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Analisi testuali

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ANALISI DI TESTI LETTERARI, FIGURE RETORICHE, GRAMMATICA<br />

Nelle analisi <strong>testuali</strong> che vi presentiamo (poesie, brevi passi di romanzi,...) molti elementi possono<br />

essere messi in valore. Noi ne sceglieremo soltanto alcuni perché il nostro scopo non è quello di<br />

darne una lettura unica ed esaustiva, ma quello di far vedere come, attraverso pochi accorgimenti<br />

tecnici, la letteratura sia capace di rivelare moltissimo di sé. Non bisogna mai dimenticare che,<br />

nonostante le sue peculiarità, la letteratura rimane un discorso, dunque qualcosa che<br />

innegabilmente ha una funzione comunicativa. La poesia, ad esempio, quest'arduo genere<br />

letterario, è spesso scartata dall'interesse generale (non parlo, ovviamente, degli specialisti)<br />

perché sembra rifiutare un dialogo con il lettore. Ma piccoli accorgimenti fanno vedere come ciò<br />

sia falso: tutto sta nel fare la domanda giusta, e il testo risponde sicuramente, anzi, talvolta con<br />

una coerenza ed una profondità veramente eccezionali, tali da stupire lo stesso lettore che l'ha<br />

interrogato. È un po' come un gioco, un gioco magico e meraviglioso.<br />

E proprio come un gioco, anche la letteratura ha le sue regole: regole interne e regole esterne,<br />

regole che rispetta e regole che talvolta infrange, rinnovandosi così continuamente e<br />

continuamente richiamandosi ad una tradizione sempre più vasta ed articolata. Certo non può<br />

interessare a tutti sondare l'intera tradizione dei generi letterari (sempre che sia possibile<br />

afferrare l'oggetto della cosiddetta "tradizione"), ma può essere comunque piacevole lasciarsi ogni<br />

tanto incantare dalle parole di un brano in prosa, dai versi di una poesia e dirsi: «queste parole,<br />

questi versi dicono qualcosa anche a me, e io so comunicare con loro».<br />

Un'ultima osservazione: ovviamente ogni dialogo è unico, nel senso che dipende da coloro che<br />

parlano. Questo è un modo come un altro per dire che se proponiamo alcune letture di testi scelti,<br />

tali letture rappresentano solo una delle tante possibili interpretazioni (uno dei tanti possibili<br />

dialoghi) e non devono essere prese come degli assoluti. È anche vero però che le nostre<br />

interpretazioni partono sempre da un'analisi ben precisa fatta sul testo, verificabile in ogni istante,<br />

onde evitare di perdere quella che dovrebbe essere la base di ogni critica: la pertinenza.


Baudelaire Charles, L'uomo e il mare<br />

Baudelaire Charles, Spleen<br />

D'Annunzio Gabriele, La Sabbia del tempo<br />

De Andre' Fabrizio, La guerra di Piero<br />

Flaubert Gustave , La signora Bovary<br />

<strong>Analisi</strong> <strong>testuali</strong>:<br />

James Henri, Il giro di vite (1898) in Racconti di fantasmi<br />

Montaigne Michel de, Saggi<br />

Morante Elsa, L'isola di Arturo<br />

Pascoli Giovanni, Nebbia<br />

Poe Edgar Allan, Il gatto nero<br />

Sartre Jean-Paul, La Nausea<br />

Saba Umberto, La Vetrina<br />

Verga Giovanni , I Malavoglia<br />

Woolf Virginia, La camera di Jacob<br />

Zola Emile, Germinale<br />

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Charles Baudelaire<br />

L'uomo e il mare (in I fiori del<br />

male, 1857)<br />

di Cinzia Poli<br />

4<br />

8<br />

12<br />

16<br />

.<br />

Homme libre, toujours tu chériras la mer!<br />

La mer est ton miroir; tu contemples ton âme<br />

Dans le déroulement infini de sa lame,<br />

Et ton esprit n'est pas un gouffre moins amer.<br />

Tu te plains à plonger au sein de ton image;<br />

Tu l'embrasses des yeux et des bras, et ton cœur<br />

Se distrait quelques fois de sa propre rumeur<br />

Au bruit de cette plainte indomptable et sauvage.<br />

Vous êtes tous les deux ténébreux et discrets:<br />

Homme, nul n'a sondé le fond de tes abîmes;<br />

O mer, nul ne connaît tes richesses intimes,<br />

Tant vous êtes jaloux de garder vos secrets!<br />

Et cependant voilà des siècles innombrables<br />

Que vous vous combattez sans pitié ni remord,<br />

Tellement vous aimez le carnage et la mort,<br />

O lutteurs éternels, o frères implacables!<br />

Versione tradotta<br />

Sempre il mare, uomo libero, amerai!<br />

perché il mare è il tuo specchio; tu contempli<br />

nell'infinito svolgersi dell'onda<br />

l'anima tua, e un abisso è il tuo spirito<br />

non meno amaro. Godi nel tuffarti<br />

in seno alla tua immagine; l'abbracci<br />

con gli occhi e con le braccia, e a volte il cuore<br />

si distrae dal tuo suono al suon di questo<br />

selvaggio ed indomabile lamento.<br />

Discreti e tenebrosi ambedue siete:<br />

uomo, nessuno ha mai sondato il fondo<br />

dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto,<br />

mare, le tue più intime ricchezze,<br />

tanto gelosi siete d'ogni vostro<br />

segreto. Ma da secoli infiniti<br />

senza rimorso né pietà lottate<br />

fra voi, talmente grande è il vostro amore<br />

per la strage e la morte, o lottatori<br />

eterni, o implacabili fratelli!


(Trad. it. a cura di luigi De Nardis in Charles Baudelaire, I fiori del male, Feltrinelli, Milano, 1996)<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

L'uomo e il mare: un titolo che enuncia direttamente i poli tematici della poesia, tutta giocata<br />

attorno a un parallelismo tra i due soggetti, messi in evidenza lungo la composizione per mezzo di<br />

vocativi e, attraverso lo stesso espediente retorico, avvicinati l'uno all'altro nel verso conclusivo:<br />

O lutteurs éternels, o frères implacables! (v.16)<br />

Se nelle prime due quartine, il poeta stabilisce un rapporto, che potremmo definire di inclusione<br />

dell'uomo nell'infinità del mare, a partire dal verso 9, al contrario, egli pone esplicitamente l'uomo<br />

e il mare sul medesimo piano gnoseologico:<br />

vous êtes tous les deux ténébreux et discrets (v.9)<br />

Cerchiamo di seguire lo sviluppo di tale rapporto, soffermandoci sull'analisi strutturale e formale<br />

oltre che tematica della poesia.<br />

Metrica:<br />

Quartine di alessandrini con il seguente schema metrico: ABBA; CDDC; EFFE; GHHG.<br />

Struttura e figure retoriche:<br />

Prima strofe<br />

La poesia si apre su una frase esclamativa che enfaticamente sintetizza il sentimento che lega<br />

l'uomo al mare e da subito è proprio l'uomo a essere posto in primo piano attraverso il vocativo<br />

iniziale: Uomo libero. Nel v.2 il rapporto contenuto-contenente tra l'uomo e il mare, si rende<br />

manifesto: l'uomo può contemplare la sua anima nell'infinità del mare (vv.2-3) che ne diviene<br />

quasi strumento conoscitivo. A questa verticalità relazionale segue invece, nel v.4 la constatazione<br />

di una reciprocità tra i due, espresso per mezzo di una litote, un procedimento che sembra<br />

attenuare, ma di fatto rafforza la relazione, è come se il poeta volesse dire "il tuo spirito è tanto<br />

amaro quanto quello del mare".<br />

È interessante osservare che gli stessi criteri interpretativi si possono assumere per lo schema<br />

rimico di questa strofe. Siamo in presenza di due rime ricche precisamente tra mer-amer (v.1 e 4)<br />

et âme-lame (v.2 e 3). Genericamente possiamo affermare che i termini semplici vengono fatti<br />

corrispondere all'uomo e quelli complessi al mare: mer è oggetto di tu (=homme) chériras, âme<br />

indica l'oggetto di contemplazione dell'uomo, allorché lame è apposizione di mare e amer,<br />

soltanto grammaticalmente si riferisce a mare, significando infatti: lo spirito del mare non è meno<br />

amaro, sottinteso, di quello dell'uomo, contenutisticamente, finisce per comprenderli entrambi.<br />

Non solo questo verso (v.4) mette in evidenza tale parallelismo uomo-mare, ma anche il paragone<br />

La mer est ton miroir (v.2) e, a livello fonico, la forte insistenza sulla consonante M nella prima<br />

quartina creano un nesso tra i due:


Homme libre, toujours tu chériras la mer!<br />

La mer est ton miroir ; tu contemples ton âme<br />

Dans le déroulement infini de sa lame,<br />

Et ton esprit n'est pas un gouffre moins amer.<br />

Seconda strofe<br />

La seconda strofe, dominata interamente dal "TU" designante l'uomo, rappresenta uno sviluppo<br />

dell'equivalenza "La mer est ton miroir" che qui il poeta definisce "ton image" . Anche in questa<br />

quartina il poeta presta un'attenzione straordinaria ai suoni dove la predominanza della<br />

consonante T si accorda al soggetto centrale, ovvero al TU. L'impiego frequente della doppia<br />

ripetizione dei suoni evoca l'accostamento delle due entità: l'uomo e il mare.<br />

