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Shabat Shirà Parashat <strong>Beshalach</strong> - Yud Shvat, Tu Bishvat 13 Shvat 5769, 7 Febbraio 2009 N. <strong>93</strong><br />
SPECIALE YUD SHVAT RIASSUNTO BATI LEGANI<br />
Yud Shvat è il giorno della <strong>di</strong>partita<br />
del Rebbe precedente, Rabbi Yosef<br />
Yitzchak Shneerson, (1950) e il giorno<br />
in cui il Rebbe accettò la carica<br />
<strong>di</strong> leader (1951).<br />
In quell'occasione il Rebbe pronunciò<br />
un <strong>di</strong>scorso molto profondo<br />
"Bati Legani Achoti Kalà - sono<br />
venuto nel mio giar<strong>di</strong>no mia sorella<br />
mia sposa". Questo titolo è una<br />
frase tratta dal Cantico dei Cantici<br />
(5,1), in cui D-o si rivolge al popolo<br />
d'Israele con un amore paragonabile<br />
a quello <strong>di</strong> uno sposo, e annuncia<br />
del Suo ritorno nel Proprio giar<strong>di</strong>no<br />
(il mondo).<br />
Riportiamo <strong>di</strong> seguito un riassunto <strong>di</strong> quel <strong>di</strong>scorso.<br />
L'essenza della Shechinah (la presenza <strong>di</strong> D-o) si è rivelata<br />
inizialmente nel mondo materiale. Per tale motivo, il<br />
fine ultimo della creazione è la realizzazione del desiderio<br />
<strong>di</strong> D-o <strong>di</strong> avere, nel nostro mondo, una Sua <strong>di</strong>mora.<br />
Come si può costruire una <strong>di</strong>mora per D-o in questo<br />
mondo? Soggiogando i propri istinti e la propria natura<br />
alla volontà <strong>di</strong> D-o (questo viene definito il servizio <strong>di</strong>vino),<br />
l'in<strong>di</strong>viduo dà inizio alla costruzione della <strong>di</strong>mora. E<br />
attraverso tale servizio, l'uomo è in grado <strong>di</strong> portare la<br />
luce <strong>di</strong> D-o nel nostro mondo materiale e rivelarla.<br />
IL SACRIFICIO DEL PROPRIO CUORE<br />
Il Rebbe prosegue spiegando che, per essere in grado <strong>di</strong><br />
piegare la propria volontà a D-o, è necessario un lavoro<br />
<strong>di</strong> raffinamento, assimilabile a quello dei sacrifici offerti<br />
nel Beth HaMikdash (Tempio <strong>di</strong> Gerusalemme). Quando<br />
un animale veniva sacrificato, scendeva un fuoco dal cielo<br />
e consumava il sacrificio. Questo è ciò che deve avvenire<br />
nel cuore dell'uomo: la sua parte più incline alla materialità<br />
(identificata nella Hasidut come anima animale)<br />
deve, grazie all'intensità dell'amore (assimilato ad un<br />
fuoco) per D-o, raffinarsi e salire sempre più <strong>di</strong> livello,<br />
avvicinandosi alla spiritualità.<br />
LO SPIRITO DI FOLLIA<br />
Talvolta accade che l'uomo sia in preda ad uno "spirito <strong>di</strong><br />
follia" che lo induce a desiderare la materialità, ad indebolirne<br />
la sensibilità per il Divino e l'apprezzamento dei<br />
valori della Torah. In tali momenti l'uomo non è in grado<br />
<strong>di</strong> comprendere a fondo le gravi conseguenze del mancato<br />
rispetto delle Mizvot, che porta fino all'allontanamento<br />
e alla separazione da D-o. Non bisogna però perdersi<br />
d'animo: questo "spirito <strong>di</strong> follia" può intaccare l'anima<br />
<strong>di</strong>vina dell'uomo, ma non potrà mai cancellare il<br />
legame dell'ebreo con D-o, né intaccarne l'essenza.<br />
MASHIACH È ALLE PORTE<br />
Il Rebbe in quel <strong>di</strong>scorso afferma che la nostra è la settima<br />
generazione, l'ultima della <strong>di</strong>aspora e la prima della<br />
Gheulà, la redenzione. A prescindere dalla nostra volontà<br />
o dalla nostra preparazione spirituale, questo periodo è<br />
quello che precede la venuta del Mashiach, momento in<br />
cui tutto il mondo <strong>di</strong>verrà una "<strong>di</strong>mora per D-o".<br />
