Mascheramento e verità nella favolistica di Fedro - Inedito.it
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Univers<strong>it</strong>à degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Palermo<br />
Facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia<br />
Corso <strong>di</strong> Laurea in Lettere Classiche<br />
<strong>Mascheramento</strong> e <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> <strong>nella</strong> <strong>favolistica</strong> <strong>di</strong><br />
<strong>Fedro</strong><br />
Tesi <strong>di</strong> laurea <strong>di</strong>: Lavinia Scolari<br />
Relatore: Ch.mo Prof. G. Picone<br />
Anno Accademico 2005 – 2006
Introduzione<br />
Il termine favola viene spesso utilizzato erroneamente come sinonimo <strong>di</strong> fiaba e con una<br />
valenza rivis<strong>it</strong>ata che si allontana dal suo significato originario. Ma, assai più della fiaba, la<br />
favola può correttamente essere defin<strong>it</strong>a come il mascheramento <strong>di</strong> un messaggio serio, <strong>di</strong> una<br />
<strong>ver<strong>it</strong>à</strong>, che in se stessa la fiaba non è tenuta a racchiudere.<br />
Se, però, questo vale in generale per ogni raccolta <strong>favolistica</strong>, in particolare in <strong>Fedro</strong> il<br />
modulo strutturale e narrativo del mascheramento <strong>di</strong>viene nodale, perché il poeta non si<br />
lim<strong>it</strong>a a verseggiare il repertorio della tra<strong>di</strong>zione a lui precedente, ma lo rielabora e ripensa,<br />
sviluppando con maggiore coscienza e luci<strong>di</strong>tà il tema della <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> occultata, ribaltata e<br />
deformata dall’uomo per conseguire i suoi mille intenti.<br />
Il mascheramento, in quanto modulo strutturale, è dunque l’atto poetico per mezzo del quale<br />
<strong>Fedro</strong> compone le sue fabellae: la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> è il cuore della favola, ma la compless<strong>it</strong>à e la durezza<br />
<strong>di</strong> ogni <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> esigono una semplificazione e insieme un addolcimento che la renda<br />
veicolabile, ovvero più chiara e più gradevole. Ciò è possibile proprio per mezzo del<br />
mascheramento favolistico, cioè del mascheramento che dà v<strong>it</strong>a alla favola e che la favola<br />
rappresenta. Attraverso l’essenzial<strong>it</strong>à formale della brev<strong>it</strong>as e la scelta <strong>di</strong> personaggi ridotti a<br />
tipizzazioni caratteriali si attua la semplificazione; 1 le vivac<strong>it</strong>à cromatiche della lingua<br />
(varietas) e la piacevolezza del racconto assicurano la gradevolezza, e così la favola, pur<br />
collocata ai margini della letteratura in quanto genus minore e sebbene lontana dal tono aulico<br />
dell’epica o della trage<strong>di</strong>a, si configura come componimento letterario in grado <strong>di</strong> ammantare<br />
del lusus poetico una <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> che riguarda universalmente l’uomo e in<strong>di</strong>vidualmente il singolo. 2<br />
La favola mette sì in scena personaggi umili, animali parlanti allegorie <strong>di</strong> vizi e virtù; tuttavia<br />
<strong>Fedro</strong> umanizza queste figure f<strong>it</strong>tizie e le traspone in un contesto sociale che concerne il suo<br />
tempo, ma che finisce per valere per ogni frangente storico.<br />
Pertanto, semplic<strong>it</strong>à e gradevolezza non sono altro che l’effetto <strong>di</strong> un vero e proprio<br />
mascheramento che la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> da comunicare subisce, un mascheramento che le permette <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>ventare da universale particolare nel bel mezzo della narrazione, che chiarifica e ingentilisce<br />
la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> dura e complessa concedendo comprensione e <strong>di</strong>letto, e <strong>di</strong> percorrere il trag<strong>it</strong>to<br />
contrario, da particolare a universale, <strong>nella</strong> morale che dà un insegnamento <strong>di</strong>svelando del<br />
tutto la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> mascherata. Non per nulla, tra le oscillanti denominazioni con cui la favola<br />
viene in<strong>di</strong>cata da <strong>Fedro</strong>, spicca il termine exemplum, che riporta ad una realtà semplificata per<br />
chiarezza, ad una <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> universale parzialmente manifesta in una <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> in<strong>di</strong>viduale. 3<br />
Idonea alla raffigurazione della favola come mascheramento <strong>di</strong> <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> è la definizione data da<br />
Teone il retore (Progymnasmata, 3): lovgo" yeudh;" eijkonivzwn ajlhvqeian. 4 In essa <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> e<br />
menzogna si combinano con funzioni <strong>di</strong>fferenti sin <strong>nella</strong> più profonda struttura del genere per<br />
poi pervaderne il senso, il racconto e il pensiero.<br />
1 Vale, a questo propos<strong>it</strong>o, quanto osserva M. CITRONI allorché spiega “la asciutta nu<strong>di</strong>tà della<br />
rappresentazione, che evidenzia solo i rapporti <strong>di</strong> forze” come il rifiuto <strong>di</strong> “color<strong>it</strong>ure che svierebbero<br />
l’attenzione dal <strong>di</strong>svelamento delle <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> essenziali che vengono proposte.”, in M. CITRONI, Satira,<br />
epigramma, favola, in AA. VV., La Poesia Latina. Forme, autori, problemi, a cura <strong>di</strong> F. MONTANARI, Roma,<br />
1991, p. 193.<br />
2 “Often the idea conveyed is a general propos<strong>it</strong>ion relating to the nature of things or to types of human or animal<br />
character or behaviour, w<strong>it</strong>h or w<strong>it</strong>hout an implied moral exhortation; but often also <strong>it</strong> is a particular truth<br />
applying only to a particular person, thing, or s<strong>it</strong>uation.”, in B. E. PERRY, Babrius and Phaedrus, London –<br />
