEZZA DEL REGNO E’ NEL FUTURO<br />
La pienezza del Regno è nel futuro. Il Regno di Dio, nella sua pienezza, indica “ la<br />
sovranità universale di Dio alla fine dei tempi, quando avrà luogo la sua vittoria su tutte le<br />
potenze del male, la riconciliazione perfetta tra Dio e gli uomini, la salvezza piena che deve<br />
raggiungere l’uomo nell’aspetto spirituale e corporale, personale e sociale. Lo esprime bene la<br />
preghiera del Padre Nostro, una preghiera tipicamente escatologica, che chiede a Dio i beni del<br />
regno. Il Regno di Dio è quello in cui il suo nome viene santificato, il suo disegno di salvezza<br />
si realizza ( volontà di Dio ), c’è abbondanza per tutti, la colpa viene perdonata e gli uomini sono<br />
liberati da ogni male e dal maligno “. (Ardusso o.c. p. 7)<br />
“ Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome; venga il tuo Regno. Sia<br />
fatta la tua volontà……”. ( Mt 6, 9 ss. )
I MIRACOLI DI <strong>GESU</strong><br />
MIRACOLI DI <strong>GESU</strong><br />
I miracoli annunciano e inaugurano il Regno di Dio. C’è chi si chiede se abbia ancora<br />
senso parlare di miracoli, se essi siano oggi di aiuto alla fede o piuttosto di ostacolo, in quanto<br />
estranei alla mentalità scientifica dell’uomo moderno. È essenziale coglierne il significato.<br />
Nell’Antico Testamento gli eventi prodigiosi dell’esodo e in genere i miracoli compiuti da Dio e<br />
dai suoi inviati attestano la presenza salvifica del Signore nella storia del suo popolo. Nel Nuovo<br />
Testamento questi fatti straordinari sono chiamati “miracoli (opere potenti), prodigi e segni”<br />
(At 2, 22): opere potenti, perché manifestano la potenza creatrice di Dio; prodigi, perché sono<br />
avvenimenti straordinari e inspiegabili, che destano l’ammirazione degli uomini; segni, perché<br />
nel contesto della predicazione evangelica trasmettono un preciso significato, la venuta del<br />
Regno. Dei tre termini il più adeguato è proprio l’ultimo. I miracoli sono gesti con cui Dio ci<br />
parla. Si rivolgono sempre alle persone, o perché le riguardano direttamente, come le guarigioni<br />
di malati, o almeno perché recano loro qualche beneficio materiale e spirituale, come accade<br />
nella moltiplicazione dei pani e in altre trasformazioni della natura. E per costituire il segno, non<br />
conta solo il fatto straordinario, ma anche il modo e il contesto in cui avviene. (Verità vi farà<br />
liberi: 189 )
STILE DI <strong>GESU</strong>’<br />
Ai tempi di Gesù si ammetteva comunemente che esistessero i miracoli sia nel mondo<br />
ebraico che in quello greco-romano e miracoli leggendari venivano spontaneamente attribuiti<br />
ad eroi religiosi, a predicatori, a saggi, a rabbini.<br />
Ma tra gli ebrei non era automatica l’attribuzione di miracoli a personaggi di<br />
particolare rilievo; per esempio Giovanni fu ritenuto persino Messia, ma non gli venne<br />
attribuito nessun miracolo. Gesù invece viene sempre ricordato come uno che aveva predicato<br />
e operato miracoli.<br />
E viene tramandato il suo stile di operare miracoli, sobrio e diverso da quello<br />
degli altri eroi religiosi del tempo. I suoi miracoli sono decisamente dissimili per molti motivi.<br />
Li opera con autorità propria e non come conseguenza di preghiere rivolte a Dio; di solito li fa<br />
con un comando; eccetto in uno o due casi, in cui usò la saliva ( Mc 7, 33; 8, 23). Come<br />
insegna con autorità, così compie i miracoli con autorità, a nome proprio: “Io ti dico” (Mc 5,<br />
41); “Ti ordino” (Mc 2, 11).<br />
Agisce con naturalezza, senza sforzo e senza alcuna preparazione; gli basta una<br />
semplice parola. Il risultato è istantaneo, sebbene i casi siano diversissimi: guarigione di<br />
lebbrosi, ciechi, sordomuti, paralitici, epilettici; risurrezione di morti. moltiplicazione di pani e<br />
pesci, trasformazione dell’acqua in vino, una pesca miracolosa, una tempesta sedata.<br />
Alla singolarissima autorità e naturalezza si unisce una sorprendente umanità e<br />
tenerezza: a volte interviene senza essere richiesto, per compassione; a volte non esita a<br />
infrangere le prescrizioni della legge, guarendo in giorno di sabato o toccando i lebbrosi e i<br />
morti. ( Verità vi farà liberi: 190 )<br />
Gesù non sembra essere entusiasta dei miracoli. Egli non asseconda le folle che<br />
chiedono miracoli. Bolla scribi e farisei che gli chiedevano: “Maestro, vorremmo che tu ci<br />
facessi vedere un segno!” (Mt 12,38), come “generazione perversa e adultera che pretende un<br />
segno!” (Mt 12,39) e dice che “ nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta”<br />
(Mt 12, 3 ). Se ne sta in silenzio, respinge con molto vigore la tentazione satanica (Mt 4,1-7).<br />
Di fronte a Erode, non compie nessun miracolo (Lc 23,8). Rifiuta le richieste di miracoli<br />
spettacolari, che costringano a credere. Proibisce ai malati, che ha risanato, di fare<br />
pubblicità. Rimprovera chi con il miracolo vorrebbe punire i recalcitranti e i ribelli, come<br />
talvolta era avvenuto nell’Antico Testamento. Coerente con la sua missione di Messia-Servo,<br />
fermo nel respingere le tentazioni della ricchezza, del successo e del dominio, non si serve mai<br />
del miracolo per il proprio interesse personale, ad esempio per alleviare la propria fame, sete,<br />
stanchezza. Non scende dalla croce, quando nell’ora suprema gli avversari lo sfidano con<br />
ingiuriosa ironia: “Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda<br />
ora dalla croce, perché vediamo e crediamo” (Mc 15, 31-32).
IMPORTANZA DEI MIRACOLI<br />
Dice L. Evely: “ I nostri antenati credevano a causa dei miracoli. Noi, invece, crediamo,<br />
malgrado i miracoli”. E’ una frase che rivela l’allergia dell’uomo moderno nei confronti del<br />
fatto miracoloso.<br />
In effetti una fede motivata solo dal miracolo meriterebbe l’ironia di Paolo: “ I giudei<br />
chiedono miracoli, noi predichiamo il Cristo crocifisso” (1 Cor 1, 22-23).<br />
Ma i miracoli sono parte essenziale del messaggio di Gesù. Nel cristianesimo, la<br />
persona di Gesù è centrale, è nel cuore del messaggio stesso. E’ per questo che è assolutamente<br />
necessario conoscere a fondo la sua persona e non solo il suo messaggio religioso. La<br />
conoscenza di una persona implica sempre una consuetudine di vita, una costante attenzione<br />
alle sue parole e alle azioni, mediante le quali la persona rivela ed esprime se stessa. Pertanto<br />
per comprendere chi è Gesù occorre scrutare simultaneamente le sue parole e la sua prassi. E<br />
la prassi messianica di Gesù comprende molti aspetti tra i quali la sua preghiera e la sua<br />
azione taumaturgica.<br />
I vangeli riportano dettagliatamente più di trenta miracoli operati da Gesù (tre<br />
risurrezioni; sei miracoli sulla natura, come la tempesta sedata e la trasformazione dell'acqua<br />
in vino; ventiquattro guarigioni). Riferiscono pure, sebbene in modo sommario e generico, di<br />
altre guarigioni operate da Gesù. Nel Vangelo di Marco i racconti di miracoli occupano il 31<br />
per cento del testo ( 209 versetti su 666 ), tanto che il famoso biblista Ch. H. Dodd lo denominò<br />
“il libro dei segni”.<br />
I MIRACOLI E LA FEDE<br />
I miracoli di Gesù sono strettamente collegati alla sua predicazione. È sempre in<br />
cammino, infaticabile, per città e villaggi della Galilea, “predicando la buona novella del regno
e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4,23). Affida ai discepoli la<br />
stessa duplice missione: “Li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (Lc 9,<br />
2). Predicazione e miracoli attestano e attuano la nuova venuta salvifica di Dio nella storia. La<br />
sua parola converte; la sua parola risana. Il messaggio è centrato sul regno di Dio; i miracoli<br />
ne lasciano intravedere la presenza, ne sono i segni trasparenti. Il loro significato è<br />
molteplice. Dio si è fatto vicino in modo nuovo, per vincere il peccato, la malattia, la morte e<br />
ogni forma di male, per dare all’uomo la salvezza integrale, spirituale, corporea, sociale e<br />
cosmica, ora come in un anticipo e poi alla fine della storia in pienezza, facendo “nuove tutte le<br />
cose” (Ap 21,5). Gesù è il Messia, “colui che deve venire” (Mt 11, 3). Il popolo, davanti a questi<br />
gesti divini è chiamato a credere e convertirsi. La stessa riluttanza a compiere miracoli, che<br />
Gesù manifesta più volte, ha un suo significato. Egli vuole evitare che la gente strumentalizzi<br />
Dio ai propri interessi immediati. Per chi non cerca la comunione con Dio, ma unicamente i suoi<br />
benefici, il miracolo diventa fuorviante. Gesù esige almeno una fede iniziale, un’apertura al<br />
mistero. Alla folla curiosa e avida di prodigi si sottrae volentieri, appena capita l’occasione<br />
favorevole. (Verità vi farà liberi n. 189-191 )<br />
Gesù non compie i suoi miracoli in primo luogo per convincere mediante prodigi<br />
coloro che non credono alle sue parole, ma piuttosto come segni della vicinanza di Dio a chi<br />
già crede in lui, vuole una fede pura, una fiducia incondizionata nella sua persona e nella sua<br />
missione. Osserva con tono dispiaciuto: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (Gv 4,<br />
48a).<br />
I miracoli hanno una certa ambiguità e sono più un interrogativo che un annunzio. Nei<br />
miracoli di Gesù alcuni vedono l’intervento di Dio, altri pensano a quello del<br />
diavolo ( Mt, 12-22-24). E anche la scomparsa del corpo di Gesù dal sepolcro fu interpretata<br />
come un furto di amici o di avversari ( Gv 20, 2.13; Mt 28, 13 ) ed ebbe bisogno di parole ed<br />
eventi di rivelazione per essere compresa come indizio della risurrezione (Gv 20, 8; Mc 16, 7 ).<br />
La parola accompagna sempre il miracolo ed è preminente e rivelatrice del segno compiuto o<br />
da compiere ( Gv 6, 31; 9, 5-35 ss, 4, 42 ). Essa costituisce il ministero abituale di Gesù,<br />
mentre il miracolo è occasionale.<br />
Ma, essendo «segni certissimi della divina rivelazione», i miracoli aiutano a credere in<br />
modo ragionevole. Lo suggerisce Gesù stesso: «Se non volete credere a me, credete almeno alle<br />
opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre» (Gv 10, 38). Tuttavia<br />
non bastano certo i miracoli a produrre la fede: è l’attrazione interiore del Padre che la<br />
suscita. Né sono i miracoli gli eventi salvifici principali: il vero pane non è quello<br />
moltiplicato, ma quello eucaristico; la vera luce non è quella restituita al cieco nato, ma quella<br />
della fede battesimale. I sacramenti, prefigurati dai miracoli, sono una comunicazione di<br />
salvezza più alta.<br />
STORICITA DEI MIRACOLI
Nella Chiesa delle origini i miracoli accompagnano normalmente la diffusione del<br />
vangelo e sostengono l’attività missionaria. Tuttavia non vengono sopravvalutati; rimangono<br />
in secondo piano rispetto alla vita nuova, alla santità. Gli stessi miracoli compiuti da Gesù<br />
durante la vita pubblica vengono narrati con sorprendente sobrietà. È un indizio di autenticità<br />
storica. Di indizi ve ne sono anche altri e molto solidi: le numerose sentenze evangeliche, assai<br />
antiche e attendibili, che menzionano l’attività taumaturgica di Gesù e il suo significato; le varie<br />
controversie con i farisei, che presuppongono guarigioni miracolose effettivamente compiute; le<br />
manifestazioni di entusiasmo da parte della gente, altrimenti inspiegabili; l’elevato numero di<br />
miracoli ricordati nei quattro Vangeli, globalmente nei sommari e distintamente in una trentina<br />
di episodi. Tutta la narrazione evangelica viene meno se si tolgono i racconti dei miracoli.<br />
Perfino una fonte ebraica menziona l’attività taumaturgica di Gesù, ricordando che fu<br />
giustiziato perché “ha praticato magia e ha sedotto Israele”. ( Verità vi farà liberi n. 192 )<br />
Un'indagine serena sui miracoli raccontati e tramandati dai Vangeli richiede innanzitutto<br />
che si abbandoni una serie di pregiudizi sfavorevoli al miracolo. Spesso il miracolo è<br />
respinto in base a un argomento, talora implicito, di questo tipo: il miracolo non è possibile. Se<br />
uno ha già deciso di rispondere "no" alle pretese di Gesù, troverà sicuramente argomenti per<br />
rifiutare anche i miracoli. Già certi spettatori dei miracoli di Gesù dicevano che Gesù<br />
scacciava i demoni per mezzo del principe dei demoni (Mc 3,22 ss). Negli ultimi secoli c’è<br />
stato chi ha ricusato i miracoli in nome del metodo storico o della conoscenza scientifica, ma<br />
ora la scienza in generale è diventata un po’ più aperta alla possibilità dei miracoli.<br />
Gli studiosi dei vangeli hanno sottoposto i racconti di miracoli a indagini molto<br />
accurate. Il risultato globale di queste ricerche è così sintetizzato da un teologo contemporaneo;<br />
“Non c'è alcun esegeta serio che non ammetta un nucleo di miracoli storicamente certi che<br />
Gesù ha operato”.<br />
Accertata la sostanziale storicità dei miracoli, si possono fare alcune considerazioni:<br />
si nota qua e là nei vangeli la tendenza ad ampliare e ad arricchire le sobrie narrazioni di<br />
Marco (si confrontino fra loro: Mc 1, 34 e Mt 8, 16; Mc 5, 23 e Mt9, 18), talora sembra che un<br />
miracolo sia la materializzazione di una determinata parola di Gesù (ad esempio la moneta<br />
nella bocca del pesce potrebbe essere l’indicazione di pagare dai ricavati della pesca );<br />
problemi storici aperti a proposito dei miracoli di Gesù sono anche quelli posti dal<br />
fenomeno oscuro della possessione demoniaca, di cui si parla con frequenza: talora si tratta di<br />
un modo primitivo e "religioso" di indicare semplici malattie nervose o addirittura organiche<br />
(vedi il caso del ragazzo "posseduto" da uno spirito muto di Mc 9, 14-29, che è probabilmente<br />
un epilettico)”, delle volte è difficile stabilire l'autenticità storica di alcuni dettagli, è<br />
possibile che la tradizione dei miracoli di Gesù sia cresciuta e cambiata un poco nei trenta<br />
anni circa che trascorsero tra il suo ministero e la composizione del primo vangelo; come le<br />
parole di Gesù non vennero conservate e trasmesse con rigorosa esattezza, sembra che allo<br />
stesso modo la tradizione delle sue azioni miracolose subì in quel periodo qualche<br />
cambiamento.<br />
Qualsiasi cosa si debba dire di tutte queste osservazioni, un impressionante numero di<br />
elementi convergenti depone in favore della loro storicità globale. Scrive il Ravasi:<br />
“cerchiamo pure di ridurre il numero dei miracoli, pensando che il semita vede spesso in<br />
azione Dio anche quando si tratta di cause intermedie e naturali, cerchiamo pure di intuire sotto<br />
certi miracoli un modo teologico primitivo per esprimere una verità religiosa, riconosciamo<br />
anche l’indiscutibile tendenza sacrale della Bibbia e dell’Oriente per cui il peccato-malattia e,<br />
quindi, perdono-guarigione sono binomi inscindibili, concediamo la presenza nei vangeli di<br />
qualche schema miracolistico imitato sui modelli dell’A.T. e persino del mondo greco,<br />
ammettiamo le carenze di conoscenze, proprie dell’epoca evangelica, nei confronti delle turbe<br />
psichiche relegate sbrigativamente nel campo del demonismo; ammesse pure tutte queste<br />
attenuanti, non possiamo del tutto elidere questa “pietra di scandalo”, nella quale<br />
inciampiamo appena apriamo i vangeli.”
Tanti sono gli argomenti che depongono in favore dei miracoli di Gesù . La tradizione<br />
evangelica sui miracoli è unanime.<br />
I miracoli<br />
sono profondamente collegati e compaginati con la trama dei vangeli. R. Latourelle<br />
ha argutamente fatto osservare che, senza miracoli, il Vangelo di Marco“ sarebbe come l’Amleto<br />
di Shakespeare senza il principe di Danimarca”;<br />
sono strettamente connessi col tema centrale del suo annuncio, il regno,<br />
posseggono un'intrinseca forza di credibilità, sono stati compiuti con estrema sobrietà e<br />
semplicità;<br />
fanno corpo con la missione salvifica di Gesù, si compiono in un'atmosfera di fede,<br />
hanno una finalità altruistica vogliono apportare gioia e salvezza;<br />
hanno spesso un carattere pubblico e nel periodo in cui vennero scritti i vangeli forse<br />
vivevano ancora testimoni oculari, ma nessuno dei contemporanei di Gesù contestò, a<br />
quanto ne sappiamo, l'attività miracolosa di Gesù.<br />
Oltre tutte queste constatazioni, per quanto riguarda i miracoli di Gesù, trovano<br />
un’eccellente applicazione i criteri messi a punto dagli studiosi per accertare la storicità<br />
delle parole e delle azioni del Gesù storico. Tra gli altri,<br />
il criterio della differenza permette di affermare che i miracoli di Gesù non sono<br />
spiegabili né con le concezioni ebraiche, né con la prassi della primitiva comunità cristian<br />
il criterio della coerenza permette di stabilire che i miracoli di Gesù sono del tutto<br />
omogenei al suo insegnamento fondamentale sulla venuta del regno, non sono un fenomeno<br />
isolato e periferico, sono al centro e interferiscono costantemente con le pretese autoritative di<br />
Gesù nei confronti della legge, del sabato, della remissione dei peccati. Osserva con molta<br />
pertinenza R. Latourelle; “Un miracolo, senza l'invito a riconoscere il regno imminente e la<br />
persona che viene ad instaurarlo, è un non senso, un semplice prodigio”;<br />
il criterio della molteplice testimonianza permette di affermare l'autenticità delle<br />
informazioni evangeliche sull'attività miracolosa di Gesù, perché esse sono attestate da tutte le<br />
fonti evangeliche, dagli altri scritti del Nuovo Testamento, dal kerygma primitivo .<br />
I MIRACOLI E LA SCIENZA<br />
Miracoli nel nome di Gesù avvengono nella storia della Chiesa fino ai nostri giorni,<br />
rendendo credibili quelli attribuiti a lui nella sua vita terrena. Molti nostri contemporanei<br />
ritengono che fatti del genere siano incompatibili con la conoscenza scientifica della natura. Al<br />
più sono disposti ad ammettere alcuni fenomeni eccezionali, come effetto di suggestione o di<br />
altre forze psichiche e fisiche ancora sconosciute. Una così radicale diffidenza non appare
giustificata. Il mondo si presenta come un processo evolutivo, sempre aperto a molte<br />
possibilità, caratterizzato dalla continuità e nello stesso tempo dalla novità. In questa prospettiva<br />
è possibile concepire il miracolo come superamento creativo di una data situazione, per<br />
virtù divina, valorizzando le stesse cause naturali. Non dunque un sovvertimento, ma una<br />
ricomposizione dell’ordine delle cose, quasi un anticipo del compimento definitivo. Quanto<br />
alla suggestione, non è difficile rendersi conto che si tratta di una spiegazione insostenibile.<br />
Nessuna fiducia, per quanto grande, può causare guarigioni istantanee di gravi malattie<br />
organiche, come la lebbra, il cancro, le fratture ossee. Senza dire che a volte vengono guarite<br />
persone non coscienti o in coma, vengono risuscitati i morti, viene trasformata la natura<br />
inanimata. È sempre possibile ipotizzare l’intervento di forze sconosciute. Gli scienziati si<br />
limitano a constatare che il fatto prodigioso è scientificamente inspiegabile, oltre le costanti<br />
della nostra osservazione. L’interpretazione rimane aperta. Ma se l’evento straordinario avviene<br />
in un contesto religioso di serietà morale, di bontà, di umile fiducia in Dio, di preghiera, allora<br />
diventa un segno inequivocabile. Non per niente Gesù reagisce con indignazione quando gli<br />
scribi attribuiscono a Satana i suoi miracoli, che invece sono gesti evidenti di potenza benevola e<br />
misericordiosa, liberatrice e dispensatrice di vita. ( Verità vi farà liberi n. 193 )<br />
SIGNIFICATO DEI MIRACOLI<br />
Che cosa “significa” l'attività miracolosa di Gesù?<br />
I miracoli sono soprattutto azioni pregnanti, cariche di significato salvifico. Per questo<br />
motivo il Vangelo di Giovanni chiama quasi sempre i miracoli di Gesù col nome di “segni”.<br />
Non hanno in primo luogo un significato terapeutico-assistenziale. Se così fosse,<br />
bisognerebbe interrogarsi sul perché Gesù non guarì tutti gli ammalati e non risuscitò tutti i<br />
morti.<br />
“II valore del miracolo - scrive X. Léon Dufour - ...sta nella sua relazione col regno di<br />
Dio da proclamare e da instaurare... Esso simboleggia l'attività creatrice e salvifica di Dio”.<br />
I miracoli di Gesù sono innanzitutto la manifestazione concreta e tangibile del regno di Dio<br />
che è penetrato nella storia umana. La signoria di Dio, che vuole salvare l'uomo e restituirgli la<br />
sua integrità, avanza di pari passo con l'azione di Gesù che caccia i demoni: “Se io caccio i<br />
demoni con il dito di Dio (con la potenza divina) è dunque giunto a voi il regno di Dio” (Lc<br />
11,20). “Sembra che Gesù concepisse i miracoli come azioni potenti che esprimevano e<br />
proclamavano il modo in cui le forze antidivine venivano vinte man mano che il potere<br />
divino compiva la sua opera salvifica finale ed efficace verso gli esseri umani in tutta la sua<br />
realtà fisica e spirituale” ( C. Collins :“Gesù oggi” ).<br />
I miracoli sono il segno anticipatore della salvezza totale, della salvezza del Regno<br />
escatologico. Se questi sono i segni del regno, appare chiaro in che cosa consista; esso è<br />
pienezza di vita, è esaudimento di ogni aspirazione autentica dell'uomo. Coi miracoli di
Gesù sorge il nuovo mondo, la nuova creazione. Essi, infatti, prefigurano e preannunciano<br />
anche la trasformazione finale del mondo. La redenzione cristiana non si limita al mondo<br />
dello spirito, anche se lo privilegia. Essa ha uno spessore corporeo e cosmico; deve invadere il<br />
cosmo tutto intero con la sua luce e con la sua potenza; deve rinnovare tutto ciò che è stato<br />
guastato dal peccato”. I miracoli sono, così, anticipazioni del grande e definitivo miracolo<br />
della risurrezione, nella quale si manifestò appieno chi fosse Gesù e che cosa fosse il Regno<br />
da lui annunciato e inaugurato.<br />
I miracoli di Gesù sono eventi rivelatori della sua persona e del suo mistero. Essi<br />
legittimano la persona che li compie e il messaggio che essa propone. Il miracolo rivela anche<br />
sempre la persona di colui che lo compie. Questo aspetto è particolarmente sottolineato nel<br />
Vangelo di Giovanni per il quale i “segni” compiuti da Gesù rivelano che egli è la luce<br />
(guarigione del cieco nato), la vita (risuscitazione di Lazzaro), il vino nuovo dei tempi<br />
messianici (nozze di Cana), il pane vivo (moltiplicazione dei pani) ecc. Ma anche nei sinottici,<br />
essi attestano il potere salvifico di Gesù, sono segni della sua missione e autorità divina (Mt<br />
9,6-8). Ciò che scandalizzava i suoi contemporanei e suscitava contestazioni non era il fatto che<br />
Gesù compisse dei miracoli, bensì l'autorità (in greco: exousia) che egli rivendicava nel<br />
compierli (Mt 12, 22-28). Sia i miracoli che le parole di Gesù ci pongono con urgenza di fronte<br />
agli interrogativi: chi è questo Gesù che opera miracoli.<br />
MIRACOLI NASCOSTI<br />
I miracoli, che hanno un legame stretto col Regno, come asserisce chiaramente Gesù:<br />
“ Se io caccio i demoni con lo Spirito di Dio, allora vuol dire che è giunto a voi il regno di Dio”<br />
( Mt 12,2) ), sono un appello visibile alla conversione, e una radicale “lotta” tra bene e male,<br />
tra miseria e speranza, non sono solo quelli che vengono comunemente chiamati “miracoli”,<br />
ma anche altri che un lettore accurato trova nei vangeli . Si tratta dei miracoli interiori di<br />
conversioni, anche più significativi di quelli comunemente chiamati “miracoli”.<br />
Gli esempi sono tanti. Uno lo troviamo nel terzo capitolo di Giovanni che racconta<br />
l’incontro di Gesù con la Samaritana. E’ un miracolo che riguarda la donna di Samaria e<br />
si estende a macchia d’olio fino a raggiungere l’intera comunità degli “eretici” samaritani.<br />
L’acqua di cui nell’episodio si parla di continuo è l’acqua, che sgorga dal costato di Cristo (Gv<br />
19, 34 ) e che zampilla per la vita eterna ed è il simbolo della salvezza. Un altro miracolo è<br />
quello della conversione della prostituta, che leggiamo in Luca 7, 36-50 . Durante quel banchetto<br />
quando Gesù dice: “ i tuoi peccati sono perdonati”, rivela un miracolo ben maggiore di<br />
quelli che egli faceva quando curava i lebbrosi o gli storpi.
PASSIONE E MORTE DI <strong>GESU</strong>’<br />
LA PASSIONE E LA MORTE<br />
Giuda consegna Gesù alle autorità del tempio e accompagna all’orto del Getsemani le<br />
guardie e i servi, mandati ad arrestarlo. Dopo l’arresto, nella notte stessa, viene avviato il<br />
processo con una istruttoria informale nella casa del sommo sacerdote. Intanto le guardie e i<br />
servi scherniscono Gesù come profeta da strapazzo: dopo averlo bendato, lo maltrattano con<br />
sputi, schiaffi e percosse. Al mattino seguente si riunisce il Sinedrio e lo condanna a morte,<br />
quale falso profeta che sovverte la legge e il tempio e come bestemmiatore che usurpa<br />
prerogative divine. Ma la sentenza non può essere eseguita senza l’approvazione dell’autorità<br />
romana; allora il Sinedrio lo consegna in catene al governatore Ponzio Pilato, con la falsa<br />
accusa di essere un agitatore politico e un pretendente Messia in senso nazionalistico. Pilato<br />
odia gli ebrei e li tratta con arroganza. Svolge un supplemento di indagine e capisce subito che<br />
Gesù è politicamente innocuo per l’impero di Roma ed è rifiutato solo per motivi religiosi. Per<br />
liberarsi del fastidio, saputo che Gesù proviene dalla Galilea, lo manda da Erode, che ha il<br />
governo di quella regione, presente anche lui a Gerusalemme per la Pasqua. Erode lo prende<br />
per un fatuo sognatore e insieme alla corte lo schernisce come re da burla, facendogli<br />
indossare una lussuosa veste regale; e così mascherato lo rinvia al governatore. I capi ebraici,<br />
decisi a spuntarla, coinvolgono la folla e fanno leva sul servilismo di Pilato verso l’imperatore e<br />
sulle sue ambizioni di carriera. Per non avere noie con le autorità di Roma, Pilato finisce per<br />
cedere e consegna Gesù alla morte. La motivazione ufficiale, secondo la scritta da fissare<br />
sopra la croce, è: “Il re dei giudei” (Mc 15,26), cioè un ribelle politico. Secondo la prassi, Gesù<br />
viene crudelmente flagellato; quindi ancora schernito atrocemente dai soldati con la<br />
coronazione di spine. Viene condotto in un luogo appena fuori le mura della città, chiamato<br />
Gòlgota, e lì crocifisso. Muore di una morte dolorosa e umiliante, riservata ai criminali più<br />
pericolosi, messi al bando dalla società e considerati maledetti da Dio. Il suo cadavere non<br />
finisce nella fossa comune, solo perché alcuni amici, dopo averne coraggiosamente fatto<br />
richiesta al governatore, lo seppelliscono con onore in una tomba nuova.