www.<strong>Pensieri</strong><strong>di</strong>Tora.it<br />
EDITORIALE<br />
Saranno in pochi a non riconoscere,<br />
nel titolo dell’e<strong>di</strong>toriale, lo<br />
slogan utilizzato da Barack Obama<br />
durante la sua corsa presidenziale.<br />
Slogan che, a detta <strong>di</strong><br />
molti, lo ha portato alla vittoria.<br />
“Yes we can”, significa letteralmente<br />
“sì, noi possiamo”. Barack<br />
Obama ha fatto leva sul desiderio<br />
della sua nazione <strong>di</strong> cambiare.<br />
In situazioni<br />
negative, spesso,<br />
l’unica cosa<br />
che può riattivare<br />
il motore,<br />
mentale o economico,<br />
è la<br />
speranza che il<br />
domani sarà<br />
meglio <strong>di</strong> oggi.<br />
Ma sperare non<br />
basta, bisogna darsi da fare. Per<br />
questo motivo, una volta eletto,<br />
il neo presidente degli Stati Uniti<br />
ha aggiunto una seconda parte<br />
allo slogan: “Yes We Will!”. Ossia:<br />
“Sì, noi ce la faremo!”. La forza<br />
del pensiero positivo e le infinite<br />
possibilità <strong>di</strong> rinnovamento che<br />
esso offre, sono ormai note.<br />
Quello che talvolta sfugge è che,<br />
il pensiero in sé, seppure positivo,<br />
non porta alcun risultato concreto.<br />
Per poter ottenere qualcosa<br />
bisogna sicuramente trovare<br />
la forza interiore per iniziare, ma<br />
poi…E’ necessario mettere in<br />
atto azioni concrete. Altrimenti il<br />
pensiero positivo rimarrà uno dei<br />
tanti buoni propositi che arredano<br />
la nostra mente. La Torah ci<br />
insegna che lo hamachshavà ikar<br />
elà hamaasè , non è il pensiero la<br />
In Memoria <strong>di</strong> Reizi Rodal ה ” ע<br />
YES WE CAN! YES WE WILL?<br />
Se hai dei consigli o delle idee da dare, non esitare a contattarci,<br />
chiama il 329-8044073 o manda un e-mail a RavRonnie@<strong>Pensieri</strong><strong>di</strong>Tora.it<br />
ה“<br />
ב<br />
cosa principale, ma l’azione. Gli<br />
ebrei volevano uscire dall’Egitto.<br />
Hanno persino mostrato una fede<br />
incrollabile in Moshè e già<br />
questo poteva essere considerato<br />
un merito sufficiente per poter<br />
essere salvati, pensando al lungo<br />
periodo che avevano trascorso in<br />
schiavitù. Ma D-o ha chiesto loro<br />
un’azione, un atto <strong>di</strong>mostrativo<br />
che <strong>di</strong>chiarasse:<br />
“Yes,<br />
we will”, crederemodavvero<br />
in Te, Do!<br />
E ha comandato<br />
agli<br />
ebrei <strong>di</strong> sacrificare,davanti<br />
al loro oppressore,davanti<br />
agli egiziani, l’agnello, il<br />
loro animale sacro, la loro <strong>di</strong>vinità.<br />
L’essere ebrei richiede sì una<br />
buona dose <strong>di</strong> pensiero positivo,<br />
<strong>di</strong> capacità <strong>di</strong> vedere la luce al <strong>di</strong><br />
là del buio, <strong>di</strong> trovare il buono in<br />
ogni cosa. Ma questo non basta.<br />
All’ebreo è richiesto <strong>di</strong> far seguire<br />
al pensiero, l’azione. Di realizzare<br />
concretamente i propri buoni<br />
propositi. Di <strong>di</strong>mostrare, agendo,<br />
<strong>di</strong> avere fede in D-o. Quando un<br />
ebreo osserva lo shabat, mangia<br />
kasher, mette i tefilin o accende<br />
le candele <strong>di</strong> shabat, sta <strong>di</strong>chiarando:<br />
“Yes we will!”, D-o credo<br />
davvero in Te.<br />
Di Gheula Canarutto Nemni<br />
Orari <strong>di</strong> Shabat:<br />
Roma: 17:12 18:15<br />
Milano: 17:18 18:24
BOTTA E RISPOSTA<br />
LA TRIBÙ DI LEVÌ<br />
Domanda: Come mai la tribù <strong>di</strong> Levì<br />
non è stata schiavizzata?<br />
Risposta: Non è scritto esplicitamente<br />
nella <strong>Torà</strong> che la tribù <strong>di</strong> Levi non<br />
sia stata schiavizzata. Tuttavia, rabbi<br />
Yehoshua ben Levì afferma che così è<br />
