la scheda-di-lettura di PNLA
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Autore: Mauro Longo<br />
<strong>PNLA</strong> & Associati<br />
Titolo: Decamerone dei Morti – L’alba dei trapassati re<strong>di</strong>vivi<br />
Secondo quanto si legge nel<strong>la</strong> Prefazione, il Decamerone dei morti costituisce <strong>la</strong> lezione definitiva –<br />
«finalmente restituita al pubblico moderno» – del testo in cui Messer Francesco Boccaccio,<br />
fratel<strong>la</strong>stro <strong>di</strong> Giovanni, narrò l’avvento, nell’Italia e nel<strong>la</strong> Firenze <strong>di</strong> metà Trecento, <strong>di</strong> un terribile<br />
f<strong>la</strong>gello: <strong>la</strong> Morte Grigia che fece scempio dei corpi e delle anime <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> persone, tramutando<br />
i vivi in morti viventi.<br />
Il testo <strong>di</strong> Longo si inserisce quin<strong>di</strong> a pieno titolo nel<strong>la</strong> <strong>di</strong>mensione dell’ucronia: Giovanni Boccaccio<br />
non è l’autore immortale del Decameron che tutti conosciamo, ma semplicemente l’ispiratore e il<br />
revisore dell’opera <strong>di</strong> Francesco (anche se – stando sempre al<strong>la</strong> prefazione del «Curatore»<br />
moderno – risulta <strong>di</strong>fficile stabilirne <strong>la</strong> misura degli interventi). Si sa, invece, che fu <strong>la</strong> Morte Grigia a<br />
sottrarre improvvisamente <strong>la</strong> monumentale opera <strong>di</strong> Francesco alle cure del fratello,<br />
prematuramente scomparso sotto i colpi del<strong>la</strong> pestilenza. Un morbo che colpì sì l’Europa e l’Italia<br />
nei tempi e nei luoghi storicamente descritti, ma che se ne <strong>di</strong>scosta per i sintomi e gli effetti: non<br />
soltanto piaghe e bubboni, ma anche non-morti e cannibalismo.<br />
Il Decamerone dei Morti racconta <strong>di</strong> come, nell’anno 1348, «una gran meraviglia si <strong>di</strong>ffondesse in<br />
Piemonte e venisse per Lombar<strong>di</strong>a e per <strong>la</strong> riviera <strong>di</strong> Genova e poi per Toscana, e poi quasi per<br />
tutta Italia, ovvero che molta gente minuta, uomini e femmine e fanciulli senza numero, <strong>la</strong>sciavano i<br />
loro mestieri e bisogne e come <strong>di</strong>ssennati con le mani innanzi s’andassero battendo <strong>di</strong> luogo in<br />
luogo, gridando con voci incomprensibili e convertendo al<strong>la</strong> propria schiera tutti quelli che<br />
toccassero».<br />
I principali attori del<strong>la</strong> vicenda, oltre a Francesco, che s’incarica <strong>di</strong> metter<strong>la</strong> su carta, sono i suoi<br />
compagni più stretti. Uomini e donne arruo<strong>la</strong>tisi nel<strong>la</strong> compagnia <strong>di</strong> Ferrante, al comando del<br />
Principe Galeotto Ma<strong>la</strong>testa, il quale «entrato in città e preso possesso delle fortezze, si circondò <strong>di</strong><br />
tutti i fiorentini più battaglieri, impose nuova <strong>di</strong>sciplina e <strong>di</strong>ffuse <strong>la</strong> legge del<strong>la</strong> guerra su ogni dove»<br />
per <strong>di</strong>fendere <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione dei vivi dal<strong>la</strong> minaccia Trapassati.
