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La sensazione in Democrito e Cartesio - Mondoailati

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Filosofia & L<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong> Italia 2002 — sez. 7<br />

Fabrizio Ottaviani<br />

<strong>La</strong> <strong>sensazione</strong> <strong>in</strong> <strong>Democrito</strong> e <strong>Cartesio</strong>: un significato o un significante?<br />

Sommario. Nel servirsi della metafora dei segni arbitrari per esemplificare la propria<br />

teoria sulla genesi della <strong>sensazione</strong> <strong>Cartesio</strong> assimila la <strong>sensazione</strong> al significato, la realtà al<br />

significante. <strong>La</strong> stessa posizione può essere rilevata, sulla scorta di alcuni passi aristotelici,<br />

<strong>in</strong> <strong>Democrito</strong>. Tuttavia alcuni studiosi non rispettano i ruoli analogici stabiliti dai due<br />

filosofi, equiparando la <strong>sensazione</strong> al significante; altri poi considerano quei ruoli<br />

scambiabili senza che ciò deformi le tesi democritee e cartesiane; altri ancora rispettano la<br />

struttura dell’analogia ma la ritengono strana o <strong>in</strong>vertita. Lo scritto elenca le ragioni per cui<br />

è bene mantenere l’equivalenza tra significato e <strong>sensazione</strong>, mostrando che il servizio reso<br />

dalla metafora dei segni arbitrari alla filosofia atomistico-corpuscolare non si limita<br />

all’<strong>in</strong>troduzione di una dissimiglianza tra <strong>sensazione</strong> e atomi, ma è ben più ampio ed<br />

articolato.<br />

1. Nel corso del XVII secolo diventa sempre più comune l’affermazione che le<br />

sensazioni siano connesse alla realtà da un v<strong>in</strong>colo analogo a quello che unisce i<br />

segni arbitrari (ad esempio quelli del l<strong>in</strong>guaggio umano) al loro significato; <strong>in</strong><br />

particolare <strong>in</strong> ambito atomistico-corpuscolare la metafora delle parole si rivela<br />

paradigma esplicativo particolarmente vantaggioso, poiché si tratta di illustrare una<br />

relazione tra <strong>sensazione</strong> e sentito non più di similitudo, come accadeva con le<br />

specie scolastiche, ma dissimigliante. Il ricorso <strong>in</strong> questo campo alla metafora del<br />

segno arbitrario non è, peraltro, specificamente moderno, potendo esser fatto<br />

risalire ad alcuni passi <strong>in</strong> cui Aristotele si sofferma sulle teorie democritee,<br />

biasimandole ma dandone una ricostruzione grafologica a nostro parere corretta 1 .<br />

In questa breve nota non ci proponiamo certo di affrontare i temi, complessi e<br />

ancora tutti da dipanare, riguardanti il rapporto fondamentalmente occulto che nel<br />

corso della storia del pensiero occidentale semiotica e teoria della conoscenza<br />

hanno <strong>in</strong>trattenuto; vorremmo solo richiamare l’attenzione su una confusione che si<br />

1<br />

«[Gli atomisti] affermano che l’oggetto si dist<strong>in</strong>gue per proporzione, per contatto e per<br />

direzione; ma, tra queste tre cose, la proporzione si identifica con la figura, il contatto con l’ord<strong>in</strong>e, la<br />

direzione con la posizione: difatti A differisce da N per figura, AN da NA per ord<strong>in</strong>e, Z da N per<br />

posizione». (ARISTOTELE 2002: 985b 4 e sgg.; cfr. DIELS-KRANZ 1951: 67 A 6); «<strong>Democrito</strong> e<br />

Leucippo affermano che per mezzo di corpi <strong>in</strong>divisibili sono composte tutte le altre cose, che questi<br />

<strong>in</strong>divisibili sono <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti sia per numero sia per le forme, che le cose differiscono tra loro per gli<br />

elementi di cui sono costituite e per la posizione e l’ord<strong>in</strong>e di essi [...]; un oggetto viene modificato<br />

solo che vi si aggiunga un componente, sia pur piccolo, e sembra <strong>in</strong>teramente diverso per lo spostarsi<br />

anche di un solo elemento: <strong>in</strong>fatti una tragedia e una commedia nascono (g<strong>in</strong>etai) dalle medesime<br />

lettere dell’alfabeto». (ARISTOTELE 2001: 315b 6 e sgg.; cfr. DIELS-KRANZ 1951: 67 A 9). Se si tiene<br />

conto che altre testimonianze confermano la volontà democritea di ricondurre le sensazioni agli<br />

atomi, diventa possibile applicare le metafore grafologiche alle sensazioni, anche se Aristotele non vi<br />

si riferisce esplicitamente: cfr. p. es. DIELS-KRANZ 1951: 68 A 49: «“Op<strong>in</strong>ione è il colore, op<strong>in</strong>ione il<br />

dolore, op<strong>in</strong>ione l’amaro, verità gli atomi e il vuoto” dice <strong>Democrito</strong>, ritenendo che tutte quante le<br />

qualità sensibili, che egli suppone relative a noi che abbiamo <strong>sensazione</strong>, derivano dalla varia<br />

aggregazione degli atomi, ma che per natura non esistono affatto bianco, nero, giallo, rosso, dolce,<br />

amaro: <strong>in</strong>fatti l’espressione ‘per convenzione’ equivale, per esempio, a ‘secondo l’op<strong>in</strong>ione comune’<br />

e a ‘relativamente a noi’, cioè non secondo la natura stessa delle cose, la quale egli <strong>in</strong>dica con<br />

l’espressione ‘secondo verità’ ricavata da eteon che significa ‘vero’».<br />

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Fabrizio Ottaviani<br />

fa a volte tra i due lati del segno — il significato e il significante, per usare la<br />

term<strong>in</strong>ologia saussuriana — sia analizzando le metafore semiologiche di cui si<br />

serve Aristotele per descrivere le posizioni democritee, sia analizzando quelle<br />

esplicitamente presenti nei testi cartesiani 2 . Sebbene non si tratti di un errore molto<br />

frequente, è forse un errore utile, perché permette di sottol<strong>in</strong>eare, correggendolo, le<br />

ragioni per cui è bene evitarlo.<br />

Mostreremo che sia per <strong>Democrito</strong> sia per <strong>Cartesio</strong> la <strong>sensazione</strong> è non un<br />

segno, ma un significato, e proseguiremo elencando le ragioni profonde per cui è<br />

bene non <strong>in</strong>vertire i term<strong>in</strong>i dell’analogia tra <strong>sensazione</strong> e segno, analogia che ha<br />

questa forma: la realtà sta alla <strong>sensazione</strong> come il significante al significato. Gli<br />

studiosi più avveduti di entrambi i filosofi non si sono <strong>in</strong>gannati: c’è però da<br />

aggiungere che, tra gli <strong>in</strong>terpreti di <strong>Cartesio</strong>, anche alcuni di coloro che non gli<br />

hanno erroneamente attribuito un’equiparazione tra <strong>sensazione</strong> e significante hanno<br />

comunque considerato come <strong>in</strong>vertita» la relazione semiotica di cui si serve<br />

