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n. 87
PARE CHE SIA
LA VOLTA
BUONA!
Aprile 2013
mensile di informazione in distribuzione gratuita
Il Teatro
Romano
pag. 8
Università
pag. 16
Alela Diane
& Wild Divine
pag. 23
SOMMARIO
n. 87
3 Filippo Lucci fa il bis
4 Teramo culturale
6 Riparte il Festival della Letteratura
7 Note Linguistiche
8 Speciale Teatro Romano
12 Se due + 2 fa 3
14 Di Giovannantonio vede nero
15 L’Oggetto del Desiderio
16 Università
18 Oddio l’Agnello di Dio
19 Piazza Dante
20 Il Libro del Mese
22 Teramo e la Musica
23 Write About the Records
24 In Giro
26 Cinema
27 Alta Analisi del Dato Oggettivo
28 Salute
29 Pallamano
29 Coldiretti informa
30 La lettera sull’Ospedale
è possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web
www.teramani.info
scriveteci a
dimmitutto@teramani.info
Direttore Responsabile: Biagio Trimarelli
Redattore Capo: Maurizio Di Biagio
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone,
Maria Gabriella del Papa, Maurizio Di Biagio,
Maria Gabriella Di Flaviano, Carmine Goderecci,
Carlo Manieri, Maria Cristina Marroni, Silvio Paolini Merlo,
Antonio Parnanzone, Sirio Maria Pomante, Egidio Romano,
Sergio Scacchia.
Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressione
di chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazione
né l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche solo
parziale, sia degli articoli che delle foto.
Ideazione grafica ed impaginazione: Antonio Campanella
Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di Marco
Via Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930
per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele
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dell’Associazione Culturale Project S. Gabriele
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Teramani è distribuito in proprio
Redazionale
Filippo
Lucci
fa il bis
Filippo Lucci è stato riconfermato alla
presidenza nazionale del Corecom,
gli ormai arcinoti Comitati per le
Comunicazioni che si occupano, oltre che
di tv, anche di conciliazione tra utenti e
gestori telefonici nella giungla delle bollette
pazze e dei call center che t’affibbiano
qualche servizio a pagamento non richiesto
e tanto altro ancora. Il teramano, col volto
da ragazzo e con un amore sconfinato per
la sua Val Fino, ha imposto anche a livello
nazionale la legge della sua umiltà e della
sua preparazione, dimostrando al contempo
come abbia ben operato nel primo mandato,
raggiungendo numerosi obiettivi, a partire
dal milione e mezzo di euro fatto risparmiare
agli abruzzesi solo con le conciliazioni con le
compagnie telefoniche. Ma Lucci ha anche il
difficile compito di stilare le graduatorie per
le provvidenze pubbliche al sistema delle Tv
locali, per conto del Ministero dello Sviluppo
economico, con un portafoglio che si aggira
sui 90 milioni di euro. Uno degli obiettivi
che l’ex Direttore Responsabile del nostro
periodico “Teramani” intende perseguire con
tutte le sue forze è quello di far giungere la
linea Adsl anche nelle zone montane della
nostra regione, dove purtroppo internet non è
ancora di tutti. Quanto sia stimato lo dimostra
il fatto che è stato rieletto Presidente
Nazionale all’unanimità. A vederlo mite non
significa affatto che Lucci sia arrendevole,
anzi: quando c’è stato da battere i pugni sul
tavolo ed accusare mostri sacri come la Rai,
l’ha fatto senza batter ciglio. Come quella
volta quando mise sul tavolo degli imputati
sia Mamma Rai che il Ministero dello sviluppo
economico, un po’ troppo superficiali sul
digitale terrestre nella nostra regione. E
in tempi di spending review il ragazzo di
“Teramani” è riuscito anche a tagliare le
indennità del Presidente e dei componenti
del Corecom che costa agli Abruzzesi solo 50
mila euro annue lorde contro quel milione e
mezzo che è riuscito a farci risparmiare.
Buon lavoro da tutta la redazione, Filippo. n
3
4
n.87
Teramo culturale
Gianni
Di Venanzo
Autore della luce o poliedrico artigiano?
Il cinema non è solo un meraviglioso caleidoscopio di utopie, dove
reale e irreale si confondono perfettamente, ma anche un grande
afflusso collettivo di energie e di ingegni. Eppure, in una delle ultime
interviste, Tonino Guerra si esprimeva in termini lapidari su di
un aspetto credo decisivo: in definitiva, egli diceva, il solo autore di un
film è il regista. Quest’ammissione di Guerra, atto di profonda onestà
intellettuale, credo vada estesa anche a Di Venanzo.
Chi sia stato Di Venanzo nel mondo della fotografia italiana è per lo più
noto e universalmente conclamato. Un uomo che, secondo Michelangelo
Antonioni, «aveva innato il senso dell’illuminazione», e che per
Francesco Rosi «è stato uno dei più grandi operatori che ci siano mai
stati». A Di Venanzo devono tutto, o quasi, direttori della fotografia
come Carlo Di Palma, il quale ha dichiarato di essere «l’allievo di
Gianni Di Venanzo, il mio grande maestro, cui devo tutto quello che so
fare». Al di là delle belle parole, comprensibili in collaboratori diretti,
a comprovare il valore del nostro basterebbero i nomi di Fellini e di
Antonioni, che con Rossellini e Visconti rappresentano i quattro massimi
pilastri della cinematografia italiana, e coi quali egli ha lavorato
alla realizzazione di monumenti osannati in tutto il mondo. E tuttavia,
l’esercizio di buonsenso di Guerra mi porta a considerazioni meno
Di Venanzo (a sinistra) con Michelangelo Antonioni
sul set de Il Grido - 1957
di
Silvio
Paolini Merlo dimmitutto@teramani.info
scontate. Ha senso parlare di co-autorialità in prodotti profondamente
monocratici come quelli del nostro cinema d’autore degli anni Cinquanta
e Sessanta? Popolato da autori grandissimi, troppo grandi direi,
perché si possa parlare di apporti creativi veri e propri? Alida Scocco
Marini, un poco ingenuamente, ci ricorda nel merito cose come l’introduzione
delle lampade photoflood, le quali altro non sono in effetti che
la conseguenza del taglio documentaristico di certo cinema italiano
degli anni Sessanta, vedi quello di Rosi ne Le mani sulla città, più che
il risultato di una personale ricerca o di una programmatica filosofia
della luce, come è ravvisabile ad esempio in un Vittorio Storaro, autore
immediatamente riconoscibile a prescindere dal cineasta. In altre
parole, credo che Di Venanzo stia a Fellini e Antonioni come Douglas
Trumbull sta al Kubrick di 2001 odissea nello spazio e allo Spielberg
di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Un tecnico poliedrico, capace di
adattarsi al meglio alle esigenze più disparate, un favoloso artigiano
della visualità. Penso, in altre parole, che un’immagine “alla Di Venanzo”
non esista, o che al massimo si possa ravvisare in modo solo indiretto
e frammentario. Chi indicherebbe in Trumbull la genialità dei film
di Kubrick e Spielberg, le visioni particolarissime che emanano dalla
loro concezione del destino dell’uomo, pessimista la prima ottimista
la seconda? Il Trumbull allucinogeno della “porta delle stelle”, il tunnel
spazio/tempo/luce del film di Kubrick, può dirsi lo stesso del Trumbull
incantatorio che smaterializza multicromaticamente le sagome degli
Ufo per meglio fonderle con le salmodie sonore come accade in quello
di Spielberg? Nel caso di un John Williams, il quale viceversa conserva
senza dubbio una propria costante dimensione estetica nelle proprie
partiture, parlerei di “apporto d’autore”, nel caso di Trumbull parlerei al
massimo di una geniale interazione tecnologica.
A ciò si aggiunga il particolare tipo d’apprendistato di Di Venanzo, il
quale potè avvantaggiarsi del lavoro di tecnici artigiani come Tonti, per
Ossessione di Visconti, o come Arata, nel 1945, per Roma città aperta
di Rossellini, artigiani al servizio di autori di statura incommensurabile,
nel momento forse più felice della loro produzione, individualità
poetiche assolutamente galvanizzanti. Ma non era forse quella di Tonti
un’arte tutta al servizio di un’altra, quella di Visconti? E non era lo stesso
per Arata con Rossellini? Scomparso prematuramente a 45 anni,
vincitore del Nastro d’Argento per cinque volte, Di Venanzo fu in realtà
uomo fragile e pieno di fobie, anche paradossali se confrontate con la
passione per le innovazioni tecnologiche: non mise mai piede su di un
aereo, e all’estero vide rischi di contagio fatali anche nei bicchieri d’acqua.
Se questa era la natura del Di Venanzo uomo, qual’era, se ve ne è
realmente stata una, quella del Di Venanzo artista? Cosa accomuna il
Di Venanzo del Grido antonioniano al Di Venanzo di 8½? Cosa lega, dal
punto di vista del senso della luce, il neorealismo interiore del primo
al surrealismo onirico del secondo? E che dire del suo approccio alla
tecnica del colore? Si è parlato di genialità nella fotografia di Giulietta
degli spiriti, il secondo dei film a colori di Fellini.
Ma un’attenzione per i colori vividi in senso antinaturalistico è praticamente
costante in Fellini, già evidente nel precedente Le tentazioni
del Dottor Antonio, dove la cura della fotografia è di Otello Martelli, o
nel Satyricon del 1969, dove è di Giuseppe Rotunno. Può dirsi esistere
nel caso di Di Venanzo lo stesso rapporto di affinità stilistica che esiste
tra Fellini e Rota? La questione, chiusa come sembra su questa e altre
figure-simbolo della più grande industria culturale del paese, a me
pare del tutto aperta. n
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6
n.87
Eventi
Riparte il Festival
Nazionale
della Letteratura
La scrittrice Patrizia Di Donato lancia la
seconda edizione della kermesse giuliese
Giulianova a primavera si risveglia, come da tradizione, con la
secolare festa dello Splendore e, da più di dieci anni, con il
Festival internazionale delle bande musicali. Alla primavera
giuliese, dall’anno scorso, a completare lo scenario dell’offerta
culturale, si aggiunge il Festival Nazionale della Letteratura,
gemellato con il prestigioso premio di Mantova. Un evento coraggioso
che ha iniziato il suo percorso di crescita a piccoli passi e con
una meta precisa. A portare avanti il lavoro è innanzitutto l’ideatrice
e presidente, Patrizia Di Donato, brava scrittrice e appassionata
di libri, che ci racconta la seconda edizione del festival che si terrà
dal 2 al 5 maggio, nelle location della sala Buozzi in Centro Storico
e del Kursaal al Lido.
Patrizia, cosa ti ha spinto a prendere la decisione di organizzare
un festival letterario?
Avevo il desiderio di creare a Giulianova un polo d’interesse che
avesse al centro la letteratura. Una volontà nata anche dall’allarmante
disaffezione per la lettura e il libro, che si riscontra nella
società odierna e che incide fortemente sulle nuove generazioni,
sul loro modo di conoscere l’animo umano e il mondo. Abbiamo
quindi pensato, fin dall’inizio, al coinvolgimento delle scuole superiori
giuliesi, proprio per contribuire a ricucire questa trama recisa.
Vogliamo costruire un nuovo luogo d’incontro, tra l’altro, anche per
gli scrittori abruzzesi, che spesso suscitano un grande successo
quando vanno fuori regione, se non addirittura all’estero - e nella
storia basti pensare a giganti come Ignazio Silone e John Fante - e
purtroppo misconosciuti nella nostra terra. Viviamo in un momento
pervaso da un tangibile male di vivere e il libro è un amico che ci
ascolta sempre e interpreta i nostri stati d’animo: questo è il lato
caldo del festival, così come l’ho pensato fin dal suo nascere.
La prima edizione, con i piedi ben saldi a terra, si è imposta
come un evento denso di contenuti e ha ricevuto un ottimo
Segue a pag. 7
di
Sirio Maria
Pomante dimmitutto@teramani.info
Note linguistiche
Come
prendere
appunti
di prendere appunti è piuttosto complessa,
poiché consiste in tre attività contemporanee: ascoltare,
sintetizzare, scrivere. Oggi, anche se la diffusione dei regi-
L’operazione
stratori di piccolissime dimensioni e di facile funzionamento
consente ai giovani di registrare lezioni, conferenze, dibattiti…ecc.,
non mancano occasioni in cui una pagina di appunti, ben presi ed
organizzati, sia più utile della registrazione completa.
Ad esempio nella vita scolastica quotidiana, durante la spiegazione
dell’insegnante o l’interrogazione dei compagni, “prendere appunti”
è un ottimo mezzo per la rielaborazione e lo studio della lezione.
Naturalmente esistono alcune tecniche che facilitano l’operazione
di prendere appunti:
• Non pretendere di trascrivere interamente ciò che si ascolta.
successo di pubblico. Cosa riserva questo
secondo appuntamento?
L’anno scorso abbiamo iniziato questo
viaggio, senza toni pomposi, tentando
di creare appuntamenti che invitassero
alla conoscenza degli autori, con toni
confidenziali. Lo stesso approccio che
riproporremo anche in questa edizione,
nella quale abbiamo invitato personalità
di spiccato interesse nazionale come
Elda Lanza, la prima presentatrice della
televisione italiana, che si è riscoperta,
oramai più che ottantenne, apprezzata
autrice di gialli e Mariano Sabatini, da
vent’anni autore televisivo e radiofonico
e affermato scrittore, che daranno vita ad
un’intervista doppia, ponendosi domande
a vicenda. Avremo anche autori abruzzesi,
come Caterina Falconi con il suo libro
a più voci che racconta la violenza sulle
donne, Simone Gambacorta, il giornalista
di Rai Tre Umberto Braccili, l’antropologa
Alessandra Gasparroni e molti altri. Uno
spazio sarà riservato alla letteratura nata
dopo la tragedia del terremoto aquilano.