Fra i numerosi esempi possibili, possiamo prendere in considerazione: l'allitterazione del suono<br />

labiale pl (Tu te plais à plonger... v.5), l'iterazione del possessivo ton (ton image... v.5; ton coeur<br />

v.6), del pronome tu (tu te plais v.5; tu l'embrasses v.6 ), la ripetizione della sillaba bras (tu<br />

l'embrasses...et des bras v.6), del suono costrittivo ru (rumeur v.7; au bruit v.8) e del suono<br />

occlusivo te (de cette plainte v.8), così come, la ripetizione del suono R al v.7 (se distrait<br />

quelquefois de sa propre rumeur). E del resto la scelta delle rime abbracciate, adottate per tutte le<br />

strofe, esprime la stessa volontà.<br />

Terza strofe<br />

Se nelle prime due quartine il rapporto uomo-mare era stato espresso da una relazione di<br />

somiglianza del primo rispetto al secondo, nella terza, come già anticipavamo nell'introduzione, il<br />

poeta mette in evidenza una reciprocità esplicita che si manifesta con la sostituzione del TU con il<br />

VOUS plurale e con il ricorso a una struttura perfettamente speculare, dove il primo verso (v.9),<br />

che si apre con il sintagma Vous êtes, si unisce al quarto che ripete la stessa formula, il secondo e il<br />

terzo, invece, si aprono su un vocativo, l'uno rivolto all'uomo, l'altro al mare, per poi procedere<br />

con la negazione nul n'...e per concludersi, infine, con dei termini che rimandano allo stesso campo<br />

semantico: tes abîmes (v.11), tes richesses intimes (v.12). Entrambi richiamano le gouffre amer del<br />

v.4, sintagma celebre nel repertorio poetico di Baudelaire ("Voyage") e fortemente evocatore. A<br />

questi elementi strutturali che si ripetono in coppia, possiamo affiancare le iterazioni foniche,<br />

anch'esse ripetute in coppia, come già osservavamo per la seconda strofe e che in questa quartina,<br />

dominata interamente da parallelismi, finiscono per acquistare una particolare risonanza. Ma<br />

vediamo qualche esempio: sono ripetuti il suono eux (les deux ténébreux v.9), il suono nasale on<br />

(sondé/fond v.10), la vocale chiusa e (garder/secrets v.12).<br />

Quarta strofe<br />

All'affinità e somiglianza uomo-mare delle tre strofe precedenti, nella quarta segue<br />

un'affermazione di antagonismo, messa in evidenza dall'avversativa "Et cependant", cui si legano<br />

una serie di elementi appartenenti al campo semantico della guerra e della morte: vous vous<br />

combattez sans pitié ni remord (v.14), le carnage et la mort (v.15), O lutteurs éternels (v. 16). La<br />

somiglianza tra i due, peraltro, non è rinnegata, al contrario, le due entità sono ancora<br />

accomunate sotto certi aspetti che non si connotano più positivamente come "le ricchezze intime"<br />

(v.11), "i segreti" (v.12), bensì negativamente: entrambe amano "la strage e la morte" (v.15); sono,<br />

poi, sinteticamente definiti "fratelli implacabili" (v.16).


Questo cambiamento argomentativo può risultare alquanto ambiguo e ci si può domandare<br />

perché fino a un certo punto si celebri la somiglianza uomo-mare e successivamente, si venga a<br />

parlare di lotta tra i due e si scelga di chiudere la poesia con l'esclamazione:<br />

O lutteurs éternels, o frères implacables! (v.16).<br />

Tale interrogativo può trovare risposta nel fatto che tutta la poesia de "I fiori del male" si nutre di<br />

un'ambiguità dialettica al cui interno si colloca anche il rapporto di affinità-rivalità dell'uomo e il<br />

mare che, in quest'ottica, finisce per superare il suo senso prettamente letterale per<br />

rappresentare il ben più emblematico rapporto uomo-natura e la relazione conflittuale poetapubblico,<br />

elemento dirompente e innovativo della poesia di Baudelaire.


Charles Baudelaire<br />

Spleen<br />

Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle<br />

Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis,<br />

Et que de l'horizon embrassant tout le cercle<br />

Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits;<br />

Quand la terre est changée en un cachot humide,<br />

Où l'Espérance, comme une chauve-souris,<br />

S'en va battant les murs de son aile timide<br />

Et se cognant la tête à des plafonds pourris;<br />

Quand la pluie étalant ses immenses traînées<br />

D'une vaste prison imite les barreaux,<br />

Et qu'un peuple muet d'infâmes araignées<br />

Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux,<br />

Des cloches tout à coup sautent avec furie<br />

Et lancent vers le ciel un affreux hurlement,<br />

Ainsi que des esprits errants et sans patrie<br />

Qui se mettent à geindre opiniâtrément.<br />

- Et de longs corbillards, sans tambours ni musique,<br />

Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir,<br />

Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique,<br />

Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.<br />

Versione tradotta<br />

Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio sullo spirito che geme in preda a lunghi<br />

affanni, e versa, abbracciando l'intero giro dell'orizzonte, un giorno nero più triste della notte;<br />

quando la terra è trasformata in umida prigione dove la Speranza, come un pipistrello, va<br />

sbattendo contro i muri la sua timida ala e picchiando la testa sui soffitti marci;<br />

quando la pioggia, distendendo le sue immense strisce, imita le sbarre d'un grande carcere, e un<br />

popolo muto d'infami ragni tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli, improvvisamente delle<br />

campane sbattono con furia e lanciano verso il cielo un urlo orrendo, simili a spiriti vaganti e senza<br />

patria, che si mettono a gemere ostinatamente.<br />

- E lunghi trasporti funebri, senza tamburi né bande, sfilano lentamente nella mia anima; vinta, la<br />

Speranza piange; e l'atroce Angoscia, dispotica, pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo.<br />

(Traduzione rivisitata tratta da: Remo Ceserani, Il materiale e l'immaginario, ed. Loescher, 1981)


<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

"Spleen" è una parola inglese che inizialmente significava "milza", quindi "bile"; successivamente il<br />

termine assunse il significato di "malinconia", "disgusto", "tedio esistenziale", sulla base delle<br />

antiche teorie mediche che situavano proprio nella milza la causa della sindrome depressiva. Già<br />

dal semplice titolo si intuisce qual è il tema principale della poesia, espressione, appunto, di un<br />

malessere esistenziale, di una incapacità di reagire alla noia paralizzante.<br />

Struttura:<br />

La poesia è composta da 5 strofe di quattro versi ciascuna (quartine). I versi sono alessandrini<br />

(verso classico della letteratura francese). Tutta la poesia si articola in due sole proposizioni (o<br />

"frasi"). La prima frase si sviluppa lungo le prime quattro strofe, ed è composta da tre proposizioni<br />

subordinate (strofe 1, 2 e 3) più una proposizione principale. Le subordinate sono molto simili tra<br />

loro: tutte cominciano con lo stesso avverbio di tempo (Quando...) e si sviluppano attraverso<br />

vivide metafore (il coperchio, il pipistrello, la prigione). Questa somiglianza, la ripetitività di una<br />

stessa struttura, insieme al fatto che le subordinate sono poste tutte e tre prima della<br />

proposizione principale (strofa 4), crea un clima di attesa, una certa suspense per quanto riguarda<br />

il seguito del discorso. Questa "attesa" ha un nome ben preciso nel gergo letterario : si tratta di un<br />

climax, per cui la disposizione in modo ascendente di certi elementi sintattici crea un "clima" di<br />

tensione, di aspettativa. La tensione accumulata lungo le tre prime strofe, volutamente pesanti in<br />

struttura e contenuti, esplode nella quarta strofa, nella proposizione principale. L'ultima strofa,<br />

che è anche l'ultima frase della poesia, nonostante abbia una propria indipendenza sintattica (ed<br />

anche visiva: c'è uno spazio bianco tra le varie strofe), è legata alle altre dall'uso del segno<br />

tipografico " - " e dalla congiunzione con la quale comincia ( - E... ). Essa rappresenta una<br />

conseguenza delle strofe precedenti, una specie di "rilassamento" finale dopo l'esplosione del<br />

climax.<br />

Campi semantici principali:<br />

La claustrofobia: il cielo basso che pesa come un coperchio (strofa 1); l'immagine di una<br />

prigione umida ed altrettanto bassa (il pipistrello vi vola sbattendo le ali sulle pareti e<br />

picchiando la testa sul soffitto) (str. 2); di nuovo l'immagine di una prigione attraverso le<br />

strisce di pioggia (str. 3).<br />

L'umidità : la prigione umida e il soffitto marcio (str. 2) ; la pioggia (str. 3) ; ma anche il<br />

pianto (str. 5).<br />

Il suono, il rumore : le campane, le urla, i gemiti (str. 4) ; ma anche l'assenza di rumore, il<br />

silenzio funebre della strofa 5 (senza tamburi né bande).<br />

I colori : la luce nera del giorno (str. 1) e il vessillo altrettanto nero dell'Angoscia.<br />

Antitesi:<br />

L'antitesi è presente in maniera interessante in questa poesia, e rappresenta uno dei maggiori<br />

tratti caratteristici della poetica di Baudelaire.