Cambridge Mass., 1965, p. XXI.<br />
3 “[…] L’EXEMPLUM è la grande categoria alla quale vuol essere riportata tutta l’opera <strong>di</strong> <strong>Fedro</strong>, in<br />
connessione col suo propos<strong>it</strong>o <strong>di</strong> illustrare delle <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> parziali che, riprese ognuna dalla varietas della realtà<br />
umana, servissero però da mon<strong>it</strong>o in tutte quelle date circostanze.” G. LAMBERTI, La poetica del lusus in<br />
<strong>Fedro</strong>, “RIL”, CXIV, 1980, p. 114.<br />
4 “a fict<strong>it</strong>ious story picturing a truth.”, in B. E. PERRY, op. c<strong>it</strong>., pp. XIX – XX.<br />
2
L’elemento che cost<strong>it</strong>uisce l’anello <strong>di</strong> congiunzione <strong>di</strong> “<strong>ver<strong>it</strong>à</strong>” e “menzogna” all’interno della<br />
favola è la morale, cerniera interpretativa atta a saldare la finzione <strong>favolistica</strong> con la realtà cui<br />
essa rimanda. 5<br />
Il senso della favola, <strong>di</strong>fatti, risiede nell’espressione <strong>di</strong> una <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> che sia <strong>di</strong> insegnamento<br />
pratico o <strong>di</strong> giovamento, ma perché essa possa assolvere al suo comp<strong>it</strong>o naturale senza<br />
ostacoli, deve anche operare lo smascheramento delle sue simbologie, dal momento che non<br />
sempre i riman<strong>di</strong> allegorici, benché nati per delucidare, si palesano con chiarezza a tutti.<br />
La <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> che <strong>Fedro</strong> intende comunicare non è la sua 6 , per quanto a lui vicina e da lui<br />
con<strong>di</strong>visa, ma una <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> esperienziale <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione esopica, nonché filosofica e popolare,<br />
filtrata dal suo personale pensiero. 7 Al riguardo, il deb<strong>it</strong>o verso Esopo è vagliato da La Penna 8 ,<br />
che tocca molti temi importanti della favola, non ultimo il rispetto delle leggi immutabili <strong>di</strong><br />
natura.<br />
La rassegnazione e il conseguente pessimismo sono tra le cifre preminenti dell’opera fedriana,<br />
ma anche i loro contorni, troppo spesso interpretati con eccessiva rigi<strong>di</strong>tà, possono<br />
ammorbi<strong>di</strong>rsi fino a sfumare attraverso una lettura più attenta che non liqui<strong>di</strong> la comparsa <strong>di</strong><br />
una fioca fiducia come insolubile contrad<strong>di</strong>zione dell’autore, ma cerchi <strong>di</strong> trovare la chiave<br />
delle sue apparenti oscillazioni. D’altronde, la stessa raccolta <strong>di</strong> <strong>Fedro</strong> non è forse un atto <strong>di</strong><br />
fiducia <strong>nella</strong> possibil<strong>it</strong>à che i piccoli, spronati ad un astuto adattamento e alla prudentia,<br />
possano svincolarsi dai soprusi e dalle angherie?<br />
Fin qui l’attenzione è stata concentrata sul mascheramento come modulo strutturale, ma non è<br />
<strong>di</strong> secondaria importanza il mascheramento come modulo narrativo, ovvero sia come<br />
strumento d’azione ingannevole nelle mani <strong>di</strong> uno dei personaggi, in grado <strong>di</strong> ingaggiare per<br />
mezzo <strong>di</strong> esso un confl<strong>it</strong>to fisico e morale 9 , le cui componenti ant<strong>it</strong>etiche sono alla base del<br />
mondo f<strong>it</strong>tizio del poeta. Spesso, infatti, sono proprio le ant<strong>it</strong>esi a rappresentare i più comuni<br />
moventi del confl<strong>it</strong>to. 10<br />
La credul<strong>it</strong>as, in particolare, genera un fecon<strong>di</strong>ssimo binomio ant<strong>it</strong>etico con l’astuzia,<br />
primaria responsabile dei mascheramenti, ma a volte più lodata che redargu<strong>it</strong>a, mentre un<br />
severo biasimo ricade cupamente sul personaggio che si lascia beffare. 11<br />
In realtà, anche l’uso della menzogna e della frode, se correttamente giustificato da<br />
motivazioni quali il necessario bisogno <strong>di</strong> sopravvivere e <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere se stessi e la propria<br />
ident<strong>it</strong>à, entrano a far parte <strong>di</strong> scelte con<strong>di</strong>visibili, per quanto eticamente <strong>di</strong>scutibili.<br />
5<br />
La presenza in<strong>di</strong>spensabile della morale è profondamente legata al co<strong>di</strong>ce letterario del genere: “La favola,<br />
afferma <strong>Fedro</strong>, <strong>di</strong>ce la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong>. Non la <strong>di</strong>ce per incidente: la <strong>di</strong>ce per necess<strong>it</strong>à, in quanto forma letteraria<br />
specifica.”, in S. JEDRKIEWICZ, <strong>Fedro</strong> e la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong>, “QUCC”, 63, 1990, p. 123.<br />
6<br />
Diversamente, S. JEDRKIEWICZ, c<strong>it</strong>., p. 126, r<strong>it</strong>iene che <strong>Fedro</strong> si consideri il portatore dell’unica <strong>ver<strong>it</strong>à</strong><br />
possibile.<br />
7<br />
“Il racconto breve non si propone una visione organica del mondo né vuole convincere unilateralmente, ma non<br />
rinuncia per questo alla ricerca <strong>di</strong> una sua <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> <strong>di</strong>sincantata eppure sincera.”, in G. LAMBERTI, c<strong>it</strong>., p. 115.<br />
8<br />
“[…] <strong>Fedro</strong> risulterebbe sostanzialmente fedele alla morale che noi possiamo ricostruire dalle raccolte esopiche<br />
greche: scoperta <strong>di</strong> una <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> effettuale oltre i veli stesi dalle illusioni, dalla vanagloria, dal <strong>di</strong>r<strong>it</strong>to che viene<br />
usato per mascherare la forza; […] valorizzazione dell’astuzia, dell’accortezza, della saggezza che, senza<br />
pretendere <strong>di</strong> mutare le leggi della v<strong>it</strong>a, adatta l’in<strong>di</strong>viduo a quelle leggi e ne rende possibile la sopravvivenza e<br />
