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MARIA LAI VENTOTENE MAURO SANTINI<br />

BRUNO ROBERTI VALERIO ZURLINI DAVID CAGE<br />

FESTIVAL D’ANNATA JON SPENCER, INTERVISTA<br />

L’AFRICA DEL SUD CI APPARTIENE. UN FILM<br />

SULLA MUSICA E SULLA CULTURA DELLA TUNISIA NERA


(2) ALIAS<br />

22 SETTEMBRE 2012<br />

IMMAGINA,<br />

PUOI<br />

Intervista<br />

a Paolo Virno<br />

LE POLAROID DI MORO<br />

●●●A cura di Sergio Bianchi e Raffaella Perna, edito da <strong>Derive</strong><strong>Approdi</strong> «Le polaroid di<br />

Moro» è in uscita a fine settimana. Si apre con il saggio di Pio Marconi «Il sequestro Moro.<br />

Una strategia allo specchio», i fatti sono raccontati in «Viaggio nella vertigine» di Marco<br />

Clementi, «L’acquario» di Sergio Bianchi, frutto di montaggio di testimonianze, quindi le foto,<br />

i comunicati, le prime pagine dei quotidiani italiani e stranieri, i poster del Male e la risposta<br />

di Gad Lerner sulla «Stampa», le altre vignette satiriche, il falso comunicato. Seguono le<br />

letture eretiche di Claudio D’Aguanno («Moro non è Moro»), la storia del fumetto di<br />

«Metropoli», «Lettere dal carcere di Moro» di Lanfranco Caminiti (che firma anche la<br />

cronologia dei cinquantacinque giorni), fino ai saggi sull’immaginario mediatico e artistico.<br />

L’affare Moro. Le foto, le immagini e la storia di un fumetto<br />

perseguitato. In un libro di <strong>Derive</strong><strong>Approdi</strong> la tragedia analizzata a<br />