Il "cielo basso e greve" (v. 1) mette in contrasto il nome cielo, normalmente associato ad<br />

una idea di immensità, di infinito, di ascensione, con due aggettivi che, al contrario,<br />

indicano finitudine, decadimento, pesantezza, incapacità di muoversi (e qui, ovviamente, si<br />

rimanda al campo semantico della claustrofobia).<br />

Lo "spirito che geme" (v. 2) mette in contrasto lo spirito, cioè quella parte dell'uomo che è<br />

considerata la più elevata, la più "divina", con il gemere, atto che sottolinea invece una<br />

miserevole condizione da reietto. Difatti, più avanti, nella strofa 4, di nuovo l'idea del<br />

lamento viene assimilato a degli " spiriti vaganti e senza patria".<br />

Il "giorno nero" (v. 4) è una chiara antitesi, nel senso che a "giorno" si potrebbe sostituire<br />

"luce" senza alterare il senso della poesia, mettendo in rilievo il contrasto assoluto di<br />

un'espressione come "luce nera".<br />

La "timida ala" (v. 7) è pure, in un certo senso, un'antitesi, nel senso che mentre l'ala è<br />

solitamente associata ad una idea di libertà, l'aggettivo timida immediatamente riporta<br />

all'idea dell'impossibilità di fuggire, di liberarsi.<br />

Osservazioni conclusive:<br />

La struttura della poesia e il suo contenuto tematico si articolano in maniera tale da creare<br />

un ritmo, un movimento particolare : lento e pesante all'inizio (str. 1, 2 e 3), poi<br />

improvvisamente forte (str. 4), infine lentissimo (str. 5), tanto da ricordare uno schema di<br />

sonorità secondo l'alternanza piano-fortissimo-pianissimo*, racconta un'esperienza<br />

drammatica vissuta tanto interiormente che esteriormente.<br />

C'è un forte senso di costrizione nella poesia: tutto porta a mettere l'accento sull'idea della<br />

disperazione dovuta all'incapacità di liberarsi, di respirare. Il poeta esprime così il dramma<br />

del proprio tedio, dello "spleen" che gli impedisce di elevarsi, di toccare il lato divino della<br />

propria esistenza. Questa osservazione ci riconduce alla concezione del poeta propria di<br />

Baudelaire. Per lui, esso è un uomo diverso dagli altri, al contempo benedetto e maledetto<br />

: benedetto, perché capace di cogliere significati superiori, di elevarsi al cielo con la sua<br />

poesia ; maledetto, perché nonostante il suo continuo anelito al divino, rimane pur sempre<br />

un uomo, facile preda dello "spleen". Questa contraddizione della condizione del poeta è<br />

una costante nell'opera di Baudelaire, e qui la ritroviamo espressa, oltre che dall'intera<br />

poesia, anche dalla presenza delle frequenti antinomie.<br />

Ma se è vero che il poeta è, per Baudelaire, un eletto (nel bene e nel male), e che perciò la<br />

sua poesia esprime la propria intima condizione, non si può negare che lui rende<br />

universale la sua esperienza. Nella poesia, non soltanto il malessere personale dell'IO<br />

invade l'intero universo (il cielo basso e greve versa una luce nera sull'intero giro<br />

dell'orizzonte - v. 3), ma il poeta esprime esplicitamente il suo tentativo di legarsi agli altri<br />

uomini attraverso un vincolo di fratellanza quando parla, al v. 12, dei ragni che tendono le<br />

loro reti in fondo ai nostri cervelli.<br />

Lo stile ed i contenuti della poesia di Baudelaire, che per noi non hanno niente di<br />

particolarmente scioccante, sono stati all'epoca del poeta vittime di censure ed<br />

incomprensioni (ricordiamo che le Fleurs du mal sono del 1857). Come mai? I motivi sono<br />

molteplici, e li vedremo più in dettaglio casomai analizzando altre poesie della raccolta, ma<br />

già a partire da Spleen è possibile accorgersi della profonda originalità di Baudelaire<br />

rispetto alla letteratura precedente: usando parole basse e crude come coperchio (v. 1),


parlando di animali che normalmente sono associati a sentimenti di repulsione, come il<br />

pipistrello (v. 6) e il popolo muto d'infami ragni (v. 11), usando, quindi, metafore altamente<br />

vivide (le campane che sbattono con furia, ecc. ), Baudelaire è il primo poeta a mescolare al<br />

simbolismo della propria lirica un realismo crudo e volutamente scioccante.<br />

* E' Leo Spitzer, un critico eminente, che ha fatto questa interessante similitudine tra la poesia di<br />

Baudelaire e lo schema musicale a tre tempi.


Gabriele D'Annunzio<br />

La Sabbia del tempo (in Alcyone,<br />

1902)<br />

Come scorrea la calda sabbia lieve<br />

Per entro il cavo della mano in ozio,<br />

Il cor sentì che il giorno era più breve.<br />

E un'ansia repentina il cor m'assalse<br />

5 Per l'appressar dell'umido equinozio<br />

Che offusca l'oro delle piagge salse.<br />

10<br />

Alla sabbia del Tempo urna la mano<br />

Era, clessidra il cor mio palpitante,<br />

L'ombra crescente d'ogni stelo vano<br />

Quasi ombra d'ago in tacito quadrante.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

La Sabbia del tempo è un titolo assai significativo che fa immediatamente ricordare un oggetto<br />

legato ad entrambi i sostantivi, la clessidra. Essa è il mezzo col quale, anticamente, si misurava lo<br />

scorrere del tempo; è anche il luogo in cui, materialmente, oltre al tempo scorre la sabbia, da<br />

un'estremità del vetro all'altra. In questo titolo sono perciò riassunte l'idea del tempo che passa, la<br />

vista materiale dello scorrere dell'esistenza e la nostalgia del passato, ma anche la ciclicità del<br />

rapporto vita/morte e l'interscambiabilità fra l'alto e il basso perché, per funzionare, la clessidra<br />

deve essere continuamente rovesciata.<br />

Metrica:<br />

La poesia si compone di tre strofe, di cui le prime due sono terzine e la terza una quartina. I versi<br />

sono tutti endecasillabi. Questo schema riprende quello del madrigale antico, componimento di 2-<br />

3 strofe di versi brevi terminate da un distico. Si può infatti considerare l'ultima strofa come il<br />

raggruppamento di due distici. In origine questo metro era usato per la poesia galante; da Pascoli,<br />

però, esso è usato anche in lode alla natura.<br />

Lo schema delle rime è il seguente: ABA, CBC, DEDE.<br />

Campi semantici:<br />

Il movimento: lo scorrere della sabbia contro l'ozio (l'immobilità) della mano (vv. 1-2);<br />

l'assalto al cuore dell'ansia all'appressarsi dell'equinozio (v. 4-5); il cuore che palpita e<br />

l'ombra che cresce (8-9).


La morte: il giorno che diventa più breve e quindi muore (v. 3); l'urna della sabbia del<br />

Tempo (v. 7); l'immagine dell'ombra che cresce e invade il giorno, la solarità dell'estate che<br />

finisce (v. 9); l'inutile vitalità delle piante (ogni stelo vano, v. 9); il silenzio del tacito<br />

quadrante (v. 10).<br />

Figure retoriche:<br />

Sono degne di nota le figure di ripetizione fonica, o allitterazioni. In particolare, tutta la poesia<br />

gioca sull'intreccio e il contrasto di occlusivi e fricativi, tra il suono /k/ (Come scorrea la calda..., v.<br />

1, ecc) e il suono /s/ (m'assalse per l'appressar..., vv. 4-5, ecc). Il ritmo è dunque cadenzato dai<br />

suoni cupi e duri del /k/, che ricordano il battito delle ore, inframezzato dalla dolcezza, dalla lievità<br />

della sibilante /s/, che esprime la nostalgia dovuta alla consapevolezza dello scorrere del tempo,<br />

del tempo che se ne va, in un presentimento di morte.<br />

Altra ripetizione importante è l'iterazione della parola cor, presente una volta in ogni strofe (v. 3, 4<br />

e 8). Tutto il senso di ciò che esprime la poesia è tradotto e letto attraverso la ricettività del cuore<br />

del poeta: nella prima strofe il cuore sente che il giorno è più breve; nella seconda, l'ansia assale il<br />

cuore; nella terza, il cuore è palpitante; il tutto in un crescendo emotivo (o climax) che<br />

accompagna la riflessione dell'anima sulla fuggevolezza dell'essere.<br />

Tuttavia, la figura retorica sulla quale si costruisce l'intera poesia è la metafora, al livello<br />

microscopico ma soprattutto al livello macroscopico: la calda sabbia che scorre nel cavo della<br />

mano (vv. 1-2), la mano come urna della sabbia come cenere (vv. 7-8), il cuore come clessidra (v.<br />

8) e gli steli delle piante come ago di un quadrante (9-10) sono tutte espressioni che<br />

rappresentano un'unica, grande metafora che vuole il corpo del poeta come una clessidra vivente<br />

in cui sentire, fisicamente e psicologicamente, lo scorrere inesorabile del tempo.<br />

