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Barbabietola da zucchero<br />
(Beta vulgaris<br />
var. saccharifera)
Piante coltivate nel mondo per la produzione di<br />
zucchero (saccarosio):<br />
canna da zucchero (Saccharum officinarum) nei<br />
climi tropicali e sub-tropicali;<br />
barbabietola da zucchero (Beta vulgaris var.<br />
saccharifera) nei climi temperati.
Due centri di origine per Beta vulgaris:<br />
bacino del Mediterraneo o regioni steppiche<br />
dell’Asia sud-occidentale e isole Canarie o di Capo<br />
Verde.<br />
Altre forme botaniche della specie Beta vulgaris:<br />
var. cycla (bietola da coste),<br />
var. cruenta (bietola da orto),<br />
var. crassa (bietola da foraggio).
Coltivazione antica come pianta da orto.<br />
La sua importanza come pianta saccarifera risale al<br />
Settecento.<br />
Nel 1747 il chimico tedesco Marggraff scoprì nella<br />
barbabietola il saccarosio identico a quello della canna. Con<br />
l’appoggio dei monarchi tedeschi, nel 1799 furono installati i<br />
primi zuccherifici.<br />
Poderoso impulso alle ricerche e alla coltivazione della<br />
barbabietola a seguito del blocco continentale contro<br />
Napoleone (con l’impossibilità dell’importazione dello<br />
zucchero di canna dalle colonie inglesi).<br />
Verso il 1850 la coltura riprese impulso grazie ai successi<br />
della selezione, operata soprattutto da de Vilmorin, che portò<br />
il contenuto di zucchero delle radici dal 7-8% iniziale al 16-<br />
17%.
In Italia diffusione lenta e alterna.<br />
Primo zuccherificio a Rieti nel 1888, ma verso la fine del secolo la<br />
coltura si era diffusa soprattutto tra Emilia e Veneto dove erano<br />
sorti ben 30 zuccherifici.<br />
Oggi si sta assistendo ad un declino delle superfici coltivate,<br />
scese a poco oltre i 60000 ha nel 2010 (rispetto ai 250 mila ha del<br />
2000). Ciò è dovuto alla riforma dell’Organizzazione Comunitaria<br />
di Mercato (OCM) dello zucchero da parte dell’Unione Europea,<br />
che ha portato alla riduzione dei sussidi ai produttori e alla<br />
rilevante diminuzione della produzione comunitaria di zucchero<br />
mediante un aiuto alla componente industriale per la sua<br />
dismissione. L’applicazione della riforma ha causato un radicale<br />
ridimensionamento del comparto, sia nel numero degli impianti di<br />
trasformazione che nella superficie coltivata a barbabietola.
2004 2010<br />
Superficie (ha) 185805 60614<br />
N. stabilimenti 19 4
Caratteri botanici<br />
Pianta della famiglia delle Chenopodiaceae a ciclo biennale, con<br />
fase vegetativa al primo anno e fase riproduttiva al secondo. Nelle<br />
colture destinate alla produzione di zucchero, la pianta compie<br />
solo la fase vegetativa. La fase riproduttiva interessa solo le<br />
colture da seme.<br />
Radice fittonante, grossa, carnosa, più o meno conica, di colore<br />
grigiastro, provvista di rugosità trasversali nella parte superiore e<br />
di due solchi longitudinali (detti solchi saccariferi) decorrenti a<br />
spirale e provvisti di abbondante capillizio.<br />
Fusto corto ed eretto.<br />
Foglie disposte in verticilli (rosette), picciolate, lisce, ondulate o<br />
bollose, di colore verde più o meno intenso.
Fiori piccoli riuniti in infiorescenze normalmente bi-tetraflore e<br />
inseriti direttamente su scapi (che compaiono generalmente nel<br />
secondo anno) lunghi 1.5-2 m, eretti, ramificati in alto.<br />
Infruttescenze (glomeruli) rotondeggianti, angolose, grinzose.<br />
I semi sono lenticolari, piccoli (lunghi 2.4-4 mm, del peso di 2-3<br />
mg), di colore bruno sfumato.<br />
I glomeruli sono impropriamente chiamati ‘semi’ (plurigermi), ma<br />
in realtà sono appunto infruttescenze dalla quale nascono tante<br />
piantine quanti sono i semi in esse incapsulati. In natura fu<br />
reperito un mutante caratterizzato dalla presenza di fiori isolati<br />
anziché riuniti in infiorescenze, da cui furono selezionate le<br />
cosiddette forme ‘monogermi’ che consentirono di ricorrere alla<br />
semina di precisione.
