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Il grigio oltre la siepe di Francesco Vallerani e Mauro ... - Città Invisibili

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La per<strong>di</strong>ta del<strong>la</strong> bellezza.<br />

Paesaggio veneto e i racconti dell’angoscia<br />

<strong>Francesco</strong> <strong>Vallerani</strong><br />

Finchè esisteranno frantumi <strong>di</strong> bellezza, qualcosa si<br />

potrà ancora capire del mondo. Via via che<br />

spariscono, <strong>la</strong> mente perde capacità <strong>di</strong> afferrare e <strong>di</strong><br />

dominare. Questo grande rottame naufrago col<br />

vecchio nome <strong>di</strong> Italia è ancora, per <strong>la</strong> sua bellezza<br />

residua, un non pallido aiuto al<strong>la</strong> pensabilità del<br />

mondo. (Guido Ceronetti, 1983, p. 39)<br />

Si è detto e scritto molto, sia a livello locale che nazionale, sul recente e grave assalto ai più<br />

prestigiosi e delicati caratteri fisionomici e ambientali del<strong>la</strong> Terraferma veneta, cioè quel<br />

peculiare contesto geografico universalmente noto come uno dei paesaggi rurali più<br />

affascinanti del<strong>la</strong> terra, vera e propria “arca<strong>di</strong>a <strong>di</strong>ffusa” che, dopo <strong>la</strong> fortunata stagione<br />

rinascimentale co<strong>di</strong>ficata dal<strong>la</strong> firma pal<strong>la</strong><strong>di</strong>ana (Cosgrove, 2000), ha visto il perfezionarsi <strong>di</strong><br />

un’armoniosa coesistenza tra base naturale e azione antropica. A partire dal secondo<br />

dopoguerra, il giusto e lodevole impegno delle genti venete nel<strong>la</strong> corsa al successo<br />

economico, una volta conseguiti gli straor<strong>di</strong>nari livelli <strong>di</strong> una ben <strong>di</strong>stribuita opulenza, non ha<br />

però <strong>la</strong>sciato il tempo per attivare una pausa <strong>di</strong> riflessione, <strong>di</strong> valutare il rovescio del<strong>la</strong><br />

medaglia e gli sgradevoli e preoccupanti effetti col<strong>la</strong>terali, né <strong>di</strong> considerare in modo<br />

consapevole il nuovo status sociale ed esistenziale e <strong>la</strong> progressiva per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> serenità. La<br />

crescita dei red<strong>di</strong>ti e le <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> incremento sono come un fiume in piena che ha travolto<br />

il buon senso, l’antica sacralità che avvolgeva le abitu<strong>di</strong>ni quoti<strong>di</strong>ane, le re<strong>la</strong>zioni <strong>di</strong> vicinato,<br />

penalizzando l’affetto che legava le comunità ai propri luoghi. Ne consegue che “una<br />

pluralità <strong>di</strong> fenomeni sociali negativi, con l’emergere <strong>di</strong> situazioni <strong>di</strong> anomìa e <strong>di</strong> angoscia<br />

esistenziale, denunciano da tempo il grado <strong>di</strong> sofferenza collettiva e in<strong>di</strong>viduale nei rapporti<br />

tra natura e cultura. La ‘normalità’ dell’equilibrio necessario, continuamente riproposto e<br />

riconquistato, viene sostituita dall’arroganza <strong>di</strong> chi non accetta alcun vincolo, né sacro né<br />

profano” (Bernar<strong>di</strong>, 2004, p. 13).<br />

Forse è fin troppo facile indugiare nel <strong>di</strong>sfattismo ipercritico qualora ci si ponga <strong>di</strong>nanzi agli<br />

o<strong>di</strong>erni esiti del<strong>la</strong> opulenta territorialità veneta, compen<strong>di</strong>o davvero artico<strong>la</strong>to e complesso <strong>di</strong><br />

formidabili attitu<strong>di</strong>ni incrementali, una sorta <strong>di</strong> ido<strong>la</strong>tria del “fare” ampiamente con<strong>di</strong>visa e<br />

attuata sia che si tratti del<strong>la</strong> recinzione <strong>di</strong> casa, che dell’interramento dei fossi e<br />

l’abbattimento dell’ultima <strong>siepe</strong>, fino alle spasmo<strong>di</strong>che sollecitazioni presso gli uffici tecnici<br />

comunali per al<strong>la</strong>rgare le varianti ai piani rego<strong>la</strong>tori, cambiare le destinazioni d’uso dei suoli.<br />

Ma è sufficiente una breve escursione lungo una qualsiasi linea <strong>di</strong> flusso stradale tra <strong>la</strong><br />

località A e <strong>la</strong> località B <strong>di</strong>slocate in Veneto (escludendo ampi settori del<strong>la</strong> bassa veronese, il<br />

Polesine e <strong>la</strong> più parte delle terre nuove a est del Piave) per rendersi conto che l’immaginario<br />

più pessimista è ancora inadeguato rispetto allo svolgersi incalzante delle reali <strong>di</strong>namiche<br />

territoriali.


1. Dai paesaggi del<strong>la</strong> paura al pessimismo<br />

C’è<br />

anche una componente <strong>di</strong> follia nell’attuale<br />

aggressione a 360 gra<strong>di</strong> del quadro ambientale che<br />

costituisce il palcoscenico sul quale viviamo […]<br />

Ma c’è anche un elemento culturale, l’assenza <strong>di</strong><br />

speranza e <strong>di</strong> utopia, che spinge a una furia<br />

<strong>di</strong>struttiva così profonda.<br />

(Teresa Isenburg, 2003, p. 11)<br />

E’ ormai parte del<strong>la</strong> quoti<strong>di</strong>anità autoctona l’incontro-scontro con gli esiti negativi del<strong>la</strong><br />

repentina e <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata crescita urbana del Veneto, partico<strong>la</strong>rmente vigorosa a partire dal<strong>la</strong><br />

fine degli anni Novanta, e ne fa fede sia <strong>la</strong> constatazione empirica del viaggiatore anche poco<br />

attento, sia <strong>la</strong> fredda oggettività dei rilievi statistici: “Basti pensare che negli anni ’90 i<br />

volumi complessivi re<strong>la</strong>tivi a concessioni ritirate per le sole nuove costruzioni residenziali<br />

sono rimasti costantemente sopra i 9 milioni <strong>di</strong> mc/anno e spesso sopra i 15 milioni <strong>di</strong> mc nel<br />

non residenziale. Peraltro in termini <strong>di</strong> cubatura il contributo del Veneto al totale italiano<br />

delle concessioni e<strong>di</strong>lizie per nuove costruzioni residenziali è passato, dal 1993 al 2000,<br />

dall’11,3% al 15,4%” (Regione Veneto, 2004, p. 65). Non è facile identificare <strong>la</strong> poco lieta<br />

graduatoria dei più gravi impatti innescati dal<strong>la</strong> cospicua <strong>di</strong>ffusione urbana nel territorio qui<br />

in esame. Certamente <strong>la</strong> percezione del<strong>la</strong> gravità dei <strong>di</strong>sagi è <strong>di</strong>rettamente connessa agli stili<br />

<strong>di</strong> vita dei singoli: <strong>la</strong> vischiosità dei collegamenti stradali, ad esempio, è probabile che <strong>la</strong>sci<br />

deboli segni nelle attitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> chi utilizza <strong>la</strong> ferrovia per il pendo<strong>la</strong>rismo quoti<strong>di</strong>ano. Oppure,<br />

<strong>la</strong> consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> frequentare destinazioni balneari extra regionali non sempre consente una<br />

presa <strong>di</strong> coscienza critica nei confronti degli ulteriori progetti <strong>di</strong> cementificazione del già<br />

intasato litorale alto adriatico. Più con<strong>di</strong>visibile è invece <strong>la</strong> per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> potabilità delle falde, il<br />

peggioramento del<strong>la</strong> qualità dell’aria, l’inquinamento dei fiumi, il <strong>di</strong>fficile smaltimento dei<br />

rifiuti, il declino estetico degli ambiti suburbani e <strong>di</strong> ciò che, fino a qualche anno fa, si era<br />

soliti definire “campagna”.<br />

Al <strong>di</strong> là comunque delle <strong>di</strong>verse percezioni, ciò che invece è emerso in questi ultimi anni è<br />

uno stato <strong>di</strong> costante conflittualità ambientale, giungendo al pettine un numero considerevole<br />

<strong>di</strong> no<strong>di</strong> <strong>di</strong> cui non ci si era mai preoccupati durante <strong>la</strong> straor<strong>di</strong>naria temperie socio economica<br />

che, a partire dai primi anni ’60, ha portato in breve tempo il Veneto ai vertici del benessere<br />

globale. Non è certo utile recriminare sugli errori del passato, tra l’altro ben noti sia a livello<br />

popo<strong>la</strong>re che scientifico (Gazerro, 1997). Vale invece <strong>la</strong> pena rammentare che <strong>la</strong><br />

<strong>di</strong>stribuzione geografica dei conflitti ambientali continua ad aumentare, dal Garda a punta<br />

Tagliamento, dal Cadore al Delta Po. E <strong>la</strong> imme<strong>di</strong>ata leggibilità <strong>di</strong> questi artico<strong>la</strong>ti <strong>di</strong>sagi è<br />

resa possibile dal corrispondente formarsi <strong>di</strong> comitati <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni che si sentono minacciati da<br />

<strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> impatti a seguito <strong>di</strong> scelte territoriali connesse al<strong>la</strong> produzione, al<br />

prelievo <strong>di</strong> inerti, al trattamento dei rifiuti, al potenziamento del<strong>la</strong> telefonia mobile, al<strong>la</strong><br />

fornitura <strong>di</strong> energia, al<strong>la</strong> crescente domanda <strong>di</strong> viabilità (Zamparutti, 2000).<br />

Le <strong>di</strong>namiche psicologiche che governano il proliferare <strong>di</strong> comitati emergenziali sono<br />

facilmente riconducibili non solo al piano geo-culturale dei ben noti Landscapes of fear<br />

(Tuan, 1979), ma anche al più generico senso <strong>di</strong> pessimismo che connota, con andamento<br />

pressoché parallelo, l’acquisizione e <strong>la</strong> <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> modalità esistenziali sempre più<br />

interconnesse al progresso tecnologico (Bennett, 2003). Ciò conduce in molti casi a denigrare<br />

il presente e, per compensazione, ad una acritica mitizzazione del passato, rimuovendone<br />

