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N° 2 - Febbraio 2008 - Giovane Holden Edizioni

N° 2 - Febbraio 2008 - Giovane Holden Edizioni

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<strong>N°</strong> 2 - <strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong>


GIOVANE HOLDEN<br />

EDIZIONI sas<br />

Casa editrice<br />

e agenzia di servizi culturali<br />

Rivista multimediale<br />

di distribuzione gratuita<br />

scaricabile dal sito:<br />

www.giovaneholden.it<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - Anno 1 - <strong>N°</strong> 2<br />

Direttore responsabile<br />

Emiliana Erriquez<br />

Direttore editoriale<br />

Miranda Biondi<br />

Coordinamento di redazione<br />

Marco Palagi<br />

Segretaria di redazione<br />

Maria Lenci<br />

Contributi di:<br />

Nicola Sartini, Monica Campolo,<br />

Katia Giuliani, Giusy Scerri,<br />

Emiliana Erriquez, Simone Guidi,<br />

Carlo Lazzari, Luca Bresciani,<br />

Monica Santucci, Lisa Maria Nicoletti<br />

Mail rivista: isolitignoti@giovaneholden.it<br />

Editore<br />

<strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong> <strong>Edizioni</strong> © sas<br />

Issn: registrazione in corso<br />

Direzione e redazione<br />

Via Rosmini, 22<br />

55049 - Viareggio (Lu)<br />

Tel e Fax: 0584-963517<br />

Skype: giovaneholdenedizioni<br />

www.giovaneholden.it<br />

holden@giovaneholden.it<br />

Copertina<br />

Elaborazione grafica di Marco Palagi<br />

Gli articoli firmati sono sotto la completa responsabilità dei rispettivi Autori.<br />

Testi, disegni e foto, pubblicati o no, non saranno restituiti. Tutte le<br />

collaboraizoni della rivista, ad ogni livello, avvengono a titolo gratuito. I dati<br />

riportati nella presente pubblicazione non possono essere riprodotti neppure<br />

parzialmente, sotto alcuna formula, senza la preventiva autorizzazione di<br />

<strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong> <strong>Edizioni</strong> sas. La <strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong> <strong>Edizioni</strong> non si assume<br />

nessuna responsabilità sulle notizie e sui dati pubblicati che sono stati forniti<br />

dai singoli collaboratori. Parimenti, pur assicurando la massima diligenza<br />

nella realizzazione, declina ogni responsabilità per eventuali omissioni e/o<br />

sostituzioni dei dati riportati. Le immagini presenti, se non diversamente<br />

indicato, sono state prese da internet e quindi valutate di pubblico dominio.<br />

Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione,<br />

non avranno che da segnalarlo alla redazione che provvederà prontamente<br />

alla rimozione delle immagini utilizzate.<br />

La riproduzione di testi, illustrazioni, testate di rubrica o altro sono vietate<br />

senza l’autorizzazione scritta dell’editore e dei rispettivi autori.<br />

Wanted<br />

La <strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong> <strong>Edizioni</strong> nasce<br />

dall’idea di due versiliesi, Miranda<br />

Biondi e Marco Palagi.<br />

Entrambi editor, lei appassionata<br />

di poesia, lui di cinema e<br />

scrittura. Marco navigatore provetto<br />

in internet, grafico di spiccata<br />

bravura, Miranda sensibile al suono<br />

segreto delle parole, sempre intensamente<br />

coinvolta in mille progetti diversi.<br />

Il nostro desiderio è quello di creare una<br />

agenzia culturale che abbinata ad una casa<br />

editrice dal profilo umano instauri un<br />

filo diretto tra chi opera per lavoro in<br />

campo editoriale e chi di questo mondo si sente qualcosa<br />

in più di un satellite senza diritto ad un’opinione.<br />

Insomma se avete un’idea da realizzare, un<br />

libro da pubblicare che vo- lete anche promuovere<br />

attivamente e in prima per- sona, se volete un editore<br />

che non stramazza al suolo e si rintana nel suo ufficio<br />

se passate all’improvviso, la <strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong> <strong>Edizioni</strong><br />

fa al caso vostro.<br />

Amo percorrere la quiete dell’ombra, respirare frammenti di<br />

azzurro che rimandano a nostalgie ed emozioni disperse. Scrivo<br />

la vita per sentirne<br />

l’anima e talvolta confondo<br />

l’inquietudine<br />

con l’illusione di essere<br />

io stessa un sogno che vive di ali di luce nerissima dimenticata<br />

in questa dimensione irreale dalla penna distratta di uno<br />

scrittore...<br />

Le parole sono fatte per gli altri, per raccontare gli altri e<br />

per sé stessi e non per descrivere un fiacco procacciatore e<br />

affabulatore di storie come me. In ogni poesia, racconto<br />

o romanzo che sia c’è<br />

tutto quello che un let-<br />

Marco<br />

Miranda<br />

tore può desiderare di<br />

sapere su di me, quindi<br />

non chiedetemi altro perché le mie parole<br />

sono l’unica cosa che possiedo...<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

2


Editoriale<br />

Se mi ami regalami il tuo DNA…<br />

Pareva una mitica scena da CSI, lui e lei in un laboratorio<br />

di analisi chimiche, una dottoressa in camice<br />

bianco e l’attrezzatura ad hoc per effettuare il test del<br />

DNA.<br />

Un regalo di San Valentino inusuale, ma interessante<br />

secondo la giornalista che ne parlava in un servizio su<br />

Canale 5.<br />

Mi sono incuriosita e ho provato a girovagare su<br />

internet. Ho scoperto così che San Valentino o no,<br />

chiunque può farsi un regalo davvero particolare semplicemente<br />

cliccando sul sito The Genographic Project,<br />

della National Geographic.<br />

Con 126,50 $ ci spediscono a casa un kit per farsi il<br />

test del DNA (praticamente il batuffolino di cotone da<br />

sfregare all’interno della bocca, come su CSI appunto<br />

ma niente Grissom…). Poi basta inviare il batuffolino<br />

e quelli del National Geographic ci faranno il test,<br />

spedendo successivamente via internet i risultati: video<br />

personalizzato, spiegazioni sul nostro codice genetico e<br />

soprattutto una mappa che ricostruisce gli spostamenti<br />

degli antenati. Certo, non si parla di genitori, nonni o<br />

bisnonni ma di antenati vecchi di generazioni. Grazie<br />

al DNA, infatti, ricostruiranno il nostro ramo di discendenza<br />

fino ad arrivare a dove la scienza attualmente<br />

permette. Ovviamente di volta in volta che si faranno<br />

nuove scoperte, soprattutto raccogliendo i codici di<br />

molte persone, i risultati verranno aggiornati.<br />

Nonostante il tema del codice genetico e della sua<br />

archiviazione sia per forza di cose legato a questioni delicatissime<br />

(etica, privacy, controllo della popolazione,<br />

solo per citarne alcuni), il Genographic Project dà la<br />

possibilità di scegliere se donare alla scienza il DNA<br />

oppure tenerlo strettamente riservato.<br />

Personalmente, prendendo a prestito e parafrasando<br />

un famoso spot televisivo no Grissom no DNA…<br />

Miranda Biondi<br />

II ed. Premio Letterario<br />

<strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong><br />

è partita la seconda edizione del Premio Letterario<br />

<strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong>, dopo lo straordinario<br />

successo dell’edizione 2006 torna con una novità,<br />

l’aggiunta di una nuova sezione dedicata<br />

ai romanzieri.<br />

Ecco nel dettaglio le sezioni:<br />

A. romanzo (fino a 400.000 caratteri, spazi<br />

inclusi).<br />

B. racconto (massimo 18.000 caratteri,<br />

spazi inclusi);<br />

C. poesia (da 1 a 3 liriche per un massimo<br />

di 50 versi);<br />

Le quote di partecipazione: per sezione A 13,00<br />

€, per le sezioni B e C 8,00 €;<br />

è possibile partecipare a tutte e tre le sezioni.<br />

Sono ammesse esclusivamente opere inedite<br />

(cioè mai pubblicate) scritte in lingua italiana<br />

e che non siano mai risultate tra le prime tre<br />

posizioni di altri premi letterari.<br />

SCADENZA 22 MARZO <strong>2008</strong><br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

3


Sommario<br />

Quarto potere<br />

6/7 UN LIBRO DELLA GIOVANE HOLDEN<br />

Non chiedermi perché di Monica Santucci<br />

Appesa alla mia mano che scrive di Francesca Pasquinucci<br />

8 UN LIBRO DI NARRATIVA CONTEMPORANEA<br />

Neve di Maxence Fermine<br />

9 UN LIBRO DI POESIA CONTEMPORANEA<br />

Mario Luzi<br />

10 RECENSIONE DI MUSICA 17<br />

Viaggio in ocremix.org<br />

Speciale<br />

11 DENTRO LA MASCHERA<br />

Rubriche<br />

17 PAROLE DI STREGA<br />

Riflessioni di strega - Allora sarà così semplice dirlo<br />

18 IL PICCOLO POPOLO<br />

Giocando si impara<br />

20 JAZZ<br />

Chicago - 1° parte<br />

22 LADY THRILLER<br />

Niente baci alla francese di Paolo Roversi<br />

23 POESIA<br />

Spalanco le porte, eppur non cerco quel che trovo<br />

24 L’ANGOLO DEL TRADUTTORE<br />

La donna che tradusse <strong>Holden</strong><br />

Inedito<br />

26 RACCONTO<br />

Maschere in festa all’Antica Quercia... non mancare<br />

Arsenio Lupin Gallery<br />

28 LA DAMA CHE AVREBBE POTUTO CAMBIARE<br />

LE SORTI DI CAMELOT<br />

La dama di Shallot<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

9<br />

8<br />

4


A lezione di...<br />

30 PRESENTAZIONE DI LIBRI<br />

Leggende e tradizioni<br />

34 LA LEGGENDA DI SAN VALENTINO<br />

Criminologia<br />

36 I VERI CSI<br />

22<br />

36<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

34<br />

11<br />

5<br />

28


Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e<br />

232 pp - € 10,00<br />

Collana: Battitore libero<br />

ISBN: 978-88-95214-43-6<br />

<strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong> <strong>Edizioni</strong><br />

Acquistabile sul sito<br />

www.giovaneholden-shop.it<br />

Un libro della <strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong><br />

Non chiedermi perché<br />

La sirena di un’ambulanza mi riporta alla realtà, a<br />

quelle esagonali mattonelle bianche di fronte a me. Le<br />

mie mani rimaste ferme a mollo, riprendono vita, sciacquano<br />

l’ultimo piatto, meccanicamente.<br />

Ho finito. Piatti, posate, bicchieri, tutto a formare<br />

una pila luccicante.<br />

Tolgo il tappo. L’acqua unta inizia a vorticare. Lo<br />

scarico la inghiotte.<br />

Dove andrà.<br />

Se andasse verso il mare, libera e felice, potrei seguirla.<br />

Farmi piccola piccola… scivolare dentro al tubo…<br />

Cosa sarebbe stato di noi se avessimo fatto anche<br />

solo una scelta diversa?<br />

Per Sara, la protagonista del romanzo, il tempo<br />

pare fermarsi, darle una seconda occasione. E lei si<br />

abbandona come in un sogno a un amore mai dimenticato,<br />

si lascia travolgere dal desiderio, si ritrova<br />

viva come lava incandescente. Finché la realtà la costringe<br />

a fare i conti con la parte più intima e vulnerabile<br />

della sua anima.<br />

Potente ritratto di una ironica, solare donna-bambina<br />

al centro di una toccante vicenda sentimentale.<br />

Un romanzo sull’amore, un romanzo sulla verità,<br />

un romanzo sull’indipendenza, Non chiedermi perché<br />

è tutto questo ma anche molto di più. Un libro in cui<br />

ogni donna ritrova un frammento di se stessa, uno<br />

straordinario coro di voci, di volta in volta tenere o<br />

dolenti, disperate o allegre.<br />

Una storia appassionante, che riscopre nell’amore<br />

la forza originaria dell’esistenza, narrata con determinazione<br />

e sensibilità.<br />

alla quarta di copertina<br />

MONICA SANTUCCI<br />

L’autrice è nata a Viareggio, dove vive con la sua famiglia.<br />

Non chiedermi perché è il suo primo romanzo.<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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Un libro della <strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong><br />

Appesa alla mia mano<br />

che scrive<br />

Fin dalla scelta del titolo, che suggerisce l’immagine di<br />

un esperimento di “scrittura automatica”, l’idea base<br />

della immediatezza del componimento poetico emerge<br />

con prepotenza.<br />

La giovane Autrice sembrerebbe escludere se stessa,<br />

dichiarandosi estranea al concepimento lirico per considerarsi<br />

una sorta di “medium” che presta la propria<br />

mano alla Poesia proveniente da “altrove”; che poi questo<br />

“altrove” risieda nella sensibilità di Francesca è fuor<br />

di dubbio: ne danno prova le quasi cinquanta poesie<br />

che compongono questa sua prima silloge.<br />

Sono versi sciolti, fluidi, nei quali ricorrono frequenti<br />

i riferimenti alla musica, al mondo del cinema, al lavoro<br />

del teatro. I versi sono sempre pervasi da un senso<br />

giocoso e gioioso della vita, sia quando giocando,<br />

appunto, con le parole - parole in libertà, oseremmo<br />

dire - diventano spericolati “funambolismi”, sia quando,<br />

più intimisti, non rinunciano comunque mai al<br />

sorriso (sai quant’è potere / far ridere / una persona?)<br />

attingendo alla sempre colma tasca sfondata di pensieri,<br />

per tendere con passione ed entusiasmo alla non<br />

sempre facile ispirazione creativa, la sacra poetica tranquillità,<br />

/ fatta di sofferenza atroce / e sofferenza felice. Se<br />

talvolta, infine, vi incontriamo una lacrima, non è mai<br />

un pianto dovuto alla disperazione ma a un crogiolarsi<br />

improvviso di felicità.<br />

(dalla prefazione di Marcella Malfatti)<br />

dalla quarta di copertina<br />

96 pp - € 8,00<br />

Collana: Versi di segale<br />

ISBN: 978-88-95214-53-5<br />

<strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong> <strong>Edizioni</strong><br />

Acquistabile sul sito<br />

www.giovaneholden-shop.it FRANCESCA PASQUINUCCI<br />

Francesca Pasquinucci nasce a Viareggio nel 1983, città in cui<br />

vive tuttora. Laureata in Storia del Teatro presso l’Università di<br />

Pisa, coltiva dalla nascita una grandissima passione per la musica<br />

che la porta poi a trovare un collegamento con tutta l’arte<br />

in generale, dal teatro al cinema, dalla pittura alla video arte.<br />

Dal suo grande amore per gli anni ’60 prendono vita il suo terzo spettacolo<br />

teatrale e la sua “quasi” big band, entrambi sotto il nome di Revolution.<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