Esigenze ambientali<br />
La germinazione può iniziare a 5-6 °C, ma per un’emergenza<br />
veloce ed omogenea occorrono almeno 10-12 °C.<br />
Temperature diurne e notturne troppo elevate durante l’estate<br />
possono condizionare l’accumulo delle sostanze di riserva, in<br />
quanto aumentano l’intensità della respirazione.<br />
È da evitare ogni disseccamento estivo dell’apparato fogliare, che<br />
arresta la deposizione di zucchero nel fittone; a questo, con<br />
l’emissione di nuove foglie al sopraggiungere delle piogge<br />
autunnali, si accompagna il consumo delle riserve zuccherine già<br />
accumulate, con diminuzione della concentrazione di saccarosio<br />
(‘retrogradazione’).
Predilige terreni profondi, di medio impasto, ricchi di<br />
sostanza organica e con buona capacità idrica.<br />
Non sono adatti i terreni acidi e con ristagni idrici.<br />
Condizione preliminare per una razionale bieticoltura è<br />
che i terreni siano ben sistemati idraulicamente.
Varietà<br />
‘Marche commerciali’ è la denominazione appropriata<br />
per indicare le varietà di bietola impiegate in coltura.<br />
Le marche vengono distinte in base a vari parametri,<br />
quali l’attitudine a produrre radici di peso elevato (sigla P<br />
o E), o radici con elevata concentrazione di zucchero<br />
(sigla Z). Altre lettere indicano particolari caratteristiche,<br />
quali la resistenza alla Cercospora beticola (R o CR) o il<br />
periodo di semina (tipo A per semine primaverili, tipo AA<br />
per semine autunnali).
Le marche vengono inoltre classificate in diploidi<br />
(2n=2x=18), tetraploidi (2n=4x=36) e triploidi<br />
(2n=3x=27), queste ultime ottenute da incrocio tra linee<br />
diploidi e linee tetraploidi. Alle bietole triploidi viene<br />
generalmente riconosciuta una maggiore produttività di<br />
zucchero per ettaro.<br />
Varietà ‘monogerme’, che producono un glomerulo con<br />
un solo seme e hanno consentito una radicale<br />
semplificazione della tecnica colturale, consentendo la<br />
semina di precisione ed eliminando la costosa<br />
operazione di diradamento dopo l’emergenza.
Coltura da rinnovo che prende posto generalmente tra<br />
due colture di cereali, lasciando un terreno ben<br />
preparato per la coltura successiva.<br />
La coltura ripetuta provoca invece gravi avversità (quali<br />
la rizomania o attacchi di nematodi), contro le quali un<br />
accorto avvicendamento, frapponendo un intervallo di<br />
alcuni anni (4-5 almeno) tra l’una e l’altra coltura di<br />
barbabietola, è il più sicuro metodo di prevenzione.
Tra le colture da rinnovo, la barbabietola è la più esigente in fatto<br />
di lavorazioni del terreno, giustificata dal fatto che il suo prodotto<br />
utile è costituito da un organo sotterraneo che, per approfondirsi<br />
ed ingrossarsi, deve trovare un terreno ben smosso e privo di<br />
ostacoli.<br />
Aratura profonda ed eseguita prima della stagione umida, in<br />
modo da favorire l’approfondimento della radice e difendere la<br />
coltura dalla siccità.<br />
Si può usare un aratro ripuntatore per non portare in superficie<br />
strati di terreno meno fertili.<br />
È fondamentale rispettare lo strato superficiale di terra, reso<br />
soffice da pochi interventi eseguiti dopo l’aratura ma molto prima<br />
della semina e dall’azione esercitata dagli agenti atmosferici. La<br />
perfezione del letto di semina è tra le più importanti e più difficili<br />
condizioni per il successo della coltivazione della barbabietola.
