White spot lesions e terapia ortodontica: stato dell'arte
White spot lesions e terapia ortodontica: stato dell'arte
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Perrillo 12-11-2008 11:48 Pagina 221<br />
Introduzione<br />
revisione della letteratura literature review<br />
<strong>White</strong> Spot Lesion (WSL) è il termine anglosassone che<br />
designa una lesione cariosa iniziale dello smalto (1-3)<br />
come evidenziato dai vari sinonimi proposti in letteratura<br />
quali early enamel caries (2), early carious lesion (4),<br />
initial enamel lesion (5).<br />
Le WSL rappresentano un problema clinico rilevante<br />
durante e dopo un <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong> fissa (1, 2, 3, 6, 7). La<br />
loro comparsa, soprattutto sulla superficie vestibolare degli<br />
elementi dentari antero-superiori, compromette sia i risultati<br />
estetici che l’integrità dello smalto, trattandosi di macchie<br />
visibili e di lesioni cariose sia pure iniziali (5, 7-10).<br />
Ortognatodonzia Italiana vol. 15, 4-2008<br />
<strong>White</strong> <strong>spot</strong> <strong>lesions</strong> e <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong>: <strong>stato</strong> dell’arte<br />
<strong>White</strong> <strong>spot</strong> <strong>lesions</strong> and orthodontic treatment: state of the art<br />
Letizia Perillo, Maria Lora Cristallo, Fabrizia Ferro, Felice Femiano*<br />
Seconda Università degli Studi di Napoli, Scuola di Specializzazione in Ortognatodonzia, Direttore: Prof. L. Perillo<br />
*Seconda Università degli Studi di Napoli, Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche, Ortognatodontiche e Chirurgiche<br />
PAROLE CHIAVE<br />
<strong>White</strong> <strong>spot</strong> <strong>lesions</strong>, <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong>, demineralizzazione, decalcificazione.<br />
KEY WORDS<br />
<strong>White</strong> <strong>spot</strong> <strong>lesions</strong>, orthodontic therapy, demineralization, decalcification.<br />
SUMMARY<br />
Aim: the aim of this study was to perform a review of literature to assess the relationship between white <strong>spot</strong> <strong>lesions</strong><br />
and orthodontic therapy and the factors influencing this relationship.<br />
Materials and methods: the literature published from 1980 to 2007 was reviewed by applying the Medline database<br />
(Entrez PubMed). The search strategy resulted in 96 articles. After selection according to the inclusion criteria, 33<br />
articles were selected.<br />
Results: <strong>White</strong> <strong>spot</strong> <strong>lesions</strong> occurred in untreated subjects with a prevalence ranging from 24% to 85%, whereas in<br />
treated patients, without use of fluoride programmes, with a prevalence varying from 49.6% to 84%.<br />
Conclusions: this review indicated that orthodontic therapy could predispose or increase risk for development of<br />
white <strong>spot</strong> <strong>lesions</strong>, a common side effect of fixed orthodontic treatment. The risk of enamel demineralization could<br />
be reduced of 30% by improving oral hygiene and using topical fluoride agents during treatment. It seems important<br />
to reduce the duration of treatment and use fluoride releasing cements such as glass-ionomer cements for bands<br />
and fluoride releasing composite resins for brackets. To date, orthodontic therapy is not a determining factor for<br />
development of white <strong>spot</strong> <strong>lesions</strong>.<br />
221<br />
L’ipotesi di una relazione con la <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong> fissa<br />
scaturisce dal riscontro che la presenza e la permanenza<br />
nel cavo orale di bande e/o attacchi ortodontici rende<br />
meno agevole l’igiene orale, limitando l’azione protettiva<br />
della saliva, la capacità della lingua di rimuovere i<br />
residui di cibo e l’autodetersione (1). L’insieme di tali<br />
fattori favorisce un aumento della colonizzazione batterica<br />
sulle nuove aree ritentive rappresentate dalle apparecchiature<br />
ortodontiche e dallo smalto a contatto con esse,<br />
nonostante l’aumento benefico del flusso salivare, che<br />
pur si verifica in corso di <strong>terapia</strong> (6). Nello specifico, le<br />
superfici interessate da questo aumento quantitativo dei<br />
depositi di placca sono rappresentate dallo smalto libero
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tra le apparecchiature ed il margine gengivale, dallo<br />
smalto al di sotto delle bande ortodontiche scoperto dai<br />
difetti del cemento, dallo smalto all’interfaccia col<br />
cemento o con gli attacchi, e dalla superficie delle bande,<br />
degli attacchi e dell’eccesso di cemento (3, 6, 8-10).<br />
Il maggiore deposito di placca può comportare lo sviluppo<br />
di una lesione cariosa iniziale o WSL che si identifica<br />
con la demineralizzazione (3) o decalcificazione (2) dello<br />
smalto che, per il cambiamento delle proprietà ottiche,<br />