la sod<strong>di</strong>sfazione dei bisogni elementari; […] la rassegnazione alle leggi <strong>di</strong> una natura senza giustizia e senza<br />
pietà.; la rassegnazione all’immutabil<strong>it</strong>à delle strutture sociali.”, in A. LA PENNA, Introduzione a <strong>Fedro</strong>.<br />
Favole, a cura <strong>di</strong> A. RICHELMY, Torino, 1968, XXVI.<br />
9<br />
Riguardo al confl<strong>it</strong>to doppio (che oppone un or<strong>di</strong>ne fisico ad un or<strong>di</strong>ne etico) cfr. M. NØJGAARD, La fable<br />
antique. Les grands fabulistes, II, København, 1967, p. 55.<br />
10<br />
C. SANTINI, Nov<strong>it</strong>à su <strong>Fedro</strong>, “ GIL”, 54, 2002, p. 238.<br />
11<br />
Ciò conduce persino a ravvisare una morale immorale “[…] <strong>nella</strong> segnalazione ammirata dell’astuzia e nel<br />
riconoscimento dell’util<strong>it</strong>à della menzogna. […] Proprio nello scambio e scontro tra <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> e menzogna sta<br />
l’ant<strong>it</strong>esi fondamentale del mondo fedriano. L’apparenza non coincide mai con la sostanza. Il camuffamento è la<br />
regola generale.”, in G. SOLIMANO, Introduzione a <strong>Fedro</strong>. Favole, Milano, 2003, p. XIX.<br />
3
Il mascheramento narrativo che, <strong>nella</strong> sua purezza, mette in scena il fondamentale confl<strong>it</strong>to<br />
tra un personaggio che dovrebbe <strong>di</strong>rsi astuto ed uno stolto, marca della sua presenza tutti i<br />
personaggi e le ent<strong>it</strong>à che sono coinvolte nel racconto e questi, per como<strong>di</strong>tà, possono essere<br />
classificati in base alla funzione che svolgono rispetto al mascheramento stesso.<br />
In primo luogo, colui che progetta e mette in atto il mascheramento, (cioè la fraus), è il<br />
fraudator, il quale assume il ruolo <strong>di</strong> soggetto del mascheramento. 12<br />
Il fraudator si contrappone ad una v<strong>it</strong>tima del mascheramento da lui or<strong>di</strong>to, la quale si<br />
prospetta come personaggio sol<strong>it</strong>amente più debole da danneggiare. Se la v<strong>it</strong>tima è colui che<br />
riceve un danno o un nocumento, esiste anche un beneficiario del mascheramento, colui cioè<br />
che ne ottiene un vantaggio o un prof<strong>it</strong>to imme<strong>di</strong>ato; questi, sol<strong>it</strong>amente, coincide con il<br />
soggetto e parzialmente spiega e giustifica l’uso del mascheramento. Infine serve un oggetto<br />
del mascheramento, cioè qualcosa o qualcuno cui apporre una maschera che lo occulti o<br />
mo<strong>di</strong>fichi, e uno strumento con cui dare v<strong>it</strong>a all’inganno.<br />
Nella presente trattazione tenteremo <strong>di</strong> decifrare le motivazioni che conducono il<br />
mascheramento a un buono o a un cattivo es<strong>it</strong>o, vale a <strong>di</strong>re al successo (quando cioè il<br />
mascheramento inganna la v<strong>it</strong>tima e procura util<strong>it</strong>à al suo soggetto) o, viceversa, al fallimento:<br />
nel primo caso parleremo <strong>di</strong> mascheramento pos<strong>it</strong>ivo, nel secondo <strong>di</strong> mascheramento<br />
negativo.<br />
In base all’effetto che il mascheramento produce sul reale, esso potrà essere segnalato come<br />
un atto <strong>di</strong> mero occultamento quando si lim<strong>it</strong>a a nascondere una realtà senza mo<strong>di</strong>ficarla, (ma<br />
questa tipologia si incontra assai <strong>di</strong> rado nelle favole); <strong>di</strong> duplicazione quando come effetto si<br />
ha lo sdoppiamento dell’oggetto da mascherare, e <strong>di</strong> alterazione quando il mascheramento<br />
tenta <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare la realtà o la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> nel suo assetto e <strong>nella</strong> sua apparenza. Una speciale<br />
tipologia <strong>di</strong> alterazione è il rovesciamento, che trasforma completamente l’oggetto fino a<br />
renderlo pari al suo contrario. Se analizziamo la <strong>di</strong>fferenziazione in base all’oggetto stesso da<br />
nascondere, duplicare o alterare, all’interno del repertorio favolistico <strong>di</strong> <strong>Fedro</strong> è possibile<br />
rintracciare due precipue modal<strong>it</strong>à <strong>di</strong> mascheramento che potrebbero convenzionalmente<br />
essere denominate come mascheramenti <strong>di</strong> <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> e <strong>di</strong> natura.<br />
Con tale terminologia in<strong>di</strong>cheremo i due proce<strong>di</strong>menti generali e più comuni ai quali possono<br />
essere ricondotte le varie forme <strong>di</strong> mascheramento. Nonostante il mascheramento <strong>di</strong> natura<br />
possa essere inteso come una particolare variante del mascheramento <strong>di</strong> <strong>ver<strong>it</strong>à</strong>, escluderemo<br />
questa relazione verticale con l’ausilio della seguente <strong>di</strong>stinzione convenzionale:<br />
a) il mascheramento <strong>di</strong> natura si realizza quando la maschera viene indossata<br />
volontariamente dall’attore del mascheramento stesso; in altre parole, si verifica quando,<br />
attraverso una serie <strong>di</strong> strategie <strong>di</strong> cui è possibile in<strong>di</strong>viduare gli strumenti essenziali<br />
nell’apparenza (hab<strong>it</strong>us o species) e <strong>nella</strong> voce o parola (vox, verbum, sonus), il<br />
personaggio che mette a punto l’inganno intende nascondere la propria natura, talvolta fino<br />
a tentarne il cambiamento. Il mascheramento <strong>di</strong> natura, pertanto, unisce in un solo<br />
personaggio le due funzioni <strong>di</strong> soggetto e oggetto (cui si aggiunge quella <strong>di</strong> beneficiario),<br />
mantenendo separato il ruolo della v<strong>it</strong>tima;<br />
b) il mascheramento <strong>di</strong> <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> consiste nell’occultamento o nel tentativo <strong>di</strong><br />
cambiamento della realtà: esso si presenta allorché l’attore del mascheramento cerchi <strong>di</strong><br />