7


“Yuko Akita aveva due passioni. L’haiku. E la neve”.<br />

E sono proprio questi due elementi i protagonisti indiscussi<br />

del romanzo di Maxence Fermine. Un romanzo<br />

breve quanto delicato e chiaro, proprio come la neve.<br />

Yuko Akita è un giovane poeta figlio di un monaco scintoista,<br />

che avrebbe desiderato vederlo monaco e guerriero<br />

e che non riesce inizialmente ad accettare la volontà del<br />

figlio di fare della poesia la sua vita. L’haiku diventa il<br />

centro d’interesse unico di Akita che celebra il candore e la<br />

bellezza della neve, che dà inoltre il titolo all’opera. Sarà<br />

l’incontro con un vecchio poeta a sconvolgere la vita di<br />

Yuko e la sua concezione di poesia, qualcosa che lo porterà<br />

lontano dalla sua famiglia ma che gli permetterà di scoprire<br />

il mistero che si cela dietro un haiku. Un misterioso<br />

poeta pittore di nome Soseki, rimasto cieco per l’amore di<br />

una donna bellissima, scomparsa in circostanze misteriose.<br />

Il vecchio poeta rimarrà legato alla donna, in modo indissolubile,<br />

anche dopo la sua morte,<br />

attraverso l’arte della poesia.<br />

Celebrando la bellezza ideale<br />

dell’anima scoprì la quintessenza<br />

dell’arte. E sarà proprio questa<br />

candida figura femminile,<br />

delineata con delicatezza come<br />

una statua antica, a legare i<br />

destini di Yuko e Soseki. Un intrecciarsi<br />

di incontri impenetrabili<br />

tra i ghiacciai delle montagne<br />

giapponesi e di poesia, una<br />

poesia chiara come la neve.<br />

Questo breve romanzo si<br />

legge tutto d’un fiato, assaporando<br />

parola per parola la<br />

raffinatezza con cui Maxence<br />

Fermine costruisce il periodo<br />

sintattico, mai complesso e<br />

mai forzato. La poeticità dello<br />

stile è evidente, poiché si basa<br />

oltre che su rapporti di contiguità<br />

logica, su procedimenti<br />

metaforici, di sostituzione e somiglianza. Per non parlare<br />

poi della fluidità del ritmo di lettura e delle molteplici<br />

affinità foniche, che rendono il complesso come un<br />

armonioso poemetto all’interno del romanzo stesso.<br />

Maxence Fermine non poteva trovare un modo migliore<br />

per introdurre il lettore<br />

nell’onirica e visionaria<br />

dimensione della poesia<br />

Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r eNeve<br />

Un libro di narrativa contemporanea<br />

haiku. Il genere<br />

poetico è ancora<br />

poco conosciutonell’universo<br />

letterario<br />

italiano, forse<br />

per le specifiche<br />

difficoltà che<br />

si incontra nel<br />

comprendere<br />

questo tipo di<br />

poesia concentrata<br />

in un solo<br />

attimo, più vicina quindi all’universo del Sol Levante.<br />

Ma Fermine ce lo dipinge in modo sublime, permettendo<br />

l’avvicinamento di un pubblico più vasto:<br />

Un mattino, il rumore della brocca dell’acqua che si<br />

spacca fa germogliare nella testa una goccia di poesia, risveglia<br />

l’animo e gli conferisce la sua bellezza. É il momento<br />

di dire l’indicibile. É il momento di viaggiare senza<br />

muoversi. É il momento di<br />

diventare poeti. Non abbellire<br />

niente. Non parlare. Guardare e<br />

scrivere. Con poche parole. Diciassette<br />

sillabe. Un haiku.<br />

neve.”<br />

Un libro che ancora svela<br />

l’incanto di perdersi tra le<br />

parole, segni scritti indelebili<br />

sulla carta, seguendo i volteggiamenti<br />

stilistici dell’autore<br />

come osservando una rondine<br />

che scrive nel cielo con la sua<br />

coda imbevuta nell’inchiostro:<br />

limpido, raffinato ma sincero e<br />

deciso. Un libro da amare fino<br />

all’ultima pagina dove tredici<br />

parole soltanto, esprimono<br />

quella che si chiama l’arte poetica<br />

della parola.<br />

“E si amarono, l’un l’altro,<br />

come sospesi su un filo di<br />

Francesca Mazzoni<br />

Maxence Fermine<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e<br />

Nell’inedito di Mario Luzi,<br />

uno sguardo all’ultravita<br />

Scomparso a Firenze tre anni fa, il grande poeta toscano<br />

Mario Luzi ha lasciato nella sua agenda appunti<br />

ed una poesia inedita dal titolo Lasciami, non trattenermi<br />

(pubblicata - grazie ad uno dei più grandi studiosi<br />

di Mario Luzi, Luigi Paglia - in anteprima mondiale lo<br />

scorso 11 gennaio sul settimanale Foggia&Foggia, edito<br />

da Smeraldo Editore, Foggia).<br />

Sessanta le poesie, disperse o inedite, che Mario Luzi<br />

ha composto, dal 2003 al 2005. Queste non sono inserite<br />

nell’Opera poetica (curata da Stefano Verdino<br />

nei Meridiani di Mondadori) e alcune sono apparse<br />

come primizia su giornali e riviste negli ultimi tempi<br />

di vita dell’autore e parzialmente riprese in conclusione<br />

dell’antologia personale di Au-<br />

toritratto, recentemente edita<br />

da Garzanti. Altre invece sono<br />

scritte, come Lasciami, non trattenermi in forma autografa<br />

in diverse pagine di agende, come era solito fare<br />

da circa un ventennio. La poesia, essendo stata ritrovata<br />

nell’agenda del 2005 è probabilmente l’ultima scritta<br />

dal poeta, morto il 28 febbraio del 2005, ed è incentrata<br />

sui temi della memoria, dell’ultravita, della luce.<br />

Lasciami, non trattenermi nella tua memoria<br />

era scritto nel testamento<br />

ed era un golfo di beatitudine nel nulla<br />

o un paradiso di luce e vita aperta senza croce di esistenza<br />

che sorgeva dalle carte ammuffite nello scrigno.<br />

E lei non ne fu offesa, le nascevano, nè sentí prima<br />

rimorso e poi letizia,<br />

impensate latitudini nella profondità del desiderio,<br />

ecco, la trascinava una celestiale oltremisura fuori di<br />

quella ministoria, oh grazia.<br />

Si scioglievano l´uno dall´altro i due e ogni altro<br />

compresente,<br />

si perdevano sí, peró si ritrovavano perduti nell´infinito<br />

della perdita<br />

era quello il sogno umano della pura assolutezza.<br />

Il tema che domina nella poesia di Luzi di tutta una<br />

vita è la celebrazione drammatica della autobiografia,<br />

un’instancabile bisogno di guardarsi dentro consapevole<br />

del fatto che è impossibile non inciampare in se stessi<br />

Mario Luzi<br />

Un libro di poesia contemporanea<br />

quando si scrive. Il poeta mette in risalto il drammatico<br />

conflitto tra un io portato per le cose sublimi e le scene<br />

terrestri che gli vengono proposte. Nelle sua poesia,<br />

soprattutto nella seconda fase della sua formazione poetica,<br />

si legge un’inquietudine costante, una ricerca assillante<br />

di un collegamento tra essere e divenire, mutamento<br />

e identità, nella speranza incerta che possa essere<br />

lenita la penosa insensatezza del vivere.<br />

Una poesia, insomma, che sorge dal profondo<br />

dell’anima. Ad un giornalista che gli chiedeva: “Quando<br />

sente che una poesia sta per scaturire?” Mario Luzi rispose:<br />

“Il punto di partenza di una poesia è quel qualcosa che<br />

viene dal fondo, come il baricentro di un piccolo terremoto,<br />

come un’onda che sale su… Io la sento così… proprio come<br />

un’onda che porta in superficie<br />

delle cose - molto sedimentate,<br />

molto assimilate dalla sensibilità<br />

e dalla coscienza - che non<br />

si notavano più. Improvvisamente vengono in superficie e<br />

prendono senso, significato, diventano importanti e riorganizzano<br />

un po’ tutto il pensiero e tutto il sentimento del<br />

mondo intorno a loro.”<br />

Tratto dal settimanale Foggia & Foggia n° 283<br />

Emiliana Erriquez<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e Qu a r t o p o t e r e<br />

Recensione di musica<br />

Unofficial game music arrangement community<br />

Viaggio in ocremix.org<br />

C’era un tempo in cui le sale giochi erano molto più<br />

di un luogo prettamente ludico, erano centri di aggregazione<br />

sociale in cui generazioni di bambini si davano<br />

appuntamento.<br />

Negli anni Ottanta non c’era la PlayStation, c’erano<br />

invece gli home-computer, che per quanto “potenti” per<br />

quell’epoca, riuscivano a malapena ad emulare il 40% del<br />

gioco originale.<br />

Motivo per cui, in sala giochi, c’era sempre pieno di<br />

gente dalla mattina alla sera ed ogni arrivo di un nuovo<br />

gioco veniva salutato da orde festanti che facevano lunghe<br />

file per provarlo.<br />

Ora, se voi foste stati bambini negli anni Ottanta come<br />

lo sono stato io, avreste passato giornate intere chiusi in<br />

quell’angusto ambiente pieno di fumo, puzzi d’ascella e<br />

musichette allucinanti.<br />

Proprio su queste ultime si basa il contenuto di questo<br />

articolo: a distanza di 20 anni e più, un gruppo di malati<br />

mentali (probabilmente traumatizzati da quelle esperienze)<br />

ha messo on-line un progetto molto interessante, costruendo<br />

un sito dedicato alla celebrazione di quei suoni e<br />

musiche che di solito accompagnavano<br />

lo svolgimento di una partita al videogioco<br />

del momento.<br />

è proprio il caso di dirlo: “A volte<br />

ritornano”. Ma in questo caso il ritorno<br />

è estremamente gradito e creativo, fino<br />

a diventare molto, molto COOL.<br />

Fatevi un giro su ocremix.org!<br />

Ocremix sta per OverClocked Re-<br />

Mix ed è un sito dedicato a rivivere la musica dei computer<br />

e degli arcade di ieri re-interpretandola oggi, con le<br />

nuove tecnologie a disposizione, e rendendola scaricabile<br />

in formato MP3 completamente gratis.<br />

Lo scopo del sito è quindi quello di provare che quelle<br />

musichette e quei suoni che erano stati originariamente<br />

delegati ad un mero ruolo di “background” possono diventare<br />

dei pezzi musicali complessi, indipendenti e innovativi.<br />

Oltre a questo c’è anche la sfida personale che si prefiggono<br />

i frequentatori nel tentativo di migliorarsi e migliorare.<br />

I vari “Dj” mettono a dura prova la loro preparazione e<br />

le loro conoscenze, nel tentativo di produrre un pezzo che<br />

si possa definire valido. La maggior parte dei pezzi presenti<br />

on-line non sono però dei veri e propri remix (al con-<br />

trario di quanto si possa pensare) ma degli arrangiamenti.<br />

Tecnicamente, per chi è dell’ambiente, sono quindi due<br />

cose distinte, ma non per questo non degne di essere scaricate<br />

e ascoltate da chiunque.<br />

Un arrangiamento di una canzone è, infatti, la re-interpretazione<br />

della stessa, spesso effettuata utilizzando stili<br />

musicali completamente differenti dall’originale.<br />

Il remix, invece, tende a conservare la linea stilistica<br />

dell’originale ma utilizzando suoni più raffinati e accorgimenti<br />

tecnici.<br />

In questo modo, ocremix.org fornisce della buona musica<br />

gratis a tutti e di questo si fa vanto.<br />

Nel gioco degli arrangiamenti restano coinvolti pezzi<br />

musicali provenienti da arcade, PC, home-computer e<br />

giochi vari a partire dagli inizi degli anni Ottanta fino ai<br />

giorni nostri. Quindi è possibile trovare pezzi elaborati<br />

sulle musiche di Space Invaders accanto ad un altro che<br />

utilizza quelle di Tekken.<br />

Come il suffisso .org indica, il sito è senza scopo di<br />

lucro ed ha come obiettivo finale la sua stessa sopravvivenza,<br />

ovvero il pagamento della banda e del<br />

provider che offre il servizio di hosting.<br />

A tal proposito vi faccio presente che<br />

è consigliato lo scarico di due soli pezzi al<br />

giorno per non sovraccaricare il server e ingolfare<br />

il tutto.<br />

La musica originale utilizzata per re-mixare<br />

i pezzi è, ovviamente, coperta dai copyright<br />

delle rispettive case di video-giochi ma,<br />

essendo il sito non a scopo di lucro, nessuno viene a reclamare<br />

gabelle o dazi ai creatori.<br />

In ogni caso il “capoccia” del progetto, DjPretzel, fa<br />

presente in numerose pagine dello stesso, che non esiterebbe<br />

a far sparire i pezzi coperti da diritto d’autore non<br />

appena gli fosse stato fatto presente.<br />

Dopo tutto questo, vi invito a fare un giro su questo<br />

fantastico sito che a me è piaciuto parecchio, leggetevi attentamente<br />

la sezione FAQ! Vi sono indicate diverse modalità<br />

di scarico dei pezzi da poter utilizzare senza correre<br />

il rischio di intasare tutto.<br />

Detto questo vi saluto, felice ritorno al passato a tutti.<br />

Simone Guidi<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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Dentro<br />

la maschera<br />

• La filosofia e la maschera<br />

• Una maschera tra le maschere<br />

•<br />

Svelami Jolly la maschera che indosso<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e<br />

Dentro la maschera<br />

Ogni uomo mente ma dategli una maschera e sarà sincero<br />

scriveva Oscar Wilde.<br />

In realtà la maschera non nasconde, ma rivela le istanze<br />

nascoste nel subconscio, col suo aspetto “fittizio” e il<br />

suo tentativo di copertura diviene simbolo di tutto ciò<br />

che può essere riportato alla luce.<br />

Il simbolismo della maschera è presente in ogni parte<br />

del mondo e ha origini e funzioni antichissime.<br />

Maschere funerarie utilizzate nella civiltà egizia avevano<br />

lo scopo di restituire ruolo pubblico, onore e qualità<br />

al defunto per il passaggio e per il mondo dell’aldilà, o di<br />

fissare e trattenere l’anima, maschere teatrali fungevano<br />

da amplificazione del carattere del personaggio, fissità e<br />

ieraticità sottolineavano i tratti del personaggio. Indossarla<br />

equivaleva a identificarsi con questo.<br />

Il greco “prosopon” e il latino “persona-ae” che designano<br />

la maschera dell’attore hanno dato origine al termine<br />

persona.<br />

E “persona” è il termine che Jung adotterà per indicare<br />

la “maschera” che l’individuo assume nelle relazioni e<br />

nel rapporto con ciò che lo circonda. Secondo Jung ciò<br />

non è da intendersi come falsità o manipolazione, ma<br />

come identificazione con alcuni aspetti che prendono il<br />

sopravvento, e come scarsa consapevolezza di ciò che fa<br />

parte della propria interiorità e che va al di là del ruolo<br />

sociale.<br />

Maschera è il diaframma che copre il volto della persona,<br />

ma che ne rivela altre qualità in una operazione<br />

di affioramento e svelamento di aspetti sepolti della psiche.<br />

Soprattutto nel caso delle maschere carnevalesche<br />

questa possibilità di catarsi e liberazione si manifesta con<br />

maggior forza. L’aspetto dionisiaco o demoniaco rinnegato<br />

ha la possibilità di emergere e di trovare uno spazio<br />

e un’accettazione corale.<br />

Ma la maschera può avere anche una valenza magica,<br />

di protezione e di difesa nei confronti degli spiriti del<br />

male. In Oriente è facile trovare vicino alle porte delle<br />

abitazioni mostruose maschere che hanno lo scopo di<br />

allontanare tutto ciò che viene considerato negativo,<br />

mentre elaborati riti e danze mascherate aiutano la persona<br />

a prendere possesso dell’energia che la maschera<br />

rappresenta.<br />

La maschera che compare nei sogni sarà simbolo di<br />

ciò che il sognatore ha necessità di “scoprire” o modificare<br />

di se stesso. La maschera potrà simbolizzare l’atteggiamento<br />

con cui principalmente si identifica o, al<br />

contrario, l’aspetto più lontano dalla coscienza che ha<br />

necessità di esplorare o di integrare.<br />

La maschera può apparire nei sogni indossata da altri<br />

per evidenziarne gli aspetti o le qualità che non sono immediatamente<br />

percepibili, ma può emergere anche un si-<br />

gnificato di copertura, di finzione e manipolazione, di<br />

ciò che è recondito e si cela, e in questo caso suggerisce<br />

prudenza, attenzione e la necessità di scoprire le reali<br />

intenzioni altrui. Anche l’espressione e l’aspetto della<br />

maschera forniranno un indizio di tutto rispetto: l’emozione<br />

suggerita, la stravaganza o la semplicità, l’allegria o<br />

la tristezza, saranno segnali di ciò che il sognatore deve<br />

vedere e riconoscere di se stesso e degli altri.<br />

Un paio di anni fa ho partecipato a un corso che<br />

tentava di stabilire il complesso legame tra “maschera”<br />

e “scrittura”. Sostanzialmente le linee di pensiero erano<br />

due e mi riportarono alla mente il fatidico Giano bifronte…<br />

La prima secondo cui chi scrive per definizione<br />

abbandona la maschera e si svela e rivela attraverso le<br />

parole. La seconda, meno fortunata e applaudita della<br />

prima, sostiene che chi scrive indossa una maschera.<br />

L’ennesima. Perché chi siamo noi se non l’espressione<br />

di una fantomatica realtà, multiforme caleidoscopio in<br />

movimento? Forse la differenza è che con una penna in<br />

mano o una tastiera sotto i polpastrelli – qui gioca l’affinità<br />

o meno con la tecnologia – la nostra maschera ha<br />

un che di wildiano e ci permette solo di essere ciò che<br />

sentiamo nel più profondo della nostra anima.<br />

Ricordo ancora il mio vicino di poltroncina alzarsi di<br />

scatto e protestare:<br />

“Ma scusi, e un poeta allora? Quando scrive non ha<br />

filtri, non può nascondersi, non può far finta di parlare<br />

di qualcun altro. Come fa a nascondersi? Non ha senso.”<br />

Il prof. Hauser rimase in silenzio per trenta secondi<br />

netti, dopo di che prese un libro dal tavolino alla sua<br />

sinistra e cominciò a leggere<br />

Eternità silenzio<br />

mescolato a ruvida pioggia<br />

cammina<br />

sbalordita dai sogni<br />

abbevera pietre e asfalto<br />

chiede di coloro che sono partiti<br />

e che non torneranno<br />

inonda la pelle e confonde l’anima.<br />

SPECIALE<br />

“Secondo lei ciò che è scritto e ciò che prova l’autore è<br />

davvero così evidente? O l’interpretazione che lei ne dà,<br />

la da alla luce della sua personale esperienza? E se è così<br />

come fa a stabilire che l’autore non è riuscito a celarsi<br />

dietro un’altra maschera?”<br />

Suggestivo, ma non convinse praticamente nessuno.<br />

Forse, pensai, perché la poesia è l’estremo tentativo di<br />

guardare alle nostre inquietudini, la maschera l’elemento<br />

guida per riuscirvi. Difficile prenderne atto e proseguire<br />

il cammino…<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e<br />

La filosofia e la maschera<br />

“Tutto ciò che è profondo ama la<br />

maschera; le cose più profonde hanno<br />

per l’immagine e l’allegoria perfino<br />

dell’odio. (...) Ogni spirito profondo ha<br />

bisogno di una maschera: e più ancora,<br />

intorno a ogni spirito profondo cresce<br />

continuamente una maschera, grazie<br />

alla costantemente falsa, cioè superficiale<br />

interpretazione di ogni parola, di<br />

ogni passo, di ogni segno di vita che egli<br />

dà” scriveva Nietzsche?<br />

La maschera è un mezzo ambiguo,<br />

dietro cui, da un lato la verità ama nascondersi<br />

per salvaguardare la propria<br />

profondità, dall’altro noi utilizziamo<br />

la maschera per non vedere la realtà,<br />

per sfuggire da essa.<br />

Secondo Schopenhauer ciascuno di<br />

noi è abitato da una doppia soggettività:<br />

la soggettività della specie che<br />

usa gli individui per il proprio interesse<br />

- conservazione e riproduzione - e<br />

la soggettività dell’individuo che si illude<br />

di disegnare un mondo in base ai<br />

propri progetti. Questi altro non sono<br />

se non illusioni per vivere e non vedere<br />

che il ritmo della vita è cadenzato<br />

dall’immodificabile esigenza della specie.<br />

Questa doppia soggettività viene<br />

codificata in psicoanalisi dalle parole<br />

“Io” e “Inconscio”. Nell’Inconscio<br />

è custodita la verità dell’esistenza,<br />

nell’Io l’illusione concessa all’individuo<br />

per vivere.<br />

L’assunto di Schopenhauer è che<br />

la “vita” e la “verità” non possono coesistere,<br />

perché se la verità della vita<br />

dell’individuo è nel suo essere strumento<br />

della conservazione della specie,<br />

l’individuo per vivere deve illudersi,<br />

indossando quella maschera che<br />

chiama “Io”, e quindi fuoriuscire dalla<br />

verità della sua vita.<br />

Gettando la maschera dell’illusione,<br />

che sola consente la vita, Nietzsche,<br />

parimenti a Schopenhauer, getta<br />

anche la verità:<br />

“Abbiamo tolto di mezzo il mondo<br />

vero: quale mondo ci è rimasto? Forse<br />

quello apparente? Ma no! Col mondo<br />

vero abbiamo eliminato anche quello<br />

apparente!”.<br />

SPECIALE<br />

Non c’è più storia e non c’è più sapere se non come liberazione di tutte le<br />

maschere, perché il tragico deve essere visto nella sua essenza ineliminabile.<br />

