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PDF 1,3 Mb - Ecomuseo e Agenda 21 Parabiago

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conservati in una camera buia del mulino. Papà produceva anche il formaggio<br />

quartirolo ed il burro, utilizzando il latte in eccedenza. La mamma Teresa<br />

metteva il latte in un fiasco senza paglia, cominciava ad agitare il recipiente<br />

in senso orizzontale mantenendolo fresco, fino all’indurimento, poi lo<br />

estraeva a pezzetti utilizzando un ferro da calza, quindi lo componeva in un<br />

panetto lavorandolo con le mani.<br />

Con le prime attività lavorative quali calzaturifici, concerie, tessiture a<br />

<strong>Parabiago</strong> e a Canegrate, metallurgiche a <strong>Parabiago</strong> (Volontè), fonderie<br />

(Marazzini)-(Rancilio), calzificio Re Depaolini, molte persone utilizzavano la<br />

bicicletta per recarsi al lavoro, perciò si cominciavano a vedere tante “due<br />

ruote” sempre bucate sicuramente a causa delle strade dissestate.<br />

A Pierlisa il particolare non sfugge, lo immortala sulla sua tela e noi con lei<br />

vediamo le bici capovolte per essere riparate anche dalle donne.<br />

Le belle del mulino, ed erano tutte belle, calzavano gli zoccoli fino al ponte<br />

dell’Olona, poi li nascondevano dietro a qualche cespuglio e si infilavano le<br />

scarpe per recarsi in paese o in altra località, a volte anche in chiesa!<br />

Dopo la guerra, il Mulino fu abitato dagli sfollati della provincia di Udine: i<br />

Signori Ciani, padre, madre ed il piccolo Ferruccio; vennero da Buia in<br />

bicicletta e successivamente altri parenti. C’erano anche i Signori Galimberti,<br />

una famiglia numerosa; i signori Breda: Giuseppe con la moglie e la figlia<br />

Luigia, uno dei figli, Mario, di professione infermiere, lavorava all’Ospedale di<br />

Legnano ed era molto conosciuto nel circondario.<br />

Sezione IV - Famiglia e lavoro nel tempo<br />

“Rosa Mezzanzanica: il mulino Bricco”<br />

Nel 1925 Giovanni Bricco, proveniente da Cerano in provincia di Novara, con<br />

la moglie Giovanna Spezia ed i cinque figli: Carlo, Giuseppe, Caterina, Antonio<br />

e Giovanni (detto Nino), si stabilisce a San Lorenzo. Venduta la casa che<br />

possedevano e lasciato il mulino che avevano in affitto, ne acquistano uno, di<br />

proprietà Montoli per Lire 50.000, ne anticipano 25.000.<br />

Purtroppo il capofamiglia muore nel gennaio 1934 e due mesi dopo muore<br />

anche il figlio primogenito Carlo, già papà di due bimbe, Onorina e Carla.<br />

Giuseppe, colui che si occuperà principalmente dell’attività molitoria, non<br />

gode di splendida salute, ma viene egregiamente coadiuvato dalla moglie<br />

Erminia, che non si sottrae ad alcuna fatica pur di mandare avanti l’attività.<br />

Caterina sposa Bossi; Antonio nel 1939 sposa Rosa Mezzanzanica, che rende<br />

la presente testimonianza; egli è calzolaio presso il calzaturificio Banfi di<br />

<strong>Parabiago</strong>, ma presto viene chiamato per la Seconda Guerra Mondiale ed offre<br />

alla Patria tre anni della sua vita, dal 1940 al 1943.<br />

Al suo ritorno lavorerà ancora presso lo stesso calzaturificio, mentre la<br />

moglie continua a fare l’orlatrice a domicilio prima per Roberto Rancilio di<br />

<strong>Parabiago</strong> e poi per Zanaboni.<br />

La signora Rosa parla del mulino come di un luogo di serenità e di gioia:<br />

guardando dalla sua finestra vedeva scorrere l’acqua limpida del fiume in cui<br />

la gente veniva a immergersi per difendersi dalla canicola.<br />

Rosa rammenta che nel fiume vi era la presenza di pesci ma purtroppo, col<br />

passare degli anni l’acqua imputridì fino ad emanare esalazioni sgradevoli,<br />

mentre la schiuma galleggiava trasportata dall’acqua inquinata da concerie,<br />

cartiere, tessiture, tintorie, stamperie di tessuti e da altre industrie.<br />

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