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Bombelli, La riflessione di Walter Benjamin come pensiero ribelle

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Giovanni <strong>Bombelli</strong><br />

LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME<br />

“PENSIERO RIBELLE”.<br />

RIBELLIONE DEL PENSIERO E L’ (IM)POSSIBILITÀ-ENIGMATICITÀ<br />

DEL “PENSARE” LA RIBELLIONE.<br />

Centro Stu<strong>di</strong> TCRS<br />

Via Crociferi, 81 - 95124 Catania - Tel. +39 095 230478 - tcrs@lex.unict.it<br />

Atti


Giovanni <strong>Bombelli</strong><br />

Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano<br />

giovanni.bombelli@unicatt.it<br />

ISSN: 2100426<br />

Centro Stu<strong>di</strong><br />

“Teoria e Critica della Regolazione sociale”<br />

Via Crociferi, 81 - 95124 Catania<br />

Tel. +39 095 230478 – Fax +39 095 230462<br />

tcrs@lex.unict.it<br />

www.lex.unict.it/tcrs<br />

In:<br />

Il <strong>pensiero</strong> <strong>ribelle</strong><br />

Monticchio (PZ)<br />

20-21 maggio 2005


Giovanni <strong>Bombelli</strong><br />

LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME “PENSIERO RIBELLE”.<br />

RIBELLIONE DEL PENSIERO E L’ (IM)POSSIBILITÀ-ENIGMATICITÀ<br />

DEL “PENSARE” LA RIBELLIONE.<br />

“L’origine è la meta”<br />

K. Kraus<br />

(da W. <strong>Benjamin</strong>, Tesi <strong>di</strong> Filosofia della storia, tesi n. 14)<br />

“<strong>La</strong> pietra scartata dai costruttori è <strong>di</strong>venuta testata d’angolo”<br />

Salmo 117 (118)<br />

1. Premessa: simbolo, allegoria e l’enigma del “<strong>pensiero</strong> <strong>ribelle</strong>”.<br />

Se si assume la <strong>di</strong>zione “<strong>pensiero</strong> <strong>ribelle</strong>” <strong>come</strong> modalità <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cale messa in<br />

questione delle categorie interpretative derivanti dalla tra<strong>di</strong>zione e consolidate<br />

all’interno <strong>di</strong> un modello culturale, quin<strong>di</strong> non soltanto e semplicemente <strong>come</strong><br />

contestazione degli assetti storico-sociali a queste connessi, si può forse affermare<br />

che il <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong> (1892-1940) è strutturalmente “<strong>ribelle</strong>”. Ma tale<br />

carattere eversivo appare estremamente problematico e pluristratificato. All’interno<br />

dei tortuosi passaggi teoretici che connotano la <strong>riflessione</strong> del filosofo tedesco (e<br />

che si può ben <strong>di</strong>re compongano un vero e proprio puzzle tematico) 1 , tale<br />

1 Sulla complessità e le eterogenee ra<strong>di</strong>ci culturali del <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>: “[<strong>Benjamin</strong> è]un autore sul<br />

quale le controversie e le polemiche più ampie e più lunghe si sono scatenate proprio intorno<br />

all’interpretazione dei nessi e dei rapporti tra materialismo e messianismo, <strong>di</strong>alettica e teologia,<br />

marxismo ed ebraismo.” G. CUNICO, <strong>Benjamin</strong>: arresto messianico e salvazione del passato, in ID.,,<br />

Messianismo, religione e ateismo nella filosofia del Novecento (Bloch, Kracauer, <strong>Benjamin</strong>, Horkheimer,<br />

Adorno, Habermas), Milella, Lecce 2001, p. 152 (si rinvia a questo testo anche per ulteriori in<strong>di</strong>cazioni<br />

bibliografiche concernenti il <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>). A questo proposito l’Autore <strong>di</strong>stingue in <strong>Benjamin</strong> due<br />

fasi: un periodo giovanile, o comunque una prima fase, in cui la sua opera ed il suo <strong>pensiero</strong> sono<br />

centrati su motivi religiosi e teologici (ibidem, pp. 141-152), per poi successivamente “svoltare” in modo<br />

tutto peculiare in una prospettiva materialistica (ibidem, pp. 152-159), durante la quale, comunque, è<br />

costante la presenza latente delle componenti teologico-messianiche (ibidem, pp. 159-165).<br />

Nel primo <strong>Benjamin</strong> si profilerebbe una sorta <strong>di</strong> sintesi tra decisionismo e nichilismo politico: “[…]il<br />

<strong>pensiero</strong> del primo <strong>Benjamin</strong> mostra chiaramente una tendenza a un decisionismo politico che lo<br />

avvicina, sia pure <strong>come</strong> estremo opposto (<strong>di</strong> segno anarchico e <strong>di</strong>struttivistico) alla “teologia politica” (<strong>di</strong><br />

segno estremisticamente autoritario) <strong>di</strong> Carl Schmitt. Tale tendenza è una forma <strong>di</strong> nichilismo<br />

politico[…].” (ibidem, p. 153). Nella seconda fase la “svolta” andrebbe intesa <strong>come</strong> “sperimentale e<br />

temporalmente con<strong>di</strong>zionata”: “Anche <strong>Benjamin</strong>, <strong>come</strong> Bloch e Kracauer, ha conosciuto una svolta verso<br />

la metà degli anni Venti.[…]Il passaggio al materialismo è legato al tema dell’adesione al comunismo e al<br />

marxismo, quale si viene profilando già dal 1924[…]ma che solo dal 1931 si esprime <strong>come</strong> scelta<br />

obbligata nell’impostazione del lavoro critico-letterario e saggistico.[…]In realtà l’accostamento al<br />

materialismo da parte <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> riveste un carattere sperimentale e temporalmente con<strong>di</strong>zionato dalla<br />

situazione storica e sociale in cui egli si trova a vivere.[…]<strong>Benjamin</strong> adotta il metodo (il “modo <strong>di</strong>


GIOVANNI BOMBELLI 2<br />

prospettiva viene giocata su vari piani e l’articolazione tematica (per quanto sia<br />

possibile formularne una) della “critica <strong>ribelle</strong>” benjaminiana ruota essenzialmente<br />

intorno a tre registri: arte, filosofia, politica-<strong>di</strong>ritto. 2<br />

Tuttavia quest’ultimi, stante il “metodo” (o meglio il “contro-metodo” <strong>di</strong><br />

<strong>Benjamin</strong>), sono tra loro in qualche modo inestricabilmente connessi,<br />

continuamente richiamantisi, circolarmente connessi e, se possibile, in ascendente<br />

progressione tematica. I passaggi teoretici essenziali sono così continuamente<br />

formulati in rapporto a specifici contenuti ora artistici, ora filosofici, ora politico-<br />

giuri<strong>di</strong>ci: per questo è sembrato opportuno segnalare i nuclei essenziali della<br />

<strong>riflessione</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, in or<strong>di</strong>ne al tema qui trattato, in<strong>di</strong>cando (per semplice<br />

rinvio) il rapporto con i suddetti campi tematici. Questo percorso speculativo<br />

potrebbe essere riassunto, sul piano gnoseologico, <strong>come</strong> una critica al tessuto<br />

teoretico del “simbolo” e, al contempo, apertura alla figura dell’ “allegoria”: il primo<br />

inteso <strong>come</strong> conoscenza costituita e immo<strong>di</strong>ficabile (statuizione della “verità”), la<br />

seconda <strong>come</strong> approccio strutturalmente problematico alla complessità-<br />

insondabilità della realtà. Si tornerà su questi concetti.<br />

Ne emergerà un’ambiguità-enigmaticità <strong>di</strong> fondo la quale, se si sintetizza<br />

nella costante tensione tra “ribellione del <strong>pensiero</strong>” e “<strong>pensiero</strong> della ribellione”,<br />

trova origine sia nell’ambiguità strutturale del <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> sia, forse, nella<br />

struttura stessa del <strong>pensiero</strong> <strong>ribelle</strong>. Da un lato la <strong>riflessione</strong> del filosofo tedesco<br />

appare continuamente sospesa tra contestazione del “dato” (storico, culturale,<br />

sociale, economico, ecc.) e l’ulteriorità del medesimo, che ne comporta la<br />

problematica lettura e superamento. Dall’altro il <strong>pensiero</strong> <strong>ribelle</strong> in quanto tale è<br />

sempre ambiguo, almeno nel senso imme<strong>di</strong>ato e “banale” dell’ambivalenza <strong>di</strong><br />

positivo-negativo. Quest’ultima forse è segretamente ritmata dalla costanza del<br />

binomio violazione-donazione: non è forse vero che anche Prometeo ruba il fuoco e,<br />

al contempo, lo dona agli uomini? <strong>La</strong> violazione <strong>di</strong> una norma produce così<br />

paradossalmente, e al contempo, un positivum: l’inizio della storia, della “civiltà”.<br />

Ma allora occorre chiedersi: la storia (anche biblicamente) nasce da un’infrazione <strong>di</strong><br />

vedere”) materialistico anche nell’esposizione della sua critica letteraria e della sua teoria dell’arte e<br />

della storia, sia pure <strong>come</strong> “atteggiamento <strong>di</strong> ricerca” attento ai materiali concreti in cui si cela la verità<br />

più che <strong>come</strong> “dogma” o “concezione del mondo”, e sia pure sempre solo <strong>come</strong> risposta alle sfide e ai<br />

pericoli del tempo, del kairós storico.” Ibidem, pp. 152-157.<br />

2 Alcuni critici hanno visto in <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong> un intellettuale che, al pari <strong>di</strong> altri, nello scenario degli<br />

anni ’30 e ’40 era “[…]alla ricerca <strong>di</strong> una nuova sintesi tra politica e cultura”: G. E. RUSCONI, Intellettuali<br />

e società contemporanea, Loescher, Torino 1980, p. 264.


LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME “PENSIERO RIBELLE”.<br />

fondo, da un “peccato originale” 3 e, forse, non può che rinnovarsi attraverso<br />

“peccati”, “ribellioni” o “rotture” che liberano “energie” e “possibili storici”? In fondo<br />

questa è la via della “liberazione” (così <strong>come</strong> lo stesso Prometeo viene liberato).<br />

2. (Tra arte e filosofia) Ribellione del <strong>pensiero</strong>. Concetti introduttivi: critica,<br />

dottrina, metodo.<br />

<strong>La</strong> comprensione della <strong>riflessione</strong> benjaminiana, in particolare relativamente<br />

al senso <strong>di</strong> ciò che è stato appena definito “ribellione del <strong>pensiero</strong>”, richiede il<br />

preliminare e sintetico richiamo <strong>di</strong> alcuni concetti introduttivi peculiari del filosofo<br />

tedesco: la critica, la dottrina e il metodo.<br />

Riguardo al primo va rilevato che in <strong>Benjamin</strong> arte e filosofia presentano un<br />

preciso punto <strong>di</strong> incontro, poiché entrambe sono strumenti <strong>di</strong> “critica” 4 e rivestono,<br />

quin<strong>di</strong>, una funzione smascherante (“<strong>ribelle</strong>”) à la Nietzsche. Sia la prima (<strong>come</strong><br />

“critica d’arte”) che la seconda (la filosofia “<strong>come</strong> critica”), entro un’area per<br />

<strong>Benjamin</strong> non chiaramente (o solo estrinsecamente) <strong>di</strong>stinguibile, sono accomunate<br />

dal “problema” della critica al concetto <strong>di</strong> “sistema”. A quest’ultimo, giu<strong>di</strong>cato <strong>come</strong><br />

falsa anticipazione della dottrina, si imputa l’incapacità <strong>di</strong> tenere conto dello scarto<br />

(per <strong>Benjamin</strong> strutturale) tra verità e conoscenza.<br />

Strettamente connessa a questo profilo è la nozione <strong>di</strong> dottrina. Il “sistema”<br />

si configura necessariamente in una “dottrina” (ideologia?): ma la “dottrina”, in<br />

quanto configurazione concettualmente articolata del dato (o dei dati) storici<br />

(storicismo), non solo è priva della <strong>di</strong>namicità interpretativa del “saggio” ma si<br />

sottrae costitutivamente, altresì, alla “critica” in quanto identifica il sapere tout-<br />

court. Da qui l’apertura <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> a forme espressive destrutturate <strong>come</strong> il<br />

“saggio” letterario (anche nella sua modalità esoterica: è da chiedersi se sullo<br />

sfondo non si staglino la kabbalah ebraica e il commento ermeneutico del Talmud).<br />

Ciò mostra non soltanto l’interesse <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> per temi eterodossi ma forse, più<br />

ra<strong>di</strong>calmente, l’apertura a forme alternative <strong>di</strong> “sapere” (con una carica, quin<strong>di</strong>, non<br />

3 Per <strong>Benjamin</strong>, <strong>come</strong> si <strong>di</strong>rà, il peccato originale ha comportato la per<strong>di</strong>ta dell’originaria unicità della<br />

lingua-conoscenza, a vantaggio dell’affermazione della molteplicità linguistica: ma allo stesso tempo ciò<br />

ha reso possibile la storia!<br />

4 “<strong>La</strong> critica cerca il contenuto <strong>di</strong> verità <strong>di</strong> un’opera d’arte, il commentario il suo contenuto reale.” W.<br />