Dopo aver ospitato, infatti, il giornalista
Giuliano Parisse con Com’era bella la mia
Onna, sarà presentato I Gigli della Memoria
di Patrizia Tocci, un’antologia di storie di
vita vera tra le difficoltà e le sofferenze del
post-sisma. Durante la premiazione, che
avverrà nell’ultimo giorno, consegneremo
dei riconoscimenti non solo ai nostri ospiti,
ma anche alle testate giornalistiche che si
sono distinte per un sostegno alla promozione
culturale.
Il festival muove dal tuo amore per la
letteratura e soprattutto per la scrittura.
Il successo de “La neve in tasca”,
edito nel 2011, ti ha permesso di farti
conoscere ancora di più dal pubblico.
a cura di
Maria Gabriella
Di Flaviano dimmitutto@teramani.info
• Limitarsi solo all’essenziale, alle linee di fondo del discorso,
oltre a ciò che interessa o incuriosisce maggiormente.
• Evitare di scrivere le parti strettamente informative di una
lezione, quando si è sicuri di poterle ritrovare sui libri di testo,
ma cercare di cogliere le osservazioni e il pensiero originale
dell’insegnante.
• Stabilire un proprio codice di abbreviazioni, sottolineature,
frecce di collegamento degli argomenti.
• Usare “parole chiave”, utili a richiamare alla memoria una questione,
un problema, un’interpretazione.
• Prendere nota di ciò che merita approfondimento o chiarificazione.
• Rielaborare gli appunti, il più presto possibile, procedendo ad
una trascrizione integrale e per esteso, verificando su libri,
enciclopedie e manuali quelle notizie che sembrano incerte o
addirittura errate. n
Da cosa nasce questa tua passione per
la narrazione?
Dall’invidia del segno. Ebbene sì, quando
ero piccina invidiavo moltissimo mia
sorella maggiore per la sua capacità di
tracciare quei segni, le lettere, sui fogli
bianchi e perciò la costrinsi ad insegnarmi
a leggere e scrivere ancor prima di entrare
a scuola. A dieci anni ho cominciato a
comporre brevi poesie, ma, crescendo, pur
continuando a scrivere, vivevo nel comune
sentire che la donna deve essere prima
una brava moglie e madre, e poi, solo poi,
può dedicarsi agli altri interessi e ai piaceri.
Ma ad un certo punto della mia vita, sono
uscita allo scoperto con il racconto Che
bel dono, vincitore del Premio Teramo nel
2005, e ho compreso come, parafrasando
Simon de Beauvoir, “donne non si nasce, lo
si diventa”. n
7 n.87
8
n.87
Speciale · Il Teatro Romano
Il Teatro
Romano
Un po’ di storia recente
Gli ultimi lavori per il recupero del Teatro Romano iniziano con
l’Amministrazione Chiodi nel maggio 2007 ma non portano
al risultato auspicato dall’associazione Teramo Nostra e dalla
città, cioè alla scoperta degli antichi resti, ma al restauro di casa
Adamoli, dopo il parziale abbattimento dei piani superiori dell’edificio.
Secondo Chiarini e soci prevale dunque, all’interno della Soprintendenza,
del Comune di Teramo e anche della Regione Abruzzo l’idea non del
recupero della cavea, ma della conservazione degli edifici soprastanti.
Successivamente, la nuova Amministrazione Brucchi, in possesso di un
finanziamento già stanziato di un milione e seicentomila euro, decide di
continuare i lavori sulla scia del suo predecessore (iniziano il 22 novembre
2010) che prevedono un progetto di “pulizia con allontanamento dei
reperti dal sito, copertura dei resti con tettoie di plastica, passerella per
disabili e illuminazione”. Il progetto trova la forte avversione di Teramo
Nostra che da sempre auspica il recupero della cavea e la ricostruzione
dei fornici abbattuti nel 1960. Il 25 novembre 2010 l’associazione protesta
chiedendo di impiegare il finanziamento per l’acquisto dei caseggiati
da abbattere. “La richiesta rimane inascoltata” dicono gli aderenti di
Teramo Nostra. Durante il Consiglio Comunale del 17 dicembre 2010
viene presentato lo studio di fattibilità per il recupero del teatro: l’associazione
pretende però un concorso internazionale. “Anche tale richiesta
resta inascoltata”.
di
Maurizio
Di Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
Sempre nel dicembre 2010 la Soprintendenza, che assieme al Comune
decide di andare avanti con l’allontanamento dei reperti che vengono caricati
su un camion con destinazione Cona: il prof. Melarangelo si sdraia
davanti al camion impedendogli l’uscita dal cantiere. I reperti vengono
sistemati intorno all’area.
Nel gennaio 2012 però, il sindaco decide nuovamente di allontanarli
dall’area, Teramo Nostra si oppone nuovamente portando la protesta a
Roma. Il 23 febbraio 2012 infatti una delegazione di associati e cittadini si
reca davanti al Ministero dei Beni Culturali per manifestare con cartelloni
esplicativi.
Nei giorni immediatamente successivi Teramo Nostra invia una lettera al
Ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi chiedendo di essere ricevuta
e fa appello al Presidente della Repubblica che risponde incaricando
il professor Roberto Cecchi, Sottosegretario di Stato del Ministero dei
Beni Culturali del Governo Monti, che convoca l’associazione insieme al
sindaco e ai rappresentanti della Soprintendenza. All’incontro (il 17 aprile
2012) partecipa anche l’onorevole Radicale Elisabetta Zamparutti, la
quale aveva già presentato due interrogazioni parlamentari sul recupero.
Intanto, il 21 aprile 2012, viene aperto il sito archeologico per una visita
guidata e, in questa occasione, i funzionari locali della Soprintendenza
danno informazioni
che contraddicono
quelle del sindaco:
“No all’abbattimento
dei palazzi sulla
cavea, come invece
sempre dichiarato
dal sindaco”.
Il 18 maggio 2012
Cecchi riconvoca
Teramo Nostra
in una riunione
senza il sindaco,
e dichiara che “in
base alla gestione
del recupero del
teatro fatto negli
ultimi anni risulterebbe
pericoloso
allontanare i reperti
dall’area” e chiede
al soprintendente regionale Fabrizio Magani di lasciarli in loco.
Il 28 giugno 2012 il sottosegretario riconvoca una riunione nei suoi uffici
per sottoporre ai presenti un cronoprogramma sul recupero dopo aver
rimandato indietro quello del sindaco ed è firmato dal prof. Cecchi, dal
soprintendente Magani, dal sindaco, dall’assessore Agostinelli, dall’on.
Pannella, dall’on. Zamparutti da Piero Chiarini e da Cosima Pagano.
Nel mese di agosto 2012 terminano i lavori di pulizia e illuminazione e
nel mese di ottobre il teatro viene inaugurato con una imponente cartellonistica
che non depone a favore di un cantiere.
Il 22 novembre 2012, il sindaco si reca a Roma insieme al presidente
della Regione Chiodi e all’assessore Di Dalmazio (i quali non hanno mai
partecipato agli incontri a Roma) e tutti firmano un accordo generico che
supera il cronoprogramma del 28 giugno (dall’incontro viene estromesso
e neanche informato il sottosegretario Cecchi).
Cecchi, dopo aver chiarito la questione con
il ministro Ornaghi riconvoca i firmatari il 18
gennaio 2013 invitando il sindaco a portare
avanti quel progetto che Brucchi sembra
avere abbandonato.
L’appuntamento successivo a Roma è per il
18 febbraio 2013, poi spostato al 28 causa
elezioni, e in questo incontro il sindaco deve
portare gli atti che dimostrano quanto meno
il passaggio di casa Adamoli dalla Regione al
Comune e il bando di gara. In realtà il sindaco
non porterà nessuno dei due, con grande delusione
dell’associazione che sa essere quello
l’ultimo incontro con Cecchi, il cui mandato è
terminato e che va anche in pensione.
Da questo momento inizia il silenzio del sindaco
, che non fa sapere nulla né dell’acquisto
delle proprietà né del bando, fino al 5 aprile
2013 quando viene pubblicato un bando di
gara. “Che sa di beffa” per Chiarini e soci.
Teramo Nostra
contro il resto del mondo
Palazzo Adamoli
fa gola a molti
se resta in piedi
Dopo gli Spennati e i Mazzaclocchi, i
regnicoli e i papalini, i zetatiellani rigidi
e i sostenitori del traffico in centro
senza limiti, ecco a Teramo profilarsi un’altra
contrapposizione questa volta tra coloro che
sostengono l’abbattimento delle twin towers
(Palazzo Adamoli e Casa Salvoni) insistenti
sulla cavea del Teatro romano e coloro invece
che vogliono mantenere lo status quo,
come lo stesso onorevole Paolo Tancredi,
che in un convegno dichiarò che là sott nn
ci sta nind. Perché abbattere? “Ma scusi
lei è un archeologo?” gli risposero di tutto
punto quegli spiritacci della terribile “setta”
degli adepti di Teramo Nostra. “Lei c’è stato,
ha verificato?” proseguirono gli scalmanati.
La guerra è tra quei pochi che vogliono
fare spazio alla cavea, restaurando anche i
quattro fornici maldestramente abbattuti nel
1960, e “coloro – come recita il presidente
Piero Chiarini - che hanno mire speculative
sui due palazzi, una cordata di affaristi che
hanno bloccato il progetto d’abbattimento,
altrimenti che motivo c’era di ristrutturare
Palazzo Adamoli con contrafforti, nuovi solai
e finestre e tanto altro ancora”.
Lo stesso sottosegretario di Stato del Ministero
dei Beni Culturali del Governo Monti,
Roberto Cecchi, interessato dalla presidenza
della Repubblica cui s’era rivolta la terribile
Teramo Nostra, ormai senza più numi tutelari,
riconosce che un caseggiato sopra il
Teatro romano fa gola a tutti: immaginate
che sciccheria, si sarà detto, quanti professionisti
vorrebbero uno studio sopra quelle
antiche ruine, o quante mogli ambissero ad
una finestra con vista. Tanto che qui, quelli di
Teramo Nostra raccontano di una persona,
socia dell’associazione, che acquistò sulla
carta un appartamento di palazzo Adamoli
ristrutturato: cedette nei suoi propositi una
volta verificata la genuina passione degli
adepti. Per la verità, Teramo Nostra da 16
anni combatte la battaglia in solitaria, da
piccoli eroi quotidiani, con veemenza come
quando Melarangelo si stese sul selciato
dinanzi ai grossi pneumatici di un camion
che intendeva portar fuori alcuni reperti:
come Ian Palach davanti ai cingolati russi, il
direttore artistico dell’associazione sfidò il
potere costituito. Ma la guerra imposta tra
coloro che vogliono abitare palazzo Adamoli
è di posizione, quindi di sfinimento. Anche
sull’ultimo ostacolo, il tenace e pugnace
Cecchi, si punta alla sua pensione che sarà
a breve.
La storia del Teatro è fatta di una miriade di
appuntamenti non rispettati, di cronoprogrammi
buoni per tutte le stagioni, recentemente
di bandi anche “poco cristallini” come
vengono definiti da Teramo Nostra. “Dal
34 ad oggi – riprende fiato Chiarini- non si
riesce, dopo il lavoro di Franceso Savini, nel
recupero della cavea perché ne usufruisse
la città e, per la verità, tutto il Centro Italia,
un sito archeologico importante con duomo
e anfiteatro a due passi, immaginate che
scenario”. Il presidente insiste: “Del resto
che futuro ha una città come la nostra se
non archeologico? Sono 15 anni che stiamo
lottando, dal 1998 quando furono stanziati
quasi 900 milioni di lire per l’abbattimento
dei due palazzi”.
E per di più, è stato sventato nel corso
di questi anni “il tentativo ennesimo di
copertura”, perché “l’ingegnere Castellucci
aveva già realizzato delle strutture in
cemento armato propedeutiche allo scopo”.
Oltre alla presidenza della Repubblica,
anche i radicali si sono interessati alla storia
teramana, e non sono bastati i sit-in “perché
alla fine dopo tutta questa battaglia siamo
arrivati a questo bando che ci pare altresì
incongruente, come d’altronde tutte le altre
proposte, quello che ci fa venire i dubbi è
la mancata pubblicità dell’argomento, io al
posto del sindaco – prosegue Chiarini - avrei
fatto una conferenza di servizi, perché la
riconsegna del teatro romano alla collettività
è un’iniziativa che risale sin dai tempi
di Bottai nel ‘35, come minimo in tutto ciò
vediamo poca trasparenza e questo non ci
fa stare tranquilli, ma ci pone altri dubbi”.
“Ma la priorità al teatro romano la vogliamo
porre sì o no!?” si chiedono quelli di Teramo
Nostra. “È dal 1902 che si parla di questo,
c’è stata la famosa pubblicazione fatta per
l’Accademia dei Lincei da parte di Francesco
Savini per parlare nel 1926 dell’importanza
del monumento. Ma possibile che da allora
ad oggi non si è spostato nulla e nessuno
per portare avanti questa battaglia: soltanto
noi! l’interresse al mantenimento dello
status quo sembrerebbe appartenere non
solo ad una parte politica ma è allegramente
bipartisan. Sì, interessa tutti i partiti”.
Tra le tante manifestazioni di protesta figura
anche quella ai tempi dell’assessore regionale
alla cultura Betty Mura, in Viale Bovio a
Pescara: i bad boys fecero un sit-in davanti ai
suoi uffici, presente un alto funzionario della
Regione che sosteneva la ristrutturazione del
Palazzo Adamoli. Dichiarò che nell’eventualità
si potesse fornire una nuova funzionalità
al Teatro romano, si sarebbe potuta utilizzare
quella parte dell’immobile per farci dei
camerini e degli spogliatoi. “Pensate che si è
arrivato anche a questo!”.