La concimazione organica migliora le proprietà chimiche<br />
e fisiche del terreno: beneficio da un’eventuale<br />
abbondante letamazione. In caso di assenza di<br />
letamazione, va curato l’interramento dei residui<br />
vegetali, in modo da mantenere una buona dotazione di<br />
sostanza organica nel terreno.
Concimazione minerale.<br />
Ogni 10 tonnellate di radici, vengono asportati mediamente 40-50<br />
kg/ha di azoto, 15-18 kg/ha di P 2O 5 e 55-65 kg/ha di K 2O.<br />
Il quantitativo di azoto da somministrare varia, a seconda delle<br />
situazioni, da 80 a 150 kg/ha.<br />
Allo scopo di non calpestare in primavera i terreni già preparati nei<br />
mesi invernali, l’azoto viene interrato leggermente durante<br />
l’inverno (dicembre-gennaio).<br />
Il fertilizzante azotato non deve essere localizzato in vicinanza del<br />
seme, poiché risulta fitotossico e provoca una riduzione della<br />
percentuale di emergenza.<br />
Per le semine autunnali, si deve tener conto del possibile<br />
dilavamento e perciò è consigliabile una ripartizione della<br />
concimazione azotata, con un terzo in pre-semina e due terzi in<br />
copertura durante le prime fasi di sviluppo.
La concimazione fosfatica prevede da 120 a 200 kg/ha<br />
di P 2O 5 (nei terreni argillosi in cui spesso la barbabietola<br />
viene coltivata il 20-50% di questo elemento diviene<br />
insolubile e, quindi, non disponibile per le piante).<br />
Due terzi distribuito all’aratura in tutto lo strato esplorato<br />
dalle radici e un terzo localizzato alla semina.
La semina comincia a febbraio nell’Italia centrale e in<br />
marzo nella Pianura Padana.<br />
Le semine troppo precoci sottopongono le piantine al<br />
rischio di gelate tardive e favoriscono il fenomeno della<br />
‘prefioritura’, cioè la salita a fiore delle piante già<br />
nell’anno di semina, con riduzione delle dimensioni e del<br />
titolo delle radici (ostacolo alle operazioni di raccolta e di<br />
estrazione dello zucchero).
Nelle zone ad inverno mite (Mezzogiorno e isole) si<br />
pratica la coltura autunnale con semina in ottobre e<br />
raccolta a giugno-luglio.<br />
L’uso di cultivar resistenti alla prefioritura è<br />
particolarmente importante nel caso di semine autunnali,<br />
che espongono la coltura a giornate con fotoperiodo in<br />
diminuzione e basse temperature (< 3-4 °C) inducendo<br />
la fioritura per vernalizzazione.
La distribuzione del seme viene fatta con seminatrici di precisione, a righe<br />
intervallate in media di 45 cm.<br />
L’investimento da perseguire è di circa 10-11 piante/m 2 alla raccolta ma<br />
bisogna prevedere forti fallanze: il numero di semi da seminare è di almeno<br />
15-16/m 2 per ottenere le 10-11 piante desiderate.<br />
La quantità di seme da impiegare è espressa in numero: il seme monogerme<br />
(sempre confettato) viene venduto in confezioni contenenti 100 mila semi (1<br />
unità). Dovranno essere impiegate 1.4-1.7 unità per ettaro per ottenere circa<br />
100 mila piante per ettaro.<br />
La profondità di interramento non oltre 3-4 cm, perché la piantina ha un<br />
debolissimo potere perforante e, se non riesce ad emergere prontamente,<br />
languisce e muore non appena esaurite le riserve del seme. Per lo stesso<br />
motivo, evitare di seminare con terreno troppo zolloso o incrostato<br />
superficialmente.
La barbabietola da zucchero è molto sensibile alla competizione esercitata<br />
dalle erbe infestanti (Polygonum aviculare, Stachys annua, Sinapis arvensis,<br />
Chenopodium album, Papaver rhoeas, Polygonum persicaria, Veronica persica,<br />
Matricaria chamomilla, Capsella bursa-pastoris, Setaria viridis, Portulaca<br />
oleracea, etc.).<br />
In passato venivano eseguite sarchiature per il controllo delle infestanti, mentre<br />
oggi si ricorre al diserbo chimico per mezzo di erbicidi selettivi (in pre-semina,<br />
in pre-emergenza o in post-emergenza).<br />
Una sarchiatura in aggiunta al diserbo chimico può essere ancora considerata<br />
utile, non solo per eliminare le erbe infestanti, ma anche per favorire la<br />
penetrazione dell’acqua nel terreno e diminuirne l’evaporazione, e per<br />
arieggiare il terreno.