PASSIONE INTERIORE<br />
Quale è lo stato d’animo di Gesù durante la passione? Al di là degli avvenimenti<br />
esteriori, c’è una passione interiore, ancor più dolorosa e misteriosa. Nel Getsemani Gesù è in<br />
agonia. Si getta bocconi a terra, si alza e va dai discepoli, torna a inginocchiarsi, supplica il<br />
Padre, prova un’angoscia tremenda, fino a sudare sangue. È orrore per la morte prematura e<br />
crudele, repulsione per l’odio e il peccato, amarezza per il rifiuto della sua opera. Chi ama soffre<br />
a motivo del suo amore; e nessuno ama più del Figlio di Dio. La solitudine lo opprime. È uomo<br />
come tutti e prova il bisogno umanissimo di essere confortato dagli amici; ma i discepoli<br />
dormono un sonno pesante, i loro occhi sono spenti: “Simone, dormi? Non sei riuscito a<br />
vegliare un’ora sola?” (Mc 14,37). A prezzo di una sofferenza indicibile, Gesù riesce ad<br />
assoggettare la sua sensibilità umana alla volontà del Padre, che lo consegna alla morte<br />
indifeso: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò<br />
che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). Un altro spiraglio sulla passione interiore di<br />
Gesù si apre con il misterioso grido dall’alto della croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai<br />
abbandonato?” (Mc 15,34). È paradossale che faccia esperienza dell’assenza di Dio colui che<br />
ne ha proclamata l’assoluta vicinanza. Il grido è la citazione iniziale di un salmo, che esprime<br />
la desolazione del giusto perseguitato e insieme la sua fiducia in Dio. Alla luce del salmo,<br />
l’assenza di Dio, che Gesù sperimenta, va intesa come consegna nelle mani dei nemici. Ma<br />
l’abisso dell’abbandono è ancora più profondo. Gesù si fa solidale con gli uomini peccatori,<br />
fino a sentire come propria la loro separazione da Dio: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione<br />
della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende<br />
dal legno” (Gal 3,13). Nel suo amore appassionato, sperimenta il peso dei nostri peccati e<br />
delle sofferenze che ne derivano: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da<br />
peccato in nostro favore” (2Cor 5,21); “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno<br />
della croce” (1Pt 2,24). … Gesù crocifisso, sebbene sperimenti l’abbandono di Dio, non cessa<br />
di abbandonarsi a lui con fiducia assoluta: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”<br />
(Lc 23,46).( Verita vi farà liberi : 233- 239 )
PERCHE <strong>GESU</strong>’ E’ MORTO IN CROCE?<br />
A volere la morte di Gesù sul patibolo furono esclusivamente uomini perversi che<br />
appartenevano alla classe dirigente del mondo religioso e politico del tempo. Lo lascia<br />
chiaramente intendere Gesù stesso nella parabola dei vignaioli. ( Mt 21, 33 )<br />
Analizzando accuratamente la vita di Gesù, Romano Guardini mostra che in essa si<br />
devono distinguere due fasi: una prima fase in cui Gesù predica il Vangelo con la prospettiva<br />
che esso venga prontamente e gioiosamente accolto dal popolo d’Israele: è la fase che culmina<br />
col Discorso della Montagna; una seconda fase in cui, in seguito al fallimento della sua<br />
predicazione per attuare l’avvento del Regno, Gesù imbocca l’aspra via della croce e della<br />
passione. Secondo questa lettura della vita di Gesù, questi dopo lo scontro frontale con<br />
gli scribi e i farisei di Gerusalemme, si rende conto che il piano originale, mediante<br />
l’accoglienza gioiosa del Vangelo da parte del popolo eletto, era ormai fallito. “Gesù non dà<br />
per questo partita vinta, e la lotta dura fino all’ultimo istante. Ancora a Gerusalemme negli<br />
ultimi giorni, la lotta prosegue. Fondamentalmente però la risposta è già data. La redenzione ha<br />
da compiersi ormai per un’altra via; non più per corrispondenza tra predicazione e fede, fra<br />
un donare infinito di Dio e un puro accettare da parte dell’uomo; non più attraverso il sereno<br />
compimento del Regno e il nuovo compimento della storia. La volontà del Padre esige ormai<br />
da Gesù il sacrificio estremo… Caduta la prima infinita possibilità, la redenzione si orienta<br />
sulla via del sacrificio. Così anche il Regno di Dio non viene come avrebbe dovuto venire,<br />
esuberante plenitudine destinata a mutare la storia. D’ora in poi rimane, per così dire sospeso.<br />
Rimane “in divenire” fino alla fine del mondo, legato ormai alla decisione dei singoli, di ogni<br />
piccola comunità di ogni tempo. (Guardini: Il Signore : 224-225)<br />
Dopo il fallimento iniziale, il Vangelo diviene il Vangelo della sofferenza e Gesù è<br />
visto come “l’uomo dei dolori”, di cui parla Isaia (Is 53, 3 ). L’importanza decisiva delle<br />
sofferente di Gesù è attestata nei quattro Vangeli dove la croce è l’evento al quale è<br />
orientata tutta la vita di Gesù, che sta sotto la necessità del “molto patire” ( Lc 17, 25). Gesù<br />
stesso predice la sua passione (Mc 3, 31) e manifesta il proposito di affrontarla<br />
spontaneamente. ( Lc 12, 50 )
CHI HA SOFFERTO IN CROCE<br />
Pur essendo la natura umana il soggetto immediato della passione in quanto soltanto la<br />
natura umana può essere condannata, torturata, flagellata, derisa, crocifissa, tuttavia il<br />
soggetto ultimo che subisce la passione è la persona divina del Verbo, cioè Dio stesso, perché<br />
grazie all’unione ipostatica la natura umana di Gesù appartiene alla persona del Verbo<br />
incarnato. L’unione delle due nature, umana e divina, è avvenuto nella persona, ossia<br />
nell’ipostasi o supposito, restando la distinzione delle nature: cosicché pur restando salve le<br />
proprietà delle nature, identica è l’ipostasi, della natura umana e di quella divina. Ecco<br />
perché si deve attribuire la passione ad un supposto di natura divina, non in forza della<br />
divinità, che è impassibile, ma della natura umana….. E’ chiaro che quando diciamo che è<br />
Dio stesso che ha sofferto ed è morto in croce non intendiamo sottoscrive la tesi dei teologi<br />
della “morte di Dio”. Le nostre affermazioni si basano sulla dottrina dell’unione ipostatica,<br />
per cui in Cristo si dà una perfetta comunicazione degli “idiomi”. E così tutto quanto accade a<br />
Gesù Cristo in quanto uomo (compresa la sua passione e morte ) appartiene e va riferito alla<br />
Persona del Verbo e quindi a Dio stesso. (B. Mondin Gesù Cristo pag. 365 )<br />
IL DOLORE PIU PROFONDO
Un segno, in verità il più denso, della finitudine sperimentata da Gesù in croce è in<br />
risalto nel forte grido, trasmesso dagli evangeli di Matteo e di Marco: “Eloì. Eloì, lemà<br />
sabactani? Dio mio, Dio mio, prché mi hai abbandonato” ( Mc 15, 34- Mt 27, 46 ). .. questo<br />
abbandono del Figlio da parte del Padre è indirettamente significato nelle predizioni della<br />
passione: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo<br />
uccideranno “ (Mc 9, 3 ).. da chi verrà consegnato? Non dagli uomini, né da se stesso, ma da<br />
Dio, dal Padre. ….<br />
Il dolore più profondo del Crocifisso non è stato nei chiodi degli uomini, in cui si<br />
consumava il previsto “impero delle tenebre” del loro rifiuto. Il suo vero dolore, la sua croce,<br />
sta nello sperimentare l’abbandono di Dio! Gesù aveva vissuto tutta la vita nella costante<br />
comunione col Padre: l’opzione più profonda della sua libertà era stata quella della libertà da<br />
sé per darsi incondizionatamente a Dio e agli uomini. “Nulla faccio da me stesso, ma come mi<br />
ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato<br />
solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite” ( Gv 8, 31); “Io e il Padre siamo<br />
una sola cosa” (Gv 10, 30). E ora, sulla croce, questa comunione col Padre sembra finita:<br />
Dio è terribilmente lontano. Al Dio diventato straniero, il crocifisso pone la domanda, carica<br />
dell’eco profonda del dolore umano, dello scontro più radicale con la finitudine: “perché mi hai<br />
abbandonato? E’ l’interrogativo di tutti i poveri, i diseredati e gli oppressi della terra: esso<br />
porta in sé lo stupore di fronte all’oscurità di ciò che avviene e il dolore del sentirsi abbandonati.<br />
Perché il Padre, che lo ha sorretto sempre e a cui egli ha dato tutto per amore, ora tace? Dov’è<br />
suo Padre, dov’è Dio? Questo silenzio del Padre di fronte al Dio che muore è la “morte di Dio”<br />
sulla croce: o piuttosto la rivelazione della croce come “morte di Dio”. Il Figlio muore<br />
lacerato nel più profondo del cuore dal distacco del Padre; il Padre “muore”, perché<br />
“consegna” dolorosamente suo Figlio, come un giorno Abramo consegnò Isacco; lo Spirito è<br />
presente nel silenzio “consegnato” dal Figlio al Padre nell’istante supremo del suo morire. La<br />
croce è storia del Figlio, del Padre e dello Spirito Santo, storia trinitaria. (B. Forte Gesù di<br />
Nazaret pag. 266-279 )<br />
PER AMORE
“Perché era necessario che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella<br />
sua gloria” ? (Lc 24, 26) . La risposta a questo interrogativo resta in gran parte avvolta nel<br />
silenzio delle “profondità di Dio” . E’ lecito indicare alcune possibilità.<br />
L’abbandono del Padre e il conseguente infinito dolore del Figlio si offrono anzitutto<br />
come la rivelazione “sub contrario” dell’insondabile unità che lega l’uno all’altro. Gesù<br />
soffre in modo unico e irrepetibile proprio perché esperimenta la solitudine rispetto a Colui col<br />
quale è veramente uno nell’amore. Nella profondità di sofferenza del loro distacco, il Padre e il<br />
Figlio rivelano al mondo la loro unità divina. Il dolore rivela l’amore: l’abisso del dolore rivela<br />
la perfezione dell’amore. La croce giustifica la parola scandalosa: “Dio soffre”. Se sulla croce<br />
dell’abbandono il Figlio non soffrisse per la lontananza del Padre, non sarebbe veramente il<br />
Figlio; se il Padre non soffrisse per la lontananza del Figlio, non sarebbe veramente il Padre; se<br />
il Dio trinitario non soffrisse la croce come Dio, non sarebbe amore trinitario, unità<br />
profondissima che lega il Padre al Figlio nello Spirito, che il Figlio morente consegna al<br />
Padre. ( Gv 19, 30 ) e che il Padre consegnerà al Figlio nel giorno di Pasqua ( Rm 1, 4; 8, 11).<br />
E’ necessario riconoscere nell’amore trinitario il motivo della dolorosa “consegna” del<br />
Figlio a noi: non per soddisfare un astratto ordine di valori, né in rapporto ad una qualunque<br />
necessità, il Dio trinitario muore sulla croce, ma unicamente per amore nostro, per<br />
dimostrarci gratuitamente il suo amore e gratuitamente assumerci in esso, liberandoci dalle<br />
prigionie che ci impediscono di averci accesso. Se il dolore del Padre e del Figlio nell’ora<br />
dell’abbandono, ora della consegna dello Spirito, rivela la profondità del loro reciproco amore,<br />
esso rivela anche la “follia” del loro amore per noi. La consegna dolorosa è il supremo<br />
piegarsi dei Tre verso l’uomo: è il segno “finito” dello spogliamento “infinito”, del loro amore<br />
per noi. Dio muore per donarsi: il Figlio si offre alla morte in solidarietà con i morti, perché<br />
l’ultima nemica, la morte, assunta in lui, Signore della vita, muoia per sempre; il Padre<br />
muore nel silenzio dell’abbandono del Figlio, perché dovunque giungerà il silenzio della morte<br />
si sappia che egli è presente nella tenebra luminosa della sua fedeltà, che vincerà ogni fine; lo<br />
Spirito è “consegnato” nell’estrema lacerazione del morire, perché ovunque un uomo “renderà<br />
lo Spirito” si possa confessare che Dio gli è accanto a percorrere con lui il cammino che<br />
attraverso la morte conduce alla vita. (B. Forte Gesù di Nazaret pag. 266-279 )<br />
ERA NECESSARIA LA CROCIFISSIONE?<br />
Ai discepoli di Emmaus Gesù dice: “ Non doveva forse il Cristo patire tutto questo ed<br />
entrare nella sua gloria” ( Lc 24, 26) . Le predizioni della passione asseriscono: “E’
necessario che il Figlio dell’uomo soffra molto… sia ucciso e dopo tre giorni risorga” .( Mc 8,<br />
31 ) E San Paolo cita un antico credo cristiano che fa notare la necessità della morte di Gesù:<br />
“Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture” ( 1 Cor 15, 3 ). Era dunque<br />
necessaria la passione e morte di Gesù? S. Tommaso e altri teologi hanno mitigato l’assoluta<br />
necessità della crocifissione e hanno sostenuto che almeno in teoria Gesù avrebbe potuto<br />
salvare la stirpe umana subendo un qualsiasi atto anche piccolo che implicasse sofferenza. Se<br />
però si prende la “necessità” del Calvario sul piano storico, ci si accorge che la crocifissione<br />
era inevitabile in termini umani.<br />
In tutte le epoche della storia i profeti sono stati rifiutati e perseguitati per il fatto di<br />
non essersi mostrati accomodanti e non aver voluto tradire la verità. “La fedeltà di Gesù alla<br />
propria missione lo portò inevitabilmente ad essere in conflitto con le classi al potere. In tale<br />
conflitto egli era, umanamente parlando, destinato a perdere. Anche una persona non<br />
particolarmente scaltra nell’analizzare le ragioni politico-religiose della Palestina del primo<br />
secolo sarebbe giunta a questa conclusione. La malvagità umana rendeva la sofferenza e la<br />
morte di Gesù inevitabile. Già nel quarto secolo a. C. Platone prevedeva nell’introduzione al<br />
secondo libro della Repubblica il tipo di destino che si poteva aspettare un uomo giusto: “<br />
L’uomo giusto, come noi lo abbiamo descritto, sarà flagellato, torturato e messo in prigione, gli<br />
verranno cavati gli occhi e, dopo aver sopportato ogni umiliazione, sarà crocifisso”…Le parole<br />
di Platone si sono realizzate con una sconcertante frequenza. La società continua a far<br />
soffrire gli individui, la cui giustizia è senza compromessi, sia per ciò che sono sia per ciò che<br />
tentano di fare. Nel caso di Gesù non meraviglia tanto il fatto che egli fosse abbattuto in così<br />
poco tempo, quanto che egli durò per tutto quel tempo. Il Calvario divenne l’inevitabile<br />
conseguenza di un impegno che egli rifiutò di abbandonare anche a costo della propria vita”.<br />
(G. O’ Collins: Gesù oggi- p. 154-155 )<br />
PERCHE’ LA MORTE IN CROCE?<br />
La croce non è un avvenimento facile da capire. Essa pone molti interrogativi sulle<br />
necessità di quella morte per riparare il peccato del mondo. Nietzsche nel suo libro<br />
“L’Anticristo” le riteneva “una risposta di un’assurdità addirittura mostruosa”. E di
interrogativi ne pone davvero se si vede Dio come un Dio irato che placa la sua ira nei<br />
confronti dell’umanità peccatrice solo alla vista del sangue del Crocifisso.<br />
Ma il nostro Dio è un Dio che ha condiviso fino in fondo la storia di sofferenza e di<br />
morte dell’umanità, “è il “Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella Pasqua del suo<br />
Figlio mostra fin dove giunge il suo amore per l’uomo. E’ appunto il “sacrificio” di Cristo,<br />
manifestazione suprema dell’amore del Padre, che opera la nostra redenzione,<br />
facendosi carico della situazione di disordine e di distruzione conseguente al peccato di<br />
Adamo; in questo modo il figlio satis fecit, ha fatto abbastanza, realizzando effettivamente<br />
(meritando) la nostra salvezza. Tutto questo non contraddice minimamente il fatto che il nostro<br />
Dio è il Dio della vita, che vuole la vita, la salvezza dell’uomo. La croce è in vista di ciò . “Io<br />
sono venuto perché abbiamo la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10.10), dice Gesù . “Per<br />
noi uomini e per la nostra salvezza”. ( Mario Serenthà: Gesù Cristo pag. 368 )<br />
Per cercare di comprende la croce di Cristo sono state proposte fondamentalmente<br />
quattro categorie interpretative, due delle quali, la morte come sacrificio e come redenzione,<br />
sono in risalto nella Sacra Scrittura e altre due la morte come soddisfazione e come merito,<br />
derivano dalla riflessione teologica.<br />
LA CROCE COME SACRIFICIO<br />
Nell’Antico Testamento il popolo ebreo esprime la propria fede, secondo l’usanza del<br />
tempo con vari tipi di sacrifici cultuali offerti a Javhé, in particolare con l’olocausto, il<br />
sacrificio di alleanza, il sacrificio di espiazione .<br />
“Il senso fondamentale del sacrificio, nelle sue varie espressioni, non è quello di un rito magico<br />
diretto a far cambiare idea a Dio, ma quello di esprimere esteriormente la volontà di entrare e<br />
di stare in comunione con Lui, ringraziandolo, chiedendogli perdono, lodandolo: volontà di<br />
comunione che da parte sua è perenne e immutabile nei confronti dell’uomo, e che viene<br />
richiamata all’offerente appunto dal sacrificio. Quello che viene offerto a Dio, è in realtà il<br />
dono di Dio all’uomo e l’uomo lo restituisce a Dio. Si capisce allora pienamente il senso<br />
dell’insistenza, soprattutto profetica, sul fatto che il vero sacrificio gradito a Dio non è un<br />
gesto puramente esteriore o l’offerta di qualcosa di materiale, ma una vita vissuta secondo
l’Alleanza, stipulata con Javhé. Il Servo offre precisamente se stesso in sacrificio, a vantaggio<br />
e in solidarietà con il suo popolo, esprimendo così la totale disponibilità alla volontà di Dio di<br />
ristabilire l’alleanza con i “molti”. La morte di Cristo come sacrificio è una prospettiva<br />
diffusissima nel N.T . Essa è presentata in particolare come sacrificio di alleanza (Mc<br />
14,24..), di espiazione (1 Gv 2,2) di olocausto ( Ef 5, 2 ), del Servo di Javhé (Is 53, 12 ). Essa<br />
ha valore sacrificale, è un sacrificio perché il Figlio, condividendo fino in fondo la nostra<br />
situazione di peccato e di morte realizza fino alle estreme conseguenze le promesse del<br />
Padre di mantenere la sua alleanza con gli uomini . Nel sacrificio della croce è esattamente Dio<br />
che ristabilisce la piena comunione con il suo popolo, liberandolo dal peccato. Il sangue della<br />
nuova alleanza non serve a rimuovere il rancore di Dio nei confronti dell’uomo, ma, al<br />
contrario, dice fino a che punto è arrivato il suo amore per l’uomo: fino al punto di dare, nel<br />
Figlio suo, la sua vita (il suo sangue) “ per noi uomini e per la nostra salvezza”. Possiamo dire<br />
che Dio non è tanto Colui cui si sacrifica, quanto Colui che si sacrifica: il sacrificio della<br />
nuova alleanza è appunto la croce, cioè il Figlio che dà la sua vita per la salvezza degli<br />
uomini” . (M. Serenità: Gesù Cristo pag. 354 ss )<br />
“Non è l’uomo che s’accosta a Dio per tributargli un dono compensatore, ma Dio che<br />
s’avvicina all’uomo per accodarglielo. Il NT non dice che gli uomini si riconciliano a Dio,<br />
perché sono essi che hanno sbagliato. Ci dice invece che “ Dio, in Cristo, ha riconciliato a sé il<br />
mondo” (2 Cor 5,19 )… Di conseguenza nel N.T la croce si presenta primieramente come un<br />
movimento discendente, dall’alto in basso. Essa non ha affatto l’aspetto di una prestazione<br />
propiziatrice che l’umanità offre allo sdegnato Dio, bensì quello dell’espressione di quel<br />
folle amore di Dio, che s’abbandona senza riserve all’umiliazione pur di redimere l’uomo; è il<br />
suo accostamento a noi, non viceversa. Il sacrificio cristiano non consiste in un dare a Dio ciò<br />
che egli non avrebbe senza di noi, bensì nel nostro farci completamente ricettivi nei suoi<br />
confronti e nel lasciarci integralmente assorbire da lui”. ( J Ratzinger: Introduzione al<br />
cristianesimo: 228-230 )<br />
LA MORTE COME REDENZIONE<br />
Nell’Antico Testamento “redentore” ( in ebraico “goel”, colui che redime, che<br />
paga il riscatto, il riscattatore ), era il parente prossimo il quale, nel caso che il congiunto<br />
fosse condotto in schiavitù o in miseria, interveniva per liberarlo, riscattarlo, redimerlo. Gli<br />
Ebrei sapevano che Javhè li aveva liberati, dalla schiavitù dell’Egitto e di Babilonia e che<br />
sempre si era preso cura di loro e applicavano a Lui la qualifica di redentore, esprimevano la<br />
coscienza di averlo come “parente prossimo”.<br />
Nel Nuovo Testamento l’intervento liberatore, redentore di Dio si attua pienamente<br />
in Gesù Cristo. Dio, in Gesù, in particolare nella sua Pasqua, rivela definitivamente la sua
“parentela” con noi: per questo la morte in croce è “redenzione” e l’opera di salvezza<br />
realizzata da Cristo, può essere qualificata come redentrice. L’essere “nostro parente”, il<br />
diventare uno di noi nel Figlio, implica una condivisione piena della nostra situazione di<br />
schiavitù, per cambiarla dall’interno. … La redenzione non è qualcosa di unicamente negativo (<br />
liberazione dal peccato) , è intrinsecamente commessa con il dono della vita, dell’alleanza con<br />
Dio. (M. Serenità: Gesù Cristo pag. 359 ss )<br />
LA CROCE COME SODDISFAZIONE<br />
La categoria della soddisfazione è stata proposta da S. Anselmo. Essa spiega la croce<br />
partendo dalla considerazione che il peccato ha offeso infinitamente Dio e l’offesa non può<br />
essere cancellata con un atto di sola misericordia da parte di Dio, perché non sarebbe<br />
conforme alla sua infinita giustizia: “Occorre un’adeguata soddisfazione (satisfatio). Ma<br />
questa non può essere offerta da un semplice uomo, perché il peccato, avendo offeso Dio, ha<br />
una valenza infinita, incommensurabile; per ripararlo è necessaria la morte innocente,<br />
volontaria, dotata di immenso valore, di un uomo-Dio, il quale, offrendo se stesso al nostro<br />
posto ( per questo si parlerà poi di “soddisfazione vicaria”, cancella il peccato dell’uomo e<br />
ripristina i diritti di Dio, l’onore di Dio, leso dal peccato” (M. Serenità: Gesù Cristo pag. 361 ss)<br />
Questa ipotesi ha fortemente influenzato la successiva riflessione teologica, ma non è stata<br />
esente da critiche.
LA MORTE COME MERITO<br />
Anche la categoria del “merito” ha origine teologica, e non direttamente biblica;<br />
vuole fondamentalmente esprimere il fatto che con la sua morte Cristo non solo restaura<br />
l’ordine turbato dal peccato, ma anche guadagna, “merita” la risurrezione per sé e la<br />
redenzione per noi. Sta cioè ad indicare da una parte il legame intrinseco, obiettivo esistente<br />
tra il dare la vita di Cristo e il dono della vita a noi (alla morte del Figlio è effettivamente legata<br />
la nostra salvezza: questa è “meritata” dalla croce, dall’altra il versante positivo della salvezza<br />
stessa, ossia il fatto che questa non è solo liberazione dal peccato, ma novità di vita . (M.<br />
Serenità: Gesù Cristo pag. 366 ss ) . Questa categoria esige delle precisazioni: la salvezza<br />
non avviene perché l’uomo è giusto e Dio è tenuto a dargli una ricompensa: ma se l’uomo<br />
agisce secondo la volontà di Dio, raggiunge quella salvezza che Dio vuole donargli.<br />
LA DISCESA AGLI INFERI
Il Simbolo apostolico afferma : “Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu<br />
sepolto; discese agli inferi….“ Il contenuto dell’affermazione “ discese agli inferi” sembra<br />
dover esser letto soprattutto in due direzioni.<br />
Innanzitutto si vuole sottolineare la realtà della morte. Egli è veramente morto, ha<br />
fatto fino in fondo l’esperienza della morte. In secondo luogo si vogliono evidenziare le<br />
dimensioni salvifiche della morte di croce: la Pasqua di Cristo è principio di salvezza per<br />
tutte le generazioni umane che si sono succedute dall’inizio della storia, fin dai primordi<br />
dell’umanità. Non ci sono zone o realtà del cosmo che siano sottratte a questo influsso: tutta<br />
l’umanità nella sua interezza (quindi anche i morti prima della venuta di Cristo), e tutto<br />
l’universo fin nelle sue profondità più recondite, vengono toccati dalla sua salvezza. (M<br />
Serentha pag. 369 )<br />
“Ciò che s’intende affermare non è un nuovo evento di salvezza, accanto a quello dello<br />
morte e della risurrezione; qui si vuol piuttosto dire che Gesù, nella sua morte e per mezzo della<br />
sua risurrezione, entra realmente in un rapporto di solidarietà con i morti e fonda quindi<br />
una reale solidarietà fra gli uomini fin oltre la morte. La vita di Dio ha definitivamente<br />
sconfitto la morte; la giustizia di Dio ha riportato la sua definitiva e universale vittoria sulla<br />
storia”. ( W Kasper)
RISORTO PER LA NOSTRA SALVEZZA<br />
LA RISURREZIONE DI <strong>GESU</strong>’<br />
Gesù di Nazaret fu crocifisso a Gerusalemme, fuori delle mura, come un malfattore, e fu<br />
sepolto nella tomba nuova messa a disposizione da un amico, Giuseppe di Arimatèa. La storia<br />
sembrava finita. I discepoli erano paralizzati dalla paura e dalla vergogna. Ma qualche<br />
settimana dopo, eccoli in pubblico a proclamare, con coraggio e appassionata convinzione,<br />
che Gesù è vivo, è risuscitato, è stato innalzato alla destra di Dio come Messia e Signore<br />
dell’universo. Costituiscono la prima comunità cristiana, dove tutti sono “un cuore solo e<br />
un’anima sola” (At 4,32). Si sentono da lui inviati a proseguire la sua missione; per lui rischiano<br />
la vita, affrontano persecuzioni e tribolazioni d’ogni genere. Sono uomini nuovi, quasi fossero<br />
risuscitati anche loro. Deve essere proprio accaduto qualcosa! I discepoli affermano con<br />
sicurezza che è stato Gesù stesso a trasformarli, non una loro riflessione, immaginazione o<br />
esaltazione emotiva: si è fatto vedere vivo e ha donato loro lo Spirito Santo. Si è imposto alla<br />
loro incredulità con un’iniziativa tutta sua, con una nuova chiamata.<br />
L’apostolo Paolo, verso l’anno 55, riassume l’annuncio pasquale della prima comunità<br />
cristiana con quattro verbi, che indicano avvenimenti reali, anche se non tutti controllabili allo<br />
stesso modo: “Cristo morì... fu sepolto... è risuscitato... apparve”; poi subito fa seguire un<br />
elenco di testimoni autorevoli, ai quali bisogna fare riferimento: “apparve a Cefa (Pietro) e<br />
quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior<br />
parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a<br />
tutti gli apostoli.<br />
“Ultimo fra tutti apparve anche a me” (1Cor 15,3-8).Si potrebbe obiettare: se Gesù<br />
davvero è risorto, perché non si è manifestato anche al sinedrio, a Ponzio Pilato, a tutto il<br />
popolo? Per incontrare Dio, bisogna prima cercarlo umilmente; non ha senso un miracolo per<br />
costringere a credere. Del resto Dio è sovranamente libero nelle sue decisioni: “Dio lo ha<br />
risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni<br />
prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai<br />
morti” (At 10,40-41). Gli incontri del Risorto con i suoi avvennero a Gerusalemme e in Galilea.<br />
Ma è impossibile per noi stabilirne la successione e le modalità. I racconti pasquali, riportati<br />
nei quattro Vangeli, presentano divergenze in numerosi dettagli. Questi dettagli a volte, più<br />
che ricordi, sembrano essere mezzi letterari per esprimere la concretezza o il significato<br />
dell’incontro. La struttura dei racconti è però costante: iniziativa del Risorto, che si fa<br />
vedere, viene, si avvicina, sta in mezzo, si manifesta; riconoscimento da parte dei discepoli,<br />
senza possibilità di equivocare con qualche spirito o fantasma; missione affidata agli apostoli,<br />
che fa della loro testimonianza il fondamento della Chiesa. L’insistenza sull’oggettività
dell’esperienza è tale, che le apparizioni sono in realtà da considerare veri e propri incontri<br />
interpersonali concreti. Questa oggettività trova riscontro e conferma nella scoperta del<br />
sepolcro vuoto: un fatto che a Gerusalemme doveva essere pubblicamente noto, altrimenti non<br />
sarebbe stato possibile proclamare che Gesù era risuscitato, senza essere subito ridotti al silenzio<br />
e coperti di ridicolo. Il sepolcro vuoto, sebbene da solo non possa provare la risurrezione,<br />
costituisce però un’apertura verso il mistero e un segno dell’identità del Risorto con il<br />
Crocifisso. Il sepolcro vuoto, le apparizioni del Risorto e la radicale conversione dei discepoli<br />
convergono nell’indicare la realtà obiettiva della risurrezione.<br />
La risurrezione di Gesù può essere considerata un fatto storico? Questa è una<br />
domanda importante per la fede. La risurrezione di Gesù si riflette nella storia con dei segni: il<br />
sepolcro vuoto, le apparizioni del Risorto, la conversione e la testimonianza dei discepoli, i<br />
miracoli e altre manifestazioni dello Spirito. Tuttavia si tratta di un avvenimento non<br />
osservabile direttamente come i normali fatti storici: un avvenimento reale senza dubbio,<br />
ma di ordine diverso. I Vangeli narrano le sue manifestazioni, ma non lo raccontano in se<br />
stesso, perché non può essere raccontato. Le sue modalità rimangono ignote. Con la<br />
risurrezione, Gesù non è tornato alla vita mortale di prima, come Lazzaro, la figlia di Giàiro<br />
o il figlio della vedova di Nain; è entrato in una dimensione superiore, ha raggiunto in Dio la<br />
condizione perfetta e definitiva di esistenza. Non è tornato indietro, ma è andato avanti e adesso<br />
non muore più. Il nostro linguaggio non può descriverlo come veramente è: i risorti sono<br />
“come angeli nei cieli” (Mc 12,25) e il loro corpo è un “corpo spirituale” (1Cor 15,44),<br />
trasfigurato secondo lo Spirito, vero ma diverso da quello terrestre, come la pianta è diversa<br />
dal seme.<br />
I discepoli, che hanno incontrato Gesù concretamente vivo, interpretano questa<br />
esperienza alla luce delle attese di salvezza dell’Antico Testamento e usano consapevolmente<br />
un linguaggio simbolico: lo presentano come risvegliato, rialzato in piedi, risorto, innalzato,<br />
intronizzato alla destra di Dio. Il mistero trascende la nostra comprensione e può essere<br />
affermato solo per fede, ragionevolmente però, a motivo dei segni. ( V.lib. 264-270)<br />
STORICITA DELLA RISURREZIONE
“La questione della storicità della risurrezione è stata al centro di continue e animate<br />
discussioni dai tempi di Raimarus (1694-1768) fino ai nostri giorni. Davanti ai<br />
persistenti attacchi del razionalismo, dell’illuminismo, del positivismo, prima i teologi<br />
protestanti e successivamente alcuni teologi cattolici hanno preferito ridurre la risurrezione ad<br />
un oggetto di mera fede, come i misteri della Trinità e dell’Incarnazione. Ma questa tattica è<br />
assolutamente inammissibile, perchè è una resa incondizionata a diritti che la ragione non ha e<br />
che quindi il teologo non le può riconoscere. Per questo motivo egli non può lasciarsi stregare<br />
dagli argomenti della “pura “ ragione, della critica storica, dell’ermeneutica scientifica o della<br />
psicanalisi, per mettere in dubbio o per negare la storicità della risurrezione”. (B.Mondin Gesù<br />
Cristo 388)<br />
Per lo studioso laico, cui fa problema ciò che è accaduto una sola volta e che assume<br />
la ragione scientifica come metro di storicità la risurrezione non può essere che una favola,<br />
un’utopia. Crede a “principi da non discutere”, come i seguenti: “ciò che non si può<br />
raggiungere con la sola ragione umana non ha credibilità”; “quanto non è dimostrabile con gli<br />
strumenti della sperimentazione scientifica non ha valore”; “i fatti storici che non possono<br />
essere inclusi in una storia vista come scienza esatta non sono veri”. Queste e altre simili<br />
asserzioni sono però solo “dogmi non religiosi”, che non ha hanno possibilità di nessuna<br />
logica dimostrazione.<br />
La verità per quanto riguarda la risurrezione è che essa è un evento storico che trova<br />
in se stesso i criteri della propria storicità. E i principali indizi di essa sono: la fede dei<br />
discepoli e la tomba vuota.<br />
LA FEDE DEGLI APOSTOLI<br />
La fede non può costituire un argomento contro la storicità della risurrezione, perché<br />
il mondo della storia è esattamente quel mondo dove la maggior parte delle informazioni si<br />
basa sulla testimonianza altrui e quindi della fede.<br />
L’unica cosa da verificare è la credibilità dei testi. Ora la fede dei discepoli è del tutto<br />
incomprensibile se essa non avesse come supporto un dato storico certo, sicuro, imponente,<br />
incontrovertibile: l’incontro reale e personale col risorto. La fede e la predicazione dei<br />
discepoli non si potrebbe comprendere dinnanzi alle contraddizioni create dalla croce, se<br />
Gesù non si fosse veramente manifestato ad essi “vivo” oltre la morte. Se infatti la morte in
croce, come avvenimento storico oggettivo, contestava, per la tradizione giudaica, il senso della<br />
vita di Gesù ed il suo messaggio, non si comprende come la sola fede senza un evento<br />
altrettanto oggettivo (anche se in sé non attingibile storicamente ) potrebbe far riconoscere che<br />
malgrado questa morte Gesù è approdato a Dio. E’ necessario quindi ammettere che la fede<br />
pasquale è stata suscitata da una causa esterna all’atto stesso di fede dei discepoli. (B.Mondin<br />
Gesù C. 394)<br />
LA TOMBA VUOTA<br />
Quando all’alba della domenica di Pasqua le donne si recano al sepolcro trovano una<br />
tomba vuota e viene loro annunziato: “ Voi cercate Gesù di Nazaret, il Crocifisso. E’<br />
risuscitato, non è qui” (Lc 24, 3 ). La tomba è aperta e vuota. Là dove i discepoli e le donne<br />
vedevano la fine, non c’è la fine, ma un nuovo inizio. Il destino di morte è infranto.<br />
(B.Mondin)<br />
La tomba vuota di Gesù simboleggia potentemente il modo in cui Dio attua la<br />
redenzione degli uomini e del mondo. Naturalmente noi non sappiamo il modo preciso in cui<br />
il corpo di Gesù fu risuscitato, trasformato e ammesso alla sua nuova e gloriosa esistenza. Il<br />
corpo di Gesù rappresentava l’odio e l’ingiustizia umani, l’estremo peccato dell’uomo. La<br />
sua trasformazione in risurrezione parlò dell’effettivo desiderio di Dio di trasformare il male<br />
in bene e di risuscitare un mondo caduto.<br />
Nella creazione Dio produce il mondo materiale. Nell’incarnazione la materia è<br />
personalmente unita al Figlio di Dio. Nella risurrezione il corpo di Gesù viene risuscitato e<br />
trasformato per divenire il Cristo risorto, la cui umanità glorificata è stata divinizzata nel<br />
modo più elevato possibile. Risuscitato dai morti, Gesù rimane vero uomo. Eppure la sua<br />
umanità risorta (che è sia spirituale che materiale) entra ora nella vita divina ( Rm 6, 10) nel<br />
modo più profondo.<br />
A proposito del corpo deposto nella tomba il venerdì santo, si possono dire due cose,<br />
che non potrebbero essere mai dette di qualsiasi altro corpo apparso nella storia della razza<br />
umana. Primo, questo corpo era stato il corpo vivo che soffrì sulla croce una volta per tutte<br />
per salvarci. Secondo, questo corpo senza vita era stato il corpo del Figlio di Dio durante la vita<br />
terrena. Tale fatto separa questo corpo da tutti gli altri che il mondo abbia mai contenuto,<br />
Non è affatto sorprendente che la materia di tale corpo debba in qualche modo diventare parte<br />
della veloce risurrezione di Gesù dai morti.