Speciale · Il Teatro Romano · segue a pag. 10
9 n.87
10
n.87
Il Sindaco Brucchi
“Io faccio i fatti,
non chiacchiere”
Tra un anno le ruspe
per abbattere i due palazzi
Sindaco Brucchi, alcuni esponenti
teramani ipotizzano una condotta
speculativa nella gestione del mancato
abbattimento di Palazzo Adamoli
e casa Salvoni. Lei che ne pensa?
“Ci sono persone che fanno polemica
gratuitamente: nemmeno di fronte ad
un’evidenza si vuole capire quello che si ha
intenzione di fare; un’amministrazione parla
per atti e questi affermano che oggi esistono
sul Teatro romano tre protocolli d’intesa
sottoscritti da enti e istituzioni importanti
tra cui il governo col ministro dei beni
culturali. C’è un finanziamento per circa 3,5
mln di euro per il recupero funzionale del
teatro che passa attraverso l’abbattimento
di Casa Salvoni e Palazzo Adamoli: questi
sono gli atti e il cittadino che vuole vedere
con occhi sereni, senza retropensieri e
strumentalizzazioni, lo può fare, poi uno se
vuole vedere altre cose è padrone di farlo.
Inoltre, io che faccio il medico, cerco di fare
il mio lavoro e non entro nei tecnicismi burocratici
come quelli di un bando: inviterei
gli altri a fare la stessa cosa, il bando per
una gara europea ha un oggetto preciso ed
è l’abbattimento dei due palazzi, credo che
non ci sia nient’altro da eccepire”.
Però la magistratura si sta interessando
ai contrafforti e all’inusuale consolidamento
di Palazzo Adamoli.
“Aspetto serenamente il risultato dell’indagine:
sono stato sentito per tre ore dagli
inquirenti, ho riferito quello che sapevo, non
so proprio che dire su chi persevera in atteggiamenti
polemici. Attorno a questo progetto
ci sono enti pubblici, non privati: c’è
il Comune di Teramo, la Regione Abruzzo, la
Provincia, la Fondazione; sono la massima
garanzia che i palazzi saranno abbattuti e
si farà seguito alla valorizzazione del teatro.
Abbiamo lavorato perché fosse fruibile,
difatti la struttura è aperta alle scuole e si
cominciano a vedere i turisti, credo che
l’amministrazione stia ben lavorando”.
Sindaco, azzardi una tempistica.
“Penso che il prossimo anno, quando si
tornerà al voto, saranno arrivate sul sito le
ruspe per abbattere i palazzi: c’è un cronoprogramma
sottoscritto con il Ministero,
lo cerchiamo di rispettare, certo qualche
piccolo ritardo ci potrà essere, ma non
inficia la volontà dell’ente che è quella di
abbattere, battaglie di retroguardia a me
non interessano”.
L’onorevole Paolo Tancredi fece
sapere che il Teatro romano può stare
benissimo così com’è.
“Uno può dire ciò che pensa, ma ripeto
quello che conta non sono le parole perché
attorno al Teatro romano ne sono state
fatte troppe, tante: ora contano gli atti, il
sindaco parla con atti amministrativi, io non
faccio chiacchiere”.
Nessun pentimento per la vicenda
reperti?
“I reperti pertinenti sono nella cavea, gli
altri sono nell’area archeologica della Cona:
nel rispetto dell’arte abbiamo fatto la cosa
migliore che si poteva fare”.
Ora che futuro ha il Teatro?
“Sarà fruibile; sarà uno spazio aperto da
consegnare alla cittadinanza per fare quelle
cose individuate nel progetto per il quale
ho speso il mio impegno e la mia faccia. Il
futuro avrà un Teatro romano funzionale
con le gradinate e con la cavea adibita a
palcoscenico”.
I Teramani quando potranno assistere
ad un’opera nella cavea?
“Questo non lo so dire; ci sono tempi
dell’archeologia, però posso dire che entro
il 2014 porteremo a termine l’abbattimento:
credo che nell’arco del 2014 vedremo il
progetto finito. Presto avremo il progettista,
presto avremo il progetto”.
Sindaco, mi sa dire il motivo di questo
iter burrascoso e frastagliato?
“Per appaltare un’opera pubblica occorrono
19 mesi; l’iter è complesso perché ci sono
tanti enti da mettere d’accordo , anche nel
passato si sono avuti problemi procedurali,
ciò che va letto però è la volontà di fare i
fatti e non le chiacchiere. Mi sembra che
oggi quello che si voglia fare è evidente, è
sotto gli occhi di tutti, poi gli scettici ci sono
sempre stati e sempre ci saranno. Il ministro
ha detto che questo è uno dei progetti
più interessanti in Italia in questo momento.
Ora stiamo attendendo il milione e mezzo
di euro di finanziamento del Ministero che
manca e non sono stati nemmeno deliberati,
perché finora all’appello ci sono quelli
della Fondazione e della Regione”.
Intanto Teramo Nostra battaglia da
sola.
“Non c’è stata la necessità di fare nessuna
battaglia, Teramo Nostra ha affiancato
questa attività, c’è stato un intero consiglio
comunale che, assieme a Siriano Cordoni,
si è espresso favorevolmente su questo
progetto”.
Come giudica l’attività di Teramo
Nostra?
“La giudico positivamente quando agisce
sul territorio ma sul teatro romano qualche
volta ha combattuto battaglie di retroguardia,
non c’è bisogno del loro scetticismo, la
situazione è cosi chiara e lampante. Capisco
la storia travagliata del teatro romano,
ma ora si deve vincere lo scetticismo con
l’evidenza dei fatti”.
Il bassorilievo
impudico
So bene di espormi alle ilarità di chiunque
leggerà queste righe ma nel Teatro
Romano di Teramo c’è un’opera d’arte
diciamo “singolare” di cui molto si è già parlato
ma della quale magari qualche teramano
ignora l’esistenza.
Tra i tanti importanti reperti archeologici
custoditi all’interno della cavea, può essere
sfuggito un bassorilievo plastico rappresentante
un fallo alato di ampie proporzioni
finemente scolpito.
Si, avete letto bene.
Si tratta di un grande pene già scoperto
molti anni fa, intorno al 1963, dal caro amico
Giammario Sgattoni, dopo l’abbattimento di
palazzo Ciotti, edificio del ‘700 che insisteva
pochi metri più avanti, dove oggi c’è un
supermercato.
Il reperto sparì misteriosamente e per molti
anni non se ne seppe più nulla.
Adesso è magicamente ricomparso grazie
all’associazione Teramo Nostra.
Secondo il professor Melarangelo, studioso di
storia antica, la pietra col bassorilievo del fallo
è un omaggio al tempio dedicato al dio Priapo
della mitologia greca e romana, noto a tutti
soprattutto per la spropositata lunghezza del
suo organo genitale.
Qualcuno nel vederlo ha commentato si trattasse
della statuetta di Priapo che, secondo
la testimonianza di facili donnine, girava ad
Arcore tra le ragazze alle “cene eleganti” di
Silvio Berlusconi.
Lasciando da parte facili battute e goliardie,
tornando seri, si può ben dire che siamo
davanti ad un reperto importante. Certo non
nuovo come stile se teniamo conto che,
nell’arte romana, il fallo veniva spesso raffigurato
in affreschi e mosaici, generalmente
posti anche all’ingresso di ville ed abitazioni
patrizie.
L’enorme membro di Priapo era infatti considerato
un amuleto contro invidia e malocchio
e molte donne patrizie indossavano al collo
dei gioielli con piccoli cilindri raffiguranti
l’organo.
Inoltre è noto che nelle campagne gli agricoltori
solevano utilizzare cippi di forma fallica
di Sergio Scacchia 11
per delimitare le proprietà degli agri.
Priapo era figlio di Afrodite e Dionisio.
Il suo glande fuori misura, lo aveva trasformato
in un essere grottesco dalla pancia enorme
e la lingua lunga.
Per l’insieme di queste deformità, Afrodite lo
rinnegò e lo abbandonò.
I pastori che lo allevarono, considerarono la
sua mostruosità fallica portatrice di buoni
auspici per la fertilità dei campi e delle greggi.
Così Priapo, che rappresentava l’istinto e la
forza sessuale maschile, divenne il dio dell’atto
d’amore e della fertilità rurale.
A Teramo quindi esisteva il culto di questa
divinità così particolare con un tempietto che
insisteva vicino al grande teatro.
Ci si è chiesti il perché delle ali e del fatto che
un pene più piccolo si insinua sotto a quello
grande, visibile solo guardando la pietra da
vicino. Qualche esperto ha ricordato l’animale
associato a Priapo che è l’asino per una sorta
di analogia fra il membro del dio e quello del
ciuco. Un giorno, secondo la mitologia greca,
il satiro era intento a insidiare una Ninfa
dormiente, ma il ragliare di un asino svegliò la
creatura, impedendo al dio di farla sua. Priapo
odiò così tanto l’animale da pretendere sacrifici
costanti con l’uccisione di poveri ciuchini.
Nell’antichità si credeva che chiunque riuscisse
a vedere “l’asino che vola” poteva avere
attenzioni degli dei. Questo forse spiegherebbe,
in maniera un po’ fantasiosa, la strana
presenza delle ali.
Motivo in più per chiedere a gran voce di valorizzare
ulteriormente tutta l’area archeologica
con le vicine pietre dell’anfiteatro. n
n.87
12
n.87
Satira
Se due
più due fa tre
di
Mimmo
Attanasii dimmitutto@teramani.info
ma manca
sempre qualcosa
battere chiodo, a fare reclame e promozioni con le solite e inutili tavole
rotonde per gli addetti ai lavori, probabilmente si è precipitati tutti nelle
tortuosità del politicamente insondabile. Di certo, alle lobby di potere non
gliene può fregare di meno delle generazioni a venire. Solo un governo
che investe nella cultura e nell’istruzione può difendere il futuro adesso
pignorato da gentaglia priva di scrupoli usurpatrice di titoli istituzionali.
“Le rovine dell’Aquila, una città distrutta e abbandonata, incarnano la
disperazione di una nazione paralizzata dal torpore politico ed economico.
Il simbolo estremo della grande stagnazione di un Paese in crisi di
leadership politica”. (http://www.ft.com/cms/s/0/e7f43eac-a775-11e2bfcd-00144feabdc0.html#axzz2R041vmkK).
Sta affiorando, da uno scetticismo accidentato
dalla riflessione, una generazione spinta da idee
e principi incomprensibili alle cariatidi sopravvissute
in un presente ristretto. La ragione sotto
La soap opera più vista al mondo, “Beautiful”,
con 35 milioni di telespettatori
giornalieri in oltre 100 Paesi, ha scelto
l’Italia per le sue ambientazioni. Nel 1998,
scacco insiste sempre su preoccupazioni più
tristi come il tempo che passa, la giovinezza,
i volti di coloro che non sono più tra noi. Se la
mente si lascia travolgere dalle consuetudini
del passato, si perde il cammino in mezzo ai
vivi. Tutti siamo richiamati ai nostri doveri che a
alcuni episodi furono registrati a Cernobbio, sul
lago di Como; nel 2000 a Venezia, nel 2003 a
Beautiful, il matrimonio di Hope e Liam a... Polignano a Mare,
Alberobello e alla Masseria San Domenico
ragione richiedono il nostro impegno. Nessuno
è in condizioni di calcolare l’emotività, le proble-
Portofino e Camogli. L’anno scorso è toccato al
maticità sociali degli esseri umani. La predizione
Salento di offrire i propri scenari. Dal Gargano al Salento, tre settimane
economica è uno stupido esercizio di stile teso a tranquillizzare i più
con Ronn Moss, Katherine Kelly Lang, Don Diamont, Kim Matula, Jacqueli-
stupidi. Da che mondo è mondo, due più due, in politica, fa sempre tre.
ne Macinnes Wood e Scott Clifton. Gli episodi saranno trasmessi in aprile
e maggio 2013 per raccontare il matrimonio tra Hope e Liam. Un capitolo
della storia della famiglia Forrester trasformato in uno spot cosmopolita,
in una imperdibile occasione da cogliere al volo. Le case di produzione
locali hanno avuto la possibilità di accedere ai fondi europei dell´Asse
IV, linea d’intervento 4.3, Azione 4.3.1 lettera C del PO FESR 2007/2013,
con il conseguente risultato di incrementare il turismo e rafforzare
l´immagine della regione vendoliana, garantendo importanti ricadute di
natura socio-economica e la valorizzazione delle location pugliesi.
Questa la politica vincente per la crescita del turismo e le attrattive
Ecco perché nei conti manca sempre qualcosa. n
peculiari di un territorio bene orientato verso profitti a lungo termine
a vantaggio della popolazione residente e di chi sceglie di visitarla. “Il
libero mercato è l’economia della sorpresa. Il mercato siamo noi: non
pedoni, torri e alfieri, ma esseri umani imprevedibili, impauriti, meschini,
Lo scorso 26 Marzo, i Testimoni di Geova in tutto il mondo si sono
riuniti per celebrare l’evento più importante per tutti i cristiani: la
Commemorazione della morte di Gesù Cristo.
sorprendenti, limitati e geniali, gente per bene e perfetti stronzi, persone
Nelle loro Sale del Regno, è stato pronunciato un discorso biblico nel
innamorate e cinici gretti, filantropi e magliari”. (Alberto Mingardi, L’intel-
quale si è spiegato il motivo per cui Gesù immolò la sua vita in sacrificio
ligenza del denaro).
a favore dell’umanità e i benefici che ne derivano; a seguire, si è ripropo-
Nella vita vera, non quella di chi non ha mai cacato con il proprio culo,
sto ciò che egli fece con gli apostoli in occasione dell’ultima cena, ossia
è tutto più complicato. Un bluff fra tatticismi e astuzie. Non esistono
il passaggio del pane e del vino come emblemi del suo corpo e del suo
meccanismi, prodigiosi algoritmi, in grado di prevedere e calcolare le
sangue perfetti. I presenti presso la Sala del Regno di Teramo, sita in
strutture del mercato. Nell’attesa di risultati che andrebbero al di là
Colleparco, sono stati complessivamente 311.
della capacità dei mortali, vale una massima popolare: “Fattela con chi è
Come accade da ormai molti anni, la celebrazione si è tenuta anche
meglio di te e pagagli le spese”. La Regione Puglia, per quanto riguarda il
presso il carcere teramano di Castrogno, con un numero record di
turismo, è stata bene strutturata dagli amministratori, che hanno dimostrato,
almeno in questo caso, una grande lungimiranza. La divergenza
persone che vi hanno assistito: ben 81!
di intenti all’interno di una classe dirigente assente psicologicamente su
Qualche dato sui Testimoni di Geova nel mondo:
luoghi esposti ai quattro elementi è scoraggiante.