Con Schopenhauer il disincanto ormai è accaduto e con le maschere si può<br />

solo giocare.<br />

Infatti una volta assunta l’ipotesi schopenhaueriana restano due vie praticabili:<br />

la “rinuncia” ad assecondare il gioco della natura, come vuole l’ascesi<br />

di Schopenhauer che, scoperto l’inganno, non vuole restare irretito nella sua<br />

trama;<br />

<br />

l’“accettazione” del gioco della natura con conseguente liberazione di<br />

tutte le illusioni, di tutti gli inganni, in termini nietzscheani, come liberazione<br />

del dionisiaco, perché “tutto ciò che è profondo ama la maschera”, e quindi:<br />

“dammi ti prego una maschera ancora, una seconda maschera”.<br />

Nietzsche accetta le regole della natura e la sua massima è: “Diventa ciò che<br />

sei”. La libertà del Superuomo è una ricchezza di possibilità diverse, da qui<br />

appunto la rinuncia a ogni certezza assoluta e da qui anche la profondità tipica<br />

del Superuomo, l’impossibilità di definire e giudicare la vita interiore, da cui<br />

non si attinge altro che la maschera.<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e<br />

Il concetto di maschera è dunque uno dei fili conduttori<br />

del pensiero di Nietzsche, in quanto da questo<br />

concetto si sviluppano i temi essenziali della sua filosofia.<br />

Il problema della maschera è il problema del rapporto<br />

tra essere e apparenza, tematica che il filosofo trova<br />

già elaborata nel pensiero di Schopenhauer: l’idea<br />

antihegeliana dell’impossibilità di una coincidenza tra<br />

essere e apparire è tema dominante nella Concezione<br />

del mondo come volontà e rappresentazione. Frutto<br />

dell’inevitabile divergenza tra essere e apparire è la maschera.<br />

Confrontando diversi modelli di vita presente e passata<br />

Nietzsche vede la vita presente caratterizzata dalla<br />

decadenza, intesa non come mancanza di bellezza,<br />

ma come assenza di unità stilistica, assenza di coerenza<br />

tra forma e contenuto. Per questo a un osservatore<br />

la forma non può apparire che come travestimento.<br />

Il travestimento è qualcosa che non appartiene all’uomo<br />

naturalmente, ma che si assume deliberatamente<br />

in vista di qualche scopo: nell’uomo moderno questo<br />

travestimento viene assunto per combattere uno stato<br />

di paura e di debolezza. Tale paura ha radici specifiche<br />

nell’eccesso di cultura storica e nell’affermarsi del sapere<br />

scientifico: la finzione, nella sua accezione più generale,<br />

copre il dissimularsi e l’escogitare finzioni utili quali i<br />

concetti scientifici, ed è in ogni caso legata alla paura,<br />

alla insicurezza, alla lotta per l’esistenza.<br />

Ma la questione<br />

più interessante è<br />

cercare di capire<br />

come la decadenza<br />

si sia potuta<br />

produrre. Questo<br />

equivale a chiedersi<br />

come la libera<br />

plasticità della<br />

maschera dionisiaca<br />

si sia potuta<br />

irrigidire in forme<br />

contrapposte apollinee,<br />

nella bugia e<br />

nel travestimento.<br />

La storia della<br />

fine della tragedia<br />

greca, che Nietzsche<br />

ricostruisce<br />

facendo centro<br />

sulla figura di Socrate,<br />

rende conto<br />

dell’origine del significatodell’evento<br />

(la minuziosa riproduzione della realtà sulla scena del<br />

teatro greco, ha presupposto l’idea che essa sia un tutto<br />

ordinato razionalmente). Socrate è colui che rivendica<br />

SPECIALE<br />

per primo la possibilità di distinguere tra verità ed errore<br />

e in questo si incarna in qualche modo il processo della<br />

fissazione di vero e falso.<br />

Storicamente il socratismo appare a Nietzsche legato al<br />

costruirsi di un sistema politico: Socrate infatti è strettamente<br />

legato allo sviluppo della supremazia ateniese, in assenza<br />

di questa sarebbe rimasto un anonimo sofista. L’ottimismo<br />

di Socrate si fondava sull’idea che il singolo fosse<br />

inserito entro un sistema razionale. Predicando che c’è un<br />

ordine razionale dell’essere e che il giusto non ha nulla da<br />

temere, Socrate fa coincidere la razionalità con la felicità.<br />

Ecco che quindi il razionalismo socratico si sviluppa sia<br />

come teoria sia come forza pratica di integrazione sociale.<br />

La storia del razionalismo, cioè della nostra civiltà, appare<br />

a Nietzsche ricostruibile in termini di violenza: violenza<br />

dell’integrazione sociale, della fissazione dei ruoli,<br />

di regole logiche per stabilire cosa è vero e cosa è falso<br />

su basi assolutamente arbitrarie. L’uomo socratico paga<br />

il raggiungimento di una certa sicurezza esistenziale con<br />

l’inserimento all’interno di un ordine rigido che sfugge al<br />

suo controllo.<br />

A questo punto le apparenze, nel loro contrapporsi alle<br />

pretese di un’unica verità, diventano il modo in cui esprimere<br />

liberamente la creatività dionisiaca.<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e<br />

Una maschera tra le maschere<br />

La maschera (dall’arabo “mascharà”, scherno, satira)<br />

è sempre stata, fin dalla notte dei tempi, uno degli<br />

elementi caratteristici e indispensabili nel costume degli<br />

attori. Originariamente era costituita da una faccia<br />

cava dalle sembianze mostruose o grottesche, indossata<br />

per nascondere le umane fattezze e, nel corso di<br />

cerimonie religiose, per allontanare gli spiriti maligni.<br />

In seguito, dapprima nel teatro greco, successivamente<br />

in quello romano, la maschera venne usata regolarmente<br />

dagli attori per sottolineare la personalità e<br />

il carattere del personaggio messo in scena.<br />

In Italia nel corso del XVI secolo fiorì un fenomeno<br />

teatrale, affermatosi prepotentemente nel secolo<br />

successivo, comunemente noto come “Commedia<br />

dell’Arte.”<br />

Uno dei primi “temi”, estremamente elementare e<br />

naturale, oggetto di rappresentazione nelle primitive<br />

forme della commedia “a soggetto”, è la “beffa del servo”,<br />

una sorta di ingenua e innocua rivincita concessa<br />

dalla fantasia popolare all’umile nei confronti del potente.<br />

Innumerevoli sono le rappresentazioni, specie sui<br />

palcoscenici della decadente Repubblica veneziana, che<br />

hanno come tema il contrasto tra il servo zotico (lo “Zanni”)<br />

e il padrone vecchio e rincitrullito (il “Magnifico”).<br />

La fortuna del contrasto, le varie forme in cui si manifesta,<br />

fanno sì che il personaggio dello Zanni subisca<br />

continue, interessanti e sostanziali modifiche, e che si<br />

caratterizzi variamente, rendendosi sempre più simpatico<br />

e variegato: questo spiega la presenza, nella tradi-<br />

SPECIALE<br />

zione giunta fino a noi, di tante maschere rappresentanti<br />

parti di servitori, dal celeberrimo Arlecchino all’intelligente<br />

Scapino.<br />

A proposito di Arlecchino, mi sembra doveroso ricordare<br />

quell’autentico genio della Commedia dell’Arte che nobilitò<br />

le scene nella seconda metà del XVI secolo e, partito con<br />

l’interpretazione dello stereotipo personaggio del servo Zan<br />

Ganassa, nel 1572, in terra di Francia, per la prima volta<br />

attribuì alla maschera il nome di Zanni Arlecchino.<br />

Le continue e salutari mutazioni a cui fu soggetto il personaggio<br />

dello Zanni portarono inevitabilmente alla distinzione<br />

fra servo furbo e servo sciocco, chiamati “primo”<br />

e “secondo” Zanni.<br />

Arlecchino, Burattino, Flautino e il famosissimo Pulcinella<br />

facevano parte del secondo gruppo; Brighella, Beltrame,<br />

Coviello, Zaccagnino, Truffaldino, Pezzettino, Stoppino<br />

del primo.<br />

Un posto di primo piano è riservato alle maschere dei<br />

“vecchi”, il cui capostipite sarebbe il “senex” della commedia<br />

latina. I “vecchi” generalmente erano due, ma non portavano<br />

sempre e dovunque lo stesso nome; perlopiù furono<br />

conosciuti l’uno sotto il nome di Pantalone e l’altro di Dottore,<br />

Dottor Graziano o Dottor Balanzone. Altra maschera<br />

fondamentale era quella del Capitano, soldataccio spaccone,<br />

vanaglorioso, violento e pavido, altrimenti noto come<br />

Capitan Spaventa, Capitan Rodomonte, Capitan Matamoros,<br />

Capitan Spezzaferro, Capitan Terremoto, Capitan<br />

Spaccamonte, e via di questo passo. In questa maschera si<br />

è voluto vedere una caricatura feroce del soldato spagnolo<br />

che, nel periodo di tempo in cui fiorì la Commedia dell’Arte,<br />

spadroneggiò in quasi tutta la penisola.<br />

Accanto alle maschere che rappresentavano i personaggi<br />

principali e indispensabili in ogni commedia, si aggiravano<br />

altre maschere, spesso doppioni, derivazioni delle prime<br />

con mutazioni o correzioni non molto indovinate: a volte<br />

non era mutato che il nome, altre il dialetto che la maschera<br />

parlava. I Pandolfi, gli Ubaldi, i Cola, i Burattini e i<br />

Pezzettini ebbero giorni di relativa gloria nel XVII secolo,<br />

dopo di che scomparvero.<br />

E, dal momento che mi sono lasciata andare in una carrellata,<br />

fugace ma abbastanza organica, dei personaggi della<br />

Commedia dell’Arte, mi sembra giusto concludere ricordando<br />

quelle astute servette, altrimenti chiamate “fantesche”,<br />

preposte alla salvaguardia dell’onore di spesso scialbe<br />

padroncine.<br />

Tutti questi straordinari personaggi sono riusciti a sopravvivere<br />

alla morte del teatro al quale pur debbono la<br />

vita, perché riconosciuti degni di rappresentare ciò che di<br />

più caro le città italiane avevano nel cuore, le tradizioni<br />

domestiche, la parlata popolaresca, lo spirito delle antiche<br />

cose.<br />

E ancora oggi continuano a rallegrare i nostri Carnevali.<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e Sp e c i a l e<br />

Svelami Jolly la maschera che indosso…<br />

Sono trascorsi ormai<br />

quasi otto anni da quando<br />

incontrai il Jolly.<br />

Accadde nell’unico luogo<br />

dove sempre mi sono<br />

sentita a mio agio. In una<br />

libreria.<br />

Il libro: L’enigma del solitario<br />

di Jostein Gaarder.<br />

Un libro dentro un<br />

libro, una storia che ne<br />

comprende un’altra, un<br />

intreccio di avvenimenti<br />

che porteranno a risolvere<br />

l’enigma, ma la domanda<br />

resterà sempre la<br />

stessa: “Chi siamo? Dove<br />

andiamo?”<br />

In fondo è questa la Domanda e Gaarder ce la ripropone,<br />

da buon filosofo, in ognuno dei suoi libri.<br />

Nessuna risposta è mai sufficiente, altrimenti la vita<br />

stessa, che è ricerca, non avrebbe più significato. Ma<br />

nella ricerca e nella vita, le risposte si accavallano alle<br />

domande diventando domande a loro volta. Cosa ci<br />

guida? Destino o Frode? Caso? Siamo condizionati a<br />

seguire un percorso tracciato dagli eventi che ci accadono,<br />

oppure siamo noi a far accadere gli eventi con il<br />

solo nostro pensarli?<br />

Mi perdo e al tempo stesso mi ritrovo nelle domande<br />

di Gaarder. Talvolta mi coglie un senso di impotenza<br />

che si tramuta in sgomento. Mi ritrovo, una volta<br />

ancora, bambina terrorizzata dal buio e dalla vastità<br />

dell’universo, paura che ormai, da adulta quale sono,<br />

dovrei aver accantonato nei recessi dei recessi della mia<br />

coscienza. Ma perché avrei dovuto?<br />

I nani del romanzo sono condizionati dalla bevanda<br />

magica, la gazzosa purpurea che riempie di sensazioni<br />

meravigliose ma spegne l’intelletto. La beviamo anche<br />

noi adulti sotto un’altra forma? O dovremmo berla?<br />

Vivere è diventata un’abitudine? L’incognito, le domande<br />

più grandi di noi fanno paura, spiazzano, tolgono<br />

le poche certezze che ci rimangono, ci sradicano<br />

dal suolo sicuro del noto e ci mandano in orbita nello<br />

spazio sconosciuto.<br />

La storia raccontata da Gaarder in sé è inverosimile<br />

come spesso lo è la vita degli uomini.<br />

Padre e figlio dodicenne, decidono di andare in cerca<br />

della moglie-madre che, per ritrovare se stessa, ha<br />

abbandonato la famiglia. Più semplice di così…<br />

Hans Tomas si rivolge al padre chiamandolo pater ed<br />

è come mettere l’accento sul fatto che, tenendo conto<br />

dell’etimo sanscrito della radice pa, egli ha il compito<br />

di nutrire la prole e in questo caso il nutrimento è nutrimento<br />

dell’anima.<br />

SPECIALE<br />

Il protagonista, come di solito accade nei libri di Gaarder,<br />

è un ragazzo. Il motivo è semplice e va ricercato nel fatto che<br />

i ragazzi non hanno schemi né preconcetti. La loro mente<br />

è libera, può spaziare anche nell’assurdo e in tutti i luoghi<br />

preclusi alle menti adulte condizionate dalla vita e dalle abitudini.<br />

La madre invece è una specie di idea che aleggia nel libro<br />

e si materializza solo alla fine. Anita abbandona la famiglia<br />

per cercare se stessa ma è affascinante scoprire dove e come<br />

compie la sua ricerca.<br />

Il dove è Atene, culla della filosofia occidentale, ma non è<br />

l’unica spiegazione. Atene è anche lo specchio della donna,<br />

il suo nome all’incontrario nella scrittura greca Atina.<br />

Il come è un’altra piccola tessera del mosaico: la donna fa<br />

la fotomodella, emblema dell’esteriorità e della superficie in<br />

contrapposizione con le motivazioni estremamente interiori<br />

che la muovono.<br />

Pagina dopo pagina ci si accorge che ogni evento nasconde<br />

dei simboli e che simboli ed eventi possono avere più di<br />

una chiave di lettura. Il libricino che guiderà Hans Tomas<br />

nella sua avventura verrà trovato in un pezzo di pane e il<br />

pane nutrimento del corpo assume la veste di nutrimento<br />

dello spirito che porta alla conoscenza.<br />

Per leggerlo il protagonista dovrà usare una lente di ingrandimento,<br />

esattamente come per leggere la vita, dovremmo<br />

usare spesso una lente adatta a farci vedere i risvolti più<br />

profondi. E la storia stessa raccontata nel libricino si aggroviglierà<br />

sempre di più alla vita reale dei personaggi, sino a<br />

farci scoprire che lei, la storia, è progenitrice e origine dei<br />

personaggi stessi, ma che, diventando reale nel momento<br />

stesso in cui viene letta, è da loro che prende vita.<br />

Il gioco del solitario è la vita. I semi riflettono le divisioni<br />

della società umana. Ognuno di noi svolge il proprio ruolo<br />

involontariamente: come le carte di un mazzo, ognuno ha<br />

la propria maschera e il proprio valore non conquistato ma<br />

assegnato dal gioco stesso e ognuno perso nel gioco e nelle<br />

abitudini dimentica di pensare e continua a lasciarsi vivere.<br />

Unico outsider il Jolly, il pensante, colui che pone quesiti,<br />

l’inaspettato: lui non ha maschere, non ha un valore disegnato<br />

addosso, non ha un ruolo. I ruoli li stravolge e stravolge<br />

le regole: è il filosofo che conosce il significato della vita e<br />

le risposte alle domande sull’esistenza che la gente non si<br />

pone.<br />

Pater e figlio sono i filosofi nella vita reale, i jolly, gli inaspettati.<br />

Alla fine la frode del gioco (gioco che non a caso si chiama<br />

Frode) verrà svelata e gioco e realtà si dipaneranno assieme<br />

perché assieme hanno sempre vissuto.<br />

In qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, potrebbe spuntare<br />