partire dai suoi elementi visuali, consentiti e proibiti. Come il numero<br />

di «Metropoli» sequestrato nel giugno 1979, due giorni dopo l’uscita<br />

«Il fumetto proibito<br />

rileggeva la<br />

vicenda in chiave<br />

di trattativa<br />

possibile, ma<br />

di trattativa<br />

colpevolmente<br />

omessa da parte<br />

di Stato e partiti»<br />

di .ZIP<br />

●●●I politici, specialmente gli ex<br />

democristiani, continuano a ripetere<br />

che sul caso Moro ci sono ancora<br />

troppi segreti, troppi misteri. Ma quali<br />

segreti e misteri? È tutto semplice ed<br />

evidente, ed era evidente soprattutto<br />

a Moro, che nelle lettere si ostina a<br />

ripetere che se qualcuno voleva<br />

liberarlo la strada c’era, era possibile,<br />

bastava scambiare la sua vita con<br />

quella di qualche brigatista<br />

incarcerato. Moro si chiede<br />

nell’ultima lettera: «Da che cosa si<br />

può dedurre che lo Stato va in rovina,<br />

se, una volta tanto, un innocente<br />

sopravvive e, a compenso, altra<br />

persona va invece che in prigione, in<br />

esilio?». Lo dice chiaro che è la<br />

Democrazia cristiana che non vuole<br />

trattare, che la ragion di Stato, per lui<br />

in quella situazione così<br />

incomprensibile, lo condanna. La<br />

stessa ragion di Stato che ha<br />

condannato gli innocenti di Ustica, di<br />

piazza Fontana, della strage di<br />

Bologna. Una verità evidente, alla<br />

luce del sole, lampante per chiunque<br />

legga con una minima attenzione le<br />

lettere di Moro, uno tra i più<br />

interessanti documenti della storia<br />

della Prima Repubblica, in cui emerge<br />

la meschinità e il cinismo del potere,<br />

proprio dalle parole di chi quel potere<br />

lo conosce bene per averlo gestito per<br />

decenni. Moro è stato sacrificato dalla<br />

Dc, dalla logica interna degli stessi<br />

centri di potere di cui faceva parte. È<br />

questo che non si vuole riconoscere.<br />

Ci spieghino loro come mai hanno<br />

preferito lasciar uccidere Moro. […]<br />

●All’interno del primo numero<br />

della rivista «Metropoli» c’è il<br />

fumetto sul caso Moro […]. Lo<br />

pubblicaste a un anno dagli<br />

avvenimenti, nel giugno 1979.<br />

Perché la scelta di affrontare<br />

l’affare Moro in questa forma?<br />

Perché la forma del fumetto è una<br />

forma metropolitana,<br />

contemporanea, molto efficace, che fa<br />

parte dei linguaggi e dei gerghi della<br />

comunicazione di massa. Si è voluta<br />

scegliere una forma di presa<br />

immediata, di forte efficacia, evitando<br />

ogni forma di discorso paludato,<br />

solenne o semplicemente astratto; far<br />

vedere, o meglio, sollecitare<br />

l’immaginazione rispetto a una<br />

sequenza di eventi drammatici come<br />

era stato l’affaire Moro sembrava una<br />

scelta legittima. Poi naturalmente la<br />

scelta che sta dietro la forma fumetto<br />

è la scelta di una narrazione, di un<br />

racconto, e la scelta di un racconto<br />

era tanto più necessaria tanto più che<br />

dei particolari concreti dell’affaire<br />

Moro si sapeva ancora assai poco.<br />

Occorreva, per così dire, un<br />

supplemento d’immaginazione per<br />

colmare le lacune conoscitive.<br />

Bisognava rappresentare una<br />

sequenza di gesti anche laddove<br />

alcuni di essi non erano conosciuti,<br />

per esempio il posto dov’era stato<br />

portato Moro dopo lo scontro a fuoco<br />

di via Fani non lo si sapeva, però<br />

andava immaginato un luogo, dando<br />

ogni volta una concretezza anche<br />

nella forma di ipotesi, di<br />

supposizione, di immaginazione a<br />

tutta la vicenda. Naturalmente vi è un<br />

succo politico molto netto e molto<br />

chiaro che regge quel fumetto, quella<br />

narrazione, quello sforzo di<br />

immaginazione. Il succo politico è,<br />

come è evidente dall’inizio alla fine<br />

del testo e delle immagini, il carattere<br />