<strong>Cartesio</strong> stesso per illustrare la propria teoria della <strong>sensazione</strong>: Yolton parla di<br />

«reverse sign relation» (YOLTON 1981: 78), mentre Cantelli la descrive come<br />

dipendente da «Una impostazione veramente strana, perché capovolge i term<strong>in</strong>i<br />

stessi del rapporto» (CANTELLI 1992: 90). Uno degli scopi delle nostre<br />

osservazioni sarà proprio di ristabilire il carattere né strano né <strong>in</strong>vertito delle<br />

metafore semiotiche cartesiane.<br />

Per dare un quadro generale delle posizioni <strong>in</strong>terpretative possiamo rilevare che<br />

i lettori dei passi <strong>in</strong> cui il filosofo francese ricorre alle metafore semiotiche si<br />

dividono <strong>in</strong> tre gruppi: coloro che credono che l’obiettivo di <strong>Cartesio</strong> sia<br />

esclusivamente l’<strong>in</strong>troduzione di una dissimiglianza tra movimenti negli organi e<br />

sensazioni, e che qu<strong>in</strong>di il posto occupato dalla <strong>sensazione</strong> possa essere<br />

<strong>in</strong>differentemente quello del significato o del significante; coloro che (per varie<br />

ragioni) percepiscono come «<strong>in</strong>vertita» la relazione semiotica; ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e coloro i<br />

quali, pur mantenendo le corrispondenze analogiche stabilite da <strong>Cartesio</strong> tra r<strong>in</strong>vio<br />

semiotico e <strong>sensazione</strong>, e pur non trovando <strong>in</strong> esse nulla di strano, non spiegano<br />

poi esaurientemente perché <strong>Cartesio</strong> ponga l’equivalenza tra <strong>sensazione</strong> e<br />

significato, e non il contrario.<br />

2. Iniziamo da un bel saggio di Gian Arturo Ferrari dedicato a <strong>Democrito</strong>, <strong>in</strong> cui<br />

ci è sembrato di rilevare, se non l’errore di cui sopra, almeno la sua ombra.<br />

L’autore nota ad un certo punto:<br />

le facoltà percettive, i c<strong>in</strong>que sensi, colgono, ognuno per proprio conto, significati<br />

parziali della scrittura f<strong>in</strong>e della realtà, ma, per così dire, non sanno leggere, non riescono<br />

a vedere, a discrim<strong>in</strong>are i significanti. (FERRARI 1980: 86) 3 .<br />

Più che «colgono» sarebbe stato meglio dire estraggono, evitando così quanto<br />

2<br />

Il term<strong>in</strong>e segno allude chiaramente ad una entità bifacciale, comprensiva di significato e<br />

significante, solo a partire da Saussure; precedentemente era <strong>in</strong>vece riferito, e lo è di frequente ancora<br />

oggi nel l<strong>in</strong>guaggio non tecnico, esclusivamente al significante.<br />

3<br />

Cfr. FERRARI (1980: 76): «la realtà [...] che, come un retroscena, costruisce l’emergenza che le<br />

facoltà percettive riescono a cogliere senza afferrarne il disegno portante». Per <strong>in</strong>dicazioni<br />

bibliografiche sulla storia delle <strong>in</strong>terpretazioni grafologiche dell’atomismo cfr. MONTANO (1983:<br />

70n.), nonché l’ampia <strong>in</strong>troduzione alla nuova versione italiana delle testimonianze e frammenti<br />

atomistici di ANDOLFO (1999).


Filosofia & L<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong> Italia 2002 — sez. 7<br />

<strong>La</strong> <strong>sensazione</strong> <strong>in</strong> <strong>Democrito</strong> e <strong>Cartesio</strong><br />

c’è di passivo nell’uso comune di cogliere (l’atto del prendere qualcosa che è ‘già<br />

lì’). Inoltre ci è sembrato che Ferrari commetta un errore nell’unire e sovrapporre la<br />

‘parzialità’ della lettura delle facoltà percettive al fatto che queste ‘non vedono’ la<br />

materia, non ‘discrim<strong>in</strong>ano i significanti’: si tratta <strong>in</strong>vece di due cose<br />

completamente diverse. <strong>La</strong> prima deve essere riferita all’<strong>in</strong>capacità del senso di<br />

rendere un’immag<strong>in</strong>e fedele degli atomi (più che di ‘parzialità’ della lettura del<br />

significato sarebbe stato meglio parlare di una ‘traduzione perfetta ma<br />

dissimigliante’, la stessa presente nelle parole dei l<strong>in</strong>guaggi storico-naturali). <strong>La</strong><br />

seconda <strong>in</strong>vece riguarda gli aspetti <strong>in</strong>consapevoli dell’operazione che trasforma gli<br />

atomi <strong>in</strong> <strong>sensazione</strong>: noi non vediamo gli atomi, ma ciò non vuol dire che il<br />

sensorio non li ‘tocchi’. Se <strong>in</strong>fatti non li toccasse, con un’operazione di cui noi non<br />

sappiamo nulla, non si potrebbe spiegare la relazione regolata che unisce atomi e<br />

sensazioni 4 .<br />

Il term<strong>in</strong>e ‘parziale’ genera poi un ulteriore problema: non riuscirà facile al<br />

lettore immag<strong>in</strong>are qualcosa come un ‘significato parziale’, alla sfera della scrittura<br />

appartenendo <strong>in</strong>fatti non solo significanti, ma anche significati discreti. Una lettera<br />

o si afferra, riuscendo a dist<strong>in</strong>guerla dalle altre lettere, o no. Non si può dire che<br />

uno sgorbio si lasci <strong>in</strong>terpretare, con un significato parziale, come a. E poiché la<br />

tessitura atomistica del reale «ressemble [...] au tracé <strong>in</strong>déf<strong>in</strong>iment répété d’une<br />

même lettre» (WISMANN 1980: 71, c.m.), diventa difficile immag<strong>in</strong>are ciò che, nel<br />

caso si fosse trattato di un testo più ampio, avrebbe potuto avere una qualche<br />

plausibilità, cioè un significato colto solo <strong>in</strong> parte. Del resto lo stesso Ferrari,<br />

attribuendo alle metafore grafiche un ruolo centralissimo e produttivo nel pensiero<br />

democriteo, fa leva su questa centralità proprio per giustificare funzionalmente il<br />

carattere di <strong>in</strong>sc<strong>in</strong>dibilità dell’atomo, confermando così implicitamente<br />

l’impossibilità di una comprensione ‘parziale’:<br />

Gli atomi sono tali [<strong>in</strong>divisibili] non perché <strong>Democrito</strong> compie una sorta di petitio<br />

pr<strong>in</strong>cipii sulla non ulteriore divisibilità di una materia concepita, scolasticamente, come<br />

materia prima, ma perché la realtà vera è per lui costituita da un <strong>in</strong>treccio di unità<br />

significanti elementari che non possono venir variate o scomposte senza perdere appunto<br />

la loro capacità significante. <strong>La</strong> <strong>in</strong>divisibilità degli atomi nasce dal fatto che la loro<br />

divisione porta ad un solo risultato, lo zero, il nulla. (FERRARI 1980: 86).<br />