Nonostante i vantaggi offerti dall’irrigazione, la prevalente coltivazione in<br />
asciutta è dovuta soprattutto al fatto che vi sono altre colture (mais, orticole)<br />
capaci di valorizzare maggiormente l’acqua irrigua. L’utilità dell’irrigazione della<br />
barbabietola aumenta man mano che la coltura si sposta dalle zone bieticole<br />
tradizionali della Pianura Padana al Centro e al Sud.<br />
L’epoca di maggior fabbisogno idrico è quella che segue il completamento<br />
dell’apparato fogliare, e si situa tra la fine di giugno e la metà di agosto. La<br />
quantità totale di acqua necessaria è stimata intorno a 1000-1500 m 3 /ha con il<br />
sistema di irrigazione per aspersione, e un po’ maggiore con quello per<br />
infiltrazione laterale.<br />
È necessario sospendere tempestivamente l’irrigazione prima della raccolta<br />
(almeno 15-20 giorni) per evitare un nuovo sviluppo fogliare che abbassi la<br />
concentrazione zuccherina della radice per retrogradazione.
La raccolta viene fatta alla ‘maturazione industriale’ della pianta,<br />
quando nella radice si è accumulata la massima quantità di<br />
zucchero (verificata con analisi periodiche del titolo zuccherino).<br />
Con semina primaverile, l’epoca di raccolta è solitamente in<br />
settembre.<br />
Per ridurre le perdite del titolo zuccherino, è indispensabile<br />
danneggiare il meno possibile le radici e consegnarle con<br />
sollecitudine allo zuccherificio, poiché le radici, anche dopo la<br />
raccolta, continuano a consumare gli zuccheri accumulati.
La raccolta comprende lo scollettamento, cioè l’eliminazione<br />
mediante taglio della parte superiore del corpo radicale (colletto)<br />
dove sono inserite le foglie (parte povera di zucchero e ricca di<br />
impurità che renderebbero difficile la lavorazione industriale),<br />
l’estirpazione delle radici dal terreno, la pulitura e il caricamento.<br />
Queste operazioni vengono eseguite da macchine polivalenti (‘a<br />
cantieri riuniti’) o separate. Le seconde lavorano molto più<br />
velocemente, ma l’insieme di macchine necessarie è piuttosto<br />
costoso.
La resa media italiana è di oltre 40 t/ha di radici contenenti il 16%<br />
di zucchero (pari a 6.5 t/ha di zucchero finito). Sono però frequenti<br />
rese più elevate, fino a 100 t/ha e con tenore di saccarosio fino al<br />
20%.<br />
Le foglie e i colletti possono essere utilizzati come foraggio,<br />
oppure interrati per contribuire a reintegrare la dotazione di<br />
sostanza organica del terreno. Dalla lavorazione industriale della<br />
radice si ottengono dei sottoprodotti (polpe fresche esauste; polpe<br />
secche) che vengono utilizzati nell’alimentazione animale.
Avversità e parassiti<br />
Tra le avversità di natura climatica, i ritorni di freddo dopo la<br />
semina possono essere dannosi in quanto favoriscono il<br />
fenomeno della prefioritura.<br />
Le grandinate in prossimità della raccolta determinato invece una<br />
diminuzione dell’attività fotosintetica, con ripercussioni negative<br />
sull’accumulo di riserve zuccherine nella radice.