BENJAMIN, Le affinità elettive, in W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, Einau<strong>di</strong>, Torino<br />

1962 (Frankfurt am Main, 1955), p. 157. Per una breve introduzione generale al <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>,<br />

oltre a quanto già in<strong>di</strong>cato nella nota 1, si veda l’Introduzione <strong>di</strong> Renato Solmi al testo appena citato<br />

(ibidem, pp. IX-XXXVIII).<br />

3


GIOVANNI BOMBELLI 4<br />

soltanto de-sistematizzante ma ra<strong>di</strong>calmente de-razionalizzante: si tornerà su<br />

questo in conclusione).<br />

Questi rilievi presentano precisi riflessi sul piano del metodo. Ne consegue,<br />

infatti, che il “metodo” riflessivo (posto che sia necessario ve ne sia uno: ciò che<br />

non è scontato per <strong>Benjamin</strong>) non può che consistere nel saggio <strong>come</strong> “allegoria”<br />

(cioè composizione a mosaico: si veda nei suoi scritti l’articolazione delle citazioni<br />

<strong>come</strong> intarsio, la rilevanza delle traduzioni, ecc.). Esso stesso rappresenta un<br />

“contrometodo”, a suo modo <strong>ribelle</strong> rispetto ai canoni occidentali.<br />

3. Segue. Conoscenza: simbolo(totalità e trage<strong>di</strong>a) e allegoria (frammento e<br />

dramma).<br />

<strong>La</strong> “ribellione del <strong>pensiero</strong>” (<strong>come</strong> critica alle strutture interpretative<br />

consolidate) si snoda, relativamente alle modalità conoscitive, lungo l’asse<br />

simbolo/allegoria. 5 Come accennato, essi sembrano venire assunti da <strong>Benjamin</strong><br />

<strong>come</strong> figure sintetiche del possibile <strong>di</strong>verso rapporto con la natura e la “verità”.<br />

Per <strong>Benjamin</strong> il “simbolo” è manifestazione visibile, <strong>come</strong> sua eternazione, <strong>di</strong><br />

un’idea. In tal senso il simbolo non rappresenta né una modalità enigmatica <strong>di</strong><br />

articolazione del “senso” né una me<strong>di</strong>azione necessaria della conoscenza della<br />

realtà (<strong>come</strong> invece appare essere, rimanendo in ambito ebraico, per un autore<br />

<strong>come</strong> Ernst Cassirer). In particolare, alla <strong>di</strong>mensione simbolica appartiene la<br />

trage<strong>di</strong>a antica, la quale parla del mito e non della storia. Com’è noto <strong>Benjamin</strong><br />

definisce le trage<strong>di</strong>e antiche <strong>come</strong> trage<strong>di</strong>e <strong>di</strong> fondazione: ma esse lo sono proprio<br />

in quanto “simboliche”, cioè espressione <strong>di</strong> un modello <strong>di</strong> senso dato. Nel filosofo<br />

tedesco, quin<strong>di</strong>, il simbolo non assume alcuna connotazione enigmatica, né appare<br />

<strong>come</strong> sfondo ambivalente e misterioso. Semmai esso si articola secondo due<br />

elementi essenziali: a) la “natura” (dotata <strong>di</strong> una sua struttura) e b) l’espressione <strong>di</strong><br />

un modello compiuto <strong>di</strong> “senso”, un significato in qualche modo già dato, un tutto<br />

(in tal senso il “simbolo” per <strong>Benjamin</strong>, in quanto univoco, è sempre ideologico). In<br />

ultima analisi per <strong>Benjamin</strong> il simbolo si inscrive in un’ontologia immutabile. 6<br />

5 Ci si riferisce ovviamente soprattutto, ma non esclusivamente, all’opera Il dramma barocco tedesco,<br />

Einau<strong>di</strong>, Torino 1971 (Berlin, 1928). Sul tema G. BOFFI, Allegoria e simbolo in <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong>, in V.<br />

MELCHIORRE (a cura <strong>di</strong>), Simbolo e conoscenza, Vita e Pensiero, Milano 1988, pp. 332-363.<br />

6 Come è stato osservato “[…]sulla scorta <strong>di</strong> Creuzer <strong>Benjamin</strong> aveva accettato che la <strong>di</strong>fferenza fra<br />

simbolo ed allegoria consistesse in quella intercorrente fra una “totalità istantanea” ed un “progresso in<br />

una serie <strong>di</strong> istanti”. Difficile non ritrovare qui, almeno per analogia, anche la <strong>di</strong>fferenza fra nome e<br />

logos, tra l’espressione assolutamente semplice ed il <strong>di</strong>scorrere della significazione linguistica. In ogni


LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME “PENSIERO RIBELLE”.<br />

Rispetto al “simbolo”, l’allegoria si gioca non sul piano della natura, ma della<br />

“storia <strong>come</strong> natura”. Ecco perché essa trova la sua prima configurazione nel<br />

dramma moderno il quale, contrariamente alla trage<strong>di</strong>a, si pone <strong>come</strong> storia<br />

naturale, <strong>come</strong> destino 7 o, allo stesso modo, in termini <strong>di</strong> “natura <strong>come</strong> storia” 8<br />

(<strong>come</strong> maschera della storia sacra?). Da qui nasce l’analogicità dell’allegoria: 9 essa<br />

riveste lo stesso ruolo che hanno le parole nel linguaggio, in quanto rappresenta<br />

una tecnica segreta <strong>di</strong> significazione (in tal senso il rapporto linguaggio/cose<br />

rimanda chiaramente alla Kabbalah me<strong>di</strong>evale), alla ricerca dei riposti ed ulteriori<br />

significati della storia. Ma proprio per questo l’allegoria è ambigua: esemplificata nel<br />

barocco essa, più in generale, è significativa dell’ambiguità dell’arte moderna tout-<br />

court, ivi compresa l’avanguar<strong>di</strong>a (su questo aspetto rinvio al saggio <strong>di</strong> Alberto<br />

Andronico in questa sede).<br />

caso, l’esito benjaminiano è quello della <strong>di</strong>fferenza ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> simbolo ed allegoria.[…]Se il simbolo è il<br />

trasparire, il giungere a parola del <strong>di</strong>vino nell’Or<strong>di</strong>ne cosmico – al contrario, l’allegoria esprime un<br />

“inarrestabile deca<strong>di</strong>mento”, è segno irrime<strong>di</strong>abile dell’assenza del <strong>di</strong>o nella physis <strong>di</strong>sanimata.” Ibidem,<br />

p. 343. Ivi si precisa ulteriormente <strong>come</strong> nel Dramma barocco tedesco <strong>Benjamin</strong> definisca “l’unità <strong>di</strong><br />

misura temporale dell’esperienza simbolica” <strong>come</strong> “l’attimo mistico (das mystische Nu) in cui il simbolo<br />

accoglie il senso nel suo interno nascosto.”<br />

Ma in Trauerspiel und Tragö<strong>di</strong>e si traccia la <strong>di</strong>stinzione tra il “tempo messianico” e gli altri “tempi”<br />

utilizzata anche nelle Tesi <strong>di</strong> filosofia della storia: “<strong>Benjamin</strong> <strong>di</strong>stingue il “tempo messianico”, in quanto<br />

“tempo storico adempiuto”, ovvero “<strong>di</strong>vinamente adempiuto”, dal “tempo della storia” or<strong>di</strong>naria, che è<br />

“infinito in ogni <strong>di</strong>rezione e inadempiuto in ogni attimo” […]ma anche dal “tempo tragico”, che è “tempo<br />

in<strong>di</strong>vidualmente adempiuto” nel destino tragico dell’eroe sul piano drammatico, e dal “tempo del<br />

Trauerspiel” (del dramma moderno non-tragico), che è un tempo non adempiuto, ma finito, né<br />

in<strong>di</strong>viduale, né storicamente universale, né miticamente universale, ma universale nel senso del<br />

fantasma allegorico <strong>di</strong> un altro tempo, <strong>di</strong> un altro mondo, ossia della ripetizione speculare <strong>di</strong> un’altra<br />

recita. Significativo il fatto che il “tempo messianico” venga presentato <strong>come</strong> una “idea storica”<br />

proveniente da una tra<strong>di</strong>zione religiosa (Bibbia), governata da un orizzonte teologico (un operare <strong>di</strong> Dio<br />

nella storia) e rivolta a un destinatario collettivo, sovrain<strong>di</strong>viduale[…].” G. CUNICO, <strong>Benjamin</strong>: arresto<br />

messianico e salvazione del passato, cit., p. 143.<br />

7 Sulla <strong>di</strong>stinzione dei contesti della trage<strong>di</strong>a e del dramma moderno (l’uno ontologico e l’altro storicoin<strong>di</strong>vidualistico),<br />

elaborata proprio a partire dall’impostazione proposta da <strong>Benjamin</strong> nel Dramma barocco<br />

tedesco, si rinvia a F. TODESCAN, Giustizia e destino: dalla filosofia presocratica alla trage<strong>di</strong>a attica,<br />

Introduzione a G. BOMBELLI-A. MAZZEI, ΔΙΚΕ ΠΟΛΥΠΟΙΝΟS (a cura <strong>di</strong>), Archetipi <strong>di</strong> giustizia fra trage<strong>di</strong>a<br />

greca e dramma moderno, Cleup, Padova 2004, pp. 21-39 (soprattutto pp. 21-22).<br />

8 Sulla vita <strong>come</strong> “storia” <strong>Benjamin</strong> insiste anche in sede <strong>di</strong> <strong>riflessione</strong> sul linguaggio: Il compito del<br />

traduttore, in W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 39. Su questo anche G. BOFFI,<br />

Allegoria e simbolo in <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong>, cit. , pp. 334-335.<br />

9 A questo proposito Lukacs pone un’analogia con Kafka. Ma in effetti si può ricordare il famoso racconto<br />

ebraico del Golem, nel quale la parola è in grado <strong>di</strong> “animare” le cose in quanto esse stesse sono già<br />

animate: in tal senso opera un rapporto magico ‘parole-cose’ (ve<strong>di</strong> anche § successivo).<br />

Va ricordato che <strong>Benjamin</strong>, nel periodo “materialistico”, scrisse un saggio su Kafka (Franz Kafka.<br />

Zurzehnten Wiederkehr seines Todestages, 1934, in W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti,<br />

cit., pp. 261-289), nel quale il filosofo tedesco offre una lettura teologico-religiosa (intrecciata a quella<br />

nichilistica) dello scrittore praghese: “[E’]un saggio in cui la <strong>riflessione</strong> sociologica cede il passo ad altre<br />

considerazioni, tra cui riemergono, sia pure non più <strong>di</strong>rettamente, quelle teologiche e messianiche.[…]In<br />

realtà l’attenzione per la creatura e la sua vita sofferente e deforme entro una realtà deforme e<br />

insensata è il genuino motivo religioso <strong>di</strong> Kafka rilevato da <strong>Benjamin</strong>.[…]<strong>Benjamin</strong> scrive che i racconti <strong>di</strong><br />

Kafka sono parabole che stanno alla dottrina <strong>come</strong> la Hagadah (la componente narrativa della tra<strong>di</strong>zione<br />

ebraica) sta alla Halacha (la componente normativa); ma la “dottrina” non è data.[…]in questo saggio<br />

sommamente (e insieme sommessamente) rivelatore dell’atteggiamento personale <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, si<br />

coniugano la vena nichilistica e la vena messianico-religiosa.” G. CUNICO, <strong>Benjamin</strong>: arresto messianico<br />

e salvazione del passato, cit., pp. 159-164.<br />

5


GIOVANNI BOMBELLI 6<br />

Si può così affermare: a) contrariamente al simbolo, che incarna la totalità<br />

compiuta, l’allegoria rappresenta il “frammento” e, <strong>come</strong> “allusione a…” e “tentativo<br />

<strong>di</strong> rappresentazione <strong>di</strong>…”, per <strong>Benjamin</strong> è la struttura in quanto tale della<br />

conoscenza (è la conoscenza in se stessa: su questo aspetto sono chiare le<br />

tangenze con il <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> Nietzsche); b) l’allegoria è ambivalente proprio perché<br />

coprendo svela o svelando copre. In questa “mancanza” dell’allegoria emerge la<br />

complessità/contrad<strong>di</strong>ttorietà della nozione <strong>di</strong> Trauerspiel (Trauer =lutto, afflizione;<br />