apporre una maschera non tanto a se stesso, quanto alla realtà che lo circonda e, in alcuni<br />
12 “When he is an animal, the trickster is a crafty, rather than a powerful, beast (in this respect, the trickster is a<br />
wolf only where the animal kingdom is dominated by the kingly lion); when a human being, he never ranks high,<br />
and his power lies in his w<strong>it</strong>ty brain or in some strange gift of nature. […] «Voleur, trompeur», as in Laura Lévi<br />
Makarius’s defin<strong>it</strong>ion of the trickster.” Cfr. C. GROTTANELLI, Tricksters, scapegoats, champions, saviours,<br />
“History of Religion”, 1983, XXIII, p. 130.<br />
La figura del fraudator non si <strong>di</strong>scosta molto da quella del trickster, se non per l’enfatizzata presenza della<br />
comic<strong>it</strong>à (e non dell’ironia), che il personaggio fedriano sol<strong>it</strong>amente non presenta. La comic<strong>it</strong>à è invece<br />
riscontrabile nello stereotipo del trickster umano, incarnato, ad esempio, dal soldato della favola Pompeius maius<br />
et eius miles (App. 10). Cfr. C. GROTTANELLI, c<strong>it</strong>., p. 117 e sgg.<br />
4
casi, anche al suo interlocutore. Lo scopo è quello <strong>di</strong> adulterare non già la propria natura,<br />
bensì una s<strong>it</strong>uazione specifica, un or<strong>di</strong>ne che si configura come la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> vigente, e<br />
sost<strong>it</strong>uirlo con un or<strong>di</strong>ne alternativo frutto del mascheramento, che si manifesta verosimile<br />
<strong>nella</strong> mente dell’ingannato.<br />
A partire da queste preliminari precisazioni, si tenterà <strong>di</strong> esaminare e approfon<strong>di</strong>re il pensiero<br />
<strong>di</strong> <strong>Fedro</strong> sull’asse interpretativo del mascheramento come modulo fondamentale della favola<br />
che essa riproduce all’interno dei suoi racconti e <strong>nella</strong> sua struttura poetica, cercando <strong>di</strong> fare<br />
luce sui parametri <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio del poeta intorno ai temi fondamentali della <strong>ver<strong>it</strong>à</strong>, del rispetto<br />
delle leggi naturali e della giustizia.<br />
5
Cap. I<br />
L’immagine, lo specchio e il doppio<br />
♦ La duplicazione dello specchio<br />
La superficie <strong>di</strong> uno specchio riflette le immagini che il mondo materiale le offre.<br />
Il suo è un atto <strong>di</strong> duplicazione del reale, <strong>di</strong> configurazione <strong>di</strong> un doppio che abbia le<br />
essenziali caratteristiche <strong>di</strong> somiglianza con la realtà sul versante della facies. Se, però, è<br />
soltanto l’aspetto esteriore a garantire il legame <strong>di</strong> simil<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne, la duplicazione cui lo<br />
specchio è deputato altro non è che un’illusione visiva, un mascheramento.<br />
Lo specchio, dunque, principale artefice del mascheramento della duplicazione, che si verifica<br />
per lo più quando l’inganno si presenta sotto forma <strong>di</strong> immagine sdoppiata o falsata della<br />
realtà, sebbene oggetto illusorio, muto e inerte, più ancora che provocatore silenzioso 13 , è<br />
quasi un personaggio a metà, in grado <strong>di</strong> rendersi occulto regista del racconto favolistico.<br />
Esso compare per la prima volta <strong>nella</strong> raccolta <strong>nella</strong> fabula I. 4 Canis per fluvium carnem<br />
ferens, e svolge una funzione principale in rapporto all’evoluzione degli eventi. Infatti, pur<br />
<strong>nella</strong> sua essenza inanimata, muove le fila del racconto intervenendo come compos<strong>it</strong>ore <strong>di</strong> una<br />
doppia realtà che, r<strong>it</strong>enuta assolutamente verosimile, manda ad effetto la fraus.<br />
Canis per flumen carnem cum ferret natans,<br />
lympharum in speculo vi<strong>di</strong>t simulacrum suum,<br />
aliamque praedam ab alio cane ferri putans<br />
eripere volu<strong>it</strong>.<br />
Un cane, che attraversava a nuoto un fiume portando un pezzo <strong>di</strong> carne, vide nello specchio<br />
dell’acqua la propria immagine, e credendo che fosse un altro cane a portare un’altra preda,<br />
volle sottrargliela.<br />
(Fabulae, I, 4, 2-5, trad. G. Solimano)<br />
Il cane, sullo specchio d’acqua (lympharum in speculo, v. 3, evidenziato dalla posizione<br />
enfatica e dall’anastrofe) vede riflessa un’immagine (simulacrum, v. 3) <strong>di</strong> sé che egli non è<br />
capace <strong>di</strong> deco<strong>di</strong>ficare.<br />
L’illusione, come anticipato, si attua sul versante visivo (vi<strong>di</strong>t, in posizione me<strong>di</strong>ana al v. 3)<br />
ed è generata dallo sdoppiamento dello speculum, che viene consacrato defin<strong>it</strong>ivamente come<br />
mascheramento dall’errore <strong>di</strong> valutazione (putans, v. 4, in explic<strong>it</strong>) <strong>di</strong> cui lo specchio è<br />
responsabile.<br />
Poiché in <strong>Fedro</strong> la preventiva condanna <strong>di</strong> una categoria etica non è sufficiente a decretarne il<br />
fallimento, l’es<strong>it</strong>o negativo dell’avi<strong>di</strong>tas è provocato soprattutto dall’incapac<strong>it</strong>à <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernere<br />
il vero dal suo doppio; il cane, infatti, specchiandosi nell’acqua, crede <strong>di</strong> scorgere un’altra<br />
preda in bocca ad un altro cane (aliamque praedam ab alio cane ferri putans, v. 4), ma il suo<br />
errore è causato dalla miopia che legge l’unic<strong>it</strong>à come alter<strong>it</strong>à e <strong>di</strong>stingue quanto è unico e<br />
in<strong>di</strong>visibile.<br />
L’im<strong>it</strong>azione dello specchio crea una copia conforme della realtà e produce un doppio. Il cane<br />
protagonista e quello dell’immagine riflessa sono legati da un rapporto <strong>di</strong> simil<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne sul<br />
piano dell’apparenza (entrambi reggono un boccone <strong>di</strong> carne) che genera la confusione<br />
dell’immagine con la realtà, benché permanga fra loro un elemento <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione<br />