scritto nel Midrash Tanchumà (Vaerà<br />
6).<br />
Rashì (Esodo 5,4) deduce questa realtà<br />
come scontata dal fatto che Aharòn<br />
fu libero <strong>di</strong> andare incontro a Moshé<br />
e che entrambi erano liberi <strong>di</strong> andare<br />
e venire a piacere, perfino per<br />
incontrare il Faraone. Come sarebbe<br />
stato possibile per loro girare liberamente<br />
se la loro tribù fosse stata soggetta<br />
ai lavori forzati? Piuttosto, siccome<br />
la tribù <strong>di</strong> Levì era una classe sacerdotale,<br />
gli egiziani <strong>di</strong>edero loro<br />
una libertà assoluta.<br />
Perfino allora la tribù <strong>di</strong> Levì fungeva<br />
da punto <strong>di</strong> riferimento morale per gli<br />
israeliti. Ci sono numerose spiegazioni<br />
su come questo li salvò dalla schiavitù,<br />
eccone alcune:<br />
a. Il Faraone era consapevole del fatto<br />
che alla fine sarebbe stato punito per<br />
aver schiavizzato il popolo ebraico;<br />
permettendo ai Leviti <strong>di</strong> continuare a<br />
stu<strong>di</strong>are la <strong>Torà</strong> <strong>di</strong> Hashèm e a servir-<br />
Lo, egli sperava <strong>di</strong> risparmiarsi la punizione<br />
(Gur Aryè, Esodo 5, 4).<br />
b. Perfino il Faraone comprendeva la<br />
necessità che ogni nazione abbia le<br />
sue guide spirituali, pertanto permise<br />
alla tribù <strong>di</strong> Levì <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>re la tra<strong>di</strong>zione<br />
del suo popolo (Rabenu Bachya<br />
e Nachaminde, Esodo 5, 4).<br />
c. Yaakov <strong>di</strong>sse ai suoi figli che la tribù<br />
<strong>di</strong> Levì meriterà <strong>di</strong> trasportare l’Arca e<br />
il resto del Tabernacolo nel deserto.<br />
Quando il Faraone iniziò a indurre la<br />
gente al lavoro, essa si presentò volontariamente;<br />
il lavoro <strong>di</strong>venne obbligatorio<br />
solamente in uno sta<strong>di</strong>o<br />
successivo. I Leviti erano consci del<br />
loro scopo particolare e pensarono<br />
che le spalle che sarebbero state usate<br />
per trasportare l’Arca <strong>di</strong> D-o non<br />
avrebbero dovuto trasportare i mattoni<br />
del Faraone. Pertanto, dal mo-<br />
mento che non iniziarono<br />
a lavorare per il Faraone<br />
volontariamente,<br />
non furono soggetti alla<br />
schiavitù successiva<br />
LA TAVOLA DI SHABAT<br />
LA FEDE DELLE DONNE<br />
“E Miriàm la profetessa... prese il tamburello in mano<br />
e tutte le donne la seguirono con tamburelli e balli. E<br />
Miriam le chiamò: “Cantate per D-“ (Esodo 15, 20-<br />
21)”. Il canto è una preghiera. È altresì l’impegno ad<br />
elevarci al <strong>di</strong> sopra delle grettezze della vita e a riavvicinarci<br />
alle ra<strong>di</strong>ci. Il Midràsh riporta <strong>di</strong>eci momenti<br />
significativi nella storia d’Israele marcati da inni <strong>di</strong><br />
lo<strong>di</strong>: il primo risuonò nella notte in cui gli israeliti furono<br />
liberati dall’'Egitto (Isaia 30,29), seguito dal Cantico<br />
del Mare (Esodo 15,1-21). La serie si conclude<br />
con il celebre Shir Hashirìm - Cantico dei Cantici composto<br />
dal Re Salomone. Il decimo, prosegue il Midràsh,<br />
si chiamerà Shir Chadàsh - Canto Nuovo e sarà<br />
emesso in onore della Salvezza definitiva, la Gheulà<br />
che cancellerà per l’eternità le sofferenze e l’o<strong>di</strong>o<br />
dalla faccia della terra, quin<strong>di</strong> degna <strong>di</strong> una melo<strong>di</strong>a<br />
nuova.<br />
IL CANTO DEL MARE<br />
Il Canto del Mare, dopo il passaggio del Yam Suf -<br />
Mar Rosso, occupa certamente uno spazio preponderante:<br />
esso viene recitato ogni giorno nella preghiera<br />
mattutina ed è letto in pubblico due volte all’anno, a<br />