Spiel=gioco, rappresentazione), cioè del dramma barocco nel quale la figura<br />

dell’allegoria per il filosofo tedesco si delinea in modo tematico.<br />

Rimane, tuttavia, <strong>di</strong>scutibile la nozione benjaminiana <strong>di</strong> “simbolo”, che non<br />

sembra cogliere la plurivoca carica filosofica che lo connota e che, viceversa,<br />

andrebbe maggiormente indagata.<br />

4. Segue. Conoscenza: filosofia e linguaggio.<br />

Il rapporto tra l’‘arte <strong>come</strong> allegoria’ e l’allegoria <strong>come</strong> significazione, <strong>come</strong><br />

struttura veritativa in quanto tale, si approfon<strong>di</strong>sce ulteriormente in rapporto alla<br />

concezione della lingua e della scrittura. <strong>La</strong> <strong>riflessione</strong> sulla lingua, che rappresenta<br />

al contempo una filosofia del linguaggio ed un’indagine filosofica tout-court, muove<br />

da due presupposti indefettibili per <strong>Benjamin</strong>: a) la filosofia è speculazione<br />

linguistica e b) nella lingua vi è la “verità”. Riguardo al primo presupposto sono<br />

chiare le suggestioni in esso presenti (componente ebraica, influsso romantico,<br />

svolta linguistica novecentesca); la seconda assume una connotazione specifica<br />

nell’autore tedesco in quanto, a suo avviso, riflettere sulla lingua significa<br />

propriamente “conoscere”.<br />

Per il tema qui trattato (profilo “<strong>ribelle</strong>” della conoscenza) ci si può<br />

soffermare sinteticamente sui seguenti punti tra loro connessi della <strong>riflessione</strong><br />

linguistica benjaminiana: l’idea <strong>di</strong> lingua, il concetto <strong>di</strong> traduzione, la portata<br />

conoscitiva della lingua, il profilo teologico.<br />

Riguardo al primo aspetto, per <strong>Benjamin</strong> la lingua ha un’intenzionalità<br />

ontologica. Essa non presenta un vero e proprio contenuto, in quanto è<br />

fondamentalmente espressione della vita spirituale. 10 Si dà, così, originariamente il<br />

10 “Ogni manifestazione della vita spirituale umana può essere concepita <strong>come</strong> una sorta <strong>di</strong> lingua, e<br />

questa concezione <strong>di</strong>schiude – <strong>come</strong> ogni metodo veritiero – ovunque nuovi problemi.[…]Ma la realtà<br />

della lingua non si estende solo a tutti i campi <strong>di</strong> espressione spirituale dell’uomo – a cui, in un senso o


LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME “PENSIERO RIBELLE”.<br />

nesso strutturale linguaggio/essere: 11 anche per questo la lingua è infinita. 12 <strong>La</strong><br />

“vera” comunicazione (o lingua), cioè quella in grado <strong>di</strong> attingere l’essere, non<br />

riposa sull’utilizzo strumentale dei segni (attraverso i segni) ma si svolge nei<br />

“nomi” 13 e mira alla pura lingua (reine Sprache).<br />

Qui nasce il problema della traduzione ed il suo mistero (che è quello proprio<br />

<strong>di</strong> ogni comunicazione). 14 Essa <strong>di</strong> per sé non è una via privilegiata alla conoscenza<br />

dell’essere: se è vero che garantisce la sopravvivenza dell’originale, 15 in essa non<br />

c’è un’ipotetica esattezza esprimibile o comprensibile. 16 In realtà, riemerge in<br />

prospettiva linguistica la menzionata questione conoscitiva: la traduzione,<br />

nell’altro, appartiene sempre una lingua – ma a tutto senza eccezione. Non vi è evento o cosa nella<br />

natura animata o inanimata che non partecipi in qualche modo della lingua, poiché è essenziale a ogni<br />

cosa comunicare il proprio contenuto spirituale. E la parola “lingua”, in questa accezione, non è affatto<br />

una metafora[…]non possiamo rappresentarci in nessuna cosa una completa assenza <strong>di</strong> linguaggio. Un<br />

essere che fosse interamente senza rapporto con la lingua è un’idea; ma questa idea non si può rendere<br />

feconda neppure nell’ambito delle idee che definiscono, nella loro cerchia, quella <strong>di</strong> Dio.[…]ogni<br />

espressione, in quanto è una comunicazione <strong>di</strong> contenuti spirituali, è assegnata al linguaggio”. Sulla<br />

lingua in generale e sulla lingua dell’uomo in W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., pp.<br />

51-52.<br />

Circa la questione se l’essenza spirituale vada intesa in generale in termini linguistici, ed in merito<br />

all’equiparazione tra essere spirituale e essere linguistico, <strong>Benjamin</strong> afferma inoltre: “Non c’è un<br />

contenuto della lingua; <strong>come</strong> comunicazione la lingua comunica un essere spirituale, e cioè una<br />

comunicabilità pura e semplice.”Ibidem, p. 56.<br />

11<br />

“Che cosa comunica la lingua? Essa comunica l’essenza spirituale che le corrisponde. E’ fondamentale<br />

che questa essenza spirituale si comunica nella lingua, e non attraverso la lingua.[…]L’essere spirituale si<br />

comunica in e non attraverso una lingua – vale a <strong>di</strong>re che non è esteriormente identico all’essere<br />

linguistico.[…]<strong>La</strong> lingua comunica l’essere linguistico delle cose. Ma la sua manifestazione più chiara è la<br />

lingua stessa. <strong>La</strong> risposta alla questione: Che cosa comunica la lingua? è quin<strong>di</strong>: Ogni lingua comunica se<br />

stessa.” Ibidem, pp. 52-53 (corsivi nel testo).<br />

12<br />

“Proprio perché nulla si comunica attraverso la lingua, ciò che si comunica nella lingua non può essere<br />

delimitato o misurato dall’esterno, e perciò è propria <strong>di</strong> ogni lingua una incommensurabile e specifica<br />

infinità. <strong>La</strong> sua essenza linguistica, e non i suoi contenuti verbali, definiscono i suoi confini.” Ibidem, pp.<br />

53-54 (corsivo nel testo).<br />

13<br />

Se sono evidenti i presupposti ebraici della <strong>riflessione</strong> benjaminiana sul “nome”, merita sottolineare<br />

l’insistenza dell’Autore sulla capacità umana <strong>di</strong> nominare, sul nesso conoscenza-arte e, soprattutto, sul<br />

fatto che “l’uomo nomina per l’uomo”: “A chi si comunica l’uomo?[…]Ma qui la risposta suona: all’uomo.<br />

<strong>La</strong> verità <strong>di</strong> questa risposta si rivela nella conoscenza e forse anche nell’arte.”Ibidem, p. 54.<br />

Sulla comunicazione nei nomi e non attraverso i nomi: “[…]nel nome l’essere spirituale dell’uomo si<br />

comunica a Dio. Il nome ha, nel campo della lingua, unicamente questo significato e questa funzione<br />

incomparabilmente alta: <strong>di</strong> essere l’essenza più intima della lingua stessa. Il nome è ciò attraverso cui<br />

non si comunica più nulla e in cui la lingua stessa e assolutamente si comunica. Nel nome l’essenza<br />

spirituale che si comunica è la lingua.[…]L’estratto <strong>di</strong> questa totalità intensiva della lingua <strong>come</strong> essenza<br />

spirituale dell’uomo è il nome. L’uomo è colui che nomina, e da ciò ve<strong>di</strong>amo che parla da lui la pura<br />

lingua. Ogni natura, in quanto si comunica, si comunica nella lingua, e quin<strong>di</strong> in ultima istanza nell’uomo.<br />

Perciò egli è il signore della natura e può nominare le cose. Solo attraverso l’essenza linguistica delle<br />

cose egli perviene da se stesso alla loro conoscenza – nel nome.[…]Nella designazione dell’uomo <strong>come</strong><br />

“parlante”[…]molte lingue racchiudono in sé questa conoscenza metafisica.[…]<strong>La</strong> lingua – e in essa un<br />

essere spirituale – si esprime puramente solo quando parla nel nome, e cioè nella denominazione<br />

universale. Culmina così, nel nome, la totalità intensiva della lingua <strong>come</strong> dell’essere spirituale<br />

assolutamente comunicabile, e la totalità estensiva della lingua <strong>come</strong> dell’essere universalmente<br />

comunicante (denominante).[…]L’uomo solo ha la lingua perfetta in universalità e intensità.”” Ibidem, p.<br />

55.<br />

14<br />

Il compito del traduttore, in W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 37.<br />

15<br />

Ibidem, p. 39.<br />

16<br />

Ibidem, p. 40. Sulla traducibilità/intraducibilità <strong>di</strong> un’opera si veda anche ivi p. 38.<br />

7


GIOVANNI BOMBELLI 8<br />

<strong>di</strong>versamente dalla poesia, non si occupa <strong>di</strong> contenuti 17 poiché è un tentativo <strong>di</strong><br />

esprimere e rappresentare il rapporto segreto tra le lingue. 18 In tal senso la<br />

traduzione mira (<strong>come</strong> la comunicazione in senso lato) alla pura lingua 19 e la sua<br />

meta è la conciliazione tra le lingue, 20 la maturazione del seme della pura lingua. 21<br />

Anche la traduzione, <strong>come</strong> l’allegoria, è ambivalente e “pericolosa”: se da un lato<br />

essa può velare la lingua pura, 22 insistendo erroneamente sui concetti <strong>di</strong> fedeltà e<br />

libertà nell’opera <strong>di</strong> traduzione, 23 d’altro canto essa rinvia ad una lingua più grande,<br />

alla liberazione della pura lingua e del suo “senso”: alla lingua adamitica<br />

(Ursprache). 24 E’ un processo asintotico 25 che trova proprio nel testo sacro<br />

l’archetipo <strong>di</strong> ogni traduzione. 26<br />

Allora la lingua (e la traduzione), filosoficamente intesa, non è in grado <strong>di</strong><br />

conseguire tematicamente la “conoscenza”. In realtà il rapporto che esiste tra le<br />

cose e la lingua è un rapporto che si potrebbe definire magico (seguendo il<br />

“secondo” Wittgenstein: mistico). 27 In tal senso la lingua (<strong>come</strong> forse gli stessi<br />

concetti <strong>di</strong> destino-carattere-<strong>di</strong>ritto 28 ) è strettamente apparentata a quella che<br />

<strong>Benjamin</strong> chiama “facoltà mimetica”: 29 se quest’ultima nel suo sviluppo onto-<br />

filogenetico è andata indebolendosi, almeno rispetto all’epoca antica quando si<br />

17<br />

Ibidem, p. 44. <strong>La</strong> traduzione si pone a metà tra poesia e dottrina (ivi p. 45).<br />

18<br />

Ibidem, p. 40.<br />

19<br />

Ibidem, p. 42.<br />

20<br />

Ibidem, p. 45.<br />

21<br />

Ibidem, p. 45.<br />

22<br />

Ibidem, p. 49.<br />

23<br />

Ibidem, p. 46. <strong>La</strong> libertà nella traduzione non coglie ciò che rimane oscurato/nascosto (ivi p. 47).<br />

24<br />

Ibidem, pp. 46-48.<br />

25<br />

<strong>Benjamin</strong> utilizza l’immagine geometrica della tangente: ibidem, p. 48.<br />

26<br />

Ibidem, p. 50.<br />

27<br />

“Il me<strong>di</strong>ale, cioè l’imme<strong>di</strong>atezza <strong>di</strong> ogni comunicazione spirituale, è il problema fondamentale della<br />

teoria linguistica, e se si vuole chiamare magica questa imme<strong>di</strong>atezza, il problema originario della lingua<br />

è la sua magia.” Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo, cit., p. 53.<br />

Così pure: “E’ negato alle cose il puro principio formale linguistico: il suono. Esse possono comunicarsi<br />

fra loro me<strong>di</strong>ante una comunità più o meno materiale. Questa comunità è imme<strong>di</strong>ata e infinita <strong>come</strong><br />

quella <strong>di</strong> ogni comunicazione linguistica; ed è magica (poiché c’è anche una magia della materia).<br />

L’incomparabile del linguaggio umano è che la sua comunità magica con le cose è immateriale e<br />

puramente spirituale, e <strong>di</strong> ciò il suono è il simbolo. Questo fato simbolico è espresso dalla Bibbia col <strong>di</strong>re<br />

che Dio ha ispirato all’uomo il fiato: che è insieme vita e spirito e lingua.” Ibidem, p. 58.<br />

28<br />

Destino e carattere in W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., pp. 33-36.<br />

29<br />

“<strong>La</strong> natura produce somiglianze. Basta pensare al mimetismo animale. Ma la più alta capacità <strong>di</strong><br />

produrre somiglianze è propria dell’uomo.[…]Egli non possiede, forse, alcuna funzione superiore che non<br />

sia con<strong>di</strong>zionata in modo decisivo dalla facoltà mimetica.” Sulla facoltà mimetica, in W. BENJAMIN,<br />

Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 68. E’ una facoltà sviluppatasi sia sul piano ontogenetico che<br />

filogenetico (della quale alcuni esempi sono offerti dal gioco e dalla danza).


LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME “PENSIERO RIBELLE”.<br />

credeva ancora nelle corrispondenze magico-astrali, 30 la lingua è potenzialmente in<br />

grado <strong>di</strong> ricreare tale rapporto imme<strong>di</strong>ato (appunto magico) con la realtà. 31<br />

Ma in ultima analisi per <strong>Benjamin</strong> il significato più profondo della<br />

comunicazione (e della traduzione) si colloca nell’orizzonte teologico. E’ alla luce del<br />

nesso teologia-linguaggio, della loro comune ra<strong>di</strong>ce teologica, che viene garantita la<br />

“corrispondenza” cose-lingua. 32 In tal senso riveste un ruolo centrale la creazione:<br />

<strong>come</strong> quest’ultima, anche il linguaggio umano è in grado <strong>di</strong> “creare” poiché l’uomo<br />

nomina le cose (ritorna la tra<strong>di</strong>zione ebraica del Golem). 33 Ma vi è una profonda<br />

<strong>di</strong>fferenza tra la creazione <strong>di</strong>vina delle cose e la creazione dell’uomo da parte <strong>di</strong><br />

Dio: mentre infatti le prime vengono create da Dio attraverso il verbo, <strong>Benjamin</strong><br />

sottolinea <strong>come</strong> Dio crei l’uomo affidandogli il linguaggio. 34 Tuttavia la lingua umana,<br />

rispetto a quella <strong>di</strong>vina, è “decaduta”: il peccato originale è il punto <strong>di</strong> passaggio<br />

dalla lingua para<strong>di</strong>siaca-adamitica alla pluralità delle lingue, della per<strong>di</strong>ta della<br />

30 “Poiché è evidente che il mondo percettivo dell’uomo moderno non contiene più che scarsi relitti <strong>di</strong><br />

quelle corrispondenze e analogie magiche che erano familiari ai popoli antichi.” Ibidem, p. 69. Queste<br />

corrispondenze permettevano <strong>di</strong> cogliere la “somiglianza immateriale”.<br />

31 “In breve, è la somiglianza immateriale che fonda le tensioni non solo fra il detto e lo scritto.[…]<strong>La</strong><br />

scrittura è <strong>di</strong>venuta così, insieme alla lingua, un archivio <strong>di</strong> somiglianze non-sensibili, <strong>di</strong> corrispondenze<br />

immateriali.[…] “Leggere ciò che non è mai stato scritto”. Questa lettura è la più antica: quella anteriore<br />

a ogni lingua – dalle viscere, dalle stelle o dalle danze. Più tar<strong>di</strong> si affermarono anelli interme<strong>di</strong> <strong>di</strong> una<br />

nuova lettura, rune e geroglifici. E’ logico supporre che furono queste le fasi attraverso le quali quella<br />

facoltà mimetica che era stata il fondamento della prassi occulta fece il suo ingresso nella scrittura e<br />

nella lingua. Così la lingua sarebbe lo sta<strong>di</strong>o supremo del comportamento mimetico e il più perfetto<br />

archivio <strong>di</strong> somiglianze immateriali: un mezzo in cui emigrarono senza residui le più antiche forze <strong>di</strong><br />

produzione e ricezione mimetica, fino a liquidare quelle della magia.” Ibidem, pp. 70-71.<br />

32 “<strong>La</strong> traduzione della lingua delle cose in quella degli uomini non è solo traduzione del muto nel sonoro,<br />

è la traduzione <strong>di</strong> ciò che non ha nome nel nome. E’ quin<strong>di</strong> la traduzione da una lingua imperfetta in una<br />

lingua più perfetta[…]. Ma l’oggettività <strong>di</strong> questa traduzione è garantita in Dio.” Sulla lingua in generale e<br />

sulla lingua dell’uomo, cit., pp. 61-62.<br />

33 Parola <strong>di</strong>vina e parola umana si incontrano maggiormente nel nome proprio (nome umano): “[…]il<br />

nome proprio è la comunità dell’uomo con la parola creatrice <strong>di</strong> Dio.[…]Me<strong>di</strong>ante la parola l’uomo è unito<br />

con la lingua delle cose. <strong>La</strong> parola umana è il nome delle cose.” Ibidem, pp. 60-61. Da qui la critica sia<br />

alla concezione borghese del linguaggio che alla teoria mistica del medesimo.<br />

34 “Dio non ha creato l’uomo dal verbo, e non l’ha nominato. Egli non ha voluto sottoporlo alla lingua, ma<br />

nell’uomo Dio ha lasciato uscire la lingua, che gli era servita <strong>come</strong> me<strong>di</strong>o della creazione, liberamente da<br />

sé.[…]L’uomo è il conoscente della stessa lingua in cui Dio è creatore. Dio lo ha creato a propria<br />

immagine, ha creato il conoscente a immagine del creatore.[…].Il suo essere spirituale è la lingua in cui<br />

è avvenuta la creazione. <strong>La</strong> creazione è avvenuta nel verbo, e l’essenza linguistica <strong>di</strong> Dio è il verbo. Ogni<br />

lingua umana è solo riflesso del verbo nel nome. Il nome eguaglia così poco il verbo <strong>come</strong> la conoscenza<br />

la creazione. L’infinità <strong>di</strong> ogni lingua umana rimane sempre <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne limitato e analitico in confronto<br />

all’infinità assoluta, illimitata e creatrice, del verbo <strong>di</strong>vino.” Ibidem, pp. 59-60.<br />

Relativamente a questo profilo della concezione benjaminiana <strong>di</strong> “lingua” (e con riferimento esplicito al<br />

testo Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo): “[…]la sua concezione della lingua è […]misticospeculativa,<br />

giacché egli trova (partendo da un’esegesi del testo biblico) assegnato originariamente alla<br />

lingua umana il compito <strong>di</strong> esprimere il nome essenziale della cosa quale è custo<strong>di</strong>to nel segreto (non<br />

linguisticamente <strong>di</strong>spiegato) della parola creatrice <strong>di</strong> Dio. Il saggio è dunque carico <strong>di</strong> implicazioni (e<br />

presupposizioni) teologiche che però rimangono in buona parte “esoteriche”.” G. CUNICO, <strong>Benjamin</strong>:<br />

arresto messianico e salvazione del passato, cit., p. 144 (ivi si fa riferimento anche a una lettera del<br />

1916 a Martin Buber nella quale emerge che per <strong>Benjamin</strong> “[…]la lingua, irriducibile a mezzo <strong>di</strong><br />

comunicazione, ha un effetto “magico”, imme<strong>di</strong>ato, scaturente dal “mistero” della parola in quanto<br />

originaria relazione col <strong>di</strong>vino[…]”. Ibidem, p. 145).<br />

9


GIOVANNI BOMBELLI 10<br />

lingua originaria e della conoscenza imme<strong>di</strong>ata (che vivevano nella magia buona) e<br />

dell’inizio della <strong>di</strong>spersione dei linguaggi (passaggio alla magia cattiva). 35 Vi è una<br />

tangenza tra filosofia del linguaggio e religione (o tra lingua e storia): la rivelazione.<br />

Così <strong>come</strong> il “senso” del teologico, anche lo “spirituale” della lingua non è oggetto <strong>di</strong><br />

conoscenza ma potrà soltanto rivelarsi (ve<strong>di</strong> § conclusivo). 36<br />

Sintetizzando: a proposito della conoscenza, la <strong>riflessione</strong> sulla lingua<br />

conferma quanto già elaborato a partire dall’allegoria. Se per <strong>Benjamin</strong> esiste<br />

ultimativamente la (una) “verità”, è pur vero che le nostre strutture categoriali<br />

(storia, lingua, ecc.) sono in grado <strong>di</strong> avvicinarsi ad essa solo asintoticamente. <strong>La</strong><br />

“ribellione del <strong>pensiero</strong>” si situa così tra due elementi: da un lato la consapevolezza<br />

che nessuna lettura del dato è definitiva crea lo spazio critico per una possibile<br />

“ribellione del <strong>pensiero</strong>”; dall’altro, proprio questa consapevolezza avverte della<br />

costitutiva precarietà <strong>di</strong> ogni approdo conoscitivo, anche <strong>di</strong> quello “<strong>ribelle</strong>”. Da qui<br />

origina la fatica del “pensare” la ribellione.<br />

5. (Tra filosofia, politica e <strong>di</strong>ritto) “Metafisica”, filosofia della storia, e <strong>di</strong>ritto:<br />

ribellione del <strong>pensiero</strong> e “<strong>pensiero</strong>”della ribellione.<br />

35 “[…]tante traduzioni, tante lingue, non appena l’uomo sia caduto dallo stato para<strong>di</strong>siaco che<br />

conosceva una lingua sola.[…]<strong>La</strong> lingua para<strong>di</strong>siaca dell’uomo non può non essere perfettamente<br />

conoscente; mentre più tar<strong>di</strong> ogni conoscenza torna a <strong>di</strong>fferenziarsi, a uno sta<strong>di</strong>o inferiore, <strong>come</strong><br />

creazione nel nome.[…]il peccato originale è l’atto <strong>di</strong> nascita della parola umana, in cui il nome non vive<br />

più intatto, che è uscita fuori dalla lingua nominale, conoscente, quasi si potrebbe <strong>di</strong>re: dalla propria<br />

magia immanente, per <strong>di</strong>ventare espressamente magica, per così <strong>di</strong>re dall’esterno. <strong>La</strong> parola deve<br />

comunicare qualcosa (fuori <strong>di</strong> se stessa). Ecco il vero peccato originale dello spirito linguistico.” Sulla<br />

lingua in generale e sulla lingua dell’uomo, cit., p. 63 (corsivo nel testo).<br />

Dal peccato originale nasce la parola giu<strong>di</strong>cante che conosce imme<strong>di</strong>atamente il bene e il male (però con<br />

una magia <strong>di</strong>versa da quella del nome). Ma il peccato originale produce tre effetti: rende la lingua un<br />

mezzo, un segno, provocando la pluralità delle lingue; nasce una cattiva magia (“non più beata in se<br />

stessa”); rappresenta “l’origine dell’astrazione <strong>come</strong> facoltà dello spirito linguistico”. In altri termini:<br />

“Questa imme<strong>di</strong>atezza nella comunicazione dell’astrazione ha preso la forma del giu<strong>di</strong>zio, quando l’uomo<br />

abbandonò, nella caduta, l’imme<strong>di</strong>atezza nella comunicazione del concreto, il nome, e cadde nell’abisso<br />

della me<strong>di</strong>atezza <strong>di</strong> ogni comunicazione, della parola <strong>come</strong> mezzo, della parola vana – nell’abisso della<br />

ciarla.” Ibidem, pp. 63-64: da qui anche la confusione simboleggiata dalla torre <strong>di</strong> Babele.<br />

Sempre in questa linea <strong>Benjamin</strong> precisa che “Dio nomina e l’uomo iperdenomina”: “Le cose non hanno<br />

nomi propri fuori che in Dio. Poiché Dio le ha bensì evocate nel verbo creatore coi loro nomi propri. Ma<br />

nella lingua degli uomini esse sono iperdenominate.[…]L’iperdenominazione <strong>come</strong> essenza linguistica<br />

della tristezza rinvia a un altro aspetto notevole della lingua: alla sopra o eccessiva determinatezza che<br />

vige nel tragico rapporto fra le lingue degli uomini parlanti.” Ibidem,p. 66.<br />

Sul rapporto lingua-segno: “[…]il rapporto fra lingua e segno (<strong>di</strong> cui quello fra lingua umana e scrittura<br />

costituisce solo un esempio particolarissimo) è originario e fondamentale.” Ibidem, pp. 66-67.<br />

36 “Il supremo campo spirituale della religione è (nel concetto <strong>di</strong> rivelazione) anche il solo che non<br />

conosce l’inesprimibile.[…]solo l’essere spirituale supremo, <strong>come</strong> appare nella religione, poggia<br />

puramente sull’uomo e sulla lingua in lui, mentre ogni arte, non esclusa la poesia, non si fonda<br />

sull’ultima quintessenza dello spirito linguistico, ma sullo spirito linguistico delle cose, anche se nella sua<br />

perfetta bellezza.” Ibidem, pp. 57-58.


LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME “PENSIERO RIBELLE”.<br />

E’ dall’intreccio delle molteplici e sparse riflessioni afferenti ai temi della<br />

filosofia della storia, alla “metafisica” e al <strong>di</strong>ritto che si può cercare <strong>di</strong> focalizzare<br />

(per quanto possibile) alcuni passaggi teoretici relativi al seguente punto critico:<br />

<strong>come</strong> si configura il passaggio dalla ribellione del <strong>pensiero</strong> al “pensare” la ribellione?<br />

In altri termini: si può “pensare” la ribellione, può essere pianificata e compresa in<br />

ogni suo significato? O meglio: ogni atto o promessa <strong>di</strong> ribellione è perfettamente<br />

trasparente (per chi lo/la compie, per chi ne subisce gli effetti, ecc.)?<br />

Se il <strong>pensiero</strong> in sé è, per <strong>Benjamin</strong>, critica (quin<strong>di</strong> “<strong>ribelle</strong>”), cioè è in grado<br />

<strong>di</strong> fondare ed animare la ribellione <strong>come</strong> critica, si tratta <strong>di</strong> passare dalla “ribellione<br />

del <strong>pensiero</strong>” alla fatica del “pensare” la ribellione, cioè al tentativo <strong>di</strong> “costruire”<br />

modelli storicamente fruibili (ove siano possibili) <strong>di</strong> articolazione della ribellione<br />

liberante.<br />

Le premesse gnoseologico-metafisiche permettono a <strong>Benjamin</strong> non solo <strong>di</strong><br />

formulare, com’è noto, una forte critica al materialismo storico, ma altresì <strong>di</strong><br />

prendere posizione contro l’anarchia e l’avanguar<strong>di</strong>a (politica o artistica, anche nella<br />

sua versione irrazionale o irrazionalistica: per l’analisi del rapporto <strong>Benjamin</strong>-<br />

marxismo-opera d’arte rimando ancora al saggio <strong>di</strong> Andronico).<br />

Nasce il problema della “me<strong>di</strong>azione” e, connessa ad essa, della “tra<strong>di</strong>zione”.<br />

<strong>La</strong> figura della “me<strong>di</strong>azione” appare a <strong>Benjamin</strong> fortemente problematica (se non<br />

sostanzialmente negativa: si veda quanto afferma a proposito della me<strong>di</strong>azione<br />

linguistica), così <strong>come</strong> l’“istituzione” (o il processo istituzionalizzante in quanto tale:<br />

si veda la nozione nel complesso negativa <strong>di</strong> “<strong>di</strong>ritto” 37 ). Ma allo stesso tempo<br />

37 “L’albero della conoscenza non era nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Dio per le informazioni che avrebbe potuto dare sul<br />

bene e sul male, ma <strong>come</strong> emblema del giu<strong>di</strong>zio sull’interrogante.” Ibidem, p. 64. Sempre a proposito<br />

del <strong>di</strong>ritto, nello scritto Destino e carattere <strong>Benjamin</strong> afferma: “Le leggi del destino, infelicità e colpa,<br />

sono poste dal <strong>di</strong>ritto a criteri della persona; poiché sarebbe falso supporre che solo la colpa si ritrovi nel<br />

quadro del <strong>di</strong>ritto; si può <strong>di</strong>mostrare invece che ogni colpa giuri<strong>di</strong>ca non è altro che una <strong>di</strong>sgrazia. Per un<br />

errore, in quanto è stato confuso col regno della giustizia, l’or<strong>di</strong>ne del <strong>di</strong>ritto, che è solo un residuo dello<br />

sta<strong>di</strong>o demonico <strong>di</strong> esistenza degli uomini, in cui statuti giuri<strong>di</strong>ci non regolarono solo le loro relazioni, ma<br />

anche il loro rapporto con gli dei, si è conservato oltre l’epoca che ha inaugurato la vittoria sui demoni.<br />

Non è col <strong>di</strong>ritto, ma nella trage<strong>di</strong>a, che il capo del genio si è sollevato per la prima volta dalla nebbia<br />

della colpa, poiché nella trage<strong>di</strong>a il destino demonico è infranto.” Destino e carattere, in W. BENJAMIN,<br />

Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 32. Ma sul concetto benjaminiano <strong>di</strong> “<strong>di</strong>ritto”, ed il suo<br />

<strong>di</strong>alettico rapporto con la violenza, rimando al notissimo saggio Per la critica della violenza ricompreso<br />

nel testo appena citato alle pp. 5-28, riguardo al quale è stato rilevato (anche in rapporto alla violenza<br />

rivoluzionaria): “Secondo <strong>Benjamin</strong> l’unica violenza legittima non è quella dello stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto, perché il<br />

<strong>di</strong>ritto è violenza strumentale, legittimabile in ultima analisi solo in modo “mitico”, risalendo alla<br />

“violenza del destino”; legittima è solo la “violenza <strong>di</strong>vina”, che è insieme imme<strong>di</strong>ata e pura, perché<br />

coincide con la giustizia <strong>di</strong> Dio.[…]Si tratta <strong>di</strong> “interrompere il ciclo” della violenza giuri<strong>di</strong>ca, oscillante tra<br />

le due funzioni <strong>di</strong> “posizione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto” e <strong>di</strong> “conservazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto”, cioè <strong>di</strong> “de-porre il <strong>di</strong>ritto” insieme<br />

alla “violenza dello stato” e <strong>di</strong> introdurre così “una nuova epoca storica”. Questa interruzione è opera<br />

della “violenza rivoluzionaria”, che è “la suprema manifestazione della violenza pura da parte dell’uomo”.<br />

G. CUNICO, <strong>Benjamin</strong>: arresto messianico e salvazione del passato, cit., pp. 149-150.<br />

11


GIOVANNI BOMBELLI 12<br />

anche il concetto <strong>di</strong> “tra<strong>di</strong>zione”, <strong>come</strong> articolazione storicamente strutturata delle<br />

me<strong>di</strong>azioni e luogo del potenziale occultamento dei “vinti”, appare a <strong>Benjamin</strong><br />

alquanto <strong>di</strong>scutibile: 38 essa non va assunta passivamente ma, in qualche modo,<br />

criticamente rinnovata.<br />

Ne consegue che il <strong>pensiero</strong> <strong>ribelle</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, almeno prima facie, è (o<br />

appare) muto sotto il profilo politico in quanto non approda ad alcuna proposta<br />

<strong>di</strong>rettamente sperimentabile sul piano storico: esso riveste, piuttosto, una carica<br />

profetica e utopica. Anche la rivoluzione non rappresenta in sé la liberazione, ma è<br />

soltanto una modalità storica <strong>di</strong> “liberazione” (<strong>di</strong> ribellione), poiché si devono<br />

valutare le con<strong>di</strong>zioni nelle quali essa matura. In tal senso è interessante, e quasi<br />

preveggente, la complessa posizione assunta da <strong>Benjamin</strong> a proposito della<br />

“massa”: a suo avviso quest’ultima ha progressivamente assunto un ruolo<br />

paradossale. Da un lato la “massa” rappresenta una con<strong>di</strong>zione storica della<br />

“ribellione”, <strong>come</strong> apertura ad opportunità sociali da tutti fruibili; ma, al contempo,<br />

si è rivelata (e si sta rivelando) <strong>come</strong> la tragica possibilità del “perdersi” dei ribelli:<br />

38 Sulla tra<strong>di</strong>zione e il passato (contra la ricostruzione della storia scientifica tedesca), da rileggere in<br />

chiave “<strong>ribelle</strong>”, <strong>Benjamin</strong> osserva: “[…]il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tra<strong>di</strong>zione quanto<br />

coloro che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: <strong>di</strong> ridursi a strumento della classe dominante. In<br />

ogni epoca bisogna cercare <strong>di</strong> strappare la tra<strong>di</strong>zione al conformismo che è in procinto <strong>di</strong> sopraffarla. Il<br />

Messia non viene solo <strong>come</strong> redentore, ma <strong>come</strong> vincitore dell’Anticristo. Solo quello storico ha il dono <strong>di</strong><br />

accendere nel passato la favilla della speranza, che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno<br />

al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso <strong>di</strong> vincere.” Tesi <strong>di</strong> filosofia della<br />

storia, n. 17 in W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., pp. 74-75 (corsivi nel testo).<br />

Ma sulla storia <strong>come</strong> storia dei vincitori (il “patrimonio culturale” non è che l’ere<strong>di</strong>tà del passato, nella<br />

quale il vinto viene cancellato), si veda anche ibidem pp. 75-76. In altri termini: “Per <strong>Benjamin</strong> la<br />

tra<strong>di</strong>zione è <strong>di</strong>scontinuità[…]. E’ soltanto attraverso il recupero <strong>di</strong>scontinuo <strong>di</strong> ciò che è stato che è<br />

determinabile il presente, in una sorta <strong>di</strong> isteresi temporale che richiede una “rivoluzione copernicana”,<br />

un “risveglio” dell’intuizione storica. Nella prospettiva <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, occorre dunque destarsi e ricordare il<br />

senso storico del passato, perché esso possa infrangere l’oblio e <strong>di</strong>sgelare infine la sua forma a lungo<br />

infigurata; perché possa erompere negli sconosciuti colori della sua chiarezza.” G. BOFFI, Allegoria e<br />

simbolo in <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong>, cit., p. 346 (corsivi nel testo).<br />

In generale sulla rilevanza e la natura delle Tesi (<strong>come</strong> intreccio <strong>di</strong> tre livelli <strong>di</strong> analisi: storiografico,<br />

politico e teologico): “Uno dei documenti più importanti del messianismo filosofico del Novecento è la<br />

breve sequenza <strong>di</strong> tesi Über den Begriff der Geschichte scritte da <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong> nel 1939/1940, e<br />

pubblicate solo dopo la sua morte nel 1942.[…]I testi presentano e <strong>di</strong>scutono il problema del tempo<br />

storico muovendosi alternativamente o contemporaneamente in tre <strong>di</strong>mensioni fondamentali: quella<br />

storiografica del materialismo storico, quella politica della lotta <strong>di</strong> classe rivoluzionaria e quella teologica<br />

della redenzione messianica. <strong>La</strong> <strong>di</strong>mensione teologica è introdotta “allegoricamente” <strong>come</strong> guida segreta<br />

delle altre due <strong>di</strong>mensioni fin dalla prima tesi. Il motivo è preciso: il compito dello storico <strong>come</strong> quello<br />

del movimento rivoluzionario è, analogamente al compito del Messia, quello <strong>di</strong> salvare il passato<br />

(determinati momenti del passato correlati al presente, e attraverso questi tutto l’accadere temporale).<br />

<strong>La</strong> redenzione messianica è così il filo conduttore per la giusta concezione del lavoro storico e della prassi<br />

rivoluzionaria. E questo proprio in forza della <strong>di</strong>scontinuità che essa deve portare con sé.” G. CUNICO,<br />

<strong>Benjamin</strong>: arresto messianico e salvazione del passato, cit., pp. 165-166.


LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME “PENSIERO RIBELLE”.<br />

egli sembra intuire, cioè, che la società <strong>di</strong> massa rappresenta un’occasione<br />

perduta. 39<br />

Non è possibile, quin<strong>di</strong>, “pensare” ra<strong>di</strong>calmente la ribellione: sia a livello<br />

categoriale che sul piano “contenutistico”. Sotto il primo profilo sembra rivivere in<br />

<strong>Benjamin</strong> il paradosso niciano (una critica al “passato” e al “dato” storico che<br />

presuppone metodologicamente la fiducia, l’accettazione e l’utilizzo delle stesse<br />

categorie logiche criticate). Sotto il secondo profilo la critica al “simbolo” (<strong>come</strong><br />

sintesi <strong>di</strong> conoscenza strutturata) deve aprire, attraverso il gioco dell’allegoria, al<br />

tertium, all’inaspettato. Se è vero, infatti, che in <strong>Benjamin</strong> rimane al fondo l’idea<br />

che una “verità” vi sia (nella storia, nella lingua, ecc.), quest’ultima non può darsi<br />

secondo moduli classici: l’idea <strong>di</strong> rivoluzione appartiene alla “modernità” e non al<br />

contesto classico (in tal senso mi sembra para<strong>di</strong>gmatica la posizione <strong>di</strong> Aristotele).<br />

<strong>La</strong> figura della ribellione (<strong>di</strong> cui la rivoluzione è un’articolazione) rimane rimessa alla<br />

<strong>di</strong>namica ed all’invenzione storica (del resto quanto è “<strong>ribelle</strong>” in una data epoca<br />

potrebbe <strong>di</strong>ventare o rivelarsi successivamente “conservatore”: ad esempio il<br />

cristianesimo). Anzi, forse la “ribellione” non si dà mai compiutamente nella storia:<br />

forse non è possibile “pensare” la ribellione rimanendo all’interno della storia.<br />

6. Rivoluzione, redenzione, rivelazione. Dialettica benjaminiana tra ribellione del<br />

<strong>pensiero</strong> e l’ (im)-possibilità-enigmaticità del “pensare” la ribellione.<br />

<strong>La</strong> tensione teoretica che connota la <strong>riflessione</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> è scan<strong>di</strong>ta, in<br />

qualche modo, da tre nuclei <strong>di</strong>aletticamente connessi: rivoluzione, redenzione,<br />

rivelazione. Tale impostazione riposa su un’ipotesi interpretativa del <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Benjamin</strong> (accennata all’inizio del presente lavoro) in termini <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettica tra<br />

“ribellione del <strong>pensiero</strong>-<strong>pensiero</strong> della ribellione” che, forse, permette <strong>di</strong> sfuggire a<br />

letture eccessivamente immanentistiche (o viceversa mistico-esoteriche) che sono<br />

state esperite della <strong>riflessione</strong> benjaminiana.<br />

Relativamente al primo nucleo (rivoluzione) vi è un tratto comune nel<br />

<strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>: l’ulteriorità del dato. In questo consiste teoreticamente il<br />

carattere più proprio del “<strong>pensiero</strong> <strong>ribelle</strong>”, della capacità eversiva del <strong>pensiero</strong>.<br />

Ogni forma <strong>di</strong> “conoscere” (lingua, tra<strong>di</strong>zione, storia, ecc.) non esaurisce il dato e<br />

39 In tal senso <strong>Benjamin</strong> polemizza con la visione materialistica della storia in quanto centrata su concetti<br />

quali “progresso”, “massa”, “controllo totale (inquadramento)”: Tesi <strong>di</strong> filosofia della storia, n. 10 in W.<br />

BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 77.<br />

13


GIOVANNI BOMBELLI 14<br />

quin<strong>di</strong> non legittima alcuna presa <strong>di</strong> possesso sulla verità (quin<strong>di</strong> anche la norma, o<br />

il <strong>di</strong>ritto, sembrano configurarsi <strong>come</strong> indebite prese <strong>di</strong> possesso del verum): la<br />

rivoluzione si configura concettualmente, <strong>come</strong> in parte già accennato, appunto<br />

<strong>come</strong> una modalità storica <strong>di</strong> superamento del dato. In tal senso <strong>Benjamin</strong>, pur<br />

riconoscendo il carattere ra<strong>di</strong>calmente innovativo che ogni rivoluzione reclama per<br />

se stessa, 40 si allontana sia dall’assolutizzazione marxiana del momento<br />

rivoluzionario che dall’identificazione della classe <strong>come</strong> interprete univoca della<br />

<strong>di</strong>namica storica. 41<br />

Ma il percorso della rivoluzione, pur rimanendo autonomo, si incrocia<br />

<strong>di</strong>aletticamente con quello della redenzione: la rivoluzione è “necessaria”, ma non<br />

può che compiersi nell’eschaton della redenzione. Detto in altri termini: se la prima<br />

vuole cercare <strong>di</strong> attingere il suo senso deve altrettanto necessariamente rimandare<br />

alla seconda: qui si pone la cesura <strong>di</strong> quello che <strong>Benjamin</strong> chiama il “tempo-ora”<br />

(Jetz-Zeit), allegoria del tempo messianico. Esso consiste nella capacità <strong>di</strong> contrarre<br />

nel tempo storico (nell’“immagine” 42 o kairós) il circuito <strong>di</strong> significato che percorre il<br />

nesso ‘tra<strong>di</strong>zione-rivoluzione-futuro’ (redenzione), <strong>di</strong> saldare <strong>di</strong>aletticamente<br />

(attraverso la “memoria”) 43 l’“origine con la meta”. 44 Al contempo esso,<br />

40 Sulla rivoluzione <strong>come</strong> nuova origine, <strong>come</strong> novum e rottura del continuum storico, <strong>Benjamin</strong> afferma:<br />

“<strong>La</strong> coscienza <strong>di</strong> far saltare il continuum della storia è propria delle classi rivoluzionarie nell’attimo della<br />

loro azione. Il giorno in cui ha inizio un calendario funge da acceleratore storico.” Tesi <strong>di</strong> filosofia della<br />

storia n. 15, in W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 80.<br />

41 Nella tesi n. 12 il filosofo tedesco sottolinea <strong>come</strong> la nozione <strong>di</strong> classe <strong>di</strong>venti, nel materialismo storico,<br />

il soggetto della conoscenza storica in quanto soggetto liberante: ma è un soggetto che guarda al<br />

passato, non ai “liberi nipoti”: ibidem, p. 79. Sul concetto benjaminiano <strong>di</strong> “rivoluzione” (con riferimento<br />

al saggio Per la critica della violenza del 1921) Gerardo Cunico rileva opportunamente: “[Il saggio] mette<br />

in chiaro l’orientamento rivoluzionario <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> <strong>come</strong> fondamentalmente antigiuri<strong>di</strong>co, antistatalistico,<br />

antirazionalistico, anarchico e religioso insieme.” G. CUNICO, <strong>Benjamin</strong>: arresto messianico e salvazione<br />

del passato, cit., p. 149.<br />

42 Sul rapporto tra passato e “immagine” nella tesi n. 5 si afferma: “<strong>La</strong> vera immagine del passato passa<br />

<strong>di</strong> sfuggita. Solo nell’immagine che balena una volta per tutte nell’attimo della sua conoscibilità, si lascia<br />

fissare il passato.” W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 74.<br />

43 Sul nesso tra il “tempo-ora” e la “memoria” (intesa <strong>come</strong> esercizio attivo, Eingedenken): “L’atto della<br />

redenzione richiede l’attivazione della memoria, ma questa attivazione sarebbe impossibile senza la<br />

situazione attuale che richiede a sua volta la redenzione. Nel “tempo-ora” dell’avvento del Messia,<br />

memoria e redenzione si compiono simultaneamente, anzi in buona parte[…]coincidono.” G. CUNICO,<br />

<strong>Benjamin</strong>: arresto messianico e salvazione del passato, cit., p. 169.<br />

44 Nella tesi n. 18 si sottolinea <strong>come</strong> il “tempo-ora” riassuma, in forma abbreviata, la storia dell’umanità<br />

(occorre quin<strong>di</strong> superare lo storicismo, che interpreta i fatti <strong>come</strong> cause, e aprirsi al concetto del<br />

presente <strong>come</strong> “tempo-ora”): W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., pp. 82-83. Ma su<br />

questo si può vedere anche la tesi n. 14, nella quale <strong>Benjamin</strong> afferma che la storia risponde al “tempoora”,<br />

che viene esemplificato attraverso il concetto <strong>di</strong> “moda”: “<strong>La</strong> moda ha il senso dell’attuale,<br />

dovunque esso viva nella selva del passato. Essa è un balzo <strong>di</strong> tigre nel passato.” Per Marx, sottolinea<br />

<strong>Benjamin</strong>, tale tigre è la rivoluzione. Ibidem, p. 80.<br />

Contrasta con questa prospettiva la visione storicista e materialista del tempo, nelle quali (soprattutto<br />

nella seconda) il presente viene inteso <strong>come</strong> mero passaggio (tesi n. 16): “Al concetto <strong>di</strong> un presente<br />

che non è passaggio, ma in bilico nel tempo ed immobile, il materialista storico non può rinunciare.<br />

Poiché questo concetto definisce appunto il presente in cui egli per suo conto scrive storia. Lo storicismo<br />

postula un’immagine “eterna” del passato, il materialista storico un’esperienza unica con esso. Egli lascia


LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME “PENSIERO RIBELLE”.<br />

configurandosi <strong>come</strong> “<strong>di</strong>scontinuità” e “arresto” (Stillgegung) che scar<strong>di</strong>na il<br />

presente e apre ai “possibili storici”, origina una tensione ineliminabile tra<br />

<strong>di</strong>mensione messianica e accadere storico e, al contempo, lascia impregiu<strong>di</strong>cato il<br />

“contenuto” (meramente ven<strong>di</strong>cativo o soteriologico) della redenzione. 45<br />

Da queste premesse acquistano senso due corollari: la denuncia<br />

dell’ideologia e l’apertura all’esoterismo. 46 <strong>La</strong> prima, che rappresenta un pericolo<br />

strisciante, ha l’indebita pretesa <strong>di</strong> fornire una lettura definitiva ed univoca della<br />

storia irrigidendola in significati costituiti e strutturati; 47 il secondo propone percorsi<br />

che altri sprechino le proprie forze con la meretrice “C’era una volta” nel bordello dello storicismo. Egli<br />

rimane signore delle sue forze: uomo abbastanza per far saltare il continuum della storia.” Ibidem, p.<br />

81.<br />

Sulla complessa nozione benjaminiana <strong>di</strong> Jetz-Zeit scrive Jurgen Habermas: “Non è facile classificare la<br />

coscienza del tempo che si esprime nelle Tesi <strong>di</strong> filosofia della storia <strong>di</strong> <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong>. Innegabilmente<br />

nel concetto del ‘tempo-ora’ entrano in un singolare collegamento esperienze surrealistiche e motivi della<br />

mistica ebraica. Quella idea che l’istante autentico <strong>di</strong> un presente innovativo interrompe il continuum<br />

della storia, ed evade dal suo decorso omogeneo, si alimenta ad entrambe le fonti.[…]L’attesa della<br />

novità futura si avvera unicamente con la rimemorazione <strong>di</strong> un passato represso. Il segno <strong>di</strong> un arresto<br />

messianico degli eventi <strong>Benjamin</strong> lo concepisce <strong>come</strong> “chance rivoluzionaria nella lotta per il passato<br />

represso” (Tesi 17). J. HABERMAS, Il <strong>di</strong>scorso filosofico della modernità, <strong>La</strong>terza, Roma-Bari 1987<br />

(Frankfurt, 1985), p. 12 (in una sezione intitolata Excursus sulle “Tesi <strong>di</strong> filosofia della storia” <strong>di</strong> <strong>Walter</strong><br />

<strong>Benjamin</strong>: va notata la menzione dell’influenza della componente ebraica nell’elaborazione<br />

benjaminiana). Così pure sulla concezione storicistico-materialistica del tempo: “<strong>La</strong> polemica <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong><br />

contro l’appiattimento socio-evolutivo della concezione materialistica della storia si rivolge<br />

contro[la]degenerazione della coscienza moderna del tempo, aperta al futuro. Là dove il progresso si<br />

coagula in norma storica, viene eliminata, dal riferimento del presente al futuro, la qualità del nuovo,<br />

l’accentuazione dell’inizio impreve<strong>di</strong>bile. Sotto questo aspetto lo storicismo è per <strong>Benjamin</strong> soltanto un<br />

equivalente funzionale della filosofia della storia.” Ibidem, p. 13.<br />

45 “Nelle tesi Sul concetto <strong>di</strong> storia <strong>Benjamin</strong> impiega il concetto del tempo messianico proprio per dare il<br />

massimo rilievo all’aspetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scontinuità legato al momento della salvazione o redenzione.” G.<br />

CUNICO, <strong>Benjamin</strong>: arresto messianico e salvazione del passato, cit., p. 165 (secondo una <strong>di</strong>alettica tra<br />

“<strong>di</strong>mensione messianica” e “accadere storico” già emergente nel Frammento teologico-politico del 1920-<br />

1921: “Egli qui si preoccupa non solo <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re la separazione tra il messianico e l’accadere<br />

storico, ma anche <strong>di</strong> precisare la relazione innegabile tra i due “campi <strong>di</strong> forza”.” Ibidem, p. 146).<br />

Sulla redenzione messianica <strong>come</strong> “arresto (Stillegung)”, che è al contempo “scar<strong>di</strong>namento<br />

(Aufsprengung)” e “limes del progresso”, così <strong>come</strong> sulla redenzione ambiguamente posta tra vendetta e<br />

salvezza: “[<strong>La</strong>] <strong>di</strong>scontinuità del tempo della redenzione messianica è presentata soprattutto (e<br />

programmaticamente) <strong>come</strong> “arresto (Stillegung) messianico dell’accadere [….], ossia da un lato <strong>come</strong><br />

“scar<strong>di</strong>namento” (Aufsprengung) del corso storico[…], che storicisticamente viene inteso <strong>come</strong><br />

“procedere in un tempo omogeneo e vuoto”[…], ma che effettivamente è il continuum dell’oppressione<br />

[…]e della catastrofe; dall’altro <strong>come</strong> “limes del progresso”[…].Si potrebbe ad<strong>di</strong>rittura quasi essere<br />

tentati <strong>di</strong> vedere [nella vendetta]il nocciolo del concetto <strong>di</strong> redenzione in <strong>Benjamin</strong>, tanta è l’enfasi che<br />

egli pone nella tesi XII sulla “immagine degli antenati asserviti”, contrapposta all’ “ideale dei <strong>di</strong>scendenti<br />

liberati”, se non fosse che[…]in altri brani egli affianca, <strong>di</strong>stinguendole così esplicitamente, alla funzione<br />

ven<strong>di</strong>catrice una funzione redentrice[…], ossia un compito analogo al compito <strong>di</strong> “salvazione” esercitato<br />

dallo storico nei confronti del passato.” Ibidem, pp. 166-170.<br />

46 In questa sede non si intende entrare nel merito né della complessa questione dell’influenza<br />

dell’ebraismo sul <strong>pensiero</strong> benjaminiano (che appare comunque evidente) né, tantomeno, della rilevanza<br />

della componente mistico-esoterica interna alla medesima tra<strong>di</strong>zione ebraica ai quali, comunque, si è<br />

fatto riferimento precedentemente.<br />

47 In particolare <strong>Benjamin</strong> polemizza con i concetti <strong>di</strong> “progresso”, “storia” e “lavoro” . Riguardo al primo<br />

critica sia lo storicismo che il materialismo accusandoli, rispettivamente, <strong>di</strong> compiere un “processo<br />

ad<strong>di</strong>tivo dei fatti nella storia” e <strong>di</strong> postulare un “principio costruttivo” (tesi n. 17): “Lo storicismo culmina<br />

in linea <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto nella “storia universale” (Universalgeschichte). Da cui la storiografia materialistica si<br />

<strong>di</strong>fferenzia – dal punto <strong>di</strong> vista meto<strong>di</strong>co – forse più nettamente che da ogni altra. <strong>La</strong> prima non ha<br />

un’armatura teoretica. Il suo proce<strong>di</strong>mento è quello dell’ad<strong>di</strong>zione; essa fornisce una massa <strong>di</strong> fatti per<br />

riempire il tempo omogeneo e vuoto. Alla base della storiografia materialistica è invece un principio<br />

15


GIOVANNI BOMBELLI 16<br />

ulteriori <strong>di</strong> senso che, pur eccentrici alle modalità conoscitive consolidate, non sono<br />