Meglio qu<strong>in</strong>di elim<strong>in</strong>are l’espressione ‘significato parziale’, che potrebbe<br />

implicare proprio la sc<strong>in</strong>dibilità semiologica dell’atomo. Ma veniamo al punto.<br />

Cosa vuol dire ‘leggere’? Vuol dire, evidentemente, estrarre da una serie di<br />

caratteri il loro significato (un suono). Nella lettura le lettere sono significanti, il<br />

loro suono un significato. Tuttavia il mondo così come lo vediamo (e lo vediamo<br />

sotto forma di sensazioni) è già da sempre sul piano del significato-suono (cioè su<br />

quello della <strong>sensazione</strong>), e questo implica che l’apparato sensoriale sappia leggere<br />

benissimo. Scrive Aristotele che per <strong>Democrito</strong> tutte le qualità sensibili derivano<br />

dal comb<strong>in</strong>arsi delle lettere-atomi (dai ‘significanti’, diremmo noi), così come dalle<br />

stesse lettere derivano sia una commedia sia una tragedia (i ‘significati’ dei<br />

4<br />

Cfr. MONTANO (1983: 282): «Essa [la <strong>sensazione</strong>], pur non essendo lo specchio immediato della<br />

realtà, <strong>in</strong> sé la contiene e ne è espressione. Le sensazioni di dolce o di acido, ad esempio, non sono<br />

una libera <strong>in</strong>venzione dei sensi, il prodotto della sola conformazione o disposizione delle papille<br />

gustative. Esse sono pur sempre rappresentazioni, per quanto convenzionali, della sottostante realtà<br />

oggettiva».<br />

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Fabrizio Ottaviani<br />

caratteri) 5 . Allora il difficile non è leggere: è trascrivere. Difficile è passare dal<br />

piano del significato (dato primario che tutti naturalmente posseggono) a quello del<br />

significante, perché questo percorso à rebours non può farlo automaticamente<br />

l’apparato sensoriale (il quale è capace solo di andare dal reale alla <strong>sensazione</strong>), ma<br />

deve essere frutto di ricerca. <strong>La</strong> metafora della lettura 6 , così come la <strong>in</strong>tende<br />

Ferrari, tende dunque ad <strong>in</strong>vertire il posto di significato e significante: dire che il<br />

sapiente (e non il senso) «sa leggere la realtà» (vedi <strong>in</strong>fra) equivale a trattare la<br />

<strong>sensazione</strong>, cioè quel che è un significato, il frutto term<strong>in</strong>ale di un’operazione di<br />

<strong>in</strong>terpretazione, come se fosse un significante, cioè come se fosse il primo (e non il<br />

secondo) term<strong>in</strong>e dell’operazione di <strong>in</strong>ferenza:<br />

L’analfabeta di Polibio è <strong>in</strong>vece molto simile al mondo percettivo, così come lo descrive<br />

<strong>Democrito</strong>. Ascolta voci, ma non potrà mai credere che ciò che le voci dicono dipende da<br />

qualcosa di radicalmente eterogeneo come il segno scritto. Il mondo percettivo... è un<br />

significato privo del suo significante. <strong>La</strong> distanza, enorme per <strong>Democrito</strong>, che separa il<br />

sapiente da chi non lo è, è uguale a quella che separa chi sa leggere dall’analfabeta; il<br />

sapiente sa leggere la realtà, è <strong>in</strong> grado di ricondurla alla nitidezza della sua struttura<br />

f<strong>in</strong>e. (FERRRARI 1980: 86).<br />

Sostenere che il «mondo percettivo è un significato privo del suo significante» è<br />

sufficientemente corretto, e rispetta l’equivalenza analogica tra significante e realtà<br />

e tra significato e <strong>sensazione</strong>; ma poi ancora una volta la metafora della lettura<br />

conduce ad una certa confusione. Nel resto del passo citato, <strong>in</strong>fatti, curiosamente,<br />

«leggere» («il sapiente sa leggere la realtà») consiste nel passare dal suono, dal<br />

significato (la «realtà» non potendo qui co<strong>in</strong>cidere paradossalmente che con quella<br />

<strong>sensazione</strong>-voce che a ben vedere anche l’«analfabeta» possiede come un dato<br />

primario) al carattere (l’atomo-grafema, la struttura f<strong>in</strong>e): sarebbe dunque stato<br />

preferibile dire che l’apparato sensoriale sa «leggere», il sapiente «trascrivere».<br />

Il ricorso al passo di Polibio è tra l’altro fuorviante, perché confonde due forme<br />

di semiosi le quali, se si vuole spiegare la teoria della <strong>sensazione</strong> democritea<br />

attraverso le metafore segniche, devono essere accuratamente dist<strong>in</strong>te: il passaggio<br />

dalla lettera al suono e il passaggio dal suono al significato. Nel primo caso il<br />

suono è un significato, nel secondo un significante. Ora, l’analfabeta, pur non<br />

sapendo trascrivere sotto dettatura, <strong>in</strong> ogni caso comprende il significato dei suoni,<br />

che per lui sono dunque dei significanti. Ferrari commenta: l’analfabeta «non potrà<br />

mai credere che ciò che le voci dicono dipende da qualcosa di radicalmente<br />

eterogeneo come il segno scritto»: ma ciò che le voci dicono, vale a dire il loro<br />

significato, ovviamente non dipende dal segno scritto.<br />

Dunque quando Ferrari parla di «lettura», riferendosi all’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e del filosofo,<br />

<strong>in</strong>verte <strong>in</strong>avvertitamente significato e significante; la <strong>sensazione</strong> tende<br />

5<br />

Anche il passo aristotelico sulla commedia e tragedia, con la sua accentuazione olistica, sp<strong>in</strong>ge<br />

a vedere la <strong>sensazione</strong> <strong>in</strong> <strong>Democrito</strong> non come l’effetto di una lettura del reale ad un tempo parziale e<br />

più dettagliata, una sorta di strumento discrim<strong>in</strong>ante di grado più ‘sottile’, ma al contrario come un<br />

meccanismo perfettamente <strong>in</strong>terpretante. <strong>La</strong> m<strong>in</strong>ima modifica muta completamente il ‘generato’, cioè<br />

la <strong>sensazione</strong>: se <strong>in</strong>vece il senso fosse solo una percezione di tipo ‘ulteriore’, la piccola modifica sul<br />

piano atomico avrebbe condotto ad una piccola modifica sul piano della <strong>sensazione</strong>.<br />

6<br />

Metafora che, si badi, Aristotele non impiega, limitandosi a ricorrere alla metafora della<br />

generazione della tragedia e commedia a partire dalle parole: ci si riferisce dunque non al lettore, ma<br />

all’autore (fuor di metafora: all’effetto semantico degli atomi).