fondato, verosimile e molto<br />

importante dell’ipotesi di una<br />

trattativa e di un buon esito di essa,<br />

ossia si era sfiorata la possibilità<br />

concreta di un esito non cruento per<br />

quanto riguardava la persona di<br />

Moro, laddove lo Stato, le istituzioni,<br />

il sistema dei partiti fosse stato o<br />

meno abbarbicato su se stesso, meno<br />

rigido, meno dotato di riflessi<br />

pavloviani votati alla fermezza e alla<br />

chiusura. Il tessuto connettivo<br />

politico del fumetto era la rilettura<br />

della vicenda di un anno prima in<br />

chiave di trattativa possibile, di<br />

trattativa colpevolmente omessa da<br />

parte di Stato e partiti.<br />

●Il primo numero di «Metropoli» fu<br />

poi sequestrato. Come andò?<br />

Il primo numero di «Metropoli» fu<br />

sequestrato in tutte le edicole della<br />

Repubblica all’inizio del giugno del<br />

1979, due giorni dopo che era uscito.<br />

Naturalmente questo era dovuto a un<br />

insieme di cause, non solo al fumetto.<br />

Era dovuto al fatto che su «Metropoli»<br />

scrivevano alcuni degli imputati del<br />

processo 7 aprile. Due mesi prima era<br />

scattata la antagonista,<br />

dell’Autonomia operaia. Tra gli<br />

arrestati e i latitanti che si erano<br />

sottratti all’arresto del 7 aprile 1979 vi<br />

erano alcuni redattori di «Metropoli»,<br />

valgano per tutti i nomi di Franco<br />

Piperno, Oreste Scalzone e Lauso<br />

Zagato. Il fatto che la rivista uscisse<br />

denunciando l’operazione poliziesca<br />

e piccista (l’operazione del 7 aprile


era fortemente auspicata dal Partito<br />

comunista italiano) non poteva che<br />

sembrare un gesto di protervia,<br />

naturalmente questa impressione ha<br />

contribuito al provvedimento di<br />

sequestro. Poi vi era il fumetto. Poi vi<br />

era stato l’arresto di Morucci e<br />

Faranda che erano usciti un po’ di<br />

tempo prima dalle Brigate rosse e<br />

che avevano trovato una ospitalità<br />

tramite vecchie conoscenze legate al<br />

vecchio gruppo di Potere operaio<br />

che si era sciolto nel 1973. La<br />

maniera in cui avevano trovato<br />

questa ospitalità passava anche per<br />

alcune persone della redazione di<br />

«Metropoli». Fumetto, operazione 7<br />

aprile, questa sorta di vicinanza non<br />

politica, non di programma politico,<br />

ma di aiuto, di appoggio di due<br />

persone in fuga, questo insieme di<br />

cose provoca il sequestro della<br />

rivista. Per altro la rivista, va detto<br />

subito, era nata non come una rivista<br />

volta a riflettere sulla lotta armata,<br />

ma sulle nuove caratteristiche del<br />

lavoro e del non lavoro sociale, su<br />

quell’onda lunga culturale, sodale e<br />

politica inaugurata dal movimento<br />

del ’77. Per quanto riguarda il<br />

disegnatore del fumetto ha vissuto<br />

episodi che, allora drammatici, a<br />

distanza di tanto tempo fanno anche<br />

sorridere e mostrano lo straordinario<br />

grado di ridicolo di cui non esitarono<br />

a coprirsi le istituzioni. Il giudice<br />

chiese a Madaudo, il disegnatore del<br />

fumetto Moro, in un interrogatorio:<br />

«Ci dica dunque dov’era il garage<br />

che lei col disegno ha rappresentato<br />

come il posto dove era stato portato<br />

Moro dopo il rapimento di via<br />

Fani». Naturalmente quello non<br />

poté che tirare fuori un suo vecchio<br />

fumetto di tutt’altra natura, di tipo<br />

commerciale, in cui era disegnato il<br />

garage che gli aveva dato lo spunto<br />

pratico per disegnare la vignetta su<br />

Moro. Il disegnatore non fu<br />

incriminato, ma certo interrogato<br />

con grinta per estorcere dalle tavole<br />

del fumetto quella verità falsa di cui<br />

loro cercavano conferma, il fatto<br />

che Autonomia e «Metropoli»,<br />

rivista dentro l’Autonomia, fosse in<br />

realtà la direzione di tutta la lotta<br />

armata nazionale.<br />

Nelle pagine alcune immagini del fumetto<br />