Pesach e a Shabbàt Shirà. Questo inno riveste due<br />
caratteri, uno femminile e uno maschile. Gli uomini<br />
lodarono accoratamente Hashèm, grati della Sua<br />
misericor<strong>di</strong>a. Indubbiamente. Ma mancava qualcosa.<br />
Un aspetto che solo la <strong>di</strong>mensione femminile poteva<br />
apportare. E che solo Miriàm, sorella maggiore <strong>di</strong><br />
Mosè, testimone <strong>di</strong> tutte le pene patite dal suo popolo<br />
in Egitto, era in grado <strong>di</strong> esprimere. Solo lei, tramite<br />
quella viscerale sensibilità materna (e fraterna),<br />
vide e toccò concretamente la reale crudeltà<br />
dell’esilio.<br />
LA FEDE DI MIRIAM<br />
Questa donna nascosta dallo spessore dei canneti,<br />
che sorveglia la culla <strong>di</strong> Mosè galleggiante sul Nilo,<br />
ritenendosi responsabile <strong>di</strong> quel lattante come, peraltro,<br />
<strong>di</strong> tutti gli altri, fiduciosa nella Liberazione, perseverante<br />
nell’incitare i suoi prossimi a procreare e a<br />
non abbattersi nonostante l’afflizione della schiavitù,<br />
evoca l’immagine <strong>di</strong> un’altra matriarca, <strong>di</strong>screta e<br />
mite ma significativa: Rachele. Il profeta Geremia <strong>di</strong>chiarò<br />
che Rachele, nel suo solitario sepolcro a Bet<br />
Lechem (Betlemme), versa costantemente amare<br />
lacrime per il martirio dei suoi figli. È lei, ancor più dei<br />
patriarchi, a provare un lancinante dolore per il suo<br />
popolo. L’intensità dei sentimenti femminili nonché<br />
la loro forza e tenacia conducono, al termine delle<br />
angustie, ad una gioia altrettanto immensa. Per tale<br />
ragione, si enfatizzano nelle Scritture i balli e i canti <strong>di</strong><br />
Miriàm e delle sue sorelle.<br />
LA REDENZIONE PER MERITO DELLE DONNE<br />
Rav Itzchak Lurià ( l’Ari Zal) rivelò che la generazione<br />
della Gheulà sarà la reincarnazione della generazione<br />
che uscì dall’Egitto. E oggi, pronti a varcare la soglia<br />
della Liberazione, sono <strong>di</strong> nuovo le donne, animate<br />
da una fede irremovibile, che condurranno la melo<strong>di</strong>a<br />
della Redenzione.<br />
(likutè sichot )<br />
(Chizkuni e Da’at<br />
Z’keinim, Esodo 5,4).<br />
Rav Menachem Posner<br />
per gentile concessione<br />
<strong>di</strong> Chabad.org<br />
LA GHEULÀ<br />
PRIMA DELL’ARRIVO DI MASHIACH<br />
Il momento che D-o ha destinato ad<br />
essere quello nel quale si verificherà<br />
la redenzione messianica non ci è<br />
stato rivelato. Ciononostante, ci sono<br />
stati in<strong>di</strong>cati numerosi segni grazie ai<br />
quali siamo in grado <strong>di</strong> riconoscere il<br />
suo avvicinarsi: quando certe con<strong>di</strong>zioni<br />
vengono sod<strong>di</strong>sfatte possiamo<br />
attenderci l’imminente venuta del<br />
Moshiach.<br />
La maggior parte <strong>di</strong> queste con<strong>di</strong>zioni<br />
sono piuttosto preoccupanti, poiché<br />
descrivono una situazione da<br />
“fondo del pozzo”.<br />
Una fonte autorevole le descrive nei<br />
seguenti termini: aumento<br />
dell’insolenza e dell’impu<strong>di</strong>cizia;<br />
un’inflazione gravissima; irresponsabilità<br />
totale da parte delle autorità;<br />
centri <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o che si trasformano in<br />
case <strong>di</strong> malaffare; guerre; miserabili<br />
allo sbando che nessuno aiuta; la sapienza<br />
imputri<strong>di</strong>sce e la verità viene<br />
abbandonata; il giovane insulta il vecchio<br />
e le famiglie si spezzano tra recriminazioni<br />
reciproche; governi arroganti.<br />
Quando ve<strong>di</strong> una generazione sopraffatta<br />
dai problemi come da un fiume in<br />
piena, spera in lui… (Talmud Sanhedrìn<br />