un minuscolo giullare coperto di campanelli. e allora, guardandoci<br />

dritto negli occhi ci ripeterà le domande: “Chi siamo noi?<br />

Da dove veniamo?”<br />

Miranda Biondi<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e<br />

Allora sarà<br />

così semplice dirlo<br />

è una sera strana questa, i confini dei<br />

mondi sembrano così sottili.<br />

è un momento di riflessione, è l’attimo<br />

giusto per capire cosa siamo e perché lo<br />

siamo.<br />

Streghe.<br />

Ma cosa sono in fondo le streghe?<br />

Una strega è qualcuno come me.<br />

Qualcuno che sa cosa devo scrivere. E<br />

perché.<br />

Essere una strega vuol dire essere in armonia<br />

con se stessi e con il mondo che si<br />

ha attorno.<br />

Ma è difficile prendere coscienza del sé,<br />

dei propri limiti, dei propri obiettivi.<br />

Essere una strega non è sapere quale incantesimo<br />

ci proteggerà. Essere una strega<br />

significa mettersi in discussione sapendo<br />

che anche le parole più dure che troverò<br />

per me stessa mi aiuteranno a crescere.<br />

Essere una strega significa sapere dove<br />

arrivare ed essere ancora in tempo per tornare<br />

indietro.<br />

Ho giocato con le mie emozioni, flirtato<br />

con le mie inquietudini. Mi sono spinta<br />

laddove non credevo si potesse arrivare.<br />

Ho riconosciuto i miei errori e fatto<br />

ammenda alla mia irrazionalità, alla mia<br />

immaturità.<br />

Ogni nostro gesto, ogni passo, ogni<br />

goccia di sudore che imperla la nostra<br />

fronte, ogni parola tracciano quel cammino<br />

che da sempre cerchiamo. Per le nostre<br />

emozioni creiamo e per loro distruggiamo.<br />

Siamo capaci di essere noi stessi, di riconoscere<br />

ogni paura. Le riconosciamo<br />

perché le abbiamo già incontrate. E le<br />

possiamo combattere. Superare.<br />

Ognuno ha un percorso costellato di<br />

scelte sbagliate, ciò che siamo stati modellerà<br />

ciò che saremo. Non temete di<br />

esplorare tutti gli universi segreti che nascondete.<br />

Non abbiate paura di dire: “Ho sbagliato”.<br />

Io l’ho fatto e forse continuerò a farlo,<br />

Parole di strega<br />

ma so dov’è stata la mia pecca, posso evitarla, posso correggerla. Posso<br />

crescere, essere donna, essere strega.<br />

Posso tutto, perché sono parte del tutto.<br />

Dio vive nel mio cuore, condivido con Lui le mie aspirazioni, la mia<br />

anima, le mie paure.<br />

Non abbiate paura di dire: “Sono confusa”.<br />

Tingo la mia vita con i colori dei boschi e del mare, riempio i miei occhi<br />

di orizzonti, le mie mani di parole e di sorrisi.<br />

Abbraccio la vita e allora, solo allora, diventa così semplice dirlo.<br />

“Sono una strega”.<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

Astherath<br />

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u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e<br />

In questi mesi invernali genitori, nonni e tate avranno<br />

notato come sia difficile trovare posti alternatavi ai soliti<br />

gonfiabili o paninoteche attrezzate, dove passare qualche<br />

ora significativa con i propri pargoli.<br />

Se cercate un luogo per stupire i vostri bimbi, giocarci<br />

insieme, fare conoscenza con altri genitori, allora è giusto<br />

che cominciate ad informarvi se dalle vostre parti esista una<br />

ludoteca.<br />

La ludoteca è un luogo dove i bambini possono giocare<br />

insieme utilizzando i giochi e i libri a disposizione,<br />

un posto dove poter giocare con i propri genitori o con i<br />

nonni in maniera serena e in un ambiente adeguatamente<br />

predisposto.<br />

è uno spazio dove bambini e adulti possono ritrovarsi<br />

insieme e condividere esperienze.<br />

La ludoteca può offrire inoltre attività di laboratorio<br />

per piccini e grandi.<br />

Luoghi come questo garantiscono ad ogni bimbo, indipendentemente<br />

dalla sua condizione sociale ed economica,<br />

il diritto al gioco e di fruire degli aspetti educativi<br />

e socializzanti legati al giocare insieme.<br />

Nella Casina di Cioccolata vi racconterò di una ludoteca<br />

un po’ speciale nel nord Italia, ma per spirito campanilistico<br />

voglio segnalarvi due realtà davvero interessanti<br />

e vicine a noi che si trovano nel Comune di S. Giuliano<br />

Terme (PI).<br />

La prima è rivolta a chi ha bambini da 0 a 4 anni: è un<br />

“Centro bimbi e genitori”, si chiama Latte e miele ed è<br />

ubicato in via Erbosa a S. Andrea in Pescaiola nel Comune<br />

di S. Giuliano Terme, Pisa.<br />

Latte e miele è ubicato in una casina nel verde e offre,<br />

oltre ad un luogo adeguatamente attrezzato per questa<br />

fascia di età, una serie di laboratori per i più piccini.<br />

L’ingresso è completamente gratuito, vi consiglio vivamente<br />

di andarci con i vostri bimbi!<br />

Per saperne di più potete chiamare il numero telefonico<br />

050 864011 o scrivere una mail a: orsiemiele@coopilprogetto.it.<br />

Inoltre, potete visitare il sito: www.coopilprogetto.it/<br />

servizi%20infanzia/lattemiele.htm<br />

Se invece avete bimbi più grandi, sempre<br />

nel Comune di S. Giuliano Terme e<br />

precisamente all’interno del Parco della<br />

Pace di Pontasserchio è presente la Ludoteca<br />

La limonaia magica, dove troverete<br />

oltre a giochi e libri tante iniziative vera-<br />

Il piccolo popolo<br />

Giocando si impara<br />

mente entusiasmanti da condividere con i vostri figli.<br />

Per informazioni potete rivolgervi ai recapiti sopraddetti<br />

o visitare la pagina web:<br />

www.coopilprogetto.it/servizi%20gioco/limonaia.<br />

htm.<br />

La casina di cioccolata<br />

Luoghi per grandi e piccini:<br />

Parco della fantasia GIANNI RODARI<br />

Nella città natale di Gianni Rodari è sorto un parco<br />

letterario a lui dedicato, qui lo slogan è: giocando si<br />

impara.<br />

Il parco, in parte all’aperto, in parte al chiuso, propone<br />

le sue attività durante tutto l’anno: ludoteca, atelier<br />

creativo, biblioteca, corsi di teatro, letture animate.<br />

Non dimentichiamo che il parco è ubicato ad<br />

Omegna, cittadina incantevole a pochi minuti dal<br />

distretto turistico dei laghi (Stresa, Lago Maggiore,<br />

Verbania).<br />

Se avete quindi in cantiere di effettuare una gita che<br />

coniughi natura e gioco questo è l’indirizzo: Parco della<br />

fantasia Gianni Rodari, via XI Settembre, 9 – 28887<br />

OMEGNA (VB)<br />

Recapito telefonico: 0323 887233<br />

Fax: 0323 645484 Indirizzo web:<br />

www.rodariparcofantasia.it<br />

E-mail: parcorodari@comune.<br />

omegna.vb.it<br />

Lo gnomo libraio<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e<br />

Segnalazioni di libri per bambini e per genitori<br />

GIULIO CONIGLIO nel<br />

paese dei sogni<br />

di Nicoletta Costa<br />

<strong>Edizioni</strong> Franco Panini<br />

ragazzi<br />

Giulio Coniglio e i sui<br />

amici vi condurranno in<br />

due avventure da sogno:<br />

potrete solcare i cieli con<br />

Zoe Zebra volante, o percorrere<br />

boschi e paesi in<br />

giro con Giulio e l’istrice<br />

Ignazio.<br />

Mio figlio si è innamorato<br />

di queste fantastiche avventure che si rivelano perfette<br />

come storie della buonanotte, perché sono rasserenanti,<br />

colorate e imprevedibili.<br />

Adatte anche per i più piccoli, Giulio Coniglio e le sue<br />

avventure si trovano in diverse versioni e diversi prezzi.<br />

Andate in libreria con i vostri bimbi e scegliete quella<br />

che più vi piace!<br />

La ricetta della Fatina Obesa<br />

In tempo di carnevale propongo: RISOTTO ARLECCHI-<br />

NO<br />

Ingredienti: gr 50 di riso<br />

gr 50 di zucchine e carota lessati<br />

gr 5 di parmigiano<br />

gr 5 di olio<br />

gr 10 di cipolla<br />

Lavare e mondare gli ortaggi e lessarli, appassire la cipolla<br />

tagliata a fettine nell’olio, poi aggiungervi gli ortaggi<br />

dopo averli finemente tagliati.<br />

Insaporire gli ortaggi e aggiungere il riso continuando a<br />

girare, aggiungere del brodo vegetale e continuare a cuocere<br />

a fuoco basso.<br />

Quando la cottura è finita aggiungere un cucchiaino di<br />

parmigiano e qualche fogliolina di prezzemolo finemente<br />

triturata.<br />

Giusy Scerri<br />

Il piccolo popolo<br />

Ultime uscite<br />

della <strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong> <strong>Edizioni</strong><br />

Fino alla fine del mondo<br />

Jonathan Arpetti<br />

Collana: Battitore libero<br />

Prezzo: € 10,00<br />

Pag. 152<br />

ISBN: 978-88-95214-32-0<br />

L’amore è un campo di battaglia<br />

Marco Palagi<br />

Collana: Battitore libero<br />

Prezzo: € 10,00<br />

Pag. 208<br />

ISBN: 978-88-95214-41-2<br />

Con te o senza di te<br />

Maria Lucia Bertola<br />

Collana: Battitore libero<br />

Prezzo: € 10,00<br />

Pag. 80<br />

ISBN: 978-88-95214-54-2<br />

Neraprimavera<br />

Chiara Natalini<br />

Collana: Battitore libero<br />

Prezzo: € 10,00<br />

Pag. 96<br />

ISBN: 978-88-95214-28-3<br />

Le ombre lunghe<br />

Francesca Monica Campolo<br />

Collana: Mysterious park<br />

Prezzo: € 12,00<br />

Pag. 264<br />

ISBN: 978-88-95214-29-0<br />

Candida strega d’autunno<br />

Miranda Biondi<br />

Collana: Versi di segale<br />

Prezzo: € 8,00<br />

Pag. 88<br />

ISBN: 978-88-95214-45-0<br />

www.giovaneholden-shop.it<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e<br />

Chicago 1° parte<br />

Immigrazione, rivolte, la Original Dixieland Jazz<br />

Band, il primo disco di Jazz.<br />

Dalla metà del secondo decennio del ventesimo secolo<br />

le grandi città industriali del Nord America soffrivano<br />

per la penuria di forza lavoro a causa dell’impiego<br />

massiccio dei bianchi nella Grande Guerra.<br />

Molti neri del Sud decisero così di abbandonare i<br />

luoghi di origine per “tentar fortuna” a Chicago, New<br />

York, Philadelphia, Washington e la Detroit di Henry<br />

Ford.<br />

Portavano con sé, oltre alle loro povere cose, la speranza<br />

che là non avrebbero incontrato Jim Crow (nello<br />

slang dei ghetti neri, nome di un personaggio dei Minstrel<br />

Show; indicava la discriminazione razziale). Questa<br />

si rivelò ovviamente vana.<br />

I ghetti neri di queste città si saturarono ben presto,<br />

ed i nuovi arrivati entrarono in contrasto con la popolazione<br />

bianca che reagì con manifestazioni violente.<br />

In particolare a Chicago ci furono, nel luglio del<br />

1919, cinque giorni di scontri che produssero ben trentotto<br />

morti e centinaia di feriti. Per dare un’idea dello<br />

stato di tensione che regnava, basti pensare che i tumulti<br />

furono scatenati dalla morte di un ragazzo nero<br />

che nuotando aveva superato l’immaginaria linea di demarcazione<br />

che separava la spiaggia dei neri da quella<br />

dei bianchi. Fu preso a sassate da questi ultimi e morì<br />

annegato.<br />

Al termine degli scontri, l’allora governatore dello<br />

stato istituì una commissione per studiare il problema la<br />

quale un anno dopo terminò i lavori con una relazione<br />

nella quale faceva appello alla coscienza civica dei cittadini<br />

perché non si adottassero “metodi rivolti alla segregazione<br />

forzata e all’esclusione dei negri”. Nonostante<br />

la commissione raccomandasse altri accorgimenti atti<br />

ad appianare i contrasti razziali, favorire l’integrazione<br />

e un certo miglioramento delle condizioni sociali degli<br />

immigrati, la situazione si mantenne tesa, con continui<br />

attentati incendiari e dinamitardi ai danni delle<br />

case dei neri.<br />

Oltre a ciò, i reduci dei 100.000 soldati neri che<br />

furono mandati a combattere in Europa furono accolti<br />

al loro rientro con ogni sorta di maltrattamenti, inclusi<br />

linciaggi ancora in uniforme.<br />

Alla luce di tutto ciò, è facile comprendere lo stato<br />

d’animo che aleggiava all’interno dei ghetti. La reazio-<br />

ne psicologica che ne scaturì fu la nascita di un forte<br />

spirito comunitario. Il nero,emarginato dalla società<br />

“ufficiale” poteva trovare, insieme ai “compagni di<br />

sventura“ un modo di manifestare il suo pensiero, la<br />

sua personalità ed i suoi bisogni per migliorare le sue<br />

condizioni di vita.<br />

Il Jazz fu la migliore e più significativa di queste manifestazioni.<br />

I musicisti di colore si spostarono da New Orleans a<br />

Chicago negli anni della Grande Guerra e come i loro<br />

compagni finirono ammassati nel ghetto, nel South<br />

Side, suonando nei teatrini e nei locali di South State<br />

Street. Contrariamente al resto della città, seppur<br />

sempre presente, il razzismo nei luoghi di spettacolo si<br />

avvertiva meno. Tra questi pionieri Tony Jackson, Jelly<br />

Roll Morton, Freddy Keppard oltre ad altri come il multistrumentista<br />

Manuel Manetta, il trombettista Manuel<br />

Perez, il trombonista George Filhe. Tra i bianchi invece,<br />

il complesso diretto dal trombonista Tom Brown.<br />

Il primo approccio della popolazione del luogo che<br />

andava ad ascoltare le “Band from Dixieland” (ricordiamo<br />

che per Dixieland si intendevano gli stati al di<br />

sotto della Linea Mason-Dixon, ovvero quelli del sud)<br />

fu di iniziale stordimento: troppo diversi quei suoni da<br />

quanto avevano ascoltato fino ad allora.<br />

Maggior fortuna raccolse la compagine, sempre bianca,<br />

composta dal batterista Johnny Stein, dal cornettista<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

Jazz<br />

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u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e<br />

Nick La Rocca, figlio di un calzolaio italiano, dal clarinettista<br />

Alcide “Yellow” Nunez, dal trombonista Eddy<br />

Edwards e dal pianista Henry Ragas. Il gruppo si esibiva<br />

allo Schiller Cafè, nella 31° Strada. Cronache giornalistiche<br />

dell’ epoca narrano di file interminabili per entrare,<br />

di risse e di palesi violazioni della legge sulla vendita<br />

degli alcolici. La gente cominciava così ad apprezzare il<br />

nuovo suono: il Jass, come al tempo veniva chiamato.<br />

Nonostante i buoni risultati, Stein fu però presto abbandonato<br />

dai compagni che si misero agli ordini di La<br />

Rocca. Fatto venire da New Orleans il batterista Tony<br />

Sbarbaro, La Rocca fondò la Original Dixieland Jass<br />

Band (ODJB). Il successo di questa surclassò la precedente<br />

formazione. Finirono ben presto a suonare in un<br />

elegante locale gestito da malavitosi ma frequentato da<br />

attori famosi dell’epoca e in seguito in un prestigioso ristorante<br />

di New York. La casa discografica Columbia si<br />

fece avanti, interessata dalla novità, ma dopo l’incisione<br />

di prova giudicò il materiale impubblicabile<br />

e congedò la band. A quel punto la<br />

Victor, diretta concorrente, prese la palla<br />

al balzo e produsse il primo disco jazz della<br />

storia: conteneva su una facciata Livery stable<br />

blues e sull’altra Original Dixieland One<br />

Step. Curiosa la pubblicità con cui fu lanciato,<br />

una sorta di “metter le mani avanti”<br />

per aver tentato un tale esperimento. Essa<br />

recitava testualmente: “…un’orchestra di jass è un’orchestra<br />

di jass, non un reparto della Victor impazzito…” Risultato:<br />

un milione di copie vendute.<br />

In seguito la ODJB si esibì in Europa ed in particolare<br />

in Gran Bretagna, dove suscitò pareri discordi nel pubblico<br />

che ovviamente non aveva l’orecchio preparato a<br />

quel genere di sonorità.<br />

Nelle fotografie utilizzate per i manifesti pubblicitari<br />

della ODJB era riportata la dicitura “Creators of Jazz”<br />

e così pure sui biglietti da visita di Nick La Rocca che<br />

in questo precedette il già citato Jelly Roll Morton. Ovviamente<br />

tale vanteria era del tutto infondata così come<br />

lo era quella di aver utilizzato per primo le parole “jass”<br />

e “jazz” per denominare una band musicale. Pur non<br />

potendo attribuire precisamente il merito di ciò, anche<br />

perché le fonti sono varie e discordanti, sicuramente La<br />

Rocca fu preceduto da Tom Brown che denominò la sua<br />

orchestra, nel 1914, Brown Dixieland Jass Band.<br />

Su quest’ultimo argomento maggiori<br />

dettagli nel prossimo numero.<br />

Carlo Lazzari<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

Jazz<br />

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u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e<br />