inequivocabile: l’esistenza. L’uno è reale, l’altro è l’illusorio frutto <strong>di</strong> una duplicazione.<br />
[…] verum decepta avi<strong>di</strong>tas<br />
13 Calzante definizione <strong>di</strong> E. OBERG, in C. SANTINI, Nov<strong>it</strong>à su <strong>Fedro</strong>, “GIF”, 54, 2002, p. 238, per gli oggetti<br />
che intervengono attivamente <strong>nella</strong> favola; tuttavia lo specchio sembra non rientrarvi pienamente, ma necess<strong>it</strong>a<br />
<strong>di</strong> uno spazio privilegiato <strong>di</strong> trattazione, tanto da assurgere a tema formale della favola.<br />
6
et quem tenebat ore <strong>di</strong>mis<strong>it</strong> cibum,<br />
nec quem petebat potu<strong>it</strong> adeo attingere.<br />
Ma la sua ingor<strong>di</strong>gia rimase delusa; lasciò cadere il cibo che teneva in bocca e tanto meno<br />
potè toccare quello che desiderava.<br />
(Fabulae, I, 4, 5-7, trad. G. Solimano)<br />
Scagliandosi contro il suo stesso simulacrum (v. 3) il cane si scontra con la concretezza del<br />
reale e la sua avi<strong>di</strong>tas rimane ingannata (decepta, v. 5) dal riflesso <strong>di</strong> un’inerte speculum.<br />
Il doppio, con la sua forza ingannatrice, infrange l’aspirazione dell’ingor<strong>di</strong>gia (cfr. petebat, v.<br />
5) mentre lo scarto tra l’avi<strong>di</strong>tas e l’effettiva possibil<strong>it</strong>à <strong>di</strong> saziarla è marcato dalla duplice<br />
all<strong>it</strong>terazione (petebat potu<strong>it</strong> adeo attingere, v. 7) che riproduce sul piano stilistico l’ambigua<br />
doppiezza della realtà che finisce per essere illeggibile e sfuggente.<br />
L’original<strong>it</strong>à del tema dello speculum nel componimento del favolista latino rispetto al<br />
modello greco è prova dell’elaborazione personale della materia offerta da Esopo che spinge<br />
<strong>Fedro</strong> alla rappresentazione <strong>di</strong> una realtà cangiante e imprecisa, essa stessa tess<strong>it</strong>rice <strong>di</strong><br />
inganni e mascheramenti. Esopo, infatti, non parla mai dello specchio, centrale <strong>nella</strong><br />
composizione fedriana, ma allude soltanto all’ombra del cane (skiav) sulla superficie<br />
dell’acqua. 14<br />
La seconda apparizione dello specchio non si lascia attendere. Nella favola I. 12 Cervus ad<br />
fontem l’oggetto in grado <strong>di</strong> creare un doppio della realtà e trarre in errore è ancora una volta<br />
uno speculum aquae, un fons.<br />
La scelta della fonte o del bacino d’acqua è anche una scelta logistica. L’ambientazione<br />
naturalistica e i personaggi tratti dal mondo animale richiedono un oggetto che esuli dalla<br />
<strong>di</strong>mensione civilizzata per far parte <strong>di</strong> ciò che è fuori dalla “cultura” e presente in natura.<br />
Ciononostante <strong>Fedro</strong> non <strong>di</strong>mentica <strong>di</strong> stabilire una connessione tra l’elemento naturale del<br />
racconto e il suo corrispettivo del quoti<strong>di</strong>ano.<br />
Al termine speculum menzionato <strong>nella</strong> I. 4 qui si sost<strong>it</strong>uisce il suo effetto: l’effigies, che<br />
sub<strong>it</strong>o ci rimanda alla s<strong>it</strong>uazione della favola precedentemente trattata.<br />
Ad fontem cervus, cum bibisset, rest<strong>it</strong><strong>it</strong><br />
et in liquore vi<strong>di</strong>t effigiem suam.<br />
Il cervo, dopo aver bevuto, rimase presso la fonte e nello specchio dell’acqua vide la sua<br />
immagine.<br />
(Fabulae, I, 12, 3-4, trad. G. Solimano)<br />
L’immagine offerta dallo specchio d’acqua al cane è defin<strong>it</strong>a simulacrum, e fa leva proprio sul<br />
concetto della somiglianza che è responsabile della cattiva valutazione del protagonista. A<br />
causa <strong>di</strong> un doppio perfettamente confon<strong>di</strong>bile con l’originale il cane non riconosce se stesso<br />
e non è più capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere i confini delle cose, confondendo in tal modo unic<strong>it</strong>à e<br />
alter<strong>it</strong>à.<br />
Nella I. 12, invece, l’immagine che il fons offre al cervus superbus è una effigies, termine che<br />
evidenzia non solo e non tanto la somiglianza, quanto l’aspetto superficiale ed esteriore<br />
dell’immagine.<br />
Infatti, l’apparenza della duplicazione conduce il cane ad un’errata valutazione quant<strong>it</strong>ativa<br />
(l’uno viene scambiato per due), mentre porta il cervo ad un’errata valutazione qual<strong>it</strong>ativa (il<br />
dannoso è elogiato e l’utile <strong>di</strong>sprezzato).<br />
Il cervo, a <strong>di</strong>fferenza del cane della favola, non confonde l’immagine <strong>di</strong> sé con quella <strong>di</strong> un<br />
altro cervo, quin<strong>di</strong> riconosce l’unic<strong>it</strong>à, ma giustappone comunque i due piani del vero e del<br />
f<strong>it</strong>tizio, irret<strong>it</strong>o non dalla somiglianza della copia, ma dalla sua parvenza.<br />
14 Cfr. Esopo, Favole, 185, p. 188, a cura <strong>di</strong> C. BENEDETTI, Milano, 2004.<br />
7
Effingo, (dalla cui ra<strong>di</strong>ce proviene il sostantivo effigies), è verbo tecnico del riprodurre, del<br />
r<strong>it</strong>rarre, utilizzato spesso per in<strong>di</strong>care l’atto del p<strong>it</strong>tore o dello scultore, cioè <strong>di</strong> artefici e<br />
creatori <strong>di</strong> imagines in cui, chiaramente, la forma coincide con l’essenza.<br />
Ciò che il cervo vede riflettersi sulle placide acque della fonte è una effigies, ovvero sia una<br />
immagine <strong>di</strong> sé, una im<strong>it</strong>azione della realtà che il cervo rappresenta. Questi contempla il sol<strong>it</strong>o<br />
doppio che, essendo in grado <strong>di</strong> offrire oggetto <strong>di</strong> osservazione esclusivamente all’occhio<br />
(vi<strong>di</strong>t, v. 4), finisce per essere caratterizzato da una parzial<strong>it</strong>à tale da determinare un errore <strong>di</strong><br />
giu<strong>di</strong>zio che condurrà il cervo alla rovina.<br />
“Nella favola del cervo alla fonte c’è quasi uno sdoppiamento del personaggio che ammira le<br />