7.782.346 predicatori attivi che proclamano il messaggio biblico in
Se hai il fuoco per gli arrosticini, il vento per gli aquiloni, l’acqua del mare
239 paesi
dei fiumi dei laghi, le cime più alte degli Appennini e continui a non
111.719 congregazioni
268.777 battezzati nel 2012
19.013.343 presenti alla Commemorazione della morte di Gesù nel 2012.
La commemorazione
della morte di Gesù
Teramo
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14
n.87
Confindustria
Il direttore
Di Giovannantonio
vede nero
e lancia l’allarme: tra pochi mesi tante le imprese
che consegneranno i libri in Tribunale
S
critta in cinese la parola crisi è com-
posta di due caratteri: uno rappresenta
il pericolo e l’altro l’opportunità.
Ma in riva al fiume giallo teramano
non si sa ancora qual è la versione che
prevarrà se non per il momento un lancinante
grido d’allarme lanciato addirittura
dalla Confindustria locale che per i prossimi
giorni vede un colore solo: il nero. “Abbiamo
tre o quattro mesi di tempo per evitare la
catastrofe” afferma sconsolato il direttore
generale Nicola di Giovannantonio,
che accasciato sulla sua sedia mormora
orazioni funebri per l’economia locale. “Se
continua così, le aziende riconsegneranno
in massa i libri contabili in tribunale”
aggiunge quasi monocorde, con un filo di
voce. Confindustria non si trincera dietro
il suo laconico e prestigioso conformismo
dei tempi addietro: senza mezzi termini
lancia l’allarme per la provincia di Teramo.
“Le imprese addirittura non riescono più
a pagare i contributi e se lo fanno usano
le rateazioni con il rischio di non poter
ottenere il Durc, una vera iattura per chi ha
commesse pubbliche, perché significa non
poter lavorare più”. ”E nei prossimi mesi
potrebbe restringersi il credito: la mazzata
finale”. Solo qualche giorno fa uno studio di
Confartigianato poneva la nostra Regione al
top di coloro che avevano subito maggiormente
la stretta creditizia e tra le quattro
province era proprio la nostra città a subire
le peggiori conseguenze. Confindustria attacca
con veemenza “un certo modo di fare
politica”: “La gente si è stufata – prosegue
Di Giovannantonio - perché i vecchi partiti
avevano tutto il tempo per rinnovarsi e fare
riforme costituzionali ed economiche ma
per mero calcolo di bottega non l’hanno
fatto”. Lo scoramento è molto diffuso tra
gli imprenditori teramani. “Non si dorme
più la notte; molti eroicamente indebitati
fino al collo fanno in modo di tenere ancora
aperte le loro attività pur di salvare i propri
dipendenti: non so davvero come facciano
ad andare avanti, c’è da rabbrividire”.
Confindustria segnala il caso con orgoglio:
“Non sono egoisti come spesso li si
dipinge” interviene il presidente della locale
Confindustria giovani, Luca Verdecchia.
Purtroppo la stretta creditizia è sempre
di
Maurizio
Di Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
più letale, tanto che Confindustria lamenta
che le banche finanzino solo le aziende
solide “mentre in Europa si finanzia l’idea”
puntualizza amaro Di Giovannantonio. Oltre
alla crisi c’è anche dell’altro: si perdono
appalti per mancanza di tecnologia, lo
stesso Verdecchia ne ha perso uno vincente
di 150 mila euro a causa di un pony express
che ha smarrito la posta; questo in piena
era digitale. Dalla bufera si salvano solo i
settori agro-alimentari e metalmeccanico,
e più segnatamente chi lavora con l’estero.
Il settore edile e dei manufatti in cemento
sono fermi, al palo anche tutte le opere
pubbliche: “Non so come se ne viene fuori”.
Anche tra gli imprenditori teramani si fa
strada il grillismo: “Non ci meravigliamo di
questo fenomeno” afferma il direttore generale
che allineandosi sui temi cari al genovese
consiglia di abolire tutte le province,
accorpare i piccoli comuni, porre un tetto
alle pensioni, tagliare i tanti cda su e giù per
l’Italia, fino a privatizzare molte municipalizzate
“e non seguire l’esempio del Ruzzo che
si era diviso in tre società con altrettanti
cda”. Con l’occasione sono stati divulgati
gli ultimi dati sulle imprese giovanili che
nel 2012 sono state in Abruzzo 17.509, 329
in meno rispetto al 2011 quando si erano
attestate a quota 17.838. La parola d’ordine
che rimbalza negli ambienti dei costruttori è
“allentare i vincoli del Patto di stabilità”. La
crisi dell’edilizia nel teramano è diventata
emergenza. L’Ance ha intonato il de
profundis del settore elencando una serie di
numeri impressionanti: 3 mila sono i posti
di lavoro persi solo in provincia dall’inizio
della crisi (360 mila in Italia); 400 le imprese
scomparse nello stesso periodo, con 25
milioni di euro di crediti che le imprese aderenti
all’Ance Teramo vantano nei confronti
della Pubblica Amministrazione. Per di più
le transazioni immobiliari sono crollate del
13% nel 2011 e in forte discesa anche nel
primo semestre del 2012. Ventidue sono
infine i Comuni medio-piccoli del Teramano
che nel 2013 saranno costretti a ritardare i
pagamenti per rispettare il patto di stabilità
esteso anche agli enti tra i mille e i 5mila
abitanti. “L’emergenza si è fatta drammatica
– ha dichiarato il presidente Ance, Armando
Di Eleuterio - un intero settore sta scomparendo
dal tessuto produttivo con gravi ripercussioni
per l’occupazione e l’economia di
questo territorio”. n
L’oggetto del desiderio
Un serpente
al collo
chiamato
“Dudule”
Èla collana a forma di serpente in
argento,oro,zaffiri,ametiste e diamanti,
creata per Jaqueline Delubac.
Nata a Lione nel 1907, figlia di un uomo
d’affari e di una commerciante di tessuti,
Jaqueline Basset debuttò giovanissima
come attrice teatrale a Parigi con lo
pseudonimo Delubac, che in realtà era il
cognome della madre.
Sposò nel 1931 il regista attore Sacha Guitry,
del quale fu musa ispiratrice e personale
interprete di lavori teatrali sino all’anno
in cui gli chiese il divorzio, nel 1938.
Vera diva dello schermo e del palco scenico,
divenne famosa non solo per la sua
bravura e bellezza, ma anche per la bizzarria
di avere buona parte dell’atelier di un
famoso couturiere dell’epoca a disposizione
per realizzare i suoi costumi di scena e i
suoi abiti da giorno e da sera.
Alla carriera di attrice, la Delubac affiancò
una vera e propria passione per le opere
d’arte, soprattutto dipinti, accumulando
fino al 1970 un numero vastissimo di tele
pregiate, da Picasso a Mirò, che alla sua
morte nel 1997 furono donate al Museo di
belle arti di Lione.
La collezione si era fortemente ampliata
grazie anche agli acquisti importanti del
secondo marito,un gioielliere armeno, che
di
Carmine
Goderecci di Oro e Argento
prediligeva i dipinti degli impressionisti o
quelli di inizio secolo.
Di gusto raffinato, non è difficile immaginare
come Jaqueline Delubac nel corso della
sua vita abbia collezionato anche gioielli,
tra cui molti orecchini e spille dei nomi
più famosi della gioielleria del suo tempo;
spiccano una bellissima collana a forma di
serpente, in diamanti,ametiste e zaffiri cui
Jaqueline aveva dato il simpatico soprannome
di “Dudule”, e una spilla a forma di
lucertola indossata nel 1972 a casa del
Barone di Rothschild, in occasione del ballo
surrealista dove l’attrice indossava un
abito e acconciatura ispirati ad un quadro
di Magritte.
Molti dei gioielli più importanti dell’attrice,
furono messi all’asta a Ginevra nel 1998. n
15
n.87
16
n.87
Istruzione
Università
Regna ancora la riforma Berlinguer
Eccoci ormai ad aprile, con l’ultima corsa alle interrogazioni, ai
compiti in classe, ai recuperi, allo studio “matto e disperatissimo”
come diceva Giacomo Leopardi, per ottenere un voto maggiore o,
perlomeno, rispondente allo studio effettuato in questo quinquennio
della scuola Superiore.
Si è attualmente impegnati a concludere questo iter scolastico che ha
visto giovani impegnati o meno verso il traguardo finale, pronti a lanciarsi
dal trampolino della Scuola Superiore, verso la formazione universitaria.
In effetti, dopo l’esame di maturità, la scelta della facoltà universitaria si
fa alquanto ardua, molti giovani non hanno le idee chiare su ciò che vorrebbero
fare, c’è tra l’altro una varietà di offerte proposte dagli atenei che
crea non poca incertezza e il mondo del lavoro offre, dopo anni di studio,
ben poche prospettive allettanti. Bisogna tener presente che il mondo
accademico, in questi ultimi dieci anni, è cambiato notevolmente.
Ripercorrere, a questo punto, un po’ di storia dell’iter universitario sembra
proprio importante.
La riforma universitaria è regolata dal Decreto Ministeriale 509 del 3
novembre 1999 (Berlinguer/Zecchino). Dalla sua applicazione sono nati
diversi livelli di formazione universitaria, oltre alla classica laurea a ciclo
unico (quadriennale o quinquennale): la laurea triennale, detta Laurea (L)
e la Laurea Specialistica o Magistrale, che prevede altri due anni di specializzazione
(LS). È stato inoltre introdotto il sistema dei Crediti Formativi
Universitari (CFU).
Ad ogni credito corrispondono 25 ore di lavoro: l’impegno profuso in un
anno accademico dovrebbe garantire allo studente circa 60 crediti.
A questa riforma sono seguiti altri provvedimenti legislativi che, tra il 2004
e il 2008, hanno ridisegnato la fisionomia degli atenei: una riorganizzazione
accademica che ha riformato le classi di laurea, avendo però l’effetto
di
Maria Gabriella
Del Papa dimmitutto@teramani.info
collaterale di moltiplicare i corsi facendo lievitare le spese in un sistema
già affetto da sottofinanziamento cronico.
Nel 2010 ci si rende conto che i conti non tornano, si riscontra una vera e
solenne bocciatura del “3+2” firmata proprio dalla Corte dei conti e reca
la data del “14 aprile 2010”.
Il “Referto sul sistema universitario” dei magistrati contabili non lascia
adito a dubbi: “Il doppio ciclo (laurea triennale e laurea specialistica) non
ha prodotto i risultati attesi né in termini di aumento dei laureati, né in termini
di miglioramento dell’offerta formativa”. Nel documento si segnala
anche l’alta percentuale di abbandoni al primo anno, l’aumento sproporzionato
delle sedi decentrate e il consistente incremento dei professori a
contratto. Ma il principale obiettivo mancato del “3+2” riguarda - sempre
secondo la Corte - proprio l’aspetto che doveva rappresentare il suo punto
di forza: “Il sistema non ha migliorato la qualità dell’offerta formativa
nemmeno in termini di più efficace spendibilità del titolo nell’ambito dello
spazio comune europeo”.
Non ci sono ad oggi, aprile 2013, bilanci ottimistici, il numero degli studenti
universitari è crollato, accanto ad una pesante diminuzione del numero
dei docenti.
Purtroppo al grido “ l’Europa ce lo chiede”, tra l’altro anche poco rispondente
al vero, le Università sono state costrette a mettere in piedi questo
sistema baroccheggiante, il “ tre più due”.
La laurea triennale è stata spezzettata in tanti micro insegnamenti che
hanno comunque dalla loro parte una mole di libri e di informazioni da
studiare di non poco conto, e che non dà accesso a quasi nessuna professione,
occorre concludere il ciclo di studi con il più due. Sono a questo
punto essenziali altri due anni che bisogna impegnare nella facoltà scelta
per conseguire una specialistica che concluda il percorso di laurea e che
costringe ad ulteriori esami.
In conclusione possiamo affermare che la laurea triennale rimane il primo
traguardo cui i giovani devono approdare e con non poco impegno; ma
per entrare nel
mondo del lavoro
occorre la specialistica.
Appare sin
troppo chiaro che
anziché accorciare
l’iter universitario,
come si pensava
inizialmente, questo
sia stato allungato,
creando maggiori
fuori corso rispetto
a quelli che c’erano in precedenza, tenendo in giacenza nelle università
ragazzi che approderanno nel mondo del lavoro più tardi del dovuto e con
minori possibilità di inserimento.
Purtroppo sostituire la vecchia università dei quattro, sei o cinque anni
di una volta, non è stato un eccellente passo in avanti. Ci siamo ritrovati
con tanti esami, svolti ad una velocità impressionante e con un carico di
materiale da studiare di non poca cosa. È importante sottolineare che
lo studio veloce e una mole rilevante di libri non sia certo cosa proficua
dal punto di vista dell’apprendimento. L’approccio metodico, organico, in
grado di far assimilare al discente un maggior numero di notizie, senza
correre il rischio di dimenticarle in breve tempo, resta sicuramente da
prediligere e da incoraggiare. n
18
n.87
Satira
Oddio
l’agnello di Dio
La Mountainwilderness Abruzzo, in un amareggiato comunicato
stampa pasquale, esprime la propria solidarietà ai pastori abruzzesi
indicati dalla Brambilla e Beppe Grillo come responsabili di
crimini contro gli ovini e di strage degli agnelli. L’associazione
ecologista impegnata nella tutela delle montagne e dei suoi abitanti,
si schiera dalla parte delle pastore e dei pastori, che per millenni
hanno consolidato la cultura dell’economia montana.