La tomba vuota esprime molto potentemente la continuità personale tra il Gesù<br />
terreno e il Cristo risorto. Egli rimane personalmente identico al Gesù che visse e morì. C’è<br />
una genuina identità nella trasformazione. Persino in tutti noi che saremo risuscitati “nella<br />
risurrezione all’ultimo giorno” (Gv 11, 24), a dispetto della frattura tra la dissoluzione del corpo<br />
precedentemente morto e l’emergere del successivo corpo risorto ci sarà una certa continuità<br />
personale, ma il fatto non corrisponde esattamente al caso della risurrezione di Cristo. Il suo<br />
corpo trasformato era il corpo del Salvatore e del Figlio di Dio che non aveva subito la<br />
corruzione del sepolcro.<br />
Il fatto della tomba vuota deve essere interpretato tramite le apparizioni di Cristo<br />
vivo. Altrimenti sarebbe rimasto un fatto ambiguo, aperto all’ovvia spiegazione del furto da<br />
parte di violatori di tombe (Gv 20, 2) . Comunque anche solo il sepolcro vuoto potrebbe<br />
suscitare la fede di chi è perfettamente disposto a credere, come avvenne a Giovani che “vide<br />
e credette ” (Gv 20, 8 ) . Quelli che amano sanno riconoscere la verità divina in segni che per<br />
altri rimangono ambigui. (Tratto da G. O’ Collins, Gesù oggi 190 e ss )<br />
VITTORIA SUL PECCATO<br />
Il binomio morte-risurrezione è inscindibile, e concretamente dà luogo alla Pasqua<br />
di Cristo. La risurrezione non è comprensibile senza la morte e la morte è per la risurrezione. E’<br />
certo che senza la morte e senza la risurrezione di Gesù noi non saremmo salvi. Si deve<br />
però accordare un particolare rilievo alla risurrezione.<br />
Per sé la morte è collegata con il peccato (Rm 5, 12 ). In questo senso la morte<br />
rappresenta la sua partecipazione suprema alla nostra carne di peccato, è una morte<br />
perpetuata dall’ingiustizia del mondo e quindi segno della suprema opposizione a Dio da parte<br />
degli uomini. Se Cristo fosse rimasto nella morte, la croce sarebbe stata il segno più evidente<br />
della sua sconfitta, le “potenze del peccato” avrebbero avuto l’ultima parola, la luce sarebbe<br />
stata sconfitta dalle tenebre.<br />
Ma alla morte di Cristo fa seguito la risurrezione e questa dice inequivocabilmente<br />
che lo sconfitto non è Cristo, ma il peccato. La morte per Gesù non è la fine di tutto: sfocia
nella vita nuova definitiva. E’ solo a partire da qui che si può capire anche il significato vero<br />
della croce: già la morte in quanto non subita, ma accettata per amore, è principio di vita,<br />
perché per Cristo morire significa aderire fino in fondo alla volontà del Padre, che è volontà<br />
di salvezza nei confronti degli uomini.<br />
E’ la risurrezione che proclama definitivamente la valenza di vita, di salvezza, che è<br />
insita nel gesto della morte di croce: questa non è un progetto di morte, ma di vita.<br />
L’onnipotenza misericordiosa di Dio opera la sua vittoria esattamente là dove sembra celebrarsi<br />
la sua sconfitta. La risurrezione è l’atto supremo dell’amore di Dio. Dando la vita per noi<br />
Gesù ha reso presente l’amore di Dio per noi. Ma la potenza di Dio ha spinto il suo amore<br />
fino alla sua espressione più efficace, rendendo l’amore incessante, sempre vivo e presente,<br />
con la sua risurrezione. ( Vedi: M Serenthà “ Gesù Cristo”- pag. 333-334 )<br />
LA RISURREZIONE MANIFESTA DIO, RIVELA <strong>GESU</strong><br />
E’ nella risurrezione di Cristo che Dio ha definitivamente rivelato se stesso e definito il<br />
suo essere Dio: Egli è un Dio “amante della vita” ( Sap 11, 26 ), che vuole la vita, non la<br />
sofferenza, il dolore, la morte. “ Dio è per noi un Dio di salvezza; il Signore Dio libera dalla<br />
morte” ( Sl 68, 21 ). Quel Dio che è all’origine della vita non può essere sconfitto dalla morte:<br />
Colui che chiama all’essere le cose che non esistono, può far scaturire anche dalla morte la vita<br />
(Rm 4, 17 ). Il Dio di Gesù Cristo non è un Dio dei morti, ma dei vivi; è un Dio che libera<br />
dalla morte, che risuscita i morti ( 2 Cor 1, 9 ) e prepara per coloro che si affidano a lui un<br />
futuro di speranza.<br />
Quel Gesù che era morto in croce non va più cercato tra i morti, perché è vivo, egli<br />
è il Signore. Con la risurrezione è avvenuto in lui un profondo cambiamento; è divenuto il<br />
“Cristo secondo lo Spirito”, acquistando quello spirito di santità ch, secondo le antiche<br />
tradizioni profetiche (Ez 36,25; Ger 31) sarebbe stato nei tempi messianici principio di vita<br />
nuova per tutta l’umanità. In questo modo Egli è non solo per sé, ma anche per noi, “la vita”<br />
(Gv 14, 6 ) che il Padre ha donato al Figlio, perché questi a sua volta la doni agli uomini. ( Gv 6,<br />
35-38 ) . “Cristo risorto dai morti non muore più” (Rm 6, 9 ). Con la risurrezione si è in<br />
qualche nodo ritornati all’inizio, ai tempi della creazione; il Risorto è il “vero Adamo”, il capo<br />
di un’umanità rinnovata. ( Vedi: M Serenthà: 333-334)
FRUTTI DELLA RISURREZIONE<br />
Molteplici sono i frutti della risurrezione. Riguardo a Cristo la risurrezione<br />
ristabilisce l’integrità della sua natura umana, restituendo il corpo all’anima. La risurrezione<br />
diventa l’argomento incontrovertibile dell’autenticità della sua causa e della sua missione. E’<br />
la prova della divinità di Cristo.<br />
Per l’umanità la risurrezione è principio di una “vita nuova”, di un capovolgimento<br />
radicale, di un’autentica risurrezione di tutto il genere umano. Il piano di divinizzazione<br />
dell’umanità diventa esecutivo dopo la risurrezione. La risurrezione investe innanzitutto le<br />
nostre anime e tutto il nostro essere e trasforma le nostre intelligenze e i nostri cuori. Tra i<br />
suoi effetti c’è anche la risurrezione dei corpi. La risurrezione fornisce un fondamento<br />
inconcusso alla fede nel Cristo, una base sicura alla speranza nella vita eterna, un senso<br />
positivo alla storia dell’umanità<br />
In modo misterioso l’onda lunga della risurrezione è destinata a produrre frutti<br />
meravigliosi oltre che su Cristo e sull’umanità, anche sul cosmo. Ma i frutti delle risurrezione<br />
non sono automatici per quanto attiene alla trasfigurazione degli uomini e della cose. E’<br />
necessaria la collaborazione. ( Vedi B. Mondin pag. 403-404 )<br />
ASCENSIONE
L’ascensione nei testi neotestamentari normalmente fa tutt’uno con l’esaltazione di<br />
Cristo alle destra del Padre: risorgendo Gesù è passato al Padre e questo passaggio è, in<br />
sostanza, la sua ascensione. La scenario cosmico che a volte s’incontra nel NT ( per esempio in<br />
Ef 4, 10; Eb 6, 19-20 ) deve essere inteso per quel che veramente vuole affermare: il Risorto è<br />
davvero il Signore, assiso nel Regno di Dio e partecipante pienamente alla gloria del Padre. “<br />
Elevazione alla destra di Dio non significa rapimento in un empireo ultraterreno ma essere<br />
presso Dio, trovarsi nella dimensione di Dio, della sua potenza e della sua gloria. Non si tratta<br />
quindi di un allontanamento dal mondo ma piuttosto di un nuovo modo di essere vicino a noi.<br />
Ora Gesù è con noi e con Dio e nel modo di Dio. ( Kasper)<br />
PENTECOSTE<br />
L’annunzio, la missione nel mondo non sono possibili senza il dono dello Spirito. E’ il<br />
Risorto che, la sera stessa del giorno della sua risurrezione (Gv 20, 22), dona lo Spirito,<br />
principio di vita nuova: quella vita che è “vita secondo lo Spirito”, cioè testimonianza del<br />
Risorto nella dedizione ai fratelli, principio nella Chiesa. Luca localizza questa missione dello<br />
Spirito a Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua; e, attraverso la parola di Pietro,<br />
interpreta simile avvenimento come compimento delle promesse messianiche (At 2 ) . Sembra<br />
che per gli Ebrei la Pentecoste ricordasse il dono della legge su Sinai: ora già Ezechiele e<br />
Geremia avevano preannunziato una nuova legge per i tempi messianici, che non sarebbe più<br />
stata scritta su tavole di pietra, ma sarebbe consistita nel dono dello Spirito trasformante i<br />
cuori. Forse è questo il contesto nel quale comprendere il racconto del libro degli Atti: con la<br />
missione dello Spirito è nata la Chiesa, la comunità dei credenti nel Risorto che, animata dal<br />
suo Spirito, ha il compito di annunziare la risurrezione e vivere secondo la nuova legge della<br />
carità ricostruendo così quell’unità del genere umano spezzata dal peccato, che fu<br />
simboleggiata attraverso la confusione delle lingue a Babel ( confronta il miracolo delle lingue<br />
il mattino di Pentecoste ) . Ma si deve dire che la missione dello Spirito rimane un aspetto del<br />
mistero di Cristo risorto: non è se non la una piena manifestazione avvenuta con la<br />
risurrezione di Lui, come principio e sorgente, nello Spirito, di vita nuova, risorta, e della<br />
testimonianza conseguente. ( Vedi: M Serenthà: pag. 343-344)
L’UOMO DI NOME <strong>GESU</strong>’<br />
FIGLIO DELL’UOMO<br />
Gesù è un personaggio che suscita le più diverse reazioni: ammirazione, fede,<br />
disprezzo, irrisione. Anzi, attorno a Gesù si è combattuta e si combatte ancora, quella che,<br />
senza esagerazioni, si potrebbe definire la più grande battaglia culturale del mondo moderno,<br />
almeno occidentale.<br />
Gli autori del Nuovo Testamento parlano della sua crescita (Lc 2, 52 ), del suo aver<br />
fame, sete, della sua gioia, del suo dolore, del suo pianto di fronte alla tomba di un amico (Gv<br />
11,35), e, infine, della sua morte. Dicono che è venuto” nella carne” (1 Gv 4, - Gv 1, 7).<br />
Egli è uno come noi, vissuto in un determinato tempo, in un certo periodo della storia, legato a<br />
una precisa cultura, che si assoggetta agli usi e ai costumi del suo popolo. Nella sua vita è<br />
stato partecipe della storia degli uomini, della situazione storica del suo tempo. La vicenda di<br />
Gesù è una vicenda veramente umana. ( G. Serenthà: Gesù Cristo-Ldc- pag. 456 )<br />
Di lui i vari autori non danno un ritratto, né fisico, né morale, anzi non paiono<br />
interessati a tratteggiarne la figura, preoccupati soprattutto di trasmettete il suo messaggio e<br />
narrare quanto egli ha compiuto. Tuttavia è possibile, scorrendo i Vangeli, venire a contatto<br />
con la personalità di Gesù, tanto essa è straordinaria. Non sappiamo nulla della sua<br />
costituzione fisica, ma da quanto dicono i Vangeli della sua attività si può presumere che<br />
dovette essere sana e molto robusta: se non fosse stata tale, non avrebbe potuto sostenere<br />
l’enorme mole di lavoro a cui si sottopose per due-tre anni di vita pubblica, i disagi e la continua<br />
attività. Non abbiamo una presentazione della sua figura, ma, sia pure indirettamente, essa<br />
appare affascinante e nello stesso tempo sorprendente e paradossale: la sua intelligenza è<br />
intuitiva e molto sintetica; egli coglie subito il nocciolo delle questioni; sembra che il suo<br />
occhio veda cose che ad altri sfuggono; egli legge “dentro” il cuore degli uomini e dell’intima<br />
realtà delle cose, in cui scopre l’intervento di Dio.
BONTA VERSO TUTTI<br />
Quello che più colpisce in Gesù è la sua bontà. La rivela nei confronti degli amici, con<br />
i quali è premuroso e fedele: sta volentieri in loro compagnia, partecipa alle loro gioie e ai loro<br />
dolori, si reca a casa loro. Vive intensamente 1'amicizia.<br />
Ma la sua bontà è verso tutti. Non può vedere un dolore, senza commuoversi e porgere<br />
aiuto: tutti i miracoli che si narrano di Lui sono compiuti per bontà, per lenire una sofferenza o<br />
prevenire un pericolo. Tutte le forme del dolore umano, hanno nel suo cuore una risonanza<br />
profonda. La sua non è una compassione superficiale e passeggera, poiché dietro la<br />
sofferenza fisica, Egli vede profilarsi l'ombra del peccato e il potere di una forza maligna, che<br />
rende schiavo l’uomo. Egli ha perciò pietà dell’uomo, irretito nel male e in balia di Satana, suo<br />
mortale nemico. Proprio questa pietà lo fa scendere alla radice della corruzione e gli fa<br />
togliere, portandoseli su di sé i peccati degli uomini: nello stesso tempo in cui guarisce i corpi<br />
dalle malattie, libera le anime dal peccato e dal potere di Satana.<br />
La bontà di Gesù si rivela particolarmente verso i poveri, gli ammalati, i peccatori.<br />
Per gli ammalati Gesù ha un amore particolare: li guarisce dalle loro malattie anche in giorno di<br />
sabato, attirandosi l'ostilità dei farisei e dei dottori della Legge, secondo i quali nel giorno<br />
consacrato al Signore non è permesso neppure operare guarigioni. Ha una cura singolare dei<br />
lebbrosi. Una particolare predilezione Gesù mostra per i bambini, quando le mamme glieli<br />
presentano perché li benedica.<br />
Ha pietà per i peccatori, li tratta con dolcezza, anche a costo di scandalizzare coloro che<br />
si ritengono giusti. Per lui i peccatori non devono essere evitati e disprezzati perché non<br />
osservano la Legge, ma devono essere amati, perché sono malati che hanno bisogno del<br />
medico. Il peccatore non va punito, ma aiutato a redimersi, non va allontanato da Dio, ma<br />
avvicinato a Lui, non va trattato con durezza e intransigenza, ma amato e trattato con<br />
indulgenza. Gesù va in cerca dei peccatori; non spezza la canna infranta e non spegne il<br />
lucignolo ancora fumigante (cf Mt 12,20).<br />
Quello che più colpisce nell'amore di Gesù verso tutti è il fatto che non viene mai<br />
meno, nonostante la conoscenza che Egli ha del cuore umano. Gesù ama i poveri, gli<br />
ammalati, i bambini e i peccatori perché Dio ha un particolare amore per loro: proprio per loro<br />
ha destinato il suo regno. Egli si presenta straordinariamente vicino agli uomini per la sua<br />
dolcezza, la sua semplicità e la sua bontà. La sua vita è mescolata alla loro; Egli è sempre in<br />
mezzo ad essi, per le strade dei villaggi, nelle sinagoghe, nel Tempio.<br />
Anche nel rimprovero è dolce e paziente. Quando due discepoli, Giacomo e Giovanni,<br />
gli chiedono di sedere uno alla sua destra e uno alla sua sinistra nel suo regno, Gesù risponde<br />
loro: “Voi non sapete ciò che domandate”. “II Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere
servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,42-45). Così il<br />
rimprovero si trasforma in un profondo insegnamento. Anche nelle parole più dure che<br />
Gesù rivolge a coloro che si comportano male sentiamo una nota caratteristica del suo<br />
amore per l'umanità quando questi si allontanano da Dio e dalla sua volontà . Anche nelle<br />
invettive di Gesù c'è tanto amore: esse esprimono il desiderio di strappare gli uomini dalla<br />
perdizione a cui si condannano. Poiché, ancora una volta, Gesù legge “dentro” il destino degli<br />
uomini e dei popoli e misura l'abisso spaventoso che l'uomo si scava rifiutando Lui e la sua<br />
parola.<br />
MISSIONE E SOLITUDINE<br />
Gesù ha la coscienza vivissima di dover compiere un'altissima missione: portare agli<br />
uomini, da parte di Dio, la Buona Notizia (euangelion) della salvezza. La sua è una missione<br />
unicamente spirituale, al di fuori e al di là di tutti gli interessi mondani. E ciò lo colloca in una<br />
profonda solitudine, perché non è questo ciò che gli uomini attendono da Lui. Gesù avverte<br />
perciò l'amarezza dell'incomprensione. Neppure i discepoli, lo comprendono appieno. Non è<br />
forse una follia l'esaltazione che Egli fa dell'umiltà, della povertà, del servizio, del perdono,<br />
dell'amore dei nemici, della verginità, del perdere la propria vita per il regno di Dio?<br />
Benché circondato da tanta gente appare solo. La sua solitudine è uno dei tratti della<br />
sua personalità che più stupisce. Già la grandezza delle sue opere, la potenza e la sublimità<br />
della sua parola, la nobiltà della sua anima lo innalzano al di sopra di tutti, anche dei migliori,<br />
che al suo confronto appaiono piccoli e meschini; ma Egli è solo in un senso assai più<br />
profondo. Gli interessi, gli obiettivi, le passioni che agitano gli uomini e li spingono all'azione<br />
gli sono estranei. Gesù è povero e distaccato da tutto; non ha interessi terreni né cupidigia di<br />
ricchezze; non ha interessi speculativi, poiché non è un filosofo, né un uomo di scienza.<br />
Soprattutto non ha né vuole avere interessi politici, anche se alcuni cercano di coinvolgerlo<br />
negli intrighi politici del suo tempo. Le folle gli chiedono pane e benessere; esigono che si metta<br />
a capo del popolo d'Israele per cacciare l'invasore romano. Ma tutto ciò è estraneo a Gesù. Non<br />
è per questo che Egli è «venuto» (cf Mc 1,38).
SERENO E LIBERO<br />
Nella sua intimità con Dio non subisce scosse psichiche; e così, quando esce dalla sua<br />
preghiera, è meravigliosamente sereno, pronto a riprendere con lena rinnovata il suo duro<br />
lavoro di predicazione e di guarigione dei malati. Non c'è in Lui nessuno sforzo di adattamento<br />
alle situazioni sempre nuove della sua vita randagia e piena di imprevisti. A tutti Egli dà<br />
l'impressione di una forza tanto più possente quanto più serena e tranquilla. In realtà, non è<br />
schiacciato dal peso della gloria e della santità di Dio, come gli antichi profeti, ma intrattiene<br />
con Lui un rapporto di amore, di spontaneità, di naturalezza e di filiale confidenza. Egli sa<br />
di poter sempre contare su Dio, che è Padre di tutti, ma è Padre suo in maniera particolare.<br />
Questo rapporto filiale con Dio fa di Gesù un uomo audacemente libero. Libero da<br />
ogni interesse, libero dalla famiglia, ma soprattutto da ogni legge umana che pretenda<br />
d'imprigionare l'uomo in osservanze puramente esteriori. Gesù è libero di fronte alla stessa<br />
Legge morale mosaica, ed ha l'audacia di cambiare, non per abolirla ma per perfezionarla; in<br />
particolare è libero dagli interessi politici. Anche dinanzi ai potenti Egli è sovranamente libero.<br />
FORTE NELLA SOFFERENZA E NELLA MORTE
Gesù, sovranamente libero di fronte agli uomini, è pienamente soggetto alla volontà del<br />
Padre, e fa sempre le cose che sono gradite a Lui (cf Gv 8,29). Questa volontà del Padre, che<br />
Gesù vuol seguire fedelmente, gli da il coraggio di compiere la sua missione fino in fondo. Ma<br />
quasi subito una minaccia incombe su di Lui: dopo i primi successi della sua predicazione,<br />
sente una opposizione, sorda ma tenace, vede farsi attorno a sé un vuoto e sente il battere<br />
sinistro dell'ala della morte. Del resto, non è la morte la sorte dei profeti? Eppure questo non vale<br />
a distoglierlo dal continuare la sua strada. Se è necessario. Egli è pronto a percorrerla da solo:<br />
«Forse anche voi volete andarvene?» (Gv 6,67), chiede Gesù ai pochi discepoli che gli sono<br />
rimasti fedeli. Non si fa illusioni e non vuole che i discepoli si illudano; sa che quella strada<br />
lo porta a morire a Gerusalemme "Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà<br />
consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai<br />
pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre<br />
giorni risusciterà"» (Mc 10,32-34). Questo andare di Gesù incontro alla morte è un andare<br />
rapido e coraggioso. Il movente è soltanto la volontà del Padre. Il Padre vuole che Egli dia la<br />
vita «in riscatto per molti» (Mt 20,28). Ed Egli accetta.<br />
L'ultima sera, a cena con i discepoli, Gesù dona all'umanità, come testamento, due<br />
beni inestimabili: il Sacerdozio e l'Eucaristia, destinati agli uomini di tutti i tempi e di tutti i<br />
continenti. <strong>Don</strong>a se stesso come ministro-sacerdote per far rifluire la grazia divina sull'umanità;<br />
dona se stesso come carne e sangue per diventare cibo e nutrimento per tutti. Poi, nella notte si<br />
consuma il tradimento di Giuda, l'arresto e l'abbandono dei discepoli. Segue una dolorosa notte<br />
di amarezza: insulti, percosse, flagellazioni, tradimenti. Eppure Gesù mantiene un equilibrio,<br />
un dominio di sé e una calma mirabili: chiama Giuda «amico», rivolge uno sguardo di bontà e<br />
di perdono a Pietro, che l'ha rinnegato. Non che non senta l'angoscia della morte. Infatti, quando<br />
essa è imminente nell'Orto degli Ulivi, Gesù ha paura e suda sangue dinanzi alla prospettiva di<br />
dover soffrire e morire, e chiede al Padre che, se è possibile, allontani da Lui il calice della<br />
sofferenza e della morte; ma subito aggiunge :«si faccia la volontà del Padre, non la mia». E<br />
quando, dopo una lunga e angosciosa preghiera nel Getsemani, ha detto «sì» alla volontà del<br />
Padre, allora si abbandona con filiale confidenza a quella volontà. E quando, spogliato e<br />
umiliato senza pietà, Lui, il Signore del cielo e della terra, viene suppliziato in croce, reagisce<br />
con quelle sublimi parole: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).<br />
L'odio scatenato degli uomini potrà compiere su di Lui la sua opera, Gesù non opporrà alla<br />
violenza se non il silenzio e l'accettazione, finché tutto sia consumato. “Si. Padre”. La fine<br />
dolorosa di questa vittima innocente lascia sbigottiti. Gesù è davvero una personalità<br />
sorprendente.<br />
UNA PERSONALITA’ SORPRENDENTE
Gesù possiede in grado eminente qualità apparentemente opposte, che non si trovano in<br />
un solo individuo. Egli è nello stesso tempo sorprendente e paradossale per un insieme di<br />
contrasti che tuttavia si armonizzano in una sintesi superiore, in un'“armonia dei contrari”, che<br />
non s'incontra in nessun'altra personalità della storia. In lui si trova mirabilmente fuso tutto ciò<br />
che fa grande l’uomo. In lui l’umanità ha raggiunto il suo vertice.<br />
Egli è contemporaneamente:<br />
poeta e realista ( es. notazioni sul tempo, sui gigli, sui fiori, ma anche sul seminatore,<br />
sulla caduta della torre, sui pescatori);<br />
tenero ed esigente ( comportamento con bambini, malati sofferenti, peccatori, ma anche<br />
esigente con amici, peccatori, con tutti: “nessun capo di religione ha mai voluto tanto”;<br />
accorto e semplice (vince in tutte le discussioni: “nessuno più osava interrogarlo ),<br />
vuole che il si sia si e il no sia no. E’ suo il detto: “ siate prudenti come serpenti e semplici<br />
come colombe”);<br />
eloquente e silenzioso. ( ha un insegnamento bruciante, si fa comprendere da tutti :<br />
“nessuno ha mai parlato come lui”, ma sta per 30 anni in silenzio, non parla davanti ad Erode e<br />
a Pilato, ha lunghi silenzi nelle notti di preghiera );<br />
attivo e contemplativo ( percorre in lungo e in largo la Palestina, è sfinito per il grande<br />
lavoro, spesso non ha tempo neppure per mangiare, ma passa notti intere in preghiera ;<br />
asceta e amante della vita. ( digiuna, vive alla giornata, non ha fissa dimora, ma va anche ai<br />
banchetti, invita al riposo, paragona il regno ad un banchetto );<br />
autorevole e sempre al servizio ( es. comanda, organizza, esige, ma lava i piedi,<br />
dichiara che è venuto per servire );<br />
totalmente libero e totalmente a servizio;<br />
vicino al Dio santo e vicino all’uomo peccatore;<br />
di viva intelligenza e di squisita sensibilità;<br />
elevato nel pensiero e semplice nell’esprimersi;<br />
profeticamente indignato verso i prepotenti e gli ipocriti e premuroso verso gli oppressi,<br />
i malati, i semplici e i bambini. realistico nel valutare la fragilità e la malvagità umana e<br />
fiducioso nelle possibilità di conversione e di bene;<br />
del tutto libero di fronte agli uomini e totalmente disponibile al servizio di Dio e dei<br />
poveri;<br />
aperto all’amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte.<br />
Egli è magnanimo, umile, forte, mite, coraggioso nell'affrontare la sofferenza , pronto<br />
ad accettare una morte ingiusta singolare, incomparabile nell’autorità e nel dono di sé.<br />
E’ una personalità paradossale e sconcertante<br />
Gesù è un personaggio singolare e affascinante, una personalità non solo straordinaria, ma<br />
anche paradossale e sconcertante come nessun altro uomo della storia ha rivelato. Ma non è<br />
sconcertante solo per la sua personalità, lo è anche per quello che ha insegnato, per le opere<br />
che ha compiuto, per la sua morte. Lo è per la coscienza che Egli ha avuto di se stesso e per<br />
quello che Egli ha detto di sé.