«L’affare Moro» pubblicato su Metropoli,<br />

disegni di Madaudo, sceneggiatura di<br />

Melville<br />

ARTE E INFORMAZIONE ■ IL CASO MORO<br />

Le immagini<br />

mediatiche<br />

nella ricerca<br />

artistica<br />

di RAFFAELLA PERNA*<br />

●●●Trascorsi due giorni dal<br />

sequestro di Aldo Moro e dal<br />

massacro dei cinque uomini della<br />

scorta, il 18 marzo del 1978 le Brigate<br />

rosse rivendicano l’attacco, inviando<br />

alla stampa un primo comunicato<br />

con una polaroid che ritrae il leader<br />

della Democrazia Cristiana nella<br />

«prigione del popolo». Nei 55 giorni<br />

successivi al rapimento le Br<br />

invieranno altri sette comunicati: a<br />

questi si aggiunge quello «falso» del<br />

18 aprile, in cui viene segnalata la<br />

morte di Moro e indicato il Lago<br />

della Duchessa come il luogo dove<br />

recuperare il cadavere. Il 20 aprile<br />

viene recapitato il «vero»<br />

comunicato n. 7 insieme a una<br />

seconda foto di Aldo Moro con in<br />

mano una copia de «la Repubblica»<br />

del giorno prima. Il 9 maggio<br />

l’epilogo: in via Caetani, a Roma,<br />

viene ritrovato il corpo senza vita del<br />

Presidente, rinchiuso nel bagagliaio<br />

di una Renault 4.<br />

In questo momento di grave crisi<br />

istituzionale e politica il giornalismo<br />

italiano è costretto a interrogarsi<br />

criticamente sul proprio ruolo e sul<br />

potere connesso alla propria<br />

funzione, trovandosi ad affrontare un<br />

dilemma morale di primaria<br />

importanza: decidere se pubblicare<br />

volantini, comunicati e foto inviate<br />

dalle Br, e soprattutto con quali<br />

modalità, viene avvertito dai<br />

giornalisti delle principali testate<br />

nazionali come una scelta difficile e<br />

non priva di contraddizioni... «Siamo<br />

costretti a riprodurre, per dovere di<br />

cronaca, le foto di Aldo Moro» si<br />

legge sul quotidiano del Pci «l’Unità»<br />

il 19 marzo 1978. «Possiamo<br />

disarmare anche nella propaganda i<br />

terroristi senza rinunciare al nostro<br />

ruolo di giornali - e di giornalisti -<br />

liberi?» è la domanda che appare<br />

sulle pagine del «Corriere della Sera»<br />

il 21 marzo. Proprio il «Corriere»<br />

dedicherà ampio spazio al dibattito<br />

Dalle polaroid sulle prime<br />

pagine dei quotidiani alle opere<br />

degli artisti negli anni ’70, ai saggi<br />

filosofici, a Cattelan e Benassi<br />

sui rapporti tra stampa e terrorismo<br />

(...). Sull’argomento interviene anche<br />

«la Repubblica» che il 22 marzo si<br />

rivolge ai direttori di undici<br />

quotidiani italiani chiedendo loro<br />

quale potrebbe essere la reazione del<br />

giornale nell’ipotesi dell’arrivo in<br />

redazione di un nastro con una<br />

presunta «confessione» di Moro:<br />

soltanto due tra gli intervistati<br />

rispondono che farebbero a meno di<br />

pubblicarla. Il dibattito assume<br />

subito una fisionomia trasversale,<br />

coinvolgendo personalità del mondo<br />

della cultura, tra cui Eugenio<br />

Montale, chiamato a prendere<br />

posizione sul «Corriere». Alla<br />

domanda se avrebbe pubblicato la<br />

foto e il volantino delle Br qualora si<br />

fosse trovato al posto del direttore di<br />

un quotidiano, il poeta, dopo<br />

un’iniziale titubanza, risponde<br />

negativamente, a causa dell’alto<br />

rischio di emulazione insito nel dare<br />

visibilità al messaggio brigatista. In<br />

modo radicalmente differente<br />

affronta la questione Umberto Eco<br />

nell’aprile del 1978, nel convegno<br />

milanese Realtà e ideologie<br />

dell’informazione, dove sostiene che<br />

ai giornali non resta altra scelta che<br />

pubblicare il materiale inviato dalle<br />

Br, senza paura di fare pubblicità alle<br />

loro idee (...) I profondi dubbi etici<br />

sollevati dal caso Moro diventano un<br />

motivo urgente di riflessione anche<br />

in ambito artistico, specialmente per<br />