<strong>PNLA</strong> & Associati<br />
Gli uomini <strong>di</strong> Ferrante in partico<strong>la</strong>re sono a raccolti a <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> «una delle torri del<strong>la</strong> muratura in su <strong>la</strong><br />
fronte <strong>di</strong> levante <strong>di</strong> costa al fiume d’Arno, dal<strong>la</strong> parte <strong>di</strong> settentrione». Qui, dopo l’invito <strong>di</strong> Ferrante<br />
ad abbandonare <strong>la</strong> città per trasferirsi nel contando, essi decidono <strong>di</strong> trascorrere le ultime <strong>di</strong>eci sere<br />
raccontando ognuno una storia.<br />
Il testo <strong>di</strong> Longo si presenta pertanto come un incrocio tra un’imitazione formale, in parte<br />
linguistica e in parte strutturale, del Decamerone <strong>di</strong> Giovanni Boccaccio e un horror popo<strong>la</strong>to <strong>di</strong><br />
zombie. Ciò che rimane sempre ambiguo – mai <strong>di</strong>chiaratamente esibito e mai risolutamente<br />
rifiutato – è l’effetto ironico che ne attraversa le pagine, e che lo accomuna a titoli recenti: I<br />
promessi morsi, per rimanere in Italia, o i libri <strong>di</strong> Ben H. Winters, per guardare al mercato<br />
internazionale.<br />
Il destinatario ideale del libro <strong>di</strong> Longo sarà quin<strong>di</strong> un lettore dotato <strong>di</strong> buona cultura, appassionato<br />
<strong>di</strong> fantasy, <strong>di</strong> science fiction e romanzi storici. Un lettore senza il culto del<strong>la</strong> verità accertata e che,<br />
anzi, sappia apprezzare ogni esercizio <strong>di</strong> fantasiosa ricostruzione del nostro passato (o del nostro<br />
futuro, beninteso), anche quando ironica e volutamente paradossale.<br />
Resta da stabilire se <strong>la</strong> risata – il sogghigno – sia un semplice effetto (che può sfociare nel ri<strong>di</strong>colo e<br />
nel<strong>la</strong> pedanteria) o un movente (come succede nelle paro<strong>di</strong>e meglio riuscite). Leggendo il testo <strong>di</strong><br />
Longo a tratti si può essere infatti colti dal dubbio che l’autore sia caduto vittima del suo stesso<br />
inganno, indulgendo eccessivamente nel proprio sforzo <strong>di</strong> verosimiglianza; e questo soprattutto se<br />
lo si osserva a partire dal<strong>la</strong> sua lingua.<br />
Stile e linguaggio<br />
Per un testo che si propone <strong>di</strong> imitare – anche se non <strong>di</strong>chiaratamente e con tutte le premesse del<br />
caso – il lessico e <strong>la</strong> struttura del<strong>la</strong> lingua trecentesca, il Decameron dei Morti è segnato da alcune<br />
sbavature. Le parole dell’introduzione non riescono infatti a dare completamente ragione del<strong>la</strong><br />
forma del testo e risuonano come un’excusatio non petita: «L’opera che il lettore moderno ha sotto<br />
gli occhi è dunque una sorta <strong>di</strong> “assemb<strong>la</strong>to” <strong>di</strong> varie parti giustapposte, ma corrette e incoerenti<br />
per stile, che ha risentito certamente <strong>di</strong> varie stesure e rifacimenti, non ultima quel<strong>la</strong> del qui
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presente curatore […] Perché esse sian lette da maggiore numero <strong>di</strong> gente, non so<strong>la</strong>mente in<br />
italico volgare e in prosa scritte per me sono, ma ancora in stile umilissimo e rimesso quanto più si<br />
possa e cercando convenientemente <strong>di</strong> dare ad ogni racconto il modo vero e l'intonazione reale<br />
data da colei o colui che lo racconta, senza sostituir per quanto possa, il mio par<strong>la</strong>re al suo».<br />
In partico<strong>la</strong>re le criticità possono essere così sintetizzate:<br />
- Ripetizioni. Per fare alcuni esempi (partendo dal<strong>la</strong> Prefazione): «è ad<strong>di</strong>rittura il titolo, e <strong>la</strong><br />
versione inglese traduce il testo come Decameron of the Dead; citiamo infine a titolo <strong>di</strong><br />
curiosità…»; «Né passerà mai, sì come io credo, se non per morte. E poiché <strong>la</strong> forza, per quel che<br />
io credo, tra le altre virtù»; « …ne si trovino sei o otto e talvolta <strong>di</strong> più. E i preti, i soldati e i<br />
Beccamorti non poche volte feriti a propria volta»; «Gerardo continuò a mormorare, ma il suo fiato<br />
<strong>di</strong>venne solo un esile mormorio che infine si spense»; etc. Simili sviste non si ad<strong>di</strong>cono a un testo<br />