<strong>di</strong>sagi e <strong>di</strong>fficoltà. E’ possibile quin<strong>di</strong> suggerire una lettura del paesaggio veneto attraverso <strong>la</strong><br />

grande <strong>di</strong>ffusione dei comitati per <strong>la</strong> <strong>di</strong>fesa dell’ambiente e, <strong>di</strong> conseguenza, non è azzardato


proporre il para<strong>di</strong>gma interpretativo del “paesaggio del<strong>la</strong> paura”. Senza soffermarsi sulle<br />

componenti biologiche che governano il meccanismo del<strong>la</strong> paura, e<strong>la</strong>borato in tutte le specie<br />

animali evolute per garantirsi <strong>la</strong> sopravvivenza, nel nostro caso il pulvisco<strong>la</strong>re incremento <strong>di</strong><br />

minacce al<strong>la</strong> qualità ambientale del<strong>la</strong> regione, sia sul piano ecologico che fisionomico, si sta<br />

rive<strong>la</strong>ndo motivo sufficiente per innescare reazioni <strong>di</strong> al<strong>la</strong>rme e <strong>di</strong> ansia, cioè le componenti<br />

essenziali dell’emozione definibile come paura. L’aggregarsi incalzante in comitati può<br />

essere dunque valutato come paura dell’ambiente e per l’ambiente, in grado <strong>di</strong> suscitare una<br />

significativa reazione emotiva dell’organismo che stimo<strong>la</strong> un potenziamento <strong>di</strong> controllo e <strong>di</strong><br />

sorveglianza partecipata dello spazio vissuto nel momento in cui quest’ultimo appare<br />

minacciato da scelte estranee, non con<strong>di</strong>vise. Questo tema meriterebbe ulteriori<br />

approfon<strong>di</strong>menti, partico<strong>la</strong>rmente urgenti in alcuni settori del<strong>la</strong> me<strong>di</strong>a pianura veneta, ove è<br />

possibile imbattersi in tutt’altro che episo<strong>di</strong>ci casi <strong>di</strong> psicopatologie e crisi depressive<br />

collegate a ciò che si suole in<strong>di</strong>care come “per<strong>di</strong>ta traumatica del senso dei luoghi” (Pezzullo,<br />

2005).<br />

<strong>Il</strong> ben <strong>di</strong>stribuito formarsi del<strong>la</strong> campagna urbanizzata ha frantumato <strong>la</strong> tra<strong>di</strong>zionale<br />

opposizione con <strong>la</strong> città, producendo un senso <strong>di</strong> incomprensione e illegibilità dei nuovi<br />

assetti territoriali. Lo stesso <strong>di</strong>casi dell’omologazione fisionomica dei paesaggi agrari,<br />

sottoposti alle logiche produttivistiche delle massime rese con <strong>la</strong> minima spesa. In entrambi i<br />

casi allo stravolgimento delle geografia del<strong>la</strong> memoria si accompagna <strong>la</strong> avvilente<br />

convivenza con nuove minacce e concreti danni al<strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong> vita a cui si è già<br />

accennato. La psicologia ambientale e <strong>la</strong> geografia umanistica sono pro<strong>di</strong>ghe <strong>di</strong> informazioni<br />

circa l’importanza <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> una quoti<strong>di</strong>anità ambientale affidabile e riconoscibile,<br />

ove sia possibile tute<strong>la</strong>re e incoraggiare il senso <strong>di</strong> appartenenza al<strong>la</strong> comunità, nutrendosi <strong>di</strong><br />

valori identitari, trovandovi infine valide opzioni per il tempo ricreativo in un ambiente<br />

salubre (Bunce, 1994).<br />

Ma l’idea <strong>di</strong> Veneto come paesaggio del<strong>la</strong> paura non è alimentata solo dal degrado del<strong>la</strong><br />

qualità ambientale e panoramica, ma anche dal vistoso senso <strong>di</strong> insicurezza che turba il<br />

benessere dei microcosmi familiari, le infinite mini “arca<strong>di</strong>e” private realizzatesi all’interno<br />

delle recinzioni che racchiudono l’impressionante varietà tipologica dell’unità abitativa mono<br />

o al massimo bifamiliare (<strong>Vallerani</strong>, 1999). Si tratta dell’angosciante timore per <strong>la</strong> criminalità<br />

dei furti e degli assalti alle ville iso<strong>la</strong>te, per cui <strong>la</strong> casa e il giar<strong>di</strong>no ben progettato non<br />

ri<strong>la</strong>scia più sul paesaggio so<strong>la</strong>mente <strong>la</strong> narrazione simbolica del successo economico, ma<br />

anche sempre più vistosi segni del<strong>la</strong> paura che proprio in Veneto stanno rendendo assai<br />

florido il settore produttivo che si occupa <strong>di</strong> porte blindate, <strong>di</strong> vetrate antisfondamento, <strong>di</strong><br />

accessori elettronici per sofisticati sistemi <strong>di</strong> al<strong>la</strong>rme e <strong>di</strong> controllo a <strong>di</strong>stanza (Gold, Revill,<br />

2002). Ecco che <strong>la</strong> deprimente misce<strong>la</strong> tra paura e pessimismo può condurre al<strong>la</strong> grave<br />

conseguenza <strong>di</strong> penalizzare il tra<strong>di</strong>zionale senso <strong>di</strong> socialità, alterando il gusto del<br />

ra<strong>di</strong>camento, ma anche, in senso più generale, <strong>la</strong> sod<strong>di</strong>sfazione residenziale.<br />

2. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>ssenso dei proti<br />

La nostra vera colpa <strong>di</strong> impren<strong>di</strong>tori è stata <strong>la</strong> carenza<br />

<strong>di</strong> previsione. Abbiamo mo<strong>di</strong>ficato <strong>la</strong> realtà produttiva<br />

ed economica del<strong>la</strong> società […] ma non ci siamo<br />

occupati delle infrastrutture sociali e delle istituzioni<br />

[…] Gli squilibri socio-ambientali si sono ritorti<br />

pesantemente contro <strong>di</strong> noi. (Giovanni Agnelli, 1972)


A gran<strong>di</strong> linee l’o<strong>di</strong>erna territorializzazione del Veneto più che l’esito <strong>di</strong> un “modello”<br />

consapevole, e<strong>la</strong>borato a seguito <strong>di</strong> specifiche riflessioni, è il frutto spontaneo maturato<br />

all’interno del rilevante ripensamento circa <strong>la</strong> criticità sollevata dal<strong>la</strong> espansione industriale<br />

nel triangolo del nord ovest, riflessione in seguito estesasi al resto del Paese e culminante<br />

nell’istituzione <strong>di</strong> alcune commissioni governative, tra le quali <strong>la</strong> Franceschini (1967) e <strong>la</strong> De<br />

Marchi (1970), de<strong>di</strong>cate a questioni <strong>di</strong> tute<strong>la</strong> sia ambientale che del paesaggio (Muscarà,<br />

1976). Come spesso accade, l’attenta e<strong>la</strong>borazione <strong>di</strong> analisi sulle <strong>di</strong>namiche territoriali non<br />

hanno che trascurabili ricadute operative, mantenendosi invece ben attivi i consueti<br />

meccanismi del<strong>la</strong> ren<strong>di</strong>ta fon<strong>di</strong>aria. L’auspicio <strong>di</strong> decongestionare in senso postfor<strong>di</strong>sta le<br />

gran<strong>di</strong> po<strong>la</strong>rità urbano-industriali del nord ovest italiano trova invece ampio riscontro nel<br />

Veneto degli anni ’70, ove si assiste a un processo <strong>di</strong> “rivalorizzazione territoriale, questa<br />

volta a vantaggio <strong>di</strong> periferie regionali investite da consistenti processi <strong>di</strong> rivitalizzazione”<br />

(Dematteis, 1995, p. 675). Tale tendenza al decentramento va <strong>di</strong> pari passo con <strong>la</strong> crescita<br />

demografica nei principali centri urbani, che se da un <strong>la</strong>to può essere valutata come un<br />

processo spontaneo, dall’altro appare legata a una pur minima politica <strong>di</strong> welfare che<br />

determina, e in partico<strong>la</strong>re nel territorio veneto, una sod<strong>di</strong>sfacente <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> generiche<br />

infrastrutture che attenuano <strong>la</strong> <strong>di</strong>fferenza tra il vivere in città e in campagna (Charrier, 1991).<br />

E’ sufficiente qui rammentare che il passo successivo è stato l’affermarsi nel nord est del<br />

frazionamento e del<strong>la</strong> flessibilità dei cicli produttivi, creando uno specifico assetto territoriale<br />

definito dagli economisti come “Terza Italia” (Bagnasco, 1977), il quale si è innestato nel<strong>la</strong><br />

tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong>spersione inse<strong>di</strong>ativa legata all’agricoltura. Su questa filigrana retico<strong>la</strong>re si<br />

sono appoggiate le più che decennali attitu<strong>di</strong>ni incrementali, con poca attenzione ai caratteri<br />

originari del<strong>la</strong> territorialità ere<strong>di</strong>tata che, come già accennato, presentano un prestigioso<br />

sfondo storico-culturale e ambientale entro cui emerge una fitta rete <strong>di</strong> eccellenze <strong>di</strong> indubbia<br />

risonanza globale.<br />

E’ però solo in anni recenti che le narrazioni scientifiche dei proti, cioè degli esperti (così<br />

come si <strong>di</strong>ceva in antico veneziano), stanno facendo proprio il <strong>di</strong>sagio avvertito ben in<br />

precedenza da alcuni poeti e scrittori veneti. Ma <strong>di</strong> questo aspetto ci occuperemo fra non<br />

molto. In realtà il geografo Eugenio Turri, tra i cinque firmatari del<strong>la</strong> cosiddetta “carta <strong>di</strong><br />