Osservazioni conclusive:<br />

La Sabbia del tempo fa parte di un insieme di madrigali, chiamati "Madrigali dell'estate", in<br />

cui il poeta ripercorre cronologicamente le tappe della calda stagione, dal suo<br />

approssimarsi, al suo culmine (ad es. A Mezzodì), fino al suo termine. Ognuno di questi<br />

madrigali esprime una forte unione tra il poeta e la natura, che spesso assume i connotati<br />

di una vera e propria fusione spirituale e, più ancora, carnale. Nella Sabbia del tempo il<br />

poeta diventa clessidra e urna del Tempo che scorre; in Mezzogiorno, per fare un altro<br />

esempio, il poeta racconta del suo incontro violento e voluttuoso con una ninfa,<br />

incarnazione della piena estate (tutta la raccolta dell'Alcyone è dominata da una visione<br />

panica della natura).<br />

La forte musicalità del madrigale, capace di esprimere da sé sola l'intero senso racchiuso<br />

nei versi, è tipica della poesia dannunziana. Spesso le poesie di quest'autore sembrano<br />

trovare giustificazione unicamente nel dispiegamento musicale di versi, parole, suoni<br />

attentamente accordati. Soltanto una lettura ad alta voce può rendere fino in fondo l'idea<br />

di questa attenta ricerca formale; una lettura, del resto, non sempre agevole perché<br />

spesso costretta a dare respiro a preposizioni piuttosto lunghe e articolate.<br />

Le immagini costruite lungo i versi, assieme alle metafore numerose, sono la descrizione di<br />

uno scenario quasi surreale: vediamo su una spiaggia al tramonto il poeta che con la mano<br />

liscia la sabbia, e a questa immagine se ne sovrappone subito un'altra, quella della


trasformazione del poeta in una clessidra vivente e palpitante, seduto su un enorme<br />

quadrante silenzioso e un po' inquietante (la spiaggia), accanto agli aghi degli steli degli<br />

arbusti. È una visione quasi onirica e metafisica del rapporto tra l'uomo e il tempo, che ci<br />

può ricordare i quadri di un De Chirico o di un Dalì, dove oggetti e uomini sono ridotti a<br />

funzione simbolica.


Letteratura e... musica:<br />

La poesia di Fabrizio De Andre'<br />

Un piccolo tributo ad uno dei maggiori cantautori e poeti<br />

italiani<br />

Letteratura e musica<br />

Letteratura e musica<br />

Un esempio: La guerra di Piero<br />

Piccola bozza di analisi<br />

Letteratour segnala<br />

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I legami tra la letteratura e la musica sono antichissimi, tanto che, potremmo dire, la distinzione<br />

dei generi artistici è sentita maggiormente solo da noi moderni, mentre secoli fa spesso non si<br />

pensava ad alcuni generi letterari senza richiamarsi automaticamente alla musica. Molta parte<br />

della letteratura nasce, infatti, come supporto a melodie, e viceversa molte melodie sono state<br />

composte appositamente per accompagnare racconti. Nella maggior parte delle culture antiche i<br />

testi poetici erano composti per essere accompagnati da musica. Nel Medioevo, periodo dei<br />

trovatori provenzali, degli stilnovisti e del Petrarca, molto spesso la poesia si lega intimamente alla<br />

musica e nascono molti generi che ancora oggi mantengono un certo rapporto con la musica (ad<br />

es. le ballate, i canti carnascialeschi, ecc.); non è un caso se le poesie di Leopardi continuano a<br />

chiamarsi Canti. Questo legame appare più evidente se si considera come, spesso, gli stessi autori<br />

di opere letterarie sono, al contempo, musicisti o compositori (ad es. Hoffmann, Wagner, Arrigo<br />

Boito).<br />

Queste brevi riflessioni, certo insignificanti di fronte alla vastità e complessità dei rapporti tra i due<br />

generi artistici, nascono come semplice tentativo di mettere in luce il doppio piacere che può<br />

derivare dal congiungere insieme due ambiti tanto importanti come quello della melodia e quello<br />

del racconto poetico; un piacere, questo, che ha da sempre accompagnato la sensibilizzazione<br />

dell'uomo.<br />

Un esempio: La guerra di Piero<br />

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La guerra di Piero, canzone celeberrima dell'inizio degli anni 1960, è il racconto al contempo dolce<br />

e triste della contradditorietà e stupidità della guerra, fatto dal punto di vista di chi l'ha vissuta in<br />

prima persona, un semplice soldato. Riporto qui di seguito il testo della canzone.<br />

Dormi sepolto in un campo di grano<br />

Non è la rosa, non è il tulipano


Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi<br />

Ma sono mille papaveri rossi.<br />

«Lungo le sponde del mio torrente<br />

Voglio che scendano i lucci argentati,<br />

Non più i cadaveri dei soldati<br />

Portati in braccio dalla corrente».<br />

Così dicevi ed era d'inverno<br />

E come gli altri verso l'inferno<br />

Te ne vai triste come chi deve;<br />

Il vento ti sputa in faccia la neve.<br />

Fermati Piero, fermati adesso,<br />

lascia che il vento ti passi un po' addosso,<br />

Dei morti in battaglia ti porti la voce:<br />

"Chi diede la vita ebbe in cambio una croce".<br />

Ma tu non la udisti e il tempo passava<br />

Con le stagioni, a passo di giava,<br />

Ed arrivasti a passar la frontiera<br />

In un bel giorno di primavera.<br />

E mentre marciavi con l'animo in spalla<br />

Vedesti un uomo in fondo alla valle<br />

Che aveva il tuo stesso identico umore<br />

Ma la divisa di un altro colore.<br />

Sparagli Piero, sparagli ora,<br />

E dopo un colpo sparagli ancora,<br />

Fino a che tu non lo vedrai esangue<br />

Cadere a terra a coprire il suo sangue.<br />

«E se gli sparo in fronte o nel cuore,<br />

Soltanto il tempo avrà per morire,<br />

Ma il tempo a me resterà per vedere,<br />

Vedere gli occhi di un uomo che muore».<br />

E mentre gli usi questa premura,<br />

Quello si volta, ti vede, ha paura<br />

Ed imbracciata l'artiglieria<br />

Non ti ricambia la cortesia.<br />

Cadesti a terra senza un lamento<br />

E ti accorgesti in un solo momento


Che la tua vita finiva quel giorno<br />

E non ci sarebbe stato ritorno.<br />

«Ninetta mia, a crepare di maggio<br />

Ci vuole tanto, troppo coraggio,<br />

Ninetta bella, dritto all'inferno<br />

Avrei preferito andarci d'inverno».<br />

E mentre il grano ti stava a sentire<br />

Dentro alle mani stringevi il fucile,<br />

Dentro alla bocca stringevi parole<br />

Troppo gelate per sciogliersi al sole.<br />

Dormi sepolto in campo di grano<br />

Non è la rosa, non è il tulipano<br />

Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi<br />

Ma sono mille papaveri rossi.<br />

Piccola bozza di analisi<br />

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SCHEMA METRICO<br />

Canzone di 13 strofe; ogni strofa è composta da 4 endecasillabi. Le rime sono talvolta baciate,<br />

talatra incrociate.<br />

NARRAZIONE<br />

Come un vero e proprio racconto, abbiamo qui essenzialmente due voci: quella del narratore e<br />

quella del protagonista.<br />

Il narratore è esterno e parla in terza persona, ma in alcuni momenti entra nella narrazione con le<br />

sue esortazioni («Fermati Piero», «Sparagli Piero»), immedesimandosi nella situazione e perciò<br />

provocando anche un maggior coinvolgimento nel lettore/ascoltatore. Il discorso riportato di<br />

Piero, che si trova in tre strofe (strofa 2, 8 e 11), rende più tangibile la figura di Piero (che<br />

altrimenti rimarrebbe un semplice soldato-fantasma in mezzo a molti altri) accentuando così il<br />

coinvolgimento del lettore/ascoltatore.<br />

RITMO<br />

Oltre ad essere musicata, questa canzone presenta a livello testuale numerose ripetizioni che le<br />

danno un ritmo particolare e che sottolineano nel testo i passaggi più carichi di significato e di<br />

emotività.<br />

Così, ad esempio, nella strofa 8, in cui si riporta il discorso centrale di Piero (se sparo a quel soldato<br />

io vedrò morire un uomo), si ripetono per due volte le espressioni: "il tempo" e "vedere". Il tempo<br />

infatti è protagonista della situazione: mentre Piero si sofferma a riflettere sul fatto che proprio il<br />

tempo darà a lui la possibilità di vedere un uomo che muore, egli perde irrimediabilmente tempo e


dà così modo all'altro di agire. Infatti, a differenza della strofa 8 che con le sue ripetizioni scandisce<br />

un tempo assai lento, la strofa 9, quella in cui l'altro soldato agisce senza perdere tempo, si muove<br />

su un ritmo veloce, asindetico: "si volta, ti vede, ha paura".<br />

CAMPI SEMANTICI e ANTITESI<br />

- la morte: il dormire sepolto, l'ombra dei fossi, i cadaveri dei soldati, l'inverno, i morti in battaglia,<br />

la croce, i colpi da sparare, il vedere un uomo che muore, le parole gelate.<br />

- la vita: il grano, i papaveri rossi, i lucci argentati, la primavera, la figura dell'amata (Ninetta).<br />