Niente baci alla francese<br />

E così, ad un anno esatto dall’uscita de La mano sinistra<br />

del diavolo, romanzo giallo che ha fatto conoscere il<br />

giovane scrittore Paolo Roversi al grande pubblico, ecco<br />

di nuovo il protagonista, il giornalista free-lance Enrico<br />

Radeschi, alle prese con un mistero.<br />

Stavolta, nientemeno che con l’omicidio del sindaco<br />

di Milano, il sette dicembre, alla prima della Scala.<br />

Il sindaco, notoriamente<br />

allergico ad un antibiotico,<br />

il Rocefin, viene ucciso con<br />

un’iniezione di quel farmaco.<br />

Perché? Forse perché stava<br />

pensando di attuare per la città<br />

di Milano dei progetti che<br />

davano fastidio a troppi?<br />

O forse aveva un altro nemico<br />

che tramava nel buio?<br />

Poche ore dopo, anche il<br />

primo cittadino di Parigi, a<br />

Milano per assistere all’opera,<br />

viene trovato assassinato.<br />

Due indagini parallele, fra<br />

il capoluogo lombardo e la<br />

capitale francese, che vedono<br />

rinsaldarsi la collaborazione<br />

tra il vicequestore Loris Sebastiani<br />

e Enrico Radeschi.<br />

Il ritmo della narrazione<br />

è incalzante, ogni capitolo è<br />

suddiviso da paragrafi brevi,<br />

scanditi dai titoli di diversi<br />

pezzi musicali, in modo che<br />

il lettore sia sempre spinto ad<br />

andare a quello successivo.<br />

Il classico libro che si legge tutto d’un fiato, lo stile di<br />

Paolo Roversi, che avevamo già apprezzato nei due gialli<br />

precedenti, Blue Tango e La mano sinistra del diavolo,<br />

entrambi con Enrico Radeschi come protagonista.<br />

Radeschi, il giornalista free-lance e l’hacker. Probabilmente<br />

l’alter-ego dell’autore, dato che tutti i libri<br />

sono, almeno in parte, autobiografici.<br />

E infatti Paolo Roversi è giornalista, dirige il portale<br />

MilanoNera, rivista dedicata interamente alla letteratura<br />

gialla, ed è esperto di Information Technology.<br />

è originario della bassa mantovana, ma vive e lavora<br />

a Milano, che tanto bene descrive nei suoi<br />

romanzi.<br />

Una Milano piena di smog, di traffico,<br />

che il protagonista Enrico Radeschi evita viaggiando perennemente<br />

a bordo del suo Giallone, una vecchia vespa<br />

gialla, classe 1974.<br />

Una Milano della vita notturna, dei locali alternativi,<br />

delle multi-etnie.<br />

E in questa sua ultima fatica<br />

la società multietnica si ritrova<br />

anche a Parigi, sotto forma di<br />

squatter, studenti e belle donne,<br />

una Parigi visitata e raccontata<br />

nei minimi particolari, ma non<br />

amata come Milano, seppur con<br />

tutti i suoi difetti.<br />

Rischiando rocambolescamente<br />

la vita più di una volta, il mitico<br />

giornalista riuscirà di nuovo<br />

a risolvere, insieme all’amiconemico<br />

Sebastiani, due intricati<br />

misteri.<br />

E ora, dopo aver assaporato<br />

questo piacevole romanzo, non<br />

ci resta che attendere il prossimo,<br />

che l’autore ci promette<br />

ambientato nuovamente nella<br />

bassa mantovana.<br />

Paolo Roversi<br />

Lady Thriller<br />

Monica Campolo<br />

Niente baci alla francese<br />

Paolo Roversi<br />

<strong>Edizioni</strong> Mursia<br />

Pagine 208<br />

14,00 €<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e r u b r i c h e<br />

Quante ore ho squagliato sul fuoco interrogando la<br />

mia dispensa, alla ricerca degli ingredienti giusti con cui<br />

cucinare questo mio primo piatto, un cibo succulento<br />

con cui ipnotizzare la vostra lingua affinché torniate a<br />

sedere alla mia mensa.<br />

Sono un poeta-cuoco dal gesto imperfetto ma pochi vi<br />

confido si sono lamentati del mio piatto, perchè scelgo<br />

sempre le essenze più prelibate, sgomitando con il mio<br />

carrello nelle librerie del mondo.<br />

Potrei cucinarvi una pietanza casalinga, una specialità<br />

della casa, qualcosa fritta nell’olio dei miei versi ma per<br />

ingraziarmi i vostri palati vorrei andare sul sicuro, preparando<br />

per voi qualcosa di classico, qualcosa di tremendamente<br />

delizioso...<br />

Ecco, ci sono! Vi cucinerò un gustosissimo piatto<br />

italiano,un risotto alla milanese con quello zafferano dorato<br />

con cui Alda da sempre accende l’acquolina della<br />

nostro sentire.<br />

Alda Merini è nata a Milano nel 1931 ed è sicuramente<br />

la poetessa italiana più conosciuta, per questo motivo<br />

non vorrei graffiarvi la gola con la solita scotta biografia,<br />

preferisco solleticarvi il gusto con un antipasto di croccanti<br />

curiosità:<br />

- Non ha frequentato il liceo perché respinta in italiano<br />

compiendo gli studi superiori all’Istituto Professionale.<br />

- Nei primi anni cinquanta ha instaurato un rapporto<br />

d’amicizia con Salvatore Quasimodo, al quale dedica le<br />

Due poesie per Q., edite ne Il volume del canto.<br />

- Nel 1955 è nata la sua prima figlia ed a Pietro, il pediatra<br />

della bambina, ha dedicato la raccolta Tu sei Pietro<br />

edita nel 1961 per poi innalzare una caligine di silenzio<br />

che durerà venti anni.<br />

- Nel 1995 ha dato alle stampe la raccolta Ballate non<br />

pagate e nell’anno successivo<br />

ha vinto il Premio Viareggio.<br />

-Nei primi anni del duemila<br />

ha iniziato una collaborazione<br />

con la cantante Milva<br />

che tuttora interpreta i sui<br />

scritti musicandone i versi.<br />

-Nella estate 2006 gli è stato<br />

staccato il gas per evitare<br />

il compimento del continuo<br />

e dichiarato desiderio di suicidio.<br />

Tutto è ormai pronto, den-<br />

tro la mia cucina si stagliano torri di profumo, è arrivato<br />

il momento di servirvi la pietanza di questo mese, tratta<br />

dalla raccolta Ballate non pagate, sopra citata.<br />

Buon appetito…<br />

Ho una nave segreta dentro al corpo,<br />

una nave dai mille usi,<br />

ora zattera ora campana<br />

e ora solo filigrana.<br />

è la mano di Fatima verde di colli,<br />

la rosa del deserto già dura<br />

e una perla nel cuore:<br />

la mia paura.<br />

Apro la sigaretta<br />

come fosse una foglia di tabacco<br />

e aspiro avidamente<br />

l’assenza della tua vita.<br />

è così bello sentirti fuori,<br />

desideroso di vedermi<br />

e non mai ascoltato.<br />

Sono crudele, lo so,<br />

ma il gergo dei poeti è questo:<br />

un lungo silenzio acceso<br />

dopo un lunghissimo bacio.<br />

Poesia<br />

Spalanco le porte,<br />

eppur non cerco quel che trovo<br />

Se come me avete gustato ogni chicco di questa Arte,<br />

così lentamente perché vinti dal terrore che presto finisse,<br />

tornate da me a scaldare la mia mensa, senza soldi<br />

né mance ma con solo un cappello da appendere per un<br />

momento.<br />

Contribuisci anche tu ad ampliare la mia dispensa,con<br />

un aroma o un’essenza...<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

Luca Bresciani<br />

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L’a n g o L o d e L t r a d u t t o r e L’a n g o L o d e L t r a d u t t o r e L’a n g o L o d e L t r a d u t t o r e<br />

Un libro ha cambiato la mia vita.<br />

Almeno questa<br />

è l’impressione che<br />

ho se mi guardo<br />

indietro e rievoco<br />

il momento in cui<br />

incontrai <strong>Holden</strong>.<br />

Non so se è vero che<br />

i libri cambiano sul<br />

serio le vite, figurarsi<br />

uno, ma è bello<br />

fingere di crederci, convincersi del potere taumaturgico<br />

che essi possiedono.<br />

Talvolta mi capita di chiedere a qualcuno se c’è un libro<br />

che gli ha cambiato la vita. Ascolto risposte originali,<br />

titoli sconosciuti, racconti commossi. E libri noti, quelli<br />

che se non cambiano la vita, ci passano almeno attraverso:<br />

Siddharta, I pilastri della terra, Il gabbiano Jonathan<br />

Livingston. E Il <strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong>, per forza.<br />

<strong>Holden</strong> ha cambiato almeno la vita di un’altra donna,<br />

Adriana Motti. Se non fosse stato per Salinger, forse nessuno<br />

l’avrebbe tolta dall’ufficio stampa della Società Autostrade,<br />

e chissà che altra carriera, che altra vita, avrebbe<br />

vissuto.<br />

è la donna che ha tradotto Il giovane <strong>Holden</strong>.<br />

Adriana Motti ha settantacinque anni, cinque meno di<br />

Salinger, oggi è una delle più note traduttrici italiane. Sì,<br />

ma note a chi?<br />

Perché noi, miserere pubblico di lettori, riversiamo la<br />

nostra completa attenzione all’autore originale ma raramente<br />

prestiamo attenzione al traduttore. Diamo il suo<br />

ruolo per scontato e passiamo la sua presenza sotto silenzio.<br />

“…è un lavoro aberrante e io mi sono tremendamente<br />

pentita di averlo fatto. Nessuna soddisfazione, si guadagna<br />

pochissimo e si perde completamente la propria<br />

identità. E si sta sempre soli, noi e il libro e nient’altro” ha<br />

detto la stessa signora Motti in una recente intervista.<br />

Lei che ha tradotto Karen Blixen, Lawrence Durrell, E.M.<br />

Forster, Wodehouse, Shikibu Murasaki, Catherine Porter e<br />

Colette dal francese. E Ivy Compton Burnett e altri ancora.<br />

A ventitre anni, nel 1947, le capitò la prima traduzione<br />

letteraria, Wodehouse. In un certo senso si può dire che se<br />

lo sia inventato questo mestiere. Figlia di un avvocato romano,<br />

a quel tempo faceva la giornalista per il quotidiano<br />

Avanti, dove era entrata rispondendo con un suo articolo<br />

a uno scritto di Benedetto Croce. Le traduzioni le fecero<br />

perdere l’attitudine a scrivere.<br />

In America negli stessi anni usciva Questo mio folle cuore,<br />

un film con Dana Andrews e Susan Hayward liberamente<br />

tratto dal racconto di Salinger Lo zio Wiggily nel<br />

Connecticut. Deluso dal risultato, lo scrittore si lamentò<br />

La donna che<br />

tradusse <strong>Holden</strong><br />

affermando che se<br />

a Hollywood avessero<br />

tratto un film<br />

da Un giorno ideale<br />

per i pescibanana<br />

avrebbero dato a<br />

Edward G. Robinson<br />

la parte della<br />

bambina Sybil… E<br />

così <strong>Holden</strong> vanterà<br />

per tutto il romanzo<br />

il suo odio per il cinema e i film e i dubbi<br />

sul fratello scrittore che è andato a Hollywood.<br />

Alcuni anni dopo la signora Motti fu contattata da Einaudi<br />

e si narra che fece un’impressione eccellente. Benedetto<br />

Croce sosteneva che le traduzioni sono opere affini<br />

agli originali, le belle infedeli. La libertà che è lasciata al<br />

traduttore e che il traduttore deve prendersi è grandissima,<br />

ma la signora Adriana Motti ritiene che il ruolo più<br />

adatto al traduttore è quello di restare fedele alla cadenza<br />

del testo originario. Nel 1961 Einaudi le affida la tradu-<br />

e cambiò la mia vita<br />

L’angolo del traduttore<br />

zione di The catcher in the rye.<br />

Il resto è leggenda.<br />

In America il libro aveva già venduto un milione e duecentomila<br />

copie.<br />

“…sembrerà un’eresia: sono diventata celebre con Il<br />

giovane <strong>Holden</strong> che io non ho preso sul serio per niente.<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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L’a n g o L o d e L t r a d u t t o r e L’a n g o L o d e L t r a d u t t o r e L’a n g o L o d e L t r a d u t t o r e<br />

Mi è piaciuto, molto acuto, molto profondo, ma non gli<br />

ho dato questa importanza: divenne un dogma, un catechismo<br />

che non capisco tuttora…”<br />

In Italia di Salinger allora si sapeva meno di oggi, malgrado<br />

il successo del libro in patria.<br />

“…la gente crede che quando uno fa il traduttore si<br />

mette in comunicazione con l’autore: forse la Pivano lo<br />

fa, perché aveva la possibilità di conoscere Hemingway, di<br />

andare in America. Ma io che lo facevo per mestiere, dalla<br />

mattina alla sera, se avessi dovuto prepararmi, conoscere<br />

l’autore, non<br />

traducevo più. Campavo d’aria?”<br />

Vangelo…<br />

Oggi forse è più facile un contatto con l’autore originario<br />

grazie a internet.<br />

Una signora che conosco e ammiro si sobbarca tre viaggi<br />

l’anno per incontrare gli autori che traduce<br />

e ha fatto della traduzione letteraria<br />

una passione. Lei mi ha spiegato che difficilmente<br />

un traduttore vive di traduzioni<br />

letterarie, soprattutto se non è famoso e<br />

non ha un contratto con Feltrinelli… insomma<br />

un traduttore non campa d’aria,<br />

ma facendo altri lavori.<br />

Spesso si sente dire però che una buona<br />

traduzione nasce da una profonda conoscenza<br />

dell’autore e del suo testo: leggerlo<br />

e rileggerlo, prima di mettersi all’opera.<br />

La signora <strong>Holden</strong> invece sostiene che se<br />

legge prima, non traduce: le viene la nausea…<br />

Tradusse <strong>Holden</strong> sdraiata nel suo<br />

letto, accatastando parole in un quadernetto a quadretti,<br />

come ha sempre fatto, il testo sulle pagine di<br />

destra e le correzioni su quelle di sinistra, impiegandoci<br />

alcuni mesi, perché anche lei – come me, passatemi<br />

il parallelo - è sempre in ritardo, alla fine.<br />

Adriana Motti non ha letto gli altri libri di Salinger e apprende<br />

divertita che tre anni fa Baricco e Veronesi proposero<br />

a Einaudi di rifare la sua traduzione. La proposta si<br />

perse lì, com’era giusto.<br />

Lei è la traduttrice di <strong>Holden</strong>.<br />

Chi altri potrebbe? Chi altri avrebbe lo spirito giusto?<br />

Il giovane <strong>Holden</strong> italiano è scritto in maniera formidabile<br />

proprio perché lo ha scritto lei, ed è una traduzione<br />

che spesso brilla di luce propria, costretta a emanciparsi<br />

continuamente dall’originale. A momenti si potrebbe<br />

pensare addirittura che Adriana si sia presa troppe libertà.<br />

Ma <strong>Holden</strong> come lo conosciamo noi oggi non potrebbe<br />

scrollarsi di dosso i suoi “e tutto quanto”, “e compagnia<br />

bella”, “eccetera eccetera”, “e quel che segue”, “e via discorrendo”,<br />

che traducono sempre e soltanto l’espressione<br />

“and all” dell’originale, che come tutte le opere in inglese<br />

non ha il nostro fastidio per le ripetizioni. Né chi ha letto<br />

L’angolo del traduttore<br />

<strong>Holden</strong> in italiano potrebbe pensarlo denudato di tutto il<br />

suo slang fatto di “una cosa da lasciarti secco”, “marpione<br />

sfessato”, “infanzia schifa”, e compagnia bella.<br />

“…allora i ragazzi parlavano così. Mi son dovuta<br />

adeguare, e chiedere ai miei nipoti: in americano poteva<br />

essere più sobrio, aveva lo stile di Salinger che<br />

lo sosteneva, in italiano io dovevo reinventarmelo”.<br />

Calvino le scrisse: “…non si faccia venire un esaurimento<br />

nervoso, se non ci darà il libro in maggio, ce lo darà in<br />

giugno, se non in giugno in luglio, se in luglio non ce l’ha<br />

ancora dato mandiamo un sicario a<br />

ucciderla, ma lei deve lavorare tranquilla, come in un<br />

letto di rose”.<br />

“…Salinger usava espressioni che non potevo tradurre e<br />

cercavo di compensare, per rendere il suo<br />

stile… una cosa sola me la sono inventata<br />

io, perché nessuno mi sapeva dire niente:<br />

che lui se l’era stantuffata sui sedili dietro<br />

della macchina. Chiedevo a tutti come si<br />

diceva e tutti mi dicevano le stesse cose<br />

che sapevo anch’io!”<br />

La traduzione de Il giovane <strong>Holden</strong> fu<br />

abbastanza problematica a cominciare dal<br />

titolo. Una celebre nota scritta da Calvino<br />

in apertura dell’edizione italiana del<br />

romanzo spiega l’intraducibilità del titolo<br />

originale.<br />

“…mi meraviglia moltissimo di accorgermi<br />

ora di avere una fama perché la<br />

gente non legge mai il nome di un traduttore.<br />

Poi mi dicono, ma lei è quella che ha tradotto Il<br />

giovane <strong>Holden</strong>? tutti, sempre, e mi fa ridere, io ho tradotto<br />

quaranta libri e si ricordano solo quello. E la Blixen?”<br />

“Chiamerei volentieri Isak Dinesen”, dice <strong>Holden</strong>, innamorato<br />

de La mia Africa.<br />

Questione di feeling…<br />

Adriana Motti ha messo parole italiane sulle bocche di<br />

Jeeves e <strong>Holden</strong> Caulfield, di Adela Quest e del principe<br />

Genji, e decine di migliaia di persone le hanno lette e se<br />

ne sono innamorate (l’anno scorso Il giovane <strong>Holden</strong> ha<br />

venduto in Italia altre ventimila copie).<br />

Ha smesso di tradurre da qualche anno, l’ultimo è stato<br />

un libro di David Garnett.<br />

L’intervista da cui ho tratto spunto per questo “articolo”<br />

si conclude così: “Si alza dalla poltrona e… lamentandosi<br />

della poca memoria e della sua schiena, dice, vecchiaia<br />

schifa…”<br />

Miranda Biondi<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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In e d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o<br />