Asiago”, licenziata nel<strong>la</strong> primavera del 2004 a supporto <strong>di</strong> un provvidenziale, anche se<br />

tar<strong>di</strong>vo, sforzo promosso dal governo regionale per ri<strong>di</strong>mensionare le incoercibili attitu<strong>di</strong>ni al<br />

consumo <strong>di</strong> territorio nel Veneto, aveva già ampiamente trattato al<strong>la</strong> fine degli anni ‘70 le<br />

ricadute del<strong>la</strong> “grande trasformazione”, del<strong>la</strong> fine troppo rapida, quasi una rottura traumatica,<br />

del mondo conta<strong>di</strong>no sostituito dal turbine miracolistico dell’industrializzazione delle<br />

campagne (Turri, 1990). Egli fa ampio ricorso ad un approccio impressionistico, includendo<br />

nelle sue considerazioni anche i nuovi suoni e i nuovi odori, in genere repulsivi. Mette in<br />

evidenza tra i costi del “miracolo” economico il <strong>di</strong>sinteresse e lo sfregio dei beni naturali e<br />

culturali, <strong>la</strong> per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> identità, <strong>la</strong> volgarità del<strong>la</strong> nuova ido<strong>la</strong>tria consumistica, il ritardo<br />

culturale nell’acquisizione <strong>di</strong> una coscienza ecologica, per cui <strong>la</strong> nuova <strong>di</strong>spersione<br />

produttiva nelle campagne “ha anche una certa sua rozzezza, una certa sua primor<strong>di</strong>alità, che<br />

nel clima del miracolo, quando si potevano realizzare anche facili guadagni, ha visto spesso<br />

emergere l’impren<strong>di</strong>tore scaltro, <strong>di</strong>sonesto, volto solo al suo personale profitto” (Turri, 1990,<br />

p. 181).<br />

Più <strong>di</strong> recente, man mano che cresce e si al<strong>la</strong>rga <strong>la</strong> percezione dei guasti e degli impatti<br />

conseguenti al<strong>la</strong> vigorosa crescita economica, si intensificano le riflessioni critiche,<br />

probabilmente stimo<strong>la</strong>te sia dal<strong>la</strong> personale sensibilità dei singoli ricercatori, sia dalle sempre<br />

più frequenti mobilitazioni <strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni e dall’intensificarsi dei contributi delle<br />

associazioni impegnate nel<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> del patrimonio ambientale, come Italia Nostra, il Wwf e il<br />

Fondo per l’Ambiente Italiano (FAI). Si consideri, ad esempio, il suggestivo contributo<br />

dell’urbanista Anna Marson, <strong>la</strong> cui analisi scientifica prende l’avvio da una interiore<br />

“sofferenza estetica”, non facile da esplicare, ma che è <strong>di</strong> certo “sintomo d’un degrado


sociale e culturale più profondo; <strong>la</strong> per<strong>di</strong>ta del paesaggio, degli oggetti del<strong>la</strong> memoria, del<strong>la</strong><br />

<strong>di</strong>fferenziazione dei singoli luoghi è per<strong>di</strong>ta del<strong>la</strong> nostra storia sociale, per<strong>di</strong>ta delle <strong>di</strong>verse<br />

culture locali […] un insieme <strong>di</strong> riti sociali, un rapporto ‘magico’ con l’ambiente fisico”<br />

(Marson, 2001, p. 13). La critica e il <strong>di</strong>ssenso non sono sterili, ma avviano un utile percorso<br />

propositivo che si conclude suggerendo nuove sinergie tra l’azione pubblica e una più<br />

consapevole partecipazione degli attori territoriali.<br />

Quanto narrato dal<strong>la</strong> Marson si colloca comunque all’interno <strong>di</strong> un <strong>di</strong>battito sempre più<br />

serrato e avvincente sul cosiddetto “sviluppo locale territoriale” che coinvolge molteplici<br />

forze culturali all’interno del Paese, partico<strong>la</strong>rmente attente al<strong>la</strong> recente adozione da parte <strong>di</strong><br />

numerosi paesi comunitari del<strong>la</strong> Convenzione Europea sul Paesaggio (Magnaghi, 2000).<br />

Altrettanto efficace nel tentativo <strong>di</strong> cogliere le <strong>di</strong>namiche complesse del<strong>la</strong> città <strong>di</strong>ffusa è <strong>la</strong><br />

ricerca curata da Luca Dal Pozzolo e promossa dal Politecnico <strong>di</strong> Torino (Dal Pozzolo,<br />

2002), con l’obiettivo <strong>di</strong> assicurare <strong>la</strong> leggibilità del<strong>la</strong> <strong>di</strong>spersione urbana in modo da<br />

prevenire ulteriore consumo <strong>di</strong> spazio e garantire una più attenta tute<strong>la</strong> del<strong>la</strong> qualità<br />

ambientale. Altri spunti applicabili allo stu<strong>di</strong>o del caso veneto, sono de<strong>di</strong>cati al perenne<br />

rischio che minaccia ciò che resta del bel paesaggio italiano (Ricci, 2003). Anche in questi<br />

casi ci si imbatte in un consapevole e motivato <strong>di</strong>ssenso verso il proseguire acritico del<strong>la</strong><br />

<strong>di</strong>ssipazione territoriale, ancor più evidenti in questi anni <strong>di</strong> normalizzazione dei condoni e <strong>di</strong><br />

drastica riduzione dei trasferimenti agli enti locali, obbligandoli in tal modo a “raschiare” il<br />

fondo del già consunto barile, il che si traduce in inconsulti e frettolosi ampliamenti delle<br />

aree e<strong>di</strong>ficabili, <strong>la</strong> cui unica razionalità è raccattare un po’ <strong>di</strong> oneri <strong>di</strong> urbanizzazione e<br />

incrementare l’ICI, rinunciando forse in modo definitivo a parte del patrimonio ere<strong>di</strong>tato<br />

(cioè un valore prodotto da chi ci ha preceduto e consegnatoci senza alcun nostro merito<br />

specifico) e al potere rasserenante del<strong>la</strong> bellezza.<br />

Una traccia <strong>di</strong> speranza è fortunatamente rinvenibile tra le righe del<strong>la</strong> narrazione tecnica<br />

e<strong>la</strong>borata all’interno dell’Assessorato alle Politiche del Territorio del<strong>la</strong> Regione Veneto, un<br />

lodevole atto <strong>di</strong> introspezione anche se appare in buona misura con<strong>di</strong>zioata dai più urgenti<br />

vincoli dell’autocelebrazione e del marketing elettorale. Nel già menzionato Documento<br />

programmatico si nota comunque con un notevole sollievo l’uso del vocabolo “<strong>di</strong>sagio”,<br />

paro<strong>la</strong> chiave troppo spesso utilizzata da chi ha preso a cuore in questi ultimi anni le sorti del<br />

paesaggio veneto. E’ ad<strong>di</strong>rittura il termine attorno al quale si è costruito il convegno <strong>di</strong><br />

Sernaglia del 2003, occasione in cui sono state presentate le riflessioni contenute in gran<br />

parte dei saggi raccolti in questo volume. E così, affrontando <strong>la</strong> spinosa questione dei futuri<br />

scenari in cui è fin troppo palese il rischio <strong>di</strong> saturazione, non si indugia a denunciare che “gli<br />

esiti <strong>di</strong> tale densificazione sono già oggi fonte <strong>di</strong> crescente <strong>di</strong>sagio [mio il corsivo] per i<br />

citta<strong>di</strong>ni e le imprese, ma <strong>la</strong> loro rilevanza riguarda in partico<strong>la</strong>r modo il futuro, in re<strong>la</strong>zione<br />

al rischio <strong>di</strong> un abbassamento rilevante del<strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong> vita” (Regione Veneto, 2004, p.<br />

62). Anche per quanto riguarda <strong>la</strong> criticità del traffico, le cause sono connesse al<strong>la</strong><br />

<strong>di</strong>sgregazione territoriale e al<strong>la</strong> proliferazione residenziale e produttiva lungo gli assi viari e<br />

“da questo modello sembra derivare gran parte del <strong>di</strong>sagio che si riscontra nelle infrastrutture<br />

del<strong>la</strong> mobilità, che evidenziano estesi fenomeni <strong>di</strong> congestione, sia all’interno degli abitati sia<br />

nel<strong>la</strong> rete <strong>di</strong> interconnessione” (ibidem, p. 95). Altrettanto pesanti sono le parole che<br />

stigmatizzano il degrado del<strong>la</strong> base naturale “il cui deterioramento a causa <strong>di</strong> sottrazioni e<br />

inquinamenti, produce una per<strong>di</strong>ta irreversibile per il patrimonio fisico e <strong>la</strong> bio<strong>di</strong>versità” e<br />

dell’identità regionale: “Parimenti grave, perché rappresenta una scomparsa irrime<strong>di</strong>abile, è<br />

<strong>la</strong> cancel<strong>la</strong>zione dei paesaggi, dei monumenti e <strong>di</strong> quei segni del<strong>la</strong> ‘memoria collettiva’ che<br />

sono costitutivi dell’identità e dell’autocoscienza regionale” (ibidem, p. 94).


3. Angoscia dalle contrade<br />

Oltre al <strong>di</strong>scorso dei tecnici è opportuno volgere l’ascolto allo spazio vissuto, incamminarsi<br />

per le strade secondarie, nel<strong>la</strong> recente efficienza delle nuove lottizzazioni, sia residenziali che<br />

produttive, osservando l’incuria dei fossi, ridotti al ruolo <strong>di</strong> ricettori dei reflui, ma anche<br />

fedeli sismografi dei piccoli abusi e del progressivo e ormai quasi concluso <strong>di</strong>stacco tra gli<br />

abitanti e il loro territorio. Si accennava poco sopra al<strong>la</strong> proliferazione dei comitati che<br />

aggregano i <strong>di</strong>sagi e le angosce con<strong>di</strong>vise, facendo da portavoce presso le istituzioni <strong>di</strong> un<br />

senso <strong>di</strong> malessere che evidentemente rende infelici ampie porzioni <strong>di</strong> popo<strong>la</strong>zione. Si tratta<br />

in gran parte <strong>di</strong> conflitti ambientali irrisolti, nonostante sia a <strong>di</strong>sposizione una normativa<br />

regionale fin troppo accurata e artico<strong>la</strong>ta, che però troppo spesso non è interpretata in modo<br />

chiaro e univoco. Ecco che il conflitto non si risolve. La proliferazione dei comitati è<br />

<strong>di</strong>rettamente proporzionale all’incapacità <strong>di</strong> governare il territorio. In questa sede non è<br />

ovviamente possibile dar conto delle innumerevoli voci che si sono levate dalle contrade<br />

venete. Si procederà con grande sintesi, cercando <strong>di</strong> concentrarsi lungo il filo conduttore del<br />