98a).<br />
Quando ve<strong>di</strong> le nazioni farsi guerra<br />
l’una contro l’altra, atten<strong>di</strong> la venuta<br />
del Moshiach (Bereshìt Rabbà 42, 4).<br />
Tuttavia, gli sconvolgimenti e<br />
l’agonia delle chevlé Moshiach<br />
(doglie del Moshiach) non sono inevitabili:<br />
Cosa può fare una persona per evitare<br />
le doglie del Moshiach? Si occupi <strong>di</strong> <strong>Torà</strong><br />
e <strong>di</strong> atti <strong>di</strong> carità. (Talmud Sanhedrìn<br />
98b).<br />
Inoltre, anche segni positivi e propizi<br />
possono in<strong>di</strong>care la sua imminente<br />
venuta: notevole prosperità, il rinnovarsi<br />
dello stu<strong>di</strong>o della <strong>Torà</strong>, l’aprirsi<br />
delle porte della sapienza in alto e<br />
delle sorgenti della sapienza in basso<br />
evidenziate anche da scoperte scientifiche<br />
e da sviluppi tecnologici importanti;<br />
il manifestarsi e il <strong>di</strong>ffondersi<br />
degli insegnamenti mistici della <strong>Torà</strong>;<br />
inoltre quando il Moshiach si rivelerà,<br />
molti segni e miracoli accadranno nel<br />
mondo.<br />
Tratto dal libro "Il Messia",<br />
pubblicato dalla Lulav
In onore <strong>di</strong> Yud Shvat, giorno della <strong>di</strong>partita<br />
del Rebbe precedente, e dell’accettazione<br />
della carica da parte del Rebbe riportiamo<br />
questo racconto.<br />
I gal<br />
Kasher<br />
e Nechama erano una coppia <strong>di</strong> Israeliani,<br />
trasferitasi in America, nel Minnesota.<br />
Cresciuti in kibbùz, modesti e tranquilli,<br />
essi avevano trasmesso il loro carattere<br />
sereno anche ai loro figli, Eitàn e Michàl.<br />
A casa loro regnava un’atmosfera <strong>di</strong><br />
pace e <strong>di</strong> gioia. Tutto ciò fino ad uno strano<br />
giorno, in cui l’i<strong>di</strong>llio fu spezzato. Nechama<br />
fu colpita all’improvviso da un impeto <strong>di</strong><br />
follia, in cui perse il controllo delle sue azioni.<br />
Il fatto durò per non più <strong>di</strong> un’ora, dopo<br />
<strong>di</strong> che tutto tornò alla norma, come se nulla<br />
fosse accaduto. Da allora, ogni qualche<br />
giorno, Nechama perdeva il controllo <strong>di</strong> sé,<br />
per una-due ore. Nechama non capiva cosa<br />
le stesse succedendo. Durante gli attacchi,<br />
ella sentiva come se qualcosa, una forza<br />
estranea, la spingesse a comportarsi in modo<br />
così strano, e non era in suo potere fermare<br />
questo processo. Le cose arrivarono<br />
al punto tale, che era <strong>di</strong>ventato pericoloso<br />
per i bambini trovarsi da soli a casa con lei,<br />
dato che nei momento critici il suo comportamento<br />
<strong>di</strong>ventava violento. Nechama<br />
era completamente scoraggiata, e così anche<br />
Igal ed i figli. Nessun dottore era riuscito<br />
a capire cosa provocasse gli attacchi,<br />
che, nel frattempo, erano <strong>di</strong>ventati sempre<br />
più frequenti.<br />
Di giorno in giorno la situazione in casa,<br />
l’armonia famigliare si deterioravano. In<br />
casa, era ormai Igal a doversi occupare <strong>di</strong><br />
STORIA<br />
CIBI KASHER PER UNA BUONA SALUTE<br />
tutto. Fu allora, che Nechama sentì parlare<br />
<strong>di</strong> Rav Friedmann, l’inviato locale del Rebbe<br />
<strong>di</strong> Lubavich. Le fu raccontato quanto egli<br />
fosse una persona saggia e generosa, che<br />
aveva già aiutato molte persone in <strong>di</strong>fficoltà,<br />
in <strong>di</strong>versi campi. Nechama si recò da lui,<br />
spiegandogli la situazione e riversandogli<br />
davanti tutto il suo dolore. Rav Friedmann<br />
chiarì <strong>di</strong> non essere un dottore, né <strong>di</strong> essere<br />
dotato <strong>di</strong> particolari poteri. “Quello che sì -<br />