che si presume risalente al Trecento: in opere in cui persino <strong>la</strong> chiusa ritmica del periodo era<br />
scan<strong>di</strong>ta da rigide sequenze proso<strong>di</strong>che (il cursus), simili imprecisioni possono delegittimare <strong>la</strong><br />
cre<strong>di</strong>bilità del testo.<br />
- Anacronismi rispetto all’epoca <strong>di</strong> riferimento. Forse il tipo <strong>di</strong> errore più fasti<strong>di</strong>oso, che si<br />
consiglia <strong>di</strong> emendare attraverso una ri<strong>lettura</strong> mirata del testo. Essi coprono un vasto ventaglio <strong>di</strong><br />
occorrenze, da quelli minimi a quelli più evidenti. Possiamo <strong>di</strong>viderli in:<br />
a) Scelte lessicali, dalle singole parole alle strutture sintagmatiche. In partico<strong>la</strong>re si trovano spesso<br />
termini che si sono <strong>di</strong>ffusi soltanto in epoche più tarde (vettore, <strong>di</strong>spacci, adusi, miliaria, <strong>di</strong>sgiunto,<br />
contribuire, amistà, delicati petti, soldataglia <strong>di</strong> condotta, lerci artigli, timore panico, macchina dei<br />
corpi, capelli neri e ricci, sparse ville, etc.) o calchi e storpiature del<strong>la</strong> lingua dell’epoca, che <strong>di</strong> fatto<br />
non appartenevano all’uso comune o letterario (liberamento, graffiame, comprendenda,<br />
passamento, così fattamente, etc.).<br />
b) Costruzioni sintattiche, nelle quali molto spesso si confonde <strong>la</strong> naturale struttura del volgare<br />
antico con <strong>la</strong> semplice complicazione del periodo, o con echi <strong>di</strong> usi linguistici ben più tar<strong>di</strong> («Nel<br />
pestilenziale nostro tempo del<strong>la</strong> mortalità vivente»; «lo scrivere mio da questo punto a seguirsi»;<br />
«più e più e più volte abbiamo fatto»; «non stringendosi nelle vivande quanto i primi né nel bere e<br />
nell’altre <strong>di</strong>ssoluzioni al<strong>la</strong>rgandosi quanto i secon<strong>di</strong>»; «certo fossero sul serio vere»; «che il frate<br />
nero fosse stato una bestia»; «gestiva una casa ospitale»; «non so<strong>la</strong>mente le pecore e gli armenti
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danneggiavano e <strong>di</strong>struggevano l’altrui beni, ma gli uomini uccidevano e per giunta ne mangiavano»,<br />
etc.).<br />
c) Anacronismi <strong>di</strong> tono. L’autore a volte si rivolge al lettore con una libertà che non appartiene ai<br />
testi letterari dell’epoca («graziosissimi lettori», «vi sia dunque <strong>di</strong> noia») o descrive fatti e situazioni<br />
con uno sguardo e accenti decisamente più moderni («un cupo carnevale <strong>di</strong> sangue e <strong>di</strong> morte»).<br />
d) Dialoghi. Talvolta il ricorso al <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong>retto secondo l’uso moderno all’interno del<strong>la</strong> cornice<br />
linguistica ricostruita nel Decamerone dei Morti riesce a sortire l’effetto narrativo desiderato<br />
soltanto a patto <strong>di</strong> sembrare decisamente anacronistico. Es:<br />
Io non credevo a questa speranza e mi chinai su Tancre<strong>di</strong>, <strong>di</strong>steso al suolo.<br />
E Gherardo allora chiese: “Come sta?”<br />
E io a lui: “La ferita non sanguina più.”<br />
E Gherardo <strong>di</strong>sse: “Sentigli il cuore.”<br />
E io a lui: “Il cuore non batte più.”<br />
E quegli a me: “Ascolta il suo respiro.”<br />
E allora gli risposi: “Egli non respira più.”<br />
Ma lui ribatté: “Sicché egli è morto.”<br />
Ma io gli <strong>di</strong>ssi: “Eppure si muove ancora.”<br />
Nel complesso <strong>la</strong> lingua ricostruita nel Decamerone dei Morti non riesce a evitare le rigi<strong>di</strong>tà, le<br />
lentezze e l’artificiosità <strong>di</strong> una lingua d’imitazione. La <strong>lettura</strong> <strong>di</strong> ogni pagina richiede un costante<br />
sforzo <strong>di</strong> deco<strong>di</strong>ficazione, a <strong>di</strong>scapito del<strong>la</strong> go<strong>di</strong>bilità del<strong>la</strong> narrazione. Le immagini – anche quando<br />
potenzialmente d’impatto – non arrivano in modo imme<strong>di</strong>ato.<br />
Il consiglio, pertanto, è quello <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> alleggerire il racconto: che non vorrà <strong>di</strong>re tagliare il<br />
testo o accorciarne alcune parti, ma ripercorrerlo interamente per sanare eventuali errori o<br />
imprecisioni.