<strong>di</strong>sagio territoriale prodotto dal<strong>la</strong> metamorfosi del<strong>la</strong> campagna veneta in una ibrida poltiglia<br />

suburbana, con acqua, aria e terra infettate, cioè tre su quattro degli elementi del<strong>la</strong><br />

cosmologia p<strong>la</strong>tonica, al<strong>la</strong> cui armoniosa coesistenza e salvaguar<strong>di</strong>a erano così attente,<br />

dall’età pal<strong>la</strong><strong>di</strong>ana in avanti, le magistrature veneziane, illustri ascendenze dell’attuale<br />

governo regionale.<br />

Un buon in<strong>di</strong>catore del<strong>la</strong> crescente <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa preoccupazione è senza dubbio<br />

l’incalzante susseguirsi nel<strong>la</strong> stampa locale, ma anche nazionale, sia <strong>di</strong> resoconti e cronache,<br />

sia <strong>di</strong> più approfon<strong>di</strong>te riflessioni, che evidenziano i problemi, sottolineano i casi più critici e<br />

invitato al confronto, stimo<strong>la</strong>ndo il coinvolgimento dei responsabili politici. Questi ultimi<br />

solo in pochi casi accettano il <strong>di</strong>alogo <strong>di</strong>retto con i comitati, anche perché non è raro<br />

l’esasperarsi dei toni in occasioni <strong>di</strong> alcune “serate” su tematiche iperlocali, in cui gli<br />

autoctoni portatori del <strong>di</strong>sagio non sempre riescono a p<strong>la</strong>carsi <strong>di</strong> fronte alle solite promesse.<br />

All’interno <strong>di</strong> questo sottostante brusio <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssenso ho in<strong>di</strong>viduato due acuti partico<strong>la</strong>rmente<br />

significativi, che vanno <strong>oltre</strong> l’effimera urgenza del fatto <strong>di</strong> cronaca, ma segna<strong>la</strong>no invece <strong>la</strong><br />

drammatica persistenza del <strong>di</strong>sagio territoriale. Alludo al grande rilievo dato da due<br />

settimanali <strong>di</strong>ocesani del<strong>la</strong> regione al<strong>la</strong> questione qui in esame. Sia <strong>la</strong> Difesa del popolo, del<strong>la</strong><br />

<strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Padova, che L’Azione, del<strong>la</strong> <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Vittorio Veneto, hanno offerto un ampio<br />

risalto in prima pagina, seguito da dettagliati approfon<strong>di</strong>menti che occupano interamente le<br />

due successive pagine interne, a commenti e riflessioni sul rapporto del Cresme del 2002<br />

(Centro ricerche economiche e sociali sul mercato e<strong>di</strong>le) re<strong>la</strong>tivo all’incremento e<strong>di</strong>lizio in<br />

Veneto.<br />

Nel<strong>la</strong> Difesa del 12 maggio 2002 il titolo <strong>di</strong> prima pagina è perentorio: “<strong>Il</strong> Veneto consuma <strong>la</strong><br />

terra”, mentre l’occhiello par<strong>la</strong> <strong>di</strong> “dati al<strong>la</strong>rmanti”. Nell’articolo <strong>di</strong> fondo colpiscono le<br />

scelte lessicali e i toni <strong>di</strong> un dramma incombente per una tendenza, l’espansione e<strong>di</strong>lizia, che<br />

fino a pochi anni fa, in queste stesse pagine, era valutata come segnale <strong>di</strong> indubitabile<br />

espansione del benessere collettivo. I dati del Cresme sono visti come “accusa circostanziata”<br />

che documentano “un’aggressione e<strong>di</strong>lizia” tanto che l’area veneta “non è in grado <strong>di</strong><br />

sopportare questo trend; occorre quin<strong>di</strong> regimentare lo sviluppo per non trovarsi tra una<br />

decina d’anni a non avere più nul<strong>la</strong> da salvare” (Canazza, Sartori, 2002, p. 1). Le buone<br />

intenzioni dell’assessorato regionale per le politiche territoriali restano solo sul<strong>la</strong> carta: “Una<br />

lista <strong>di</strong> buone intenzioni encomiabile. Saranno attuate nel concreto? […] Secondo il Cresme<br />

questo non sta avvenendo” (ibidem). In seconda pagina l’approfon<strong>di</strong>mento è ancora più<br />

esplicito: il “modello” veneto è visto infatti come “primatista <strong>di</strong> velocità nel <strong>di</strong>vorare il suo<br />

suolo” (Ibidem, p. 2). Insomma appare ancora una volta evidente il rischio <strong>di</strong> irreversibile<br />

congestione territoriale in un futuro non lontano e tale evoluzione va <strong>di</strong> pari passo con “<strong>la</strong><br />

richiesta <strong>di</strong> qualità nell’ambiente, del contorno in cui si vive” (ibidem).


Poco <strong>di</strong>verso è l’accorato al<strong>la</strong>rme che domina <strong>la</strong> prima pagine dell’Azione del 1 settembre<br />

2002, in cui il titolo <strong>di</strong> prima pagina “L’aggressione e<strong>di</strong>lizia”, ha per sfondo una inquietante<br />

foto aerea de<strong>di</strong>cata a un settore <strong>di</strong> pianura già saturato. L’occhiello, a cura del<strong>la</strong> redazione,<br />

precisa che “sempre più il cemento <strong>di</strong>vora il nostro territorio. Zone industriali e residenziali,<br />

moltiplicatesi in pochi anni, rischiano <strong>di</strong> compromettere una risorsa che appartiene a tutti”<br />

(ibidem, p. 1). Anche qui non mancano approfon<strong>di</strong>menti nelle pagine interne. Ma in<br />

precedenza L’Azione aveva già sposato <strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> del territorio, facendosi carico<br />

dei frequenti e pressanti appelli da parte del<strong>la</strong> società civile contro le scelte banalmente<br />

specu<strong>la</strong>tive adottate da alcuni comuni del Quartier del Piave, tra le colline del prosecco e il<br />

Montello.<br />

Ciò che accomuna queste due voci del “popolo” non è solo il commento ai dati del Cresme,<br />

ma il senso <strong>di</strong> un <strong>di</strong>sagio sempre più con<strong>di</strong>viso che le rassicurazioni dei politici non riescono<br />

ad attenuare, anche perché dopo <strong>oltre</strong> due anni, il viaggiare per le contrade venete è sempre<br />

un’esperienza deprimente, accentuandosi anzi certe criticità, che erano ancora da esplodere<br />

nel 2002. Basti pensare, ad esempio, alle enormi lottizzazioni del<strong>la</strong> S.Benedetto a Paese, in<br />

provincia <strong>di</strong> Treviso, e del<strong>la</strong> zincheria <strong>di</strong> Rosà, nel vicentino (quest’ultima costituisce<br />

ad<strong>di</strong>rittura un c<strong>la</strong>moroso caso <strong>di</strong> abuso e<strong>di</strong>lizio, sanzionato invano con sentenza del Consiglio<br />

<strong>di</strong> Stato del settembre 2004).<br />

Ma lo sconforto inconso<strong>la</strong>bile che suscita il paesaggio veneto sembra aver superato i confini<br />

regionali, occupando (o meglio pre-occupando) <strong>la</strong> narrazione giornalistica <strong>di</strong>vulgata dai<br />

quoti<strong>di</strong>ani nazionali. Significativo, a tal riguardo, è il contributo <strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> Erbani, inviato<br />

<strong>di</strong> Repubblica, de<strong>di</strong>cato all’Italia maltrattata, cioè “quel<strong>la</strong> parte consistente del paese che ha<br />

smarrito ogni senso, il valore delle proporzioni e con esso <strong>la</strong> giustizia e <strong>la</strong> sicurezza”.<br />

Durante quest’ultimo decennio “il territorio italiano ha pagato un prezzo altissimo. Ha subito<br />

un consumo <strong>la</strong> cui intensità non ha termini <strong>di</strong> paragone con il passato né con ciò che è<br />

accaduto in altri paesi europei” (Erbani, 2003, pp. VIII-IX). In terra veneta Erbani è colpito<br />

dal settore centrale, il triangolo Venezia, Padova, Treviso ove “è avvenuta un’altra delle più<br />

squassanti trasformazioni che territorio abbia mai subito” (ibidem, p.73). Dal suo viaggiare<br />

tra <strong>la</strong> Castel<strong>la</strong>na e <strong>la</strong> Noalese, con <strong>la</strong> spietata luci<strong>di</strong>tà dello sguardo dell’outsider, non può che<br />

notare “una sofferenza da sovraccarico. Lo spazio si è saturato, <strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione annaspa. La<br />

locomotiva veneta rischia <strong>di</strong> fermarsi” (ibidem, p. 74)<br />

4. Letteratura del <strong>di</strong>sagio<br />

Tutti i<br />

luoghi faranno <strong>la</strong> stessa fine, <strong>di</strong>venteranno solo<br />

astrazioni segnaletiche o progetti tecnici <strong>di</strong><br />

esperti … relitti <strong>di</strong> vecchie tristezze. (Gianni<br />

Ce<strong>la</strong>ti, 1993, p. 132)<br />

<strong>Il</strong> <strong>di</strong>sagio esistenziale in letteratura è un frequente filo conduttore, alimentato in gran parte<br />

dal pessimismo sul<strong>la</strong> con<strong>di</strong>zione umana e dal<strong>la</strong> eterna mitologia del<strong>la</strong> decadenza. Nel caso<br />

specifico qui in esame, il ricorso ad alcuni testi letterari coevi alle recenti <strong>di</strong>namiche<br />

evolutive che hanno mutato il volto seco<strong>la</strong>re del paesaggio veneto consentirà <strong>di</strong> trarre<br />

significativi vantaggi per una più approfon<strong>di</strong>ta interpretazione e comprensione <strong>di</strong> ciò che<br />

usualmente sfugge alle tra<strong>di</strong>zionali analisi geografiche e urbanistiche. Le visioni geopoetiche<br />

dei luoghi sono ormai dagli anni ’70 del secolo scorso un più che consolidato strumento <strong>di</strong><br />

<strong>la</strong>voro per il geografo umanista (Lando, 1993). <strong>Il</strong> loro impiego è in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>schiudere le<br />

sfumature <strong>di</strong> senso che si aggirano, <strong>di</strong>sperse e sconosciute, tra le certezze dei <strong>di</strong>scorsi<br />

formalizzati delle più efficienti analisi territoriali. Ne consegue un consapevole e accurato<br />

recupero dell’esperienza personale, una crescita dell’importanza dell’ascolto delle singole


voci <strong>di</strong> che abita i propri luoghi, un interesse per <strong>la</strong> quoti<strong>di</strong>anità del vissuto (Fremont, 1978).<br />