<strong>GESU</strong> E IL PADRE<br />
Gesù sente profondamente la trascendenza di Dio, la sua grandezza unica. Nessuno si<br />
può paragonare a Dio. Di fronte a Lui nessuno è buono, bisogna temere solo Dio (cf Lc 12,5),<br />
non i potenti, che possono solo uccidere il corpo, ma non possono mandare l'anima nella<br />
Geenna; bisogna adorare Dio solo (cf Mt 4,10), non gli idoli del denaro e del potere; bisogna<br />
amare solo Dio «con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutto lo spirito» (Mt 22,37). Solo Lui<br />
infatti merita tutto l'amore dell'uomo. Perciò non bisogna mettere nessun'altra creatura sullo<br />
stesso piano di Dio o accanto a Lui nell'amore; non bisogna servire nessun altro padrone. Di<br />
fronte a Lui gli uomini, anche i migliori, sono tutti piccoli e cattivi: sono tutti peccatori.<br />
Gesù esce dalla solitudine spirituale con la preghiera. Come tutte le grandi anime,<br />
anch'Egli è affamato di silenzio, ma non lo cerca per ritemprarsi, per ritrovare se stesso, bensì<br />
per pregare: per questo, assai spesso, dopo una giornata di sfibrante lavoro, passa una parte<br />
della notte in preghiera. In realtà, anche immerso nella sua attività, nel pieno del suo lavoro<br />
apostolico, Egli è misteriosamente unito a Dio in modo unico, e durante le notti che la sua<br />
anima può effondersi nel filiale incontro con il Padre. Poiché, con Dio, Egli parla come un<br />
figlio col Padre: lo chiama, infatti, affettuosamente Abbà (Padre mio), che è il nome che i<br />
bambini danno al proprio padre.<br />
UOMO SENZA PECCATO
L’affermazione di una radicale assenza di peccato in Cristo, senza alcuna possibilità di<br />
dubbio, è chiaramente biblica: Egli è il dominatore del peccato e della morte, il peccato “non<br />
ha alcun potere su di lui” ( Gv 14, 30 ).<br />
L’assenza di peccato in Cristo non lo rende meno libero, non limita minimamente la<br />
sua libertà, anzi, lo fa l’uomo supremamente libero, non segnato da nessuna schiavitù,<br />
pienamente disponibile al Padre e ai fratelli. Il fatto che Cristo non conobbe peccato non deve<br />
in alcun modo essere inteso come una limitazione alla sua consustanzialità a noi, come<br />
un’eccezione alla verità nel suo essere uomo: il vero uomo non è colui che commette il<br />
peccato, ma colui che dal peccato si mantiene libero. Il peccato in noi uomini non è<br />
componente della nostra umanità, bensì radice<br />
della nostra schiavitù; con il peccato l’uomo diventa più egoista, meno libero da se stesso, in<br />
una parola meno uomo, se è vero che l’uomo si realizza autenticamente non badando a “salvare<br />
la propria vita” ma “perdendola” nella dedizione a Dio e al prossimo. La vera realizzazione di<br />
sé, per il discepolo di Cristo, non sta nel disporre a capriccio di se stessi e degli altri, ma nel<br />
rendere se stessi pienamente disponibili agli altri: in ciò consiste la genuina crescita<br />
dell’uomo, l’attuazione autentica del suo essere.<br />
Gesù ha vissuto fino in fondo in piena libertà, la totale disponibilità al Padre e l’amore<br />
per i fratelli ( è “senza peccato” ): ma anche da questo punto di vista, e non nonostante<br />
questo, Egli è veramente uomo. Come ha detto S. Leone Magno : “Assunse la condizione di<br />
servo senza la macchia di peccato: innalzando così le qualità umane, non diminuendo quelle<br />
divine”. ( Serenthà o.c. 461 ss. )<br />
<strong>GESU</strong> E’ IL VERO UOMO<br />
Gesù non solo è “vero uomo”, egli è “il vero uomo”. E’ per questo che il riferimento a<br />
Lui non è qualcosa che sopravvenga dall’esterno dell’uomo, ma è qualcosa che riguarda<br />
quest’ultimo nelle stesse radici più profonde del suo essere: in Cristo infatti ciò che noi<br />
abbiamo di più tipicamente nostro ( il nostro essere uomini, la nostra natura umana) ha<br />
raggiunto il suo compimento ultimo. la sua attuazione insuperabile, in vista della quale già era<br />
stata creata. In proposito la costituzione Gaudium ed Spes del Vaticano II dice al numero 22:<br />
Cristo è il nuovo Adamo, che, “rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche<br />
pienamente l’uomo all’uomo, e gli fa nota la sua altissima vocazione. Egli è l’uomo perfetto,<br />
che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme subito agli inizi dal<br />
peccato. Perché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per<br />
ciò stesso essa è stata per conto di noi innalzata a una dignità sublime. Con l’incarnazione il
Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani di uomo, ha pensato<br />
con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è<br />
fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” ( Serenthà: o.c - pag.<br />
459).<br />
Dal momento che Dio, in Gesù Cristo Crocifisso e risorto, ha preso su di sé<br />
l’alienazione della nostra umanità e l’ha vinta, Gesù Cristo è diventato il prototipo dell’uomo<br />
nuovo l’inizio e il capo di una nuova umanità. Nella sua unità con Dio Egli è “ la chiave, il<br />
centro e il fine di tutta la storia umana”. (Gs 10 )<br />
OPINIONI SU <strong>GESU</strong>’ E SUA RISERVATEZZA<br />
La gente, avvertiva il fascino di Gesù e, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli<br />
veniva l’autorità, la potenza nell’operare e la sapienza nel parlare? qual era la vera identità di<br />
quell’uomo? I discepoli stessi non finivano di meravigliarsi e si dicevano tra loro: “Chi è<br />
dunque costui?” (Mc 4,41). Presto “il suo nome era diventato famoso” (Mc 6,14) e in Galilea si<br />
affermava sempre più, nell’opinione popolare, l’idea che Gesù fosse un grande profeta<br />
taumaturgo; tant’è vero che, in occasione dell’ingresso solenne a Gerusalemme, ai cittadini che<br />
chiedono spiegazioni la folla dei pellegrini galilei risponderà: “Questi è il profeta Gesù, da<br />
Nàzaret di Galilea” (Mt 21,11). Per alcuni farisei era invece un falso profeta, posseduto da<br />
Satana, perché violava la legge e si intratteneva con i peccatori. ( La verità vi farà liberi: 214 )<br />
Gesù, da parte sua, induce la gente a interrogarsi e lascia la domanda sempre aperta.<br />
Per non essere frainteso in senso politico nazionalista, evita di proclamarsi esplicitamente<br />
Messia, sebbene riceva pressioni in questo senso: “Fino a quando terrai l’animo nostro<br />
sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente” (Gv 10,24). Invece di rispondere, invita a<br />
riflettere sul carattere misterioso di questo personaggio da tutti atteso: “Come mai dicono gli<br />
scribi che il Messia è figlio di Davide?... Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può<br />
essere suo figlio?” (Mc 12,35.37). ( La verità vi farà liberi : 215 )
CHI E’ <strong>GESU</strong>?<br />
Gesù stesso pone questa domanda ai suoi discepoli e li provoca a pronunciarsi in<br />
prima persona: “E voi chi dite che io sia?” (Mc 8,29). A nome dei discepoli risponde Pietro:<br />
“Tu sei il Cristo”. Pietro intuisce che Gesù è il salvatore e liberatore definitivo che introduce il<br />
regno di Dio, colui che Israele attendeva da secoli in base alla profezia di Natan al re David: “Io<br />
assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere... Io gli sarò padre ed egli mi sarà<br />
figlio... La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso<br />
stabile per sempre” (2Sam 7,12.14.16). Pietro intuisce, ma non comprende. Quando Gesù<br />
annuncia la propria morte, egli si ribella. Secondo la mentalità corrente ritiene che il Messia<br />
debba essere un trionfatore sulla scena di questo mondo; non sa proprio immaginarselo sconfitto<br />
e addirittura ucciso. Gesù lo rimprovera duramente: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi<br />
secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,33). ( La verità vi farà liberi: 216 )<br />
Anche oggi, come ai suoi tempi, su Gesù ci sono molte opinioni. Secondo alcuni è<br />
semplicemente un uomo grande, il più grande tra gli uomini. Per altri è un grande spirito<br />
religioso, vissuto in intimo contatto con Dio. Per i suoi seguaci Gesù è lo stesso Figlio di Dio<br />
fatto uomo. Per rispondere anche oggi alla domanda “Chi sono io per voi” bisogna non solo<br />
vedere chi è stato Gesù, ma anche che cosa ha insegnato e compiuto, che cosa ha pensato e<br />
detto di se stesso, quale solidità ha l'affermazione che Egli è risorto da morte. Solo dopo<br />
questa analisi avremo gli elementi per rispondere al problema che la persona di Gesù ha posto<br />
lungo i secoli e che pone oggi ancora a coloro che subiscono il fascino della sua figura.<br />
Bibliografia:<br />
Autori vari La Verità vi farà liberi n. 207 e ss. Ed. Cei<br />
G. Serentha Gesù Cristo. ieri, oggi, e sempre (p 256 ss. ) Ed. Ldc<br />
Civiltà cattolica 1993 n. 3432 Ed. Cc<br />
A. Fanuli Tu conosci Gesù? Ed. Ldc
<strong>GESU</strong> E’ IL <strong>CRISTO</strong><br />
MESSIANISMO<br />
Il messianismo si riferisce agli ideali di un Regno universale di Javhè, è un’attesa<br />
dell’intervento speciale di Dio. E’ una corrente dinamica del giudaismo, indica un complesso<br />
di idee bibliche non facilmente definibili; ed ha avuto un’evoluzione nei secoli.<br />
Un messianismo embrionale si trova già nella Genesi, soprattutto a partire da<br />
Abramo , cui il Signore ha promesso un terra e una discendenza. Con Mosè diventa<br />
conquistatore; la terra che viene occupata sarebbe dovuta essere la base di partenza per<br />
conquistare tutta la terra al vero Dio, ma le cose prendono un altro indirizzo, e la terra è<br />
progressivamente persa. Tuttavia si apre uno spiraglio per lo sviluppo successivo.<br />
Sarà con Davide che avrà inizio l’autentico messianismo, che sarà regale. Avendo<br />
Israele nel suo re il rappresentante autentico di quella misteriosa potenza che abita nella sua<br />
terra e nel suo tempio, sembra che tutta andrà per il verso giusto, ma le cose si guastano ancora<br />
e subito Israele finisce sconfitto a Babilonia. Il popolo non ha più nessuna istituzione ed è<br />
ridotto ad una comunità di esuli. Allora prende coscienza della santità del suo Dio e il suo<br />
messianismo sarà sofferente. Col ritorno in patria i sacerdoti rivestono un ruolo particolare e si<br />
giunge ad un messianismo sacerdotale, con l’attesa di messia sacerdote.<br />
Israele è il popolo della speranza tra i ipopoli. “ Ha la fierissima coscienza della sua<br />
unicità, derivatagli dall’elezione divina, ma anche la consapevolezza che l’attesa e la speranza,<br />
in quanto inesauribile tensione e al “più” e all’”oltre” caratterizzano la sua storia come<br />
“fallimento”: fallimento dei profeti, fallimento della monarchia e del sacerdozio, fallimento<br />
persino dell’Atteso, come attestano i Carmi del Servo sofferente. Il Dio d’Israele, come Dio<br />
della promessa, sembra essere paradossalmente il Dio dei sei giorni che non riesce a realizzare<br />
il sabato. In realtà l’Antico Testamento sa di essere un tempo incompiuto, una tensione<br />
irrisolta. Eppure, è proprio qui che nasce sempre nuova la speranza suscitata dalla<br />
Promessa, che venga finalmente un tempo in cui, al di là del fallimento, Dio vinca per<br />
sempre. In tal senso, facendo propria la speranza d’Israele, i cristiani hanno interpretato la<br />
risurrezione dopo il Venerdì Santo come il grande compimento della attese messianiche, in<br />
cui il “più” che è davanti non appare più lontano e sfuggente, ma è dato sotto forma di nuovo e<br />
definitivo inizio” ( C. Forte: Gesù di Nazaret- S. Paolo. P. 87 )
MESSIA<br />
Il termine ebraico “mesiah” (= messia ) si trova nella Bibbia 38 volte. Deriva dalla<br />
radice “masah”, che significa “ungere” e significa quindi “unto”. L’espressione più comune<br />
nei testi biblici è “il messia di Jhwh”, ( unto di Dio ): perché era messo in rapporto con Dio .<br />
Si trova più spesso nei Salmi e in Samuele ed è riferito di solito ai re; ma è applicato anche ai<br />
sacerdoti e ai patriarchi. Se era preceduto dall’articolo col tempo indicò il re ideale del<br />
futuro escatologico, quindi il liberatore di Israele.<br />
CHI E’ <strong>GESU</strong>?<br />
Le diverse opinioni sull’identità di Gesù dividevano i suoi contemporanei e hanno<br />
continuato a dividere gli uomini di ogni epoca, fino alla nostra. Oggi gran parte della gente nel<br />
nostro paese riconosce in lui il Figlio di Dio fatto uomo. Tra le verità specificamente cristiane è<br />
la più condivisa. Non manca però chi considera Gesù soltanto un grande personaggio, un<br />
profeta o addirittura una figura mitica. Ma quale idea si facevano di lui le prime comunità
cristiane? Qual è l’autentica fede della Chiesa? Possiamo rendercene conto, passando in<br />
rassegna i principali titoli attribuiti a Gesù. ( Verità vi farà liberi : 285)<br />
PIU CHE PROFETA<br />
La personalità di Gesù, soprattutto l’autorità inaudita e il totale dono di sé, lasciano<br />
trasparire un profondo mistero. Viene spontaneo domandarsi se egli non abbia provato a<br />
definire la sua identità con qualche titolo o in riferimento a qualche figura dell’Antico<br />
Testamento. Gesù si pone senz’altro al di sopra dei profeti e dei sapienti: “Ecco, ora qui c’è più<br />
di Giona!... c’è più di Salomone!” (Mt 12,41-42). Del resto, se Giovanni Battista, l’ultimo e il<br />
più grande dei profeti, ha un ruolo inferiore al più piccolo di quanti appartengono alla nuova<br />
realtà del regno di Dio, incomparabilmente più elevata deve essere la posizione di colui che<br />
rende presente il Regno stesso. Tuttavia Gesù si situa nella linea dei profeti e non respinge la<br />
qualifica di “profeta”, con cui viene designato in ambienti popolari. Solo che, a differenza<br />
della gente, non mette l’accento sul potere di taumaturgo, ma sul destino di profeta rifiutato,<br />
perseguitato e martire, perché fedele a Dio e alla missione ricevuta: “Non è possibile che un<br />
profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi<br />
coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la<br />
sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!” (Lc 13,33-34). ( Verità vi farà liberi : 218)<br />
IL FIGLIO DELL’UOMO
Per parlare di sé, Gesù preferiva usare il titolo di Figlio dell’uomo: lo si può arguire dal<br />
fatto che esso ricorre nei Vangeli ben ottantadue volte e sempre sulla sua bocca, come<br />
autodesignazione. Il riferimento è a un personaggio celeste del libro di Daniele, che appare<br />
“sulle nubi del cielo”, riceve da Dio “potere, gloria e regno” su “tutti i popoli, nazioni e<br />
lingue”, “un potere eterno, che non tramonta mai” (Dn 7,13-14). Denominandosi Figlio<br />
dell’uomo, Gesù si presenta come giudice e salvatore escatologico, che in futuro verrà nella<br />
gloria. Ma, innovando profondamente il significato di questa figura, dichiara che il Figlio<br />
dell’uomo esercita già ora il potere di giudicare e salvare; soprattutto aggiunge che egli<br />
adesso è umiliato e perseguitato. Questa tensione tra presente e futuro corrisponde alla dinamica<br />
del Regno, ora nascosto e avversato, in futuro glorioso. Il Figlio dell’uomo impersona il<br />
Regno. Dopo la sua morte e risurrezione, ricevuto il dono dello Spirito Santo, i discepoli lo<br />
capiranno meglio e potranno constatare la verità della sua parola: “Vi sono alcuni qui presenti<br />
che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza” (Mc 9,1).<br />
Intanto a tre di loro, Pietro, Giacomo e Giovanni, il Maestro concede di pregustare un<br />
anticipo della sua gloria futura. Mentre si trova in preghiera “su un alto monte” (Mt 17,1), si<br />
trasfigura. Diviene sfolgorante come la luce. Con Mosè ed Elia, che nel frattempo sono apparsi,<br />
parla della necessità di passare attraverso la croce per entrare nella gloria. Mentre una nube<br />
luminosa avvolge i discepoli, risuona la voce del Padre, che lo proclama ancora Messia-<br />
Servo, come nel battesimo al fiume Giordano, ed esorta a seguirlo nel suo difficile cammino.<br />
Mentre discendono dal monte, Gesù ribadisce ai discepoli che “il Figlio dell’uomo dovrà<br />
soffrire” (Mt 17,12), come ha sofferto Giovanni Battista. Gesù è il Figlio dell’uomo, il<br />
salvatore che in futuro verrà nella gloria e ora subisce umiliazione e persecuzione. (Verità vi<br />
farà liberi : 221-224)<br />
IL SERVO DI JAHWEH<br />
Sulla strada verso Gerusalemme, la ricerca di potenza, di benessere e di prestigio dei<br />
discepoli si scontra ripetutamente con la logica di Gesù, secondo cui il Regno è servizio e in<br />
esso il primo è colui che serve. La discussione culmina con un’affermazione<br />
importante: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la<br />
propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).<br />
Sullo sfondo affiora la misteriosa figura del Servo di JHWH, delineata dal libro di<br />
Isaia: figura di profeta inviato a Israele e a tutti i popoli, obbediente a Dio, umiliato e<br />
perseguitato a motivo della sua fedeltà. Egli è solidale con i peccatori e mite come un agnello
condotto al macello; è “schiacciato per le nostre iniquità” (Is 53,5); porta il peccato di tutti e<br />
intercede per i malvagi; ma, “dopo il suo intimo tormento vedrà la luce”, “vivrà a lungo”,<br />
riceverà “in premio le moltitudini” e realizzerà il progetto del Signore (Is 53,10-12). In<br />
riferimento a questa figura, Gesù si presenta come Messia-Servo. Ciò apparirà ancor meglio<br />
nella celebrazione dell’ultima cena.<br />
Gesù si identifica con la figura profetica del Servo del Signore: “non è venuto per<br />
essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. (Mc 10,45). ( Verità vi<br />
farà liberi : 219-220)<br />
DISCENDENTE DI DAVIDE<br />
Anticamente si chiamavano “messia” i re di Israele, in quanto consacrati con l’olio e<br />
investiti da Dio della missione di governare in suo nome. Figura tipica ne era David. A un suo<br />
discendente, secondo la promessa, Dio avrebbe affidato la sovranità su Israele per sempre.<br />
Nei periodi di crisi e di sventura nazionale, i profeti annunziavano la futura rinascita attraverso<br />
un re-messia ideale, della stirpe di David. Il popolo manteneva desta questa speranza con la<br />
preghiera dei salmi. Al tempo di Gesù l’attesa era molto viva. Ogni tanto qualcuno si metteva a<br />
capo di una banda armata e si presentava come messia condottiero, venuto a liberare Israele<br />
dalla tirannia di Erode e dal dominio di Roma. Il successo era effimero; ma la gente aspettava,<br />
sempre più ansiosa, la riscossa e il trionfo su tutti i nemici. Da parte sua, Gesù rimane cauto e<br />
reticente sulla propria identità di messia, per non essere frainteso. Preferisce che siano gli<br />
altri a pronunciarsi. Il riconoscimento definitivo, non più incerto e timido, viene dopo la Pasqua.<br />
( Verità vi farà liberi : 286)
ANNUNZIATO- CONSACRATO<br />
L'angelo ha annunziato ai pastori la nascita di Gesù come quella del Messia promesso<br />
a Israele: “Oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è il Cristo Signore” (Lc 2,11).<br />
Fin da principio egli è “colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo” (Gv 10,36),<br />
concepito come “santo”( Lc 1,35) nel grembo verginale di Maria. Giuseppe è stato chiamato da<br />
Dio a “prendere” con sé “Maria” sua “sposa”, incinta di “quel che è generato in lei dallo<br />
Spirito Santo” (Mt 1,20), affinché Gesù, “chiamato Cristo”, nasca dalla sposa di Giuseppe<br />
nella discendenza messianica di Davide ( Mt 1,16 Rm 1,3; 2Tm 2,8; Ap 22,16 ). La<br />
consacrazione messianica di Gesù rivela la sua missione divina. “È, d'altronde, ciò che indica<br />
il suo stesso nome, perché nel nome di Cristo è sottinteso colui che ha unto, colui che è stato<br />
unto e l'unzione stessa di cui è stato unto: colui che ha unto è il Padre, colui che è stato unto è il<br />
Figlio, ed è stato unto nello Spirito che è l'unzione” (Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3,<br />
18, 3). La sua consacrazione messianica eterna si è rivelata nel tempo della sua vita terrena nel<br />
momento in cui fu battezzato da Giovanni, quando Dio lo “consacrò in Spirito Santo e<br />
potenza” (At 10,38), “perché egli fosse fatto conoscere a Israele” (Gv 1,31) come suo<br />
Messia. Le sue opere e le sue parole lo riveleranno come “il Santo di Dio” (Mc 1,24; Gv 6,69;<br />
At 3,14). Numerosi giudei ed anche alcuni pagani che condividevano la loro speranza<br />
hanno riconosciuto in Gesù i tratti fondamentali del “figlio di Davide” messianico promesso<br />
da Dio a Israele (Cf Mt 2,2; Mt 9,27; Mt 12,23; Mt 15,22; Mt 20,30; 439 Mt 21,9; Mt<br />
2,15 ). Gesù ha accettato il titolo di Messia cui aveva diritto, (Cf Gv 4,25-26; Gv 11,27 ) ma<br />
non senza riserve, perché una parte dei suoi contemporanei lo intendevano secondo una<br />
concezione troppo umana, (Cf Mt 22,41-46 ), essenzialmente politica (Cf Gv 6,15; Lc 24,21).<br />
Gesù ha accettato la professione di fede di Pietro che lo riconosceva quale Messia,<br />
annunziando la passione ormai vicina del Figlio dell'uomo (Cf Mt 16,16-23 ). Egli ha così<br />
svelato il contenuto autentico della sua regalità messianica, nell'identità trascendente del Figlio<br />
dell'uomo “che è disceso dal cielo” (Gv 3,13, Gv 6,62; 440 Dn 7,13 ) come pure nella sua<br />
missione redentrice quale Servo sofferente: “Il Figlio dell'uomo. . . non è venuto per essere<br />
servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” ( Mt 20,28 Is 53,10-12 ). Per<br />
questo il vero senso della sua regalità si manifesta soltanto dall'alto della croce (Cf Gv<br />
19,19-22; Lc 23,39-43). Solo dopo la Risurrezione, la sua regalità messianica potrà essere<br />
proclamata da Pietro davanti al popolo di Dio: “Sappia dunque con certezza tutta la casa
d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!”( 2,36).<br />
(C.C.C 436-440)<br />
<strong>CRISTO</strong><br />
Cristo viene dalla traduzione greca del termine ebraico “Messia” che significa “unto”.<br />
Non diventa il nome proprio di Gesù se non perché egli compie perfettamente la missione<br />
divina da esso significata. Infatti in Israele erano unti nel Nome di Dio coloro che erano a lui<br />
consacrati per una missione che egli aveva loro affidato. Era il caso dei re, (Cf 1Sam 9,16;<br />
1Sam 10,1; 1Sam 16,1; 1Sam 16,12-13; 436 1Re 1,39 ) dei sacerdoti (Cf Es 29,7; Lv<br />
8,12) e, in rari casi, dei profeti (Cf 1Re 19,16 ). Tale doveva essere per eccellenza il caso del<br />
Messia che Dio avrebbe mandato per instaurare definitivamente il suo Regno (Cf Sal 2,2; At<br />
4,26-27) . Il Messia doveva essere unto dallo Spirito del Signore, (Cf Is 11,2) ad un tempo<br />
come re e sacerdote (Cf Zc 4,14; Zc 6,13) ma anche come profeta (Cf Is 61,1; Lc 4,16-21 ).<br />
Gesù ha realizzato la speranza messianica di Israele nella sua triplice funzione di sacerdote,<br />
profeta e re. (C.C.C 436s)<br />
<strong>GESU</strong> E’ IL <strong>CRISTO</strong>
I primi credenti dell’ambiente palestinese professano che Gesù è il Cristo, il Messia<br />
glorificato, consacrato con l’unzione di Spirito Santo, intronizzato alla destra del Padre. Quel<br />
titolo, che durante la vita terrena del Maestro poteva far pensare a una sovranità in senso<br />
politico nazionale, adesso si libera di ogni ambiguità. Gesù è Messia-re di un regno che<br />
riguarda tutti i popoli e la loro storia, ma soprattutto va al di là della storia. Davvero Dio ha<br />
glorificato il suo Servo obbediente! La professione di fede: “Gesù è il Cristo”, diventa a poco a<br />
poco un nome proprio, “Gesù Cristo”, quasi a indicare che tutta la sua esistenza umana si<br />
identifica con la missione di salvatore. E ad Antiòchia di Siria i suoi seguaci per la prima volta<br />
ricevono il nome di “cristiani” (At 11,26): nome che poi si è affermato, perché adatto a<br />
suggerire l’intimo legame con il Cristo, la partecipazione alla sua vita e alla sua missione, la<br />
consacrazione con l’unzione del suo Spirito nel battesimo e nella cresima. Gesù è “il Cristo”,<br />
che doveva “patire e risuscitare dai morti”, “per entrare nella sua gloria” (Lc 24,26.46).<br />
(Verità vi farà liberi : 287)<br />
TITOLO RIASSUNTIVO<br />
Il titolo di “Cristo” è diventato di fatto il titolo più diffuso per riferirsi a Gesù di<br />
Nazaret e, in qualche modo, il riassunto di tutti gli altri titoli. Ciò è probabilmente dovuto al<br />
fatto che, ai tempi di Gesù, tutte le speranze dei giudaismo si erano ormai in qualche modo<br />
collegate con quella messianica e quindi il riferimento a questa attesa era inevitabile per le<br />
prime comunità cristiane, se volevano rendere comprensibile ai Giudei la definitività della<br />
persona e dell’opera di Gesù . ( Serenthà: Gesù Cristo: 430 )<br />
Bibliografia:<br />
La verità vi farà liberi Ed. Cei<br />
Catechismo della Chiesa Cattolica Ed Lev<br />
Gesù Cristo ieri, oggi e sempre ( Serentha ) Ed. Ldc
<strong>GESU</strong> FIGLIO DI DIO<br />
UN PROFETA PARI A ME<br />
«Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè...» Questa diagnosi da’ alla promessa<br />
«il Signore tuo Dio susciterà [...] un profeta pari a me» una svolta escatologica. Israele può<br />
sperare in un nuovo Mosè, che non è ancora apparso, ma che emergerà al tempo opportuno. E<br />
la vera caratteristica di questo «profeta» sarà che parlerà con Dio faccia a faccia, come un amico<br />
tratta con l'amico. Il suo tratto distintivo sarà l'accesso immediato a Dio, così da poter<br />
comunicare la volontà e la parola di Dio di prima mano, senza falsificarle. Ed è questo che salva,<br />
che Israele e l'umanità stanno aspettando.<br />
A questo punto, però, dobbiamo richiamare alla memoria un'altra storia singolare sul<br />
rapporto di Mosè con Dio, narrata nel Libro dell'Esodo. Vi si racconta della preghiera che Mosè<br />
rivolge a Dio: «Mostrami la tua Gloria» (Es 33,18). La preghiera non viene accolta: «Tu non<br />
potrai vedere il mio volto» (33,20). A Mosè viene indicato un luogo nelle vicinanze di Dio,<br />
nella cavità di una rupe, dove Dio passerà con la sua Gloria. Mentre passa, Dio lo copre con la<br />
sua stessa mano che solo alla fine ritrae: «Vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può<br />
vedere» (33,23).<br />
Questo testo misterioso ha avuto un ruolo essenziale nella storia della mistica ebraica e<br />
cristiana. A partire da esso si cercò di stabilire fin dove può spingersi il contatto con Dio in<br />
questa vita e dove si colloca il confine della visione mistica. Per la nostra questione attuale resta<br />
che l'accesso immediato di Mosè a Dio -che fa di lui il grande mediatore della rivelazione, il<br />
mediatore dell'Alleanza - ha dei limiti. Egli non vede il volto di Dio anche se gli è permesso di<br />
immergersi nella nube della sua vicinanza e parlare con Lui come con un amico. La promessa di<br />
un «profeta pari a me» contiene dunque un'aspettativa inespressa ancora più grande: all'ultimo<br />
profeta, al nuovo Mosè, sarà concesso in dono quello che è negato al primo – vedere davvero
e immediatamente il volto di Dio e poter così parlare in base alla piena visione di Dio e non<br />
soltanto dopo averne visto le spalle. A questo fatto è di per sé collegata l'aspettativa che il nuovo<br />
Mosè diventerà il mediatore di un'Alleanza superiore a quella che Mosè poteva portare dal Sinai<br />
(cfr. Eb 9,11-24). ( “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger- Benedetto XVI pagine 25-26 )<br />
IL FIGLIO UNIGENITO<br />
In questo contesto va letta la fine del Prologo del Vangelo di Giovanni: «Dio nessuno l'ha<br />
mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (1,18). In<br />
Gesù si è compiuta la promessa del nuovo profeta. In Lui si è ora realizzato pienamente quanto<br />
in Mosè era solo imperfetto: Egli vive al cospetto di Dio, non solo come amico ma come Figlio;<br />
vive in profonda unità con il Padre.<br />
Solo partendo da qui si può davvero capire la figura di Gesù quale ci viene incontro<br />
nel Nuovo Testamento; tutto quello che ci viene raccontato - le parole, i fatti, le sofferenze e la<br />
gloria di Gesù - ha qui il suo fondamento. Se si lascia da parte questo centro autentico, non si<br />
coglie lo specifico della figura di Gesù, che diventa allora contraddittoria e in definitiva<br />
incomprensibile. La domanda che ogni lettore del Nuovo Testamento deve porsi, e cioè dove<br />
Gesù abbia attinto la sua dottrina, dove sia la chiave per la spiegazione del suo comportamento,<br />
trova la sua vera risposta soltanto a partire da qui. La reazione dei suoi ascoltatori fu chiara:<br />
questo insegnamento non viene da alcuna scuola. E’ radicalmente diverso da quello che si può<br />
apprendere nelle scuole. Non è spiegazione secondo il metodo interpretativo trasmesso nelle<br />
scuole. E diversa, è spiegazione «con autorità»: nella riflessione sulle parole di Gesù dovremo<br />
tornare a questa diagnosi dei suoi ascoltatori e approfondirne ulteriormente il significato.<br />
L'insegnamento di Gesù non proviene da un apprendimento umano, qualunque possa<br />
essere. Viene dall'immediato contatto con il Padre, dal dialogo «faccia a faccia», dalla visione<br />
di Colui che è «nel seno del Padre». E’ parola del Figlio. Senza questo fondamento inferiore<br />
sarebbe temerarietà. Così la giudicarono i sapienti al tempo di Gesù, proprio perché non<br />
vollero accoglierne il fondamento interiore: il vedere e conoscere faccia a faccia.<br />
Per comprendere Gesù sono fondamentali gli accenni ricorrenti al fatto che Egli si<br />
ritirava «sul monte» e lì pregava per notti intere, «da solo» con il Padre. Questi brevi accenni<br />
diradano un po' il velo del mistero, ci permettono di gettare uno sguardo dentro l'esistenza filiale<br />
di Gesù, di scorgere la fonte sorgiva delle sue azioni, del suo insegnamento e della sua<br />
sofferenza. Questo «pregare» di Gesù è il parlare del Figlio con il Padre in cui vengono coinvolte<br />
la coscienza e la volontà umane, l'anima umana di Gesù, di modo che la «preghiera» dell'uomo<br />
possa divenire partecipazione alla comunione del Figlio con il Padre.