Filosofia & L<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong> Italia 2002 — sez. 7<br />

<strong>La</strong> <strong>sensazione</strong> <strong>in</strong> <strong>Democrito</strong> e <strong>Cartesio</strong><br />

erroneamente a sovrapporsi al significante, mentre la struttura atomistica della<br />

realtà si avvic<strong>in</strong>a al significato. Ma se leggere è andare dal significante (i grafemi)<br />

al significato (i suoni), e se il sapiente <strong>in</strong> questione non potrebbe che andare dal<br />

significato (la <strong>sensazione</strong>) al significante (la contestura materica), allora egli non<br />

leggerebbe: trascriverebbe sotto dettatura.<br />

3. Nella letteratura cartesiana l’errore di cui sopra, per quanto raro, è ancora più<br />

evidente 7 . Riportiamo <strong>in</strong>nanzi tutto un passo di un autore, Marion, che ha <strong>in</strong>vece<br />

dato della teoria della <strong>sensazione</strong> cartesiana una descrizione semiologicamente<br />

condivisibile:<br />

le rire et les larmes (signifiants) font “lire” la joie et la tristesse, (signifiés); mais aussi<br />

“l’idée de la lumière”, “le sentiment de la lumière”, “l’idée du son”, “les idèes du<br />

chatouillement et de la douleur” (AT XI, 4.27 e 15; 5.10 e 29; 6.4-5) valent pour des<br />

signifiés; tandis que valent comme signifiants (que Descartes nomme plus souvent des<br />

“signes”) “l’action qui [...] signifie” [...], c’est-à-dire l’objet en tant qu’il agit sur<br />

l’organe de la sensation. (DESCARTES 1964-74, XI: 4.27; 5.9; 6.20-21) 8 .<br />

Ma lasciamo parlare Descartes. Una delle opere <strong>in</strong> cui il modello l<strong>in</strong>guistico è<br />

meglio visibile è il Monde:<br />

Vous sçavez bien que les paroles, n’ayant aucune ressemblance avec les choses qu’elles<br />

signifient, ne laissent pas de nous les faire concevoir, & souvent mesme sans que nous<br />

prenions garde au son des mots [...] en sorte qu’il peut arriver qu’aprés avoir ouy vn<br />

7<br />

Ci riferiamo alla maggior parte dei testi cartesiani <strong>in</strong> cui il processo della <strong>sensazione</strong> viene<br />

esemplificato attraverso l’immag<strong>in</strong>e dei mots, ed <strong>in</strong> cui si <strong>in</strong>daga il valore cognitivo (non quello<br />

pragmatico) delle rappresentazioni sensibili. Chiedersi se, al di là di tali esempî e <strong>in</strong> assenza<br />

dell’impiego da parte di <strong>Cartesio</strong> di term<strong>in</strong>i apertamente semiotici, la <strong>sensazione</strong> ricopra il ruolo di<br />

significante o di significato, richiederebbe una trattazione a parte; si può tuttavia rapidamente<br />

segnalare che sia le Meditationes sia le Passions de l’âme <strong>in</strong>vertono a volte i term<strong>in</strong>i dell’analogia tra<br />

segni e sensazioni (la <strong>sensazione</strong>, diversamente da quel che accadeva nel Monde, viene equiparata ad<br />

un significante). Questa <strong>in</strong>versione dipende da due ragioni: nelle Meditationes il dubbio prodotto dal<br />

«mauvais génie» conf<strong>in</strong>a le sensazioni e le altre idee su un piano di pura soggettività, piano da cui si<br />

tenta di fuggire proprio chiedendosi quale sia il loro significato. In questo caso la <strong>sensazione</strong> è, per<br />

forza di cose, il primo term<strong>in</strong>e dell’<strong>in</strong>ferenza, non il secondo. <strong>La</strong> seconda ragione per la quale alla<br />

<strong>sensazione</strong> accade di assumere il ruolo di significante è da ricercarsi nel tema cartesiano (ben visibile<br />

sia nella Meditazione VI sia nelle Passions, ma estraibile anche da altri passi) del valore solamente<br />

pragmatico delle sensazioni: qui la <strong>sensazione</strong> è un significante il cui significato (un significato<br />

ben<strong>in</strong>teso molto morrisiano) è costituito dalle azioni stimolate, più o meno imperiosamente, dalle<br />

sensazioni stesse. Perciò Guéroult non sbaglia quando sostiene che «L’idée n’est pas l’image, mais le<br />

signe du corps particulier existant», o che «la réalité objective du sentiment [...] apparaissait comme<br />

étant mo<strong>in</strong>s la représentation que le signe de ce corps existant», o ancora che «Cette valeur est ici<br />

celle du signe au signifié, que le signifié soit la chose existante, ou le rapport de cette chose même à<br />

mes beso<strong>in</strong>s vitaux»; non sbaglia perché sta parlando appunto delle Meditationes (GUEROULT 1968,<br />

II: 102-103 e 149-150). L’<strong>in</strong>versione del rapporto tra significato e significante nelle Meditationes e<br />

nelle Passions è stata segnalata <strong>in</strong> RODIS-LEWIS 1990: 36, 42sgg. e 240.<br />