si presenta clinicamente sottoforma di macchie gessose<br />
dal tipico colorito biancastro (6, 11, 12).<br />
Le WSL possono essere presenti anche in soggetti non trattati<br />
<strong>ortodontica</strong>mente e risultano spesso sovrapponibili ad<br />
anomalie strutturali dello smalto tanto da richiedere una<br />
diagnosi differenziale in base ai dati anamnestici, alla sede,<br />
alla distribuzione e alla stabilità dimensionale nel tempo.<br />
Essendo lesioni dinamiche, possono andare incontro a<br />
stabilizzazione, evolvere in carie conclamata o regredire<br />
per l’instaurasi di un processo remineralizzante in presenza<br />
di ioni fluoro a livello topico (4, 6, 13).<br />
Lo scopo di questo studio è <strong>stato</strong> una revisione della letteratura<br />
sulla relazione tra WSL e <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong> e sui<br />
fattori che possono influenzare tale relazione.<br />
Materiali e metodi<br />
La revisione sistematica della letteratura è stata condotta<br />
ricercando nel database di Medline (Entrez Pubmed,<br />
www.ncbi.nim.nih.gov) gli articoli contenenti le seguenti<br />
parole chiave: white <strong>spot</strong> <strong>lesions</strong>, orthodontic therapy,<br />
demineralization, decalcification. Per ottimizzare la<br />
ricerca è stata impiegata la funzione “related articles” e<br />
controllata la bibliografia degli articoli selezionati.<br />
Sono stati applicati i seguenti criteri di inclusione:<br />
◗ l’anno di pubblicazione: tra il 1980 ed il 2007;<br />
◗ la lingua: italiano, inglese;<br />
◗ studi condotti in vivo;<br />
◗ studi condotti in vitro;<br />
◗ studi longitudinali, RCTs, revisioni sistematiche.<br />
Dei lavori considerati adeguati in base all’abstract è <strong>stato</strong><br />
ricercato il testo completo, escludendo quelli che non<br />
soddisfacevano i criteri d inclusione.<br />
Risultati<br />
Dei 315 articoli riportati su Pubmed, ne sono stati sele-<br />
revisione della letteratura<br />
Ortognatodonzia Italiana vol. 15, 4-2008<br />
222<br />
zionati 52 in base alle informazioni contenute<br />
nell’abstract. Da questo gruppo, in base alle informazioni<br />
contenute nel testo completo e ai criteri di inclusione,<br />
sono stati estrapolati 33 lavori scientifici distinti in: 3<br />
review (1, 6, 33), 20 studi clinici (2-5, 8-15, 18-24, 29,<br />
31) e 10 ricerche sperimentali condotte in vitro (7, 16, 17,<br />
21, 25-28, 30, 32).<br />
■ Relazione tra WSL e <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong><br />
Alcuni studi in letteratura (2, 3) hanno valutato l’associazione<br />
tra <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong> fissa e WSL analizzando la<br />
presenza di WSL in soggetti trattati e non trattati, con e<br />
senza l’ausilio di metodiche preventive a base di fluoro.<br />
Senza l’ausilio della prevenzione, i soggetti non trattati<br />
ma affetti da WSL erano il 24% secondo Gorelik et al. (2)<br />
e il 72% secondo Mizrahi (3), mentre i pazienti affetti da<br />
lesioni dopo trattamento erano il 49,6% secondo Gorelik<br />
et al. (2) e l’84% secondo Mizrahi (3).<br />
Gli elementi dentari con WSL al termine della <strong>terapia</strong> fissa<br />
erano il 12%, con una prevalenza più alta nel settore<br />
antero–superiore (14,1%) rispetto al postero–superiore<br />
(4,5%) e nel settore postero–inferiore (15,3%) rispetto a<br />
quello antero–inferiore (9,4%) senza differenze significative<br />
tra lato destro e sinistro (2).<br />
Con la motivazione all’igiene e l’adozione di un programma<br />
di fluoroprofilassi topica domiciliare che prevedeva<br />
l’utilizzo mensile di un collutorio al fluoro (0,2%),<br />
il 60% dei pazienti, secondo Årtun e Brobakken (8) presentavano<br />
WLS al termine del trattamento rispetto al<br />
40% dei soggetti non trattati.<br />
Invece, Geiger et al. (10), con un programma di fluoroprofilassi<br />
più complesso, adottato prima e durante il trattamento<br />
e basato sull’applicazione di un gel fluorato<br />
seguita da sciacqui con collutorio al fluoro (0,05%) prima<br />
del bondaggio associato all’uso giornaliero di dentifricio<br />
e collutorio al fluoro (0,05%) in corso di <strong>terapia</strong>,<br />
hanno riscontrato una riduzione di WSL del 30%.<br />
Gli elementi dentari più colpiti da WSL erano gli incisivi<br />
laterali (17,5%), i canini (12,2%), i primi premolari<br />
(13,6%) ed i primi molari inferiori (9,7%), in genere, con<br />
WSL a livello del terzo gengivale della superficie vestibolare.<br />
L’analisi statistica per settori confermava quanto<br />
già riferito da Gorelik et al (2) che il settore antero–superiore<br />
(incisivi e canini) ed il postero–inferiore (premolari<br />
e molari) erano quelli più frequentemente interessati dalle<br />
lesioni sebbene il numero di WSL fosse statisticamente<br />
maggiore a destra (7,8%) che a sinistra (6,4%), sia in<br />
arcata superiore che inferiore.