La famosa affermazione di Adolf von Harnack secondo la quale l'annuncio di<br />
Gesù sarebbe un annuncio sul Padre, di cui il Figlio non farebbe parte – e dunque la cristologia<br />
non apparterrebbe all'annuncio di Gesù - è una tesi che si smentisce da sola. Gesù può parlare<br />
del Padre, così come fa, solo perché è il Figlio e vive in comunione filiale con il Padre. La<br />
dimensione cristologica, cioè il mistero del Figlio come rivelatore del Padre, la «cristologia», è<br />
presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù. Qui si evidenzia un altro punto importante.<br />
Abbiamo detto che nella comunione filiale di Gesù con il Padre viene coinvolta l'anima umana di<br />
Gesù nell'atto della preghiera. Chi vede Gesù vede il Padre (cfr. Gv 14,9). Il discepolo che<br />
cammina con Gesù viene in questo modo coinvolto insieme con Lui nella comunione con Dio.<br />
Ed è questo che davvero salva: il trascendere i limiti dell'essere uomo, un passo che, in lui, per<br />
la sua somiglianza con Dio è già predisposto, come attesa e possibilità, fin dalla creazione.<br />
(“Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger- Benedetto XVI pagina 26 )<br />
IL MISTERO DEL FIGLIO<br />
In un commento al libro di J. Ratzinger, il Cardinale Carlo Maria Martini ha, tra l’altro,<br />
asserito: “L'autore è convinto che «è soltanto se qualcosa di straordinario si è verificato, se<br />
la figura e le parole di Gesù hanno superato radicalmente tutte le speranze e tutte le attese<br />
dell'epoca che si spiega la sua crocifissione e la sua efficacia», e questo alla fine porta i suoi<br />
discepoli a riconoscergli il nome che il profeta Isaia e tutta la tradizione biblica avevano<br />
riservato solo a Dio (cf. pp.17-18). Applicando questo metodo alla lettura delle parole e dei<br />
discorsi di Gesù, che comprende parecchi capitoli del libro, l'autore rivela di essere persuaso<br />
«che il tema più profondo della predicazione di Gesù era il suo proprio mistero, il mistero<br />
del Figlio, nel quale Dio è presente e nel quale egli adempie la sua parola». Questo è vero per il<br />
Sermone della montagna in particolare, a cui sono dedicati due capitoli, per il messaggio delle<br />
parabole e per le altre grandi parole di Gesù. Come dice l'autore, affrontando la questione<br />
giovannea, cioè il valore storico del Vangelo di Giovanni e soprattutto delle parole che egli fa<br />
dire a Gesù, così diverse dai Vangeli sinottici, il mistero dell'unione di Gesù con il Padre è<br />
sempre presente e determina l'insieme, pur restando nascosto sotto la sua umanità (cf. p. 245).<br />
In conclusione, bisogna «che noi leggiamo la Bibbia, e in particolare i Vangeli come unità e<br />
totalità —come richiesto dalla natura stessa della parola scritta di Dio — che, in tutti i suoi strati<br />
storici, è l'espressione di un messaggio intrinsecamente coerente» (p. 215). ( C. Maria Martini )
IL SERMONE DELLA MONTAGNA<br />
Il tema del «regno di Dio» pervade tutta la predicazione di Gesù. Pertanto possiamo<br />
capirlo solamente dalla totalità del suo messaggio. Se ora rivolgiamo la nostra attenzione a uno<br />
dei passi centrali dell'annuncio di Gesù - il Discorso della montagna - vi troveremo sviluppati<br />
più profondamente i temi qui toccati solo di sfuggita. Allora ci apparirà chiaro soprattutto che<br />
Gesù parla sempre come il Figlio, che il rapporto tra Padre e Figlio è sempre sullo sfondo del<br />
suo messaggio. In questo senso Dio occupa sempre il posto centrale nel discorso; ma proprio<br />
perché Gesù stesso è Dio – il Figlio - tutta la sua predicazione è annuncio del suo stesso<br />
mistero, è cristologia, vale a dire discorso sulla presenza di Dio nel suo proprio operare ed<br />
essere. E vedremo come questo sia il punto che esige una decisione e come perciò questo sia il<br />
punto che conduce alla croce e alla risurrezione. ( “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-<br />
Benedetto XVI pagina 84 )<br />
Come dobbiamo intendere, allora, questa Torah del Messia? Che strada ci indica? Che<br />
cosa ci dice su Gesù, su Israele, sulla Chiesa; che cosa dice su noi stessi e a noi stessi? Nella<br />
ricerca di una risposta mi è stato di grande aiuto il già ricordato libro dello studioso ebreo<br />
Jacob Neusner: A Rabbi talks with Jesus (Un rabbino parla con Gesù).<br />
Neusner, un ebreo osservante e rabbino, è cresciuto in amicizia con cattolici ed<br />
evangelici, insegna all'università insieme con teologi cristiani e nutre un profondo rispetto nei<br />
confronti della fede dei suoi colleghi cristiani, ma resta saldamente convinto della validità<br />
dell'interpretazione ebraica delle Sacre Scritture. Il profondo rispetto verso la fede cristiana e<br />
la sua fedeltà al giudaismo lo hanno indotto a cercare il dialogo con Gesù.<br />
In questo libro l'autore prende posto in mezzo alla schiera dei discepoli sulla<br />
«montagna» della Galilea. Ascolta Gesù, confronta la sua parola con le parole dell'Antico<br />
Testamento e con le tradizioni rabbiniche fissate nella Mishnah e nel Talmud. Neusner vede in<br />
queste opere la presenza di tradizioni orali risalenti fino alle origini; esse gli offrono la chiave<br />
per interpretare la Torah. Egli ascolta, confronta e parla con Gesù stesso. È toccato dalla<br />
grandezza e dalla purezza delle sue parole e tuttavia inquietato da quella finale<br />
inconciliabilità che trova nel nocciolo del Discorso della montagna. Accompagna poi Gesù<br />
nel suo cammino verso Gerusalemme, avverte che nelle parole di Gesù ritorna la stessa tematica<br />
e che essa viene via via sviluppata. Cerca continuamente di capire, è continuamente toccato dalla<br />
grandezza di Gesù, e sempre riprende a parlare con Lui. Ma alla fine decide di non seguire<br />
Gesù. Rimane fedele a quello che chiama «Israele Eterno» (p. 143).<br />
Il dialogo del rabbino con Gesù mostra come la fede nella parola di Dio presente nelle<br />
Sacre Scritture crei contemporaneità attraverso i tempi: a partire dalla Scrittura il rabbino può<br />
entrare nell'oggi di Gesù e a partire dalla Scrittura Gesù viene nel nostro oggi. E’ un dialogo
molto schietto. Lascia trasparire tutta la durezza delle differenze, ma avviene in un clima di<br />
grande amore: il rabbino accetta l'alterità del messaggio di Gesù e si congeda con un distacco<br />
che non conosce odio e, pur nel rigore della verità, tiene sempre presente la forza conciliatrice<br />
dell'amore.<br />
Cerchiamo di riprendere l'essenziale di questo colloquio per conoscere meglio Gesù e<br />
comprendere più a fondo i nostri fratelli ebrei. Mi sembra che il punto centrale si palesi molto<br />
bene in una delle scene più toccanti immaginate da Neusner nel suo libro. Nel suo dialogo<br />
interiore, Neusner aveva seguito Gesù per tutto il giorno e ora si ritira per la preghiera e lo<br />
studio della Torah con gli ebrei di una cittadina, per poi discutere le cose sentite - sempre<br />
nell'idea della contemporaneità attraverso i millenni - con il rabbino del luogo. Il rabbino cita dal<br />
Talmud babilonese: «Rabbi Simelai spiegò: "Seicentotredici precetti furono dati a Mosè,<br />
trecentosessantacinque negativi corrispondenti al numero dei giorni dell'anno solare e<br />
duecentoquarantotto positivi che corrispondono alle parti del corpo umano. Venne Davide e li<br />
ridusse a undici [...] Venne Isaia e li ridusse a sei [...] Venne ancora Isaia e li ridusse a due [...]<br />
Venne poi Abacuc e li riassunse in uno solo, come sta scritto: 'II giusto vivrà per la sua fede' (Ab<br />
2,4) ». (p. 95s).<br />
Nel libro di Neusner subito dopo c'è il seguente dialogo: «"Così - dice il maestro - è<br />
questo che il saggio Gesù aveva da dire?". Io: "Non precisamente, ma quasi". Egli: "Che cosa ha<br />
tralasciato?". Io: "Nulla". Egli: "Che cosa ha aggiunto allora?". Io: "Se stesso"» (p. 96).<br />
Questo è il punto centrale dello «spavento» dell'ebreo osservante Neusner di fronte al<br />
messaggio di Gesù, ed è il motivo centrale per cui egli non vuole seguire Gesù e rimane fedele<br />
all'«Israele Eterno»: la centralità dell'Io di Gesù nel suo messaggio che imprime una nuova<br />
direzione a tutto. A dimostrazione di questa «aggiunta» Neusner cita qui la parola di Gesù al<br />
giovane ricco: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto quello che hai e seguimi» (cfr. Mt 19,21;<br />
op. cit., p. 97). La perfezione, l'essere santi come Dio è santo (cfr. Lv 19,2; 11,44), richiesta<br />
dalla Torah, adesso consiste nel seguire Gesù.<br />
Neusner tratta solo con grande rispetto e timore questa equiparazione tra Gesù e Dio,<br />
che si compie nei diversi passaggi del Discorso della montagna, ma le sue analisi evidenziano<br />
tuttavia che è proprio questo il punto per cui il messaggio di Gesù si distingue<br />
fondamentalmente dalla fede dell'«Israele Eterno». Lo fa a partire da tre comandamenti<br />
basilari, esaminando il comportamento di Gesù a loro riguardo: il quarto comandamento - quello<br />
dell'amore verso i genitori – il terzo comandamento, che impone la santificazione del sabato, e<br />
infine la prescrizione della santità a cui abbiamo appena accennato. Egli giunge al risultato, per<br />
lui inquietante, che Gesù ovviamente lo voglia condurre a trasgredire questi tre comandamenti<br />
fondamentali di Dio e a seguire invece Lui. ( “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-<br />
Benedetto XVI pagine 129-132 )<br />
SIGNORE- FIGLIO DI DIO
Già durante la vita di Gesù, gli uomini hanno cercato di interpretare la sua misteriosa<br />
figura applicandogli categorie che erano loro familiari e che avrebbero dunque dovuto decifrare<br />
il suo mistero: viene considerato Giovanni Battista, Elia o Geremia ritornato, un profeta (cfr. Mc<br />
8,28). Pietro usa nella sua confessione - come abbiamo visto - titoli diversi e più elevati: Messia;<br />
Figlio del Dio vivente. Il tentativo di riassumere il mistero di Gesù in titoli interpretativi della<br />
sua missione, anzi della sua natura, proseguì dopo la Pasqua. Sempre di più si imposero tre titoli<br />
fondamentali: Cristo (Messia), Kyrios (Signore), Figlio di Dio.<br />
Il primo titolo era, come tale, quasi incomprensibile al di fuori dell'ambito semitico.<br />
Scomparve ben presto come titolo a sé stante e venne unito con il nome di Gesù: Gesù Cristo. La<br />
parola esplicativa divenne nome, e ciò racchiude anche un messaggio più profondo: Egli è una<br />
cosa sola con il suo ufficio; il suo incarico e il suo Io sono inseparabili. Così il suo incarico è<br />
diventato a buon diritto parte del suo nome.<br />
Ora restavano i due titoli Kyrios e Figlio, che andavano entrambi nella medesima<br />
direzione. La parola «Signore», nel corso dell'Antico Testamento e del primo giudaismo, era<br />
diventata un sinonimo del nome di Dio e inseriva quindi ora Gesù nella comunione ontologica<br />
con Dio stesso, lo dichiarava il Dio vivente resosi presente a noi. Ugualmente l'espressione<br />
Figlio di Dio lo collegava con l'essere stesso di Dio. Il genere di questo legame<br />
ontologico, tuttavia, divenne oggetto di faticose discussioni da quel momento in cui la fede volle<br />
dimostrare anche la propria ragionevolezza e riconoscerla in modo chiaro. Egli è Figlio in senso<br />
traslato - nel senso di una vicinanza particolare a Dio - oppure questa espressione indica che in<br />
Dio stesso vi è un Padre e un Figlio? Che Egli è davvero «uguale a Dio», Dio vero da Dio vero?<br />
Il primo Concilio di Nicea (325) ha riassunto il risultato di questa ricerca faticosa nella parola<br />
homooùsios («della stessa sostanza») - l'unico termine fìlosofico entrato nel Credo. Questo<br />
termine filosofico serve tuttavia a proteggere l'affidabilità della parola biblica; vuole dirci: se<br />
i testimoni di Gesù ci mostrano che Egli è «il Figlio», non lo intendono in senso mitologico o<br />
politico - le due interpretazioni che si impongono a partire dal contesto dell'epoca. Questa<br />
affermazione va intesa letteralmente: sì, in Dio stesso vi è dall'eternità il dialogo tra Padre e<br />
Figlio che, nello Spirito Santo, sono davvero il medesimo e unico Dio. ( “Gesù di Nazaret” di<br />
Joseph Ratzinger- Benedetto XVI p. 368 )<br />
IL FIGLIO<br />
All'inizio di questo capitolo abbiamo già visto brevemente che i due titoli «Figlio di Dio»<br />
e «Figlio» (senza aggiunte) vanno distinti; hanno provenienza e senso molto diversi anche se<br />
poi, nella formazione della fede cristiana, i due significati si sovrappongono e si fondono. Dato<br />
che ho già trattato abbastanza estesamente l'intera questione nella mia Introduzione al<br />
cristianesimo, posso qui nell'analisi dell'espressione «Figlio di Dio» essere breve.
L'espressione «Figlio di Dio» deriva dalla teologia politica dell'antico Oriente. In<br />
Egitto come a Babilonia il re veniva chiamato «figlio di Dio»; il rituale dell'intronizzazione<br />
veniva considerato come la sua «generazione» a figlio di Dio, che in Egitto veniva forse intesa<br />
veramente nel senso di una misteriosa origine divina, mentre in Babilonia - pare - era ritenuta,<br />
con maggiore sobrietà, un atto giuridico, un'adozione divina. Queste idee sono state riprese in<br />
Israele in duplice modo e al tempo stesso trasformate dalla fede di Israele. Dio stesso ordina a<br />
Mosè di dire al faraone: «Dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito. Io ti dico: lascia<br />
partire il mio figlio perché mi serva!» (Es 4,22). I popoli sono la grande famiglia di Dio, Israele è<br />
il «figlio primogenito» e come tale si distingue per un'appartenenza particolare a Dio, con tutto<br />
ciò che «primogenitura» significa nell'antico Oriente. Durante il rafforzamento del regno<br />
davidico l'ideologia monarchica dell'antico Oriente viene ora applicata al re sul monte Sion.<br />
Nel discorso di Dio in cui Natan comunica a Davide la promessa della stabilità eterna<br />
della sua casa, troviamo la parola: «Io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue<br />
viscere, e renderò stabile il suo regno. [...] Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il<br />
male, lo castigherò [...] ma non ritirerò da lui il mio favore...» (2 Sam 7,12ss; cfr. Sl 89,27s e<br />
37s). È su questo che si basa poi il rituale dell'intronizzazione dei re di Israele che incontriamo<br />
nel Salmo 2,7s: «Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: "Tu sei mio figlio, io oggi<br />
ti ho generato. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra..."».<br />
Qui sono evidenti tre punti: il privilegio di Israele di essere il figlio primogenito di Dio<br />
si concretizza nel re; egli impersona la dignità di Israele. Ciò significa, in secondo luogo, che<br />
l'antica ideologia monarchica, la generazione mitica a opera di Dio, viene accantonata e sostituita<br />
dalla teologia dell'elezione. La «generazione» consiste nell'elezione; nell'oggi dell'atto<br />
dell'intronizzazione prende consistenza l'agire elettivo di Dio in cui Egli fa di Israele e del re che<br />
lo impersona il suo «figlio». In terzo luogo, tuttavia, diventa ovvio che la promessa del dominio<br />
sui popoli - ripresa dai grandi re dell'Oriente - è del tutto sproporzionata rispetto all'effettiva<br />
realtà del re sul monte Sion. Questi è solo un piccolissimo sovrano con un potere labile, che<br />
alla fine termina con l'esilio e può poi essere ripristinato soltanto per breve tempo e in<br />
dipendenza dalle grandi potenze. L'oracolo sul re di Sion dovette così, in fondo, diventare sin<br />
dall'inizio una parola di speranza nel re venturo, un'espressione che guardava molto al di là<br />
dell'istante e dell'«oggi», dell'ora dell'intronizzato.<br />
La cristianità delle origini riprese ben presto questa parola, scorgendone la<br />
realizzazione nella risurrezione di Gesù. Secondo Atti 13,32ss, nella sua grandiosa<br />
rappresentazione della storia della salvezza che sfocia in Cristo. Paolo dice ai giudei radunati<br />
nella sinagoga di Antiochia di Pisidia: «La promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio<br />
l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel Salmo secondo:<br />
“Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato”. Sarà sicuramente lecito considerare il discorso qui<br />
tramandatoci dagli Atti degli Apostoli come un modello dell'incipiente predicazione missionaria<br />
ai giudei, in cui incontriamo la lettura cristologica dell'Antico Testamento fatta dalla Chiesa<br />
nascente. Troviamo qui pertanto una terza fase della trasformazione della teologia politica<br />
dell'antico Oriente: se in Israele e nel regno davidico essa si era fusa con la teologia dell'elezione<br />
dell'Antica Alleanza e nel corso dello sviluppo del regno davidico era diventata sempre di più<br />
un'espressione di speranza nel futuro re, ora è la risurrezione di Gesù che viene creduta come<br />
l'«oggi» atteso del Salmo. Ora Dio ha costituito il suo re, cui da’di fatto in eredità le genti.<br />
Questa «signoria» sui popoli della terra, però, non ha più alcun carattere politico.<br />
Questo re non spezza le genti con il suo scettro di ferro (cfr. Sl 2,9) – Egli regna dalla croce, in<br />
maniera totalmente nuova. L'universalità si compie nel modo umile della comunione nella fede;<br />
questo re regna attraverso la fede e l'amore, non diversamente. Così la parola di Dio: «Tu sei<br />
mio figlio, io oggi ti ho generato» può essere intesa ora in maniera del tutto nuova e definitiva.<br />
Il termine «Figlio di Dio» si stacca dalla sfera del potere politico e diventa espressione di<br />
un'unione particolare con Dio che si manifesta sulla croce e nella risurrezione. A partire da<br />
questo contesto veterotestamentario è tuttavia impossibile chiarire la profondità a cui giunge
tale unione, questo essere Figlio di Dio. Per dare a questa parola il suo significato completo,<br />
occorre che confluiscano altre correnti della fede biblica e della testimonianza personale di<br />
Gesù.<br />
Prima di passare al semplice titolo «il Figlio» con il quale Gesù designa se stesso,<br />
conferendo un significato definitivo e «cristiano» al titolo «Figlio di Dio», derivato<br />
originariamente dalla sfera politica, dobbiamo però ancora portare a termine la storia<br />
dell'espressione stessa. Di essa, infatti, fa parte la circostanza che l'imperatore Augusto, sotto il<br />
cui regno nacque Gesù, applicò a Roma la teologia monarchica dell'antico Oriente e si<br />
autoproclamò «figlio del divino (Cesare)», figlio di Dio (cfr. P. Wùlfìng v. Martitz, GLNT XIV,<br />
pp. 103ss; p. 112). Se, con Augusto, ciò avvenne ancora con grande prudenza, il culto imperiale<br />
romano, iniziato poco dopo, significò che la piena rivendicazione della filiazione di Dio e con<br />
ciò dell'adorazione divina dell'imperatore venne accolta a Roma, diventando vincolante per tutto<br />
l'impero.<br />
Si incontrano quindi in questo momento della storia la rivendicazione della regalità<br />
divina da parte dell'imperatore romano e la convinzione cristiana che il Cristo risorto è il vero<br />
Figlio di Dio, cui appartengono i popoli della terra e a cui solo, nell'unità di Padre, Figlio e<br />
Spirito Santo, spetta l'adorazione dovuta a Dio. La fede di per sé apolitica dei cristiani, che non<br />
pretende alcun potere politico, bensì riconosce l'autorità legittima (cfr. Rm 13,1-7), si scontra<br />
così inevitabilmente, nel titolo «Figlio di Dio», con la rivendicazione di totalità del potere<br />
politico imperiale, e si scontrerà sempre con le potenze politiche totalitarie, venendo spinta a<br />
forza nella situazione del martirio - in comunione con il Crocifisso che regna soltanto «dal<br />
legno».<br />
Dall'espressione «Figlio di Dio» e dal suo complesso passato va rigorosamente distinta<br />
la semplice espressione «il Figlio», che incontriamo essenzialmente solo sulle labbra di Gesù.<br />
Al di fuori dei Vangeli compare cinque volte nella Lettera agli Ebrei (cfr. 1,2.8; 3,6; 5,8; 7,28),<br />
un testo molto vicino al Vangelo di Giovanni, e una volta in Paolo (cfr. 1 Cor 15,28);<br />
l'espressione, riallacciata all'autotestimonianza giovannea di Gesù, ricorre inoltre cinque volte<br />
nella Prima Lettera di Giovanni e una volta nella Seconda Lettera di Giovanni. Decisive sono la<br />
testimonianza del Vangelo di Giovanni (in cui troviamo la parola diciotto volte) e<br />
l'esclamazione di giubilo messianico tramandataci da Matteo (cfr. 1,25ss.) e Luca (cfr. 10,21s),<br />
che viene considerata spesso - e giustamente - un testo giovanneo nella cornice della tradizione<br />
sinottica. Esaminiamo innanzitutto questa esclamazione di giubilo messianico: «In quel tempo<br />
Gesù disse: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste<br />
queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è<br />
piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e<br />
nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare"» (Mt<br />
11,25ss; cfr. Lc 10,21s).<br />
Cominciamo da quest'ultima frase, a partire dalla quale si schiude il tutto. Solo il<br />
Figlio «conosce» davvero il Padre: la conoscenza richiede sempre in qualche modo<br />
l'uguaglianza. «L'occhio non potrebbe vedere il sole se non avesse in sé la natura del sole», ha<br />
scritto Goethe commentando una parola di Plotino.<br />
Ogni processo conoscitivo comprende sempre, in qualche modo, un processo di<br />
assimilazione, una sorta di unificazione interna tra chi conosce e chi viene conosciuto, che varia<br />
a seconda del livello ontologico del soggetto conoscente e dell'oggetto conosciuto. La vera<br />
conoscenza di Dio presuppone la comunione con Dio, anzi l'unità ontologica con Dio. Nella<br />
sua preghiera di lode il Signore dice dunque la stessa cosa che udiamo nella parola conclusiva<br />
del Prologo di Giovanni, ormai più volte considerata: «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il<br />
Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (1,18). Questa parola fondamentale<br />
è - come si mostra ora - la spiegazione di ciò che emerge nella preghiera di Gesù, nel suo dialogo<br />
filiale. Al tempo stesso diventa chiaro che cosa sia questo «il Figlio», che cosa significhi
questa espressione: significa perfetta comunione conoscitiva che è insieme comunione<br />
ontologica. L'unità della conoscenza è possibile solo perché è unità dell'essere.<br />
Solo il «Figlio» conosce il Padre, e ogni vera conoscenza del Padre è partecipazione alla<br />
conoscenza del Figlio, una rivelazione che Egli dona («Lui lo ha rivelato» dice Giovanni).<br />
Conosce il Padre solo colui al quale il Figlio lo «voglia rivelare». Ma a chi il Figlio vuole<br />
rivelarlo? La volontà del Figlio non è arbitraria. La parola riguardante la volontà di rivelazione<br />
del Figlio in Matteo 11,27 rimanda al versetto iniziale 25, dove il Signore dice al Padre: «Le hai<br />
rivelate ai piccoli». Se prima incontriamo l'unità della conoscenza tra il Padre e il Figlio, nel<br />
legame tra i versetti 25 e 27 diventa visibile l'unità della volontà di entrambi.<br />
La volontà del Figlio è una cosa sola con il volere del Padre. Questo, infatti, è un tema<br />
ricorrente dei Vangeli. Nel Vangelo di Giovanni si mette in rilievo con particolare enfasi che<br />
Gesù consente totalmente con la volontà del Padre. In modo drammatico viene rappresentato<br />
questo processo per arrivare al con-sentimento, all'atto della fusione tra le due volontà nella<br />
scena dell'orto degli Ulivi, dove Gesù solleva la volontà umana, la trascina dentro la sua<br />
volontà filiale e così dentro l'unità di volontà con il Padre. La seconda domanda del Padre<br />
nostro trova qui la sua collocazione: in essa chiediamo che il dramma del monte degli Ulivi,<br />
della lotta interna di tutta la vita e di tutta l'attività di Gesù, si compia in noi; chiediamo che,<br />
insieme con Lui, il Figlio, consentiamo con la volontà del Padre, diventando così figli anche noi:<br />
nell'unità di volontà che diviene unità di conoscenza.<br />
Con ciò diventa ora comprensibile l'inizio dell'esclamazione di giubilo che, in un primo<br />
momento, può sembrare sconcertante. Il Figlio vuole coinvolgere nella sua conoscenza filiale<br />
tutti coloro che il Padre vuole renderne partecipi; «Nessuno può venire a me, se non lo attira il<br />
Padre che mi ha mandato» dice Gesù in questo senso durante il discorso del pane a Cafarnao (Gv<br />
6,44). Ma chi vuole attirare il Padre? «Non i dotti e i sapienti», ci dice il Signore, bensì i<br />
semplici.<br />
Questo è innanzitutto semplice espressione dell'esperienza concreta di Gesù: a<br />
conoscerlo non sono gli scribi, coloro che si occupano professionalmente di Dio; essi restano<br />
impigliati nell'intrico delle loro conoscenze dei dettagli. Il grande sapere preclude loro il<br />
semplice sguardo sul tutto, sulla realtà di Dio stesso che si rivela - in effetti, ciò non può essere<br />
così semplice per colui che sa tante cose circa la complessità dei problemi. Paolo ha espresso la<br />
medesima esperienza e ne ha tratto ulteriori riflessioni: «La parola della croce infatti è stoltezza<br />
per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta<br />
scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l'intelligenza degli intelligenti (cfr.<br />
Is 29,14). [...] Considerate infatti la vostra vocazione, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti<br />
secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è<br />
stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti<br />
[...] perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1 Cor l,18s.26-29). «Nessuno si illuda.<br />
Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente»<br />
(1 Cor 3,18). Ma che cosa si intende con questo «farsi stolto», con questo «essere piccoli», che<br />
apre l'uomo ad accogliere la volontà e di conseguenza la conoscenza di Dio?<br />
Il Discorso della montagna ci fornisce la chiave per scorgere il fondamento interno di<br />
questa singolare esperienza e con ciò anche la via della conversione, dell'aprirsi al<br />
coinvolgimento nella conoscenza filiale: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio»,<br />
leggiamo in Matteo 5,8. E’ la purezza del cuore che permette di vedere. In essa consiste quella<br />
semplicità ultima che apre la nostra vita alla volontà di rivelarsi di Gesù. Si potrebbe anche dire:<br />
la nostra volontà deve diventare volontà del Figlio. Allora riusciremo a vedere. Essere figlio<br />
significa tuttavia esistere all'interno di un rapporto; è un concetto di relazione. Comporta<br />
l'abbandono dell'autonomia che si chiude in se stessa; include ciò che Gesù intende con la parola<br />
del diventare bambini. Così comprendiamo anche il paradosso che è ulteriormente sviluppato nel<br />
Vangelo di Giovanni: il fatto che Gesù sia, da una parte, totalmente sottomesso al Padre in
quanto Figlio e, dall'altra, si trovi proprio per questo totalmente nell'uguaglianza con il Padre,<br />
sia davvero uguale a Lui, sia una cosa sola con Lui.<br />
Torniamo all'esclamazione di giubilo. Questa uguaglianza che abbiamo trovato<br />
espressa nei versetti 25 e 27 come unione nella volontà e nella conoscenza si collega, nella prima<br />
metà del versetto 27, alla missione universale di Gesù, ed è così riferita alla storia universale:<br />
«Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio». Se esaminiamo l'esclamazione di giubilo dei<br />
sinottici in tutta la sua profondità, ci accorgiamo che, in realtà, essa contiene già tutta la<br />
teologia giovannea del Figlio. Anche lì l'essere Figlio è conoscenza reciproca e unità nel volere.<br />
Anche lì il Padre è il datore, che, però, ha affidato «ogni cosa» al Figlio e proprio così l'ha<br />
reso Figlio, uguale a se stesso: «Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie» (Gv<br />
17,10). E anche lì questo «dare» del Padre raggiunge la sua creazione, il «mondo»: «Dio infatti<br />
ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). La parola «unigenito»<br />
rimanda, da una parte, al Prologo, dove il Logos viene definito «l'unigenito Dio - monogenès<br />
theòs» (1,18). Dall'altra, ricorda tuttavia anche Abramo, che non rifiutò a Dio suo figlio, il suo<br />
«unico figlio» (Gn 22,2.12). Il «dare» del Padre si compie nell'amore del Figlio «sino alla<br />
fine» (Gv 13,1), ossia fino alla croce. Il mistero trinitario dell'amore che si delinea nel titolo «il<br />
Figlio» è una cosa sola con il mistero d'amore nella storia che si compie nella Pasqua di Gesù.<br />
Anche in Giovanni, infine, il titolo «il Figlio» trova la sua collocazione nella preghiera<br />
di Gesù, che però è diversa dalla preghiera della creatura: è il dialogo d'amore in Dio stesso - il<br />
dialogo che è Dio. Al titolo «il Figlio» corrisponde così il semplice appellativo «Padre» che<br />
l'evangelista Marco ha conservato per noi nella sua forma originaria aramaica «Abbà» nella<br />
scena nell'orto degli Ulivi. Joachim Jeremias, in vari studi approfonditi, ha dimostrato la<br />
singolarità di questo appellativo di Dio che, nella sua intimità, era impensabile nell'ambiente di<br />
Gesù. In esso si esprime l'«unicità» del «Figlio». Paolo ci fa sapere che i cristiani, in base al<br />
dono da parte di Gesù della partecipazione al suo Spirito di Figlio, sono autorizzati a dire:<br />
«Abbà, Padre» (cfr. Rm 8,15; Gal 4,6). È chiaro, pertanto, che questo nuovo modo di pregare dei<br />
cristiani è possibile solo a partire da Gesù, a partire da Lui - l'Unigenito.<br />
Il titolo Figlio con quello corrispondente di Padre — Abbà ci consente di guardare<br />
veramente nell'intimo di Gesù, anzi nell'intimo di Dio stesso. La preghiera di Gesù è la vera<br />
origine di questo titolo «il Figlio». E senza antecedenti nella storia, proprio come il Figlio stesso<br />
«è nuovo» sebbene Mosè e i Profeti confluiscano in Lui. Il tentativo di costruire antecedenti<br />
pre-cri-stiani, «gnostici», per questa espressione a partire dalla letteratura post-biblica, per<br />
esempio dalle Odi di Salomone (II secolo d.C.), e di dichiarare Giovanni dipendente da essi, è<br />
privo di senso, se in qualche modo si rispettano le possibilità e i limiti del metodo storico. C'è<br />
l'originalità di Gesù. Solo Lui è «il Figlio».<br />
«IO SONO»<br />
Tra le parole di Gesù tramandateci dai Vangeli vi è, soprattutto in Giovanni, ma (anche<br />
se non con la medesima chiarezza e in misura minore) pure nei sinottici, il gruppo delle<br />
espressioni «Io Sono», presenti in duplice forma. Nella prima Gesù dice semplicemente «Io<br />
Sono» o «che Io Sono», senza ulteriori aggiunte; nella seconda l'«Io Sono» viene determinato<br />
nel suo contenuto con maggiore precisione attraverso espressioni figurate: Io sono la luce del