8<br />

MARION 1991: 257. Marion è uno dei pochissimi autori ad aver posto il problema semiotico al<br />

centro dell’esegesi cartesiana, e ad averlo fatto, nonostante l’impostazione generale che resta<br />

filosofica e non semiotica, con accortezza non dilettantesca (si pensi al modo con cui resp<strong>in</strong>ge<br />

l’accusa di fallacia referenziale a p. 255n.). Purtroppo non si può affermare lo stesso di altri: è a dir<br />

poco desolante scorrere le migliaia di pag<strong>in</strong>e dedicate al problema del «veil of ideas», probabilmente<br />

il problema della filosofia moderna, senza mai <strong>in</strong>contrare il m<strong>in</strong>imo riferimento al semiologo; e<br />

questo anche se si parla di segni ad ogni rigo.<br />

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176<br />

Fabrizio Ottaviani<br />

discours, dont nous aurons fort bien compris le sens, nous ne pourrons pas dire en quelle<br />

langue il aura esté prononcé. Or, si des mots, qui ne signifient rien que par l’<strong>in</strong>titution<br />

des hommes, suffisent pour nous faire concevoir des choses, avec lesquelles ils n’ont<br />

aucune ressemblance: pourquoi la Nature ne pourra-t’elle avoir estably certa<strong>in</strong> signe, qui<br />

nous fasse avoir le sentiment de la Lumiere, bien que ce signe n’ait rien en soy, qui soit<br />

semblable à ce sentiment? (DESCARTES 1964-74, XI: 4) 9 .<br />

L’analogia è questa: le parole (i segni) stanno alle cose significate, al loro senso,<br />

così come i segni naturali (<strong>in</strong> questo caso la luce <strong>in</strong>tesa come movimento di<br />

corpuscoli) alle sensazioni da essi prodotte. Forse a fuorviare qualcuno è stato che<br />

il passo accenni a «cose» («choses qu’elle signifient»): tuttavia con «choses»<br />

<strong>Cartesio</strong> non si riferisce ad un «referente» (vale a dire ad un oggetto considerato <strong>in</strong><br />

sé, ad una realtà <strong>in</strong>dipendente), e men che meno all’orig<strong>in</strong>e materiale della<br />

<strong>sensazione</strong>, ma ad un significato, vale a dire a qualcosa di mentale. Bisogna<br />

accuratamente evitare di credere che le «choses» di cui parla <strong>Cartesio</strong> occup<strong>in</strong>o lo<br />

stesso piano della «Lumiere»: esse sono <strong>in</strong>fatti secondo term<strong>in</strong>e dell’<strong>in</strong>ferenza,<br />

mentre la «luce» è il primo. Quando <strong>Cartesio</strong> scrive «pour nous faire concevoir des<br />

choses», non si riferisce alle cose materiali, ma piuttosto ad un evento mentale<br />

provocato dal «meccanismo» <strong>in</strong>terpretativo con cui si passa dalle parole al loro<br />

significato. «Concepire cose» non deve assolutamente far pensare ad un moto<br />

regressivo con cui si risalirebbe la <strong>sensazione</strong> <strong>in</strong> direzione della realtà, perché si<br />

tratta al contrario di un passo ulteriore, che allontana dal mondo <strong>in</strong> direzione di una<br />

realtà solamente mentale. Cadendo nella fallacia referenziale, vale a dire<br />

nell’illusione, tipica del senso comune l<strong>in</strong>guistico, secondo cui le parole si<br />

riferiscono direttamente alle cose, e non ad una loro semantica ricostruzione, si è a<br />

volte creduto, sbagliando, che «segno» fosse per <strong>Cartesio</strong> non la contestura<br />

materica o i movimenti negli organi di senso, ma l’idea di <strong>sensazione</strong>, e che il<br />

significato fosse l’orig<strong>in</strong>e remota e materiale della <strong>sensazione</strong> stessa.<br />

Che la <strong>sensazione</strong> sia analoga ad un significato e non ad un significante è<br />

ancora più evidente dalla lettera a Chanut del primo febbraio 1647:<br />

Et ce n’est pas merveille que certa<strong>in</strong>s mouvements de coeur soient a<strong>in</strong>si naturellement<br />

jo<strong>in</strong>ts à certa<strong>in</strong>s pensées, avec lesquelles ils n’ont aucune ressemblance... A<strong>in</strong>si,<br />

lorsqu’on apprend une langue, on jo<strong>in</strong>t les lettres ou la prononciation de certa<strong>in</strong>s mots,<br />

qui sont des choses materielles, avec leur significations, qui sont des pensées.<br />

(DESCARTES 1964-74, IV: 603, c.m.).<br />

Chi ha deformato la rigorosa struttura metaforica proposta da <strong>Cartesio</strong>,<br />

equiparando segno e <strong>sensazione</strong> ed <strong>in</strong>vertendo così i term<strong>in</strong>i dell’analogia? Per<br />

esempio Thomas M. Lennon:<br />

In <strong>La</strong> Dioptrique, Descartes holds that like the conventional signs of language, the<br />

sensation of light is a sign of objects and their properties, and hence convey <strong>in</strong>formation;<br />

but aga<strong>in</strong> like words, it does not resemble object and hence is not an image of them.<br />

(LENNON 1980: 151).<br />

Tuttavia se ci rivolgiamo alla Diottrica scopriamo che la posizione di <strong>Cartesio</strong> è<br />

diversa: nel censurare l’iconismo degli scolastici si afferma che<br />

9<br />

Cfr. MARION 1991: 255n. Rispettano l’analogia cartesiana CANTELLI, YOLTON e numerosi altri<br />

commentatori.


Filosofia & L<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong> Italia 2002 — sez. 7<br />

<strong>La</strong> <strong>sensazione</strong> <strong>in</strong> <strong>Democrito</strong> e <strong>Cartesio</strong><br />

nous devons considérer qu’il y a plusieurs autres choses que des images, qui peuvent<br />

exciter notre pensée; comme, par exemple, les signes et les paroles, qui ne ressemblent<br />

en aucune façon aux choses qu’elles signifient. (DESCARTES 1964-74, IV).<br />

Ad esser segno non è dunque la <strong>sensazione</strong>, il pensiero eccitato, ma la sua<br />

causa: fuor di metafora, la serie di elementi, tutti rigorosamente non mentali, che<br />

vanno dall’oggetto esterno ai movimenti negli organi, movimenti poi trasmessi f<strong>in</strong>o<br />

al cervello. <strong>La</strong> <strong>sensazione</strong> è <strong>in</strong>vece un significato, l’effetto del segno, ed è<br />

equiparata alle cose significate, non alle cose reali. Nel leggere «choses qu’elles<br />

signifient» bisogna trattenersi dal pensare alla realtà, dall’<strong>in</strong>vertire la direzione del<br />

r<strong>in</strong>vio muovendo regressivamente dal pensiero ai movimenti negli organi e da lì<br />

alle cose materiali; è necessario <strong>in</strong>vece cont<strong>in</strong>uare a mantenersi su un piano<br />

puramente mentale.<br />

Nello stesso errore cade Sylvie Romanowski; dopo aver citato un passaggio del<br />

Monde 10 la studiosa commenta:<br />

Ce passage <strong>in</strong>dique que Descartes entend par le signifié la cause de notre sensation, qui,<br />

elle, est le signifiant. A<strong>in</strong>si le signifiant (l’impression) de la lumière ne renvoie pas à une<br />