proprie corna e poi riconosce il proprio errore.” 15<br />
Diversamente da La Penna, non credo si tratti <strong>di</strong> uno sdoppiamento interno al personaggio che<br />
formula due giu<strong>di</strong>zi opposti, dal momento che questo rimane unico poiché si ricrede solo<br />
dopo aver esper<strong>it</strong>o la debolezza della prima valutazione. La duplicazione investe invece con<br />
più forza l’esterior<strong>it</strong>à del personaggio, la sua imago o una sua parte: le corna e le zampe, <strong>di</strong><br />
cui lo speculum agevola una falsa lettura.<br />
L’illusione forn<strong>it</strong>a dallo specchio è nuovamente un’illusione visiva: l’apparenza dell’effigies<br />
inganna colui che la osserva, dal momento che il cervo si inorgoglisce alla vista delle corna<br />
poderose (ramosa mirans laudat cornua, v. 5) e <strong>di</strong>sprezza le esili zampe, ma, mentre queste<br />
lo servono lealmente <strong>nella</strong> fuga dai cani da caccia, quelle sigillano la sua morte.<br />
[...]<br />
per campus fugere coep<strong>it</strong> et cursu levi<br />
canes elus<strong>it</strong>. Silva tum excep<strong>it</strong> ferum,<br />
in qua retentis impe<strong>di</strong>tus cornibus<br />
lacerari coep<strong>it</strong> morsibus saevis canum.<br />
Si mise a scappare per i campi e con rapida corsa sfuggì ai cani. Poi l’animale fu accolto dal<br />
bosco, dove le sue corna si impigliarono, e così, trattenuto, fu sbranato a poco a poco dai<br />
morsi feroci dei cani.<br />
(Fabulae, I, 12, 8-11, trad. G. Solimano)<br />
La favola segnala quanto sia sottile il confine tra la realtà e la sua immagine, quanto sia<br />
relativa la bontà del giu<strong>di</strong>zio dell’uomo che, sovente, incapace <strong>di</strong> scendere <strong>nella</strong> profon<strong>di</strong>tà<br />
dell’essenza, rimane in superficie per la sua leggerezza, e si <strong>di</strong>mostra inadeguato a <strong>di</strong>stinguere<br />
la natura reale <strong>di</strong> ciò che la vista coglie parzialmente.<br />
Perciò, quanto Nøjgaard afferma sul problema dell’impenetrabil<strong>it</strong>à dell’apparenza e<br />
dell’inafferrabil<strong>it</strong>à della <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> 16 , comune a tutti gli uomini, forse esime da una totale condanna<br />
il cervo, ma non la sua condotta imprudente:<br />
“[...] la mort du cerf, qui est pour Esope la confirmation d’une stupi<strong>di</strong>té inexcusable, est loin de<br />
signifier sa condamnation totale.” 17<br />
La stessa morte cruenta del personaggio, però, avvisa il lettore della sua colpa. Il<br />
riconoscimento finale dell’errore lo salva forse dall’acre<strong>di</strong>ne del biasimo, ma non dalla<br />
rovinosa punizione. Sebbene sia lo specchio l’artefice della duplicazione ingannevole, la<br />
responsabil<strong>it</strong>à del successo del mascheramento viene con<strong>di</strong>visa con la v<strong>it</strong>tima, la cui colpa è<br />
assai più grave agli occhi del poeta, perché, affidandosi soltanto al fainovmenon, non riesce<br />
ad afferrare la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> finché, scontrandosi con essa, non la riconosce a caro prezzo.<br />
«O me infelicem! qui nunc demum intellego<br />
15 A. LA PENNA, Introduzione a <strong>Fedro</strong>. Favole, c<strong>it</strong>., p. XLIV-XLV.<br />
16 “Partout Phèdre en arrive à la conclusion que la connaissance de l’homme va rarement au-delà de l’apparence<br />
qui empêche de connaître la nature vér<strong>it</strong>able des choses.”, in M. NØJGAARD, op. c<strong>it</strong>., p. 184.<br />
17 M. NØJGAARD, op. c<strong>it</strong>., p. 98.<br />
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utilia mihi quam fuerint quae despexeram,<br />
et quae laudaram quantum luctus habuerint.»<br />
«Me infelice! Solo ora capisco quanto mi siano state utili le cose che <strong>di</strong>sprezzavo, e quanto<br />
danno mi abbiano recato quelle che lodavo.»<br />
(Fabulae, I, 12, 13-15, trad. G. Solimano)<br />
♦ La duplicazione del fraudator<br />
Lo specchio è per eccellenza l’agente inanimato naturale della duplicazione, il cui<br />
mascheramento, favor<strong>it</strong>o dall’avventatezza delle v<strong>it</strong>time, è sempre pos<strong>it</strong>ivo, cioè sortisce<br />
sempre buon es<strong>it</strong>o.<br />
Tuttavia, il mascheramento della duplicazione può essere impiegato anche da un personaggio<br />
a pieno t<strong>it</strong>olo, il quale lo sperimenta su <strong>di</strong> sé o su altri.<br />
Un simile mascheramento, più in generale, può essere riscontrato in tutti i fraudatores,<br />
laddove costoro, attraverso l’inganno, la parola adulatoria e la menzogna, si facciano portatori<br />
<strong>di</strong> una <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> contraffatta, costruendo soprattutto per se stessi una seconda ident<strong>it</strong>à talmente<br />
verosimile da persuadere la v<strong>it</strong>tima designata della sua verace essenza.<br />
Questo è possibile solo sdoppiandosi in modo da offrire un doppio pos<strong>it</strong>ivo <strong>di</strong> sé che, sul<br />
piano puramente f<strong>it</strong>tizio, muti <strong>di</strong> segno la negativ<strong>it</strong>à delle intenzioni reali dell’ingannatore.<br />
Ciononostante, il primo esempio <strong>di</strong> fraudator <strong>di</strong> cui tratteremo non fa onore alla categoria, la<br />
cui condotta è sopra esemplificata, poiché il suo progetto si esaurisce nello sdoppiamento e si<br />
<strong>di</strong>mostra privo <strong>di</strong> conseguenze così come <strong>di</strong> motivazioni.<br />
Nella fabula 28 App. Perottina (Lepus et bubulcus) il bifolco compie una duplicazione <strong>di</strong> se<br />
stesso: dopo aver stipulato un accordo col lepus garantendogli protezione dal cacciatore in<br />
avvicinamento, <strong>di</strong>sattende senza rimorsi il foedus.<br />
Tuttavia il suo tra<strong>di</strong>mento non è totale: la sua voce tiene fede al patto, ma i suoi gesti lo<br />
infrangono:<br />
Iamque venator sequens:<br />
«Quaeso, bubulce, numquid huc ven<strong>it</strong> lepus?»<br />