Ecco che da un pur rapido sguardo ad alcune voci del<strong>la</strong> letteratura veneta del secondo<br />

Novecento è possibile cogliere ulteriori spunti <strong>di</strong> riflessione per proseguire nel nostro<br />

cammino critico che, riba<strong>di</strong>amo ancora una volta, vuole potenziare un <strong>di</strong>verso approccio al<strong>la</strong><br />

prassi territoriale, più consona all’urgente bisogno <strong>di</strong> qualità.<br />

4.1 Le prime voci<br />

E’ fuor <strong>di</strong> dubbio che <strong>la</strong> grande e rapida trasformazione realizzatasi nel nord est italiano<br />

abbia segnato non solo i luoghi, ma anche le geografie mentali e il modo <strong>di</strong> percepire <strong>la</strong><br />

realtà. La <strong>di</strong>rezione miracolistica del “fare” e l’inebriante sensazione del riscatto sociale ed<br />

economico, come già si è detto poco fa, ha prodotto un suo rovescio del<strong>la</strong> medaglia,<br />

permeato <strong>di</strong> in<strong>di</strong>stinto malessere ed incertezza, <strong>la</strong> cui narrazione ha occupato parte<br />

dell’impegno letterario <strong>di</strong> alcuni scrittori veneti successivamente al vitalismo percettivo <strong>di</strong><br />

Giovanni Comisso e al garbato intimismo <strong>di</strong> Diego Valeri, forse troppo indugiante in<br />

nostalgiche retrospettive su un Veneto ormai scomparso: dal suo rimpianto per il passato non<br />

emergono infatti che geografie superficiali e oleografiche, anche se animate da una raffinata<br />

sensibilità (Valeri, 1977).<br />

Gli anni del boom economico fanno da sfondo a una produzione letteraria attenta alle<br />

<strong>di</strong>namiche politiche e socio-economiche responsabili del repentino passaggio dal<strong>la</strong><br />

tra<strong>di</strong>zionale realtà conta<strong>di</strong>na a quel<strong>la</strong> urbana e industriale, dove “<strong>la</strong> fabbrica appare all’ombra<br />

del campanile, si <strong>di</strong><strong>la</strong>ta all’interno del verde folto dei fi<strong>la</strong>ri” (Ban<strong>di</strong>ni, 1983, p. 48). Le prime<br />

voci geo-poetiche avvertono nel brusco cambiamento in atto una fonte <strong>di</strong> tensione e <strong>di</strong><br />

inquietu<strong>di</strong>ne, una per<strong>di</strong>ta degli elementi più peculiari dell’identità regionale. Una risposta<br />

potrebbe essere l’affettuosa rievocazione, già notata in Valeri, de “… il caro, il dolce, il pio<br />

passato”, ma è evidente che l’i<strong>di</strong>llio etnografico è poca cosa rispetto al tumultuoso<br />

susseguirsi degli eventi, anche se Luigi Meneghello in Libera nos a Malo, con l’uso del<br />

<strong>di</strong>aletto e il recupero dell’oralità pre-industriale, sa cogliere una straor<strong>di</strong>naria opportunità per<br />

<strong>di</strong>stanziarsi dal<strong>la</strong> <strong>di</strong><strong>la</strong>gante società dei consumi che annul<strong>la</strong> e omologa (Meneghello, 1963).<br />

Ma l’atteggiamento letterario che più interessa in questo saggio è l’insopprimibile desiderio<br />

<strong>di</strong> dar voce al <strong>di</strong>sagio, all’alienazione, al<strong>la</strong> <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> capire le componenti del<strong>la</strong> nuova<br />

mentalità, delle nuove scelte esistenziali e delle concrete ricadute sul<strong>la</strong> nuova territorialità.<br />

Ecco che gli scrittori, partendo dalle trasformazioni del proprio spazio vissuto, riflettono più<br />

in generale sul rimodel<strong>la</strong>rsi delle geografie tra<strong>di</strong>zionali, che è in gran parte cancel<strong>la</strong>zione dei<br />

segni del<strong>la</strong> seco<strong>la</strong>re ruralità conta<strong>di</strong>na, ma anche del<strong>la</strong> monumentalità minore, dei panorami,<br />

del<strong>la</strong> balneabilità delle acque interne. La letteratura consente dunque <strong>di</strong> addentrarsi<br />

all’interno delle più intime pieghe del malessere, <strong>di</strong> esplicare <strong>la</strong> deriva degli appro<strong>di</strong> che ha<br />

iniziato a turbare gli animi più sensibili e attenti, dando voce al <strong>di</strong>sagio e aiutando così a<br />

capire quale brutta china stava imboccando lo sviluppo senza freni, ben prima che le<br />

problematiche ecologiche fossero con<strong>di</strong>visa e al<strong>la</strong>rgata questione culturale.<br />

Suggestivo, a tal riguardo, è il memorabile contributo <strong>di</strong> Pier Paolo Pasolini sul<strong>la</strong> scomparsa<br />

delle lucciole: ”E’ una scomparsa fulminea e folgorante che segna il passaggio<br />

dall’industrializzazione degli anni Cinquanta a quel<strong>la</strong> degli anni Sessanta, decisiva per una<br />

svolta culturale che segna il crollo e <strong>la</strong> alterazione dei valori” (Tentori, 1988, p. 14). Pasolini<br />

e<strong>la</strong>bora queste sue impressioni tra i campi e gli argini del Friuli occidentale e anche qui,<br />

come nel vicino Veneto, l’euforia per i tempi nuovi <strong>la</strong>scia <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé una strisciante<br />

amarezza. Tra gli elementi del paesaggio a lui più cari bisogna includere l’artico<strong>la</strong>to defluire<br />

delle vene d’acqua tra Livenza e Tagliamento, così amate da Ippolito Nievo, suo illustre<br />

ascendente letterario in quegli stessi luoghi (<strong>Vallerani</strong>, 2002). Troppo amate e al tempo<br />

stesso così vulnerabili. E infatti <strong>di</strong> pari passo con il rapido declino delle agronomie<br />

tra<strong>di</strong>zionali, anche l’ingente patrimonio naturale e memoriale <strong>di</strong>stribuito lungo gli argini e le


sponde dell’idrografia tra Veneto e Friuli ha subito “un processo <strong>di</strong> demolizione <strong>di</strong> ogni<br />

naturalità residua e del paesaggio storico che è anche banalizzazione dell’immagine del<br />

luogo” (De Rocco, 1994, p. 10). I corsi d’acqua iniziano a perdere il loro compito <strong>di</strong> spazio<br />

per <strong>la</strong> comunità e sono ridotti a terra <strong>di</strong> nessuno, a luoghi dell’abuso e Pasolini, poco prima <strong>di</strong><br />

morire, osserva sconso<strong>la</strong>to il declino dell’identità idraulica <strong>di</strong> Casarsa: “Ciò che è andato<br />

veramente perduto sia nel<strong>la</strong> Casarsa del<strong>la</strong> realtà che nel<strong>la</strong> Casarsa dei sogni sono le rogge. E<br />

queste le rimpiangerò tutta <strong>la</strong> vita. Le rogge sono cose <strong>di</strong> un tempo, anteriori al<strong>la</strong><br />

trasformazione capitalistica e cioè perdute nei secoli dell’epoca conta<strong>di</strong>na […] Ora tutto ciò è<br />

finito, in una rapida evoluzione, <strong>di</strong> cui ci vantiamo. E tuttavia non vogliamo ancora<br />

arrenderci e <strong>di</strong>menticare” (Pasolini, 1970, in De Rocco, 1994, p. 9).<br />

Sensibilità poco <strong>di</strong>ssimile nei confronti dei tempi nuovi è veico<strong>la</strong>ta dal<strong>la</strong> narrativa <strong>di</strong><br />

Goffredo Parise, il cui senso <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>camento al Veneto si era rafforzato, come nel caso <strong>di</strong><br />

Comisso, dopo una prolungata esperienza <strong>di</strong> viaggio in ambienti extra europei. Le non facili<br />

vicende biografiche e lo sguardo attento verso <strong>la</strong> nuova con<strong>di</strong>zione del<strong>la</strong> moderna società<br />

dominata dal primato industriale favoriscono il consolidarsi <strong>di</strong> una visione pessimistica del<strong>la</strong><br />

con<strong>di</strong>zione umana, ben sviluppata nel romanzo <strong>Il</strong> padrone del 1965, ove il <strong>di</strong>sagio e le<br />

violenze implicite sono “<strong>la</strong> per<strong>di</strong>ta dei valori in<strong>di</strong>viduali, l’inautenticità delle re<strong>la</strong>zioni,<br />

l’asservimento tecnologico <strong>di</strong><strong>la</strong>gante”, ma anche <strong>la</strong> sofferenza “<strong>di</strong>stante ma profondamente<br />

intrecciata con le deviazioni del ‘progresso’, che lo scrittore va intanto riscoprendo nel<strong>la</strong> sua<br />

attività <strong>di</strong> viaggiatore-reporter per il terzo mondo […] cosicché nessuna speranza sembra<br />

rimanere all’uomo tecnologico” (Allegri, 1989, p. 326). La strategia lenitiva per non<br />

soccombere sembra essere il ricorso agli scenari ra<strong>di</strong>canti del Veneto campagnolo, sfondo<br />

geografico carico <strong>di</strong> spunti familiari, in grado quasi <strong>di</strong> colmare il vuoto affettivo del<strong>la</strong> sua<br />

adolescenza. Dal territorio riesce a cogliere un peculiare localismo sensoriale, fatto<br />

soprattutto da odori, con i quali è possibile delimitare lo spazio vissuto dello scrittore, sempre<br />

più ridotto con il passare degli anni, assumendo l’aspetto <strong>di</strong> una modesta casa acquistata nei<br />

pressi <strong>di</strong> Ponte <strong>di</strong> Piave in provincia <strong>di</strong> Treviso: “una casetta, una specie <strong>di</strong> casa delle fate,<br />

minusco<strong>la</strong> e vecchia, con tutto vecchio dentro ma efficiente e caldo a cominciare dal<br />

foco<strong>la</strong>re, che sta proprio sui bor<strong>di</strong> del Piave e spesso ne viene sommersa” (Parise, 1987, p.<br />