Qualité de la lumière (SE), de même que la sensation de la douleur (SE) [sic] ne<br />

renvoyait pas, dans l’exemple du soldat blessé, à la cause de la sensation (SA) [sic].<br />

Descartes veut souligner qu’il n’y a pas de ressemblance entre la cause d’une sensation<br />

(SE) et la sensation elle même (SA), et que la perception (SA) ne peut pas renseigner sur<br />

la cause de celle-ci (SE). Non seulement Descartes rejette toute conception imag<strong>in</strong>ée<br />

comme étant pareille à la perception qu’elle cause, mais il élim<strong>in</strong>e tout à fait la<br />

ressemblance entre la perception et la véritable cause du phénomène. (ROMANOWSKI<br />

1974: 70).<br />

Ma abbiamo visto che è piuttosto il contrario, che per <strong>Cartesio</strong> ci si ritrova sul<br />

piano del significato («dont nous aurons fort bien compris le sens») anche se non è<br />

possibile dire a cosa corrisponda il significante («sans que nous prenions garde au<br />

son des mots [...]»).<br />

Perché è stata possibile una tale confusione? Oltre alle «choses»<br />

pericolosamente referenzialiste di cui s’è detto, il problema è che nella relazione<br />

segnica il significante può essere <strong>in</strong>dividuato e dist<strong>in</strong>to dal significato attraverso<br />

due procedure diverse: quella per cui esso è la parte materiale e concreta della<br />

relazione stessa, procedura questa che sembra essere attribuibile a <strong>Democrito</strong> e che<br />

<strong>Cartesio</strong> come visto esplicitamente fa sua nella lettera a Chanut; ed un’altra<br />

secondo cui esso è «ciò che si possiede» e da cui si parte per risalire al significato;<br />

<strong>in</strong> questo secondo caso il significante è il primo term<strong>in</strong>e di un’<strong>in</strong>ferenza. Se dunque<br />

ci si pone dal punto di vista del cogito e delle sue sensazioni, se si riverberano le<br />

10<br />

«Si le sens de l’ouie rapportait à notre pensée la vraie image de son objet, il faudrait, au lieu de<br />

nous faire concevoir le son, qu’il nous fit concevoir le mouvement des parties de l’air qui tremble<br />

pour lors contre nos oreilles». (DESCARTES 1964-74, XI: 5). Ma <strong>Cartesio</strong> passa dalla percezione alla<br />

realtà solo nell’ipotesi da scartare; <strong>in</strong> effetti la <strong>sensazione</strong> tace, non «fa concepire»; nelle Risposte<br />

alle quarte obiezioni (di Arnauld) si giungerà a dire che le idee di <strong>sensazione</strong> non rappresentano<br />

niente di reale: «Neque enim tanta est <strong>in</strong> confusis ideis ad arbitrium mentis effictis (quale sunt ideae<br />

falsorum Deorum), quanta est <strong>in</strong> iis quae a sensibus confusae adveniunt, ut sunt ideae caloris<br />

[l’edizione Adam-Tannery dà erroneamente ‘coloris’] & frigoris; si quidem, ut dixi, verum sit illas<br />

nihil reale exhibere». (DESCARTES 1964-74, VII: 233-234). L’andamento consueto, <strong>in</strong> <strong>Cartesio</strong>, è<br />

opposto: sono i movimenti negli organi che «fanno sentire» e «concepire».<br />

177


178<br />

Fabrizio Ottaviani<br />

Meditationes sulle opere scientifiche cronologicamente anteriori, è facile ritrovarsi<br />

<strong>in</strong>volontariamente a procedere dalla <strong>sensazione</strong> alle cose significate, e qu<strong>in</strong>di ad<br />

attribuirle il ruolo di lato significante del segno. Chiamiamoli: fra<strong>in</strong>tendimenti<br />

dovuti alla cattività <strong>in</strong> una visione idealistica del Moderno.<br />

C’è un’altra ragione che potrebbe spiegare perché alcuni <strong>in</strong>terpreti <strong>in</strong>vertono i<br />

term<strong>in</strong>i dell’analogia stabiliti da <strong>Cartesio</strong>, oppure perché, pur rispettandone la<br />

struttura, tendono comunque a considerarne le d<strong>in</strong>amiche come «<strong>in</strong>vertite»: alcuni<br />

semiologi preferiscono parlare di segno <strong>in</strong> senso stretto solo qualora il passaggio<br />

dal significante al significato sia ottenuto attraverso un’<strong>in</strong>terpretazione<br />

consapevole 11 , mentre nel caso di relazioni «automatiche» e di causa-effetto la<br />

segnicità sembra di tipo più debole; questa posizione è condivisa ad esempio dai<br />

cosiddetti «semiologi della comunicazione», i quali, peraltro, nell’escludere i segni<br />

naturali, pongono più attenzione alla mancata «<strong>in</strong>tenzione di comunicazione» che<br />

all’assenza dell’<strong>in</strong>terprete. E poiché nel caso del passaggio dalla <strong>sensazione</strong> alla<br />

realtà l’<strong>in</strong>terprete, nelle vesti dello scienziato corpuscolare, c’è, mentre nella<br />

direzione opposta tutto si svolge automaticamente, è la <strong>sensazione</strong> a divenire più<br />

facilmente segno.<br />

Ora, tutte le considerazioni appena elencate, le quali sp<strong>in</strong>gerebbero a vedere<br />

erroneamente la <strong>sensazione</strong> come significante, possono e devono essere<br />

accuratamente neutralizzate: le «choses» di cui si parla nel Monde non sono<br />

referenti, ma significati; nelle opere scientifiche si parte dalla realtà e non dal<br />

cogito, dal mondo materiale e non dai sense data: il <strong>Cartesio</strong> studioso della<br />

<strong>sensazione</strong> esordisce en materialiste, e non è legittimo estendere il particolarissimo<br />

procedere delle Meditazioni ad altre opere 12 . Inf<strong>in</strong>e l’<strong>in</strong>terpretazione può essere<br />

anche <strong>in</strong>conscia, e di fatto così è 13 . Resta dunque solo da stabilire per quali ragioni,<br />

11<br />

Così per esempio <strong>in</strong> alcuni passi di PEIRCE (1931-58, V: 473): «se un termometro è<br />

d<strong>in</strong>amicamente connesso con un apparato termico <strong>in</strong> modo da controllarne i livelli di calore, <strong>in</strong> questo<br />

caso non parliamo certo di semiosi o di azione segnica, ma diciamo al contrario che vi è una<br />

‘regolazione automatica’: idea questa che nelle nostre menti si presenta opposta a quella di semiosi».<br />