Tra i parassiti animali, particolarmente dannoso è il nematode cisticolo<br />
Heterodera schachtii, presente ormai in tutti i comprensori di coltivazione.<br />
Barbabietola e colza rappresentano gli ospiti preferenziali, nei quali riesce a<br />
compiere uno sviluppo più rapido, ma può vivere su numerose piante.<br />
Provoca alterazioni nelle cellule delle radici preposte all’assorbimento, con<br />
scompensi nutrizionali e forte riduzione della produzione della coltura.<br />
La femmina fuoriusce dai tessuti radicali con il solo corpo (trasformato in<br />
ovisacco), assumendo l’aspetto di una minuscola perlina bianca (indicato<br />
anche come cisti bianca)<br />
La lotta comprende ampie rotazioni, l’eliminazione scrupolosa delle malerbe<br />
ospiti durante tutta la rotazione, l’esclusione dalla rotazione delle colture ospiti<br />
(es. cavolo, colza, pomodoro), e l’anticipo della raccolta (raccomandabile su<br />
terreni infestati e soprattutto con varietà tradizionali sensibili, sia per evitare un<br />
aggravarsi del danno economico che per limitare la moltiplicazione del<br />
parassita).
5 - Cisti fecondate<br />
su capillizio radicale<br />
1 - Inizio ciclo<br />
Cisti nel terreno<br />
contenenti uova e larve<br />
2 - Migrazione larve<br />
II° stadio verso le radici<br />
3 - Attività trofica<br />
all’interno della pianta<br />
Stadi larvali III° e IV° e<br />
differenzazione<br />
sessuale<br />
4 - Fecondazione<br />
Cisti limoniformi (femmine) con il capo<br />
conficcato nella radice e maschio<br />
(filiforme) libero nel terreno
Buona difesa dal nematode cisticolo con il sovescio di<br />
Brassicaceae ad azione nematocida. Nella parte aerea di tali<br />
piante sono contenuti dei composti tossici per i nematodi detti<br />
glucosinolati, che vengono idrolizzati in isotiocianati o nitrili e<br />
sono liberati nel terreno in seguito al sovescio. Le piante che<br />
contengono glucosinolati attivi nelle radici e definite ‘piante<br />
trappola’ (catch crops) sono quelle nelle quali il nematode<br />
penetra ma non riesce a completare il ciclo di sviluppo prima del<br />
sovescio. In rotazione con la barbabietola si utilizzano varietà<br />
biocide di rafano o di senape.<br />
Recente selezione di varietà con doppia tolleranza al nematode<br />
cisticolo e alla rizomania.
L’entomofauna dannosa alla barbabietola da zucchero comprende numerose<br />
specie di insetti in grado di causare, in taluni casi, forti diradamenti degli<br />
investimenti, ed in altri abbondanti erosioni all’apparato ipogeo od epigeo della<br />
pianta con conseguenti perdite quanti-qualitative.<br />
Le prime fasi di sviluppo sono quelle in cui la coltura è più sensibile. Le plantule<br />
possono essere colpite da parassiti delle parti ipogee (es. elateridi: Agriotes sp.)<br />
o epigee (es. altica: Chaetocnema tibialis).<br />
Nelle fasi vegetative successive, gli attacchi al fittone sono normalmente dovuti<br />
a coleotteri Curculionidi (es. cleono: Conorrynchus mendicus) le cui larve<br />
scavano gallerie all’interno della radice (con danni sia diretti che indiretti, in<br />
quanto punto di insediamento di marciumi causati da funghi), mentre le foglie<br />
vengono colpite soprattutto da afidi (Aphis fabae, Myzus persicae), dannosi<br />
anche indirettamente quali vettori di virus, e da lepidotteri (nottue: Autographa<br />
gamma, Mamestra brassicae, M. oleracea, Spodoptera esigua).
Tra le malattie fungine, la cercospora (Cercospora beticola) causa i maggiori<br />
danni alla bieticoltura europea. I paesi più colpiti sono quelli dell’Europa centromeridionale,<br />
dove sono necessari molti trattamenti per contrastare l’infezione.<br />
I primi sintomi si manifestano a livello della lamina fogliare delle foglie<br />
sviluppate, con macchie di forma rotondeggiante, con un bordo marcato<br />
tendente al violaceo, mentre il centro della lesione differenzia una colorazione<br />
grigiastra. Le piccole macchie necrotiche tendono poi a confluire in aree più o<br />
meno ampie fino ad interessare sempre più la lamina fogliare che, infine,<br />
dissecca assumendo una caratteristica colorazione scura.<br />
L’apparato fogliare originario finisce per essere completamente distrutto e la<br />
coltura si presenta molto sofferente e in grave stress. Si può quindi innescare<br />
velocemente il fenomeno del ricaccio fogliare con conseguente perdita in<br />
zucchero.<br />
È necessario impiegare varietà tolleranti, soprattutto nei comprensori più a<br />
rischio, abbinando, comunque, un adeguato programma di trattamenti basati<br />
sull’applicazione, non oltre la comparsa dei primi sintomi (1 o 2 macchie isolate<br />
per foglia), dei formulati con maggiore attività, a base di strobilurine e di triazoli<br />
in miscela.