Maschere in festa<br />

Inedito<br />

all’Antica Quercia... non mancare<br />

Non si sa perché, né come, né dove. Forse fu opera<br />

della Fata Turchina, su suggerimento di Mago Merlino.<br />

Fatto sta che, il giorno di Carnevale, i personaggi delle<br />

favole ricevettero un invito a sorpresa che diceva così:<br />

Ti aspetto alla Festa in Maschera<br />

che si terrà nel grande prato dell’Antica Quercia<br />

nel giorno di Carnevale.<br />

Porta con te i tuoi sogni!<br />

Tutti si domandarono chi avesse organizzato una festa<br />

così speciale, ma l’emozione intensa dei preparativi prese<br />

il sopravvento sui pensieri.<br />

Fu così che Cappuccetto Rosso vestì i panni del Gatto<br />

con gli Stivali, felice di non essere rincorsa dal lupo,<br />

almeno per un giorno, per tutto il bosco.<br />

Biancaneve, poi, stanca di ripetere sempre la scena<br />

della mela avvelenata offerta dalla strega cattiva, volle<br />

diventare Peter Pan e non vedeva l’ora di conoscere<br />

Campanellino.<br />

Per non parlare poi di Cenerentola la quale, aiutata<br />

dai suoi amici topolini curiosi, per un giorno avrebbe<br />

potuto dimenticarsi di strofinare, lucidare pentole e cucinare<br />

per le sorellastre. E niente zucca da trasformare<br />

in un lucente cocchio, e nessuna scarpetta di cristallo<br />

da perdere sui gradini del Palazzo Reale: il suo sogno di<br />

sempre era trasformarsi nel Pifferaio Magico.<br />

Immaginava a occhi aperti tutti quei topini che, anziché<br />

buttarsi in mare al suono di quella dolce melodia,<br />

avrebbero danzato felici attorno a lei in un girotondo<br />

senza fine.<br />

Anche Alice era stanca del solito Paese delle Meraviglie:<br />

avrebbe volentieri fatto cambio con Bella, essendo<br />

lei una personcina temeraria e coraggiosa, desiderosa di<br />

vedere da vicino la Bestia, per sfidarla in una partita a<br />

carte sorseggiando il the delle quattro e ridere divertita<br />

alla vista di tazzine, teiere, piatti e forchette in movimento.<br />

Tra tutti, e vi dico il vero, il più felice era Pinocchio:<br />

ma ci pensate? Niente piedi bruciacchiati davanti al camino,<br />

nessun Grillo Parlante sapientone a fargli la morale,<br />

nessun Gatto e nessuna Volpe bugiardi e ladri, nessun<br />

Mangiafuoco grande e grosso a metterlo in gabbia.<br />

Il burattino aveva deciso di vestire i panni di Robin<br />

Hood: il suo babbo condivise questa saggia decisione,<br />

pensando che avrebbe giovato al suo figliolo, anche se<br />

per poche ore, vivere da persona altruista e occupata ad<br />

aiutare i meno fortunati.<br />

Alla faccia della balena, che una volta tanto avrebbe<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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In e d I t o In e - d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o In e d I t o<br />

dovuto arrangiarsi per il pasto di mezzogiorno.<br />

Finalmente il giorno di Carnevale arrivò e, all’ora stabilita,<br />

tutti si trovarono ad abbracciarsi all’ombra dell’<br />

Antica Quercia. Ad attenderli, una tavola imbandita<br />

con tante leccornie e una musica festosa in sottofondo.<br />

Tanti palloncini colorati volavano leggeri in cielo e il<br />

prato era coperto da una miriade di coriandoli.<br />

“Amici... ehi... amici, sono qui!”<br />

“Chi parla?” si domandarono tutti volgendo gli<br />

sguardi a destra e a sinistra.<br />

“Qui... sull’albero... sono qui!”<br />

A cavalcioni del ramo più alto, fischiettando allegramente,<br />

stava a osservarli una bimba dai capelli rossi<br />

raccolti in due buffi codini che tanto si era divertita a<br />

leggere le loro storie, prima di addormentarsi, la sera.<br />

“Mi hanno detto che oggi vi avrei trovati tutti qui e<br />

non ho resistito all’idea di vedere i miei eroi tutti insieme!<br />

Vi riconosco uno a uno, anche se nascosti dalle<br />

maschere: vedo i vostri occhi e poi... vi ho tanto amato<br />

nei vostri racconti, sapete?”<br />

La piccola fece un gesto con la mano e, all’improvviso,<br />

ecco apparire una bellissima Colombina, furba e<br />

chiacchierona, a braccetto di un variopinto e saltellante<br />

Arlecchino. Li seguivano, poco più in là un burbero e<br />

brontolone Pantalone che, imperterrito, rimproverava<br />

a più non posso il Dottor Balanzone, per le sue solite<br />

frasi sgrammaticate e zeppe di errori.<br />

Gianduia e Stenterello, parlottando tra loro, osservavano<br />

il pigro Pulcinella che riposava all’ombra,<br />

mentre Brighella si aggirava indisturbato<br />

attorno alla tavola<br />

nel tentativo di placare il<br />

suo appetito.<br />

“Che ne pensi, amica<br />

mia?” domandò la bimba<br />

alla Quercia, tenendosi<br />

ben salda al ramo. “E<br />

i sogni che dovevano<br />

portare? Spero li custodiscano<br />

nel loro cuore,<br />

come faccio io.”<br />

“Bambina mia, i sogni<br />

non muoiono mai,<br />

sfidano il tempo, vivono<br />

per sempre” rispose il<br />

saggio albero, sonnecchiando.<br />

Inedito<br />

E le maschere danzarono allegre, festeggiando quel<br />

favoloso Carnevale, per tutta la notte.<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

Katia Giuliani<br />

“Se gentilmente potesse accludere al suo racconto una<br />

breve presentazione di sé le sarei grata.”<br />

Più facile a dirsi che a farsi. Così prendo il telefono<br />

e supero l’impersonalità delle e-mail.<br />

“Senta, ma posso scriverci quello che mi pare nella<br />

presentazione?”<br />

“Certo, solo una cortesia, eviti l’esposizione tecnica di<br />

un curriculum vitae. Ci parli di cosa fa, dei suoi hobby,<br />

immagini di essere in un salotto e di conversare.”<br />

Tiro un sospiro di sollievo e scrivo.<br />

Detesto l’ipocrisia, apprezzo l’onestà di chi sa ammettere<br />

i propri limiti, sono una appassionata dei<br />

film horror anni ’60, leggo di tutto, romanzi, poesie,<br />

saggi, bugiardini dei farmaci. Preferisco la pioggia al<br />

sole, faccio lunghe passeggiate e trascorro ore tra le<br />

bancarelle dei mercatini dell’antiquariato.<br />

Ho scritto questa fiaba per i miei bambini e con<br />

l’aiuto di un’amica mi sono divertita a farla diventare<br />

una recita scolastica.<br />

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Ar s e n i o Lu p i n GA L L e r y Ar s e n i o Lu p i n GA L L e r y Ar s e n i o Lu p i n GA L L e r y<br />

Arsenio Lupin Gallery<br />

La dama che avrebbe<br />

potuto cambiare le sorti di Camelot<br />

John William Waterhouse è stato un pittore britannico<br />

di epoca vittoriana noto soprattutto per i suoi<br />

soggetti mitologici e per le protagoniste femminili dei<br />

suoi dipinti, incarnazioni di grazia o donne fatali.<br />

Nacque a Roma da William e Isabela Waterhouse,<br />

entrambi pittori, e si trasferì con la famiglia a South<br />

Kensington all’età di cinque anni. Cresciuto così accanto<br />

al nuovissimo Victoria and Albert Museum,<br />

studiò pittura con suo padre e si iscrisse alla Goal Academy<br />

nel 1870. Nel 1874, all’età di venticinque anni,<br />

Waterhouse presentò alla Royal Academy il primo dei<br />

suoi lavori maturi, l’allegoria Il Sonno e la sua sorellastra<br />

la Morte che lo rese celebre e rimase per decenni una<br />

delle opere più amate dal pubblico. Si ammalò di cancro<br />

nel 1915 e morì due anni dopo, lasciando a metà<br />

uno dei suoi numerosi quadri raffiguranti la morte di<br />

Ofelia.<br />

La produzione di Waterhouse può essere raggruppata<br />

per temi entro due filoni principali: le opere di ispirazione<br />

classica e le opere di ispirazione medievale, tra<br />

cui spiccano i numerosi Ofelia e La dama di Shalott,<br />

oltre ad altri dipinti a tema shakespeariano.<br />

La dama di Shalott è uno dei personaggi che maggiormente<br />

ispirarono Waterhouse, portandolo a realizzare<br />

almeno tre<br />

differenti dipinti<br />

nel 1888,<br />

nel 1896 e nel<br />

1916. Il tema<br />

della donna che<br />

si strugge per<br />

amore, in questo<br />

caso Elaine<br />

of Astolat, ricorre<br />

nei dipinti<br />

di Waterhouse: non a caso un altro dei suoi soggetti<br />

ricorrenti è Ofelia nell’atto di raccogliere fiori, poco<br />

prima della morte. Il dipinto unisce il tema femminile<br />

a quello dell’acqua, un’associazione che - insieme a<br />

quella con il fiore - è tipica della pittura simbolista in<br />

generale e dei preraffaelliti in particolare.<br />

La storia di Elaine è la storia della donna che avrebbe<br />

potuto cambiare le sorti di Camelot, di Ginevra e<br />

dello stesso Artù. Ser Lancelott infatti, avrebbe dovuto<br />

innamorarsi della bella Elaine, la dama di Shalott, ma<br />

Morgana, sorella di Artù impedì che ciò accadesse con<br />

un maleficio.<br />

Così narra la leggenda…<br />

…poco lontano dalla citta fortificata di Camelot,<br />

sorgeva la rocca di Shalott, posta su un isolotto nel<br />

mezzo del fiume Avon che attraversava la città. Nella<br />

rocca di Shalott viveva una giovane maga, la Dama di<br />

Shalott, il cui nome, Elaine di Astolat, non era conosciuto<br />

da alcuno, e che si diceva essere bellissima.<br />

La Dama aveva passato i tutti i suoi 22 anni di età<br />

sempre nella torre più alta del castello, quella che<br />

guardava verso la ricca e festosa Camelot. Non era mai<br />

uscita e passava il suo tempo a tessere. Sua madre era<br />

morta poco dopo il parto e suo padre era stato ucciso<br />

in guerra. Era triste la Dama, molto triste. Su di<br />

lei gravava una pesante maledizione: il giorno in cui<br />

avrebbe osato guardare fuori dalla finestra in direzione<br />

di Camelot o uscire dalla Rocca sarebbe morta.<br />

Per questo Elaine passava il tempo nella sua stanza<br />

in cima alla torre a tessere una magica trama in cui<br />

erano intessute le vicende del mondo che lei osservava<br />

attraverso un specchio d’argento incantato che rifletteva<br />

le luci e le immagini di Camelot e dei campi di<br />

grano intorno a Shalott.<br />

Per questo sua madre prima di morire aveva rivelato<br />

il suo nome e il suo destino solo alla fedele balia Isotta,<br />

credendo così, di impedire alla maledizione di fare il<br />

suo corso.<br />

L’origine della maledizione che gravava sulla Lady<br />

di Shalott risaliva a 22 anni prima, quando Morgana,<br />

sorella di Re Artù, al momento del concepimento<br />

incestuoso di suo figlio Mordred, ebbe una visione:<br />

vide Lancillotto arrivare a Camelot e lo vide invaghirsi<br />

di Ginevra, moglie di re Artù. Poi, a distanza di un<br />

paio di anni Lancillotto avrebbe incontrato la Dama<br />

di Shalott, se ne sarebbe perdutamente innamorato,<br />

l’avrebbe sposata e il matrimonio tra Ginevra e Artù<br />

sarebbe stato salvo. Questo per Morgana significava<br />

che lei non avrebbe mai potuto regnare su Camelot<br />

assieme al suo amato fratello Artù e suo figlio Mordred<br />

non sarebbe mai salito al trono. Di conseguenza si recò<br />

dalla madre della futura Dama di Shalott, ormai al suo<br />

nono mese di gravidanza, e le lanciò una terribile maledizione:<br />

“Tua figlia sia maledetta, Lady Maere, che<br />

ella non possa mai guardare il mondo dalla sua finestra<br />

e che non possa mai uscire dalla rocca o il prezzo<br />

sarà una morte atroce. Io Morgana Pendragon, figlia<br />

di Ygrajne, la maledico ora nel tuo grembo affinché la<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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Ar s e n i o Lu p i n GA L L e r y Ar s e n i o Lu p i n GA L L e r y Ar s e n i o Lu p i n GA L L e r y<br />

vita che porto nel mio, ne sia pegno. Nulla potrà spezzare<br />

questa maledizione e per il nome di tua figlia io ti<br />

proibisco di parlare con chiunque di quanto<br />

hai sentito oggi che gli dei mi siano testimoni.”<br />

Lancillotto giunse alla corte di Artù quando il Re e<br />

Ginevra erano sposati da cinque anni. Egli divenne subito<br />

il campione di Ginevra e il migliore tra i cavalieri,<br />

trascorreva gran parte del tempo in giro per il<br />

regno e distante da Camelot a causa del suo amore<br />

segreto per la Regina.<br />

Egli tornò a Camelot in un pomeriggio d’estate, cavalcando<br />

al passo, per la prima volta davanti alla Rocca<br />

di Shalott. La sua immagine di cavaliere bellissimo e<br />

valente venne riflessa dallo specchio della Dama che<br />

se ne invaghì immediatamente e, presa da un amore<br />

ardente, decise di guardare fuori dalla finestra per osservarlo<br />

con i suoi occhi.<br />

Nello stesso istante in cui la Dama guardò Lancillotto,<br />

anch’ egli la vide ed ella seppe che il cuore di<br />

Lancillotto sarebbe per sempre appartenuto a Ginevra<br />

e che il suo amore non aveva alcuna speranza. Proprio<br />

in quell’istante la maledizione si avverò, lo specchio si<br />

spaccò e cadde a terra, la Dama capì che avrebbe dovuto<br />

Arsenio Lupin Gallery<br />

morire. Immediatamente cor- The lady of Shalott<br />

se dalla balia, le rivelò di ave-<br />

1888<br />

re sfidato la maledizione per Tate Gallery Londra<br />

amore e, con il cuore spezzato,<br />

decise di fuggire per andare a morire il più lontano<br />

possibile dall’uomo che non avrebbe mai potuto essere<br />

suo. La sera stessa, di nascosto, la Dama fuggi dalla<br />

Rocca e, su di una barca, scese lungo il fiume Avon<br />

scomparendo per sempre dalla vista di tutti.<br />

La storia di Elaine mi fu raccontata molto tempo fa.<br />

Da allora il dipinto di Waterhouse mi fa compagnia<br />

sulle pareti del mio ufficio, umile tributo all’amore impossibile.<br />

Miranda Biondi<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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a l e z i o n e d i ... a l e z i o n e d i ... a l e z i o n e d i ... a l e z i o n e d i ... a l e z i o n e d i ... a l e z i o n e d i ...<br />