Dalla pastorizia stanziale e transumante fino alla seconda metà del
XX secolo, in cui hanno posto un argine alla politica della speculazione
turistica e tracciato nel
tempo la linea della nostra
discendenza dalla cultura
neolitica. Con un pizzico di
patriottismo che non guasta
mai, nel comunicato si ricorda
la storia nobile sempre delle
pastore e dei pastori, che in
tempi antichi, hanno offerto
ospitalità a viandanti e pellegrini.
Sostenuto e protetto i
carbonari del Risorgimento, i
partigiani della Resistenza e
gli sfollati delle città durante
la Seconda Guerra mondiale.
Visti i puntuali rimandi storico
sociali, la dimenticanza della
Mountainwilderness Abruzzo
sullo stato di fatto dell’importazione della carne ovina induce a
legittime riflessioni. I fornitori abituali del mercato italiano giungono
principalmente dall’Ungheria, dalla Romania, Bulgaria e Polonia.
Di recente, si sono intensificate le importazioni dalla Francia e dal
Regno Unito.
L’Italia occupa un posto molto arretrato nella classifica della produzione
di carne ovina. Il prodotto nazionale copre appena il 50% della
disponibilità.
L’allevamento predominante è quello di razze da latte ed è concentrato
in sole cinque regioni: Lazio, Sicilia, Toscana, Umbria e
Sardegna. Per la produzione di carne di origine merinos e Ile de
France, pari appena al 15 % del prodotto nazionale con tendenza
alla flessione, bisogna spostarsi in Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria
e Campania. Le carni sono di qualità, ma il grasso è in eccesso.
di
Mimmo
Attanasii dimmitutto@teramani.info
Qualche anno fa, la UE ha imposto il Traces, nato a Dublino nei primi
anni 90. Un sistema informatizzato che collega in tempo reale tutti i
servizi veterinari. Con l’aiuto delle tecnologie più avanzate messe a
disposizione dalla Asl è oggi possibile tracciare in tempo reale tutta
la filiera degli alimenti di origine animale. (http://www.primadanoi.it/
news/cronaca/514439/La-carne-irlandese-e-arrivata-anche-in-Abruzzo-ed-e-super-controllata.html)
La condizione italiana deriva dal sistema commerciale che privilegia
l’allevamento ovino rivolto verso la produzione del latte e induce
l’allevatore a disfarsi presto dell’agnello per ottenere la massima
produzione di latte vendibile. (http://www.scianet.it/avetrana/AGNEL-
LO/Agnello.html).
Nel comunicato della MW Abruzzo si esprime preoccupazione per
un settore delicato messo in crisi da una politica miope, che anziché
sostenerlo appieno lo ha abbandonato alla deriva, in balia di una
grande distribuzione raramente affascinata dalle derrate di nobili
origini. Potere delle tradizioni e dei pregiudizi. Il Signore disse a Mosè
e ad Aronne nel paese d’Egitto: “Il dieci di questo mese ciascuno si
procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Il vostro agnello
sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; allora tutta l’assemblea
della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Questo giorno lo
celebrerete come festa del Signore. Di generazione in generazione,
lo celebrerete come un rito
perenne”. (Esodo 12,1-14).
Il progresso toglie posti di
lavoro offrendone di nuovi.
Questa dovrebbe essere
percepita come una battaglia
di civiltà. Un servo costava
meno di una persona libera,
ma dopo l’abolizione della
schiavitù in pochi piansero
per chi rimase disoccupato. Il
professor Umberto Veronesi
ha esortato tutti a non mangiare
più carne. Una implorazione
per fermare la strage
di agnelli e capretti. “Se non
è in alcun modo accettabile
la strage di creature viventi
che alimenta ogni giorno
l’industria della carne riesce a essere ancora più esecrabile quella di
agnelli e capretti, che trova il suo massimo orrore in occasione della
Pasqua. E tutto questo in nome di un consumismo che si alimenta
di una tradizione insensata. Un cocktail di crudeltà, business, e
ignoranza”.
Ogni anno finiscono sulle tavole degli italiani circa 7 milioni di agnelli
e capretti, con punte elevatissime di consumo durante le festività.
Convinto sostenitore della dieta vegetariana, il professor Veronesi
conclude: “Conosciamo la tragedia civile di questi poveri animali da
allevamento e sappiamo bene come queste creature vengano allevate,
come vengano sgozzate, maltrattate. E quindi dobbiamo uscirne,
dobbiamo diventare tutti vegetariani e lo diventeremo” (http://archiviostorico.corriere.it/2011/aprile/23/teologo_che_chiede_non_uccidere_co_8_110423031.shtml).
n
Mimmo Attanasii
La Città
I misteri di
Piazza Dante
La paura di un contenzioso
impensierisce Brucchi
Era un uomo sulla bici che sbuffava e schiumava perplessità.
“Non c’è più nulla da protestare” gli esce di bocca, tempestivo,
con le labbra serrate ed il volto affilato. “Potete andare via”
si rivolge ad un gruppo sparuto di commercianti teramani che
agghindati di striscioni e incatenati ad un brullo segnale di divieto di
sosta paiono tanti piccoli pedoni color seppia in attesa di una mossa
sullo scacchiere, che ne so, di un’apertura indiana che complica
sempre la vita. “Siamo esasperati” sbraitano i commercianti di Via
Carducci che temono la chiusura e la conseguente pedonalizzazione
di Piazza Dante con
il mancato apporto
di linfa vitale lungo
la via del commercio
che negli anni
’80 rifioriva come a
Carnaby Street dei
tempi d’oro. “Non
vi preoccupate –
tranquillizza l’uomo
in bici, il sindaco di
Teramo Maurizio
Brucchi – non vi
sto a spiegare tutte le cose, perché sono tecnicismi che certo non
capirete, ma qui non si chiude” promette. Ma sono proprio quei
tecnicismi che interessano il project manager Maurizio Piergallini
della Sopark. Certo li spiega a suo modo. Diciamo subito che la ditta
che gestisce l’opera, la Società Parcheggio Piazza Dante Srl, ha
presentato a Dicembre scorso il ricorso per ottenere un risarcimento
di 6,6 milioni di euro. In base all’articolo 158 del Codice degli Appalti
è previsto infatti che “qualora il rapporto di concessione sia risolto
per inadempimento del soggetto concedente, ovvero quest’ultimo
revochi la concessione per motivi di pubblico interesse”, siano
previsti i rimborsi: un diritto di recesso insomma. Maurizio Piergallini
della Sopark torna indietro nel tempo e fa capire “come l’opera
sia squilibrata dal punto di vista del piano economico-finanziario a
partire dalla procedura che è iniziata nel 1999 ma conclusasi solo
nel 2010, una spesa nel tempo eccessiva per tutti i tipi di attività
di
Maurizio
Di Biagio
www.mauriziodibiagio.blogspot.com
economiche”. Inoltre, la resa dei parcheggi, alla luce anche della crisi,
“è ridotta notevolmente, i mancati introiti sono molto più elevati
di quanto si pensasse: il parcheggio rende mediamente 900 euro al
giorno, 1100 prima che si diffondessero le voci infondate che a Piazza
Dante non si pagasse lo stallo, e che ci ha fatto perdere ulteriori
somme; comunque un introito molto al di sotto delle prospettive”.
E se a ciò si aggiunge il flop delle vendite dei box auto, solo una
sessantina sui 151 realizzati, Piergallini rafforza la sua tesi chiedendo
a Brucchi un riequilibrio finanziario che assuma pure la forma di una
fonte di reddito che l’amministrazione comunale dovrà prevedere a
fornire, la cui forma è ancora da definire, fors’anche una piazza da
gestire. Altrimenti c’è il ricorso che pende su Piazza Orsini, fa capire.
Per il momento si è alla terza proroga di gestione dei parcheggi,
una procedura molto contestata in consiglio comunale soprattutto
da Giovanni Cavallari del Pd. La trattativa tra Piergallini e il sindaco
comunque è tutt’ora aperta.
In origine nelle pieghe della convenzione tra Piazza Orsini e la
società Piazza Dante era previsto che metà slargo fosse interessato
dall’abbellimento urbanistico (piantumazione, marmo, ecc.) mentre
il resto adibito a campi di basket e giochi ludici in genere. L’idea
che invece maturò fu quella, anche ai fini di un riassestamento del
piano economico, dal momento che gli stalli dovevano essere 156 e
non 106 come gli attuali (spazio ridotto a causa del posizionamento
delle grandi grate e degli orridi falansteri di cemento) a parcheggio
a pagamento. La somma di 175 mila euro rientrata nel budget per la
mancata realizzazione della rampa che doveva sorgere a ridosso del
Liceo Classico non era sufficiente a coprire i 4-500 mila euro di costi
per realizzare l’arredo urbano complessivo. Cosicché l’idea degli
stalli a pagamento allora salvò capra e cavoli.
Ora però Piergallini insiste con lo squilibrio finanziario e con la minaccia
del diritto di recesso.
Qualche anno fa, in piena realizzazione intervenne l’ingegnere
Francesco Benedettini dell’allora Comitato “Piazza Dante”: “L’opera
– precisò - si poteva realizzare solo a 50 metri più in là verso i tigli,
con 1000 posti auto in più e un costo dimezzato, senza far migrare
imprenditori e intralciare il traffico”. E, diciamo noi, senza che i commercianti
del posto s’incatenino per paura di perdere i clienti che già
hanno in caso di pedonalizzazione della piazza. n
19
n.86
Maria Cristina
20 Il libro del mese
Marroni
dimmitutto@teramani.info
n.87
L’accidia
ACCIDIA.
La passione dell’indifferenza.
Sergio Benvenuto,
Il Mulino, 2008
È
Tommaso D’Aquino a definire teolo-
gicamente l’accidia: essa rientra tra
i sette peccati capitali e corrisponde
a una certa forma di tristezza che
attarda l’uomo negli esercizi spirituali (“quaedam
tristitia, qua homo redditur tardus ad
spirituales actus” Sum. theol. I 63 2 ad 2).
Nella Divina Commedia gli accidiosi compaiono
nel VII canto dell’Inferno, accostati
nella pena agli iracondi. Questi ultimi sono
immersi nello Stige fangoso, percuotendosi
e addentandosi ferocemente; anche gli
accidiosi si trovano lì e gorgogliano parole e
sospiri, ma restano tuttavia esclusi dalla vista
del poeta, perché interamente ricoperti
dalle acque. Per questo Virgilio invita Dante
a credere comunque alla loro presenza. Il
poeta non dà qui identità alle anime, delle
quali tace persino il timbro vocale. A tal
proposito il Boccaccio: “L’accidia tiene gli
uomini così intenebrati e oscuri, come il
fummo tiene quelle parti alle quali egli si
avvolge”. Nelle Rime invece Dante identifica
l’accidia con la malinconia: “Un dì si venne
a me Malinconia”.
Nel Rinascimento viene recuperata la dottrina
dei quattro umori, pertanto la tematica
religiosa dell’accidia passa in secondo
piano “a vantaggio di una meditazione
dialettica sulla malinconia come temperamento
intemperante”. Nell’ipocondriaco
o malinconico c’è il predominio della bile
nera. Fra Quattrocento e Cinquecento il
temperamento malinconico è esibito come
caratteristico dei grandi artisti. “La mia
allegrez’ è la malinconia e ‘l mio riposo son
questi disagi”, annota Michelangelo.
Il più noto personaggio malinconico di
Shakespeare è senza dubbio Amleto, di
cui l’autore evidenzia gli abiti neri, una
propensione altezzosa per la solitudine, la
preferenza per il buio, anziché la luce. In
questo modo Shakespeare non si ferma alla
mera descrizione di modelli precedenti, ma
introduce una novità: “descrive la sindrome
dell’essere paralizzati dai propri pensieri,
del non poter passare all’atto, come
dimensione essenziale della malinconia.
Con lui inizia la lunga tradizione che riflette
sull’abbandono riflessivo che tarpa l’azione,
sulla coscienza che ci fa tutti vili”.
Il Romanticismo, nel quale si assiste a un
evidente contrasto tra le grandi passioni
di massa (che si esprimono compiutamente
nei moti liberali del 1820-21 e del
1848) e l’esaltazione del singolo, riscopre
il concetto di sublime, distinto dal bello. “A
differenza del bello, il sublime implica una
piega d’angoscia”. L’eroe romantico è alla
continua ricerca del sublime attraverso
un’accidiosa commozione e “il malinconico
ha dominante il sentimento del Sublime”
(Kant). Diventa allora esperienza emblematica
quella del suicidio.
Schopenhauer ha una visione pessimisti-
di
ca della vita, “una strada sbagliata da cui
dobbiamo tornare indietro”, al contrario per
Nietzsche essa è espansione di potenza
e occorre dirle sì, attraverso un approccio
vitalistico e dionisiaco.
Nel dandismo poi c’è una paradossale rivalutazione
dell’acedia, infatti la malinconia
caratterizza l’opera di molti scrittori dell’epoca,
come Nerval, Strindberg, Huysmans,
Baudelaire. “Come l’acedia medievale,
anche lo spleen porta al torpore, ma più
spesso ancora a un’agitazione febbrile,
sterile, vana”.
Con Freud la malinconia “diventa la chiave
per spiegare niente di meno che la nostra
coscienza morale, il fatto cioè che l’Altro in
noi ci giudichi e ci valuti”. Più tardi Sartre
scriverà che “l’inferno sono gli altri”: la mia
esistenza dipende dal riconoscimento e
dalla loro approvazione. E il suo romanzo
La Nausea in origine doveva chiamarsi
Melancholia.