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■ Fattori che possono influenzare la relazione tra WSL e<br />
<strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong><br />
Il rischio di formazione di WSL dipende da una serie di<br />
fattori quali il tipo di <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong>, la durata del<br />
trattamento, l’igiene orale, la fluoroprofilassi topica e,<br />
ovviamente, la predisposizione individuale.<br />
◗ Terapia fissa o mobile<br />
Secondo Alexander (14), il rischio di sviluppare<br />
decalcificazioni è relativo solo alla <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong><br />
fissa piuttosto che a quella mobile.<br />
L’analisi di 41 soggetti con malocclusione di II Classe<br />
div. 1, trattati per circa un anno, 16 con Bionator, 17<br />
con trazione extra-orale, ed 8 con trazione extra-orale<br />
e placca, ha evidenziato che, al debonding, 4 molari<br />
superiori su 16 (25%) nel gruppo trattato con trazione<br />
extra-orale e placca e 2 molari superiori su 34 (5,8%)<br />
nel gruppo trattato solo con trazione extra-orale esibivano<br />
WSL mentre i soggetti trattati con Bionator non<br />
presentavano alcuna lesione (0%).<br />
Sembra invece non avere importanza il tipo di apparecchiatura<br />
fissa, in quanto non sono state evidenziate<br />
differenze significative, almeno a livello macroscopico,<br />
nella prevalenza degli elementi dentari colpiti dalle<br />
WSL relative all’uso di bande e attacchi (2).<br />
◗ Durata <strong>terapia</strong><br />
Variabile sembra invece l’influenza della durata di un<br />
trattamento ortodontico fisso. Secondo Gorelik et al.,<br />
la durata non influenza la severità delle WSL, mentre<br />
secondo studi successivi e più recenti la durata di un<br />
trattamento ortodontico fisso influenza in maniera statisticamente<br />
significativa la severità delle white <strong>spot</strong>s.<br />
In particolare le lesioni più gravi si manifestano durante<br />
un trattamento fisso con attacchi a partire dal ventiquattresimo<br />
mese di <strong>terapia</strong> in poi con un massimo al<br />
trentesimo mese. Sarebbe, quindi, preferibile che una<br />
<strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong> fissa non si prolungasse oltre i due<br />
anni.<br />
Alcuni studi (4, 15) hanno evidenziato che già dopo un<br />
mese di trattamento si formavano, a livello microscopico,<br />
sia sotto che intorno agli attacchi e alle bande, lesioni<br />
superficiali che poi tendono nel tempo a divenire<br />
profonde.<br />
Al di sotto degli attacchi secondo O’Reilly e Featherstone<br />
(15) la demineralizzazione variava dal 3%<br />
all’8% ed era profonda circa 25 µm mentre lo smalto<br />
tornava normale a 50 µm. Intorno agli attacchi, ad una<br />
revisione della letteratura<br />
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distanza tra 50 µm e 75 µm, la perdita minerale variava<br />
dal 12% occlusalmente al 14% cervicalmente agli<br />
attacchi ed arrivava a 25 µm di profondità sia in direzione<br />
occlusale che cervicale; decresceva al 10% ad<br />
una profondità di 50 µm fino allo 0% alla profondità di<br />
75 µm, in entrambe le direzioni. Invece, a 500 µm<br />
dagli attacchi, sia in direzione occlusale che cervicale,<br />
lo smalto risultava integro e la demineralizzazione<br />
assente (0% e 0 µm di profondità).<br />
Al di sotto di bande ortodontiche, come evidenziato da<br />
Øgaard et al. (4), le lesioni erano di tipo superficiale<br />
ed hanno una profondità di 100 µm.<br />
Dopo 1 anno di <strong>terapia</strong> con attacchi o dopo 2 anni con<br />
attacchi e/o bande le lesioni erano di tipo profondo e<br />
caratterizzate da tessuto demineralizzato al di sotto di<br />
uno strato superficiale di smalto quasi intatto (16-18).<br />
La rimozione delle apparecchiature favorisce, in presenza<br />
di modeste quantità di fluoro, la remineralizzazione<br />
delle lesioni superficiali (4, 6, 13, 19, 20). Tale<br />
processo è più veloce nelle prime settimane che<br />
seguono il debonding, poi rallenta e si completa dopo<br />
parecchie settimane; al contrario le lesioni profonde<br />
regrediscono molto lentamente e mai completamente.<br />