Avrei un libro da presentare... A lezione di...<br />

si può fare senza far venire agli amici<br />

un improrogabile desiderio di latitanza?<br />

Chiunque abbia pubblicato un libro, sa per esperienza<br />

personale che la distribuzione del volume è fondamentale<br />

perché il libro si venda. In genere, però, gli<br />

autori sono portati a pensare che l’unico parametro<br />

davvero importante sia la capacità distributiva del proprio<br />

editore… Famigerata creatura… In realtà tale elemento<br />

è senz’altro importante per un buon successo di<br />

vendite, ma non è l’unico da tenere in considerazione.<br />

Una buona distribuzione può far sì che un libro abbia<br />

la possibilità di raggiungere in breve tempo numerose<br />

librerie in un territorio più o meno ampio, ma perché<br />

questa possibilità si trasformi in una disponibilità<br />

concreta del volume presso molti punti vendita, è necessario<br />

che i librai ai quali il libro viene proposto (dal<br />

distributore, dall’editore o dall’autore) siano interessati<br />

ad accettare quel libro nel proprio negozio. Indipendentemente<br />

dalle capacità distributive del proprio editore,<br />

insomma, perché le librerie e i lettori si sentano<br />

invogliati a ordinare un libro, non basta che abbiano la<br />

possibilità di farlo, e questo spetta alla distribuzione,<br />

ma è necessario che di quel libro sentano parlare, che lo<br />

percepiscano come una pubblicazione “ufficialmente”<br />

riconosciuta, e questo è l’obiettivo della promozione.<br />

Se, dunque, per quanto riguarda la distribuzione un<br />

autore può sperare, ma ricordate che di solito non basta,<br />

nei canali che gli sono offerti dal suo editore, per<br />

la promozione è fondamentale che sia proprio l’autore<br />

stesso del libro a darsi da fare! Un piccolo editore non<br />

ha le risorse economiche per fronteggiare da solo una<br />

campagna seria – residenziale e on line – per ogni libro<br />

che pubblica. Il suo ruolo in questa realtà editoriale è di<br />

pubblicare al meglio, distribuire, promuovere attraverso<br />

i proprio canali e concertare con l’autore un piano promozionale<br />

personalizzato. Tutto il resto è fantascienza<br />

o dimensioni alternative. Per far conoscere il libro, almeno<br />

nella sua città, - punto di partenza per chiunque<br />

- sono senz’altro utili tutti gli strumenti promozionali<br />

che l’autore riesce a predisporre: recensioni su giornali<br />

locali, locandine da affiggere presso le librerie e in altri<br />

luoghi strategici, pieghevoli, volantini, interviste rilasciate<br />

a radio e TV locali e quant’ altro gli possa venire<br />

in mente. Ma, mentre per tutti questi veicoli è necessario<br />

avere le conoscenze giuste o spendere dei soldi,<br />

all’autore resta sempre a disposizione l’arma della serata<br />

di presentazione che, con un po’ di buona volontà e<br />

di impegno si può realizzare spendendo pochissimo, se<br />

non nulla, e può dare, specie nei centri medio piccoli,<br />

grandi risultati.<br />

In questo articolo cercherò perciò di dare dei consigli<br />

su come organizzare questo evento, così importante<br />

nella storia di un libro, spendendo il minimo possibile,<br />

ma realizzando lo stesso un evento simpatico e piacevole.<br />

Punto fondamentale è la location. Dove organizzare<br />

la serata? Esistono, ovviamente, diverse possibilità e<br />

non è detto che l’evento debba svolgersi in un singolo<br />

posto. La via migliore sarebbe quella di accordarsi con<br />

il gestore di un locale, caffé o ristorante, è vero solitamente<br />

il gestore, tranne rari casi, richiede il pagamento<br />

di un affitto per l’uso della sala. Contrattate e tenete<br />

presente il vostro budget. Altra via è quella di contattare<br />

l’Assessorato alla Cultura (a volte è tutt’uno con<br />

quello della Pubblica Istruzione) del vostro Comune.<br />

Nella maggior parte dei casi gli amministratori pubblici,<br />

specie nei centri medio piccoli, si mostrano infatti<br />

interessati a supportare un loro concittadino nella presentazione<br />

del suo libro. Lo so, può sembrare “strano”<br />

ma a volte succede… Dall’Assessorato alla Cultura dipendono<br />

spesso Biblioteca Comunale, Musei, Centri<br />

Sociali presso i cui locali il Comune può ospitare la<br />

manifestazione.<br />

Per esperienza vi invito però a diffidare di quelle<br />

strutture che richiedono un esborso di denaro sotto varie<br />

forme, ad esempio cinquecento o mille inviti cartacei<br />

da inviare alla propria mailing list. Ammesso infatti<br />

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che non abbiate un tipografo amico o che utilizziate di<br />

straforo la stampante laser a colori del vostro capo, vi<br />

verrebbe a costare qualche centinaio di euro.<br />

Una terza via sono le librerie. Ammesso che il vostro<br />

librario di fiducia abbia una sala apposita per le presentazioni,<br />

siete a posto. Quale location migliore potreste<br />

desiderare?<br />

Bien, la location l’avete individuata. Ora non vi resta<br />

che evitare la fuga in massa degli amici. Avete presente?<br />

“Ma dai! Sabato presenti il tuo libro? Miseriaccia, sarei<br />

venuto volentieri ma ho già un impegno, non lo posso<br />

rimandare, l’ho preso mesi fa, una cosa combinata. Mi<br />

dispiace proprio.” Alzi la penna a chi non è mai successo…<br />

Il problema è che la serata di presentazione di un libro<br />

coincide spesso con lo stereotipo più classico di una<br />

manifestazione noiosa e pedante. Il nostro sforzo dovrà<br />

essere concentrato per evitare nel modo più assoluto che<br />

ciò avvenga. Tale scopo si raggiunge innanzitutto coinvolgendo<br />

sul palco della manifestazione le persone<br />

giuste. Prima di tutto il coordinatore. Costui, o costei,<br />

dovrà essere brillante, accattivante e abituato a parlare a<br />

una platea. A questo dovete aggiungere colui che “parlerà”<br />

del vostro libro, che insomma lo presenterà. Non<br />

confondete i due ruoli, a volte possono coincidere ma<br />

non è detto. State molto attenti! Giornalisti, anche alle<br />

prime armi, animatori, speaker di radio o Tv private,<br />

attori di teatro o in ultima analisi insegnanti, vanno tutti<br />

bene allo scopo, a patto che siano sufficientemente motivati<br />

e si sappiano organizzare una scaletta con gli interventi<br />

nonché qualche domanda da rivolgere all’autore<br />

e agli altri presenti (se l’avete invitato ed è pure intervenuto<br />

non dimenticate l’Assessore, che probabilmente<br />

sta sonnecchiando su un lato del palco…). Dopo di che<br />

serve qualcuno in grado di leggere con l’intonazione giusta<br />

qualche brano dal vostro libro: è il momento di fare<br />

una telefonata a quell’amico o a quell’amica che studia<br />

recitazione o che fa teatro per hobby. Se proprio non trovate<br />

nessuno e abitate nel raggio di trenta chilometri da<br />

Massarosa chiamate me, verrò volentieri. Tuttavia non<br />

vi fate scrupolo di spulciare a fondo la vostra agendina<br />

per questa serata o di chiamare persone che non sentite<br />

da tempo: le persone da contattare per questi tre ruoli<br />

fanno parte di solito di quelle categorie per le quali una<br />

presenza di più in pubblico è maggiormente gratificante<br />

di una serata al cinema o della solita pizza. Probabilmente<br />

si sentiranno lusingati dal fatto che abbiate pensato<br />

proprio a loro per questa occasione. E se sono davvero<br />

vostri amici, saranno più che contenti di essere al vostro<br />

fianco sul palco di questa manifestazione! Perciò, non<br />

esitate, l’occasione non lo richiede!<br />

Location, coordinatore, presentatore, lettore… Siamo<br />

a buon punto! Ora ci manca di organizzare il tutto<br />

A lezione di...<br />

in modo che la sala non risulti deserta…<br />

Oltre che alle persone che le daranno vita, il successo<br />

di una serata di presentazione dipende infatti anche da<br />

ciò che accadrà durante la manifestazione, e quindi dal<br />

programma che saprete organizzare. Se volete ridurvi al<br />

minimo indispensabile, limitatevi pure alla sola lettura di<br />

qualche brano dal libro e alle domande all’autore da parte<br />

del coordinatore, del presentatore e del pubblico. Ma se<br />

volete rendere la serata più interessante, aggiungete qualcosa<br />

di originale al menu! Gli ingredienti più semplici<br />

ed efficaci sono un filmato girato e/o montato da un voi<br />

stessi o da un vostro amico operatore (state attenti alla<br />

SIAE!) o la musica (ristate attenti alla SIAE!). Se vi orientate<br />

verso il primo e lo proiettate all’inizio del dibattito,<br />

tenete conto che la maggior parte dei presenti non ha<br />

ancora letto il vostro testo e quindi può conoscere solo<br />

parzialmente i temi trattati. Per questo motivo, potrebbe<br />

avere qualche difficoltà a seguire il filo conduttore delle<br />

domande che il presentatore, che invece lo ha già letto, vi<br />

farà. Vi consiglio di proiettarlo alla fine della serata. Per<br />

quanto riguarda gli aspetti tecnici, accordatevi col gestore<br />

del locale e/o con l’Amministrazione Comunale.<br />

Se vi orientate alla musica, la scelta si allarga. Ovviamente<br />

molto dipende dai gruppi musicali locali con i<br />

quali avete contatti, e che di solito non si lasciano sfuggire<br />

l’occasione di suonare in pubblico e farsi conoscere.<br />

Ma cercate comunque di trovare qualcosa che leghi<br />

col libro! Non invitate un quartetto d’archi per un libro<br />

pulp, oppure una band heavy-metal per un libro di poesie<br />

romantiche! Col gruppo musicale a vostra disposizione,<br />

inframmezzate la lettura di liriche con l’esecuzione di<br />

qualche brano e spezzate il dibattito con un po’ di sound<br />

se vi sembra che stia diventando troppo noioso. Non dimenticate<br />

mai però di gettare un occhio alla scaletta...<br />

Una nota di arredamento… se vi è possibile cercate<br />

di usare poltroncine e/o sedie su cui lo stare seduti non<br />

provochi scoliosi né il colpo della strega…<br />

Se vi siete orientati per una libreria, ricordate che di<br />

solito c’è meno spazio e la gente passa, si trattiene un po’<br />

e poi va via. Per questo motivo, in libreria prevedete un<br />

contesto meno ufficiale, un vero e proprio momento di<br />

incontro tra l’autore e i suoi lettori, con tanto di dediche<br />

e autografi sui libri. Un piccolo buffet, sarebbe l’ideale per<br />

creare l’atmosfera giusta. Si formeranno i classici capannelli<br />

in cui si discuterà della vostra creatura, e i presenti,<br />

pasticcino alla mano, avranno la possibilità di scambiare<br />

a turno quattro chiacchiere con l’autore... Alle domande<br />

a cui non vi va di rispondere, tergiversate!<br />

Abbiamo fatto il possibile, la nostra serata sarà interessante.<br />

Divulghiamone la notizia…<br />

Per promuovere adeguatamente una serata del genere<br />

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ci vuole tempo. Non vi affrettate inutilmente a fissare la<br />

data della manifestazione troppo presto. Possibilmente la<br />

serata dovrà aver luogo quando il libro è già disponibile<br />

nelle librerie della vostra città o lo sarà a brevissimo: non<br />

sarebbe carino che, dopo averne sentito parlare, qualcuno<br />

dei presenti si recasse poi in una libreria della zona e<br />

scoprisse che il libraio indicato dall’editore non ha mai<br />

sentito parlare di quel libro…<br />

Un tempo ragionevole per la promozione della vostra<br />

manifestazione è di circa due settimane: un tempo più<br />

lungo rischia di farne dimenticare l’esistenza a chi ha<br />

letto la notizia su una locandina, un tempo più breve<br />

non consente alla notizia di diffondersi adeguatamente<br />

sul territorio. Ma il tempo non basta, è necessario anche<br />

predisporre adeguati strumenti pubblicitari per l’iniziativa.<br />

Indipendentemente dalle iniziative pubblicitarie<br />

intraprese dall’editore, cercate di portare avanti le vostre:<br />

fatevi il giro dei punti d’incontro della vostra città - Bar,<br />

Cinema, Librerie, Associazioni, Scuole, Palestre, Parrocchie,<br />

Pub, Centri Sportivi e tutti gli altri che possano<br />

venirvi in mente – e distribuite il materiale pubblicitario<br />

concertato con l’editore. Un invito colorato e simpatico<br />

cattura l’attenzione. Telefonate o contattate le redazioni<br />

di giornali, radio e TV locali: magari passeranno la velina<br />

in un notiziario! Se poi vi rispondono che l’ufficio stampa<br />

dell’editore ha già chiamato… dedicate un pensiero<br />

gentile al suddetto ufficio e fate voto di ricordarvene…<br />

Non dimenticate poi di invitare i Librai della vostra<br />

città, magari recapitandogli a mano un invito personale.<br />

E non trascurate neppure il vecchio, caro tam-tam:<br />

parlatene con gli amici, i parenti, i conoscenti, i vostri<br />

vecchi professori del liceo, che magari a loro volta ne<br />

parleranno alle classi. Non fate mai l’errore di dare per<br />

scontata la presenza di nessuno! Appoggiatevi alla newsletter<br />

di qualche associazione culturale locale, e infine,<br />

non dimenticate che esistono siti appositi dove richiedere<br />

l’inserimento della notizia nella pagina delle news, in<br />

questo modo della vostra serata saranno informati tutti<br />

i visitatori del sito.<br />

La serata di presentazione, se è ben congegnata, non<br />

esaurirà il suo ruolo nell’unica sera in cui avrà luogo. Solitamente<br />

l’ufficio stampa dell’editore ha infatti inviato i<br />

famigerati comunicati stampa perciò acquistate i giornali<br />

locali e incrociate le dita, che sia trafiletto o recensione<br />

purché sia!<br />

Tutto sommato dunque non è impossibile organizzare<br />

una bella serata di presentazione. Ora, quindi, non avete<br />

più scuse: datevi da fare e cercate di trasformare il vostro<br />

libro in un best-seller!<br />

Miranda Biondi<br />

A lezione di...<br />

Cronaca di una presentazione annunciata<br />

Non chiedermi perché di Monica Santucci<br />

La presentazione del mio libro, due mesi dopo… Ho<br />

ancora nelle orecchie l’eco dell’ultimo applauso.<br />

Vedo, tuttora, le luci abbaglianti dei faretti puntati su<br />

di me.<br />

E mi chiedo: ho sognato?<br />

Corro alla mia scrivania, in un angolo del salotto di<br />

casa, prendo a cercare.<br />

Apro quei piccoli cassetti che tanto mi piacciono, frugo<br />

tra appunti, foglietti, quaderni e agende. Finché lo<br />

trovo. Mi siedo, mi rigiro con delicatezza quel piccolo<br />

rettangolo di carta tra le mani, ne accarezzo la levigatezza<br />

con le dita, ne assaporo ogni parola, ogni sfumatura di<br />

colore.<br />

Me lo bevo con gli occhi. Lo rileggo, per la milionesima<br />

volta.<br />

No, non ho sognato. Ho davvero vissuto tutto quello<br />

che nell’invito c‘è scritto: la presentazione del mio libro,<br />

il mio primo romanzo pubblicato dalla <strong>Giovane</strong> <strong>Holden</strong>.<br />

E all’improvviso mi ritrovo in quel freddo e ventoso<br />

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pomeriggio del 15 dicembre 2007. L’emozione mi mozza<br />

il respiro, il cuore batte impazzito contro il costato, la<br />

gola si secca mentre gli invitati entrano studiandosi intorno<br />

nella grande sala del Caffè Liberty. Parenti, amici,<br />

amiche e tutti che mi cercano, chiamano, salutano; tutti<br />

che vogliono stringermi le mani, baciarmi le guance,<br />

esprimermi la loro ammirazione… Accolgo uno ad uno<br />

tutti i presenti e sono una trottola impazzita; una parola<br />

per ognuno, un abbraccio, un semplice gesto d’affetto e<br />

ringraziamento per l’essere presenti.<br />

Un vortice di emozioni mi sommerge. Sento che la<br />

realtà del momento, così a lungo sognata, immaginata,<br />

fantasticata mi sta sfuggendo di mano tanto è diversa,<br />

inattesa, imprevedibilmente inimmaginabile. Un salto<br />

nel vuoto terrificante, esaltante; gioia e dolore, paura e<br />

felicità mi si mescolano nel sangue fino a diventare un<br />

marasma inscindibile e indescrivibile.<br />

In sottofondo il brusio sale d’intensità, a sorpresa mi<br />

depongono dei fiori tra le braccia e la sala, ora gremita,<br />

palpita d’aspettativa come un solo cuore.<br />

E’ il momento. Si inizia. Stordita, mi dirigo al mio<br />

posto e intanto mi chiedo chi sono io.<br />

Chi sono io che vivo tutto questo? Chi sono io diventata<br />

improvvisamente diversa, unica e sola al centro<br />

di questo esaltante girotondo? Chi sono catapultata su<br />

questo sconosciuto pianeta a respirare l’aria di un’altra<br />

dimensione dove non avrei mai creduto possibile allungare<br />

passi?<br />

Devo ricordarmi di respirare, devo cercare di sciogliere<br />

il sorriso teso che mi sento stampato sul volto<br />

esangue, devo ripetermi per la decima volta di stare calma<br />

mentre mi ritrovo il microfono tra le mani.<br />

E’ il mio turno, sta a me e prendo fiato e mi butto<br />

subito, senza fermarmi a riflettere.<br />

Parlo, spiego, racconto un rigurgito di parole che<br />

sgorgano dal profondo di me. Parlo e ogni sillaba è il<br />

frutto di lunghe ore silenziose e solitarie passate davanti<br />

A lezione di...<br />

al computer, rubate alla casa, ai figli, al lavoro; ogni sillaba<br />

è pregna di sofferte frustrazioni, è intinta di profonda<br />

soddisfazione, è partorita, è voluta, è cercata, è sudata, e<br />

l’applauso che accoglie le mie parole è sentito, partecipe,<br />

emozionato...<br />

Mi scuoto al suono stridulo del campanello. Stavo sognando?<br />

Apro la porta. E’ una cara vecchia amica, in segno di<br />

saluto solleva in alto il mio libro, un sorriso compiaciuto<br />

le illumina il volto. Mi chiede allegra se le autografo la<br />

copia.<br />

Desidera una dedica. Da me.<br />

Penso elettrizzata: sto per scrivere l’ennesima, stupenda,<br />

impegnativa, ebbra, esaltante dedica. Entriamo in<br />

casa, ci sediamo, le preparo un caffè. Insieme all’aroma ci<br />

avvolgono subito amichevoli e complici chiacchiere. Tra<br />

di noi, sul tavolo, concreto e visibile, fermo e immobile<br />

pilastro, il mio libro: Non chiedermi perché.<br />

Il cuore, colmo, mi salta un battito. Allungo una mano,<br />

lo prendo, impugno la penna e di getto le scrivo una dedica<br />

speciale, irripetibile.<br />

No, non ho sognato.<br />

Monica Santucci<br />

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Le g g e n d e Le g g e n d e Le g g e n d e Le g g e n d e Le g g e n d e Le g g e n d e Le g g e n d e<br />

