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zione, le donne e gli uomini protagonisti della lunga stagione contestataria<br />
(che in Italia, sebbene in forma crepuscolare e assai mutevole,<br />
dura oltre la metà degli anni settanta), superata la soglia<br />
della maturità hanno più o meno consapevolmente castrato i propri<br />
figli, vigilando sulle loro aspirazioni e complicando il loro raggiungimento,<br />
anche a livello economico, di una reale emancipazione.<br />
Dal loro punto di vista noi saremo giovani per sempre. Nostro<br />
malgrado, pur invecchiando naturalmente come tutti gli uomini<br />
e le donne prima di noi, ci mancherà il privilegio della maturità.<br />
E nonostante un livello di istruzione dignitoso – sicuramente<br />
raggiunto senza le agevolazioni politiche di cui hanno goduto i<br />
contestatori – non potremo nemmeno contare su una casa nostra<br />
e un posto di lavoro sicuro. Saremo costretti a vivere sotto tutela,<br />
all’ombra del perduto benessere dei nostri genitori, come in una<br />
sorta di purgatorio laico al quale si accede senza avere commesso<br />
peccati.<br />
Per noi non c’è proiezione immaginifica e soprattutto non c’è<br />
conflitto. Manca l’antagonismo, che è il vero motore del cambiamento<br />
e della storia. La prima conseguenza dell’assenza di uno<br />
spirito di rivalsa generazionale, paradossalmente, è la difficoltà di<br />
comunicazione. I trentenni italiani con i sessantottini non si parlano<br />
e non si capiscono. Tendiamo a evitarci cordialmente. Anche<br />
perché, secondo una loro radicata quanto infondata e stravagante<br />
convinzione, noi non ci siamo ancora guadagnati una dignità culturale,<br />
afflitti dalla sfortuna di avere trascorso la nostra giovinezza<br />
in un’epoca di grande disagio esistenziale. In questo rapporto<br />
mai consumato riveste un ruolo importante il nostro senso d’inferiorità,<br />
diretta conseguenza di una mancata identità biografica e<br />
dell’assenza di coscienza politica, o anche solo di una forte consapevolezza<br />
culturale. Una consapevolezza che si forma solo attraverso<br />
la condivisione della lotta.<br />
L’incomprensione genera inevitabilmente spiacevoli equivoci.<br />
Guardando con sospetto qualsiasi fenomeno sociale diverso<br />
dalla loro irripetibile giovinezza, gli intellettuali sessantottini hanno<br />
cercato di etichettarci con categorie anonime e prive di significato:<br />
generazione x, generazione y, generazione del disimpegno,<br />
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