Se Cechov ha ideato molti personaggi
accidiosi, con Samuel Beckett “è la scrittura
stessa a diventare accidiosa”.
A partire dagli anni ’80 del Novecento i
problemi dell’anima si identificano con
deficienze neurologiche, in particolare per
gli stati di malinconia acuta ci si riferisce
alla mancanza di due neurotrasmettitori,
noradrenalina e serotonina. “Lo sconforto
– per secoli tema squisito di riflessione
di malinconici umanisti – è sempre più
oggetto di ricerche svolte con metodologie
scientifiche”. La necessità di psicofarmaci,
così caratteristica dei nostri tempi, esprime
la perdita del senso della realtà e l’incapacità
di trascendere il proprio organismo
psicofisico.
Ma cosa lega tutti gli stati disforici descritti?
C’è un filo sottile tra le diverse declinazioni
dell’accidia nei secoli, ovvero la volontà di
realizzare un Progetto, davanti al quale ci si
ribella. Proprio il superamento di tale ribellione
diventa la condizione per l’affermazione
del Progetto. “Irrequietezza e dolore non
vengono assunti cioè come rivendicazione
di una insradicabile frivolezza, come ottuso
perdurare della vita biologica, ma come il
Male che occorre assorbire e superare perché
il Disegno prosegua e trionfi”. Questo
spiega come mai tanto spesso nella cultura
occidentale sia stata elogiata la malinconia,
come terreno fertile verso la più autentica
realizzazione di sé. n
Inviateci le vostre domande su problematiche condominiali, le vostre
perplessità sul bilancio e dal prossimo numero del giornale, i nostri
esperti pubblicheranno le risposte.
Potete inviare le domande agli indirizzi di seguito riportati o presso la
redazione del giornale
Teramo – Corso Porta Romana n. 115
Info line: 800.134.918 - info@geco.abruzzo.it – www.geco.abruzzo.it
Fabrizio
22 Parliamo di Musica
Medori
dimmitutto@teramani.info
n.87
Teramo
e la
musica
Con grande piacere raccolgo l’invito
dell’editore ad occuparmi di musica
su questa amatissima rivista, e mi
presento con un breve sguardo alla
musica (rock) prodotta nei passati decenni
a Teramo. Negli ultimi anni, come succede
un po’ dappertutto, almeno in Italia, sono
finiti tutti gli aiuti pubblici alla cultura, ed è
normale (per tutti, tranne che per chi lavora
in questo settore), che i primi a
risentire della crisi siano i
settori legati a
bisogni
“non
essenziali”.
Parallelamente,
però, in città ed in
tutta la provincia, c’è un
fiorire di iniziative, spesso
promosse dai coraggiosi gestori di
alcuni locali, che permettono ai musicisti
locali di suonare in situazioni dignitose, e al
pubblico teramano - sempre più numeroso
e curioso - di ascoltare progetti musicali
interessanti e coinvolgenti.
Questo anomalo movimento musicale favorisce
in me una riflessione: ma a Teramo,
il modo di fruire la musica dal vivo, è sempre
stato così? Le esperienze dirette ed i
racconti di musicisti di varie generazioni
mi fanno pensare che, a partire dall’epoca
dei garage e delle cantine, i gloriosi anni
60, e lentamente fino ad oggi, alcune cose
sono rimaste identiche, altre invece sono
cambiate radicalmente. Qualche anno fa
ho avuto la fortunata opportunità di collaborare
alla creazione e alla realizzazione
di due manifestazioni (simili nei contenuti
ma molto differenti nella forma), le quali
riproponevano, dal vivo, i gruppi che negli
anni 60 e 70, hanno imperversato dalle
nostre parti.
L’entusiasmo che ha caratterizzato
entrambe le esperienze mi ha dato la
possibilità di ascoltare moltissimi aneddoti
su come si suonava in un periodo che,
per ragioni anagrafiche, non ho potuto
conoscere.
I racconti dei moltissimi partecipanti alle
serate mi hanno fatto conoscere una realtà
creata intorno alla passione per la musica,
che col tempo si è arricchita di esperienze
artistiche ed umane, e che ha
spesso creato
legami
personali,
oltre che artistici,
che durano
da decenni.
Ho sentito di gruppi che
andavano a suonare a dorso di
mulo, di Maestri di musica costretti
ad armonizzare canzoncine per gruppi
beat, di pomeriggi passati nei garage alla
ricerca degli accordi di una canzone, fino
all’arrivo di un “collega” più esperto che,
attirato dal suono, interveniva per insegnare
un complicato passaggio al complesso
in difficoltà. Ma ci sono anche quelli che
da allora non si parlano più, quelli che accusano
i vincitori di un concorso di avere
in qualche modo corrotto le giurie, quelli
che non hanno mai perdonato ad un amico
dell’epoca lo “scippo” di una fidanzatina o
di un’idea musicale.
Queste esperienze mi hanno fatto riflettere
su cosa è cambiato negli anni seguenti e in
quale misura, sulle collaborazioni e sui “dispetti”
che ho vissuto in prima persona a
partire dagli anni 80, sul nascere e morire
di locali dove era (e qualche volta è ancora)
possibile suonare, sulla cronica carenza
di locali da adibire a sala-prove, sull’evoluzione
tecnologica che ci ha permesso di
di
disporre di strumenti sempre più sofisticati
a prezzi sempre più abbordabili, ed infine
sulla costante crescita delle capacità tecniche
dei musicisti teramani.
Non altrettanto entusiasmante è stata
la rapida decrescita dell’originalità delle
proposte che, come succedeva negli anni
60 ha portato alla diffusione di molte realtà
musicali incentrate sulla riproposizione
– più o meno fedele – di repertori scritti
interamente da altri, se non addirittura di
gruppi-tributo, cioè legati ad un solo artista
o gruppo.
Questa tendenza (che comunque mi
coinvolge personalmente da parecchi anni
e che si esprime quasi sempre a livelli
interpretativi ed esecutivi eccellenti) sta,
ultimamente, penalizzando un po’ la creatività,
e spero che funzioni presto da molla
per far scattare nuove schiere di compositori
teramani.
Concludo, infatti con il pensiero rivolto al
futuro: la provincia di Teramo ha, a mio
modesto parere, una bella storia musicale
ed i musicisti teramani hanno sicuramente
le carte in regola per poter creare un
nuovo “movimento” creativo, attendiamo
segnali significativi. n
Write About The…Records!
Alela Diane
& Wild Divine
2011 - Rough Trade/Self distribuzione
Nell’esordire con questa rubrica, la doverosa citazione riferita
al titolo, parafrasandolo, di una nota song dei R.E.M. di
Michael Stipe contenuta su Murmur (IRS-1986). Il brano si
chiama Talk About The Passion, ed è emblematico con gli
intenti di questi scritti. E di dischi (records, appunto) si parla, o
meglio si disquisisce, senza distinzione di formato (LP-vinile, CD,
K7...) recensioni discografiche riferite a novità, album classici-cult,
rarità, collectors item, ristampe-re.issues, remastered & expanded
editions, deLuxe & legacy version and others.
ROCK quindi, prevalentemente, e non solo, viste le tante sfaccettature
di cui si compone la materia o meglio, il genere: Blues, R’& B’,
Soul, Country, Beat, Psychedelia, Garage, Progressive, New Wave,
Punk, Hard, Alternative, Avantgarde, Indie, Etno, Ambient, Folk, Jazz,
ecc. Potremmo continuare all’infinito, alla luce delle innumerevoli
contaminazioni ed espressioni. Ovviamente non “l’usa e getta” ma,
un qualcosa che vada oltre le riproduzioni con gli ultimi apparati
tecnologici: ipod, iphone, ipad, mp3, downloads, files...
Un ascolto quindi, meno superficiale, più ponderato, realizzato con
lo spirito giusto e la necessaria concentrazione, come davanti ad
di
Maurizio
Carbone dimmitutto@teramani.info
un buon libro, la visione di un bel film, una Mostra d’Arte interessante.
Tutto questo necessita naturalmente di un impianto HiFi,
seppur minimo, una seduta d’ascolto, magari in comoda poltrona,
sfogliando il packaging del long plaiyng (meglio) o del case- CD,
leggere i testi, guardare le foto, seguire tutte le indicazioni come i
processi di registrazione, i nomi dei musicisti e quant’altro. L’oggetto
di questo 1° desiderio è il terzo episodio discografico di Alela
(pron.Aleia) Diane Menig, conosciuta come Alela Diane, Artista
americana con chiare ascendenze pellerossa (Sioux). Questo CD
arriva dopo due precedenti episodi, The Pirate’s Gospel - 2006, To
Be Stiil - 2009, editi dalla label inglese Fargo, per la più nota Rough
Trade (sempre Indie, comunque), è stato inciso negli studi di Venice
e Grass Valley, in California, con un Producer di vaglia come Scott
Litt (ancora R.E.M.!) e, si sente.
Il titolo omonino è dovuto alla band che l’accompagna dall’esordio:
Tom Bevitori, basso e chitarra (nel frattempo diventato suo marito),
Tom Menig (papà) eccellente musicista, banjo-chitarra ac.+ el.
Jonas Haskins, basso - Jason Merculief, batteria - Larry Goldings,
Hammond org. accordion e wurlitzer - Larry Tracey, pedal steel,
Alina Hardin e Lorraine Gervais, backing vocals, per finire con lo
stesso Scott Litt a dare una mano qui e là, soprattutto al banco di
regia e mixer. Alela Diane possiede una voce stupenda, modulata,
melodiosa, un timbro vocale affascinante che suggestiona l’ascoltatore
nelle 10 songs del compact disc corredato da un ottimo
libretto con foto, testi e, non lasciatevi ingannare dalla copertina
dove esibisce un look da top model.
La ricordavo con... le trecce! Ma va bene così, possiede inoltre una
tecnica chitarristica notevole, un picking originale che risulta ideale
per la voce, (che voce!). Si parte con Begin (appunto, buon inizio), si
prosegue con Elijah, Long Way Down, con la traccia n° 4 - Suzanne
(dedicata alla madre), l’album “decolla” vertiginosamente, un crescendo
naturale, spontaneo, ritmo, melodie, arie folksy indiane, altre
più vivaci che rapiscono e...conquistano! Of Many Colors (che segue
The Wind), rappresenta l’apice del disco con il suo andamento sincopato,
gli strumenti che “accarezzano” il canto di grande intensità.
Desire (n° 7) mantiene alto il livello delle composizioni con il simpatico
“spelling”, ancora, Autostrade senza Cuore, Cavallo Bianco
e Grandi Ascese, dopo 38 minuti, l’incantesimo finisce, possiamo
ricominciare da capo, volete trascorrere una mezz’ora e riconciliarvi
con la buona musica?: Mrs. Alela Diane & Wild Devine! n
23
n.87
24
n.87
In giro
Santa Maria
di Propezzano
La Porta Santa degli enigmi
un luogo che permette un viaggio nel bello, per incon-
C’è
trare il passato e il presente. È un lembo di territorio, tra
Morrodoro e Notaresco, che racconta mirabili storie di
devozione anche a dei turisti frettolosi, quelli classici del
“mordi e fuggi” fatto di nuove esperienze e forti emozioni.
Una stradina isolata tra campi ubertosi ricchi di vigneti porta all’austera
costruzione dell’abbazia di Santa Maria di Propezzano.
Il complesso religioso è dominato da una torre campanaria quadrangolare
non incorporata alla facciata, ma distante circa due
metri.
Lo studioso Giuseppe Ceci, in un vecchio libercolo degli anni ‘60,
ipotizzava che un tempo, questo manufatto fosse “merlato a guisa
di castello”.
A fianco si trova l’antico convento benedettino, dalla mole così
imponente da far intuire l’importanza che ebbe nel periodo medioevale
sia a livello religioso che civile.
Esisterebbe, secondo una tradizione diffusa, una pergamena oggi
non più leggibile, logorata dal tempo, che lo storico Nicola Palma
dovette tradurre quando era ancora comprensibile.
Questa specie di bolla, attribuita a Bonifacio IX, scritta in latino,
fissava l’edificazione della chiesa nell’anno 715.
di
Sergio
Scacchia mens2000@gmail.com
Una storia intrigante racconta dell’ennesima apparizione della
Madonna nel teramano.
Tre pellegrini reduci dalla Terra Santa, dopo un viaggio faticoso,
vollero fermarsi per il giusto riposo.
Appesero le povere bisacce, contenenti sante reliquie, su di un
corniolo e si addormentarono.
Al risveglio, con sommo stupore, i pellegrini si accorsero che
l’albero era cresciuto a dismisura e che era impossibile prendere
le borse.
Mentre, attoniti, guardavano il corniolo ingigantito, una visione
celeste ordinò loro di edificare una chiesa.
Il 10 maggio, data in cui tuttora si festeggia la Madonna di Propezzano,
il Papa Gregorio II consacrò, in modo solenne, il tempio a Santa
Maria Propizia Pauperis con l’annesso monastero, che divenne
subito punto di riferimento lungo il percorso adriatico verso la Terra
Santa.
Questa storia è raccontata nella pergamena.
A nulla vale la precisazione storica che Gregorio, in realtà, divenne
papa dopo la data della consacrazione della chiesa e non prima.
Un altro enigma avvolge la costruzione della chiesa che, contrariamente
alla successione degli stili, inspiegabilmente è stata iniziata
in stile gotico e poi terminata in forme romaniche.
La facciata è costituita da tre parti di diversa altezza; la destra è
accorpata nel convento; all’interno di questo c’è uno splendido
chiostro con dipinti del seicento e al centro un pozzo artistico.
Sotto gli archetti si trovano delle lunette, con affreschi del pittore
polacco Sebastiano Majewsky, sulla vita di Gesù.
Il corpo centrale del complesso ha un portico a tre archi sotto il
quale si trova il portale e resti di affreschi del ‘400, di sopra una
grande finestra tonda e, più in alto, un sobrio rosone.
