Pisano Paolo

Se talvolta i riferimenti formali vanno ai maestri più vicini nel tempo, alle opere di Ossip Zadkine, di Jacques Lipchitz
o a certe morbidezze di Jean Arp e compattezze di Julio Gonzalez, il linguaggio di Paolo Pisano si apre su arcani
mondi, in cui l’uomo e il mito trascendono l’ambiente circostante abitando antiche Cattedrali.
Cattedrale è il titolo che egli ha assegnato alle ultimissime opere; sono volumi e segni che, grazie al filtro della
storia, simbolicamente si fanno forme capaci di restituire la spiritualità di questi luoghi che nel Medioevo costellarono
l’Europa e contemporaneamente sono richiami poetici alla Sagrada Familia che Antoni Gaudì eresse a
Barcellona. Le superfici, ora aspre e taglienti, ora pervase da una estrema morbidezza e sensualità, sono metafora
dell’uomo calato nel mistero della vita, allusivamente richiamato dalle ombre e dalle penombre presenti sulle
superfici plastiche mentre gli squarci di porte e di finestre appaiono come simboliche aperture sul mistero trascendente
della perenne metamorfosi spirituale. Delle Cattedrali però è rimasta soltanto la facciata, l’interno è nullo.
Distruzione, feticcio di quello che era, o è solo un monito.
Come antiche divinità scese dall’olimpo sulla terra, le Attese, i Dialoghi e gli Incontri sono espressi nelle immagini
di cariatidi e nelle figure femminili colte nel momento dell’attesa o dell’arrivo, da lontano, dell’eroe o dell’uomo, o
forse di un evento misterioso ed epico. Alcune sono come monumentali porte aperte su città, fatte di architetture
in cui si fa prioritaria la vitalità delle superfici per accogliere e trasfondere sull’uomo il vortice di mille strade in cui
scegliere quella della poesia.
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