Sembra invece che la presenza di grandi quantità di<br />
fluoro comporti un’ipermineralizzazione dello strato<br />
di smalto più superficiale con il blocco completo del<br />
processo di remineralizzazione delle zone profonde<br />
demineralizzate (5, 15-18, 20).<br />
Attualmente la questione relativa all’evoluzione delle<br />
WSL resta aperta e dibattuta, poiché non si è ancora<br />
stabilita la giusta concentrazione di fluoro per l’inibizione<br />
della demineralizzazione (4, 6, 19).<br />
◗ Igiene orale e fluoroprofilassi topica domiciliare<br />
Altro fattore determinante durante un trattamento<br />
ortodontico fisso sembra essere una corretta igiene<br />
orale, la cui importanza è amplificata sia dalla più<br />
facile ritenzione che dalla maggiore difficoltà a<br />
rimuovere la placca batterica.<br />
Geiger et al. (9) hanno dimostrato un’associazione statisticamente<br />
significativa tra il livello d’igiene orale e<br />
la prevalenza di soggetti trattati affetti da WSL. Nel<br />
campione esaminato, il 35% dei pazienti aveva dimostrato<br />
un’eccellente igiene orale, il 49,5% un’igiene<br />
accettabile mentre il 15,5% una scarsa igiene orale e le<br />
WSL erano statisticamente meno presenti nei pazienti<br />
con un’eccellente igiene orale.<br />
Lo stesso lavoro (9) dimostrava l’esistenza di una cor-
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relazione significativa tra prevalenza di pazienti affetti<br />
da WSL in trattamento ortodontico fisso e la compliance<br />
degli stessi ad adottare un programma di fluoroprofilassi<br />
topica domiciliare (uso quotidiano di 10<br />
ml di collutorio al fluoruro di sodio allo 0,05%) standardizzato<br />
che prevedeva, per ogni paziente, di registrare<br />
il numero di bottiglie di collutorio consumate,<br />
ciascuna dotata di un dosatore che consentiva solo<br />
somministrazioni di 10 ml. Il 54,4% dei pazienti aveva<br />
collaborato con almeno uno sciacquo quotidiano<br />
rispetto al 45,6% non collaborante. Al termine della<br />
<strong>terapia</strong>, soltanto il 21% dei pazienti collaboranti presentava<br />
WSL rispetto al 49% dei non collaboranti.<br />
◗ Sistemi a rilascio di fluoro<br />
Purtroppo, tutti i trattamenti domiciliari di fluoroprofilassi<br />
presentano lo svantaggio di dipendere dalla collaborazione<br />
del paziente, nella maggior parte dei casi<br />
scarsa. Per questo motivo, negli ultimi anni sono stati<br />
studiati sistemi a rilascio di fluoro in grado di sfruttarne<br />
l’effetto cariostatico indipendentemente dalla compliance<br />
dei pazienti (1, 21).<br />
Banks et al. (22) hanno evidenziato che l’impiego di<br />
legature e catenelle elastiche a rilascio di fluoro, se<br />
cambiate regolarmente, può ridurre il rischio di decalcificazione<br />
durante <strong>terapia</strong> fissa con attacchi.<br />
A 49 soggetti erano stati applicati due tipi di elastici<br />
fluorati Fluor-I-Ties e Fluor-I-Chain (Ortho Arch<br />
Company Inc.), sostituiti ogni 4–6 settimane mentre<br />
45 soggetti erano stati trattati con elastici tradizionali.<br />
Dopo 1 anno e mezzo di <strong>terapia</strong> fissa, il 63% dei<br />
pazienti del gruppo sperimentale aveva sviluppato<br />
WLS rispetto al 73% dei pazienti del gruppo controllo.<br />
Gran parte delle lesioni interessavano lo smalto<br />
compreso tra l’attacco ed il margine libero gengivale<br />
degli incisivi laterali superiori.<br />
Legature e catenelle elastiche fluorate necessitano,<br />
tuttavia, di un ricambio settimanale in quanto il rilascio<br />
di fluoro si verifica solo nei primi giorni successivi<br />
all’applicazione nel cavo orale (1).<br />
Attualmente, l’alternativa più efficace è rappresentata<br />
dai materiali da incollaggio a rilascio di fluoro, disponibili<br />
sia per bande (cementi vetroionomerici; cementi<br />
vetroionomerici modificati; resine composite modificate)<br />
che per attacchi (cementi vetroionomerici;<br />
cementi vetroionomerici modificati; resine composite<br />
modificate).<br />
Nella cementazione delle bande si utilizzano con suc-<br />
revisione della letteratura<br />
Ortognatodonzia Italiana vol. 15, 4-2008<br />
224<br />
cesso da più di un ventennio i cementi vetroionomerici<br />