La parte di destra presenta la famosa Porta Santa che viene aperta
solo in maggio a ricordo dell’apparizione e nel giorno dell’Ascensione.
Tutto per tenere fede alla “Bolla Indulgentiarum”, emessa dal
Papa Martino V che concesse il perdono dei peccati in queste due
solennità.
A proposito della grandiosa Porta Santa,
sembra provenga dalla scuola atriana del
1300.
Si attribuisce l’opera a Raimondo Del
Poggio, superbo autore del meraviglioso
portale del Duomo di Atri, vissuto alla
corte degli Acquaviva, signori della città
ducale.
Ne parla diffusamente il Palma nel suo
libro: “Storie delle terre più a nord del
Regno di Napoli”.
Le colonnine sono in stile cosmatesco, interessante
fioritura artistica del XIII secolo,
simili a quelle di San Giovanni in Laterano
a Roma.
L’interno è sobrio ed elegante e le tre
navate incutono rispetto.
Si resta sicuramente ammirati da una
pittura raffigurante l’Annunciazione
dell’Angelo alla Vergine.
Assolutamente da non perdere, l’antico
refettorio dei frati con i suoi pregevoli
affreschi, mutilati dal tempo.
Il viaggiatore abituato a grandi spazi non
potrà ignorare la comoda lentezza di un
piccolo luogo dalla grande storia e dalle
leggende intriganti.
Potrà guardarsi intorno indisturbato, senza
urgenze, cliccare foto, scambiare due
parole con i pochi abitanti delle cascine
vicine, tutti radunati al tavolo del piccolo
bar adiacente, per poi tornare a casa con
la gratificante sensazione di aver fatto un
rapido viaggio nel tempo. n
25
n.87
26
n.87
Cinema
Ennio Flaiano
Sceneggiatore
io, io, io... e gli altri
“Se il film dovesse risultare come la sceneggiatura
meglio non farlo. Il film deve tirar fuori tutto quello
che qui è sottinteso.”
Ennio Flaiano (Melampo)
Generalmente si dice sceneggiatore lo scrittore al servizio di chi
sarà poi considerato da tutti, pubblico e critici, il vero autore: il
regista. Uno sceneggiatore, geniale oppure no, deve avere l’umiltà
di annullarsi nella scrittura registica e nella Weltanschauung
del committente,
rinunciando così
a ogni propria
personale idea
del e sul mondo.
A meno che
essa davvero
non coincida con
quella del direttore
d’orchestra,
l’Autore unico e
divo. Scrivere per
Fellini, Antonioni,
Rossellini, Emmer, Monicelli, Blasetti, Risi, Lattuada, Zampa, Petri, Ferreri
e restare se stesso: Ennio Flaiano. Anche a dispetto del lavoro d’équipe,
imprescindibile nel cinema italiano classico. Sceneggiature scritta a
quattro, sei, otto, dodici mani, dividendo il lavoro di scrittura con colleghi
niente male in quanto a ego e personalità. Per esempio, Francesco Pasinetti,
Filippo Sacchi, Alberto Moravia, Mario Soldati, Cesare Zavattini,
Suso Cecchi D’Amico, Sergio Amidei, Vitaliano Brancati, Diego Fabbri,
Turi Vasile, Ugo Pirro, Steno, Ivo Perilli, Giuseppe Patroni Griffi, Rodolfo
Sonego, Age e Scarpelli, Giorgio Bassani, Leo Benvenuti, Piero De
Bernardi, Pier Paolo Pasolini, Franca Valeri, Pasquale Festa Campanile,
Tonino Guerra, Ercole Patti, Ruggero Maccari, Goffredo Parise, Rafael
Azcona, Erika Mann…
Come riconoscere in un tale marasma di talenti il segno distintivo di un
solo autore, oltretutto non regista? Eppure Tullio Pinelli, collega storico
del Flaiano felliniano (da Luci del varietà, 1950, a Giulietta degli spiriti,
1965) dirà, a ragione, che lo scrittore pescarese «ha sempre cercato,
e credo riuscendovi bene, di salvare, di preservare la sua qualità di
autore autonomo e questo l’ha poi portato ad accettare sempre meno
di
Leonardo
Persia dimmitutto@teramani.info
la subordinazione al regista cinematografico (cosa che invece in Italia
avviene quasi sempre)». Come spiegare altrimenti le affinità evidentissime
tra i singoli frammenti del corpus flaianeo di sceneggiature,
dei personaggi che sembrano trans-migrare da un film all’altro, pur
nell’abissale diversità di epoche, stili di scrittura, regie, generi cinematografici
che contraddistinguono l’opera nel suo complesso? E’ naturale,
e forse scontato, dire che dietro l’intellettuale medio in crisi de La
dolce vita (1960) di Fellini ci siano I vitelloni (1953) dello stesso regista
riminese, ma meno ovvio rilevare che tali caratteri, comunque tipici del
mondo letterario tout-court di Flaiano, siano presenti non solo in film
d’autore quali La notte (1961) di Antonioni o Tonio Kroger (1964) di
Rolf Thiele (da Thomas Mann, sceneggiato in tandem con la controversa
e ribelle figlia Erika), ma anche in pellicole minori o dimenticate come
Inviati speciali (1943) di Romolo Marcellini o Roma città libera (1948)
di Marcello Pagliero, dove Flaiano recita quasi as himself il ruolo di un
questurino già «dolcevitesco».
Di sicuro, La cagna (1972), il suo ultimo film, da un suo soggetto
originale, che Flaiano cercò invano di mettere in scena come regista
(scontri con il producer Carlo Ponti, che voleva farne un nuovo Vacanze
romane, 1953, sempre co-sceneggiato dal nostro) fu un’esperienza
terribilmente frustrante, perché il regista Marco Ferreri se ne appropriò
totalmente (e lecitamente). Ma altrove, anche e soprattutto in Fellini,
sicuramente il regista italiano dal fraseggio meglio riconoscibile e più
egotico, il Flaiano touch non venne mai amalgamato dall’altrui disegno
poetico. Si pensi alla scena clou de La dolce vita, il bagno nella Fontana
di Trevi, con Anitona/Sylvia che invita Marcello Rubini/Mastroianni a
seguirla: si trova pari pari già in Tempo di uccidere (1947), primo e unico
romanzo di Flaiano, dove un’acquatica e ultra-sexy creatura etiope
da una pozza d’acqua invita alla salvezza un ufficiale italiano fascista
con le stesse
oscillazioni esistenziali
non solo
del giornalista
vitellone felliniano,
ma pure di
alcuni personaggi
emmeriani:
per esempio, i
tifosi pre-ultrà di
Parigi è sempre
Parigi (1951)
o il medico
specializzando
(Gabriele Ferzetti)
del bellissimo Camilla (1954). Pure il Totò esistenzialista di Dov’è
la libertà? (1953), conte philosophique rosselliniano, e l’altro Marcello
(Peter Baldwin) del pattiano Un amore a Roma (1960) di Dino Risi,
sembrano consistere in variazioni sul tema flaianeo del decentramento
comunicativo.
Il fatto è che Flaiano seppe comprendere benissimo il senso modernissimo
del suo lavoro di sceneggiatore, anticipando la casuale
progettualità del post-moderno. Decreazione e decostruzione della
propria identità, nella concentrazione di una dispersione totale che lo
portava a ritrovarsi nel perdersi, tipo jazz o come nel prezioso «taccuino
di viaggio» televisivo di Oceano Canada (1972). E’ come se, mentre
scrivesse, analizzasse da critico e saggista,
l’enunciato narrativo altrui (e poi proprio).
Ogni suo testo diventa perciò un meta-testo
di tale determinata indeterminatezza che, alla
Greimas, ogni débrayage (uscita dal sé), anche
il più radicale, finisce per coincidere con un
risoluto embrayage (ritorno all’io). Il (non) tempo
della crisi, espresso attraverso la massima
discontinua apertura del significante/significato,
farà scintille ne La dolce vita, in Otto
e mezzo (1963), in parte anche ne La notte,
perché Fellini e Antonioni hanno la grandezza
di uno stile universale (benché, curiosamente,
intimista e autobiografico), ma è ugualmente
portato a compimento, sotto altre forme,
meno avant-garde, più pop, certo in sintonia
con i registi rispettivi, ne La vergine moderna
(1954) di Marcello Pagliero o ne L’arte di
arrangiarsi (1955) di Luigi Zampa (entrambi
su arrivismo e carrierismo a-temporale della
Satira
La dimensionalità è un problema che insorge in ogni campo
scientifico. Più in generale, la difficoltà sta su come visualizzare un
set di dati in una funzione dimensionale. Un’area questa divenuta
importante con l’avvento della grafica tecnologica. Spesso ci si chiede:
“Come fa un computer a fare tutti quei calcoli in così
poco tempo?”. Questo genere di interrogativi hanno
una radice comune nella scienza della statistica. Un
problema insorto con il rapido aumento del volume
associato per l’aggiunta di dimensioni in uno spazio
magnetico. Diverse tecniche sul trattamento dei
dati sono state proposte con approssimazione delle
funzioni e la riduzione delle dimensioni.
Quando la dimensionalità aumenta, i dati divengono
sparsi nello spazio occupato. Ridurre tempo e
memoria richiesti dagli algoritmi, permettere una più
facile visualizzazione e tentare l’eliminazione degli aspetti irrilevanti. In
questo campo complesso, non sarebbe saggio anticipare l’esistenza di
un unico strumento che può superare tutti gli altri in ogni circostanza
concreta. I problemi del mondo reale in genere richiedono un numero
infinito di passaggi e sempre la manipolazione degli stessi dati. Nell’epoca
del sovraccarico di informazioni, il costo del calcolo per grandi volumi
è insostenibile, quindi la velocità di elaborazione è molto importante.
Il metodo proposto deve essere intuitivamente interpretabile per
essere facilmente accettabile e teoricamente affidabile nel descrivere
gioventù pre-boom che preparano, come nel
non-finale de La dolce vita, l’approdo del
mostro Berlusconi sulla spiaggia d’Italia).
L’identità forte si disfa in un gioco di ruoli magnificamente
democratico, riflesso dello sceneggiatore
disciolto nel regista o viceversa, ed
ecco i personaggi di Guardie e ladri (1951) e
di Totò e Carolina (1953-55), con le rispettive
storie di dissoluzione (e dissolvenza) di una
guardia in un ladro e di un celerino in una
ragazza madre. Due dei migliori film di Totò,
ovviamente discussi, disprezzati, censurati
dall’Italia (non) democratica e (non) cristiana
che disprezzava ieri, come oggi, trans-cultura
e trans-sessualità, quel meraviglioso senso
di fair play mutante, certo non omologante,
changing same (cfr. Amiri Baraka e Paul
Gilroy), essenziale per vivere, scrivere (e ribellarsi)
bene. «Quello dello sceneggiatore non è
una professione ma uno stato transitorio».
di Mimmo Attanasii
Alta analisi del
dato oggettivo
E di questa moderna transitorietà, di cui,
come sempre, il Potere saprà assorbirne
l’eversività per restituirne al demos il suo
seducente lato dark e repressivo, il profeta
Flaiano saprà cogliere, come in una neodialettica
dell’illuminismo, gli atroci (s)viluppi a
venire. Sotto la sua penna, con largo anticipo,
le prigioni senza sbarre (Dov’è la libertà?), la
tirannia tecnologica (Calabuig, 1955), i nuovi
untori (Terrore sulla città, 1956), il crimine
istituzionalizzato (La ballata del boia, 1964;
La decima vittima, 1965; I protagonisti,
1968), l’egoismo trionfante (Io, io, io… e
gli altri, 1966), il razzismo post-moderno
(Red, 1970), il sesso castrante piuttosto che
liberatorio (La cagna), i consumi surreali
(Un ettaro di cielo, 1958) e la società dello
spettacolo (La primadonna, 1943; Lo sceicco
bianco, 1952) hanno già un pungente quanto
ahimè inutile analogon sullo schermo. n
il processo di soluzione dei problemi. Daniel Kahneman (Premio Nobel
2002, per l’economia) ci sottolinea l’errore che anche le persone più
brillanti commettono: “Confondere la probabilità di qualcosa con la sua
rappresentatività”. Ed è anche la più alta carica politica abruzzese a tirare
per la giacchetta Kahneman, postando pensieri sulla propria bacheca
virtuale aperta a tutti, su Facebook.
Lo stesso presidente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi, ammonisce
i detrattori dei suoi sforzi per il riassetto dei conti della sanità pubblica
e sulla presunta corruzione dei politici. Chiodi ci racconta appunto di
Kahneman, il quale (…) ha dimostrato che le stime (errate) che ci facciamo
sulle cause di morte sono viziate dal modo in cui i media trattano le
notizie, e questo modo è intrinsecamente viziato dalla ricerca di novità
e sensazionalismo.
Lo stesso può dirsi per la stima che ci facciamo della malasanità oppure
della corruzione dei politici e di tante altre cose ancora (...). Insomma, la
colpa è della stampa. Intanto, la rete dei free lance e precari dell’informazione
abruzzese esprime “sconcerto e indignazione” per la nomina,
in virtù di un “prestigioso” curriculum e di trascorsi
“cristallini”, di Vanna Andreola a capo dell’ufficio
stampa della Regione Abruzzo. Una dirigente
regionale che finora si era occupata di politiche
internazionali, mai iscritta all’albo dei giornalisti e
che lo scorso anno è stata arrestata con l’accusa
di aver distratto fondi dal progetto di affidamento
di un appalto. (http://www.abruzzo24ore.tv/
news/Nomina-Andreola-5euronetti-Sconcerto-eindignazione-per-nomina-Andreola/115967.htm)
Nominata dalla Giunta regionale, il vice presidente
Alfredo Castiglione, dopo le polemiche ha pensato subito di inserire la
marcia indietro: “Proporrò, nella prima seduta utile, il ritiro della delibera
di nomina”. (http://www.primadanoi.it/news/cronaca/538830/Giunta-
Regione-Abruzzo--la-dirigente.html).