Al contrario per <strong>Cartesio</strong> regolazione automatica e semioticità <strong>in</strong>terpretativa non manifestano una<br />

radicale contraddittorietà, e questo a causa dell’esistenza di processi che pur non essendo consapevoli<br />

implicano una forma di <strong>in</strong>terpretazione <strong>in</strong>conscia.<br />

12<br />

<strong>La</strong> redazione del Monde e del Traité de l’Homme, <strong>in</strong> cui si parte da una considerazione assoluta<br />

(e non idealistica) della materia, precede la svolta soggettivistica del Discours, che è del 1636 (su tale<br />

svolta cfr. ROBINET 1981, che parla esplicitamente di <strong>in</strong>iziale dialettica ascendente dalla realtà<br />

all’idea, prima che si verifichi l’«<strong>in</strong>version des causes». Anche <strong>in</strong> ALQUIÉ (1950, II: n. 15) si rileva<br />

quanto Descartes pensi all’<strong>in</strong>izio «en pure physicien» e non «dans la perspective du cogito».<br />

13<br />

<strong>La</strong> presenza di un’<strong>in</strong>terpretazione <strong>in</strong>conscia è visibilissima nel passo del Monde sopra citato:<br />

«Vous sçavez bien que les paroles, n’ayant aucune ressemblance avec les choses qu’elles signifient,<br />

ne laissent pas de nous les faire concevoir, & souvent mesme sans que nous prenions garde au son<br />

des mots [...] en sorte qu’il peut arriver qu’aprés avoir ouy vn discours, dont nous aurons fort bien<br />

compris le sens, nous ne pourrons pas dire en quelle langue il aura esté prononcé» (c.m.). Dove è<br />

scritto «souvent», bisogna leggere «toujours»: <strong>Cartesio</strong> non può scrivere «sempre» solo per ragioni di<br />

economia metaforica, perché non si può dire che quando si ascolta comprendendo, non si faccia mai<br />

attenzione al suono delle parole. Ma va da sé che lo scienziato corpuscolare sa che il «meccanismo»<br />

di traduzione dei movimenti negli organi è sempre <strong>in</strong>avvertito. Per riprendere un’altra celebre<br />

immag<strong>in</strong>e cartesiana, quella del cieco col bastone: procediamo tutti e sempre a tentoni. Se non fosse<br />

così, vorrebbe dire che i sensi sono «la misura delle cose che si possono conoscere, cosa che è far<br />

torto al ragionamento umano e non volere che vada più lontano degli occhi», come si sostiene nel §<br />

201 dei Pr<strong>in</strong>cipia). Si tratta di un assioma atomistico: la tradizione che attribuisce a Leucippo la tesi


Filosofia & L<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong> Italia 2002 — sez. 7<br />

<strong>La</strong> <strong>sensazione</strong> <strong>in</strong> <strong>Democrito</strong> e <strong>Cartesio</strong><br />

né filologiche né semiologiche, ma generalmente teoriche, è bene non <strong>in</strong>vertire il<br />

posto di significato e significante.<br />

4. Se scopo della metafora semiologica fosse soltanto <strong>in</strong>trodurre una<br />

dissimiglianza tra <strong>sensazione</strong> e realtà — cosa che si sostiene, secondo noi<br />

riduttivamente, molto spesso 14 — la confusione tra significato e significante non<br />

avrebbe gravi conseguenze 15 . Ma la ricchezza della metafora l<strong>in</strong>guistica, il servizio<br />

da essa reso alla filosofia corpuscolare, non vengono esauriti dalla nonressemblance.<br />

Vedere nella metafora l<strong>in</strong>guistica un mero strumento antisomiglianza<br />

vuol dire elim<strong>in</strong>are un numero non piccolo di «conformità» tra piano<br />

del l<strong>in</strong>guaggio e piano dell’ipotesi corpuscolare, conformità che ora ci acc<strong>in</strong>giamo<br />

a raccogliere.<br />

Qual è la differenza tra significato e significante, e perché essi tendono a non<br />

lasciarsi scambiare di posto? Tradizionalmente, il significante è qualcosa di<br />

materiale e il significato qualcosa di concettuale. I significanti possono essere<br />

dist<strong>in</strong>ti <strong>in</strong> base alla materia che impiegano come veicolo; questo non vale per i<br />

significati, o perlomeno non vale altrettanto facilmente. Tradizionalmente il<br />

significante è qualcosa di fisicamente att<strong>in</strong>gibile, e il significato qualcosa che il<br />

significante «fa venire <strong>in</strong> mente» 16 ; dunque la visione corretta del rapporto <strong>in</strong>terno<br />

al segno (la <strong>sensazione</strong> come significato e non come significante) è, per<br />

com<strong>in</strong>ciare, più conforme all’atomismo e al corpuscolarismo, perché <strong>in</strong> essi la<br />

<strong>sensazione</strong> rappresenta un fatto puramente soggettivo, mentre la contestura della<br />

materia, ovviamente, è qualcosa di fisico, di «vero» per tutti. Essendo<br />

tradizionalmente il significante qualcosa di materiale e il senso qualcosa di<br />

immateriale, dire che la <strong>sensazione</strong> è significato suggerisce che essa sia un’entità<br />

di un atomo grande abbastanza da essere visibile (cosa che permetterebbe di elim<strong>in</strong>are la traduzione<br />

del quantitativo <strong>in</strong> qualitativo) è spuria, e comunque l’ipotesi è estranea all’atomismo di <strong>Democrito</strong>,<br />

basato proprio sull’<strong>in</strong>att<strong>in</strong>gibilità sensibile degli atomi. Tra l’altro se non si sostituisse il «souvent»<br />

con un «toujours» ci si troverebbe di fronte ad una sorta di doppia percezione, quella angelica<br />

(quantitativa, costituita dai movimenti negli organi) e quella umana (qualitativa, <strong>sensazione</strong> vera e<br />

propria); ad esempio sentiremmo ad un tempo sia delle vibrazioni nell’orecchio, sia dei suoni: il che è<br />

impossibile.<br />

Il parlare di «<strong>in</strong>terpretazioni <strong>in</strong>consapevoli», cosa che sp<strong>in</strong>ge verso una sorta di <strong>in</strong>clusione<br />

dell’organico nell’ermeneutico o viceversa (questione di gusti), è consueta <strong>in</strong> quei semiologi e biologi<br />

che tendono ad omologare semiosi e meccanismi vitali: nota SEBEOK (2001: 11) che «I fallimenti del<br />

processo immunitario, come le aberrazioni del segnale sopra accennate, sono le conseguenze di<br />

comunicazione difettosa: allergie, ipersensibilità, fenomeni autoimmunitari sono risposte di cellule e<br />

tessuti a fuorvianti <strong>in</strong>formazioni o ad errate <strong>in</strong>terpretazioni da parte di segni provenienti<br />

dall’ambiente».<br />

14<br />

È questo ad esempio il parere di MCRAE (1975: 366): «if we exam<strong>in</strong>e Descartes’ use of the<br />

analogy [tra <strong>sensazione</strong> e parole] … we shall f<strong>in</strong>d that non-resemblance is the sole significance of<br />

that analogy and the only reason it is <strong>in</strong>voked». Che <strong>in</strong> <strong>Cartesio</strong> conti solo il tipo di relazione tra i due<br />

term<strong>in</strong>i, vale a dire «le caractère arbitraire du rapport entre le signifiant et le signifié» è stato<br />

sostenuto anche da Alquié nella sua edizione delle Oeuvres philosophiques de Descartes (DESCARTES<br />