(CVI) che hanno soppiantato i cementi all’ossifosfato<br />
di zinco; questi, infatti, sono fragili, solubili in<br />
ambiente acido e non contengono fluoro mentre i CVI<br />
sono poco solubili, aderiscono chimicamente allo<br />
smalto e rilasciano costantemente notevoli quantità di<br />
fluoro (1, 23, 24).<br />
In letteratura ci sono studi clinici condotti in vivo che<br />
confrontano i CVI sia con i cementi all’ossifosfato<br />
(24, 25) che con i compositi modificati (23), mentre al<br />
momento mancano studi sul confronto con i cementi<br />
vetroionomerici modificati con resina composita.<br />
Secondo Kvam et al. (25) i CVI sono da preferire<br />
all’ossifosfato per la capacità di ridurre significativamente<br />
il numero di denti bandati affetti da decalcificazioni.<br />
Infatti, dopo un anno di <strong>terapia</strong>, 4 dei 28 molari<br />
bandati con ossifosfato erano affetti da WSL mentre<br />
nessuno dei 28 molari bandati con CVI presentava<br />
lesioni. Gli Autori consigliavano l’uso del CVI soprattutto<br />
per terapie lunghe e per la cementazione di bande<br />
su denti sottoposti a notevoli forze di tensione o<br />
caratterizzati da una morfologia coronale inusuale.<br />
Rezk-Lega et al. (24) hanno inoltre dimostrato una<br />
significativa riduzione della profondità e dell’entità<br />
della perdita minerale delle lesioni formatesi al di sotto<br />
di bande cementate con CVI rispetto all’ossifosfato.<br />
Nel campione costituito da 18 premolari trattati con<br />
due CVI, il Ketac-Cem (ESPE) e l’Aqua-Cem (De<br />
Trey) e da 18 premolari trattati con ossifosfato, lo<br />
smalto trattato per 4 settimane con i due CVI non esibiva<br />
clinicamente white <strong>spot</strong>s, mentre quello trattato<br />
con cemento non fluorato presentava lesioni. L’analisi<br />
microradiografica effettuata sui premolari dopo<br />
avulsione evidenziava, invece, la presenza di una<br />
demineralizzazione superficiale tipo “surface softened”<br />
sia sulle superfici trattate con i due CVI che su<br />
quelle trattate con ossifosfato. Tuttavia, la profondità<br />
di tale demineralizzazione si riduceva in maniera statisticamente<br />
significativa (p < 0,025) sullo smalto trattato<br />
sia con Ketac-Cem (63%) che con Aqua-Cem<br />
(55%). La perdita minerale totale si riduceva significativamente<br />
solo per Ketac-Cem (49%). Non c’erano<br />
differenze statisticamente significative tra i due CVI.<br />
Inoltre, il CVI sembra sia clinicamente più vantaggioso<br />
anche rispetto ai compositi modificati perché caratterizzati<br />
da una migliore adesione allo smalto. Secondo<br />
Gillgrass et al. (23), infatti, non si evidenziavano<br />
differenze statisticamente significative nella prevalen-
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za delle WFL riscontrate sullo smalto trattato con il<br />
Ketac-Cem (ESPE) e con il composito modificato<br />
Band-Lok (Reliance Orthodontic Products).<br />
Nel recente lavoro di Cacciafesta et al. (21) è <strong>stato</strong><br />
comparato in vitro il rilascio di fluoro di 5 diversi<br />
materiali da incollaggio per bande ortodontiche: Fuji<br />
Ortho (GC), GlasTec (Dentaurum), due CVI; Optiband<br />
(Ormco) e Multi-Cure (3M) due CVI modificati<br />
con resina; Tranbond Plus (3M) un compomero fotopolimerizzabile.<br />
Il Fuji ortho ha dimostrato il più alto<br />
rilascio di fluoro durante tutta la durata dell’esperimento,<br />
con un picco massimo (definito “burst effect”)<br />
al primo giorno.<br />
Per la cementazione degli attacchi ancora oggi si utilizzano<br />
le resine composite con cui è comune la formazione<br />
di white <strong>spot</strong>s (2, 5, 8, 9, 10). Secondo<br />
Sukontapatipark et al. (26) l’impiego della resina<br />
composita per la cementazione svolgerebbe un ruolo<br />
eziologico nella patogenesi delle WSL.<br />
Durante il fissaggio degli attacchi è molto difficile<br />
evitare la fuoriuscita di materiale sullo smalto e tali<br />
eccessi di composito alla base degli attacchi stessi predispongono<br />
ad un notevole accumulo di placca, sia per<br />
la ruvidità di superficie che per la presenza costante di<br />
un gap all’interfaccia - eccesso di composito/smalto -<br />