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In alternativa – ed è una soluzione auspicabile – l’autore potrebbe decidere <strong>di</strong> ammiccare<br />
maggiormente al lettore in funzione del racconto, rinunciando in parte all’effetto trompe l’oeil,<br />
senza indulgere troppo nel<strong>la</strong> pretesa – assai ardua – <strong>di</strong> creare un perfetto falso d’autore.<br />
Narrazione, struttura e personaggi<br />
Uno dei maggiori risultati del Decamerone dei morti è quello <strong>di</strong> riuscire a <strong>di</strong>pingere il quadro,<br />
affascinante e paradossale, <strong>di</strong> una Firenze me<strong>di</strong>oevale post-apocalittica. Un’atmosfera al<strong>la</strong> Resident<br />
Evil in cui una comunità <strong>di</strong> sopravvissuti lotta contro un Male mostruoso, nel tentativo <strong>di</strong> salvare <strong>la</strong><br />
propria città e <strong>di</strong> tornare a riaffermare i sani principi del<strong>la</strong> civiltà.<br />
Purtroppo i luoghi del Decamerone dei Morti non <strong>di</strong>ventano mai vere ambientazioni in grado <strong>di</strong><br />
coinvolgere il lettore, ma rimangono semplici scenografie <strong>di</strong> fondo. Ad esempio <strong>la</strong> «torre del<strong>la</strong><br />
muratura in su <strong>la</strong> fronte <strong>di</strong> levante <strong>di</strong> costa al fiume d’Arno, dal<strong>la</strong> parte <strong>di</strong> settentrione, ove sono i<br />
tre quarti del<strong>la</strong> città e gli unici abitati dai viventi» in cui si riunisce <strong>la</strong> compagnia <strong>di</strong> Ferrante – un vero<br />
avamposto <strong>di</strong> resistenza, <strong>la</strong> base operativa del gruppo – resta sul<strong>la</strong> carta e non si trasforma mai in un<br />
punto <strong>di</strong> riferimento per il lettore, un luogo in cui ci si possa muovere con familiarità.<br />
Questa carenza procede <strong>di</strong> pari passo con <strong>la</strong> mancanza <strong>di</strong> azione. Fatta eccezione per <strong>la</strong> novel<strong>la</strong><br />
quinta e <strong>la</strong> novel<strong>la</strong> decima, il tema <strong>di</strong> fondo del libro (<strong>la</strong> resistenza degli uomini al <strong>di</strong><strong>la</strong>gare dei morti<br />
viventi) non sempre si traduce in sequenze d’impatto, nelle quali il lettore si possa sentire<br />
completamente proiettato – nei luoghi e al centro degli eventi.<br />
La stessa idea del<strong>la</strong> micro-comunità <strong>di</strong> resistenti non è sfruttata appieno, i personaggi rimangono<br />
iso<strong>la</strong>ti e <strong>la</strong> loro unione non si trasforma mai in azione collettiva. Ciò, ovviamente, è in parte dovuto<br />
al<strong>la</strong> struttura dell’opera: <strong>la</strong> sud<strong>di</strong>visione in giornate enuclea e iso<strong>la</strong> i singoli personaggi all’interno<br />
delle loro storie, mentre l’evoluzione degli eventi all’interno del<strong>la</strong> cornice generale rimane sempre<br />
secondaria. Peraltro questa struttura non riesce a evitare alcune ripetizioni, come quelle i cui si<br />
descrivono i meccanismi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione del F<strong>la</strong>gello o i meto<strong>di</strong> a cui ricorrere per estinguere<br />
definitivamente i Trapassati. Il primo esempio lo si trova nelle pagine dell’Introduzione al<strong>la</strong> prima<br />
novel<strong>la</strong>: «Ed essi continuano a bramare <strong>di</strong> uccidere e sfregiare e mordere e ingurgitare carne e<br />
sangue fin quando non siano fatti a pezzi e i pezzi arsi nel fuoco o sepolti nel<strong>la</strong> calce, che anche
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teste mozzate io vi<strong>di</strong> contorcersi e strepitare e mani moncate muoversi e cercare; in seguito se ne<br />
troveranno numerose variazioni su tema nelle novelle successive»; nel resto del libro, poi, se ne<br />