113).<br />

Se si considera <strong>la</strong> raffinata sintonia con i caratteri più delicati del paesaggio veneto che<br />

consentono a Guido Piovene <strong>di</strong> avviare un rapporto <strong>di</strong> rara intensità affettiva con <strong>la</strong> sua terra,<br />

si coglie ancor meglio il valore delle sue preoccupate intuizioni re<strong>la</strong>tive all’avanzare <strong>di</strong> un<br />

“nuovo” che poteva essere percepito solo attraverso deboli segnali. Già con il suo esor<strong>di</strong>o in<br />

Lettere <strong>di</strong> una novizia, evidenzia il prevalere dell’ipocrisia e dall’ambiguità nel<strong>la</strong> scansione<br />

delle re<strong>la</strong>zioni umane, che mostra uno straor<strong>di</strong>nario riscontro nelle fisionomie del paesaggio<br />

veneto: “Una delle bellezze <strong>di</strong> questa terra sono certamente le nebbie <strong>di</strong> vario ed incerto<br />

colore, tanto che il paesaggio non giunge a definirsi per intero, quasi che voglia essere tutti i<br />

paesaggi nell’infinito del<strong>la</strong> sua ambiguità” (Piovene, 1941, p. 8). E quando inizia il suo<br />

importante resoconto giornalistico attraverso il paese, versato nel famoso Viaggio in Italia<br />

(Piovene, 1993), nel maggio del 1953, “per incarico del<strong>la</strong> Rai e affidato, via via che lo<br />

andavo scrivendo, alle onde ra<strong>di</strong>ofoniche” (ibidem, p. 7), sono già chiari i segni dell’avvio<br />

del<strong>la</strong> rapida trasformazione.<br />

<strong>Il</strong> Veneto <strong>di</strong> allora è ancora bellissimo e in partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> marca travigiana: “Siamo nel<strong>la</strong> parte<br />

più dolce, e quasi più greca, del Veneto; greca, si capisce, al<strong>la</strong> veneta; fra trevigiano e<br />

vicentino il venetismo del paesaggio raggiunge un massimo <strong>di</strong> equilibrio e grazia, si<br />

uniforma fin troppo a un modello ideale per eccesso d’arte […] La strada che va da Treviso<br />

a Bassano, sfiorando Maser ed Asolo, è uno dei gran<strong>di</strong> ‹modelli› del paesaggio italiano”<br />

(ibidem, p. 45). Dunque “modello” <strong>di</strong> bel paesaggio (altro che <strong>la</strong> sgangherata opulenza<br />

evocata dal<strong>la</strong> recente <strong>di</strong>citura “modello veneto” !), <strong>di</strong> profonda vocazione al<strong>la</strong> bellezza,<br />

definita da Piovene “endemica”, ma il cui destino sembra già segnato, dato che lo scrittore


subito dopo precisa: “La mia non è una osservazione ottimista”. E infatti <strong>la</strong> bellezza ere<strong>di</strong>tata<br />

“decade d’anno in anno. <strong>Il</strong> paesaggio è imbruttito da costruzioni volgari e da nuove usanze<br />

[…] Più che d’un vero mutamento, si ha <strong>la</strong> visione <strong>di</strong> un’antica vita che si vanifica […] La<br />

civiltà <strong>di</strong>venta endemica senza giungere più all’intelligenza e all’amore; gli abitanti<br />

assomigliano a ospiti occasionali; senza storia, su un fondale storico. Si devono a questo,<br />

ritengo, le brutture e<strong>di</strong>lizie perpetrate per specu<strong>la</strong>zione, ma soprattutto per mancanza <strong>di</strong><br />

affetto” (ibidem, pp. 45-46)<br />

4.2 Topofobie<br />

Da un altro Viaggio in Italia emergono ben più severe e caustiche denuncie sulle ricadute<br />

paesaggistiche del<strong>la</strong> crescita italiana. Questa volta l’impiego del titolo aulico occulta un<br />

fluire <strong>di</strong> angoscianti scenari che colpiscono non tanto per l’emergere <strong>di</strong> situazioni ambientali<br />

partico<strong>la</strong>rmente sgradevoli, ma per lo svolgersi <strong>di</strong> una continuità narrativa intrisa <strong>di</strong> costanti<br />

elementi depressivi che ben si adeguano al senso <strong>di</strong> <strong>di</strong>stacco eterno da ciò che era <strong>la</strong><br />

quoti<strong>di</strong>anità italiana prima del<strong>la</strong> <strong>di</strong>vulgazione quasi ubiquitaria del cosiddetto progresso.<br />

L’autore del viaggio è Guido Ceronetti che ha raccolto all’inizio degli anni ’80 un buon<br />

numero <strong>di</strong> riflessioni durante <strong>la</strong> sua suggestiva esperienza itinerante. <strong>Il</strong> testo (Ceronetti, 1983)<br />

dà conto <strong>di</strong> un’esperienza post affettiva, al<strong>la</strong> ricerca <strong>di</strong> un organismo geografico che non<br />

smette <strong>di</strong> appassionare, ma che sta cedendo, nei tempi nuovi, briciole e brani <strong>di</strong> bellezza.<br />

E il Veneto del degrado non poteva mancare tra i suoi funerei appunti <strong>di</strong> viaggio, che<br />

consegnano al coraggioso lettore una originale riflessione geoculturale che, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> una<br />

pervasiva atmosfera nichilista, sve<strong>la</strong> l’essenza profonda sia del fallimento territoriale, e non<br />

solo a nord est, che del preoccupante inari<strong>di</strong>rsi intellettuale <strong>di</strong> chi opera nei nuovi paesaggi<br />

italiani. Qui le posizioni antimoderne sono alimentate da un ra<strong>di</strong>cato e consapevole rifiuto<br />

dello sviluppo scientifico e tecnologico, visto come atteggiamento irresponsabile nei<br />

confronti delle molteplici sacralità in cui siamo immersi e <strong>di</strong> cui si è perso il senso<br />

(Guglielminetti, Zaccaria, 1989, p. 127).<br />

Le vedute <strong>di</strong> Ceronetti sono amari pretesti per in<strong>di</strong>gnarsi, soffermandosi spesso<br />

sull’eloquenza dei paradossi, cercando <strong>di</strong> conseguire, con il gioco sapiente delle parole, le più<br />

bieche raffigurazioni del male liberato dall’uomo sui contesti delle sue già deprimenti<br />

quoti<strong>di</strong>anità, come nel caso del<strong>la</strong> zona industriale <strong>di</strong> Marghera: “ecco le fiamme, i fumi,<br />

l’inferno gassoso e metallico, <strong>la</strong> go<strong>la</strong> cancerosa, <strong>la</strong> ferraglia appestata <strong>di</strong> Marghera. E’ una<br />

visione <strong>di</strong> orrore, che però mi fa un’impressione, dopo Venezia, non negativa; ho il senso <strong>di</strong><br />

un’altra faccia ugualmente necessaria, quasi l’atroce avvinghiarsi delle due architetture, il<br />

loro assoluto non compatirsi e respingersi, trovassero pace in una superiore armonia<br />

p<strong>la</strong>catrice” (Ceronetti, 1983, p. 8). La scelta dell’autore <strong>di</strong> compiere il viaggio a pie<strong>di</strong>,<br />

consente <strong>di</strong> cogliere illuminanti squarci percettivi, che confermano <strong>la</strong> marginalità degli<br />

erranti non motorizzati, ai quali gli or<strong>di</strong>nari, ibri<strong>di</strong> e apparentemente inoffensivi elementi dei<br />

nuovi paesaggi palesano tutta <strong>la</strong> loro ostilità: “Uscire dal<strong>la</strong> città, a pie<strong>di</strong>, è faticosissimo.<br />

T’investe <strong>la</strong> <strong>la</strong>va bollente del brutto, del rumore, strade sopra strade, tremen<strong>di</strong> ponti <strong>di</strong> ferro,<br />

treni, camion, Tir, corsie con sbarramenti, impraticabili autostrade, un vero teatro <strong>di</strong> guerra”<br />

(ibidem, p. 34). Ma anche avvicinandosi al<strong>la</strong> naturalità relitta dei corridoi fluviali è ancora<br />

una volta possibile leggere il “<strong>di</strong>etro le quinte” <strong>di</strong> una territorialità sgangherata: “I segni del<br />

Dominatore: pacchetti <strong>di</strong> sigarette vuoti, cicche, escrementi, bottigliette, p<strong>la</strong>stica […] Ritrovo<br />

l’acqua, ma stanno arrivando, non più spora<strong>di</strong>ci, con tutta <strong>la</strong> loro fragorosa indecenza i<br />

Fruitori del Parco. Si portano <strong>di</strong>etro attaccata <strong>la</strong> demenza umana, per sguinzagliar<strong>la</strong> sulle<br />

rive, a <strong>di</strong>vorare, a insozzare” (ibidem, p. 204).<br />

L’in<strong>di</strong>sturbato incedere del brutto e del<strong>la</strong> contaminazione ecologica, nonché il senso <strong>di</strong><br />

impotenza <strong>di</strong> fronte a tale ineluttabile degenerazione del paesaggio italiano non consente che<br />

l’esternazione dell’animo in<strong>di</strong>gnato, con acuti <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione che trovano sfogo


nell’aggressività lessicale. Ecco che Guido Ceronetti, come anche Gianni Ce<strong>la</strong>ti e Vitaliano<br />

Trevisan identificano nel geometra <strong>di</strong> paese il capro espiatorio, una sorta <strong>di</strong> figura simbolica<br />

che in realtà occulta <strong>la</strong> rozzezza del<strong>la</strong> committenza, l’approssimazione delle commissioni<br />

e<strong>di</strong>lizie, <strong>la</strong> scarsa consapevolezza, politicamente trasversale, in gran parte delle giunte<br />

comunali dei valori territoriali non <strong>di</strong>rettamente monetizzabili. Ecco che “i paesi sono orribili<br />

aggressioni <strong>di</strong> geometri deliranti, incrostazioni <strong>di</strong> rogna sulle pen<strong>di</strong>ci sublimi […] è<br />

l’in<strong>di</strong>cibile del<strong>la</strong> bruttezza. Un informe prodotto <strong>di</strong> barbarie senza un lume che <strong>la</strong> rompa,<br />

bramosia <strong>di</strong> oltraggiare il paesaggio, <strong>di</strong> schiodare l’uomo dal centro. Una concentrazione <strong>di</strong><br />

cemento scellerata” (Ceronetti, 1983, p. 110).<br />

Non meno aggressiva è <strong>la</strong> prosa de I quin<strong>di</strong>cimi<strong>la</strong> passi, <strong>la</strong> rive<strong>la</strong>zione narrativa <strong>di</strong> Vitaliano<br />