come evidenziato al microscopio elettronico a scansione<br />
(SEM). Tale difetto sarebbe dovuto alla contrazione<br />
da polimerizzazione della resina composita utilizzata<br />
per cui la cementazione degli attacchi andrebbe<br />
effettuata con la massima cura, rimuovendo sempre<br />
gli eccessi di composito.<br />
Sono stati sperimentati, anche per la cementazione<br />
degli attacchi, materiali a rilascio di fluoro quali resine<br />
composite modificate, cementi vetroionomerici e<br />
cementi vetro ionomerici modificati con resina e confrontati<br />
in studi clinici con i compositi tradizionali.<br />
Le resine composite modificate a rilascio di fluoro<br />
sembrano essere efficaci nella riduzione del rischio di<br />
decalcificazione sia nel numero di denti colpiti che<br />
nella profondità e nell’entità della perdita minerale<br />
(27-30).<br />
Secondo Sonis e Snell (27), utilizzando la resina composita<br />
fotopolimerizzabile a rilascio di fluoro FluorEver<br />
OBA per il fissaggio degli attacchi, si riduceva in<br />
modo significativo (p < 0,05) la formazione di WSL<br />
sullo smalto adiacente le apparecchiature. Al debonding,<br />
dopo 25 mesi di <strong>terapia</strong>, il 12,6% di 206 elementi<br />
dentari bondati con resina composita (Concise, 3M)<br />
revisione della letteratura<br />
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225<br />
esibiva WSL mentre le lesioni erano del tutto assenti<br />
sugli altri 206 elementi bondati con FluorEver. Risultati<br />
simili sono stati riscontrati anche da Øgaard et al.<br />
(28): sullo smalto intorno ad attacchi cementati con<br />
l’Orthodontic Cement VP 862, si riduceva, in 4 settimane,<br />
il 48% della profondità e dell’entità della perdita<br />
minerale rispetto a quella misurata per i denti trattati<br />
con composito tradizionale, l’Heliosit Orthodontic<br />
(Vivadent).<br />
Gli studi di Mitchell (29) e di Trimpeneers e Dermaut<br />
(30), al contrario, concludono che le resine composite<br />
a rilascio di fluoro non riducono il rischio di demineralizzazione<br />
rispetto ai compositi tradizionali. Infatti,<br />
secondo gli Autori, sia il Direct (Orthocare) (29) che<br />
l’Orthon (Orthon Dental) (30), non riducevano la prevalenza<br />
di WLS. In realtà, tali risultati potrebbero<br />
essere giustificati dal fatto che le resine adoperate in<br />
entrambi i lavori sono caratterizzate da un rilascio di<br />
fluoro piuttosto basso rispetto ad altri materiali dello<br />
stesso tipo disponibili in commercio.<br />
Discussa è l’efficacia dei CVI per la cementazione<br />
degli attacchi (13, 31).<br />
Marcusson e collaboratori (13) hanno dimostrato che<br />
la cementazione di attacchi con un CVI (Aqua-Cem,<br />
De Trey) riduce la prevalenza di denti colpiti da WSL<br />
sia al debonding che dopo uno o due anni dal debonding.<br />
Dopo 22 mesi di trattamento, le WSL erano presenti in<br />
maniera significativamente minore sul 24% delle<br />
superfici dentarie bondate con il CVI e sul 40,5% di<br />
quelle bondate con diacrilato. Un anno e due anni<br />
dopo il debonding le differenze tra i due gruppi erano<br />
ancora presenti ma non significative: le WSL interessavano,<br />
infatti, il 22% (1 anno dopo) ed il 16% (2 anni<br />
dopo) delle superfici bondate con CVI ed il 24 % (1<br />
anno dopo) ed il 29% (2 anni dopo) di quelle trattate<br />
con il diacrilato.<br />
Millett et al. (31) hanno, invece, riscontrato l’assenza<br />
di differenze significative nel numero di denti colpiti<br />
da WSL dopo un trattamento con attacchi cementati<br />
con CVI e con composito. Sugli elementi dentari<br />
superiori di 40 pazienti erano stati incollati 240 attacchi,<br />
metà con il CVI Ketac-Cem (ESPE) e metà con il<br />
composito Right-On (TP Orthodontics). Al debonding,<br />
gli elementi dentari trattati con entrambi i materiali<br />
esibivano WSL senza differenze significative.<br />
Questi risultati associati alla minore forza di legame<br />
dei CVI e alla maggiore frequenza di distacco in vivo
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degli attacchi rispetto ai compositi tradizionali, hanno<br />
fatto desistere dal loro impiego nel bondaggio ortodontico<br />
(1, 13, 31).<br />