egli <strong>di</strong>sse - io sono un chassìd, inviato del<br />
Rebbe <strong>di</strong> Lubavich, che si trova a New York,<br />
ed è a lui che conviene rivolgersi. Lui può<br />
aiutarvi.” Con l’aiuto <strong>di</strong> rav Friedmann, Nechama<br />
scrisse una lettera al Rebbe. La risposta<br />
non tardò ad arrivare. Il Rebbe scrisse<br />
che, se la famiglia fosse stata molto attenta<br />
a mangiare ed a bere solamente cibi<br />
e bevande kasher, Nechama sarebbe uscita<br />
da quella <strong>di</strong>fficile con<strong>di</strong>zione.<br />
Nechama si aggrappò alla ‘me<strong>di</strong>cina’ del<br />
Rebbe, come un naufrago ad un asse <strong>di</strong><br />
salvataggio. Ella cominciò a stu<strong>di</strong>are con<br />
<strong>di</strong>ligenza tutto ciò che riguarda la kasherùt<br />
(le regole alimentari Ebraiche), argomento<br />
<strong>di</strong> cui non immaginava la complessità, con<br />
l’aiuto della moglie <strong>di</strong> rav Friedmann. Dopo<br />
alcuni giri <strong>di</strong> compere, una guida pratica<br />
nella cucina stessa e molto incoraggiamento,<br />
Nechama riuscì ad apprendere le regole<br />
necessarie. In breve tempo, la cucina fu<br />
resa kashèr, e Nechama trasformò il menù<br />
famigliare, che da allora fu composto solamente<br />
da cibi kashèr. Igal non vide <strong>di</strong> buon<br />
occhio tutto ciò. Egli non credeva che il<br />
passaggio ad una conduzione alimentare<br />
kashèr potesse risolvere la strana malattia<br />
della moglie. Quel che, soprattutto, egli<br />
temeva, però, era che il rispetto della kasherùt<br />
avrebbe portato, poi, all’osservanza<br />
<strong>di</strong> altre mizvòt, fino a ritrovarsi, alla fine,<br />
una famiglia <strong>di</strong> religiosi ortodossi, ‘gente’<br />
dalla quale egli era scappato per tutta la<br />
sua vita…<br />
Un giorno che Igal sedeva con gli amici,<br />
cercando <strong>di</strong> <strong>di</strong>strarsi dai problemi <strong>di</strong> casa,<br />
egli sentì raccontare da uno <strong>di</strong> loro <strong>di</strong> una<br />
vecchia donna, non ebrea, che leggeva il<br />
futuro e operava pro<strong>di</strong>gi e portenti. Si aprì<br />
una <strong>di</strong>scussione tra <strong>di</strong> loro, se la cosa potesse<br />
essere vera o no. Igal, intanto, aveva deciso<br />
comunque <strong>di</strong> andare da lei. Chissà che<br />
non avesse ricevuto un consiglio migliore<br />
<strong>di</strong> quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare ‘religioso’!<br />
L’indomani stesso, Igal si recò dalla vecchia<br />
donna. Egli spiegò la <strong>di</strong>fficile situazione<br />
famigliare e le chiese un consiglio. La vecchia<br />
lo guardò e poi gli chiese: “Non sei,<br />
forse, Ebreo?” Igal annuì, con un cenno del<br />
capo. “In questo caso – continuò la donna –<br />
perché non ti rivolgi al grande rabbino degli<br />
Ebrei, che sta a New York? Lui aiuta tutti<br />
gli Ebrei ed il suo potere è molto più grande<br />
del mio. Perché non vai da lui?” Igal rimase<br />
a bocca aperta. Si pizzicò per controllare<br />
<strong>di</strong> non stare dormendo o vaneggiando.<br />
Una risposta simile, proprio non se<br />
l’aspettava. “Ci siamo già rivolti a lui – rispose<br />
Igal, con voce incerta, quasi balbettando<br />
– Ci ha detto <strong>di</strong> osservare la kasherùt.” A<br />
questo punto, la vecchia non riuscì più a<br />
capire Igal. “Se ti sei già rivolto a quel rabbino<br />
Ebreo, non capisco proprio cosa tu faccia<br />
qui. Se lui ti <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> fare qualcosa, quella<br />
è la cosa migliore che può aiutarti!” Igal<br />
cercò le parole per spiegare alla donna,<br />
quanto lei non avesse idea <strong>di</strong> come fosse<br />