- il tempo: il fermarsi, il tempo che passa, il passare delle stagioni, il tempo che rimane per vedere,<br />

il non-ritorno dalla morte.<br />

L'antitesi principale sulla quale si costruisce la poesia è quella tra la morte e la vita, dove ogni<br />

elemento appartenente al campo semantico dell'uno si trova in prossimità e in contrasto con gli<br />

elementi del campo semantico dell'altro. Tra i due termini, il tempo costituisce il tramite o la<br />

separazione, talvolta come mezzo di passaggio dalla vita alla morte (la perdita di tempo di Piero<br />

che è causa della sua morte), talatra come confine invalicabile tra i due mondi («ti accorgesti in un<br />

solo momento che (...) non ci sarebbe stato ritorno»).<br />

Letteratour segnala<br />

Un sito che ci è piaciuto su Fabrizio De Andre':<br />

http://www.faberdeandre.com<br />

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Gustave Flaubert<br />

La signora Bovary (1857)<br />

Di fronte, sopra i tetti, la piena campagna si stendeva a perdita d'occhio. In basso, sotto di lei, la<br />

piazza del paese era vuota, le pietre del marciapiede brillavano, i segnavento delle case stavano<br />

immobili; all'angolo della strada, da un piano inferiore partì una sorta di ronzio a modulazioni<br />

stridenti. Era Binet che girava la ruota.<br />

Essa si era appoggiata contro la cornice della finestra della mansarda e rileggeva la lettera con<br />

degli sghignazzamenti di rabbia. Ma più ci si fissava, più le sue idee si confondevano. Lo rivedeva,<br />

lo risentiva, lo riabbracciava tutto; e i battiti del cuore, che la colpivano sotto il petto come dei<br />

grandi colpi di ariete, acceleravano uno dopo l'altro, a intermittenza irregolare. Essa gettava lo<br />

sguardo intorno a sé con il desiderio che la terra crollasse ai suoi piedi. Perché non farla finita? Chi<br />

mai la tratteneva? Era libera. E avanzò di un passo, guardò il pavimento dicendosi:<br />

- Su! Su!<br />

Il raggio luminoso che saliva direttamente dal piano inferiore tirava verso l'abisso il peso del suo<br />

corpo. Le sembrava che il suolo, nella piazza, oscillando si alzava lungo le mura, e che il pavimento<br />

si inclinasse in fondo, come un veliero che beccheggia. Essa rimaneva sull'orlo, quasi sospesa,<br />

attorniata da uno spazio enorme. L'azzurro del cielo invadeva la sua persona, l'aria circolava<br />

all'interno della sua testa vuota, non le restava che cedere, che lasciarsi prendere; e il ronzio della<br />

ruota non finiva, come una voce furiosa che la chiamava.<br />

- Moglie mia! Moglie mia! gridò Charles.<br />

Essa si fermò.<br />

- Dove sei? Vieni!<br />

L'idea che veniva di scampare alla morte rischiò di farla svenire dal terrore; chiuse gli occhi; poi<br />

rabbrividì al contatto di una mano sulla sua manica: era Félicité.<br />

- Il signore la aspetta, signora; la minestra è in tavola.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

Il titolo fa riferimento ad un nome, presumibilmente il personaggio principale del romanzo. Di<br />

questo personaggio si può già sapere che è una donna, che è sposata (è una signora) e che quindi<br />

Bovary è il cognome del marito.<br />

Stile narrativo e struttura:<br />

La narrazione è fatta alla terza persona da un narratore esterno, focalizzato sul personaggio<br />

principale (lei, presumibilmente proprio la signora Bovary). Il passo citato è diviso in quattro<br />

paragrafi: il primo è una descrizione fatta dal punto di vista del personaggio; il secondo e il terzo


paragrafo sono un'analisi dei suoi stati d'animo; l'ultimo, infine, rappresenta un ritorno alla realtà<br />

esterna.<br />

Personaggi:<br />

Il personaggio principale è lei, su cui si focalizza la narrazione (il pronome essa è ripetuto più<br />

volte). Appaiono anche altri figure: Binet, importante perché rappresenta un elemento di realtà<br />

con il suo produrre rumore; l'autore della lettera (di cui si sa che è un uomo amato dalla<br />

protagonista); Charles, il marito, che irrompe sulla scena con la voce; Félicité, l'unico personaggio<br />

ad apparire di persona assieme alla protagonista. Colpisce la sensazione di vuoto e di solitudine<br />

che trapela dal brano nonostante poi siano presenti, direttamente o indirettamente, ben 5<br />

personaggi.<br />

Campi semantici:<br />

Lo spazio: la presenza di numerosi indicatori di spazio (di fronte, sopra i tetti; in basso,<br />

sotto di lei; all'angolo della strada; da un piano inferiore; dal piano inferiore; lungo le mura;<br />

ecc.), assieme a la piena campagna che si stende a perdita d'occhio, il vuoto della piazza del<br />

paese, l'abisso, lo spazio enorme, danno alla coordinata spaziale un'importanza particolare:<br />

mentre da un lato si definisce con esattezza la posizione del personaggio rispetto al<br />

paesaggio e il suo punto di vista, dall'altro si mettono in evidenza elementi che danno un<br />

senso di confusione e di vertigine (la vista dall'alto, gli spazi immensi, ecc.). La finestra della<br />

mansarda, spazio di confine tra la mansarda e l'esterno, rappresenta il confine tra il mondo<br />

dell'interiorità e quello dell'esteriorità.<br />

Il rumore: nel primo paragrafo, il rumore è il ronzio del lavoro di Binet, a modulazioni<br />

stridenti; nel paragrafo 2, incentrato sui sentimenti del personaggio, abbiamo gli<br />

sghignazzamenti e i colpi di ariete del cuore che batte; nel paragrafo 3 torna ad essere<br />

preponderante il ronzio di Binet, come uno stridore che disturba, come una voce furiosa<br />

che la chiamava, che si confonde con la voce reale del marito che, effettivamente, la<br />

chiama; nell'ultimo paragrafo è la voce di Félicité, che riporta la signora alla realtà, e si<br />

accompagna di una scossa alla manica.<br />

Il movimento: nel primo paragrafo tutto è immobile, tranne la ruota girata da Binet; nel<br />

secondo paragrafo il movimento è tutto interiore, è agitazione del cuore e della mente che<br />

ricorda e precipita nella memoria, agitazione che si concretizza nell'avanzamento di un<br />

passo; nel terzo paragrafo il movimento rimane interno alla mente, ma prende la forma di<br />

un movimento esterno: è il giramento di testa, la vertigine per cui sembra che il suolo<br />

oscilli, che il pavimento si muova, che il cielo cada; nell'ultimo paragrafo è il movimento<br />

della mano che tocca la manica della signora, riportandola alla realtà.<br />

Osservazioni conclusive:<br />

Tra le grandi doti di Gustave Flaubert troviamo la capacità di giostrare uno stile narrativo<br />

che passa quasi inavvertitamente dalla descrizione oggettiva alla focalizzazione su un<br />

personaggio. Questo passo è un esempio mirabile di questa dote dello scrittore, capace di


appresentare in un racconto alla terza persona il mondo interiore del proprio personaggio<br />

senza che il lettore se ne accorga, in maniera dolce e "indolore". La tecnica narrativa di<br />

Flaubert, avvalendosi di descrizioni accurate e al contempo soggettive e dell'uso dello stile<br />

indiretto libero, prefigura già alla fine del XIX secolo il passaggio dal narratore onnisciente<br />

(alla Manzoni) al moderno monologo interiore (alla Joyce).<br />

Questo particolare stile narrativo dà al personaggio di Flaubert un carattere assolutamente<br />

realistico e intenso, che spiega bene come lo scrittore sia potuto arrivare a dire: "La<br />

signora Bovary, sono io". Il titolo del romanzo, focalizzandosi sulla protagonista, si adegua<br />

alla rappresentazione di un personaggio descritto come fosse vivente.<br />

D'altra parte, se Flaubert dà al suo personaggio tanta vita e tante sensazioni, ciò non<br />

significa che l'autore si immedesimi in lui. Vi è una profonda e sottile ironia nella<br />

narrazione dovuto ad un certo distacco tra il personaggio e il suo creatore, un distacco<br />

sentito anche dal lettore. Nel passo riportato, ad esempio, è interessante notare come<br />

l'episodio di questo tentato suicidio, con tutta la sua drammaticità, finisca con le parole<br />

della serva: "la minestra è in tavola". I grandi slanci amorosi della protagonista, il suo<br />

perdersi nell'immensità dell'azzurro del cielo, i battiti accelerati del cuore sono costretti a<br />

tornare al contatto con la realtà. La minestra, cibo quotidiano della campagna (e il<br />

paesaggio descritto è tutto campagnolo), associato ad un universo di cose di bassa<br />

levatura, si accompagna male ai voli amorosi della lettera di un'amante.<br />

La contraddizione tra la semplicità della vita di campagna e la complessità della vita<br />

interiore della protagonista, resa esplicita in questo passo dall'ironia dello scrittore, è una<br />

rappresentazione in piccolo di quello che è stato chiamato "il bovarismo": la tendenza<br />

dell'animo complesso e incontentabile a vivere situazioni romanzesche e non realistiche,<br />

alla ricerca di piaceri particolari, sempre più intensi. Esso è anche, da un certo punto di<br />

vista, sinonimo di snobismo (si snobba la realtà in cui si vive anelando a qualcosa<br />

considerato migliore, sia economicamente che socialmente.