La leggenda di<br />

San Valentino<br />

L’origine della festa degli innamorati<br />

è il tentativo della Chiesa cattolica di porre fine a un<br />

popolare rito pagano per la fertilità.<br />

Gli antichi Romani consideravano il mese di <strong>Febbraio</strong><br />

come il periodo in cui ci si preparava all’arrivo della<br />

primavera, identificata come la stagione della rinascita.<br />

Iniziavano i riti della purificazione: le case venivano pulite,<br />

vi si spargeva il sale e una particolare farina.<br />

Verso la metà del mese iniziavano le celebrazioni dei<br />

Lupercali (dei che tenevano i lupi lontano dai campi<br />

coltivati). Fin dal quarto secolo a.C. i romani pagani,<br />

infatti, rendevano omaggio, con un singolare rito annuale,<br />

al dio Lupercus. I Luperici, l’ordine di sacerdoti<br />

addetti a questo culto, si recavano alla grotta in cui,<br />

secondo la leggenda, la lupa aveva allattato Romolo e<br />

Remo e qui compivano i sacrifici propiziatori. Lungo le<br />

strade della città veniva sparso il sangue di alcuni animali,<br />

come segno di fertilità, ma il vero e proprio rituale<br />

consisteva in una specie di lotteria dell’amore. I nomi<br />

delle donne e degli uomini che adoravano questo dio<br />

venivano messi in un’urna e opportunamente mescolati.<br />

Quindi un bambino sceglieva a caso alcune coppie<br />

che per un intero anno avrebbero vissuto in intimità,<br />

affinché il rito della fertilità fosse concluso. L’anno successivo<br />

sarebbe poi ricominciato nuovamente con altre<br />

coppie.<br />

I padri precursori della Chiesa, determinati a mettere<br />

fine a questa pratica licenziosa, hanno cercato un santo<br />

“degli innamorati” per sostituire l’immorale Lupercus.<br />

Nel 496 d.C. Papa Gelasio annullò questa festa pagana<br />

e dette il via al culto di San Valentino, un vescovo che<br />

era stato martirizzato circa duecento anni prima.<br />

San Valentino nato a Terni nell’anno 175 d.C. divenne<br />

così il patrono dell’amore e il protettore degli<br />

innamorati di tutto il mondo. Valentino dedicò la sua<br />

vita alla comunità cristiana e alla città di Terni dove infuriavano<br />

le persecuzioni contro i seguaci di Gesù. Fu<br />

consacrato vescovo della città nel 197 d.C. da Papa San<br />

Feliciano. E’ considerato il patrono degli innamorati<br />

poiché la leggenda narra che egli fu il primo religioso<br />

che celebrò l’unione fra un legionario pagano e una giovane<br />

cristiana.<br />

La storia di San Valentino ha due finali differenti.<br />

Secondo una versione, quando l’imperatore Aureliano<br />

ordinò le persecuzioni contro i cristiani, San Va-<br />

Leggende e tradizioni<br />

lentino fu imprigionato e flagellato lungo la<br />

via Flaminia, lontano dalla città per evitare<br />

tumulti e rappresaglie dei fedeli.<br />

La seconda versione racconta, invece, che<br />

nel 270 d.C. il vescovo Valentino, famoso per<br />

aver unito in matrimonio un pagano e una<br />

cristiana, fu invitato dall’imperatore Claudio<br />

II a convertirsi nuovamente al paganesimo.<br />

San Valentino, con dignità, rifiutò di rinunciare alla sua<br />

Fede e, imprudentemente, tentò di convertire a sua volta<br />

Claudio II al Cristianesimo. Il 24 febbraio 270 d.C.<br />

San Valentino fu lapidato e poi decapitato. La storia<br />

sostiene, inoltre, che mentre Valentino era in prigione<br />

in attesa dell’esecuzione si fosse innamorato della figlia<br />

cieca del guardiano, Asterius, e che con la sua fede avesse<br />

ridato miracolosamente la vista alla fanciulla. Si racconta<br />

che prima di morire Valentino le avesse mandato<br />

un messaggio di addio che terminava con “…dal vostro<br />

Valentino”. Una frase che nel tempo è diventata sinonimo<br />

di Vero Amore.<br />

Le vicende riguardanti San Valentino sono confuse,<br />

ma intorno alla sua figura ruotano innumerevoli leggende,<br />

che riguardano, ovviamente, tutte episodi d’amore.<br />

La leggenda di Serapia e Sabino<br />

Questa leggenda narra di un giovane centurione romano<br />

di nome Sabino che, passeggiando per una piazza<br />

di Terni, vide una bella ragazza di nome Serapia e se ne<br />

innamorò follemente. Sabino chiese ai genitori di Serapia<br />

di poterla sposare, ma ricevette un secco rifiuto poiché<br />

Sabino era pagano mentre la famiglia di Serapia era<br />

di religione cristiana. Per superare questo ostacolo, la<br />

bella Serapia suggerì al suo amato di andare dal Vescovo<br />

Valentino per avvicinarsi alla religione della sua famiglia<br />

e ricevere il battesimo, cosa che lui fece in nome<br />

del suo amore. Purtroppo, proprio mentre si preparavano<br />

i festeggiamenti per il battesimo di Sabino e per le<br />

prossime nozze, Serapia si ammalò di tisi. Valentino fu<br />

chiamato al capezzale della ragazza oramai moribonda.<br />

Il giovane centurione supplicò Valentino affinché non<br />

fosse separato dalla sua amata: la vita senza di lei sarebbe<br />

stata solo una lunga sofferenza. Valentino battezzò<br />

Sabino, e unì i due in matrimonio. Mentre levò le mani<br />

in alto per la benedizione, un sonno beatificante avvolse<br />

i loro cuori per l’eternità.<br />

Leggenda della rosa della riconciliazione<br />

Un giorno San Valentino sentì passare, al di là del suo<br />

giardino, due giovani fidanzati che stavano litigando.<br />

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Le g g e n d e Le g g e n d e Le g g e n d e Le g g e n d e Le g g e n d e Le g g e n d e Le g g e n d e<br />

Decise di andare loro incontro con in mano una magnifica<br />

rosa. Regalò loro la rosa e li pregò di riconciliarsi<br />

stringendo insieme il gambo della rosa, facendo attenzione<br />

a non pungersi e pregando affinché il Signore<br />

mantenesse vivo in eterno il loro amore.<br />

Qualche tempo dopo la giovane coppia tornò per<br />

invocare la benedizione del loro matrimonio. La storia<br />

si diffuse e gli abitanti iniziarono ad andare in pellegrinaggio<br />

dal vescovo di Terni il 14 di ogni mese.<br />

Il 14 diventò così il giorno dedicato alle benedizioni,<br />

ma la data è stata ristretta al solo mese di febbraio perché<br />

in quel giorno del 273 San Valentino morì.<br />

La leggenda dei bambini<br />

San Valentino possedeva un grande giardino pieno<br />

di magnifici fiori dove permetteva a tutti i bambini<br />

di giocare. Si affacciava sovente dalla sua finestra per<br />

sorvegliarli e si rallegrava nel vederli giocare. La sera,<br />

scendeva in giardino e tutti i bambini lo circondavano<br />

con affetto e allegria. Dopo aver dato loro la benedizione<br />

regalava a ciascuno un fiore raccomandando di<br />

portarlo alle loro mamme: in questo modo otteneva la<br />

certezza che sarebbero tornati a casa presto e che avrebbero<br />

alimentato il rispetto e l’amore nei confronti dei<br />

genitori.<br />

Da questa leggenda deriva l’usanza di donare dei<br />

piccoli regali alle persone a cui vogliamo bene.<br />

La leggenda dei Colombi<br />

Il Vescovo Valentino possedeva un grande giardino<br />

che nelle ore libere dall’apostolato coltivava con le<br />

proprie mani. Tutti i giorni permetteva ai bambini di<br />

giocare nel suo giardino, raccomandando che non facessero<br />

danni, perché poi la sera avrebbe egli regalato<br />

Leggende e tradizioni<br />

a ciascuno un fiore da portare a casa. Un giorno,<br />

però, vennero dei soldati e imprigionarono<br />

Valentino perché il re lo aveva condannato al<br />

carcere a vita. I bambini piansero tanto. Valentino,<br />

stando in carcere si dispiaceva per loro e per<br />

il fatto che non avrebbero più avuto un luogo<br />

sicuro dove giocare. Ci pensò il Signore. Fece<br />

fuggire dalla gabbia del distratto custode due<br />

dei piccioni viaggiatori che Valentino teneva in<br />

giardino. Questi guidati da un misterioso istinto,<br />

trovarono il carcere dove era rinchiuso il loro<br />

Santo padrone. Si posarono sulle sbarre della sua<br />

finestra e presero a tubare fortemente. Valentino<br />

li riconobbe, li prese e li accarezzò. Poi legò al<br />

collo di uno un sacchetto fatto a cuoricino con dentro un<br />

biglietto, e al collo dell’altro una chiavetta. Quando i due<br />

piccioni fecero ritorno furono accolti con grande gioia. Le<br />

persone si accorsero di ciò che portavano al collo e riconobbero<br />

subito la chiavetta: era quella del giardino di Valentino.<br />

I bambini e i loro familiari si trovavano fuori del giardino<br />

quando il custode lesse il contenuto del bigliettino. C’era<br />

scritto: “A tutti i bambini che amo… dal vostro Valentino”.<br />

Lisa Maria Nicoletti<br />

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criminologia criminologia criminologia criminologia criminologia criminologia<br />

Da qualche anno, la televisione e i mass media<br />

ci stanno sommergendo con serie tv e notizie<br />

ai telegiornali sugli specialisti della scena<br />

del crimine.<br />

C.S.I. è stato il primo ad essere entrato nelle<br />

nostre case, poi sulla scia del successo sono<br />

arrivate altre serie parallele con ambientazioni<br />

diverse, C.S.I. MIAMI e C.S.I. NEW YORK,<br />

ed infine i nostri R.I.S. In queste serie, siano<br />

esse americane o italiane, gli sceneggiatori<br />

hanno instillato in noi l’idea che i tecnici<br />

della scientifica siano indispensabili a risolvere<br />

un caso, trovando sempre il colpevole e<br />

non lasciando mai che il colpevole sfugga alla<br />

giustizia. Ci siamo affezionati a personaggi<br />

come Grissom (C.S.I.) o il capitano Venturi<br />

(R.I.S.). Come eroi infallibili li abbiamo trasportati<br />

dalla finzione televisiva a alla realtà<br />

di tutti i giorni, in quella realtà dura dove i<br />

cadaveri sono veri e purtroppo non sempre<br />

la tecnologia inchioda i criminali alle loro responsabilità.<br />

La cronaca ci riporta alla mente<br />

diverse inchieste che negli ultimi anni ci hanno<br />

tenuti con il fiato sospeso. Cogne, Novi<br />

Ligure, Garlasco, Unabomber: questi sono<br />

alcuni tra i casi più importanti trattati dai re-<br />

parti di investigazioni scientifiche delle nostre forze<br />

dell’ordine. Alcuni di questi casi sono stati brillantemente<br />

risolti grazie all’intuito degli investigatori e<br />

con la certezza scientifica che i R.I.S. hanno dato per<br />

inchiodare l’assassino, come nel caso del serial killer<br />

dei treni che per un periodo terrorizzò la riviera:<br />

Donato Bilancia fu inchiodato grazie ad un’ottima<br />

analisi investigativa che portò alla sua identificazione,<br />

ma la certezza arrivò grazie ad un confronto del<br />

suo DNA rilevato da una tazzina da caffè, che il sospettato<br />

aveva appena consumato dentro ad un bar<br />

e che uno degli agenti preposti al suo pedinamento<br />

è riuscito a prelevare, e le tracce biologiche lasciate<br />

dall’assassino sui corpi delle vittime. Ad oggi Donato<br />

Bilancia si trova in carcere a scontare le sue colpe. In<br />

altri casi la situazione si è rovesciata, ad esempio per<br />

quanto riguarda il caso Cogne, in cui i sopralluoghi<br />

furono effettuati dai tecnici del R.I.S. dopo che la<br />

scena era stata contaminata da diverse persone che<br />

erano sopraggiunte nel momento della tragedia per<br />

prestare opera di soccorso. Al processo per la morte<br />

del piccolo Samuele, che vedeva alla sbarra la madre<br />

Criminologia<br />

Sulla scena del crimine<br />

Annamaria Franzoni, si è avuta la sensazione che i veri<br />

imputati fossero proprio i tecnici del R.I.S., la tanto decantata<br />

tecnologia dei quali, secondo l’opinione pubblica,<br />

non era stata in grado di dare una risposta definitiva a ciò<br />

che era accaduto nella villetta di Cogne.<br />

Dopo questa premessa vediamo in modo più approfondito<br />

chi sono gli uomini che si occupano della “scena del<br />

crimine” nel nostro paese.<br />

In Italia esistono due diversi raggruppamenti di tecnici<br />

preposti all’attività di investigazioni scientifiche. Per l’Arma<br />

dei Carabinieri abbiamo il Raggruppamento Carabinieri<br />

Investigazioni Scientifiche, meglio noto con la<br />

sigla R.I.S.<br />

Questo reparto spesso interviene su richiesta di altri nuclei<br />

dell’Arma, o in casi di gravità particolare interviene<br />

direttamente sulla scena del crimine per repertare prove<br />

ed effettuare rilevamenti. Il reparto si suddivide in quatto<br />

centri dislocati geograficamente nel paese con un’area di<br />

competenza: Parma, Roma, Messina e Cagliari. Ognuno<br />

di questi centri è suddiviso in diverse sezioni con precisi<br />

compiti investigativi:<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

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criminologia criminologia criminologia criminologia criminologia criminologia<br />

- sezione Balistica, che si occupa<br />

di tutto ciò che riguarda le<br />

armi e si avvale di un database<br />

con storia e precedenti inerenti<br />

armi da fuoco, proiettili<br />

e comparazioni con prove storiche<br />

(es. bossoli rinvenuti su<br />

altri crimini e utilizzo di armi<br />

per più reati);<br />

- sezione di Biologia, che si occupa<br />

dell’analisi di tracce biologiche rinvenute<br />

sulla scena di un crimine e comparazioni di DNA , sangue ed<br />

ogni altro reperto di natura biologica;<br />

- sezione Chimica, Esplosivi ed Infiammabili, che analizza sostanze<br />

stupefacenti ed esplosive, veleni e studia ordigni incendiari;<br />

- sezione Impronte e Fotografia: si occupa dell’analisi di impronte<br />

digitali, dello studio di calchi, tracce di pneumatici e di<br />

analisi fotografica;<br />

- sezione di Fonica e Grafica, che si occupa di intercettazioni<br />

telefoniche, analisi e campionamento di tracce audio e vocali<br />

con filtraggio di suoni e, nella sezione di grafica, analizza manoscritti,<br />

macchine tipografiche, stampanti;<br />

- sezione di Telematica: si occupa di reati di natura informatica,<br />

recupero dati da cellulari, computer rilevamento microspie.<br />

Per quanto riguarda la Polizia di Stato, esiste una struttura<br />

denominata Servizio Polizia Scientifica,<br />

che ha un ufficio centrale con<br />

sede a Roma presso la Direzione<br />

Centrale Anticrimine della Polizia di<br />

Stato, con una serie di uffici dislocati<br />

presso i principali capoluoghi di regione.<br />

Il tutto è organizzato in Divisioni:<br />

- nella Prima Divisione, la sezione<br />

più famosa è l’Unità Analisi Crimine<br />

Violento (UACV) che si occupa di<br />

indagini su delitti particolarmente<br />

efferati, con matrice seriale e a sfondo<br />

sessuale, una struttura simile a<br />

quella originaria dell’FBI americana,<br />

che si dedica all’individuazione e alla<br />

cattura di assassini di tipo seriale;<br />

- la Seconda Divisione comprende<br />

la struttura delle indagini grafiche;<br />

- la Terza Divisione, al suo interno,<br />

raggruppa le sezioni di cui abbiamo<br />

parlato in precedenza per il caso<br />

dell’Arma dei Carabinieri, ovvero il<br />

laboratorio di Biologia, di Balistica e<br />

di Analisi delle impronte;<br />

- la Quarta Divisione: al suo in-<br />

Criminologia<br />

terno si ritrovano gli altri settori investigativi<br />

riguardanti l’analisi di droghe, esplosivi ed infiammabili;<br />

- infine, il Centro Elaborazione Dati, che racchiude<br />

la sezione AFIS. L’AFIS è una sorta di database<br />

consultabile da tutti i comandi di polizia<br />

per rilevare un riscontro con impronte digitali<br />

rinvenute su una scena del crimine e confrontarle<br />

in modo automatico con tutte quelle presenti<br />

negli archivi delle forze dell’ordine italiane e<br />

non, al fine di velocizzare e rendere più efficiente<br />

un’indagine in corso.<br />

Con tutto questo ci dobbiamo ricordare che<br />

il lavoro svolto da questi reparti è di estrema<br />

importanza per l’attività investigativa, ma non<br />

è sufficiente, a differenza di quanto ci mostra la<br />

televisione, a concludere un caso: l’istinto e la<br />

logica della mente umana (in questo caso degli<br />

investigatori) non può essere oggi (e forse mai)<br />

soppiantata da esami scientifici.<br />

<strong>Febbraio</strong> <strong>2008</strong> - <strong>N°</strong>2 I soliti ignoti Magazine ©<br />

Nicola Sartini<br />

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