complicato rispettare le regole della kasherùt,<br />
ed in genere tutte le questioni religiose.<br />
Le parole, però, gli si fermarono in gola.<br />
Il futuro della sua famiglia <strong>di</strong>pendeva<br />
dall’osservanza della kasherùt, e lui si poneva<br />
il dubbio se conveniva o no…<br />
Igal tornò a casa, annunciando alla moglie,<br />
che si sarebbe associato a lei, in tutto<br />
ciò che riguardava il rispetto della kasherùt.<br />
Di fatto, dopo poco tempo, gli attacchi <strong>di</strong><br />
Nechama sparirono in modo miracoloso, e<br />
la loro vita tornò a scorrere in modo sereno<br />
e tranquillo. Chi entra oggi a casa loro, non<br />
può non imbattersi nel grande ritratto del<br />
Rebbe, appeso nel salone. Questa è l’unica<br />
testimonianza silenziosa del <strong>di</strong>fficile passato<br />
trascorso, ora scomparso, come se non<br />
fosse mai esistito.<br />
Mina Gordon N’Shei Chabad<br />
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IN FAMIGLIA<br />
VINCERE LA BATTAGLIA, MA PERDERE LA GUERRA<br />
“A<br />
lla fine ce l’ho fatta” mi <strong>di</strong>sse significa che siamo talmente sottomes-<br />
fieramente un mio amico si al nostro ego e alle nostre opinioni,<br />
dopo aver battuto in una che spesso <strong>di</strong>mentichiamo i valori più<br />
<strong>di</strong>scussione un nostro amico comune. importanti, e finiamo così per perdere<br />
“Non ci proverà più con me”, aggiunse. più <strong>di</strong> quanto guadagniamo.<br />
“Non sei felice anche tu per me?”<br />
“Cosa avrei<br />
Visto che non sapevo bene <strong>di</strong> cosa<br />
dovuto<br />
stesse parlando, gli chiesi maggiori<br />
fare?” mi<br />
dettagli. Mi apparve quin<strong>di</strong> chiaro che,<br />
chiese il<br />
nonostante avesse vinto la battaglia, il<br />
mio amico.<br />
mio amico aveva perso la guerra. In<br />
“Non mi<br />
questo caso specifico, aveva vinto la<br />
sembrava<br />
<strong>di</strong>sputa ma aveva anche perso un ami-<br />
che fosse<br />
co.<br />
una questione<br />
<strong>di</strong><br />
Gli riferii il seguente proverbio: “È la<br />
egocentri-<br />
nostra rabbia che ci fa entrare in una<br />
smo, ero<br />
<strong>di</strong>scussione, ed è il nostro ego che ci<br />
convinto<br />
tiene lì”. Gli in<strong>di</strong>vidui sono portati a<br />
che mi sta-<br />
continuare a <strong>di</strong>scutere su certi argovo<br />
battendo per una questione <strong>di</strong> prinmenti<br />
anche quando questi hanno oracipio!”<br />
Gli <strong>di</strong>e<strong>di</strong> quin<strong>di</strong> il seguente conmai<br />
già perso importanza. Lo fanno<br />
siglio: “Quando hai una <strong>di</strong>sputa con<br />
per il gusto <strong>di</strong> avvalorare le proprie<br />
qualcuno, è cosa saggia interpellare<br />
teorie, e per <strong>di</strong>mostrare <strong>di</strong> essere i vin-<br />
almeno tre fra i tuoi amici”.<br />
citori della <strong>di</strong>scussione, più che per<br />
<strong>di</strong>mostrare che l’altro aveva torto. Ma Ovviamente, le persone a cui ti rivolgi<br />
<strong>di</strong> solito quello che perde <strong>di</strong> più, è pro- dovrebbero essere ben informate della<br />
prio colui che pensa <strong>di</strong> essere il questione; del resto, non andresti mai<br />
“vincitore”.<br />
a chiedere un consiglio finanziario a un<br />
commerciante che è appena andato in<br />
Come <strong>di</strong>sse il più saggio tra gli uomini,<br />
fallimento, oppure a sollecitare<br />
re Salomone: “Senza strategie una na-<br />
un parere su relazioni interpersonali a<br />
zione è destinata a cadere, ma la sal-<br />
un conoscente asociale.<br />
vezza sta nel buon consiglio dei molti”<br />
(Proverbi 11,14). Secondo me, ciò Inoltre, dovrebbero essere amici il cui<br />
LA PENNA DELL’ANIMA<br />