Henri James<br />

Il giro di vite (1898) in Racconti di<br />

fantasmi<br />

Non erano mai importuni, eppure non si mostravano mai sbadati. Tutta la mia sorveglianza<br />

consisteva in realtà nell'osservarli mentre si divertivano immensamente senza di me, e questo<br />

spettacolo, allestito da loro con cura particolare, mi coinvolgeva nella parte di ammiratrice<br />

appassionata. Mi muovevo in un mondo di loro invenzione... né loro avevano occasione di entrare<br />

nel mio; sicché il mio tempo era impiegato solo nel rappresentare, per loro, qualche persona o<br />

cosa straordinaria che il gioco momentaneamente richiedeva; il che, grazie al mio ruolo superiore<br />

e onorevole, rappresentava una sinecura felice e molto rispettabile. Non ricordo che cosa fossi in<br />

quell'occasione; ricordo soltanto ch'ero qualcosa di molto importante e molto calmo, e che Flora<br />

stava recitando con grande impegno. Eravamo sulle rive del laghetto e, poiché avevamo<br />

cominciato da poco a studiare geografia, il laghetto era il mare d'Azof.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

La vite (in inglese, screw) è un oggetto metallico che entra nelle superfici e nei materiali (muratura,<br />

legno, ecc) girando su se stessa, per fissare altri oggetti. Intitolare Giro di vite una novella è una<br />

scelta piuttosto anomala, ma molto interessante: rimandando all'immagine di qualcosa che gira su<br />

se stesso per fissarsi, ad esempio, in un muro, si può fare allusione ad un atteggiamento umano e<br />

psicologico, ad una volontà ostinata e chiusa che vuole fissarsi su qualcosa. Ma questa è solo<br />

un'ipotesi che chiede di essere confermata dalla lettura del testo. Un titolo di questo genere<br />

necessita di una reinterpretazione a fine lettura.<br />

Stile narrativo e personaggi:<br />

La narrazione, almeno nel paragrafo riportato, si svolge in prima persona: il narratore corrisponde<br />

al protagonista. Tutta la vicenda narrata è dunque riportata dal punto di vista e dalla voce del<br />

personaggio che l'ha vissuta. L'intero paragrafo è di tipo descrittivo, ma ciò che viene descritto non<br />

è il mondo esteriore, oggettuale, bensì il mondo interiore, i pensieri e i sentimenti provati dal<br />

protagonista.<br />

Il narratore e protagonista della vicenda è una donna, verosimilmente giovane, che interagisce con<br />

altri due personaggi: due bambini di cui, lo si intuisce dal testo, è l'istitutrice e/o la governante.<br />

Campi semantici:


La negazione: si trovano nel testo molte espressioni di negazione (non erano mai, non si<br />

mostravano mai, né loro avevano occasione, non ricordo...) o di restrizione (Tutta la mia<br />

sorveglianza consisteva in realtà..., senza di me, il mio tempo era impiegato solo nel...,<br />

ricordo soltanto...). Il carattere narrativo del paragrafo sembra così piuttosto vago e<br />

indefinito, nonostante abbia una natura descrittiva curata nei particolari.<br />

L'enfasi: la protagonista sembra tenere all'accuratezza del proprio racconto, ma il testo è<br />

ricco di espressioni enfatiche: mai importuni, mai sbadati, si divertivano immensamente,<br />

persona o cosa straordinaria, ruolo superiore, molto rispettabile, molto importante e molto<br />

calmo, grande impegno.<br />

Il gioco, la fantasia: i bambini si divertivano insieme, allestendo uno spettacolo, tutti si<br />

muovono in un mondo di loro invenzione, il tempo della protagonista è impiegato nel<br />

rappresentare qualcosa o qualcuno nel gioco dei bambini, Flora stava recitando con grande<br />

impegno.<br />

L'estraneità io/loro: la governante non partecipa ai giochi dei bambini, ne è coinvolta solo<br />

come ammiratrice (appassionata sì, ma pur sempre esterna); i bambini si divertono senza<br />

di [lei]; bambini e governante appartengono a mondi separati (né loro avevano occasione di<br />

entrare nel mio). La parola loro, presente nel paragrafo ben quattro volte, è sempre posto<br />

in contrapposizione all'io, al mio, ecc. L'unico momento in cui i due mondi si incontrano è<br />

alla fine, nella penultima frase (Non ricordo che cosa fossi in quell'occasione; ricordo<br />

soltanto ch'ero qualcosa di molto importante e molto calmo, e che Flora stava recitando<br />

con grande impegno), in cui però la dimenticanza del ruolo assunto rispetto al gioco dei<br />

bambini rende scarso il valore di questa unione.<br />

L'accento messo sulla dignità: i bambini sembrano educati al limite della verosimiglianza<br />

(Non erano mai importuni, non si mostravano mai sbadati, allestito da loro con cura<br />

particolare), mentre il ruolo della governante è superiore e onorevole, e rappresenta una<br />

sinecura felice e molto rispettabile. Persino nel gioco, anche se non si ricorda che ruolo<br />

avesse, la protagonista assicura che era qualcosa di molto importante e molto calmo.<br />

Osservazioni conclusive:<br />

L'analisi di questa novella di James presenta qualche difficoltà, non tanto perché racconta<br />

di eventi che lasciano aperti molti quesiti al lettore (appartiene infatti ai Racconti di<br />

fantasmi) ma per il carattere della narrazione. Essa è gestita da un personaggio la cui<br />

onestà e credibilità dev'essere data per scontato dal lettore che legge. In realtà nel testo si<br />

trovano alcuni particolari molto importanti, anche se di non facile individuazione, che<br />

minano proprio la sua credibilità. L'eccessiva attenzione ai particolari e alla rispettabilità<br />

dei ruoli da assumere, accompagnati da vuoti di memoria su altri particolari, danno<br />

l'impressione di avere a che fare con un personaggio paranoico (la paranoia è proprio<br />

quello stato di psicosi che si caratterizza da delirio cronico di persecuzione, di gelosia e/o di<br />

grandezza). La mente della protagonista sembra non essere in grado di attuare una<br />

distinzione tra fantasia e realtà. Per di più, essa si contraddice almeno una volta, e proprio<br />

su questo punto, quando afferma innanzitutto di non partecipare ai giochi dei bimbi e di<br />

esserne solo l'osservatrice, l'ammiratrice appassionata; poi di entrarvi dentro come<br />

personaggio che deve recitare, rappresentare qualcosa per loro. L'insistenza sulla<br />

rispettabilità del proprio ruolo (superiore e onorevole), ribadito dal concetto che persino


nel gioco essa rappresenti qualcosa di molto importante e molto calmo, insinua al contrario<br />

nel lettore l'idea che lei sia ossessionata dalla paura di essere esclusa e inferiore, e<br />

nient'affatto calma di nervi ma sovraeccitata dalla propria fantasia.<br />

L'uso di una narrazione così poco attendibile è frutto, in James, di una riflessione sul<br />

problema del punto di vista in letteratura. Il tentativo di dedicarsi al teatro, tra il 1890 e il<br />

1895, apre allo scrittore la consapevolezza dell'importanza della tecnica narrativa per<br />

rappresentare scenicamente un racconto. È proprio l'utilizzo di un punto di vista interno e<br />

poco attendibile a creare nel racconto un'aura di ambiguità e mistero, tipici della narrativa<br />

moderna. Lasciando da parte la figura del narratore onnisciente e coinvolgendo nella<br />

narrazione gli stessi meccanismi dello strumento narrativo, James opera una messa in<br />

discussione della stessa opera d'arte e dei suoi principi compositivi, anticipando così tanta<br />

riflessione metaletteraria di tutto il Novecento, dal Modernismo al Nouveau roman.<br />

Michel de Montaigne<br />

Saggi (vol. III) (1588)<br />

Gli altri formano l'uomo; io lo racconto e ne rappresento uno in particolare assai mal fatto, e il<br />

quale, se avessi da modellare nuovamente, farei invero diverso da quel che è. Oramai, è fatto. Ora,<br />

le linee del mio ritratto non si disperdono, benché cambino e si diversifichino. Il mondo non è che<br />

un movimento continuo. Ogni cosa vi si muove senza tregua: la terra, le rocce del Caucaso, le<br />

piramidi d'Egitto, e del movimento pubblico e del proprio. La stessa costanza altro non è che un<br />

movimento più languido. Non posso assicurare il mio oggetto. Se ne va fosco e barcollante, di una<br />

ebbrezza naturale. Lo colgo in questo punto, come si presenta, nell'istante in cui me ne interesso.<br />

Non dipingo l'essere. Dipingo il passaggio […]. E' un controllo di diversi e mutevoli avvenimenti<br />

cangianti e d'immaginazioni irrisolte e, quando capita, contrarie; che io sia un altro me stesso, o<br />

che io colga i soggetti da altre circostanze e considerazioni. Tant'è che mi contraddico talvolta, ma<br />

la verità, come diceva Demadio, non la contraddico affatto. Se la mia anima potesse essere ferma,<br />

non mi saggerei, mi risolverei; è sempre in formazione e in prova. Quella che propongo è una vita<br />

semplice e senza lustro, è un tutt'uno. Si può legare altrettanto bene tutta la filosofia morale a una<br />

vita popolare e privata che a una vita di stoffa più ricca; ciascun uomo porta in sé la forma intera<br />

dell'umana condizione.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

(Tradotto da: Michel de Montaigne, Essais III, ed. Folio Gallimard, 1996)