mondo, la vera vite, il buon pastore e così via. Se questo secondo gruppo, all'inizio, sembra<br />
immediatamente comprensibile, l'enigmaticità del primo gruppo è tanto più grande.<br />
Vorrei concentrarmi solo su tre passi giovannei in cui la formula compare nella sua veste<br />
tutta semplice e rigorosa, per poi passare a una parola sinottica di cui esiste un chiaro parallelo<br />
in Giovanni.<br />
Le due affermazioni più importanti di questo genere si trovano nella disputa di Gesù che<br />
segue le parole da Lui pronunciate durante la festa delle Capanne. In esse Egli si era presentato<br />
come sorgente di acqua viva (cfr.Gv 7,37s). Ciò aveva condotto a divisioni all'interno del<br />
popolo: alcuni si domandavano, allora, se Egli non fosse davvero il profeta tanto atteso, altri<br />
sottolineavano che dalla Galilea non sarebbe sorto alcun profeta (cfr. 7,40.52). Ora Gesù dice<br />
loro: «Voi [...] non sapete da dove vengo o dove vado. [...] Voi non conoscete nè me nè il Padre»<br />
(8,14.19). Chiarisce il concetto aggiungendo; «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di<br />
questo mondo, io non sono di questo mondo» (8,23). E ora arriva la frase decisiva: «Se infatti<br />
non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati» (8,24).<br />
Che cosa significa? Vorremmo chiedergli: «Che cosa sei, allora? Chi sei?». E, di fatto, è<br />
questa la risposta dei giudei: «Tu chi sei?» (8,2.5). Che cosa mai significa «che Io Sono»?<br />
L'esegesi, comprensibilmente, si è messa in cammino per individuare le origini di questa<br />
espressione, per poterla decifrare, e noi nel nostro tentativo di capire dobbiamo fare<br />
altrettanto. Sono state indicate varie origini: i tipici discorsi di rivelazione orientali (Eduard<br />
Norden), gli scritti mandei (Eduard Schweizer), che però sono molto più recenti dei libri del<br />
Nuovo Testamento.<br />
Frattanto si è ampiamente imposta la convinzione che la radice spirituale di questa<br />
espressione non vada ricercata in un luogo qualsiasi, bensì nel mondo a Gesù familiare,<br />
nell'Antico Testamento e nel giudaismo in cui Egli viveva. Qui non è necessario esaminare<br />
l'ampio sfondo di testi veterotestamentari che i ricercatori hanno evidenziato nel frattempo.<br />
Vorrei citare soltanto i due testi essenziali che contano.<br />
Vi è anzitutto Esodo 3,14 - la scena del roveto ardente da cui Dio chiama Mosè che, a sua<br />
volta, chiede a questo Dio che si è rivolto a lui: «Come ti chiami?». La risposta che gli viene data<br />
è costituita dall'enigmatico nome «YHWH», il cui significato lo stesso Dio, che parla, spiega<br />
con la frase altrettanto enigmatica: «Io sono colui che sono». Qui non occorre occuparci delle<br />
molteplici interpretazioni di questa frase; è sufficiente ricordare che questo Dio si definisce<br />
semplicemente «lo-Sono». Egli semplicemente è. E naturalmente ciò significa anche che Egli è<br />
sempre presente - per gli uomini, ieri, oggi, domani.<br />
Nel grande momento della speranza di un nuovo esodo alla fine dell'esilio babilonese, il<br />
Deutero-Isaia ha ripreso e sviluppato il messaggio del roveto. «Voi siete i miei testimoni -<br />
oracolo del Signore - miei servi, che io mi sono scelto perché mi conosciate e crediate in me e<br />
comprendiate che sono io. Prima di me non fu formato alcun dio né dopo ce ne sarà. Io, io sono<br />
YHWH, fuori di me non v'è salvatore» (Is 43,10s). «Perché mi conosciate e crediate in me e<br />
comprendiate che sono io» - l'antica formula «'ani YHWH» viene ora abbreviata nell'espressione<br />
«’ani hu'»: io, quello, sono io. L'«Io Sono» è diventato più energico e, sebbene il mistero<br />
rimanga, anche più chiaro.<br />
Nell'epoca in cui Israele era senza terra e senza tempio, Dio - secondo i criteri tradizionali<br />
- era escluso dalla concorrenza tra le divinità, perché un Dio che non aveva terra alcuna e non<br />
poteva essere venerato non era neppure un Dio. In quel tempo Israele imparò a comprendere<br />
appieno la diversità e la novità del suo Dio: Egli non era semplicemente il «suo» Dio, il Dio di<br />
un popolo e di un paese, bensì il Dio per eccellenza, il Dio dell'universo, cui appartenevano tutti<br />
i paesi, il cielo e la terra; il Dio che dispone di tutti; il Dio che non ha bisogno di essere venerato<br />
con il sacrifìcio di tori e montoni, ma che viene veramente onorato solo mediante l'agire<br />
rettamente.<br />
Ancora una volta: Israele ha capito che il suo Dio era «Dio» per eccellenza. E così l'«Io<br />
Sono» del roveto ardente ha nuovamente trovato il suo significato: questo Dio semplicemente
è. Proprio presentandosi nella parola; «Io Sono» come colui che è, Egli si presenta nella sua<br />
unicità. Questa è sicuramente una delimitazione rispetto alle tante divinità esistenti all'epoca, ma<br />
soprattutto, in modo pienamente positivo, è la manifestazione della sua unicità e singolarità<br />
indescrivibili.<br />
Quando Gesù dice: «Io Sono», riprende questa storia e la riferisce a sé. Indica la sua<br />
unicità: in Lui è presente in persona il mistero dell'unico Dio. «Io e il Padre siamo una cosa<br />
sola.» Heinrich Zimmermann ha sottolineato a ragione che Gesù, con questo «Io Sono», non si<br />
colloca accanto all'Io del Padre (TThZ 69 (1960) 6), bensì rimanda al Padre. Ma proprio così<br />
parla anche di se stesso. Si tratta precisamente dell'inseparabilità tra Padre e Figlio. Essendo il<br />
Figlio, Gesù può pronunciare l'autopresentazione del Padre. «Chi ha visto me ha visto il<br />
Padre» (Gv 14,9). E inversamente: perché le cose stanno veramente così, Egli, in quanto Figlio,<br />
può pronunciare la parola rivelatrice del Padre.<br />
Nell'intero discorso dialettico, in cui si trova questo versetto, si parla appunto dell'unità<br />
tra Padre e Figlio. Per una corretta comprensione dobbiamo ricordare soprattutto ciò che<br />
abbiamo osservato a proposito del titolo «il Figlio», il suo radicamento nel dialogo tra Padre e<br />
Figlio. Lì abbiamo visto che Gesù è interamente «relazionale», in tutto il suo essere non è<br />
altro che rapporto con il Padre. A partire da questa relazionalità va inteso l'uso della formula<br />
del roveto ardente e di Isaia; l'«Io Sono» si colloca totalmente nella relazionalità tra Padre e<br />
Figlio.<br />
Dopo la domanda dei giudei, che è anche la nostra domanda: «Tu chi sei?», Gesù rinvia<br />
innanzitutto a Colui che l'ha mandato e a nome del quale Egli parla al mondo. Ripete ancora<br />
una volta la formula di rivelazione, l’«Io Sono», che però ora estende alla storia futura.<br />
«Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono» (Gv 8,28). Sulla croce<br />
il suo essere il Figlio, il suo essere una cosa sola con il Padre, diventa riconoscibile. La croce è<br />
la vera «altezza». E’ l'altezza dell'amore «sino alla fine» (Gv 13,1); sulla croce Gesù è<br />
all'«altezza» di Dio, che è Amore. Lì si può «conoscerlo», si può capire l'«Io Sono».<br />
Il roveto ardente è la croce. La suprema pretesa di rivelazione, l'«Io Sono» e la croce di<br />
Gesù sono inseparabili. Qui non troviamo una speculazione metafìsica, ma la realtà di Dio si<br />
manifesta qui nel bel mezzo della storia, per noi. «Allora saprete che Io Sono» - quando si<br />
realizza questo «allora»? Si realizza continuamente nella storia, iniziando dal giorno della<br />
Pentecoste, durante il quale i giudei «si sentirono trafiggere il cuore» (At 2,37) dal discorso di<br />
Pietro e, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, si fecero battezzare in tremila, unendosi<br />
così alla comunità degli apostoli (cfr. 2,41). Si realizzerà appieno alla fine della storia, di cui il<br />
veggente dell'Apocalisse dice: «Ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero...» (Ap 1,7).<br />
Al termine delle dispute dell'ottavo capitolo, l'«Io Sono» di Gesù compare un'altra<br />
volta, ora ampliato e spiegato in un'altra direzione. Ancora è in sospeso la domanda: «Tu chi<br />
sei?», che sottintende al tempo stesso la domanda: «Da dove vieni?». Si giunge così a parlare<br />
della discendenza dei giudei da Abramo e, da ultimo, della paternità di Dio stesso: «II nostro<br />
padre è Abramo. [...] Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!» (Gv<br />
8,39.41).<br />
Il rimando degli interlocutori di Gesù oltre Abramo alla paternità di Dio offre al Signore<br />
l'opportunità di spiegare ancora una volta con chiarezza le sue origini, nelle quali, di fatto, si<br />
compie con pienezza il mistero di Israele a cui i giudei stessi hanno fatto allusione con il<br />
superamento della discendenza da Abramo in direzione della discendenza da Dio stesso.<br />
Abramo, ci insegna Gesù, non rimanda soltanto, al di là di se stesso, a Dio Padre - egli<br />
rimanda soprattutto, verso il futuro, a Gesù, il Figlio: «Abramo, vostro padre, esultò nella<br />
speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8,56). All'obiezione dei giudei<br />
secondo cui Gesù non avrebbe potuto vedere Abramo, segue ora la replica: «Prima che<br />
Abramo fosse, Io Sono» (8,58). «Io Sono» - ecco ancora una volta misteriosamente innalzato il<br />
semplice «Io Sono», questa volta definito, però, dal contrasto con il «fosse» di Abramo. Al<br />
mondo dell'arrivare e del passare, al mondo del sorgere e del tramontare si contrappone l'«Io
Sono» di Gesù. Rudolf Schnackenburg osserva giustamente che qui non si tratta solo di una<br />
categoria temporale, bensì «di una fondamentale differenza ontologica [...], la pretesa di Gesù<br />
ad un modo di essere assolutamente unico, che va oltre le categorie umane» viene formulata con<br />
chiarezza (]ohannesevangelium II, p. 61).<br />
Giungiamo ora alla vicenda tramandata da Marco riguardo a Gesù che, in seguito alla<br />
prima moltiplicazione dei pani, cammina sulle acque (cfr. 6,45-52). Questa narrazione ha un<br />
parallelo ampiamente concordante nel Vangelo di Giovanni (cfr. 6,16-21). Seguiremo<br />
essenzialmente Zimmermann, che ha analizzato il testo con accuratezza (TThZ (1960) 12s).<br />
Dopo la moltiplicazione dei pani Gesù ordina ai discepoli di salire sulla barca e di<br />
avviarsi verso Betsàida; Egli invece si ritira «sul monte» a pregare. In mezzo al lago, la barca dei<br />
discepoli non avanza a causa di un forte vento contrario. Il Signore, in preghiera, li vede e va<br />
verso di loro camminando sulle acque. Lo spavento dei discepoli, che vedono Gesù camminare<br />
sulle acque, è comprensibile; gridano ed «erano rimasti turbati». Ma Gesù si rivolge loro in tono<br />
benevolo: «Coraggio, sono io, non temete!» (Mc6,50).<br />
In un primo momento si interpreterà questo «sono io» come una semplice formula di<br />
identificazione con cui Gesù si fa riconoscere e cerca di placare la paura dei suoi. Questa<br />
spiegazione non è però del tutto esauriente. Successivamente, infatti, Gesù sale sulla barca e il<br />
vento cessa; Giovanni aggiunge che approdano di lì a poco. Il particolare curioso è che a questo<br />
punto i discepoli si turbano davvero: «Ed erano enormemente stupiti» afferma drasticamente<br />
Marco (6,51). Perché? In ogni caso, il timore dei discepoli non è rimosso insieme con l'iniziale<br />
paura di vedere un fantasma, bensì raggiunge il suo culmine proprio nel momento in cui Gesù<br />
sale sulla barca e il vento cessa all'improvviso.<br />
Si tratta evidentemente del tipico timore «teofanico», il timore che assale l'uomo quando<br />
si vede esposto direttamente alla presenza di Dio. L'abbiamo già incontrato alla fine della pesca<br />
miracolosa, dove Pietro, per esempio, non ringrazia con gioia, bensì si spaventa fino in fondo<br />
all'anima, si lascia cadere ai piedi di Gesù e dice: «Signore, allontanati da me che sono un<br />
peccatore» (Lc 5,8). Ad assalire i discepoli è la «paura di Dio». Camminare sulle acque è infatti<br />
qualcosa che attiene a Dio: «Egli da solo stende i cieli e cammina sulle onde del mare», si dice di<br />
Dio nel Libro di Giobbe (9,8; cfr. Sl 76,20 secondo i Settanta; Is 43,16). Quel Gesù che<br />
cammina sulle acque non è solo la persona a loro familiare - in Lui i discepoli riconoscono<br />
all'improvviso la presenza di Dio stesso.<br />
E altrettanto l'azione di calmare la tempesta va oltre i limiti delle capacità umane e<br />
rimanda al potere di Dio stesso. Per questo nella classica vicenda della tempesta sedata i<br />
discepoli si dicono l'un l'altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare<br />
obbediscono?» (Mc 4,41). In questo contesto anche l'«Io Sono» suona diversamente: è più<br />
della semplice autoidentifìcazione di Gesù; il misterioso «Io Sono» degli scritti giovannei<br />
sembra riecheggiare anche qui. In ogni caso, è fuor di dubbio che l'intero avvenimento si<br />
presenti come teofania, come incontro con il mistero divino di Gesù, motivo per cui, in<br />
Matteo, si conclude logicamente con l'adorazione (proskynesis) e la parola dei discepoli: «Tu<br />
sei veramente il Figlio di Dio!» (Mt 14,33).<br />
Veniamo ora alle affermazioni in cui l'«Io Sono» è contenutisticamente specificato da<br />
una parola figurata. In Giovanni vi sono sette di queste parole-immagini; e il fatto che siano<br />
proprio sette non è un caso: Io sono il pane della vita - la luce del mondo - la porta - il buon<br />
pastore - la risurrezione e la vita - la via, la verità e la vita - la vera vite. Schnackenburg<br />
sottolinea giustamente che è lecito aggiungere a queste grandi immagini anche quella della<br />
sorgente d'acqua che, pur non essendo direttamente collegata con il tipico «Io Sono», si trova<br />
tuttavia in affermazioni di Gesù in cui Egli si presenta come questa sorgente (cfr. 4,14; 6,35;<br />
7,38; cfr. anche 19,34). Su alcune di queste immagini abbiamo già riflettuto a fondo nel capitolo<br />
dedicato a Giovanni. Basti pertanto indicare qui sinteticamente il significato comune di queste<br />
parole di Gesù in Giovanni.
Schnackenburg osserva che tutte queste espressioni figurate non sono che «variazioni<br />
sull'unico tema: Gesù è venuto nel mondo affinchè gli uomini abbiano la vita e l'abbiano in<br />
abbondanza (10,10). Egli concede il dono unico della vita, e lo può concedere perché in Lui è<br />
presente in un'abbondanza originaria e inesauribile la vita divina» (vol II, p. 101). L'uomo<br />
desidera e abbisogna, in fin dei conti, di una cosa sola: la vita, vita piena - la «felicità». In un<br />
passo del Vangelo di Giovanni, Gesù definisce questa cosa unica e semplice che aspettiamo: la<br />
«gioia piena» (cfr. 16,24).<br />
Quest'unica cosa di cui si tratta nei tanti desideri e nelle tante speranze dell'uomo<br />
è espressa anche nella seconda domanda del Padre nostro: «Venga il tuo regno». Il «regno di<br />
Dio» è la vita in abbondanza - proprio perché non è solo «felicità» privata, gioia individuale,<br />
bensì il mondo giunto alla sua giusta forma, l'unità tra Dio e il mondo.<br />
L'uomo, in fondo, ha bisogno di un'unica cosa che contiene tutto; ma deve prima<br />
imparare a riconoscere attraverso i suoi desideri e i suoi aneliti superficiali ciò di cui necessita<br />
davvero e ciò che vuole davvero. Ha bisogno di Dio. Così possiamo ora vedere che dietro tutte<br />
le espressioni figurate c'è in ultima istanza questo: Gesù ci da’ la «vita» perché ci da’ Dio. Ce<br />
lo può dare perché è Egli stesso una cosa sola con Dio. Perché è il Figlio. Egli stesso è il dono -<br />
Egli è «la vita». Proprio per questo è, secondo l'intera sua natura, comunicazione, «proesistenza».<br />
E proprio questo che sulla croce appare come il suo vero innalzamento.<br />
Riepiloghiamo. Abbiamo individuato tre espressioni in cui Gesù insieme vela e svela il<br />
mistero di sé: Figlio dell'uomo, Figlio, Io Sono. (nota: le riflessioni su: “Figlio dell’uomo”,<br />
si trovano nel libro di J Ratzinger-Benedetto XVI nelle pagine 369-384, e qui non sono state<br />
riportate )<br />
Tutte e tre le espressioni dimostrano il suo profondo radicamento nella parola di Dio,<br />
la Bibbia di Israele, l'Antico Testamento. Tutte queste espressioni, comunque, ricevono il loro<br />
significato pieno solo in Lui; hanno, per così dire, atteso Lui.<br />
In tutte e tre si manifesta l'originalità di Gesù – la sua novità, la sua caratteristica<br />
esclusiva, per la quale non vi sono ulteriori derivazioni. Tutte e tre sono dunque possibili solo<br />
sulle sue labbra - in modo centrale la parola «Figlio», cui corrisponde l'appellativo di<br />
preghiera Abbà - Padre. Per questo nessuna delle tre poteva diventare così com'era una<br />
semplice espressione di confessione della «comunità», della Chiesa nascente.<br />
Questa ha deposto il contenuto di tutte e tre le espressioni incentrate sul «Figlio» nella<br />
locuzione «Figlio di Dio», staccandola così definitivamente dal suo passato mitologico e<br />
politico. Sulla base della teologia dell'elezione di Israele essa riceve ora un significato del tutto<br />
nuovo, delineato nei discorsi quando Gesù parla come il Figlio e come «Io Sono».<br />
E’ stato necessario chiarire compiutamente questo nuovo significato mediante processi<br />
molteplici e diffìcili di differenziazione e di ricerca faticosa, per proteggerlo dalle interpretazioni<br />
mitico-politeistiche e politiche. Questo fu il motivo per il quale il Primo Concilio di Nicea (325<br />
d. C.) impiegò l'aggettivo homooùsios (della stessa sostanza). Questo termine non ha<br />
ellenizzato la fede, non l'ha gravata di una filosofìa estranea, bensì ha fissato proprio<br />
l'elemento incomparabilmente nuovo e diverso che era apparso nel parlare di Gesù con il<br />
Padre. Nel Credo di Nicea la Chiesa dice insieme con Pietro sempre di nuovo a Gesù: «Tu sei il<br />
Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). ( “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-<br />
Benedetto XVI pagine 384-405 )
<strong>GESU</strong> <strong>CRISTO</strong> FIGLIO DI DIO<br />
La confessione di fede in Gesù Cristo Figlio di Dio è una formula abbreviata che<br />
esprime il dato essenziale e l’elemento specifico dell’intera fede cristiana. Con tale confessione<br />
sta o cade la stessa fede cristiana.<br />
Il termine “figlio di Dio” si usava nell’A.T. per qualificare il popolo, il re quale<br />
rappresentante del popolo e anche il pio giudeo. Il titolo si può comprendere sullo sfondo della<br />
fede nell’elezione.<br />
Anche nel N.T. il termine va interpretato alla luce della tradizione di Isreale, ma<br />
esso subisce un’improvvisa reintepretazione, che avviene alla luce della vita, morte e<br />
risurrezione di Gesù. La storia e il destino concreti di Gesù divennero un’interpretazione della<br />
natura ad opera di Dio stesso. La storia e il destino di Gesù furono concepiti come la storia<br />
dell’auto-evento di Dio. Giovanni esprime questo dicendo: “Chi ha visto me, ha visto il Padre”<br />
.<br />
<strong>GESU</strong> SI PRESENTA COME DIO
Nei Sinottici, e ancor più nel Quarto Vangelo, Gesù rivendica per sé una relazione<br />
speciale con Dio inteso come Padre, una relazione assolutamente unica ed esclusiva: “ Tutto<br />
mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre; nessuno conosce il<br />
Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” ( Mt 11, 27 ). “Io e il Padre<br />
siamo una cosa sola “ ( Gv 10, 30 ). “ Il Padre è in me e io nel Padre” (Gv 10, 38). Dice che<br />
conosce il Padre: “ Io invece lo conosco” ( Gv 8, 56) e che esiste prima di Abramo: ”Prima che<br />
Abramo fosse, io sono” (Gv 8, 55 ). Col Padre ha un rapporto di Figlio, si dichiara “Figlio”<br />
e chiama Dio Padre, “abbà” ( = Padre carissimo). Gesù si riferisce a Dio come a un Padre,<br />
mentre lui è Figlio, che ha un rapporto di pari divinità. Dichiara quindi che esiste in Dio il<br />
fatto della “paternità” e quello della “figliolanza” e che Dio esiste come Padre e come<br />
Figlio. Dice che tutto ciò che ha il Padre lo ha dato a lui, e che chi vede lui vede il Padre.<br />
E’ proprio perché egli stesso si dichiara apertamente Figlio di Dio che viene condannato a<br />
morte (“Tu dunque sei il Figlio di Dio? ed egli disse loro: “ lo dite voi tessi: io lo sono” : Lc<br />
22, 70 ).<br />
Il Padre approva quanto lui fa e quanto dice con molti miracoli e lo proclama suo<br />
Figlio nel Battesimo e nella Trasfigurazione (“Tu sei il mio Figlio prediletto in te mi sono<br />
compiaciuto” Mc 1,11; “ Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” : Mt<br />
17,5 ).<br />
Nella rivelazione di Gesù, Javhè che nell’Antico Testamento era creduto unico in<br />
assoluto, rivela una pluralità di persone, pur essendo unico nella sostanza. Questa pluralità di<br />
persone è tuttavia specificata da Gesù che la circoscrive a tre: Padre, Figlio e Spirito Santo.<br />
Lo Spirito Santo “riposa”, trova la sua dimora, la “schekinah” su Gesù. Con l’inabitazione,<br />
della Ruah Javhé, Gesù entra in rapporto col Padre. Egli, rivelando la propria identità di<br />
Figlio, rivela definitivamente il volto di Dio: Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo.<br />
Gesù lascia intravedere l’identità della sua persona divina anche compiendo egli<br />
stesso le opere di Dio: assolve i peccati, guarisce i lebbrosi, risuscita i morti e lo fa in nome di<br />
se stesso. Egli non dice solo la verità, ma dichiara di essere “la verità”. Non promulga solo la<br />
Legge è la Legge stessa.<br />
Due opere in modo particolare contribuiscono a dischiudere il mistero della<br />
personalità di Gesù: l’annunzio e l’avvento del Regno e la sua resurrezione.<br />
L’annunzio del Regno è il cuore del suo messaggio, è la Buona Novella, il Vangelo. Il<br />
suo è il Regno in cui si fa la volontà del Padre e Dio regna dove si compie la sua volontà. La<br />
signoria di Dio (basileia tou theou) deve far fronte a continue resistenze, contrasti, avversità.<br />
La condizione prima per l’avvento del Regno e per la partecipazione ad esso, è il<br />
riconoscimento di Gesù come Figlio di Dio, come Messia, che non è soltanto il profeta del<br />
Regno, ma colui che lo realizza .<br />
L’altra opera fondamentale è la risurrezione di Gesù, irrinunciabile per la fede<br />
cristiana, infatti “ se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana la<br />
nostra fede” : 1 Cor 15, 14 ). Con la risurrezione , che pone il sigillo alla persona di Gesù e alla<br />
sua opera, si compie l’autorivelazione di Gesù. Infatti, riappropriandosi della propria vita,<br />
Gesù, in quanto Dio, dimostra di essere ”padrone della vita” e mostra che il suo Regno è in<br />
mezzo a noi. Nessun uomo è mai risorto e tanto meno nessun morto si è mai risuscitato.<br />
L’esclamazione di Tommaso dice chiaramente la fede degli Apostoli: “Mio Signore<br />
mio Dio” (Gv 20, 28 ). Dopo la risurrezione, per l’azione dello Spirito Santo donato, la<br />
Chiesa ha sempre ritenuto Gesù "Signore” (Adonai- Kirios), ossia Dio. Spesso con questo<br />
titolo lo si indica nel NT : “ es. “Gesù è il Signore” : 1 Cor 12, 3; Rm 10, 9); “Per noi c’è un<br />
solo Dio, il Padre…… e un solo Signore, Gesù Cristo” ( 1 Cor 8, 5 ). “”Vieni, Signore” ( 1<br />
Cor, 16, 22; Ap 22,20) Da sempre la Chiesa crede che Gesù è il Verbo, il Figlio di Dio, Dio<br />
come il Padre, che si è fatto uomo (“In principio era il Verbo…il Verbo era Dio. .. e si fece<br />
carne e venne ad abitare tra gli uomini” : Gv 1, 2 ss) “Annientò se stesso, facendosi<br />
obbediente fino alla morte” (Paolo ). Lo considera da sempre vero Dio e vero uomo, che dopo
la morte siede alla destra del Padre ( Ecco io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo alla<br />
destra di Dio”: At 7, 56 ) ed è il Dio con noi, l’Emmanuele, che può rassicurare i discepoli: “<br />
Io sarò con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20 ).<br />
SINGOLARE UNITA COL PADRE<br />
“Figlio di Dio”, nell’Antico Testamento, veniva chiamato Israele, in quanto scelto da<br />
Dio e prediletto tra tutti i popoli; e poi anche il re di Israele, in quanto governava come<br />
rappresentante di JHWH. La fede cristiana delle origini, attribuendo a Gesù questo titolo, lo<br />
intese in un senso incomparabilmente più alto: Gesù è il Figlio unico di Dio, eternamente<br />
partecipe della sua vita, eternamente amato.<br />
Durante la vita pubblica, Gesù aveva destato sorpresa per la familiarità con cui<br />
chiamava Dio “Abbà (Papà)”. Coerentemente aveva presentato se stesso come “il Figlio”,<br />
rivolto verso il Padre con un rapporto unico di sottomissione, perfetta intimità e reciprocità.<br />
È soprattutto il Vangelo di Giovanni che mette in risalto il singolarissimo legame di<br />
Gesù con il Padre. Con ineffabile gratitudine, Gesù è consapevole di ricevere tutto da lui: “Il<br />
Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa” (Gv 3,35). A sua volta il Figlio vive<br />
totalmente per la gloria del Padre: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e<br />
compiere la sua opera” (Gv 4,34). E, di fronte alla passione, l’obbedienza arriva alla suprema<br />
dedizione: “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi<br />
ha comandato. Alzatevi, andiamo” (Gv 14,31). L’unità del Figlio con il Padre è tale, che<br />
vedendo l’uno si vede anche l’altro: sono uno nell’altro, sono una cosa sola. Il Padre, che in se<br />
stesso è invisibile, si rivela e si dona attraverso il Figlio. Il suo amore inaudito per gli uomini si<br />
manifesta attraverso l’amore del Figlio: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio<br />
ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui” (1Gv 4,9).<br />
L’unità di rivelazione del Figlio con il Padre suppone l’unità di essere. Il Figlio si distingue<br />
dal Padre, in quanto con lui dialoga, da lui è inviato e a lui è sottomesso; tuttavia non gli è<br />
inferiore, perché opera con lui in tutte le sue opere, vive da sempre presso di lui, è Dio insieme a<br />
lui, quasi una sua “irradiazione e... impronta” (Eb 1,3), “Dio da Dio, luce da luce, Dio vero<br />
da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Gesù è il Figlio<br />
unigenito di Dio fatto uomo, che ci introduce nell’intimità del Padre, perché “nessuno<br />
conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale<br />
il Figlio lo voglia rivelare” . (Mt 11,27). ( Verità vi farà liberi 294-296 )
IL VERBO FATTO CARNE<br />
Con riferimento alla cultura giudeo-ellenistica, largamente imbevuta di tradizione biblica<br />
sulla parola di Dio e sulla divina sapienza, il Vangelo di Giovanni presenta Gesù in modo<br />
originale come “il Verbo (la Parola)”. Inesauribile efficacia, secondo l’Antico Testamento,<br />
possiede la parola di Dio, che conduce la storia degli uomini, crea e governa l’universo. A sua<br />
volta la divina sapienza abita dall’eternità accanto a Dio ed è artefice di tutte le cose: è un<br />
riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine<br />
della sua bontà. Sebbene unica, essa può tutto, pur rimanendo in sé .<br />
Il Vangelo di Giovanni va oltre queste personificazioni e addita una persona precisa. Il<br />
Verbo eterno del Padre, creatore del mondo e guida della storia, vicino a Dio e Dio lui stesso,<br />
non è un’astrazione evanescente, ma si è fatto uomo mortale, in un luogo e in un tempo<br />
determinati; si identifica con la persona di Gesù di Nàzaret: “In principio era il Verbo, il<br />
Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo<br />
a noi; e noi vedemmo la sua gloria” (Gv 1,1.14). Il Verbo invisibile apparve dunque<br />
visibilmente nella nostra carne; colui che è generato prima dei secoli cominciò ad esistere<br />
anche nel tempo, per reintegrare l’universo nel disegno del Padre e ricondurre a lui l’umanità<br />
dispersa. Il nostro pensiero, per poter raggiungere gli altri, diventa suono di una voce. Il Verbo<br />
di Dio, per esprimersi e donarsi agli uomini, si è fatto vero e fragile uomo, con una storia<br />
umanissima di libertà e di finitudine. Senza lasciare il cielo, dove da sempre e per sempre vive<br />
rivolto al Padre, è disceso sulla terra per essere Dio con noi, nostro amico e fratello. Ha<br />
condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana, fino alla quotidianità più<br />
dimessa. Ha provato fame e sete, lavoro, stanchezza e sonno; ha conosciuto gioia e<br />
pianto, compassione e paura, amicizia e sdegno, sorpresa e meraviglia, tristezza e solitudine,<br />
tentazione spirituale e tortura fisica. È cresciuto “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli<br />
uomini” (Lc 2,52); ha imparato l’obbedienza attraverso quello che ha sofferto. Con la morte e<br />
la risurrezione ha portato a compimento la sua crescita di uomo. Il Verbo eterno, immagine<br />
perfetta del Padre, si è fatto carne, fragile uomo, solidale con gli uomini deboli e mortali.<br />
(Verità vi farà liberi 297-300 )
IL SIGNORE<br />
Le comunità palestinesi di lingua aramaica, tutte protese alla futura venuta del Messia<br />
nella gloria, lo invocavano già come Signore: “Marana tha” (1Cor 16,22), “Signore nostro<br />
vieni!”. Successivamente, nelle comunità ellenistiche di lingua greca, acquista grande<br />
importanza la professione di fede: “Gesù è il Signore” (1Cor 12,3; Rm 10,9), come condizione<br />
per essere salvati. Nello stesso tempo l’accento si sposta dall’attesa per il futuro alla presenza<br />
attuale della salvezza. Secondo l’Antico Testamento, “Signore” (in ebraico Adonài, in greco<br />
Kyrios) è titolo riservato a Dio: “Io sono il Signore e non v’è alcun altro” (Is 45,5). Gesù<br />
come uomo riceve dal Padre questo nome, “che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2,9), a<br />
motivo della sua obbedienza fino alla morte in croce; ma nella profondità della sua persona da<br />
sempre vive insieme a Dio e in perfetta uguaglianza con lui. La signoria che egli esercita sui<br />
singoli credenti e sulla Chiesa, sulla storia degli uomini e sul mondo intero, è quella stessa di<br />
Dio, per dare vita e salvezza con la potenza dello Spirito. Egli non opprime, ma libera e fa<br />
crescere. Chi piega il ginocchio davanti a lui, rimane in piedi davanti ai potenti della terra e non<br />
teme il destino o la minaccia di forze oscure.<br />
Nella fede delle comunità cristiane di cultura ellenistica viene sempre più esplicitata la<br />
signoria di Cristo nei confronti dell’universo. Ogni creatura è orientata verso di lui fin dal<br />
principio e aspetta di trovare in lui la sua verità e il suo compimento. Le potenze cosmiche sono<br />
da lui sottomesse e ricondotte all’armonia, perché il mondo non precipiti nel caos e nel nulla.<br />
Egli trascende l’universo, perché esiste prima di tutte le cose, che “sono state create per mezzo<br />
di lui e in vista di lui” (Col 1,16). Gesù è il Signore della storia e dell’universo. Affidando a<br />