«Ven<strong>it</strong>, sed abi<strong>it</strong> hac ad laevam;» et dexteram<br />
demonstrat nutu partem. Venator c<strong>it</strong>us<br />
non intellex<strong>it</strong> seque e conspectu abstul<strong>it</strong>.<br />
Ecco già lì il cacciatore che la inseguiva: «Dimmi, bifolco, è per caso venuta qui una lepre?»<br />
«Sì, ma se ne è andata per <strong>di</strong> qua, a sinistra;» e con un cenno in<strong>di</strong>ca la destra. Il cacciatore,<br />
per la fretta che aveva, non capì e sparì dalla vista.<br />
(Fabulae, Appen<strong>di</strong>x Perottina, 28, 6-10, trad. G. Solimano)<br />
Lo sdoppiamento si effettua su due piani.<br />
Innanzi tutto con la biforcazione <strong>di</strong> vox e nutus che, sebbene appartenenti al medesimo<br />
personaggio, obbe<strong>di</strong>scono a scelte e modal<strong>it</strong>à comportamentali opposte: la voce mente,<br />
tenendo fede al patto concordato; il gesto <strong>di</strong>ce la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> tradendo la fides della lepre (abi<strong>it</strong>…ad<br />
laevam; et dexteram / demonstrat, v. 8-9).<br />
Ma questo è solo lo sdoppiamento superficiale che sottintende uno sdoppiamento più<br />
profondo. Infatti, si vengono a creare due bifolchi: uno, leale e fidato, che è quello esistente<br />
<strong>nella</strong> mente del leprotto e nato dal mascheramento che il bovaro fa <strong>di</strong> se stesso; l’altro, quello<br />
vero, ma inaffidabile e rozzo, mer<strong>it</strong>evole dell’appellativo <strong>di</strong> bubulcus (v. 4, 7) <strong>nella</strong> sua<br />
accezione spregiativa, quella <strong>di</strong> zotico e incivile, perché pronto a contravvenire alle norme<br />
silenti della convivenza, a violare la fides e a trasgre<strong>di</strong>re il foedus.<br />
Egli preleva dalla realtà l’informazione della <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> fuga della lepre attraverso gli occhi<br />
(visu, v. 2) e per mezzo degli stessi la comunica al cacciatore. La conoscenza che il bubulcus<br />
tenta <strong>di</strong> passargli è una conoscenza trasmissibile attraverso la vista, <strong>di</strong>fatti è proprio contro gli<br />
oculi perfi<strong>di</strong> (v. 14) che il leprotto in<strong>di</strong>rizza tutto il suo biasimo finale e, tenendo conto dello<br />
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sdoppiamento, separa le due versioni <strong>di</strong> una stessa indole, quella vera e la sua maschera,<br />
ringraziando la lingua (v. 12) fidelis e maledendo la perfi<strong>di</strong>a degli occhi.<br />
Tunc sic bubulcus: «Ecquid est gratum tibi,<br />
quod te celavi?» «Linguae prorsus non nego<br />
habere atque agere maximas me gratias;<br />
verum oculis ut priveris opto perfi<strong>di</strong>s.»<br />
Allora il bifolco: «Mi sei grata per averti tenuta nascosta?» «Certo non nego <strong>di</strong> essere grata<br />
alla tua lingua e <strong>di</strong> doverla ringraziare moltissimo; ma quanto ai tuoi occhi tra<strong>di</strong>tori mi<br />
auguro che ti si accechino.»<br />
(Fabulae, Appen<strong>di</strong>x Perottina, 28, 11-14, trad. G. Solimano)<br />
Benché simulatosi patronus della lepre, il bubulcus si rivela fraudator. All’immagine<br />
truffatrice proposta si sost<strong>it</strong>uisce rapidamente la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> e il bifolco emerge in tutta la sua<br />
inett<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne. Il suo inganno non solo fallisce miseramente perché il messaggio visivo che esso<br />
vuole comunicare non viene recep<strong>it</strong>o dal suo cieco interlocutore, ma si manifesta anche come<br />
un progetto senza alcun potenziale guadagno o interesse per il suo ideatore, quin<strong>di</strong> senza la<br />
giustificazione <strong>di</strong> necess<strong>it</strong>à.<br />
La duplicazione che il fraudator compie su un altro personaggio è un tipo <strong>di</strong> mascheramento<br />
in cui soggetto e oggetto cessano <strong>di</strong> coincidere, <strong>di</strong>versamente da quanto accade <strong>nella</strong><br />
duplicazione <strong>di</strong> sé. Non<strong>di</strong>meno, conformemente a tutte le duplicazioni, si viene a creare un<br />
binomio copia-originale in cui <strong>Fedro</strong> inserisce anche la coppia ant<strong>it</strong>etica Ver<strong>it</strong>à-Menzogna,<br />
trattando della quale introduce il tema della somiglianza fra le due personificazioni e accentua<br />
così il problema dell’impossibile conoscenza della <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> e del labile confine tra questa e i<br />
suoi innumerevoli doppi.<br />
Nella favola 5 App. Perottina, Prometheus et Dolus, <strong>Fedro</strong> compone una narrazione<br />
eziologica in<strong>di</strong>cando nell’eroe civilizzatore Prometeo, saeculi figulus novi (v. 1), l’artefice<br />
della <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> e nel suo aiutante Inganno il figulus della menzogna.<br />
Tanto l’opera <strong>di</strong> Prometeo quanto quella furtiva e sovversiva <strong>di</strong> Dolus (operis furtivi labor, v.<br />
20) vengono sugger<strong>it</strong>e dal verbo fingere, <strong>di</strong> cui il termine figulus, che designa il ruolo svolto<br />
da Prometeo e ne marca l’ident<strong>it</strong>à, è omora<strong>di</strong>cale.<br />
Esso attiene al medesimo campo semantico <strong>di</strong> effigies, evidenziando l’atto del plasmare e del<br />
riprodurre artisticamente, del dare una forma per antonomasia.<br />
Anche l’atto creativo <strong>di</strong> Dolus è segnalato dal verbo fingere (v. 9) che in<strong>di</strong>ca non solo l’azione<br />
del modellare, ma anche quella della contraffazione.<br />
Inganno plasma una immagine verosimile (simulacrum facie pari, v. 7) della <strong>ver<strong>it</strong>à</strong>, anche se<br />
esclusivamente sul piano della facies e dell’aspetto esteriore, il cui tratto ident<strong>it</strong>ario è la<br />
simil<strong>it</strong>udo (v. 14).<br />
La statua <strong>di</strong> Mendacium è presentata come un simulacrum, un’immagine dell’originale<br />
Ver<strong>it</strong>as, e il termine contiene in sé tutta la valenza che l’aggettivo similis (v. 8) gli ha infuso.<br />