Il titolo sembra perdersi nell'insieme tanto vasto quanto anonimo del genere del saggio. In realtà,<br />

il contenuto di questo passo mostra fino a che punto esso sia significativo ed appropriato: il libro si<br />

intitola "saggio" precisamente e letteralmente perché lo scopo dell'autore è quello di saggiarsi<br />

attraverso la scrittura, e allo stesso tempo quello di farsi saggiare dal lettore. Infatti, l'oggetto del<br />

libro è il racconto di sé in quanto uomo ("io racconto [l'uomo] e ne rappresento uno in<br />

particolare"). Un riferimento chiaro al legame che c'è tra il titolo e il saggiarsi si trova alla fine del<br />

primo paragrafo: "Se la mia anima potesse essere ferma, non mi saggerei, mi risolverei"; qui<br />

Montaigne indica esplicitamente la ragione del suo libro, e quella della scelta del titolo.<br />

Oggetto:<br />

Se è vero che l'oggetto del racconto è un uomo "in particolare", ciò non significa che esso sia<br />

"degno" di essere "raccontato" per motivi a lui intrinseci: quest'uomo non è né particolarmente<br />

importante né in alcun modo esemplare ("ne rappresento uno assai mal fatto" - par. 1; "Quella che<br />

propongo è una vita semplice e senza lustro" - par. 2). In altre parole, qui non si tratta, come nel<br />

caso delle Confessioni di Rousseau (1765-70), di parlare di sé perché si vuole rivendicare la dignità<br />

del soggetto individuale. L'IO narrante parla di sé unicamente perché appartiene al genere umano,<br />

come uno dei tanti possibili rappresentanti dell'Uomo, perché "si può legare altrettanto bene tutta<br />

la filosofia morale a una vita popolare e privata che a una vita di stoffa più ricca" (par. 2).<br />

Forma:<br />

Come abbiamo già detto, l'oggetto del libro è il racconto di sé. Ma questa osservazione necessita<br />

di alcune precisazioni. Gli Essais (Saggi) di Montaigne non sono né un diario né un'autobiografia:<br />

infatti, a differenza del diario, non abbiamo nessuna successione cronologica né divisione in<br />

sezioni con datazioni diverse; e a differenza dell'autobiografia, non ci viene presentata la vita di un<br />

uomo che è importante nella sua individualità (storica, sociale, ecc.), raccontandola secondo uno<br />

schema ordinato e volto a dimostrare qualcosa. Gli Essais sono il risultato di una scrittura aperta, il<br />

cui unico scopo è quello di "raccontare" un uomo.<br />

Ritmo:<br />

Dato che non segue nessun ordine, né cronologico né causale, la narrazione, ci avverte Montaigne,<br />

si sviluppa seguendo i pensieri del narratore, attraverso un movimento fluido e altalenante, retto<br />

unicamente dalla legge della libera associazione di idee. Essa perciò sembra essere lasciata andare<br />

a briglia sciolta, in maniera disordinata e incoerente; in realtà, è il frutto di un attento criterio<br />

stilistico, di un vero e proprio metodo sperimentale: come ha fatto notare un famoso critico,<br />

Auerbach*, il ritmo narrativo in Montaigne è spiegato e giustificato (dallo stesso autore-narratore)<br />

attraverso un preciso sillogismo: 1. Io racconto un uomo particolare (me stesso) 2. Ogni cosa nel<br />

mondo è in continuo movimento e cambiamento 3. Perciò: io, che faccio parte del mondo, sono in<br />

continuo movimento, e la mia narrazione, che si vuole adattare al suo oggetto, è altrettanto<br />

mutevole.


Temi principali:<br />

Il divenire: la maggior parte del primo paragrafo è interamente dedicata a questo tema.<br />

Attraverso la constatazione che tutto, nel mondo, è in movimento, per motivi esterni o propri<br />

("del movimento pubblico e del proprio"), Montaigne arriva a spiegare come il suo oggetto (cioè<br />

se stesso) gli sfugga ("se ne va fosco e barcollante"). L'unico modo per lui di "assicurarlo" (di<br />

catturarlo, di coglierlo) è quello di prenderlo "così come si presenta", cioè in movimento. Perciò<br />

può affermare di non dipingere l'essere (ciò che è stabile), ma il passaggio. Per lo stesso motivo lui,<br />

al contrario degli altri, non può formare l'uomo, ma soltanto raccontarlo, poiché per formarlo<br />

bisognerebbe averne prima fissato l'essenza. Di nuovo, questa è pure la ragione per cui egli, in<br />

quanto essere mutevole, non può risolversi, ma unicamente saggiarsi.<br />

La semplicità: Montaigne insiste nel ribadire che egli non "racconta" se stesso perché ha<br />

particolari qualità che lo rendono interessante in quanto individuo. Si presenta come "una<br />

vita semplice e senza lustro", non tanto perché ciò sia vero in pratica (Montaigne era, in<br />

effetti, un nobile ed una delle persone più in vista in Francia all'epoca in cui ha vissuto),<br />

quanto perché così è nelle intenzioni: se avesse voluto raccontare di sé come uomo illustre,<br />

avrebbe potuto farlo benissimo, ma ciò che gli preme è il raccontarsi come uomo. Egli<br />

richiede a se stesso una sola qualità: l'umanità, perché tanto basta alla sua filosofia morale.<br />

La verità: l'unica condizione richiesta dal suo lavoro è la sincerità nel parlare di sé. Questa<br />

condizione è seguita in maniera molto rigorosa da Montaigne, tanto da poter affermare<br />

che persino nella sua incoerenza egli è in realtà perfettamente coerente con la propria<br />

natura ("mi contraddico talvolta, ma la verità, come diceva Demadio, non la contraddico<br />

affatto").<br />

Osservazioni conclusive:<br />

La differenza tra un libro come Le confessioni di Rousseau e i Saggi di Montaigne riflette la<br />

differenza che esiste tra due secoli tanto distanti come il '700 e il '500. Quando Rousseau,<br />

da vero pre-romantico, decide di scrivere un libro su se stesso, l'intento principale è quello<br />

di rivendicare la dignità della propria persona in quanto possibile oggetto di un libro<br />

(ricordiamo che Rousseau era un borghese, e che si rivolgeva ad un pubblico<br />

principalmente aristocratico). In Montaigne non c'è alcuna rivendicazione personale ed<br />

individuale: se scrive di sé, è il proprio essere uomo che lo interessa, ed in questo<br />

rispecchia perfettamente il '500, secolo dell'Umanesimo.<br />

Come abbiamo visto, gli elementi principali di questo passo sono: 1) la volontà di<br />

presentare se stessi in maniera semplice e al contempo rigorosa; 2) la necessità di parlare<br />

del proprio oggetto attenendosi alla verità; 3) il desiderio di cogliere questo oggetto nella<br />

sua complessità e totalità; 4) la necessità di adeguare lo stile narrativo all'oggetto della<br />

narrazione. Tutti questi elementi riflettono perfettamente il pensiero rinascimentale, che<br />

si contraddistingue, tra l'altro, per il tentativo di costruire un sistema stabile al cui centro<br />

stia una visione armoniosa e completa dell'Uomo.<br />

* Erich Auerbach, Mimesis (Il realismo nella letteratura occidentale), Vol. II, cap. 2.


Elsa Morante<br />

L'isola di Arturo<br />

Re e stella del cielo<br />

Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo a<br />

informarmene) che Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo<br />

boreale! E che inoltre questo nome fu portato pure da un re dell'antichità, comandante a una<br />

schiera di fedeli: i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come<br />

fratelli.<br />

Purtroppo, venni poi a sapere che questo celebre Arturo re di Bretagna non era storia certa,<br />

soltanto leggenda; e dunque, lo lasciai da parte per altri re più storici (secondo me, le leggende<br />

erano cose puerili). Ma un altro motivo, tuttavia, bastava lo stesso a dare, per me, un valore<br />

araldico al nome Arturo: e cioè, che a destinarmi questo nome (pur ignorandone, credo, i simboli<br />

titolati), era stata, così seppi, mia madre. La quale, in se stessa, non era altro che una femminella<br />

analfabeta; ma più che una sovrana, per me.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titoli e struttura:<br />

(Tratto da: Elsa Morante, L'isola di Arturo, ed. Einaudi, 1992)<br />

Il racconto è articolato secondo una ricca suddivisione in titoli.<br />

Il titolo del romanzo, L'isola di Arturo, ci dice che la storia ha come oggetto uno spazio ben preciso,<br />

di solito associato ad un'idea di chiusura, di intimità (l'isola), la cui appartenenza a qualcuno è<br />

chiara (l'isola è di Arturo). Il sottotitolo iniziale, Re e stella del cielo, è più difficile da capire<br />

immediatamente; rimanda comunque a due cose normalmente considerate importanti, o elevate<br />

e preziose.<br />

Il passo che abbiamo scelto, che rappresenta l'inizio del romanzo, è composto da due paragrafi, il<br />

secondo dei quali comincia con un avverbio (purtroppo) che indica un rivolgimento nel discorso e<br />

un senso di nostalgia.<br />

Stile narrativo:<br />

Il narratore è interno alla vicenda e parla in prima persona; è il protagonista stesso a raccontare la<br />

storia.<br />

L'inizio del romanzo si caratterizza per una entrata brusca nell'argomento. Non si spiega né chi<br />

parla, né qual è il soggetto della storia, ma si comincia subito col fare incontrare il lettore col suo


personaggio. Quest'ultimo non è definito in alcun modo, e al lettore non resta che sentire cosa ha<br />

da raccontare per capire chi è. Ma già dalle prime frasi si delinea chiaramente la sua personalità.<br />