Gli studi clinici più recenti si sono concentrati sui CVI<br />
modificati con resina composita che combinano le<br />
proprietà meccaniche dei compositi al rilascio di fluoro<br />
dei CVI convenzionali, risultando clinicamente<br />
accettabili per l’aumento della forza di legame (1, 31).<br />
Studi in vitro (11, 32) hanno dimostrato con il test di<br />
microdurezza in sezione trasversale che, dopo 4 settimane<br />
di trattamento fisso con attacchi cementati con<br />
CVI modificati, la demineralizzazione smaltea si riduce<br />
del 12%, fino a 200 µm di profondità dal margine<br />
dell’attacco.<br />
Recentemente, Cacciafesta e collaboratori (21) hanno<br />
dimostrato che tra il GC Fuji Ortho LC (GC), un<br />
cemento vetroionomerico modificato con resina e tre<br />
diverse resine composite fotopolimerizzabili a rilascio<br />
di fluoro, cioè Transbond XT (3M), Enlight LV (Ormco),<br />
Con Tec LC (Dentaurum), il maggiore rilascio di<br />
fluoro e, quindi il maggiore effetto preventivo, riguarda<br />
il Fuji Ortho LC (GC).<br />
Conclusioni<br />
Lo scopo di questo studio è <strong>stato</strong> una revisione della letteratura<br />
sulla relazione tra WSL e <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong>, e<br />
sui fattori che possono influenzare tale relazione.<br />
Allo <strong>stato</strong> dell’arte, le evidenze scientifiche riportate in<br />
letteratura non consentono d’attribuire alla <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong><br />
un ruolo determinante nella genesi delle WSL.<br />
Tale <strong>terapia</strong>, rappresenta, secondo la maggior parte degli<br />
Autori, solo un fattore predisponente o di rischio per la<br />
comparsa di WSL che si riscontrano come un possibile -<br />
ma non certo - effetto collaterale (7, 11, 20, 33).<br />
Tali lesioni cariose iniziali sono risultate presenti anche<br />
in soggetti non trattati <strong>ortodontica</strong>mente con prevalenza<br />
variabile dal 24% (2) al 72% (3) mentre nei pazienti sottoposti<br />
a <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong> fissa, la prevalenza oscilla<br />
dal 49,6% (2) all’84% (3) senza l’ausilio di metodiche<br />
preventive a base di fluoro.<br />
Le superfici dentarie significativamente più interessate sono<br />
quelle vestibolari e linguali, nel terzo cervicale e medio e le<br />
white <strong>spot</strong>s più severe sono di solito appannaggio del terzo<br />
medio delle superfici vestibolari (12).<br />
I settori delle arcate dentarie maggiormente colpiti sono<br />
quelli antero–superiore e postero–inferiore. In particola-<br />
revisione della letteratura<br />
Ortognatodonzia Italiana vol. 15, 4-2008<br />
226<br />
re, il settore antero–superiore, a livello degli incisivi laterali,<br />
sembra essere quello più spesso interessato dalle<br />
white <strong>spot</strong>s più severe che con la loro comparsa compromettono<br />
i risultati estetici del trattamento ortodontico<br />
deludendo le aspettative del paziente (3, 5, 8, 12).<br />
Nei diversi studi le WSL sono state valutate e classificate<br />
con varie metodiche non standardizzate quali l’Indice<br />
di Gorelik (2), l’Indice di Opacità (3), l’Indice di Carie<br />
(8), l’Indice di Gorelik modificato (8), che hanno reso<br />
difficile il confronto dei risultati riportati in letteratura.<br />
Il rischio della demineralizzazione sembra essere legato<br />
ad una serie di fattori variabili, quali principalmente:<br />
◗ il tipo di apparecchiature ortodontiche;<br />
◗ la durata del trattamento;<br />
◗ l’igiene orale;<br />
◗ la fluoroprofilassi topica domiciliare;<br />
◗ l’impiego di materiali a rilascio di fluoro (quali legature<br />
elastiche, catenelle elastiche e materiali da incollaggio<br />
per bande e per attacchi ortodontici);<br />
◗ la predisposizione individuale.<br />
L’insieme di questi fattori hanno spinto Autori come<br />
Chang et al. (6) a suggerire un indaginoso inquadramento<br />
del paziente prima del trattamento ortodontico basato<br />
su alcuni fattori quali:<br />
1) l’entità del flusso salivare;<br />
2) la ricerca anamnestica della suscettibilità individuale<br />
alla carie, compresa la registrazione del numero e della<br />