lui la propria vita, i cristiani sono liberi dall’idolatria, dalla paura e dalla superstizione. (Verità<br />
vi farà liberi p.289-292)
<strong>GESU</strong> SALVATORE UNIVERSALE<br />
DIO PRIMO PROTAGONISTA DELLA SALVEZZA<br />
Chi ha provocato la morte di Gesù? I suoi avversari storici soltanto? Oppure Dio ha<br />
fatto ricadere su di lui il castigo dovuto ai nostri peccati? Ha fondamento l’immagine di un Dio<br />
inflessibile, che soddisfa le esigenze della giustizia attraverso il sacrificio di un innocente?<br />
Addentrandoci in questi interrogativi ci accostiamo al significato della redenzione. Dal punto<br />
di vista storico, la morte di Gesù è stata voluta dalle autorità ebraiche e romane del tempo<br />
e dalla folla di Gerusalemme abilmente manipolata; non da tutti gli ebrei di allora; tanto meno<br />
da quelli delle generazioni successive. Ma le cause storiche non spiegano adeguatamente la<br />
croce di Cristo: ad un livello diverso tutti gli uomini ne sono responsabili. Quei pochi che, in<br />
varia misura, l’hanno provocata direttamente sono soltanto i rappresentanti del peccato,<br />
radicato in ogni uomo, in ogni popolo e in ogni epoca: “Cristo morì per i nostri peccati<br />
secondo le Scritture” (1Cor 15,3).“Secondo le Scritture” significa: secondo il progetto di<br />
Dio adombrato nell’Antico Testamento. Dietro la morte di Gesù c’è dunque un disegno di<br />
Dio, un disegno di amore, che la fede della Chiesa chiama “mistero della redenzione”. Come<br />
l’antico Israele fu liberato dalla schiavitù d’Egitto per ricevere il dono dell’alleanza e della<br />
terra promessa, così l’umanità intera viene redenta, cioè liberata dalla schiavitù del peccato e<br />
introdotta nel regno di Dio. Sorprendendo ogni umana aspettativa, Dio si rivela nella<br />
debolezza e nella stoltezza della croce come amore senza misura; abbraccia mediante il<br />
Crocifisso coloro che sono lontani da lui; quindi finalizza la morte del suo Messia alla<br />
salvezza dei peccatori, mediante la gloriosa risurrezione. ( La Verità vi farà liberi : 244 )
MISTERO D’AMORE<br />
Il mistero della redenzione, secondo il Nuovo Testamento, è mistero di amore. Per<br />
avvicinarci ad esso il più possibile, nessuna prospettiva o linguaggio è più adatto di quello<br />
dell’amore gratuito. Dio è in sé perfettissimo, felice e immutabile: non può né diminuire né<br />
crescere, né perdere né acquistare. È per amore del tutto libero e gratuito che chiama in<br />
essere le creature e concede la sua alleanza. Non acquista nulla per sé; vuole solo comunicare<br />
vita e perfezione; ma lo vuole con assoluta serietà, appassionatamente.<br />
L’uomo, creato libero, si chiude con il peccato all’amore e ai doni di Dio. Danneggia<br />
se stesso, non Dio. A ognuno potrebbero essere rivolte le parole di Eliu nel libro di Giobbe:<br />
“Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te. Se pecchi, che gli fai? Se<br />
moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi? Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa<br />
riceve dalla tua mano? Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d’uomo la tua<br />
giustizia!” (Gb 35,5-8). E con il concilio Vaticano II si potrebbe aggiungere: “Il peccato è una<br />
diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza”. Tuttavia il<br />
peccatore offende Dio e gli procura una misteriosa “sofferenza”, che, secondo la Bibbia, è<br />
amarezza e delusione, gelosia, ira e soprattutto compassione. Al di là degli evidenti<br />
antropomorfismi, dobbiamo pensare che Dio viene offeso nel suo amore di Creatore e di<br />
Padre, con cui liberamente si rivolge all’uomo e si lega a lui; viene offeso nel suo voler donare<br />
e si oppone attivamente con la sua volontà santificatrice alla miseria dell’uomo come fosse la<br />
propria, per vincere il male con il bene. ( La Verità vi farà liberi 244-246)<br />
Nel suo amore sempre fedele, nella sua misericordia senza limiti, “Dio ha tanto amato<br />
il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia<br />
la vita eterna” (Gv 3,16). Lo ha mandato, uomo tra gli uomini; gli ha ispirato e comunicato il<br />
suo amore misericordioso per i peccatori, lo ha consegnato nelle loro mani, donandolo<br />
incondizionatamente, nonostante il rifiuto ostinato e omicida. L’iniziativa è del Padre: “È<br />
stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo” (2Cor 5,19). È lui che ama per<br />
primo; è lui che per primo “soffre una passione d’amore”, “la passione dell’impassibile”; è<br />
lui che infonde nel Cristo la carità e suscita la sua mediazione redentrice, da cui derivano a noi<br />
tutti i benefici della salvezza. “Questo imperscrutabile e indicibile “dolore” di Padre” suscita<br />
“l’ammirabile economia dell’amore redentivo di Gesù Cristo”.<br />
Il Cristo accoglie liberamente l’iniziativa del Padre: “Il Figlio da sé non può fare<br />
nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa” (Gv 5,19).<br />
Condivide l’atteggiamento misericordioso del Padre, la sua volontà e il suo progetto: “Ha dato
se stesso per i nostri peccati..., secondo la volontà di Dio e Padre nostro” (Gal 1,4). Si è<br />
donato agli uomini senza riserve, si è consegnato nelle loro mani, senza tirarsi indietro di<br />
fronte alla loro ostilità, prendendo su di sé il peso del loro peccato: “uno è morto per tutti”<br />
(2Cor 5,14). Così ha vissuto e testimoniato nella sua carne la fedeltà incondizionata di Dio<br />
all’umanità peccatrice. Questa è la sua obbedienza e la sua offerta sacrificale a Dio: “Ha dato<br />
se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,2).<br />
Si è offerto “con uno Spirito eterno” (Eb 9,14). Come il fuoco consumava le vittime<br />
sacrificali degli antichi sacrifici rituali, così “lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa<br />
assoluta autodonazione del Figlio dell’uomo, per trasformare la sofferenza in amore<br />
redentivo”. Lo Spirito Santo era la forza divina della carità che il Padre ispirava nel Figlio e<br />
il Figlio accoglieva, offrendosi per noi. ( La Verità vi farà liberi: 245-249 )<br />
<strong>GESU</strong> SALVATORE<br />
Dio, nella sua misericordia, non solo dona agli uomini peccatori il Figlio unigenito<br />
irrevocabilmente, fino alla morte in croce, ma lo risuscita a loro vantaggio, costituendolo<br />
loro “capo e salvatore” (At 5,31). Dopo aver reso Gesù solidale con noi fino alla morte, il<br />
Padre lo ricolma della sua compiacenza, lo glorifica con la risurrezione e lo costituisce<br />
principio di rigenerazione per tutti gli uomini con la potenza dello Spirito Santo: “È stato<br />
messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Rm<br />
4,25). Nell’evento globale della morte e risurrezione di Cristo si attua il mistero della<br />
redenzione, in quanto viene preparato e “reso perfetto” (Eb 5,9) per il genere umano il<br />
Salvatore, incarnazione dell’amore misericordioso e potente del Padre. “Colui che è più forte<br />
di ogni cosa al mondo, è apparso immensamente debole... Egli si è abbassato per gli uomini<br />
facendosi uomo e noi siamo saliti su un uomo abbassatosi fino a terra. Egli si è rialzato e noi<br />
siamo stati elevati”.<br />
Dopo l’evento pasquale, attraverso il ministero della Chiesa, in virtù dello Spirito di<br />
Cristo, la salvezza raggiunge i singoli uomini. Così la vita nuova “viene da Dio, che ci ha<br />
riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione... Noi<br />
fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro” (2Cor<br />
5,18.20). I credenti, accogliendo la redenzione, diventano anche cooperatori della salvezza<br />
degli altri. Seguendo Cristo, sostenuti dalla sua grazia, abbracciano la croce, muoiono al
proprio egoismo, ricevono la forza nuova dell’amore e la introducono nel tessuto sociale della<br />
famiglia umana.<br />
Dio Padre ha mandato il suo Figlio tra gli uomini, lo ha lasciato in balìa della loro<br />
violenza, lo ha reso solidale con i peccatori fino alla morte in croce, lo ha risuscitato come loro<br />
Salvatore: “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede<br />
in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Gesù Cristo, condividendo l’amore del<br />
Padre per noi peccatori, si è consegnato nelle nostre mani, si è donato senza riserve fino alla<br />
morte, ha portato il peso dei nostri peccati; quindi è risuscitato per comunicarci lo Spirito<br />
Santo e renderci giusti. Così ha manifestato l’amore misericordioso del Padre, lo ha<br />
glorificato. Lo Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio, ha animato l’esistenza umana di<br />
Gesù, in modo che fosse un continuo dono di sé agli uomini, fino al vertice supremo della<br />
morte in croce e della risurrezione. Gli uomini, nella misura in cui sono peccatori, sono<br />
solidali con chi ha condannato e ucciso Gesù; ma possono convertirsi e diventare giusti,<br />
perché l’amore di Dio e di Cristo è più forte di ogni peccato. ( La Verità vi farà liberi : 250-<br />
452 )<br />
MOVIMENTI DISCENDENTE E ASCENDENTE<br />
Che cosa intendiamo quando diciamo che Gesù è salvatore? Che cosa vuol dire che ci<br />
ha donato la vita? La riflessione credente ha utilizzato un ricchissimo corredo di immagini,<br />
che possiamo distinguere secondo un punto di vista discendente e uno ascendente, vale a<br />
dire, secondo il movimento che va da Dio verso l’uomo e secondo il movimento che<br />
dall’uomo si rivolge a Dio. Sviluppando le immagini presenti nel N.T. si è pensato, in<br />
direzione discendente a Gesù salvatore come illuminatore e rivelatore, redentore e<br />
liberatore, come colui che divinizza e giustifica. In prospettiva ascendente, lo si è visto come<br />
colui che si sacrifica ed espia i peccati, che è nostro rappresentante solidale. Queste<br />
prevalenti figure, impiegate dalla tradizione cristiana, esprimono, con accenti diversi,<br />
l’efficacia che promana dall’evento pasquale laddove si è realizzato, in Gesù Cristo<br />
conciliatore, il perdono dei peccati e il dono della vita nuova. Gesù Cristo non è venuto<br />
soltanto a riparare il peccato, ma a donarci una vita nuova, addirittura migliore di quella di<br />
Adamo prima del peccato. ( Gronchi: “Gesù suo unico Figlio” pag 78 ss )
VARI ASPETTI DELLA SALVEZZA<br />
In verità, quando parliamo di Gesù salvatore comprendiamo, al tempo stesso, più<br />
aspetti. Anzitutto il Dio trinitario ci ha salvati gratuitamente e per amore con la morte e<br />
risurrezione del suo Figlio (aspetto oggettivo), eppure questa salvezza deve divenire effettiva<br />
per ciascuno di noi, mediante una collaborazione libera e responsabile (aspetto soggettivo) . In<br />
secondo luogo, essere salvati non significa soltanto liberazione deal male e perdono dei<br />
peccati ( aspetto sanante), ma anche ingresso nella vita di Dio, partecipazione ad una<br />
relazione di comunione e di gioia (aspetto elevante), che avrà il suo esito nella gloria eterna, a<br />
cui prenderà parte l’intera creazione in una dimensione cosmica (aspetto escatologico) . Infine,<br />
la salvezza non riguarda ciascuno di noi da solo, ma insieme alla comunità, nella quale siamo<br />
inseriti con il battesimo (aspetto ecclesiale). (Gronchi: “Gesù suo unico Figlio” pag 78 ss. )<br />
DISEGNO ETERNO DI AMORE<br />
Il disegno salvifico del Dio Padre di Gesù Cristo affonda le sue radici<br />
nell’eternità. Egli sa fin dall’inizio la fragilità dei suoi figli; proprio in questa debolezza
creaturale ci ha plasmati perché non bastassimo a noi stessi. Le Scritture d’Israele e quelle<br />
cristiane scorgono al principio dell’umanità un disorientamento fondamentale che nasce da<br />
rifiuto della fiducia, da una superba disobbedienza: questo blocco iniziale porta il nome di<br />
peccato d’origine, e tutti gli uomini di ogni tempo vi si trovano coinvolti, loro malgrado, fin<br />
dalla nascita. Eppure non è il peccato il centro della storia, ma Gesù Cristo. Qui sta la<br />
chiave per comprendere anche che cosa sia il peccato, ovvero rifiuto dell’amore, poter fare<br />
come se il Dio dell’amore non ci fosse, cercare qualcos’altro dal suo amore. Noi non<br />
potremmo comprendere che questo è il senso profondo del peccato se Gesù non ci avesse<br />
rivelato che Dio è questo: “Amante degli uomini” , ad ogni costo, fino alla morte e alla morte<br />
di croce ( Fil 2, 8 ). Dunque prima vi è l’amore di Dio, poi il peccato dell’uomo; il secondo<br />
viene alla luce come negativo del primo; ed è in questo movimento ondulatorio che si disegna<br />
la storia della salvezza, fatta di conflitti e di riconciliazioni. La misericordia di Dio, pertanto, si<br />
presenta come offerta di amore, magari non richiesto dall’uomo, e perciò anche per questo<br />
peccatore, che non si arresta di fronte a nulla, neppure al rimetterci di persona; e questo<br />
accade a Gesù. Il Figlio mandato dal Padre, che è venuto nella sua casa, tra i suoi, e questi<br />
non lo hanno accolto (Gv 1, 11 ). ( Gronchi: “Gesù suo unico Figlio” pag 78 ss )<br />
L’OBBEDIENZA CHE CI SALVA<br />
La redenzione non è un prezzo pagato al Padre per placare la sua ira e nemmeno per<br />
ristabilire l’ordine della giustizia. La redenzione è l’obbedienza totale del nuovo Adamo che,<br />
cancellando la disobbedienza del primo, ristabilisce il circuito interrotto fra la terra e il<br />
cielo. La terra è ora preparata a ricevere il dono della salvezza, il dono dello Spirito<br />
santificatore e rigeneratore. L’umanità salvata può ricominciare da capo. Da un punto di<br />
vista esistenziale e personale, la redenzione è l’esempio di vita nuova lasciato per sempre dal<br />
Figlio di Dio passato sulla nostra terra e la possibilità di imitarlo per la forza e la grazia dello<br />
Spirito Santo. Se è compiuta la redenzione oggettiva, quella soggettiva si compie giorno per<br />
giorno nel corso dell’esistenza dei singoli uomini. In senso stretto Gesù non ha sostituito<br />
nessuno; la redenzione è anche collaborazione del salvato: il battesimo e le opere buone<br />
sono le vie obbligate per tutti e da interpretarsi in questo senso. La spiritualità cristiana<br />
consiste nel proseguimento del cammino del Salvatore, nella sua sequela. Il detto di Marco<br />
8, 34 : “Se qualcuno vuol venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua” , è da<br />
interpretarsi in questo senso. E il cammino della sequela deve essere sempre illuminato dalla<br />
certezza della vittoria della risurrezione, il verdetto del Padre sulle sconfitte umane, l’aurora
del mondo nuovo che illumina per sempre il cammino degli uomini sulla terra. (G. Frosini:<br />
Chi dite che io sia –Edb p. 156 )<br />
INTERPRETAZIONI<br />
Varie categorie sono state proposte per spiegare come Gesù ci ha salvati. Alle<br />
quattro classiche ( sacrificio, redenzione, soddisfazione, merito), se ne sono aggiunte col<br />
tempo altre. Delle principali viene fatta di seguito una breve sintesi.<br />
Sacrificio<br />
“Sacrificio” è la morte di Gesù in quanto porta a compimento “una volta per tutte”<br />
(Eb 7,27) il senso dei riti sacrificali dell’Antico Testamento: i sacrifici di alleanza, l’olocausto,<br />
l’oblazione, il sacrificio pacifico, quello di riparazione e quello di espiazione, soprattutto il<br />
sacrificio dell’agnello pasquale. Tali sacrifici convergono in definitiva verso un unico<br />
obiettivo: attuare la comunione dell’uomo con Dio, rendendolo partecipe della sua santità.<br />
Redenzione o Riscatto<br />
“Riscatto” “a caro prezzo” (1Cor 6,20; 7,23) significa che l’opera della liberazione è<br />
stata onerosa per Cristo; non che egli abbia pagato il prezzo a Dio come a un creditore esoso.<br />
Anzi l’iniziativa parte proprio dall’amore di Dio ed è assolutamente gratuita, come la<br />
liberazione di Israele dall’Egitto. Le forme di linguaggio, con cui nella tradizione cristiana è<br />
stato presentato il mistero della redenzione, vengono interpretate correttamente nella<br />
prospettiva dell’amore prioritario e gratuito del Padre; fuori di essa rischiano di essere<br />
fraintese.<br />
Soddisfazione<br />
“Soddisfazione” vuol dire che la croce di Cristo ricostruisce l’ordine oggettivo del<br />
mondo e il suo giusto rapporto con Dio, riparando i danni causati dal peccato. Dio è<br />
soddisfatto nel suo amore creatore e santificatore, nel suo voler dare appassionato. È giusto<br />
con se stesso, perché egli è carità. La sua è una giustizia giustificante, che rende giusto chi non<br />
lo è e concretamente coincide con la sua misericordia. È lui stesso che suscita la mediazione e<br />
l’intercessione di Cristo, e subordina ad essa ogni suo altro dono.
Merito<br />
“Merito” esprime il valore sommo davanti a Dio dell’offerta di sé, con cui il Cristo<br />
si dispone a ricevere dal Padre la gloriosa risurrezione e a diventare principio di vita nuova<br />
per i peccatori. In definitiva tutte le interpretazioni convergono nell’indicare la compiacenza<br />
del Padre per la dedizione del Cristo e la costituzione di lui risorto come unico Salvatore per<br />
tutti. ( La Verità vi farà liberi : 253-258 )<br />
Espiazione<br />
“Espiazione” è da intendere come purificazione, non come castigo sostitutivo. Cristo<br />
non è stato condannato da Dio al posto nostro, anche se ha sofferto al posto nostro e a<br />
vantaggio nostro. Dio lo ha consegnato, non condannato; lo ha fatto diventare “maledizione<br />
per noi” (Gal 3,13), ma non è stato lui a maledirlo. L’amore di Dio ha fatto di Cristo lo<br />
strumento di espiazione, cioè di purificazione dei nostri peccati, di riconciliazione dei<br />
peccatori e di restaurazione dell’alleanza. La croce del Redentore non ci esime dal portare la<br />
nostra. Al contrario ci risana e ci rimette in piedi, perché camminiamo sulle sue orme. Siamo<br />
chiamati, come lui, a servire gli altri, accettando fatiche, rinunce e sofferenze.<br />
Solidarietà e rappresentanza<br />
Solidarietà e rappresentanza sono due modelli che si sono fatti strada nella teologia<br />
contemporanea, sulla base di una lettura più approfondita della Bibbia. Con essi si mette in<br />
luce l’opera di Gesù in favore dell’umanità peccatrice. Egli è l’uomo solidale con tutti,<br />
compresi i carnefici: il protagonista di una nuova solidarietà, che sostituisce la vecchia<br />
solidarietà con il vecchio Adamo. La spiegazione del peccato originale con la terminologia<br />
della solidarietà non è più scandalosa, se un’altra solidarietà può bilanciarne e sostituirne le<br />
conseguenze. La solidarietà è una tipica categoria della Bibbia. Per questa gli uomini non<br />
sono isole separate, realtà autonome senza legami fra di loro, ma sono intimamente uniti nella<br />
stessa vita e nella stessa sorte.<br />
Un’altra teoria tipicamente biblica è quella della rappresentanza. Su di essa ha<br />
scritto belle pagine J Ratzinger a proposito della Chiesa. Si ricordi il caso di Abramo, di<br />
Mosè, del misterioso personaggio descritto dai carmi del Servo di Jhwh, E’ il principio della<br />
“pars pro toto”, dell’uno per tutti. Un principio soppiantato con l’andar del tempo dalla<br />
teoria della soddisfazione, la quale include certamente l’idea di rappresentanza, ma la ricopre<br />
talmente di categorie giuridiche da renderla quasi inintelligibile.<br />
Sia il concetto di solidarietà che quello di rappresentanza non solo non annullano<br />
la collaborazione dell’uomo, come potrebbe invece suggerire la parola “sostituzione”, ma ne<br />
esaltano il contributo. La propria dedizione personale a Dio non è resa superflua dalla morte<br />
di Gesù, ma anzi è resa da questa possibile. Gesù è il modello che condanna i vecchi modelli<br />
di esistenza e chiama a vita nuova. Se c’è un momento esclusivo che riguarda il solo<br />
rappresentante, c’è anche un momento inclusivo che chiama in causa i rappresentati. (G.<br />
Frosini: Chi dite che io sia –Edb p. 157 )
PARTECIPAZIONE ALLA VITA DIVINA<br />
La salvezza è la persona di Gesù Cristo. Egli è colui che è ripieno di Spirito<br />
Santo e chi partecipa di questa pienezza è salvo. La salvezza è quindi la partecipazione<br />
alla vita divina, manifestatasi per mezzo dello Spirito Santo in Gesù Cristo,<br />
Gesù Cristo irradia la sua luce nella storia intera. Soltanto in lui e per mezzo di lui<br />
è possibile partecipare della pienezza dello Spirito. Cristo è fine e capo dell’intero genere<br />
umano e lo Spirito, che in Cristo è presente nella sua pienezza, opera dovunque a diversi<br />
livelli, nella storia dell’umanità . Il Corpo di Cristo, la Chiesa, si estende oltre i confini<br />
istituzionali della Chiesa stessa, e ad essa appartengono tutti coloro che si lasciano guidare<br />
nella fede, speranza e carità dallo Spirito di Cristo.<br />
“In forza della storicità e solidarietà fra gli uomini, anche la salvezza, e quindi lo<br />
Spirito di Cristo, dev’essere comunicata storicamente e pubblicamente. E’ quel che si<br />
verifica in modo frammentario per mezzo delle religioni dell’umanità. Ma lo Spirito si<br />
afferma in tutta la sua univocità e pienezza soltanto colà dove Gesù Cristo viene<br />
espressamente testimoniato come il Signore, dove ci si lascia esplicitamente e<br />
pubblicamente coinvolgere, per fede, dal suo Spirito, dove ora si accetta senza riserve come<br />
criterio, origine e fine. Dove ciò avviene, mediante la predicazione e i sacramenti, segni della<br />
fede, qui abbiamo la Chiesa. Essa è il Corpo di Cristo, perché in essa vive in modo<br />
manifesto lo Spirito di Gesù. Ciò che questo Spirito produce nella Chiesa è la comunione<br />
con Gesù Cristo e la sottomissione di ogni cosa a lui, il capo della Chiesa.<br />
Sotto questo aspetto, dunque, lo Spirito è la mediazione della libertà dell’amore, il<br />
punto d’incontro dell’unità con la diversità. Riemerge così il tipico rapporto chiesa-mondo,<br />
fra queste due entità che non si possono tra loro opporre in modo dualistico, né confondere<br />
in modo monastico. Lo Spirito di Cristo è presente ed attivo ovunque gli uomini cercano di<br />
trascendere la propria via verso il senso ultimo del loro esistere, dove si sforzano, nella<br />
speranza di essere accolti in modo assoluto e definitivo, dove accettano se stessi e i propri<br />
simili. Ma tutte queste vie anonime a Cristo diventano sicure e pienamente significative<br />
soltanto quando lo incontrano direttamente sul loro percorso. La Chiesa non potrà quindi<br />
considerarsi un sistema chiuso in se stesso. Dovrà invece accettare uno scambio spirituale<br />
e un confronto ideale con il mondo. Da una parte dovrà prestare ascolto alla profezia secolare<br />
che il mondo le offre, dall’altra però anche attestare che soltanto in Gesù Cristo le speranze<br />
dell’umanità trovano il loro singolare adempimento e che proprio lui è il grande “Sì”<br />
proferito da Dio ad ogni promessa ( Cf 2 Cor 1, 20 ). ( W Kasper: “Gesù il Cristo” pag 380 )
DALL’ANNUZIO AL DOGMA<br />
ALL’INIZIO <strong>GESU</strong><br />
Prima c’è stato Gesù che fu visto subito come un uomo ebreo, un dotto rabbino che<br />
aveva una straordinaria conoscenza delle Scritture, un profeta. Per tutti erano ovvie la sua<br />
bontà, la sua dottrina, la sua libertà, il suo coraggio, la sua potenza taumaturgica. Gesù ha<br />
reso di sé tante testimonianze, la più decisiva fu quella in cui si è dichiarato Figlio di Dio.<br />
Tutte le altre affermazioni confermarono e consolidarono la verità di questa asserzione<br />
fondamentale. Per accoglierla fu necessaria la fede. La fede intervenne per riconoscere ciò che<br />
la ragione istintivamente non poteva conoscere, che Gesù era molto più di un uomo, che<br />
costituiva un caso assolutamente unico e che, di conseguenza, era la misura e il criterio di<br />
tutto ciò che è umano e confessò: “Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente”.<br />
Gesù non scrisse nulla. Il suo insegnamento restò affidato alla memoria e quindi alla<br />
trasmissione orale dei suoi Apostoli, che, durante il periodo in cui vissero con lui, non si<br />
dettero pena di appuntare le sue parole e i fatti della sua vita.<br />
L’ANNUNZIO DEGLI APOSTOLI
Gli Apostoli sono coloro che hanno avuto il singolarissimo privilegio di conoscere<br />
personalmente Gesù. Hanno visto il suo volto, udito le sue parole, assistito ai suoi miracoli.<br />
Soprattutto sono coloro che hanno avuto il privilegio di incontrare il Cristo glorioso, di<br />
penetrare fino in fondo nel mistero della sua persona, di cogliere con certezza la sua<br />
dimensione divina. L’evento che ha avuto un posto decisivo nel pieno riconoscimento di Gesù,<br />
al di là della comprensione che di lui avevano avuto prima della Pasqua, fu la sua<br />
risurrezione, che ha aperto agli Apostoli la porta alla conoscenza del vero Gesù. Riflettendo<br />
sul passato e sul presente, alla luce della morte e risurrezione, sotto l’illuminazione dello<br />
Spirito Santo, i Discepoli compresero che Gesù era il plenipotenziario di Javhè, il messia<br />
promesso, il liberatore, il salvatore, il mediatore, il giudice dei vivi e dei morti, e che non era<br />
solo un uomo, ma anche il Signore (kyrios= Dio), il Figlio di Dio, preesistente ad ogni realtà<br />
creata ( in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio: Gv 1, 1, 3), che<br />
ritornerà alla fine dei tempi nella parusia.<br />
Noi possiamo rivedere e riascoltare Cristo soltanto servendoci degli occhi e degli orecchi<br />
degli Apostoli, che sono i soli testimoni accreditati da Gesù e autorizzati dallo Spirito Santo a<br />
dire chi egli è e che cosa ha fatto. Essi hanno annunziato ciò che hanno visto e ascoltato. “Ciò<br />
che abbiamo udito, ciò che abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia<br />
il Verbo della vita…. Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo abbiamo annunziato anche a<br />
voi” (Gv 1, 1-3 ).<br />
Ciò che videro, udirono e compresero, alla luce della rivelazione e per la potenza dello<br />
Spirito, gli Apostoli lo annunziarono “a tutte le nazioni” (Mt 28, 19). Nell’annunzio si unì a<br />
loro Paolo, che aveva visto il Signore glorioso, aveva avuto una rivelazione personale e l’aveva<br />
confrontata con quanto predicavano Pietro e gli altri Discepoli. Così “a partire dalla Galilea, a<br />
Gerusalemme e nelle varie chiese che venivano man mano fondate, si trasmetteva per via orale<br />
ciò che riguardava la vita terrena di Gesù, i fatti da lui compiuti e le parole da lui pronunziate.<br />
Tutto ciò costituì un materiale che sarebbe poi confluito negli anni successivi negli attuali<br />
vangeli canonici, anche se certamente essi non raccolgono tutto ciò che Gesù ha effettivamente<br />
fatto o detto”. (Romano Penna. Dna del Cristianesimo pag. 33 )<br />
I PADRI DELLA CHIESA<br />
Gli Apostoli hanno annunziato le verità fondamentali relative alla persona e alla<br />
missione di Gesù, ma non hanno fatto opera di sistemazione e di approfondimento di quanto<br />
avevano annunziato. Al lavoro di definizione, di approfondimento e di sistemazione si<br />
dedicarono i Padri della Chiesa tra il II e il V secolo. Essi cercarono di esplicitare, di fare<br />
chiarezza sul mistero di Cristo, mentre contemporaneamente le eresie lo interpretavano in
maniera errata. Usarono espressioni più conformi alle istanze culturali del loro tempo, da cui<br />
ricavarono le domande e le categorie che potevano rendere più comprensibile quel mistero.<br />
I Padri più rappresentativi dei secoli II-V sono i seguenti.<br />
In Oriente : Clemente Alessandrino, Origene (185-254 ), il cui apporto è stato<br />
importante, e decisivo il suo influsso sugli ulteriori sviluppi del pensiero teologico, Basilio il<br />
Grande, Gregorio Nisseno, Gregorio Nazianzeno , Atanasio ( 296-373 ), Cirillo di<br />
Alessandria (+ 431 ).<br />
In Occidente : Ireneo di Lione (130-200), che visse nel periodo della massima<br />
espansione dello gnosticismo; il suo capolavoro è l’opera in cinque libri Adversus Haereses;<br />
Tertulliano (160-210 ), che difese il cristianesimo dagli attacchi dei pagani e dalle deviazioni<br />
degli eretici (Marcione, Valentino, ecc ); Girolamo; Ambrogio; Leone Magno; Agostino<br />
(354-430) .<br />
Per comprendere meglio la cristologia dei Padri è necessario avere qualche conoscenza<br />
delle correnti culturali e delle eresie di quei secoli.<br />
PENSIERO FILOSOFICO DEL TEMPO<br />
“Durante i primi tempi dell’era cristiana tre erano le scuole più fiorenti della filosofia<br />
greca: epicurea, stoica, platonica. (che con Plotino si trasformò in neo platonica). Mentre<br />
l’epicureismo era in netto contrasto col cristianesimo a causa della sua visione<br />
materialistica ed edonistica della vita, sia lo stoicismo sia il platonismo, soprattutto in sede etica,<br />
avevano molte dottrine in comune col cristianesimo. Per questo motivo nella loro esposizione<br />
delle verità cristiane i Padri della Chiesa si servirono sia dello stoicismo sia del platonismo,<br />
dando però quasi sempre la preferenza al secondo. Quasi tutti i Padri fanno uso delle categorie<br />
platoniche della partecipazione, dell’esemplarismo, dell’analogia, della reminiscenza<br />
(illuminazione), del dualismo psicofisico, del procedimento dell’uscita (poodos, egressus) e<br />
ritorno (epistrophé, regressus), ecc. Gran parte del linguaggio usato dai Padri per parlare di<br />
Cristo è linguaggio platonico”. (Battista Mondin: “Gesù Cristo Salvatore dell’uomo” : pag 112)
ERESIE DEI PRIMI SECOLI<br />
Gli Apostoli hanno annunziato le verità fondamentali relative alla persona e alla<br />
missione di Gesù come le hanno udite e comprese, alla luce della rivelazione e per la potenza<br />
dello Spirito . I Padri della Chiesa tra il II e il V secolo hanno cercato di esplicitare e fare<br />
chiarezza sul mistero di Cristo.<br />
Contemporaneamente pullulavano varie eresie, che interpretavano il messaggio di Gesù<br />
in maniera errata. Furono eresie lo Gnosticismo, per cui la redenzione si realizzerebbe<br />
mediante il sapere, l’Encratismo, forma eccessiva di ascetismo, il Manicheismo, che<br />
sosteneva l’esistenza di due principi iniziali e rifiutava la materia, l’Arianesimo, che negava<br />
la divinità di Gesù, l’Apollinarismo, che negava la natura umana di Cristo, il<br />
Nestorianesimo, che predicava l’esistenza in Cristo di due nature e due persone, il<br />
Mofisismo che asseriva che in Gesù la natura umana era assorbita nella natura divina, il<br />
monoteismo che ammetteva in Gesù la sola volontà divina.<br />
La Chiesa dovette precisare con chiarezza le verità della fede con termini che non si<br />
prestassero ad equivoci in definizioni di alcuni Concili.<br />
GNOSTICISMO<br />
Quando varcò i confini del mondo giudaico e si inoltrò nel mondo ellenistico, la Chiesa<br />
incontrò lo gnosticismo, che minacciò la fede cristiana nella sua sostanza.