Il mascheramento si verifica nel momento in cui Dolus tenta <strong>di</strong> annullare ogni <strong>di</strong>vers<strong>it</strong>à e<br />
confine tra il doppio e l’originale, allorché, in altre parole, la somiglianza dell’immagine<br />
perturba le facoltà intellettive dell’osservatore per essere scambiata per la <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> <strong>di</strong> cui è la<br />
copia.<br />
Infatti il lemma aggettivale unus (v. 8) ha tutta la pregnanza semantica <strong>di</strong> un’uniform<strong>it</strong>à che<br />
giunge all’immedesimazione, all’eliminazione della <strong>di</strong>stinzione, al mascheramento della<br />
duplicazione stessa che aspira ad essere interpretata come unico oggetto in sost<strong>it</strong>uzione della<br />
realtà <strong>di</strong> cui è il riflesso.<br />
Persino agli occhi del magister la statua <strong>di</strong> Inganno è assolutamente simile alla vera:<br />
Mirans Prometheus tantam simil<strong>it</strong>u<strong>di</strong>nem,<br />
propriae videri volu<strong>it</strong> artis gloriam.<br />
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Prometeo, guardando meravigliato tanta grande somiglianza, volle che si vedesse la<br />
superior<strong>it</strong>à della propria arte.<br />
(Fabulae, Appen<strong>di</strong>x Perottina, 5, 14-15, trad. G. Solimano)<br />
La simil<strong>it</strong>u<strong>di</strong>ne, tuttavia, non può supplire alla mancanza <strong>di</strong> completezza che l’immagine<br />
accusa. Non si deve <strong>di</strong>menticare che Mendacium nasce da un atto eversivo <strong>di</strong> Dolus, il quale<br />
non rispetta l’or<strong>di</strong>ne gerarchico che lo lega al maestro Prometeo. In<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> tale infrazione è il<br />
metus da cui Inganno è assal<strong>it</strong>o (metu turbatus in suo se<strong>di</strong>t loco, v. 13): spinto dalla paura,<br />
egli r<strong>it</strong>orna frettolosamente all’interno della sua sfera <strong>di</strong> competenza.<br />
Prometeo riafferma la propria superior<strong>it</strong>à e ristabilisce l’or<strong>di</strong>ne verticale dei ruoli puntando<br />
sulla vista (mirans, v. 14; videri, v. 15). Infatti, la vista degli occhi e quella della mente sono il<br />
veicolo attraverso cui il mascheramento viene non solo attivato, ma anche spesso <strong>di</strong>svelato.<br />
Non è sufficiente la presenza della Ver<strong>it</strong>as a smascherare l’inganno, ma serve che essa sia ben<br />
visibile e risvegli quelle stesse facoltà che la menzogna intorpi<strong>di</strong>sce.<br />
Ver<strong>it</strong>as è stata modellata in tutta la sua interezza, mentre a Dolus mancò il tempo <strong>di</strong> plasmare<br />
i pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> Mendacium (defec<strong>it</strong> pedes, v. 11).<br />
[…]<br />
modesto gressu sancta incess<strong>it</strong> Ver<strong>it</strong>as;<br />
at trunca species haes<strong>it</strong> in vestigio.<br />
[…] la santa Ver<strong>it</strong>à avanzò con passo modesto, mentre la figura mutila rimase immobile sul<br />
posto.<br />
(Fabulae, Appen<strong>di</strong>x Perottina, 5, 18-19, trad. G. Solimano)<br />
Mendacium è defin<strong>it</strong>o trunca species, cioè immagine incompleta, <strong>di</strong>fettosa, in rapporto alla<br />
perfetta pienezza del suo modello, la cui assenza <strong>di</strong> mancanze lo eleva ad una con<strong>di</strong>zione<br />
veneranda (sancta, v. 18).<br />
L’assenza <strong>di</strong> pie<strong>di</strong> su cui il simulacrum <strong>di</strong> Menzogna possa poggiarsi allude all’infondatezza<br />
<strong>di</strong> qualsiasi inganno. Come la sua statua, anche ogni altra menzogna è priva <strong>di</strong> una base <strong>di</strong><br />
<strong>ver<strong>it</strong>à</strong> cui affidare la sua apparenza effimera e vaga, non possiede un sostegno che le <strong>di</strong>a<br />
facoltà <strong>di</strong> movimento.<br />
Se Mendacium si determina come simillimum doppio della Ver<strong>it</strong>as, come sua falsa imago (v.<br />
20), foriera <strong>di</strong> inganno in relazione alla sua somiglianza esteriore con essa, è possibile<br />
affermare che lo stesso legame intercorrente tra <strong>ver<strong>it</strong>à</strong> e menzogna congiunga anche i due<br />
rispettivi auctores: Prometeo e Inganno.<br />
La coppia protagonista-antagonista riduce i lim<strong>it</strong>i <strong>di</strong> demarcazione fino ad annullarli.<br />
Il figulus ver<strong>it</strong>atis è anche il primo ingannatore, e la sua arte è da Esiodo 18 defin<strong>it</strong>a dolivh<br />
tevcnh (v. 540, 547, 555, 560).<br />
L’arte <strong>di</strong> Prometeo è in<strong>di</strong>viduata come arte <strong>di</strong> inganno, la sua tevcnh è la tevcnh <strong>di</strong> Inganno.<br />
Prometeo è il magister Doli con tutta la carica ambigua che tale t<strong>it</strong>olo reca con sé; egli è<br />
anche l’alter ego <strong>di</strong> Inganno, il suo doppio. La dual<strong>it</strong>à che si riscontra nel suo essere<br />
contemporaneamente figulus ver<strong>it</strong>atis e magister doli si ramifica ulteriormente <strong>nella</strong><br />
caratteristica <strong>di</strong> duplice fraudator, <strong>di</strong> trickster doppio, sovversivo e salvatore. 19<br />
Ciò in<strong>di</strong>ca inequivocabilmente che la più celebre figura <strong>di</strong> fraudator m<strong>it</strong>ico possiede la<br />
doppiezza come tratto principale della sua natura, al pari <strong>di</strong> ogni inganno che si rispetti e,<br />
ancora <strong>di</strong> più, come ogni mascheramento.<br />
18 Esiodo, Teogonia, a c. G. ARRIGHETTI, Milano, 2004.<br />
19 “I think […] of Prometheus, the ambiguous figure whose deeds are both crimes (notably, a theft) from the<br />
viewpoint of the gods and heroic acts of salvation for men. […] Prometheus is the ultimate example of the<br />
duplic<strong>it</strong>y of trickster: criminal and savior, guilty and heroic, impure and sacred, antagonist and me<strong>di</strong>ator.”, in C.<br />
GROTTANELLI, c<strong>it</strong>., p. 135.<br />
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