<strong>di</strong> per sé implausibili (si vedano i menzionati accenni <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> alla magia del<br />

linguaggio). E’ all’interno <strong>di</strong> queste coor<strong>di</strong>nate che si situa la <strong>di</strong>alettica<br />

benjaminiana, ed è questa la ra<strong>di</strong>ce filosofica del “<strong>ribelle</strong>” o della <strong>di</strong>mensione della<br />

ribellione. Al pari <strong>di</strong> altri autori a lui vicini (Bloch, Adorno, ancor prima forse lo<br />

stesso Marx) benché con altre modulazioni, e <strong>di</strong>versamente dalla prospettiva<br />

classica, 48 la rivoluzione-redenzione si inscrive all’interno del nesso teologia-storia 49<br />

(in questa <strong>di</strong>rezione si ricor<strong>di</strong> anche lo sfondo teologico della <strong>riflessione</strong> sulla<br />

lingua). 50<br />

costruttivo. Al <strong>pensiero</strong> non appartiene solo il movimento delle idee, ma anche il loro arresto. Quando il<br />

<strong>pensiero</strong> si arresta <strong>di</strong> colpo in una costellazione carica <strong>di</strong> tensioni, le impartisce un urto per cui esso si<br />

cristallizza in una monade. Il materialista storico affronta un oggetto storico unicamente e solo dove<br />

esso gli si presenta <strong>come</strong> monade. In questa struttura egli riconosce il segno <strong>di</strong> un arresto messianico<br />

dell’accadere o, detto altrimenti, <strong>di</strong> una chanche rivoluzionaria nella lotta per il passato oppresso. Egli la<br />

coglie per far saltare un’epoca determinata dal corso omogeneo della storia; <strong>come</strong> per far saltare una<br />

determinata vita dall’epoca, una determinata opera dall’opera complessiva. Il risultato del suo procedere<br />

è che nell’opera è conservata e soppressa l’opera complessiva, nell’opera complessiva l’epoca e<br />

nell’epoca l’intero decorso della storia. Il frutto nutriente dello storicamente compreso ha dentro <strong>di</strong> sé il<br />

tempo, <strong>come</strong> il seme prezioso ma privo <strong>di</strong> sapere.” W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti,<br />

cit., pp. 81-82 (corsivi nel testo). Ma sullo stesso tema si veda anche ivi (tesi n. 9) la critica all’idea <strong>di</strong><br />

“progresso” formulata attraverso l’immagine dell’Angelus Novus (pp. 76-77).<br />

Riguardo alla nozione <strong>di</strong> “storia” è significativa la critica (tesi n. 8) al giu<strong>di</strong>zio sul fascismo, che<br />

poggerebbe su un’idea <strong>di</strong> progresso <strong>come</strong> legge storica (ere<strong>di</strong>tà dell’immagine tra<strong>di</strong>zionale della storia).<br />

Riguardo al terzo si veda la tesi n. 11, che critica la nozione <strong>di</strong> “lavoro” esaltata dalla concezione<br />

socialista: “Esso non vuol vedere che i progressi del dominio della natura, e non i regressi della società;<br />

e mostra già i tratti tecnocratici che appariranno più tar<strong>di</strong> nel fascismo. Fra cui c’è anche un concetto <strong>di</strong><br />

natura che si allontana funestamente da quello delle utopie socialiste anteriori al ’48. Il lavoro, <strong>come</strong> è<br />

ormai concepito, si risolve nello sfruttamento della natura, che viene opposto – con ingenuo<br />

compiacimento – a quello del proletariato.” (ibidem, pp. 77-78). Così pure la tesi n. 13, nella quale il<br />

bersaglio polemico è il concetto socialdemocratico <strong>di</strong> progresso: esso contiene un’istanza dogmatica<br />

(progresso interminabile e incessante) che va connessa alla menzionata critica dell’idea stessa <strong>di</strong> storia:<br />

“<strong>La</strong> concezione <strong>di</strong> un progresso del genere umano nella storia è inseparabile da quella del processo della<br />

storia stessa <strong>come</strong> percorrente un tempo omogeneo e vuoto. <strong>La</strong> critica dell’idea <strong>di</strong> questo processo deve<br />

costituire la base della critica dell’idea del progresso <strong>come</strong> tale.” (ibidem, p. 80).<br />

48 Come già rilevato nel contesto classico, ancorato ad uno schema ontologico sostanzialmente<br />

immo<strong>di</strong>ficabile, non vi è alcuno spazio concettuale per la “rivoluzione”: lo stesso personaggio <strong>di</strong> Antigone<br />

è un “<strong>ribelle</strong>”, non un rivoluzionario nell’accezione moderna <strong>di</strong> questo termine.<br />

49 Il nesso teologia-storia è ben espresso nella celebre prima tesi <strong>di</strong> filosofia della storia: “Si <strong>di</strong>ce che ci<br />

fosse un automa costruito in modo tale da rispondere, ad ogni mossa <strong>di</strong> un giocatore <strong>di</strong> scacchi, con una<br />

contromossa che gli assicurava la vittoria. Un fantoccio in veste da turco, con una pipa in bocca, sedeva<br />

<strong>di</strong> fronte alla scacchiera, poggiata su un’ampia tavola. Un sistema <strong>di</strong> specchi suscitava l’illusione che<br />

questa tavola fosse trasparente da tutte le parti. In realtà c’era accoccolato un nano gobbo, che era un<br />

asso nel gioco degli scacchi e che guidava per mezzo <strong>di</strong> fili la mano del burattino. Qualcosa <strong>di</strong> simile a<br />

questo apparecchio si può immaginare nella filosofia. Vincere deve sempre il fantoccio chiamato<br />

“materialismo storico”. Esso può farcela senz’altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che<br />

oggi, com’è noto, è piccola e brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno.” W. BENJAMIN, Angelus<br />

Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 72.<br />

50 E’ sulla scorta della rilettura benjaminiana del “tempo” e della centralità del ruolo della memoria che<br />

Habermas, a proposito del rapporto tra passato e presente, parla <strong>di</strong> un “drastico rovesciamento” operato<br />

da <strong>Benjamin</strong> e <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>calizzazione della coscienza storico-effettuale: “Il <strong>pensiero</strong> ra<strong>di</strong>calmente storico può<br />

essere caratterizzato dall’idea della storia effettuale.[…]Nella stessa struttura coagulata nell’esistenziale<br />

della storicità si può certamente riconoscere ancora con chiarezza che l’orizzonte aperto al futuro <strong>di</strong><br />

aspettative determinate dal presente <strong>di</strong>rige il nostro intervento sul passato.[…][<strong>Benjamin</strong>]<strong>di</strong>ffida tanto<br />

del patrimonio dei beni culturali tramandati, che devono trasformarsi in possesso del presente, quanto<br />

dell’asimmetria del rapporto fra le attività appropriatici <strong>di</strong> un presente orientato al futuro e gli oggetti


LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME “PENSIERO RIBELLE”.<br />

E’, comunque, nella <strong>di</strong>mensione profetica (nell’accezione ebraica),<br />

nell’apocalisse, che è posta la profon<strong>di</strong>tà della “ribellione del <strong>pensiero</strong>” <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>.<br />

Essa va <strong>di</strong>stinta sia dalla semplice critica sociologica (ciò che segna lo scarto della<br />

teoresi <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> sia dalla Scuola <strong>di</strong> Francoforte che, in qualche modo, da Bloch)<br />

che dall’utopia (per <strong>Benjamin</strong> formalmente e strutturalmente simile all’ideologia<br />

<strong>come</strong> verità costituita). 51 Si può quin<strong>di</strong> comprendere ciò che <strong>Benjamin</strong> chiama “la<br />

fine messianica della storia” 52 (nella quale, viceversa, sono chiare le assonanze con<br />

Bloch e Rosenzweig): essa rappresenta il momento in cui il “segreto” si <strong>di</strong>svelerà<br />

(l’“inteso” per il linguaggio, il “senso” dell’arte, i “soggetti” e i “significati nascosti”<br />

della storia: si veda anche quanto accennato a proposito della tra<strong>di</strong>zione 53 ). Solo<br />

con la rivelazione, con la sua funzione letteralmente apocalittica, 54 si <strong>di</strong>svelerà il<br />

senso della “pietra scartata dai costruttori che è <strong>di</strong>ventata testata d’angolo” e<br />

dell’identità tra origine e meta 55 (<strong>come</strong> para<strong>di</strong>gmaticamente emerge dalla<br />

<strong>riflessione</strong> sulla lingua). 56<br />

appropriati del passato. Perciò <strong>Benjamin</strong> si impegna in un drastico rovesciamento del rapporto fra<br />

orizzonte delle aspettative e ambito dell’esperienza, attribuendo a tutte le epoche passate un orizzonte<br />

<strong>di</strong> aspettative insod<strong>di</strong>sfatte, ed al presente orientato verso il futuro il compito <strong>di</strong> sperimentare nella<br />

rimemorazione un passato <strong>di</strong> volta in volta corrispondente in modo tale che noi possiamo sod<strong>di</strong>sfarne le<br />

aspettative con la nostra debole forza messianica.[…]<strong>Benjamin</strong> [intreccia]fra <strong>di</strong> loro motivi d’origine del<br />

tutto <strong>di</strong>versa per ra<strong>di</strong>calizzare una volta <strong>di</strong> più la coscienza storico-effettuale.[…]<strong>La</strong> spinta dei problemi<br />

del futuro si moltiplica con quella del futuro passato (e inappagato). Ma al contempo questo<br />

rovesciamento assiale corregge l’occulto narcisismo della coscienza storico-effettuale. Non sono più<br />

soltanto le generazioni future, ma anche quelle passate, che mantengono un <strong>di</strong>ritto verso la debole forza<br />

messianica delle generazioni presenti.” J. HABERMAS, Il <strong>di</strong>scorso filosofico della modernità, cit., pp. 14-<br />

16 (corsivi nel testo).<br />

51 Sul punto occorre chiedersi se il nucleo ideale dell’utopia consista effettivamente in quanto sembra<br />

sostenere <strong>Benjamin</strong>. Per una prospettiva del tutto <strong>di</strong>versa rimando, ad esempio, al <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> Karl<br />

Mannheim in Ideologia e utopia, Il Mulino, Bologna 1957 (New York-London, 1957)..<br />

52 In merito al profilo messianico del <strong>pensiero</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> rimando al più volte citato G. CUNICO,<br />

<strong>Benjamin</strong>: arresto messianico e salvazione del passato, pp. 141-175, passim.<br />

53 E’ nella seconda tesi <strong>di</strong> filosofia della storia che viene considerato il rapporto tra<strong>di</strong>zione/redenzione,<br />

anche in termini <strong>di</strong> rottura degli schemi socio-politici: “Nell’idea <strong>di</strong> felicità[…]vibra in<strong>di</strong>ssolubilmente l’idea<br />

<strong>di</strong> redenzione. Lo stesso vale per la rappresentazione del passato, che è il compito della storia. Il passato<br />

reca seco un in<strong>di</strong>ce temporale che lo rimanda alla redenzione. C’è un’intesa segreta fra le generazioni<br />

passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, <strong>come</strong> ad ogni generazione che ci ha<br />

preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un <strong>di</strong>ritto. Questa<br />

esigenza non si lascia sod<strong>di</strong>sfare facilmente. Il materialismo storico lo sa.” W. BENJAMIN, Angelus<br />

Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 73.<br />

54 In tal senso la stessa “redenzione”, che culmina nella “rivelazione”, può essere vista a sua volta <strong>come</strong><br />

“apocatastasi storica”: “Il mondo messianico è il mondo della “umanità redenta”[…], quella che vive<br />

“l’esistenza storica autentica”[…], ossia quella compenetrazione <strong>di</strong> “tutto il passato nel presente” che è<br />

“l’apocatastasi storica”[…].[…]la redenzione messianica [sembra]promettere una liberazione e un<br />

adempimento <strong>di</strong> presente e passato insieme, attraverso quell’irruzione dell’eterno nel tempo che è il<br />

“tempo-ora” sia <strong>come</strong> “immane abbreviazione” della storia intera (XVIII), sia <strong>come</strong> “costellazione”<br />

istantanea?” G. CUNICO, <strong>Benjamin</strong>: arresto messianico e salvazione del passato, p. 171 (ivi alla nota 51<br />

la segnalazione della possibilità <strong>di</strong> ricollegare tale concetto al tema paolino dell’apokephalaiosis e alla<br />

dottrina cabalistica del tikkun).<br />

55 Sul nesso redenzione/storia e sulla funzione <strong>di</strong>svelante della redenzione, in grado <strong>di</strong> illuminare il senso<br />

del tempo e del passato, è fondamentale la tesi <strong>di</strong> filosofia della storia n. 3: “Il cronista che enumera gli<br />

avvenimenti senza <strong>di</strong>stinguere tra i piccoli e i gran<strong>di</strong>, tiene conto della verità che nulla <strong>di</strong> ciò che si è<br />

verificato va dato perduto per la storia. Certo, solo all’umanità redenta tocca interamente il suo passato.<br />