La lingua è la penna del cuore, il<br />
canto quella dell’anima.<br />
DAL POZZO PIÙ PROFONDO<br />
SCINTILLE IL CANTO<br />
Il canto ha la forza <strong>di</strong> estrarre<br />
l’uomo dal pozzo più profondo.<br />
TRE TIPI DI CANTI<br />
Esistono tre tipi <strong>di</strong> canti:<br />
Un canto stupido<br />
quello che non ha alcun significato.<br />
Un canto <strong>di</strong> preghiera<br />
quello che esce dalla me<strong>di</strong>tazione.<br />
Un canto chassi<strong>di</strong>co<br />
Quello che porta alla me<strong>di</strong>tazione.<br />
L MASTER DEI CUORI<br />
Ogni serratura ha la sua chiave.<br />
Esiste però quella che le<br />
apre tutte. Questa è il canto<br />
(che apre tutti i cuori).<br />
LEGAME MELODIOSO<br />
Quando si ascolta o si canta<br />
una melo<strong>di</strong>a, ci si lega a colui<br />
che l’ha composta.<br />
ELEVA L’ANIMA<br />
Nel mondo chassi<strong>di</strong>co, il nigun<br />
(melo<strong>di</strong>a chassi<strong>di</strong>ca) è<br />
uno strumento basilare nel<br />
servizio <strong>di</strong> D-o, si canta nel<br />
mezzo della preghiera, o si<br />
può vedere un chassid che<br />
canta seduto a riflettere. Il<br />
nigun eleva l’anima.<br />
L’ANGOLO DELL’ HALACHÀ<br />
ego non sia coinvolto nella questione<br />
e che non abbiano avuto precedenti<br />
<strong>di</strong>verbi con la persona con cui stai <strong>di</strong>scutendo,<br />
altrimenti in questa situazione<br />
il loro giu<strong>di</strong>zio sarebbe parziale.<br />
Non meno importante è il fatto che<br />
debbano essere amici sinceri, che ti<br />
vogliano bene al punto <strong>di</strong> <strong>di</strong>rti ciò<br />
che tu hai bisogno <strong>di</strong> sentire, invece <strong>di</strong><br />
ciò che tu vuoi sentire.<br />
Ricorda che chiedere un consiglio non<br />
è un segno <strong>di</strong> debolezza da parte tua<br />
ma, al contrario, in<strong>di</strong>ca che sei abbastanza<br />
forte per capire che non sei prefetto<br />
e che, proprio perché sei così coinvolto<br />
emotivamente, hai bisogno <strong>di</strong><br />
un suggerimento obiettivo e imparziale.<br />
Sebbene inizialmente sembri piacevole<br />
avere la meglio in un <strong>di</strong>battito, in<br />
verità questo lascia sempre un retrogusto<br />
amaro: colui che “vince” è contemporaneamente<br />
la persona che ne esce<br />
con più per<strong>di</strong>te. Il mio amico dovrebbe<br />
me<strong>di</strong>tare se è pronto a pagare il prezzo<br />
<strong>di</strong> perdere un amico per il frivolo e breve<br />
piacere <strong>di</strong> vincere la battaglia.<br />
Traduzione <strong>di</strong> Daniel Raccah<br />
Di Rav Yaakov Lieder,<br />
Www.Chabad.org<br />
REGOLE DI TU BISHVAT (9 Febbraio)<br />
Tu bishvat è il capodanno degli alberi non<br />
si <strong>di</strong>ce il tachanun (suppliche <strong>di</strong> perdono) poiché<br />
“l’uomo è come l’albero del campo” e<br />
quin<strong>di</strong> la festa degli alberi porta gioia anche<br />
all’uomo.<br />
Si usa mangiare dei frutti dell’albero su cui<br />
si recita la bene<strong>di</strong>zione “borè perì haetz” in<br />
particolare le sette specie d’Israele (grano,<br />
orzo, uva, fichi, melagrane, olive e datteri).<br />
Questi sette frutti vengono riportati nella<br />
<strong>Torà</strong> secondo un or<strong>di</strong>ne d’importanza. Questo<br />
or<strong>di</strong>ne va quin<strong>di</strong> seguito anche nella loro consumazione.<br />
1. Grano (pane e torte)<br />
2. Olive<br />
3. Orzo<br />
4. Datteri<br />
5. Uva<br />
6. Fichi<br />
7. Melagrane<br />
Sul resto della frutta si dà la priorità al frutto<br />
che piace <strong>di</strong> più.<br />
Responsabile: Rav Ronnie Canarutto. Hanno collaborato: P. Bahbout, M. Bentolila, G. Nemni, D. Cohenca, S. Canarutto