autori impegnati a verificare i nessi<br />

tra media e comportamento sociale:<br />

le immagini del sequestro Moro, in<br />

particolare le due polaroid del<br />

Presidente, si configurano come una<br />

fonte iconografica altamente<br />

significativa - sia per l’eccezionalità<br />

storica, sia per la risonanza mediatica<br />

- a cui attingere, al fine di mettere in<br />

luce le dinamiche del sistema<br />

informativo e il ruolo della stampa<br />

nel formare e indirizzare l’opinione<br />

pubblica. Nel relazionarsi con tali<br />

immagini, artisti di formazione e<br />

ambiti diversi quali Sarah<br />

Charlesworth, Mimmo Rotella, Mario<br />

Schifano, Lamberto Pignotti, Remo<br />

Remotti e più recentemente Maurizio<br />

Cattelan e Elisabetta Benassi, danno<br />

vita a opere in cui la realtà non è più<br />

concepita come un qualcosa che può<br />

essere rappresentato tramite<br />

l’invenzione e l’espressione<br />

individuale. Il reale viene sempre e<br />

soltanto indicato, citato, decostruito a<br />

partire da immagini preesistenti,<br />

attraverso il recupero di materiali<br />

iconografici già pronti, su cui l’artista<br />

interviene a posteriori con azioni<br />

volte a smontare, riassemblare,<br />

detournare; in tal modo l’idea stessa<br />

di arte come espressione della<br />

soggettività è posta radicalmente in<br />

discussione. La riproduzione della<br />

prima polaroid di Moro è al centro<br />

delle riflessioni del poeta visivo<br />

Lamberto Pignotti apparso il 25<br />

marzo del 1978 sulle pagine<br />

dell’«Unità»... Secondo Pignotti i<br />

media hanno trasformato l’evento del<br />

sequestro Moro in un «racconto a<br />

puntate» davanti al quale l’opinione<br />

pubblica è spinta a domandarsi quale<br />

sarà il seguito (...) Interessato alle<br />

complesse implicazioni mediatiche<br />

del rapimento di Moro, Pignotti<br />

realizza due opere attraverso il<br />

recupero delle prime pagine di «Paese<br />

sera» e di «Repubblica» su cui sono<br />

riprodotte le polaroid del presedente<br />

della Dc pubblicate rispettivamente il<br />

18 marzo e il 21 aprile del 1978,<br />

apponendovi la propria firma. Il gesto<br />

appropriativo fa parte del più ampio<br />

progetto Journal, dove il titolo è<br />

inteso nella doppia accezione di<br />

quotidiano e di diario intimo,<br />

presentato nell’omonimo volume del<br />

1976 (...) A livello internazionale<br />

vengono pubblicati i celebri Ways of<br />

Seeing (1972) di John Berger e On<br />

Photography (1977) di Susan Sontag<br />

prontamente tradotto in italiano da<br />

Einaudi nel 1978. In Italia, oltre<br />

all’importante saggio Fotografia e<br />

inconscio tecnologico (1979) di<br />

Franco Vaccari, in cui l’artista si<br />

sofferma lungamente sul rapporto<br />

tra fotografia, iniziano a circolare<br />

testi quali Mettiamo tutto a fuoco!<br />

Manuale eversivo di fotografia (1978)<br />

dove l’ultima sezione è interamente<br />

dedicata al legame tra fotografia e<br />

«quarto potere» e all’uso<br />

strumentale di questo medium<br />

nell’ambito della politica culturale<br />

perseguita dai giornali.<br />

*di Raffaella Perna, storica e critica<br />

dell’arte contemporanea, esperta di<br />

storia della fotografia, pubblichiamo<br />

un breve estratto del saggio contenuto<br />

nel volume «Le polaroid di Moro»<br />

curato da lei insieme a Sergio Bianchi.<br />

L’IMMAGINAZIONE<br />

AL POTERE<br />

Metropoli. Mi fa uno strano effetto<br />

rileggere a tanti anni di distanza il primo<br />

e incriminatissimo numero della rivista<br />

Metropoli uscita nel giugno del 1979,<br />

immediatamente mi rendo conto della<br />

qualità grafica così tipica di quegli anni, la<br />

carta è ruvida e le immagini sono poche e a<br />

parte la prima pagina dell’inserto «fumetto»<br />

sull’affare Moro disegnato da Madaudo e<br />

Melville, che fu la molla che fece scattare<br />