17


GIOVANNI BOMBELLI 18<br />

Per <strong>Benjamin</strong>, allora, non pare esservi un’intrastorica redenzione finale e<br />

definitiva, ma neppure ultrastorica, bensì “astorica” o “antistorica”. 57 In altri<br />

termini, così <strong>come</strong> le “idee” rappresentano solo il riferimento della filosofia (per il<br />

filosofo tedesco non esprimibili con concetti o leggi), allo stesso modo il “senso”<br />

ultimo rappresenta kantianamente una sorta <strong>di</strong> noumeno (è l’Idea kantiana: da qui<br />

la centralità dell’allegoria <strong>come</strong> gioco <strong>di</strong> allusioni). 58<br />

Vale a <strong>di</strong>re che solo per l’umanità redenta il passato è citabile in ognuno dei suoi momenti. Ognuno dei<br />

suoi attimi vissuti <strong>di</strong>venta una “citation à l’ordre du jour” – e questo giorno è il giorno finale[Der jüngste<br />

Tag].” W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 73. Contrastivamente, sulle nozioni <strong>di</strong><br />

storia e redenzione finale nel materialismo storico, si veda ivi la tesi n. 4 (pp. 73-74).<br />

56 Soltanto in quanto connessa alla profonda revisione del ra<strong>di</strong>calismo storico prende allora senso la<br />

“solidarietà storica universale” (o l’ “intesa segreta fra le generazioni” della seconda tesi citata<br />

precedentemente alla nota 54): “[…]la generazione <strong>di</strong> volta in volta presente è responsabile non solo del<br />

destino delle generazioni future, bensì anche del destino incolpevolmente sofferto dalle generazioni<br />

passate. Questa esigenza <strong>di</strong> re<strong>di</strong>mere epoche passate, che <strong>di</strong> volta in volta in<strong>di</strong>rizzano verso <strong>di</strong> noi le loro<br />

aspettazioni, rammenta l’idea, familiare alla mistica ebraica e a quella protestante, della responsabilità<br />

che gli uomini hanno per il destino <strong>di</strong> un Dio che nell’atto della creazione ha rinunciato alla sua<br />

onnipotenza in favore <strong>di</strong> una pari libertà dell’uomo.[…]Ciò che <strong>Benjamin</strong> ha in mente, è […]la veduta<br />

sommamente profana che l’universalismo etico deve prendere sul serio anche il torto già avvenuto e a<br />

prima vista irreversibile; che esiste una solidarietà dei posteri con i loro antenati, con tutti coloro che<br />

sono stati lesi dalla mano dell’uomo nella loro integrità corporea o personale; e che questa solidarietà<br />

può essere <strong>di</strong>mostrata e messa in atto solamente dalla rimemorazione. Qui la forza liberatrice del ricordo<br />

non deve servire, <strong>come</strong> da Hegel fino a Freud, ad estinguere il potere del passato sul presente, bensì ad<br />

estinguere un debito del presente verso il passato[…]. <strong>La</strong> riparazione anamnestica <strong>di</strong> un torto, <strong>di</strong> cui non<br />

si può certo far sì che non sia accaduto, ma che per lo meno può essere virtualmente conciliato dalla<br />

rimemorazione, avvolge il presente nel contesto comunicativo <strong>di</strong> una solidarietà storica universale.<br />

Questa anamnesi costituisce il contrappeso decentrante a quella pericolosa concentrazione della<br />

responsabilità, che la coscienza moderna del tempo, rivolta unicamente verso il futuro, ha addossato ad<br />

un presente problematico, e in un certo qual senso aggrovigliato.” J. HABERMAS, Il <strong>di</strong>scorso filosofico<br />

della modernità, cit., pp. 15-16.<br />

57 “[…]già nello scritto del 1916, <strong>La</strong> vita degli studenti, <strong>Benjamin</strong> aveva in<strong>di</strong>viduato nello strappo verso<br />

una temporalità ‘altra’, nel salto verso il “punto focale” extrastorico la soluzione degli eventi. Ora, il<br />

<strong>di</strong>scorso benjaminiano chiarisce finalmente che tale nucleo non soltanto è extrastorico, ancor più è ‘antistorico’,<br />

coincide con la fine della storia stessa, <strong>come</strong> se in esso questa si prosciugasse, definitivamente<br />

‘assorbita’, implosa.” G. BOFFI, Allegoria e simbolo in <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong>, cit., p. 358 (corsivi nel testo).<br />

Il regno messianico non solo non è la meta finale del progresso della storia ma, al contempo, esso riapre<br />

all’“in-concluso”: “[…]l’aspetto determinante[…]sembra comunque essere quello del “troncarsi della<br />

storia”[…] per cui[…]il regno messianico non va concepito <strong>come</strong> il “punto finale <strong>di</strong> uno sviluppo storico”,<br />

ossia <strong>come</strong> “la meta finale del progresso nella storia”.[…]Tuttavia questo aspetto della <strong>di</strong>scontinuità<br />

messianica non è l’unico. Il suo carattere <strong>di</strong> “arresto” e <strong>di</strong> “interruzione” non è solo la precon<strong>di</strong>zione per<br />

il compito messianico <strong>di</strong> chiudere una buona volta “l’inconcluso” (cioè il progresso catastrofico della<br />

sofferenza e dell’oppressione), ma anche per quello <strong>di</strong> riaprire ciò che apparentemente è “concluso” (cioè<br />

il cattivo passato <strong>di</strong> sofferenza e <strong>di</strong> oppressione).” G. CUNICO, <strong>Benjamin</strong>: arresto messianico e<br />

salvazione del passato, cit., pp. 168-169.<br />

58 A proposito del problematico significato della redenzione-rivelazione benjaminiana, della sua<br />

tensionale ambiguità/<strong>di</strong>aletticità e delle oscure proiezioni politico-positive si è parlato giustamente <strong>di</strong> un’<br />

“ambiguità irrisolta”: “[…]se già nella <strong>di</strong>mensione storiografica e nella <strong>di</strong>mensione politica vale la<br />

<strong>di</strong>stinzione tra momento <strong>di</strong>struttivo e momento positivo, e se quest’ultimo significa nella prima<br />

salvazione rammemorante e nella seconda emancipazione sociale, è lecito chiedersi in che cosa la<br />

redenzione messianica (che corrisponde a queste nella <strong>di</strong>mensione teologica e religiosa) se ne<br />

<strong>di</strong>stinguerebbe se non comportasse una liberazione più ra<strong>di</strong>cale e inclusiva.[…][Vi è un’irrisolta<br />

ambiguità]:[…]o il concetto dell’umanità redenta non è compatibile con la rappresentazione <strong>di</strong> una<br />

situazione storica reale perché è solo (in senso neokantiano) un termine ideale della storia o un<br />

concetto-limite (col che però <strong>Benjamin</strong> si riavvicinerebbe all’idea del compito infinito, non già sostituita<br />

ma semplicemente completata da quella della forza messianica <strong>come</strong> “intensità” che agisce in una serie<br />

<strong>di</strong>scontinua <strong>di</strong> salti); ovvero che esso è un concetto trascendente (in senso kantiano) perché in<strong>di</strong>ca una<br />

situazione trascendente tutto l’ambito storico, una situazione escatologica assoluta.[…]L’ambiguità


LA RIFLESSIONE DI WALTER BENJAMIN COME “PENSIERO RIBELLE”.<br />

In tal senso l’apertura <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> al filone esoterico (<strong>di</strong> cui la mistica è una<br />

componente) non appare frutto <strong>di</strong> stravagante originalità o <strong>di</strong> mera appartenenza<br />

alla tra<strong>di</strong>zione ebraica. Viceversa, il ricorso a tale tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> <strong>pensiero</strong> (in quanto<br />

“altro” rispetto ai modelli speculativi occidentali), pur rappresentando un non-detto<br />

della <strong>riflessione</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, si ra<strong>di</strong>ca nelle sue premesse gnoseologico-<br />

metafisiche 59 e rappresenta probabilmente l’autenticità del “<strong>pensiero</strong> <strong>ribelle</strong>”. 60 Con<br />

esso si vuole tentare quella ‘decategorizzazione’ degli strumenti teorici e del lessico<br />

filosofico, <strong>come</strong> proposta <strong>di</strong> altri linguaggi o altre <strong>di</strong>mensioni del linguaggio e del<br />

conoscere, in qualche modo latente in molti percorsi filosofici novecenteschi. 61<br />

In conclusione, è alla luce <strong>di</strong> queste considerazioni che l’esito della<br />

prospettiva <strong>ribelle</strong> rimane in <strong>Benjamin</strong> contemporaneamente possibile ed<br />

impossibile, strutturalmente un enigma ed un’incognita (anche sotto il profilo<br />

positivo della concreta effettualità storica). Se è vero che essa misteriosamente<br />

promette la futura comprensione del nesso ‘origine-meta’ e del senso della “pietra<br />

scartata” (quin<strong>di</strong> della salvezza), rimane altrettanto misterioso se la storia (luogo<br />

del “bene” e del “male”) sia in sé buona o se, viceversa, non rappresenti<br />

gnosticamente una necessità e un obbligo/destino dell’uomo dopo la caduta<br />

originaria.<br />

<strong>La</strong> conoscenza deve lasciare spazio al “sapere” ed alla fede?<br />

persistente segnala che neppure [l’]inequivocabile accentuazione della <strong>di</strong>sperata negazione <strong>di</strong>struttiva<br />

può estinguere i riman<strong>di</strong> al positivo impliciti nell’idea <strong>di</strong> redenzione messianica.” Ibidem, pp. 170-175.<br />

59 In questa <strong>di</strong>rezione mi sembra particolarmente pregnante la tesi n. 18, nella quale l’accenno alla<br />

mantica si salda con la tematica filosofica del “tempo” : “E’ certo che il tempo non era appreso dagli<br />

indovini, che cercavano <strong>di</strong> estrarne ciò che si cela nel suo grembo, <strong>come</strong> omogeneo né <strong>come</strong> vuoto. Chi<br />

tenga presente questo, può forse giungere a farsi un’idea del modo in cui il passato era appreso nella<br />

memoria: e cioè nello stesso. E’ noto che agli ebrei era vietato investigare il futuro. <strong>La</strong> thorà e la<br />

preghiera li istruiscono invece nella memoria. Ciò li liberava dal fascino del futuro, a cui soggiacciono<br />

quelli che cercano informazioni presso gli indovini. Ma non per questo il futuro <strong>di</strong>ventò per gli ebrei un<br />

tempo omogeneo e vuoto. Poiché ogni secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare il<br />

Messia.” W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 83.<br />

60 Mi pare molto interessante il riferimento benjaminiano a Blanqui (esponente della sinistra eterodossa<br />

della seconda metà dell’Ottocento e pensatore che presenta alcune componenti esoteriche) nella tesi n.<br />

12, in W. BENJAMIN, Angelus Novus. Saggi e frammenti, cit., p. 79.<br />

61 E’ l’operazione che accomuna autori tra loro anche molto <strong>di</strong>stanti quali Martin Heidegger (criticato da<br />

<strong>Benjamin</strong>) e, in chiave più accentuatamente demistificante e “irriverente”, Jacques Derrida: ma è anche<br />

lo scacco del Novecento. Peraltro aperture a modelli razionali extraoccidentali (se si vuole esoterici) sono<br />

forse presenti anche in Max Weber.<br />

19


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />

GIOVANNI BOMBELLI 20<br />

Testi <strong>di</strong> <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong>: <strong>Benjamin</strong> W., Angelus Novus. Saggi e frammenti,<br />

Einau<strong>di</strong>, Torino 1962 (Frankfurt am Main, 1955)<br />

Letteratura critica:<br />

Boffi G., Allegoria e simbolo in <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong>, in V. Melchiorre (a cura <strong>di</strong>),<br />

Simbolo e conoscenza, Vita e Pensiero, Milano 1988, pp. 332-363.<br />

Cunico G., <strong>Benjamin</strong>: arresto messianico e salvazione del passato, in Id.,<br />

Messianismo, religione e ateismo nella filosofia del Novecento (Bloch,<br />

Kracauer, <strong>Benjamin</strong>, Horkheimer, Adorno, Habermas), Milella, Lecce 2001,<br />

pp. 141-175.<br />

Habermas J., Il <strong>di</strong>scorso filosofico della modernità, <strong>La</strong>terza, Roma-Bari 1987<br />

(Frankfurt, 1985), sezione intitolata Excursus sulle “Tesi <strong>di</strong> filosofia della<br />

storia” <strong>di</strong> <strong>Walter</strong> <strong>Benjamin</strong>, pp. 12-16.<br />

Rusconi G. E., Intellettuali e società contemporanea, Loescher, Torino 1980<br />

Solmi S., Introduzione a W. <strong>Benjamin</strong>, Angelus Novus. Saggi e frammenti, Einau<strong>di</strong>,<br />

Torino 1962 (Frankfurt am Main, 1955), pp. IX-XXXVII.<br />

Todescan F., Introduzione a G. <strong>Bombelli</strong>-A. Mazzei (a cura <strong>di</strong>), ΔΙΚΕ ΠΟΛΥΠΟΙΝΟS.<br />

Archetipi <strong>di</strong> giustizia fra trage<strong>di</strong>a greca e dramma moderno, Cleup, Padova<br />

2004, pp. 21-39.

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