Trevisan ambientata a Vicenza e nei suoi <strong>di</strong>ntorni. Un racconto <strong>di</strong> alienazione dove prevale<br />

un senso <strong>di</strong> profonda solitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> ma<strong>la</strong>ttia sociale che si manifesta nel<strong>la</strong> progressiva<br />

degenerazione psicologica del protagonista. E’ il racconto <strong>di</strong> un percorso a pie<strong>di</strong>, le cui<br />

<strong>di</strong>mensioni sono scan<strong>di</strong>te dall’accurata conta dei passi, nel <strong>di</strong>fficile e avvilente paesaggio<br />

suburbano <strong>di</strong> una città <strong>di</strong> provincia, Vicenza appunto, a ridosso delle rassicuranti icone<br />

pal<strong>la</strong><strong>di</strong>ane. Dunque un altro esplicito scontro tra bene e male che conduce al<strong>la</strong> denuncia del<strong>la</strong><br />

recente affermazione dei deso<strong>la</strong>nti paesaggi del benessere economico: “Si cammina per una<br />

strada dal<strong>la</strong> quale non è possibile <strong>di</strong>scostarsi, un nastro <strong>di</strong> asfalto che attraversa una lunga<br />

teoria <strong>di</strong> proprietà rigorosamente private […] Là dove si poteva costruire, ma spesso anche là<br />

dove non era concesso, si è costruito, demolito e ricostruito, sbancando, livel<strong>la</strong>ndo,<br />

movimentando terra e roccia, aprendo nuove strade- private” (Trevisan, 2002, pp. 114-115).<br />

Ma al <strong>di</strong> là del<strong>la</strong> denuncia, dello sdegno, <strong>la</strong> vita va avanti lo stesso, sostenuta dal<strong>la</strong> normalità<br />

biologica, appiattendo le percezioni, tanto da condurre verso <strong>la</strong> assuefazione e al<strong>la</strong><br />

metabolizzazione delle più inquietanti intrusioni fisionomiche negli scenari del vissuto,<br />

anche negli animi degli autoctoni più sensibili. Si tollerano i cattivi odori e i rumori prodotti<br />

dall’operosità spontanea, non pianificata, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuita tra le case e i fossi un tempo<br />

trasparenti <strong>di</strong> flussi sorgivi. Ma ci si adatta anche al<strong>la</strong> crescente lentezza del traffico,<br />

adagiandosi nel conforto iperin<strong>di</strong>viduale dell’abitacolo <strong>di</strong> auto sempre più lussuose.<br />

Insomma, a nord est come altrove, <strong>la</strong> gente “si adatta a tutto […] si adatta a vivere in posti<br />

assolutamente invivibili, come del resto si adatta a respirare un’aria irrespirabile e a mangiare<br />

del cibo immangiabile” (ibidem, p. 85). <strong>Il</strong> <strong>di</strong>sagio più cocente è comunque <strong>la</strong> per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

riconoscibilità dei luoghi, il <strong>di</strong><strong>la</strong>gare <strong>di</strong> nuove funzioni territoriali senza <strong>la</strong> pur minima cura<br />

nell’attutire gli impatti visivi o nel control<strong>la</strong>re <strong>la</strong> <strong>di</strong>spersione <strong>di</strong> inquinanti. Quanti luoghi a<br />

noi cari sono scomparsi: il bosco, il <strong>la</strong>ghetto sorgivo, il viottolo tra le siepi: “Ora non posso<br />

più andarci, pensavo, o meglio posso ancora andarci, ma solo per ritrovarmi circondato da<br />

capannoni artigianali e industriali […] su questa terra devastata e calpestata e spezzettata a<br />

norma <strong>di</strong> legge, […] su questa terra dove le ragioni <strong>di</strong> tutto questo sono ragioni<br />

prevalentemente, anzi esclusivamente economiche: niente <strong>di</strong> personale, niente <strong>di</strong> niente; solo<br />

affari” (ibidem, pp. 29-30).<br />

4.3 Ironica amarezza<br />

In <strong>di</strong>eci chilometri setacciati quasi a passo d’uomo, non<br />

c’è assolutamente nul<strong>la</strong> che <strong>di</strong>ca: questo è Veneto. Né<br />

l’architettura, né gli arredamenti, né i nomi dei locali.<br />

[…] Non è solo per<strong>di</strong>ta delle ra<strong>di</strong>ci. Peggio; è<br />

auto<strong>di</strong>struzione, accanimento sul<strong>la</strong> propria storia. Forse,<br />

ansia <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare <strong>la</strong> miseria. E <strong>di</strong> essere stati, una<br />

volta, i terroni del Nord. (Paolo Rumiz, 1997, p. 44)


Oltre al registro topofobico, <strong>la</strong> narrazione del <strong>di</strong>sagio residenziale a nord est alimenta <strong>la</strong><br />

riflessione ironica, il sorriso rassegnato che tra<strong>di</strong>sce un <strong>di</strong>verso modo <strong>di</strong> essere consapevoli,<br />

meno incline all’estetica del<strong>la</strong> <strong>di</strong>sperazione e del pessimismo e quin<strong>di</strong> più u<strong>di</strong>bile e aperto al<br />

<strong>di</strong>alogo. Si tratta pertanto <strong>di</strong> immagini territoriali atte al<strong>la</strong> <strong>di</strong>vulgazione e infatti ci si imbatte<br />

spesso sia in stesure letterarie <strong>di</strong> rilevante tiratura, che in spettacoli teatrali <strong>di</strong> <strong>la</strong>rga risonanza<br />

anche al <strong>di</strong> fuori dei confini regionali (si allude in partico<strong>la</strong>re al <strong>la</strong>voro <strong>di</strong> Marco Paolini). Nel<br />

primo caso valga su tutti il romanzo autobiografico Italiani dell’inglese Tim Parks, in cui si<br />

raccontano le vicende del suo trasferimento in Veneto, a Montorio Veronese, una sorta <strong>di</strong><br />

faticoso percorso verso il ra<strong>di</strong>camento in una realtà ibrida, fuori città, ma senza campagna,<br />

posta sul<strong>la</strong> pedemontana a nord est <strong>di</strong> Verona (Parks, 1995). L’autore arriva in Veneto non<br />

come turista, ma per semplici ragioni personali legati al<strong>la</strong> sua professione: dunque in una<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> outsider che se da un <strong>la</strong>to gli impe<strong>di</strong>sce un più agevole e rapido inserimento<br />

nel<strong>la</strong> comunità locale dall’altro gli offre un privilegiato punto <strong>di</strong> vista per cogliere le peculiari<br />

<strong>di</strong>namiche culturali e sociali che hanno prodotto il recente assetto territoriale nel<strong>la</strong> nostra<br />

regione. Dal suo punto <strong>di</strong> osservazione, <strong>la</strong> comunità suburbana <strong>di</strong> Montorio, e<strong>la</strong>bora un<br />

accurato resoconto che copre l’arco <strong>di</strong> un anno, consegnandoci una efficace microstoria <strong>di</strong><br />

indubbia vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong>agnostica per <strong>la</strong> comprensione del<strong>la</strong> più recente evoluzione<br />

dell’urbanistica veneta, come evidenziato in un altro saggio (<strong>Vallerani</strong>, 2001).<br />

In questa sede è sufficiente accennare ad alcune acute e ironiche osservazioni che smontano<br />

il mito arca<strong>di</strong>co del<strong>la</strong> campagna veneta, tanto caro ai suoi conterranei d’<strong>oltre</strong> Manica. Parks<br />

inizia subito evidenziando <strong>la</strong> <strong>di</strong>fficile sopportazione del clima estivo, quando alle elevate<br />

temperature si aggiunge l’umi<strong>di</strong>tà che rende tutto greve e soffocante, ma anche opaco: “oggi<br />

non c’è sole, non un angolo <strong>di</strong> cielo azzurro, né colore, né aria. Sul<strong>la</strong> nostra testa […] un<br />

<strong>grigio</strong>re uniforme, oppressivo, allo stesso tempo umido e granuloso, dove il sole è nascosto<br />

da qualche parte” (Parks, 1995, p. 3). Al <strong>di</strong>sagio del clima si connette il caotico espandersi<br />

del<strong>la</strong> residenzialità specu<strong>la</strong>tiva, poco attenta al verde pubblico e al<strong>la</strong> qualità residenziale:<br />

“Lungo i <strong>la</strong>ti del<strong>la</strong> strada, le case sono tutte <strong>di</strong>verse: due, tre, quattro piani, una rivolta <strong>di</strong> qua,<br />

una <strong>di</strong> là, alcune centenarie, altre nuovissime, armoniose o <strong>di</strong>messe, neglette o eleganti. E gli<br />

intonaci: rosa, azzurro, verde” (ibidem, p. 6). Ben più grave comunque, è <strong>la</strong> stretta<br />

coesistenza tra inse<strong>di</strong>amenti residenziali e produttivi in un contesto climatico poco <strong>di</strong>namico,<br />

dominato dal persistere <strong>di</strong> alte pressioni, sia estive che invernali, poco favorevoli al<strong>la</strong><br />

purificazione dell’aria. Ecco che il ristagno atmosferico “rende insopportabile l’atmosfera<br />

del<strong>la</strong> pianura: il lento accumulo <strong>di</strong> gas <strong>di</strong> scarico, le esa<strong>la</strong>zioni <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> porci<strong>la</strong>ie e <strong>di</strong><br />

allevamenti <strong>di</strong> tacchini, e le tonnel<strong>la</strong>te <strong>di</strong> antiparassitari che si aggiungono e si mesco<strong>la</strong>no al<br />

ristagno d’aria” (ibidem, p. 4).<br />

La percezione sensoriale del paesaggio veneto è in Parks molto attenta, e nel<strong>la</strong> sua narrazione<br />

emergono frequenti citazioni <strong>di</strong> peculiari smellscapes, i paesaggi olfattivi tanto cari al<strong>la</strong><br />

geografia umanistica anglosassone (Porteous, 1993): “il fetore <strong>di</strong> qualcosa che non va, un<br />

miasma abusivo, acre, invadente che non si dovrebbe avvertire alle sette del mattino in un<br />

paesetto del nord Italia. La fabbrica <strong>di</strong> col<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> zona industriale del paese ha aperto gli<br />

sfiatatoi delle vasche <strong>di</strong> stoccaggio [… ] E’ questa <strong>la</strong> puzza peggiore? O sarebbe meglio<br />

assegnare il primo premio al<strong>la</strong> conceria a sud del paese, le cui esa<strong>la</strong>zioni <strong>di</strong> trielina ci<br />

giungono solo con le fo<strong>la</strong>te dello scirocco? No, le puzze sono tutte insopportabili e vanno a<br />

sommarsi a quel<strong>la</strong> costante minaccia <strong>di</strong> invasione che pende ovunque su questi piccoli centri<br />

