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entro cui un determinato fenomeno nasce e si sviluppa, attraverso la ricerca<br />
di testimonianze dirette, è stato un fattore critico per la mia evoluzione<br />
personale nella quale musica, storia e politica rappresentano solo<br />
prospettive diverse del medesimo percorso di vita e di ricerca.<br />
Nei mesi e negli anni successivi alla fine dei miei studi universitari<br />
avrei imparato a conoscere quel contesto. La volontà di realizzare una<br />
storia orale sul partito delle Pantere nere mi ha portato a passare periodi<br />
prolungati negli Stati uniti alla ricerca degli esponenti di quell’organizzazione.<br />
Durante questi anni di viaggi, ricerche, interviste e riflessioni<br />
solitarie, ho avuto il piacere di incontrare attivisti, artisti e intellettuali<br />
che hanno scelto di condividere con me non solo la loro storia e le loro<br />
riflessioni personali ma anche e soprattutto aneddoti che, anche presi<br />
singolarmente, potrebbero essere l’oggetto di interessanti nuovi studi<br />
sulla tradizione linguistica e gergale nera. Molte di queste persone nel<br />
tempo sono diventate anche grandi amici. Nonostante ciò, il mio percorso<br />
nell’America nera è sempre stato quello di un outsider. Durante i<br />
lunghi viaggi upstate a bordo dei pullman della Prison Gap – la compagnia<br />
privata che offre l’unica via di accesso alle numerose prigioni e agli<br />
ancor più numerosi prigionieri detenuti nel nord dello stato di New<br />
York – ho sperimentato i momenti più intensi di scambio e interrelazione<br />
con la comunità afro-americana.<br />
Le corriere partono da mezzanotte alle due del venerdì e del sabato<br />
sera, a seconda della distanza dalla prigione, per arrivare a destinazione<br />
prima delle otto del mattino, ora d’inizio visite. Ricordo le attese snervanti<br />
alla ricerca dell’autobus giusto in mezzo a centinaia di altre persone,<br />
in una Columbus Circle resa ancor più surreale dalle migliaia di individui<br />
che mi passavano a fianco intenti a spassarsela nel weekend di<br />
Manhattan, ma poi le ore di conversazione con miei compagni di viaggio<br />
diretti nelle stesse carceri in cui mi recavo mi offrirono la possibilità<br />
di conoscere un campionario umano vastissimo: nonni e nonne, madri e<br />
padri, fratelli e sorelle, mariti o mogli, fidanzati e fidanzate o semplicemente<br />
amici di prigionieri, che con le loro storie hanno contribuito a<br />
rendere più completo, nella mia mente, quel complesso e intricato<br />
puzzle rappresentato dalla comunità nera in America. Anche in questa<br />
occasione, il punto d’incontro tra me e i giovani con cui ho parlato durante<br />
quei viaggi è stata la musica <strong>hip</strong> <strong>hop</strong>.<br />
Le storie e le esperienze ascoltate su quei pullman, così diverse da<br />
quelle degli ex militanti nelle Pantere nere, delineavano rappresentazioni<br />
distinte se non opposte, non tanto dei problemi che gravano sulla comunità<br />
nera, quanto sulle forme di militanza e lotta possibili e sull’op-<br />
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