L’oidio (Erysiphe betae) è una malattia presente ovunque si coltivi la<br />
barbabietola, ma è particolarmente grave nelle regioni adriatiche dell’Italia<br />
centrale e meridionale. La malattia si manifesta su coltura autunnale già nel<br />
mese di maggio e su quella primaverile in giugno. Sulle pagine fogliari compare<br />
un’efflorescenza farinosa biancastra che dapprima ricopre piccole aree<br />
rotondeggianti, che costituiscono lo stadio a stella. La lotta consiste nella<br />
tempestiva applicazione di trattamenti chimici a base di zolfo o di prodotti<br />
sistemici (triazoli, morfoline, strobilurine) distribuiti alla comparsa dei primi<br />
sintomi.
Lo sclerozio (Sclerotium rolfsii) è una tipica malattia dei climi caldo-aridi. In Italia<br />
ne sono interessati soprattutto i comprensori bieticoli meridionali. La sua<br />
presenza nel centro e nord Italia è sporadica ma in progressivo aumento.<br />
Le piante colpite da sclerozio presentano tutto il corpo radicale invaso da<br />
marciume, e pertanto non sono idonee per la trasformazione industriale.<br />
Attualmente, l’unica strategia di difesa attuabile per contenere questa fitopatia è<br />
quella agronomica (avvicendamenti lunghi, eliminazione degli ospiti alternativi,<br />
lavorazione profonda, raccolta precoce).
La rizottoniosi (Rhizoctonia solani var. betae) è diffusa in tutte le aree bieticole<br />
nazionali, ma gli attacchi più frequenti si registrano nei terreni freschi della Valle<br />
Padana settentrionale. Sulle piante giovani compaiono imbrunimenti anulari<br />
nella zona del colletto, mentre su quelle adulte l’imbrunimento, talvolta unito a<br />
fessurazioni, si estende anche alla base dei piccioli. Successivamente, può<br />
registrarsi un forte avvizzimento della parte aerea fino ad arrivare alla perdita<br />
totale di prodotto. I mezzi di lotta chimica non risultano efficaci, mentre esistono<br />
alcune varietà tolleranti. Tali materiali, che presentano anche una discreta<br />
tolleranza alla cercospora e alla rizomania, sono indicati per raccolte tardive.
La rizomania (Beet Necrotic Yellow Vein Virus: BNYVV) è una malattia diffusasi<br />
a partire dagli anni ‘60 nei comprensori settentrionali, ma ormai estesa in tutte<br />
le regioni bieticole nazionali (comprese vaste zone dell’area meridionale a<br />
semina autunnale).<br />
Il sintomo principale è la proliferazione abnorme di capillizio radicale sul fittone.<br />
La radice colpita rimane piccola e mostra talvolta un marcato e netto<br />
restringimento nella parte caudale. Il fittone presenta imbrunimenti<br />
fibrovascolari più o meno intensi, dovuti all’invasione dei tessuti da parte del<br />
virus. I sintomi possono interessare anche l’apparato aereo con un rapido<br />
appassimento delle foglie quando la pianta è in piena vegetazione, nei periodi<br />
siccitosi o durante le ore calde della giornata.<br />
Questa virosi, diffusa da Polymyxa betae (un microrganismo ubiquitario del<br />
terreno), è potenzialmente molto grave. Se non fossero disponibili varietà<br />
tolleranti (unico mezzo di lotta ed ora ampiamente diffuse nel mercato per la<br />
semina primaverile ed in misura crescente per la semina autunnale: varietà<br />
rizotolleranti, RT), la coltivazione della barbabietola da zucchero sarebbe resa<br />
impossibile, a causa della forte incidenza sulle produzioni quanti-qualitative.