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Dispensa Casa Bianca.qxd - Cineforum del Circolo

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La gara cacciatore-cacciato è condotta con perizia da un regista tedesco, che pur<br />

inserito per la prima volta in un set hollywoodiano dopo i trionfi europei di U-<br />

Boot 9 e La storia infinita supera in scaltrezza spettacolare i colleghi americani.<br />

Wolfgang Petersen non inventa. Dal supermarket <strong>del</strong>l’immaginario cinematografico<br />

prende quel che gli occorre e lo manipola con tale prontezza da far<br />

sembrare la singolar tenzone fra Eastwood e Malkovich tutt’altro che risaputa. Il gioco,<br />

insomma, funziona che è un piacere e ci dà anche l’illusione di percorrere le segrete stanze<br />

<strong>del</strong> potere. In contemporanea assistiamo allo show <strong>del</strong> presidente americano, che ubbidisce<br />

a una sceneggiatura già scritta nelle parate e negli incontri con i “supporter”. Intorno a lui,<br />

i burattinai. Palesi come i consiglieri o occulti al modo <strong>del</strong> cacciatore che proprio nel finale<br />

sarà beffato dal cacciato.<br />

(Francesco Bolzoni: Avvenire, 29 settembre 1993)<br />

Non manca nulla al film diretto dal regista Wolfgang Pertersen: il grande spettacolo,<br />

la personalità degli interpreti, scavata man mano nei risvolti più privati, una<br />

bella collega (Rene Russo) che prova <strong>del</strong>la simpatia per il protagonista, e persino<br />

una certa aria romantica, da film anni Quaranta, nella gara a distanza tra il<br />

poliziotto e l’assassino per un premio molto alto: la vita <strong>del</strong> Presidente degli Stati<br />

Uniti. Eastwood è una leggenda, un gigante forte e alto: era indispensabile mettergli di<br />

fronte un cattivo di pari importanza, e John Malkovich si conferma a sua volta un gigante,<br />

anche se d’altro tipo.<br />

(Alfio Contelli: Il Giornale, 28 settembre 1993)<br />

Nel centro <strong>del</strong> mirino offre tutto quello che ci si aspetta di trovare in un ottimo<br />

film d’azione, con <strong>del</strong>le scene sorprendenti, un finale acrobatico e pseudo-hitchcockiano<br />

e qualche battuta crepuscolare perfetta per Eastwood con quelle sue<br />

belle rughe da antico americano. In coppia con Malkovich, attore diverso e altrettanto<br />

straordinario nell’impersonare in chiave di disincantata ironia il suo personaggio<br />

di maniaco pericoloso, Eastwood è il punto di forza di quest’avventura spettacolare<br />

dal risvolto amaro. Basta vederlo mentre, seduto sotto la statua di Lincoln, mangia un<br />

gelato rimpiangendo di non essere al suo servizio.<br />

(Alessandra Levantesi: La Stampa, 26 settembre 1993)<br />

In the Line of Fire è narrativamente più omogeneo. Anche qui c’è un duello a distanza<br />

che, però, scava più a fondo nei personaggi e ha un malinconico retrogusto<br />

etico politico. Qual è il dubbio che il torvo e sagace Mitch Leary che progetta<br />

un attentato all’attuale “viaggiatore” <strong>del</strong>la <strong>Casa</strong> <strong>Bianca</strong> insinua in Frank<br />

Horrigan, anziano agente dei servizi, tormentato dal senso di colpa per non<br />

essere riuscito, trent’anni prima, a proteggere John F. Kennedy a Dallas? E’ una domanda:<br />

ne vale ancora la pena? C’è tutta una realtà dietro quella domanda: il disincanto verso la<br />

politica, la caduta degli ideali, la cresciuta sfiducia sulla mediocrità dei potenti. E’ una partita<br />

a distanza, dove il proteiforme Malkovich, classe 1953, gioca all’attacco e il monocorde<br />

Eastwood, classe 1930, in difesa. Sulla scia <strong>del</strong>la dinosauromania un critico americano ha<br />

trovato per Eastwood una definizione che avrei voluto inventare io: Clintosaurus Rex.<br />

Attraverso la contrapposizione di due personaggi il film diventa un confronto tra due stili<br />

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