Di servilismo e clientelismo si sopravvive fregandosene dei principi di
trasparenza a vantaggio di una ridicola e impropria meritocrazia. C’è
bisogno d’equilibrio fra libertà di pensiero e paura di parlare. Rimettere
le cose al loro posto e dare loro un ordine preciso attraverso un’alta
analisi del dato oggettivo: “Tira oggi, ché arriva domani!”. n
27
n.87
28
n.87
Salute
La vescica
iperattiva
Una sindrome a volte invalidante
Per sindrome della vescica iperattiva (o sindrome urgenzafrequenza
o sindrome da urgenza) si intende una entità
clinica caratterizzata da urgenza minzionale (insorgenza
di stimolo minzionale improvviso), a volte irrefrenabile e
seguita da fughe di urina, spesso associata a pollachiuria diurna e
nicturia, ovvero minzioni frequenti sia durante il giorno che durante
la notte. In condizioni normali,
quando un soggetto decide di
urinare, si attiva il comando dai
centri nervosi specifici cerebrali,
raggiunge quindi le vie nervose
periferiche vescicali, che provocano
la contrazione della vescica,
il rilasciamento dello sfintere e la
minzione volontaria. La vescica
è definita iperattiva quando presenta
contrazioni involontarie
anche ai minimi riempimenti.
E’ una condizione a volte decisamente
invalidante, con un notevole
impatto negativo sulla vita
sociale e quindi sulla qualità di
vita per diversi motivi, fra i quali
in primis la necessità di avere sempre un bagno a disposizione
quando si esce da casa e la difficoltà a mascherare il cattivo odore
di eventuali fughe di urina.
Le cause sono per lo più sconosciute (in questi casi prende il nome
di vescica iperattiva idiopatica), a volte sono dovute a danni neurologici.
Fattori di rischio sono l’età, la menopausa, l’obesità, il fumo,
particolari stati psicologici ed ansioso-depressivi, deficit cognitivi,
pregressa chirurgia pelvica uro-ginecologica o del retto, malattie
neurologiche, assunzione di alcuni tipi di farmaci con azione sul
sistema nervoso, l’infezione delle basse vie urinarie, presenza di
spine irritative vescicali (es. la calcolosi o il tumore della vescica, la
patologia prostatica). I sintomi, come già detto, sono l’aumentata
frequenza minzionale e lo stimolo imperioso, a volte seguito da fughe
di urina; abbastanza caratteristica è l’insorgenza dello stimolo
minzionale durante il sonno, che provoca il risveglio improvviso e la
necessità di andare urgentemente in bagno.
di
Carlo
Manieri
Urologo
carlo.manieri@tiscali.it
Prima di intraprendere una terapia è necessaria un’attenta valutazione
clinica, la compilazione per alcuni giorni del diario minzionale,
in cui viene riportato il numero di minzioni quotidiane, il volume
urine di ciascuna di esse e le fughe di urina; è utile quantificare
anche l’eventuale numero di pannolini utilizzati nelle 24 ore. Un
esame urine consente di escludere un’infezione urinaria; una ecografia
dell’apparato urinario valuta la morfologia di reni e vescica
ed il completo vuotamento vescicale dopo minzione spontanea;
una citologia urinaria è consigliabile in pazienti selezionati per
escludere un carcinoma “in situ” (è una forma particolare di tumore
non evidenziabile con l’ecografia). Altre indagini potranno essere
eseguite in casi particolari.
Nel sospetto di una diagnosi di vescica iperattiva il primo approccio
terapeutico è di tipo comportamentale; prevede un cambiamento
delle abitudini minzionali, ad esempio cercare di trattenere le urine
quando si presenta un minimo stimolo minzionale, e alimentari, ad
esempio centellinare l’assunzione di liquidi nelle 24 ore e perdere il
peso in eccesso.
Allo stesso tempo può essere iniziata una terapia con farmaci
antimuscarinici; trattasi di farmaci che agiscono sulla muscolatura
vescicale riducendone la capacità contrattile, quindi rallentando
la fuoriuscita di urine durante la normale minzione; devono quindi
essere prescritti con cautela nei
pazienti con ristagno di urine in
vescica o che già riferiscono un
getto urinario deficitario, come
accade nel paziente prostatico. I
farmaci anticolinergici più utilizzati
sono l’ossibutinina, il trospio,
la tolterodina e la solifenacina.
L’ossibutinina ha degli effetti
collaterali, fra i quali la secchezza
delle mucose, in particolare
della bocca, e la stipsi, che sono
spesso il motivo di una precoce
sospensione del trattamento. La
tolterodina e la solifenacina sono
meglio tollerati.
Una nuova classe di farmaci per
il trattamento della sindrome della vescica iperattiva, con un profilo
di efficacia e sicurezza più favorevole rispetto agli antimuscarinici
sono i beta-3-agonisti. Sono farmaci che favoriscono un migliore
rilasciamento della parete vescicale durante la fase di riempimento,
senza però influenzare la contrazione della vescica durante la
minzione volontaria; riducono quindi l’insorgenza delle contrazioni
involontarie, l’urgenza minzionale e gli episodi minzionali. Il capostipite
di questi farmaci, il Mirabegron, verosimilmente efficace nei
pazienti non responsivi agli anticolinergici, non è ancora disponibile
in commercio in Italia.
Negli insuccessi altri tentativi terapeutici miniinvasivi sono la
riabilitazione del piano perineale, con biofeed-back ed elettrostimolazione,
l’iniezione di tossina botulinica nella parete vescicale,
la stimolazione del nervo tibiale posteriore, la neuromodulazione
sacrale, tecniche di cui si potrà parlare più approfonditamente in
altra occasione. n
Sport
Pallamano
Stagioni in chiaroscuro per le compagini
teramane di serie A1 di pallamano. In
campo maschile, la TeKnoelettronica
Teramo è stata estromessa dalla fase
finale per l’assegnazione dello scudetto
2012/2013 dopo l’inopinata sconfitta casalinga
nell’ultima gara della regular season. Una gara
da ultima spiaggia con la compagine laziale del
Fondi (le due compagini erano appaiate al terzo
posto utile per l’accesso ai play off). La squadra
teramana non è stata capace di sfruttare il
fattore campo di un Palacquaviva gremito da
un pubblico delle grandi occasione che non
ha fatto mancare il proprio caloroso sostegno
ai colori biancorossi. Nella gara che doveva
sentenziare il salto di qualità della Teknoelettronica,
la squadra teramana, disputando una gara
incolore, usciva fortemente ridimensionata mostrando
grossi limiti caratteriali e tecno tattici. A parziale scusante va
comunque sottolineato lo stress mentale causato dallo stravolgimen-
Mais con
aflatossine
di
Egidio
Romano dimitutto@teramani.info
to della classifica generale per le decisioni del giudice sportivo della
Figh che particolarmente vanificava le vittorie ottenute contro Noci
per aver retrocesso la squadra pugliese del Noci all’ultimo posto
della classifica generale per inadempienze economiche (così come
era avvento per l’H.C. Teramo in campo femminile). Ora le forze della
Teknoelettronica sono tutte concentrate sul settore giovanile dove
all’orizzonte ci saranno la disputa delle fasi finali
nazionali nelle categorie under 16 e under 18,
una delle quali potrebbe disputarsi a Teramo.
In attesa poi di riprogrammare la prossima
stagione che vedrà la squadra teramana ancora
una volta ai nastri di partenza.
In campo femminile, dopo le ormai note vicende
che hanno portato all’esclusione dal panorama
nazionale dell’H.C. Teramo si attende di
conoscere quale sarà il futuro della pallamano
femminile teramana. Numerose le voci che circolano
(forse anche troppe) e a tutt’oggi nulla
è dato sapere su quali basi ripartire. Non resta
che attendere gli eventi e sperare che dopo lo
scudetto della stagione 2011/2012 questa realtà
non scompaia. sugli orizzonti rosa che si erano
aperti è sceso il sipario, oscurando quanto di
negativo è accaduto in questa stagione. Sembra
che all’orizzonte si affacci una nuova società
che si spera abbia il giusto impulso per ripartire con un programma
serio che ridia lustro alla pallamano teramana. n
Coldiretti informa
a cura di Raffaello Betti
Direttore Coldiretti Teramo
climatiche della scorsa estate, presentano, infatti, caratteristiche che
lo rendono non idoneo all’alimentazione umana e animale.
L’accordo messo a punto dalle tre Regioni permette di costruire un
percorso chiaro, trasparente e sicuro, in linea con le indicazioni fornite
dal Ministero della Salute (del 16 gennaio 2013, del 22 gennaio
2013, e del 14 marzo 2013).
L’accordo, valido per tutto il 2013, punta ad agevolare l’incontro tra
domanda e offerta, impegnando le parti a precise garanzie contrattuali,
di prezzo e di programmazione del flusso di prodotto.
Per aderire, ogni azienda interessata (sia per la parte agricola che
per la parte dei biodigestori) deve sottoscrivere un modulo disponibile
nei siti web delle tre Regioni.
C’è l’accordo per usarlo negli impianti a biogas
Nei siti regionali sarà anche
mantenuto l’aggiornamento
delle adesioni
Il mais gravemente danneggiato dalle aflatossine sarà utilizzato
esclusivamente per produrre energia rinnovabile negli oltre 500
impianti a biogas della pianura padana. E’ quanto prevede l’accordo
di filiera promosso dagli assessorati regionali all’agricoltura
del Veneto, dell’Emilia-Romagna e della Lombardia, con l’obiettivo di
risolvere un problema che rischia di avere pesanti ripercussioni per
l’agricoltura e la zootecnia del nord Italia.
Ingenti quantità di mais, a causa delle pessime condizioni meteo
e il monitoraggio
dell’iniziativa. n
29
n.87
30
n.87
Sanità · La lettera
Ospedale
di Teramo
Non è sempre malasanità
Di questi tempi parlare bene di una istituzione pubblica sembra
andare controcorrente. Tale è, infatti, il risentimento verso
certe amministrazioni per l’inefficienza e lo spreco di denaro
pubblico. Per fortuna non siamo allo sbando come forse, un
po’ avventatamente e superficialmente, si vuol far credere perché i
problemi economici legati al grande debito pubblico sono ascrivibili
soprattutto alle allegre finanze di alcuni decenni orsono. Si cercano
capri espiatori per addossare colpe ai dipendenti del settore pubblico,
magari ad onesti operatori che c’entrano ben poco con le decisioni in
ordine alla funzionalità e alla organizzazione dei servizi. Un dipendente
pubblico, spesso, si trova quasi alla sbarra per il solo fatto di occupare
quel posto ed anche con tutto il suo impegno, si trova sempre qualcosa
da addebitargli perché nell’accezione comune è comunque uno “sfaticato”.
Vero è che di sfaticati ce ne sono e forse qualcuno meriterebbe
qualche richiamo, ma è anche vero che per ogni “sfaticato” ce n’è
un altro che deve lavorare per lui. Merito, quindi ai tanti lavoratori
pubblici che onestamente e con professionalità prestano la loro opera
al servizio della comunità. La Sig.ra Maria Schiavone, operaia residente
di
Antonio
Parnanzone dimitutto@teramani.info
a Bellante Stazione, vuole spezzare una lancia a favore del reparto di
Ginecologia dell’Ospedale Civile di Teramo. Vuole rendere omaggio
alla Dr.ssa Marcozzi, alla sua assistente Dr.ssa Angelozzi, all’ostetrica
Claudia, all’infermiera Sig.ra Barbara e a tutti gli operatori del reparto del
nosocomio teramano per aver ricevuto attenzioni, disponibilità e tanta
professionalità in occasione del suo ricovero.
“Mi sono sentita curata, accudita e a mio agio” dice la Sig.ra Maria
“porto nel cuore il sorriso della caposala Diana , vero sole del reparto.
Dico grazie al dottore che mi ha praticato la terapia del dolore pur non
conoscendolo e senza averlo neanche visto in faccia, perché l’intervento
che ho subito è stato completamente indolore e senza alcuna sofferenza”.
Di umile provenienza, la Sig.ra Maria apprezza anche il lavoro
degli addetti delle pulizie e di chi esplica lavori semplici.
“Ho gradito la sensibilità del vivandiere, quasi dispiaciuto per non
potermi dare da mangiare per il digiuno al quale ero sottoposta. L’allieva
infermiera, al terzo anno di studi, brava, disponibile ed educata”.
Chi nella vita ha toccato con mano certe esperienze, apprezza di più
gesti che per molti passano inosservati; per lei, invece, hanno valore:
“Sono l’ultima di nove figli. Sono stata sempre amata dalla mia famiglia
perché la più piccola e coccolata da tutti. In ospedale mi sono sentita
a casa mia. Grazie di cuore, un bacio a tutti”. Trova parole di ringraziamento
anche per la nipote della nonnina di 94 anni, degente nella
stessa stanza, per averle portato un ramoscello di palma benedetta e
per il cappellano. La Sig.ra Maria non è in grado di leggere bilanci, carte
contabili e altre sofisticate relazioni di funzionalità di uffici e amministrazioni
pubbliche. Legge i gesti di onesti lavoratori, dai più semplici a
quelli dotati di conoscenze tecniche e culturali, attraverso il metro della
sua sensibilità. Il gesto più comune per lei rappresenta un valore non
trascurabile, mentre per altri si perde nell’inutilità e nell’indifferenza. Se
invece di rincorrere i luoghi comuni della potenza economica, mediatica
e del narcisismo, pensassimo a riscoprire la quotidianità come valore
fondamentale di vita, ne guadagneremmo in termini di serenità. A patto,
però, che certi buoni propositi comincino a farsi strada anche nel palazzo,
dove spesso hanno origine i tanti guai che sopportiamo da tempo. n