troveranno <strong>di</strong>verse variazioni su tema, che al<strong>la</strong> lunga rischiano <strong>di</strong> rallentare il ritmo del <strong>di</strong>scorso.<br />
Anche se non facile, sarebbe opportuno trovare un filo conduttore tra le storie, un elemento <strong>di</strong><br />
continuità che non si limiti al<strong>la</strong> semplice minaccia rappresentata del F<strong>la</strong>gello e all’analisi degli effetti<br />
del<strong>la</strong> pestilenza. Sarebbe cioè opportuno rinforzare <strong>la</strong> linea orizzontale del<strong>la</strong> storia, anche a<br />
<strong>di</strong>scapito <strong>di</strong> quel<strong>la</strong> verticale rappresentata dai racconti dei singoli personaggi: accettare una simile<br />
ipotesi significherebbe fare del<strong>la</strong> testimonianza <strong>di</strong> ciascun membro del<strong>la</strong> compagnia il capitolo <strong>di</strong> un<br />
racconto corale in continua evoluzione; significherebbe rinunciare in parte all’imitazione del<br />
modello boccacciano per far sì che <strong>la</strong> storia ne guadagni in coesione e forza narrativa.<br />
Il grande protagonista del Decameron dei Morti è il Male: <strong>la</strong> pestilenza, <strong>la</strong> <strong>di</strong>ssoluzione dei corpi, il<br />
<strong>di</strong>sfacimento del tessuto civile e morale <strong>di</strong> una gloriosa città. Gli uomini sono descritti in tutta <strong>la</strong> loro<br />
debolezza e precarietà. Tuttavia, anche per rendere più drammatico questo senso <strong>di</strong> fragilità, i<br />
personaggi del libro dovrebbero essere meglio approfon<strong>di</strong>ti e maggiormente caratterizzati: con<br />
l’unica eccezione <strong>di</strong> Or<strong>la</strong>ndo (che nel finale si presenta <strong>di</strong>verso da come ci era stato presentato) i<br />
protagonisti, i membri del<strong>la</strong> compagnia <strong>di</strong> Ferrante, sono gli stessi che abbiamo conosciuto all’inizio<br />
del racconto. Hanno solo affrontato qualche pericolo in più e <strong>la</strong> loro resistenza si è fatta ancora più<br />
eroica, ma mentre li conosciamo, mentre li ascoltiamo par<strong>la</strong>re, il cambiamento, in loro, è già<br />
avvenuto.
In sintesi:<br />
– Evitare le ripetizioni<br />
<strong>PNLA</strong> & Associati<br />
– Sanare gli anacronismi, o in alternativa, rivedere sistematicamente <strong>la</strong> rigida costruzione del testo,<br />
cercando <strong>di</strong> dare più aria al racconto, senza indulgere eccessivamente nell’esercizio <strong>di</strong> stile, <strong>la</strong> cui<br />
rigida applicazione si può trasformare in un’arma a doppio taglio (in questo senso, l’excusatio del<strong>la</strong><br />
Prefazione non è sufficiente). Ciò significherà anche accentuare e rendere più esplicita l’istanza<br />
paro<strong>di</strong>ca sottesa al testo.<br />
– Dare più profon<strong>di</strong>tà ai luoghi; anche a costo <strong>di</strong> ridurne il numero e tornando più volte, con<br />
maggiore dovizia <strong>di</strong> partico<strong>la</strong>ri, su quelli considerati cruciali nell’economia del racconto.<br />
– Sfruttare maggiormente il nucleo narrativo del<strong>la</strong> comunità <strong>di</strong> resistenti. Far emergere le linee <strong>di</strong><br />
forza e moltiplicare – complicare – le <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> re<strong>la</strong>zione interne al gruppo, per conferire<br />
maggiore spessore ai personaggi e dare continuità al racconto.<br />
– Rivedere anche solo parzialmente il contenuto delle <strong>di</strong>eci novelle, per inserire, in ognuna <strong>di</strong> esse,<br />
dei riman<strong>di</strong> più stringenti alle vicende del<strong>la</strong> cornice e all’evoluzione del<strong>la</strong> situazione in cui si ritrova <strong>la</strong><br />
compagnia <strong>di</strong> Ferrante durante le <strong>di</strong>eci notti in cui viene scritto il Decamerone dei Morti.