1973, I: 316).<br />

15<br />

Questo per ovvie ragioni: se A è diverso da B, vale anche il contrario, al di là di quale sia il<br />

term<strong>in</strong>e che gioca il ruolo di significante.<br />

16<br />

Agost<strong>in</strong>o, De doctr<strong>in</strong>a christiana, II.1.1 (il segno è «res, praeter speciem quam <strong>in</strong>gerit sensibus,<br />

aliud aliquid ex se faciens <strong>in</strong> cogitationem venire»).<br />

179


180<br />

Fabrizio Ottaviani<br />

non oggettuale, esistente solo mentalmente; <strong>in</strong> breve, se ne elim<strong>in</strong>ano le<br />

connotazioni realistiche.<br />

In secondo luogo se la <strong>sensazione</strong> fosse il significante e gli atomi il significato<br />

si perderebbe l’analogia con il carattere articolato della materia 17 , articolazione che<br />

le metafore l<strong>in</strong>guistiche, anche per l’<strong>in</strong>flusso delle teorie aristoteliche secondo cui il<br />

l<strong>in</strong>guaggio umano è tipicamente articolato 18 , suggeriscono, e che scompare se si<br />

afferma che la <strong>sensazione</strong> è il significante; perché questa è, ovviamente, omogenea.<br />

Una parola è più simile alla materia degli atomisti di quanto non lo sia un<br />

significato.<br />

In terzo luogo mantenendo l’analogia tra significato e <strong>sensazione</strong> si rende<br />

<strong>in</strong>evitabile il ricorso ad un’attività di traduzione <strong>in</strong>conscia, attività che non deve<br />

essere mai essere sottovalutata <strong>in</strong> vista di una corretta comprensione delle teorie<br />

cartesiane. Infatti un significante verrebbe raggiunto anche da chi non conosce la<br />

l<strong>in</strong>gua, né esso, per esistere come entità <strong>in</strong>dipendente, avrebbe bisogno di alcun<br />

<strong>in</strong>terprete. Seguendo gli stoici, il significante <strong>in</strong> quanto materiale 19 è qualcosa di<br />

cui dispone anche lo straniero, il quale però è <strong>in</strong>capace di cogliere il lekton,<br />

l’<strong>in</strong>corporeo significato.<br />

Inf<strong>in</strong>e, rispettando la struttura analogica voluta da <strong>Cartesio</strong>, si rispetta uno degli<br />

scopi della metafora dei mots: attirare l’attenzione, descrivendola, non tanto sulla<br />

capacità di «trascrizione» dello scienziato, ma su quella di <strong>in</strong>terpretazione<br />

dell’apparato sensoriale. <strong>La</strong> prima <strong>in</strong>fatti va dalla <strong>sensazione</strong> alla realtà, e dunque<br />

<strong>in</strong> essa la <strong>sensazione</strong> si avvic<strong>in</strong>a <strong>in</strong> parte al significante, essendo <strong>in</strong> questo caso la<br />

<strong>sensazione</strong> primo term<strong>in</strong>e dell’<strong>in</strong>ferenza, e non secondo; protasi, e non apodosi. Al<br />

contrario nella direzione materialistica, dalla realtà alla <strong>sensazione</strong>, quest’ultima è<br />

per forza di cose effetto f<strong>in</strong>ale, e dunque secondo term<strong>in</strong>e dell’<strong>in</strong>ferenza.<br />

Rispettando i ruoli analogici assegnati da <strong>Cartesio</strong> alle varie componenti della<br />

metafora semiologica, diventa evidente che questa deve esser <strong>in</strong>tesa privilegiando il<br />

momento dell’ascolto <strong>in</strong>terpretante, non quello della trascrizione.<br />

Scambiando il posto di significato e significante, dunque, si svia l’attenzione<br />

sull’attività scientifica del filosofo, sul suo passare dalla <strong>sensazione</strong> (vista <strong>in</strong> questo<br />

caso come significante) all’ipotesi corpuscolare, alla materia atomistica; ma quando<br />

<strong>Cartesio</strong> ricorre all’esempio dei mots, sta verosimilmente <strong>in</strong>teressandosi alla<br />

percezione comune; non sta sostenendo che solo lo scienziato comprenda il<br />

significato cui la <strong>sensazione</strong> r<strong>in</strong>via, bensì che ognuno sappia tradurre<br />

automaticamente i significanti <strong>in</strong> significati. Che <strong>in</strong> ognuno di noi, grazie ad una<br />

connaturata facoltà decifrante, c’è un «ascolto» <strong>in</strong>conscio che traduce significanti<br />

<strong>in</strong> senso.<br />

17<br />

Sull’articolatezza della materia cfr. la regola XII delle Regulae ad directionem <strong>in</strong>genii<br />

(DESCARTES 1964-74, X: 413). Locke parla <strong>in</strong>vece di texture; <strong>in</strong> generale la filosofia corpuscolare<br />

adotta l’ipotesi di particelle <strong>in</strong>visibili le quali, costituendo la base fisica dei corpi, producono<br />

collettivamente, con la loro complessità, la possibilità di <strong>in</strong>dividuare di volta <strong>in</strong> volta una s<strong>in</strong>gola ed<br />

omogenea qualità. Sull’articolatezza della materia <strong>in</strong> <strong>Democrito</strong> ci siamo soffermati lungamente <strong>in</strong><br />

OTTAVIANI 2002.<br />

18<br />

ARISTOTELE 1994: 16a, 26-29; 1992: 1456b, 22-24.<br />

19<br />

Naturalmente non ci stiamo esprimendo, parafrasando Leibniz, dans la rigueur l<strong>in</strong>guistique; un<br />

significante è un’entità astratta e non deve essere confuso con la fonìa. Per gli stoici cfr. SESTO<br />

EMPIRICO, Adv. Math., VIII, 11-12.


Bibliografia<br />

Filosofia & L<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong> Italia 2002 — sez. 7<br />

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181


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Fabrizio Ottaviani<br />

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