l’indagine, l’unico colore che appare di tanto<br />

in tanto è il rosso. Piccole strisce rosse e<br />

fondi rettangolari rossi a sottolineare<br />

qualche parola che risalta in bianco sulla<br />

copertina. Se si pensa che la rivista<br />

(uscirono solo sette numeri dal ’79 all’81),<br />

fu materialmente redatta da sole due<br />

persone Giorgio Accascina e Paolo<br />

Zappelloni che si riunivano sotto il pergolato<br />

del baretto di porta S. Pancrazio dietro al<br />

Gianicolo a Roma per timore di essere<br />

arrestati (o costretti alla latitanza) come<br />

quasi tutti gli altri autori diMetropoli bisogna<br />

ammettere che non era priva di una certa<br />

sobria eleganza e, cosa che sarebbe<br />

impensabile adesso, aveva addirittura i conti<br />

in verde non in rosso cioè! Infatti a dispetto<br />

del teorema del giudice Imposimato che<br />

ipotizzava che quel gruppo di sedicenti<br />

intellettuali (Franco Piperno, Oreste<br />

Scalzone, Lanfranco Pace, Paolo e Claudio<br />

Virno, Lucio Castellano, Libero Maesano,<br />

Bifo, Piero Lo Sardo ed altri) che su<br />

Metropoli si esprimevano fossero guidati<br />

dalle occulte e sapienti strategie del grande<br />

vecchio (non esplicitamente ma<br />

chiaramente individuato nella persona del<br />

senatore socialista cosentino Giacomo<br />

Mancini) e attraverso il «mensile politico»<br />

dirigessero niente meno che l’intera<br />

compagine del terrorismo rosso, il giornale<br />

usciva regolarmente in edicola e non era<br />

finanziato da rapine né usava linguaggi<br />

cifrati per dare direttive guerrigliere. Tutto è<br />

palese. Le parole che si rincorrono da un<br />

articolo all’altro sono movimento, corpo<br />

sociale, collettivo, compagni, fabbrica,<br />

carcere, autonomia, lotte, rivoluzione ma<br />

non solo, in un articolo del compianto Lucio<br />

Castellano che titola «C’era la sinistra, c’è il<br />

movimento» leggo fisicità, corpo, bisogni,<br />

desideri, individuo e al centro del paginone<br />

che ospita il suo articolo in una nuvoletta di<br />

fumo che esce dalla sigaretta di una<br />

bellissima Marlene Dietrich in bianco e nero<br />

come fosse un suo pigro pensiero c’è scritto<br />

«il socialismo/all’inizio sembrava/ cosa<br />

carina,/poi mi sono accorta/che la<br />

sola/eguaglianza che realizza/è quella/che<br />

si fonda sul lavoro/salariato/e che la rottura<br />

di questa/eguaglianza/e della sua<br />

rappresentazione politica/democratica/o<br />

socialista è la via maestra/ della<br />

liberazione». Altri tempi, altre discussioni e<br />

contraddizioni, certamente nessuna<br />

autocensura, nessun rimpianto se non per<br />

la libertà di parola e pensiero anche non<br />

condivisibile ma per l’appunto esprimibile,<br />

nella stessa rivista non ricordo in che<br />

numero c’era un «oroscopo del 7 aprile»<br />

(altro processo e altro teorema quello di<br />

Calogero) veniva chiesto dalla redazione,<br />

con notevole humour, una previsione sul<br />

futuro degli imputati ad un gruppo di<br />

intellettuali famosi tra cui Umberto Eco e<br />

Alberto Asor Rosa che prendevano prudenti<br />

e politiche distanze ma non si esimevano<br />

dal rispondere e quindi comunque apparire<br />

sull’infamante mensile. Un passato<br />

prossimo che pare remoto tragico e vivace<br />

che nessuno ancora riesce a raccontare per<br />

quello che fu, un decennio in cui la frase<br />

«l’immaginazione al potere» fu presa tanto<br />

sul serio da suscitare quella potente e sorda<br />

e violenta reazione che ci portiamo dietro<br />

ancora adesso.<br />

ALIAS<br />

22 SETTEMBRE 2012<br />

GERENZA<br />

(3)<br />

Il Manifesto<br />

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Alias a cura di<br />

Roberto Silvestri<br />

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(Ultrasport)<br />

con Massimo De Feo,<br />

Roberto Peciola,<br />

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