Lo gnosticismo era un movimento religioso molto diffuso prima dell’avvento del<br />
cristianesimo. Era sincretista, ossia mescolava diverse dottrine religiose per sé opposte e<br />
inconciliabili. Quando s’incontrò col cristianesimo assunse anche alcuni elementi cristiani e<br />
li integrò nel suo sistema. La dottrina che ne venne fuori asseriva che la redenzione si realizza<br />
mediante il sapere. Diceva che l’uomo è liberato dagli enigmi dell’esistenza umana quando<br />
riflette sulla propria vocazione celeste e spezza, nel suo “io spirituale” i vincoli che lo<br />
stringono al mondo della materia. Lo gnosticismo è caratterizzato da un netto dualismo:<br />
contrasto tra luce e tenebre, bene e male, spirito e materia, Dio e mondo. Questo dualismo spinge<br />
o al disprezzo del corpo, del matrimonio, della procreazione o ad un libertinaggio sfrenato.<br />
Ben presto correnti gnostiche sorsero anche all’interno della Chiesa. Gli aderenti si<br />
consideravano “pneumatici”, cristiani di rango superiore, dal momento che pensavano di aver<br />
acquisito una conoscenza più elevata di quella “carnale”. Data la visione dualistica essi non<br />
ritenevano che Cristo avesse assunto un corpo mortale e parlavano di un “corpo apparente” (<br />
dokema ), e vennero chiamati “docetisti”. Per alcuni questo corpo apparente era privo di ogni<br />
realtà (Marcione, Basilide), per altri si trattava di un corpo etereo, astrale (Apelle, Valentino ).<br />
Furono i seguaci di queste teorie che scrissero i vangeli gnostici, prontamente rifiutati dalla<br />
comunità dei credenti.<br />
La tentazione gnostica non si fece sentire solo nei primi secoli, ma ha accompagno la<br />
Chiesa lungo la sua intera storia. Tutto il Medio Evo è percorso da correnti spirituali di tipo<br />
gnostico. Nel basso Medio Evo i Catari ( katharos= puro ), che spesso erano rappresentanti dei<br />
nuovi ceti borghesi e popolari, in lotta contro la Chiesa, la società feudale e la concezione<br />
monarchica, furono eretici dualisti che sostenevano una netta distinzione tra bene e male,<br />
spirito e materia; tra i Catari sono restati celebri gli Albigesi ( nome proveniente dalla cittadina<br />
francese Albi ), che avevano un carattere ascetico e pauperistico; contro di loro venne anche<br />
organizzata una crociata. .<br />
Elementi gnostici si trovano in certe concezioni che comprendono l’uomo solo come<br />
spirito e giungono al punto di ridurre Cristo a un puro mito e a considerarlo solo idea e<br />
simbolo. Anche la pietà cristiana è stata tentata dallo gnosticismo. Talora la figura di Gesù è<br />
stata sublimata e divinizzata a tal punto che quasi è scomparsa la sua umanità e la sua azione<br />
salvifica e tutto ha rischiato di diventare apparenza. Lo gnosticismo più che un’eresia è una<br />
dottrina anticristiana.<br />
Il confronto con lo gnosticismo è stato ed è tuttora per la Chiesa una battaglia per la<br />
vita e per la morte. Per esempio è una forma di neognosticismo la New Age. Per questo<br />
movimento esiste un essere universale divino, impersonale, che si può incontrare con tecniche<br />
varie nella profondità del proprio cuore, esiste un Cristo cosmico, che è presente in modo<br />
sublime nel Cristo storico, ma che si può trovare anche all’interno di ognuno. La conoscenza<br />
dell’interiorità (gnosi) equivale alla salvezza. Questa corrente ha avuto negli ultimi decenni<br />
larga diffusione in libri, film, musica, e in altri mezzi della comunicazione sociale. Anche altri<br />
aspetti della cultura attuale, per certi aspetti sono segnati da uno gnosticismo aggiornato. Non<br />
fa perciò meraviglia che alcuni vadano rispolverando gli antichi vangeli apocrifi gnostici,<br />
rifiutati dalla comunità da circa duemila anni, e li presentino come una scoperta nuova.
ENCRATISMO<br />
Nei primi tempi della Chiesa si manifestò una tendenza eccessiva verso l’ascetismo da<br />
parte di alcuni che potevano essere chiamati “continenti” per eccellenza (encratiti) . Questa<br />
eresia si manifestò già nei tempi apostolici ( vedi 1 Tm 4, 1-5 ) e man mano si sviluppò durante<br />
il primo secolo. Gli apocrifi Atti di Pietro, di Paolo e di Giovanni la favorirono. Gli encratiti<br />
partivano dall’idea neoplatonica e gnostica che la materia è male, è opera malvagia del<br />
demiurgo, alla quale non si deve partecipare. Proibivano l’uso della carne, del vino e il<br />
matrimonio . Furono una grave minaccia per la Chiesa, specialmente per la proibizione di<br />
sposarsi.<br />
MANICHEISMO<br />
Il manicheismo ebbe inizio quando il cristianesimo si era già affermato da tempo. Il<br />
fondatore fu Mani, nato in Babilonia nel 216. Disse di aver avuto l’apparizione dello<br />
“Spirito gemello”, una figura cha si trova negli Atti apocrifi degli Apostoli, che gli aveva<br />
rivelato la verità intera. Il manicheismo ha lasciato vari scritti (Sapurakan, Il Vangelo vivente,<br />
Il Trattato della vita, Il libro dei misteri… ) ed ha avuto una certa espansione in Turchia,<br />
nell’Asia Centrale e anche in Estremo Oriente. Mani si presentava come l’ultimo degli<br />
apostoli, anzi come il Paraclito, suggello dei profeti. Non intendeva fondare una nuova<br />
religione, ma portare a termine la Rivelazione. Ebbe contatti con gli encratiti e con gli<br />
gnostici e ne accolse le dottrine.<br />
Per il manicheismo esiste un dualismo tra Dio e Hyle, Luce e Tenebre. All’inizio<br />
Luce e Tenebre erano distinte, in due regni. Poi le tenebre attaccarono il regno della luce.
Allora il Padre della “grandezza” mandò contro le tenebre “l’uomo iniziale”, una sorta di<br />
Adamo cosmico, essenzialmente luce, che è essenza di Dio. Questi, nel combattimento contro<br />
l’altro regno, subì una sconfitta e le tenebre si mescolarono con la luce. L’uomo primitivo<br />
pregò il Padre, che inviò lo “Spirito vivente”, il quale riportò “l’uomo iniziale” al paradiso<br />
della luce. Ma questi nella lotta aveva perduto la sua armatura ( aria, vento, luce, acqua,<br />
fuoco) e per salvarla il demiurgo creò il mondo. Le tenebre, per conservare il dominio,<br />
crearono Adamo ed Eva, formati di anima e corpo. E l’uomo ha sempre questa mescolanza di<br />
anima, consustanziale con Dio e di materia che è tenebra, concupiscenza. La salvezza venne<br />
affidata ad un Gesù luminoso, una figura che si trovava già negli Atti apocrifi degli Apostoli.<br />
Questo Gesù svegliò Adamo e rivelò a lui la “gnosi”, la conoscenza di ciò che era stato e di ciò<br />
che sarebbe divenuto. Adamo accettò i comandamenti di Gesù, rigettò il corpo di morte e<br />
diventò libero per sempre. La salvezza del mondo poi è un progresso molto lento ed è legata<br />
all’accettazione della dottrina encratica di Mani, che comprende il rifiuto della materia,<br />
vista come tenebrosa e identificata con la concupiscenza, e del matrimonio. Una tale<br />
accettazione porterà alla fine di questo mondo.<br />
APOCRIFI<br />
E’ opportuno qui ricordare che sono giunti fino a noi molti libri, che hanno una certa<br />
affinità con quelli della Scrittura o sono stati tramandati sotto il nome di un autore ispirato.<br />
Alcuni sono stati composti per illustrare dati biblici, altri per edificare il lettore. Ma un certo<br />
numero è stato composto per diffondere false dottrina. Di questi ultimi ogni tanto si sente<br />
parlare anche oggi, come di testi che conterrebbero la più autentica verità su Gesù Cristo. Ma<br />
essi non hanno un reale valore. Come fonti storiche hanno scarso o nessun interesse; possono<br />
essere utili solo per ricostruire le credenze popolari del giudaismo e per rintracciare certe<br />
oscure correnti eretiche della chiesa primitiva. Non sono stati accolti dai primi cristiani o<br />
perché non rispondevano ai criteri secondo i quali sono stati accolti quelli canonici, o perché<br />
contenevano evidenti errori e perché sono stati scritti tutti molto tempo dopo quelli canonici.<br />
Quantunque sia stata ripetutamente dimostrata la loro inautenticità, di tanto in tanto ritornano<br />
a galla, come se contenessero verità sconosciute. I cattolici li chiamano giustamente<br />
“apocrifi” (apokryphos=nascosto) per dire che erano “falsificati” o “falsi” . I protestanti che<br />
denominano i libri deuterocanonici “apocrifi”, chiamano gli apocrifi “pseudoepigrafici” .<br />
Gli Apocrifi del Nuovo Testamento sono del II secolo a. C in poi. Si suddividono in<br />
“vangeli” , che vogliono colmare i vuoti dei vangeli canonici e presentano racconti leggendari<br />
e fantastici sulla vita di Gesù, Maria e Giuseppe, o che per i loro concetti fanno pensare ad<br />
un’origine gnostica; in “atti”, che cercano di riempire i vuoti della narrazione degli Atti degli<br />
Apostoli e li ricostruiscono spesso con tendenze eretiche; in “lettere” scritte come attestazione
di supposti privilegi di qualche chiesa o come complemento della dottrina di Paolo; in<br />
“apocalissi” con apparizioni di angeli, sogni, estasi di libera invenzione.<br />
I principali apocrifi del Nuovo Testamento sono: Vangelo di Giacomo ( II d. C. );<br />
Vangelo di Tommaso ( data incerta ); Vangelo arabo dell’infanzia (raccolta tardiva); Storia<br />
di Giuseppe il carpentiere ( IV d. C. ); Vangelo di Pietro ( 150 d. C. ) Vangelo di Nicodemo o<br />
Atti di Pilato ( IV d. C. ); Vangelo di Bartolomeo (IV d.C. ); Libro di Giovanni Evangelista (<br />
VI o VII d. C. ); Assunzione della Vergine ( VII d. C ); Vangelo (gnostico ) di Tommaso ( II o<br />
III d. C. ); Atti di Giovanni ( 150 d. C. ): Atti di Paolo ( 160 d. C. ); Atti di Pietro (200 d. C. );<br />
Atti di Andrea ( 200 d. C); Atti di Tommaso; Atti di Filippo (V d. C. ) Storia di Abdia;<br />
Epistola di Abdar (IV d. C. ); Epistola ai Laodicesi ( IV d. C. ); Paolo e Seneca ( IV d. C. )<br />
Epistola degli Apostoli ( 160 d.C. ) Apocalisse di Pietro ( II d. C. ); Apocalisse di Paolo ( IV d.<br />
C. ); Apocalisse di Tommaso ( IV d. C. ).<br />
ARIANESIMO<br />
Tra il 318 e il 323 un prete della Chiesa di Alessandria prese posizione contro il<br />
proprio Vescovo Alessandro in materia di teologia trinitaria. Si chiamava Ario ed era<br />
discepolo del martire Luciano di Antiochia. Sosteneva che solo il Padre è ingenerato e al di<br />
fuori di lui non c’è altro Dio nel senso vero del termine. Il Padre è assolutamente<br />
trascendente rispetto al Figlio, che gli è inferiore per natura, per rango e per autorità . Il Figlio è<br />
generato dal nulla dal Padre, come tutte le creature, per essere strumento della creazione degli<br />
altri esseri. Ario chiama Dio anche il Figlio, ma in realtà è un “dio minore”. Anche lo Spirito<br />
Santo è una creatura, la prima dopo il Figlio e subordinata a lui.<br />
Divulgò le sue teorie, che furono subito giudicate non ortodosse. Egli non si sottomise,<br />
ma continuò a diffonderle, specialmente con il poemetto Thalia. A Nicea nel 325 la sua<br />
posizione fu sconfessata ma la controversia ariana non si spense e continuò per tutto il quarto<br />
secolo. Il motivo delle controversie stava nell’indeterminatezza del termine “homousios”,<br />
impiegato nella confessione di fede del Concilio. Alcuni sarebbero stati contenti se fosse stato<br />
usato il termine “homo-i-usios, che significa “simile”, ma che non faceva uscire<br />
dall’arianesimo. Furono Basilio, Gregorio Nazianzeno e Gregorio di Nissa a indicare la<br />
soluzione nel fare distinzione tra l’unica sostanza (ousia) e le tre ipostasi (hypostasis). Il<br />
secondo Concilio ecumenico di Costantinopoli nel 381 sancì la definitiva vittoria del<br />
cattolicesimo sull’arianesimo che però continuò ad aver un seguito nel V secolo tra i barbari che<br />
penetravano nell’impero.
NICEA<br />
L’imperatore Costantino fece riunire il 20 Maggio del 325 oltre trecento vescovi, in<br />
grandissima parte orientali, nel palazzo imperiale di Nicea, in Bitinia, per quello che sarà il<br />
primo grande concilio ecumenico. Egli stesso intervenne alla seduta inaugurale, con un discorso<br />
di esortazione alla pace, ma non rivendicò per sé una speciale autorità in materia di fede; a lui<br />
stava a cuore la pace della Chiesa, che rappresentava la premessa indispensabile per la<br />
prosperità dell’impero. A Nicea erano presenti 318 vescovi; il Vescovo di Roma, per la sua<br />
tarda età non partecipò, ma inviò alcuni legati a rappresentarlo. All’ordine del giorno stavano<br />
soprattutto due questioni: la faccenda ariana e la data della Pasqua.<br />
Ad Ario, che contava nel Concilio una ventina di seguaci, fu concessa la possibilità di<br />
difendere personalmente la sua posizione. Dopo “lunghe discussioni, molte lotte e attente<br />
riflessioni”, il partito ortodosso, sotto la guida dei Vescovi Marcello di Ancira, Eustazio di<br />
Antiochia e del Diacono Atanasio, che diventerà poi vescovo di Alessandria e sarà un grande<br />
Dottore della Chiesa, elaborò una professione di fede, che passerà alla storia come “simbolo<br />
niceno”. Fu sottoscritta da tutti i vescovi, eccetto due, il 19 giugno 325. La professione è una<br />
chiara esplicitazione della cristologia originaria della Chiesa, cioè di ciò che era stato compreso<br />
e annunziato dagli Apostoli e che era stato espresso mediante un linguaggio ordinario che<br />
poteva risultare, come di fatto risultò, ancora ambiguo. La professione di fede venne redatta<br />
ricorrendo al linguaggio filosofico, un linguaggio più tecnico, esente da quelle ambiguità che<br />
avevano reso possibile la lettura ariana dei testi biblici. La formula del Credo niceno è la<br />
seguente:<br />
Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili<br />
e invisibili. E in un solo Signore, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato, unigenito<br />
dal Padre cioè (tautestin) della stessa sostanza (ousias) del Padre. Dio da Dio,<br />
luce da luce, generato (ghennethenta) non creato, consustanziale<br />
(homousion) al Padre, per mezzo del quale sono state create tutte le cose in cielo<br />
e in terra. Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e si è<br />
incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risorto il terzo giorno, è risalito al cielo e<br />
verrà a giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito Santo.<br />
Dalle formule usate a Nicea risulta che la natura (sostanza) del Figlio è del tutto identica<br />
a quella del Padre, in quanto il Figlio procede dal Padre per generazione e non per creazione<br />
(come sostenevano gli ariani). “ L’homousios di Nicea quindi afferma non solo che il Figlio è<br />
simile al Padre, ma anche che è perfettamente uguale a lui, perché attraverso la sua eterna
generazione dal Padre partecipa alla stessa sostanza o natura divina”. ( Amato: “Gesù il<br />
Signore”, pag 169 )<br />
APOLLINARISMO<br />
Apollinare di Laodicea (315-39 ) era un buon teologo, dotato di vena poetica, vescovo e<br />
amico di Atanasio; compose importanti commenti della Scrittura e fu anche maestro di San<br />
Girolamo. La sua eresia non fu subito notata, ma venne alla luce durante il sinodo di Alessandria<br />
del 363. La formula incriminata era la seguente : “mia physis tou logou sesarkomene<br />
(=l’unica natura-sostanza incarnata del Logos ) e consisteva nella negazione della natura<br />
umana di Cristo. Per Apollinare Cristo era una sola physis (natura), ousia (sostanza)<br />
hypostasis (sussistenza ) e prosopon ( persona). Egli escludeva dall’essere di Cristo sia la<br />
ragione che l’anima e asseriva che il Verbo incarnato era l’unione della carne col Verbo.<br />
Era un’interpretazione deformata della cristologia alessandrina del Logos sarx ( Verbo-carne ).<br />
COSTANTINOPOLI I°<br />
A Costantinopoli furono celebrati quattro concili, di cui il più importate fu il primo<br />
(381) , che nella serie dei concili ecumenici occupa il secondo posto, dopo quello di Nicea . Il<br />
concilio accolse la formula del vescovo Epifanio di Salamina, che nella prima parte era identico<br />
al credo niceno, e conteneva però l’aggiunta che confermava la divinità dello Spirito Santo:<br />
Signore e vivificatore (dominum et vivificantem), che procede dal<br />
Padre, che col Padre e col Figlio viene ugualmente adorato e glorificato, e ha<br />
parlato per mezzo dei profeti”.<br />
L’aggiunta cristologica più importante, fatta per evitare gli errori degli apollinaristi , fu la<br />
clausola:“ (si è incarnato) dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria”.
Questa confessione di fede fu accolta dalla chiesa greca e poi anche da quella latina e<br />
introdotta nella liturgia della Messa romana. Il Credo che recitiamo nella Santa Messa è detto<br />
niceno-costantinopolitano ed è composto dalle dichiarazioni dei Concili di Nicea e di<br />
Contantinopoli.<br />
NESTORIANESIMO<br />
Nestorio, nato ad Antiochia nel 381, fu monaco e poi sacerdote di quella città, poi<br />
divenne nel 428 patriarca di Costantinopoli. Il suo insegnamento suscitò severe critiche.<br />
Sosteneva che in Cristo sussistevano due nature e due persone e che Maria era madre solo<br />
della persona umana, quindi non era theotokos (madre di Dio), ma Cristotokos (madre di<br />
Cristo). Cirillo di Alessandria respinse le tesi di Nestorio e si appellò al Papa Celestino, che in<br />
un sinodo riunito a Roma nel 430 si associò a Cirillo. Nestorio restò inflessibile e si giunse così<br />
al Concilio di Efeso (431) che lo condannò . Fu poi deposto dalla sua sede e mandato in<br />
esilio nel deserto libico dove morì 20 anni dopo ( 451 ).<br />
EFESO<br />
Questo concilio fu convocato nella primavera del 431 dall’imperatore Teodosio, per<br />
la questione del nestorianesimo. All’inizio nel Concilio si formarono due fazioni, quella di<br />
minoranza favorevole a Nestorio e quella di maggioranza contraria. Dopo l’arrivo dei legati<br />
pontifici, il Concilio si ricompattò e giunse a proclamare solennemente tre verità:
in Cristo ci sono due nature, umana e divina – in Cristo c’è una sola<br />
persona, quella divina – maternità divina della vergine Maria. (theotokos)<br />
MONOFISISMO<br />
Eutiche nacque a Costantinopoli nel 378 , divenne archimandrita di un monastero nei<br />
dintorni di Contantinopoli. Era amico di Cirillo di Alessandria ed avversario del<br />
nestorianesimo, ma, sprovvisto di una solida cultura teologica, finì per cadere nell’errore<br />
opposto. Affermava che in Gesù c’era una sola natura e una sola persona. Secondo Eutiche<br />
nell’incarnazione la natura umana di Cristo è assorbita e trasformata nella sostanza (ousia )<br />
della divinità. Eutiche venne condannato dal Concilio di Calcedonia (451). Fu condannato<br />
all’esilio e morì qualche anno dopo (454 ).
CALCEDONIA<br />
Il Concilio fu convocato dall’imperatore Marciano nel 451, su richiesta di papa<br />
Leone. Vi parteciparono 600 vescovi, fu presieduto da cinque legati papali. Il Concilio<br />
condannò i due opposti estremismi : due persone e due nature (Nestorio) e una sola natura e<br />
una sola persona (Eutiche) e definì con precisione il mistero della persona di Cristo. Il testo<br />
finale dice:<br />
Seguendo i santi padri, insegniamo tutti concordemente che vi è un solo<br />
medesimo Figlio, il Signor nostro Gesù Cristo, perfetto nella deità e perfetto<br />
nell’umanità, vero Dio e vero uomo (composto) di anima razionale e di corpo,<br />
consustanziale (homousios) al Padre secondo la divinità e consustanziale a noi<br />
secondo l’umanità, in tutto simile a noi, fuorché nel peccato; generato dal Padre<br />
prima di tutti i secoli secondo la divinità; e (generato) negli ultimi giorni per noi e<br />
per la nostra salvezza, secondo l’umanità, da Maria la vergine, Madre di Dio.<br />
(Insegniamo) che egli è l’unico ed identico Cristo, Figlio, unigenito, Salvatore,<br />
in due nature (en duo physesin) senza confusione e mutamento, senza divisione<br />
e separazione; ed inoltre che, non essendo stata eliminata la differenza delle nature<br />
per l’unione, ma piuttosto essendo salvaguardato ciò è proprio di ciascuna natura<br />
(sozomenes tes idiotetos ekateras physeos ), ed essendo confluito in un’unica<br />
ipostasi (en prosopon kai mian hypostasin), egli non è sparito o diviso in due<br />
persone, ma unito ed identico egli è il Figlio e Unigenito, Dio Verbo e Signore Gesù<br />
Cristo.<br />
MONOTELISMO<br />
Le eresie non finirono col Concilio di Calcedonia, ma continuarono a fiorire. Causò un<br />
particolare turbamento un’eresia del VII secolo, che ha avuto come autore Sergio, patriarca di<br />
Gerusalemme dal 610 al 638. Disse che in Gesù esisteva un’unica operazione (energheia),
proveniente non dalle due nature, ma dall’unica persona. Quest’unica operazione sarebbe<br />
divino-umana, dal momento che in Cristo esiste una sola realtà divino-umana. Quindi in Gesù<br />
ci sarebbe un’unica volontà divina. Il monoteismo fu condannato dal Concilio di<br />
Costantinopoli III (680-681 ).<br />
COSTANTINOPOLI III<br />
Nel Concilio III di Costantinopoli (680-681) fu condannato il monotelismo con la<br />
seguente dichiarazione:<br />
“Secondo l’insegnamento dei Santi Padri proclamiamo che in Cristo ci sono<br />
due volontà naturali e due operazioni naturali senza divisione, senza mutamento,<br />
senza partizione e senza confusione. E le due volontà naturali non sono opposte fra<br />
loro -non sia mai!- come hanno detto gli empi eretici, ma la sua volontà umana<br />
segue, e non contraddice né ostacola, anzi è sottomessa alla sua volontà divina<br />
e onnipotente.”<br />
Con la condanna del monotelismo si riafferma ulteriormente la definizione del<br />
Concilio di Calcedonia sull’integrità delle due nature in Cristo e sull’unicità della sua<br />
persona.<br />
TERMINI INPORTANTI
Di lingua greca<br />
Phisis natura<br />
Hypostasis sussistenza<br />
Ousia sostanza<br />
Homousios consustanziale<br />
Homo-i-usios simile<br />
Prosopon persona<br />
Logos-anthropos Verbo-uomo<br />
Logos-sarx Verbo-carne<br />
Theotokos Madre di Dio<br />
Di lingua latina<br />
Substantia Sostanza<br />
Natura Natura<br />
Persona Persona<br />
DOPO I CONCILI<br />
Nelle origini del cristianesimo si era parlato di Cristo col linguaggio ordinario, narrando<br />
le sue opere e le sue parole e indicando Gesù con vari titoli: Cristo, Maestro, Profeta,<br />
Messia. Nella cristologia dei Concili si parla di Gesù con precisione di termini.<br />
Nicea introduce il termine “homousios per dire che il Padre e il Figlio sono<br />
consustanziali. A Calcedonia si fa uso dei termini “physis” per indicare l’unica natura e di<br />
“hypostasis” e “prosopon”, per indicare la persona e si dice che in Cristo ci sono due “physis<br />
” o “natura” e una “hypostasis” o “prosopon” o “persona”. La Chiesa antica, mediante la<br />
riflessione e le dichiarazioni dei Concili giunse a definire l’unicità della persona del Cristo,<br />
identificandola con la sussistenza divina del Verbo al quale appartengono la natura divina<br />
dall’eternità, e la natura umana, a partire dalla concezione di Gesù. Cristo è “un’unica<br />
persona ed un’unica ipostasi”, “in due nature, divina e umana”.<br />
“Nella cristologia contemporanea l’attenzione degli studiosi si è spostata dalla<br />
divinità di Cristo verso la sua umanità. La loro preoccupazione più viva è quella di mostrare
che Cristo è anzitutto un uomo, che realizza in modo insuperabile i disegni che Dio ha<br />
fissato per ogni uomo. Per salvaguardare l’integrità dell’umanità di Cristo, alcuni teologi (P.<br />
Shoonenberg, H, Kung, J.A.T. Robinson, J. Moltmann, ecc ) criticano la definizione del<br />
Concilio di Calcedonia, perché, a loro avviso, privando l’umanità di Cristo di una propria<br />
personalità, si correrebbe il pericolo, di mortificarla. Ma questo pericolo non esiste.<br />
Calcedonia stessa infatti precisava che “nostro Signore Gesù Cristo è perfetto in divinità e<br />
perfetto in umanità. Dio veramente e uomo veramente”. In Gesù si danno, come risulta<br />
chiaramente nei Vangeli, due coscienze, quella umana e quella divina, e due soggetti che<br />
dialogano col Padre, il Verbo e l’uomo Gesù”. (B. Mondin : Gesù Cristo p. 302-309 )<br />
La definizione di Calcedonia è una pietra miliare nella storia della cristologia ed è<br />
stata pacificamente accolta fino ai giorni nostri. Da qualche tempo c’è chi parla della necessità<br />
di un rinnovamento del linguaggio teologico e di un approfondimento ulteriore sulla figura di<br />
Cristo. Si può dire che il Concilio di Calcedonia è un punto di arrivo, ma anche un punto di<br />
partenza di tante altre riflessioni su Cristo.<br />
<strong>GESU</strong> <strong>CRISTO</strong><br />
Gesù è il Verbo eterno del Padre, il Figlio di Dio che si è incarnato ed è nato da<br />
Maria. E’ il Messia promesso, il Servo di Javhé, il Figlio dell’uomo. E’ la Guida, il Pastore, il<br />
Salvatore universale..<br />
E’ la Via al Padre, amore e fonte dell’amore, è la via di ogni realizzazione umana. . E’<br />
la Vita vera, l’autore della vita. il Risorto dopo la morte e Vivente per sempre E’ la Verità ,<br />
il punto di riferimento di ogni valore, colui che dà la risposta a tutte le domande umane. È la<br />
luce del mondo. “che illumina ogni uomo” ( Gv 1, 9 ),.<br />
Gesù col Padre ci dona lo Spirito, che ci guida nella vita, ci dirige, ci cambia il cuore,<br />
ci sostiene, ci dona la forza. Gesù annunzia l’intervento definitivo di Dio nella storia, come re<br />
e salvatore, che si rivela come amore gratuito e misericordioso, rivolto a tutti, specialmente<br />
agli oppressi e ai peccatori e si afferma senza clamore nel tessuto della vita ordinaria.<br />
Chi crede in Gesù e l’accoglie con umiltà e fede, ha la vita eterna, fa esperienza della<br />
beatitudine già ora tra le angustie della vita presente e cammina con coraggio verso un futuro<br />
pieno di speranza.