<strong>di</strong> provincia” (ibidem, pp. 79-80). Ciò che penalizza il ra<strong>di</strong>camento <strong>di</strong> chi vive in Veneto è<br />

proprio questa costante minaccia <strong>di</strong> invasione, l’insicurezza e <strong>la</strong> vulnerabilità degli scenari,<br />

ma anche <strong>di</strong> aria e acqua. Le zone tute<strong>la</strong>te in realtà sono esposte ai capricci delle varianti:<br />

“sebbene il piano rego<strong>la</strong>tore abbia definito questa terra come […] ‘zona verde <strong>di</strong> assoluto<br />

rispetto’ è inutile farsi illusioni. Dopo tutto i geometri stanno già piantando i picchetti nel<br />

campo <strong>di</strong> ciliegi” (ibidem, p. 188). <strong>Il</strong> racconto <strong>di</strong> Parks va davvero a fondo, una sorta <strong>di</strong><br />

<strong>la</strong>voro sul campo dell’antropologo, e in partico<strong>la</strong>re quando si occupa del<strong>la</strong> rururbanizzazione


metalmezzadrile: “dopo una mattina <strong>di</strong> puzze più insopportabili del solito, siamo andati a<br />

pie<strong>di</strong> nel<strong>la</strong> zona industriale […] La prima cosa che si vede è una villetta signorile, con<br />

annesso un lungo capannone prefabbricato; subito dopo una bel<strong>la</strong> pa<strong>la</strong>zzina a tre piani,<br />

seguita da fabbrica cadente […] e più in là splen<strong>di</strong>do giar<strong>di</strong>no cimiteriale accanto a picco<strong>la</strong><br />

industria chimica; ampio terrazzo con tanto <strong>di</strong> gnomi e barbecue, tipografia; e così <strong>di</strong> seguito.<br />

Villetta, magazzino, pa<strong>la</strong>zzina, capannone, villino, fabbrica. Tutti i padroni vivono proprio<br />

qui, accanto alle loro fabbriche e alle loro puzze” (ibidem, p. 82).<br />

Siamo dunque all’evocazione del<strong>la</strong> consueta ibri<strong>di</strong>tà formale e funzionale, così evidente<br />

lungo i collegamenti stradali, ormai ininterrotte urbanità lineari, che rende casuali e<br />

insignificanti le consuete in<strong>di</strong>cazioni toponomastiche, sostituite sempre più nel<strong>la</strong> percezione<br />

collettiva dei luoghi dalle vistose in<strong>di</strong>cazioni produttive, commerciali, gastronomiche,<br />

ricreative: “<strong>Il</strong> Nordest ha orrore del vuoto; traversarlo è come scorrere le Pagine Gialle.<br />

Eccolo il Giappone d’Italia. Acciai inox, mangimi, arredamenti, compressori, banche, centri<br />

per caravan e roulotte, trattori, pelliccerie, supermarket dai nomi spaziali. E ancora pel<strong>la</strong>mi,<br />

elettrodomestici, spe<strong>di</strong>zioni, forniture per ufficio, riven<strong>di</strong>ta d’automobili, pianoforti, tutto per<br />

il giar<strong>di</strong>naggio, tutto per il sesso. Dieci chilometri <strong>di</strong> avvicinamento a Treviso mi forniscono i<br />

seguenti dati: <strong>di</strong>ciannove semafori, velocità 25 orari, <strong>oltre</strong> un centinaio <strong>di</strong> Mercedes e<br />

megacilindrate varie, centottanta autoartico<strong>la</strong>ti, quin<strong>di</strong>ci trattori, altrettante prostitute<br />

straniere, centosessanta tra fabbriche e negozi, un numero indeterminato <strong>di</strong> striminziti campi<br />

<strong>di</strong> granoturco. Non so più se sono in un piccolo mondo antico che muore o in una gigantesca<br />

Los Angeles che nasce” (Rumiz, 1997, pp. 43-44).<br />

5. Epilogo: affinché <strong>la</strong> bellezza non svanisca<br />

In chiusura, è utile rievocare alcuni spunti per non <strong>di</strong>sperare, per non stancarsi <strong>di</strong> credere che<br />

quanto narrato potrebbe <strong>di</strong>ventare solo un brutto ricordo, un po’ come <strong>la</strong> fame e <strong>la</strong> pel<strong>la</strong>gra.<br />

La recente trage<strong>di</strong>a sud asiatica ha portato nel mondo, tra i tanti e più importanti messaggi,<br />

forse anche quello, certamente meno rilevante, sul<strong>la</strong> caducità dei luoghi edenici, sull’effimera<br />

spazialità delle “bolle” turistiche, dei <strong>di</strong>vertimentifici, delle enc<strong>la</strong>ves lu<strong>di</strong>che, delle<br />

destinazioni ove collocare improbabili rinnovi esistenziali, l’eterna ricerca dell’età dell’oro,<br />

del<strong>la</strong> perenne primavera. In terra veneta, il partico<strong>la</strong>rmente cospicuo e prolungato <strong>di</strong>ffondersi<br />

<strong>di</strong> eleganti residenze <strong>di</strong> campagna, certamente tra le massime concentrazioni <strong>di</strong> tale tipologia<br />

inse<strong>di</strong>ativa rilevabili in tutto il mondo, ci riconduce a una specifica attitu<strong>di</strong>ne culturale ed<br />

esistenziale che fa del<strong>la</strong> vil<strong>la</strong> (dal<strong>la</strong> casetta <strong>di</strong> <strong>Francesco</strong> Petrarca ad Arquà in poi) il<br />

microcosmo dove avviare e realizzare il bisogno <strong>di</strong> renovatio, cioè l’ascesa verso uno stile <strong>di</strong><br />

vita non contaminato dai guasti e le angosce delle preoccupazioni quoti<strong>di</strong>ane, con <strong>la</strong><br />

possibilità <strong>di</strong> occuparsi <strong>di</strong> botanica, <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are le arti liberali, <strong>di</strong> cogliere <strong>la</strong> <strong>di</strong>vina ciclicità<br />

del<strong>la</strong> natura, insomma il ritorno al<strong>la</strong> semplicità rurale come ricerca <strong>di</strong> un’età dell’oro<br />

domestica. E infatti i para<strong>di</strong>si esotici, in<strong>di</strong>cati come i luoghi del<strong>la</strong> terrestre felicità già dai<br />

primi navigatori sbarcati nelle can<strong>di</strong>de spiagge caraibiche all’inizio del XVI secolo, sono<br />

stati ben presto soppiantati da narrazioni edeniche nostrane, quasi “fuori porta”, e <strong>la</strong> firma<br />

pal<strong>la</strong><strong>di</strong>ana nell’entroterra <strong>di</strong> Venezia ha posto le basi concrete per <strong>la</strong> <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> un numero<br />

crescente <strong>di</strong> Arca<strong>di</strong>e private (<strong>Vallerani</strong>, 2000).<br />

Credo esista una stretta re<strong>la</strong>zione tra l’attuale crescente interesse dei turisti per le destinazioni<br />

insu<strong>la</strong>ri e costiere esotiche e il coevo degrado ambientale e scenico del<strong>la</strong> quoti<strong>di</strong>anità postindustriale,<br />

e veneta in partico<strong>la</strong>re, anche se alcuni settori del<strong>la</strong> ruralità regionale offrono<br />

ancora una elevata qualità attrattiva, tanto da poter essere inclusi tra le più prestigiose<br />

idealizzazioni campestri del mondo occidentale, al pari cioè del Chianti, del Luberon<br />

provenzale, dell’Enga<strong>di</strong>na, dei colli del Cotswold in Inghilterra. Ma ampi brani <strong>di</strong> attraente<br />

campagna non sono solo sui colli aso<strong>la</strong>ni, tra le groppe degli Euganei e dei Berici, lungo<br />

l’alto Sile. Si è ancora in tempo per <strong>di</strong>fendere e riqualificare gran parte del tessuto


connettivo, lo sfondo ove si è se<strong>di</strong>mentato un patrimonio monumentale e <strong>di</strong> cultura popo<strong>la</strong>re<br />

unico al mondo, con le eccellenze storico-artistiche che si intersecano con peculiarità<br />

ambientali altrettanto varie e prestigiose. A tal riguardo sono opportune le considerazioni <strong>di</strong><br />

Ulderico Bernar<strong>di</strong>, un altro dei cinque proti (Turri è già stato menzionato) chiamati ad<br />

esprimere alcune in<strong>di</strong>cazioni circa il futuro del<strong>la</strong> regione, il quale, evidenziando il primato<br />

del Veneto tra le destinazioni turistiche italiane, precisa anche che “<strong>la</strong> coscienza dei citta<strong>di</strong>ni<br />

veneti è oggi maggiormente sensibile al<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dello scenario ambientale e al<strong>la</strong> salvaguar<strong>di</strong>a<br />

dei contenuti culturali del<strong>la</strong> civiltà veneta” (Bernar<strong>di</strong>, 2004, p. 18). Le scelte politiche future<br />

dovranno quin<strong>di</strong> partire dall’ascolto delle voci del <strong>di</strong>sagio, ma anche dal<strong>la</strong> domanda <strong>di</strong><br />

bellezza e <strong>di</strong> qualità, contrastando con coraggio le errate scelte legis<strong>la</strong>tive che, ad esempio,<br />

hanno recentemente sollecitato i comuni “a ricavare buona parte delle entrate dagli oneri <strong>di</strong><br />

urbanizzazione e dall’ICI. Con conseguenze pesanti sul territorio, e un procedere<br />

concorrenziale che scalza <strong>la</strong> programmazione solidale” (ibidem, p. 19).<br />

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