posizione delle lesioni prima del trattamento;<br />
3) l’eventuale residenza in zone dalle acque fluorate;<br />
4) le abitudini alimentari;<br />
5) l’indice di placca;<br />
6) la conta batterica per il monitoraggio microbico.<br />
Rimanendo nei limiti della routine clinica tradizionale,<br />
non potendo agire sulla predisposizione individuale, il<br />
rischio può essere ridotto del 30%, secondo Geiger et al<br />
(10), da una buona motivazione del paziente ad una corretta<br />
igiene orale, ad una regolare fluoroprofilassi topica<br />
domiciliare, sebbene, ad oggi, non esista un protocollo<br />
standardizzato da utilizzare. La motivazione all’igiene,<br />
inoltre, dovrebbe essere continua e costante per tutta la<br />
durata del trattamento in quanto pur selezionando i<br />
pazienti, prima di intraprendere il trattamento ortodontico<br />
fisso, in base al livello di igiene orale e, quindi, di collaborazione<br />
(33), c’è sempre una percentuale di pazienti<br />
la cui igiene peggiora col tempo. Per questo motivo sembra<br />
importante utilizzare nella pratica clinica, limitando<br />
per quanto possibile la durata delle terapie ortodontiche,<br />
metodiche preventive basate sull’utilizzo del fluoro ma
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indipendenti dalla collaborazione del paziente soprattutto<br />
per il fissaggio di bande ed attacchi.<br />
Tra i materiali da incollaggio per bande sarebbero da preferire<br />
i cementi vetroionomerici tradizionali, e per gli<br />
attacchi, le resine composite ad alto rilascio di fluoro.<br />
L’orientamento attuale in letteratura incoraggia l’impiego<br />
nella pratica clinica anche dei cementi vetroionomerici<br />
modificati. Tuttavia, sarebbero necessari ulteriori studi<br />
clinici per valutarne l’efficacia a lungo termine, dato che<br />
un trattamento ortodontico ha una durata sicuramente<br />
maggiore delle 4 settimane considerate nei lavori esaminati<br />
(5, 13, 31).<br />
Sarebbe altresì opportuno stabilire se il rilascio di fluoro<br />
di tali materiali sia sufficiente a prevenire completamente<br />
la demineralizzazione dello smalto.<br />
Riassunto<br />
Scopo del lavoro: lo scopo del presente lavoro è <strong>stato</strong><br />
quello di effettuare una revisione della letteratura sulla<br />
relazione tra WSL e <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong> e sui fattori che<br />
possono influenzare tale relazione.<br />
Materiali e metodi: dopo un’accurata ricerca nel Database<br />
di Medline, su 96 articoli presenti in letteratura dal<br />
1980 al 2007, sono stati selezionati 33 lavori scientifici.<br />
Risultati: le WSL sono risultate presenti anche in soggetti<br />
non trattati <strong>ortodontica</strong>mente con prevalenza variabile<br />
dal 24% all’85% mentre nei pazienti sottoposti a<br />
<strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong> fissa, la prevalenza oscilla dal 49,6%<br />
all’84% senza l’ausilio di metodiche preventive a base di<br />
fluoro.<br />
Conclusioni: la <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong>, rappresenta, secondo<br />
la maggior parte degli Autori, solo un fattore predisponente<br />
o di rischio per la comparsa di WSL che si<br />
riscontrano come un possibile - ma non certo - effetto<br />
collaterale. Il rischio di demineralizzazione può essere<br />
ridotto del 30% con una buona motivazione del paziente<br />
ad una corretta igiene orale e ad una regolare fluoroprofilassi<br />
domiciliare. Sembra importante, inoltre, limitare<br />
la durata delle terapie ortodontiche e utilizzare materiali<br />
a rilascio di fluoro.<br />
Per le bande sarebbero da preferire i cementi vetroionomerici<br />
tradizionali, per gli attacchi, le resine composite<br />
modificate a rilascio di fluoro. Allo <strong>stato</strong> dell’arte, le<br />
evidenze scientifiche riportate in letteratura non consentono<br />
d’attribuire alla <strong>terapia</strong> <strong>ortodontica</strong> un ruolo determinante<br />
nella genesi delle WSL.<br />
revisione della letteratura<br />
Ortognatodonzia Italiana vol. 15, 4-2008<br />
227<br />
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Indirizzo autore<br />
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