Temi principali:<br />

Il nome: presente già nel titolo, il nome diventa una presenza vera e propria fin dalla prima<br />

frase del romanzo (Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome). Ad esso sono associati<br />

prima una stella ed un re dell'antichità (ecco spiegato il titoletto!) (paragrafo 1), poi un<br />

valore araldico, legato alla figura della madre (par. 2).<br />

Il valore, la nobiltà, la preziosità: si parla di un re dell'antichità, di eroici fedeli (par. 1), ed<br />

infine di una madre considerata più che una sovrana dal narratore (par. 2). Il narratore<br />

stesso, tramite l'avvicinamento del proprio nome a quello di una stella e di un re, si pone<br />

nella schiera degli uomini preziosi e valorosi.<br />

L'ignoranza: ignorante non è soltanto la madre del narratore, femminella analfabeta (par.<br />

2), ma lo stesso narratore (o almeno lo era in passato), il quale deve ricorrere ad altre<br />

persone per sapere qualcosa: sono altri che lo informano del significato del suo nome, altri<br />

a dirgli che il suo nome è stato scelto da sua madre, ecc.<br />

Il passato: tema fondamentale, il passato è sia vicino che lontano, e conferisce a tutto ciò<br />

che ingloba un'aria di mistero e di eccellenza (vedi il valoroso re omonimo del protagonista<br />

che appartiene all'antichità); la storia vera, la leggenda sono anch'esse parole legate alla<br />

dimensione del passato.<br />

Il mistero: diretta conseguenza del tema dell'ignoranza e di quello del passato, il mistero è,<br />

per il protagonista, tutto ciò che è irraggiungibile. Ma nel testo non vi sono solo elementi<br />

misteriosi per il protagonista: anche il lettore è posto di fronte ad un forte mistero, la<br />

presenza di un «lui» non meglio definito, inserito nel discorso attraverso una fugace<br />

parentesi, quasi con timore reverenziale (par. 1).<br />

Osservazioni conclusive:<br />

Tutto indica, in questi due paragrafi, che il narratore, protagonista della storia, è molto<br />

giovane, presumibilmente un ragazzo da poco entrato nell'adolescenza. La sua ignoranza<br />

riguardo al passato, la volontà di sapere il significato e l'origine del proprio nome (curiosità<br />

tipica dei bambini), l'importanza data alla dimensione mitica, favolistica, all'eroismo, il suo<br />

stesso rifiuto delle leggende, giudicate cose puerili (par. 2), infine l'amore indiscusso<br />

professato per la figura materna sono chiaramente legati ad una personalità ancora<br />

immatura, in formazione.<br />

Diretta conseguenza della giovane età del protagonista, la mescolanza del mondo della<br />

fantasia con quello della realtà è una caratteristica importantissima del testo. Arturo,<br />

questo nome associato ad una stella meravigliosa, la più rapida e radiosa della figura di<br />

Boote, e ad un re altrettanto eccelso, sembra perdere improvvisamente valore a contatto<br />

con la realtà: « Purtroppo, venni poi a sapere che questo celebre Arturo non era storia<br />

certa... ». Ma il disincanto della favola provocato dall'irruzione del reale è presto<br />

compensato da un'altra favola, altrettanto radiosa: quello della madre, della regina per<br />

eccellenza, della femminella analfabeta che è però capace di intuizioni divine.


Sempre legato alla fanciullezza, un altro elemento conferisce al testo un carattere<br />

particolare: la dimensione intima, familiare dello spazio in cui si muove il personaggio.<br />

Certo, due soli paragrafi non possono bastare a rendere conto di un intero romanzo, ma già<br />

dall'inizio possiamo vedere che il mondo di Arturo si riduce a poche persone: un lui<br />

potentissimo, talmente importante da essere presentato in un inciso (la parentesi), ed una<br />

figura materna altrettanto fondamentale, sulla quale si riversa un forte affetto; è questa la<br />

base di un nucleo familiare. E' vero che i pensieri del protagonista viaggiano verso luoghi<br />

lontani, anzi lontanissimi, sia nello spazio che nel tempo (una stella nel cielo boreale, un re<br />

dell'antichità), ma proprio questa loro distanza accentua il senso di intimità del mondo di<br />

Arturo. Il titolo, infine, ci conferma questa sensazione: che l'isola di Arturo sia reale oppure<br />

no, essa connota comunque uno spazio chiuso.<br />

Un ultima osservazione, non meno interessante per il carattere del romanzo, riguarda la<br />

spontaneità dello stile («Arturo è una stella: la più rapida e radiosa della figura di Boote,<br />

nel cielo boreale!»). Questa spontaneità è permessa dalla narrazione in prima persona, ma<br />

denuncia un tratto della natura del personaggio principale. Di nuovo, ciò deve essere<br />

collegato alla giovinezza, all'entusiasmo tipico dei primi anni della vita.


Giovanni Pascoli<br />

Nebbia<br />

Nascondi le cose lontane,<br />

tu nebbia impalpabile e scialba,<br />

tu fumo che ancora rampolli,<br />

su l'alba,<br />

da' lampi notturni e da' crolli,<br />

d'aeree frane!<br />

Nascondi le cose lontane,<br />

nascondimi quello ch'è morto!<br />

Ch'io veda soltanto la siepe<br />

dell'orto,<br />

la mura ch'ha piene le crepe<br />

di valerïane.<br />

Nascondi le cose lontane:<br />

le cose son ebbre di pianto!<br />

Ch'io veda i due peschi, i due meli,<br />

soltanto,<br />

che danno i soavi lor mieli<br />

pel nero mio pane.<br />

Nascondi le cose lontane<br />

Che vogliono ch'ami e che vada!<br />

Ch'io veda là solo quel bianco<br />

di strada,<br />

che un giorno ho da fare tra stanco<br />

don don di campane...<br />

Nascondi le cose lontane,<br />

nascondile, involale al volo<br />

del cuore! Ch'io veda il cipresso<br />

là, solo,<br />

qui, quest'orto, cui presso<br />

sonnecchia il mio cane.


<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Schema metrico:<br />

5 strofe di 6 versi ciascuna: 3 novenari + 1 ternario + 1 novenario + 1 senario. Rime: ABCBCA. Tutti i<br />

senari rimano tra loro.<br />

Figure di ripetizione:<br />

Il primo verso di ogni strofa è sempre lo stesso: «Nascondi le cose lontane». Inoltre questa<br />

formula viene ripresa in altri versi: troviamo nascondimi al v. 8 e poi nascondile al v. 26.<br />

Il 2¡ e il 3¡ verso formano una lieve anafora con la ripetizione del pronome «TU» seguito da<br />

due nomi, entrambi quasi sinonimi (Tu nebbia... Tu fumo...).<br />

Anche la formula: « ch'io veda soltanto » è ripetuta più volte, con leggere varianti: la<br />

troviamo al v. 9, poi ai vv. 15-16, di nuovo al v. 21 ed infine al v. 27.<br />

Al v. 26 abbiamo un esempio molto bello di figura etimologica e insieme di allitterazione:<br />

«involale al volo».<br />

Lo spazio:<br />

La lontananza: è piena di cose che vanno tenute nascoste (vv. 1, 7, 13, 19 e 25), di cose<br />

morte (v. 8), che fanno piangere (v. 14), che « vogliono ch'ami e che vada » (v. 20). Per il<br />

poeta, quello che è lontano è dunque negativo, è qualcosa che deve essere represso,<br />

dimenticato, perché fa soffrire e, cosa interessantissima, perché costringe ad amare e «<br />

andare », ad uscire dal nido, cioè a vivere. Il poeta esprime la sua paura di fronte all'ignoto<br />

del mondo esterno.<br />

La vicinanza: è composta da poche, essenziali presenze: una siepe (v. 9) e un muro (v. 11)<br />

che svolgono il ruolo di delimitare lo spazio ristretto intorno all'IO, due peschi e due meli (v.<br />

15), una strada bianca (vv. 21-22), un cipresso (v. 27), un orto (v. 29) e un cane (v. 30),<br />

simbolo per eccellenza della fedeltà, dell'amicizia, della sicurezza. Questo piccolo mondo è<br />

lo spazio dell'IO, lo spazio privato e soprattutto protetto in cui rinchiudersi per evitare « le<br />

cose lontane », l'ignoto e la negatività del mondo esterno. Il « qui » del v. 30, che riassume<br />

in sé tutto il mondo vicino, è messo particolarmente in rilievo dal fatto che è posto ad inizio<br />

del verso, e che è rinforzato dal successivo « questo ».<br />

Altri temi importanti:<br />

Tra lo spazio vicino e quello lontano si trova la nebbia, che svolge un ruolo importantissimo<br />

perché è ciò che permette di separare questi due mondi, e quindi di assicurare al poeta la<br />

serenità. La nebbia svolge il suo ruolo protettivo grazie alla sua capacità di nascondere le<br />

cose, e quindi di rispondere al desiderio del poeta, più volte espresso, di non vedere (vedi<br />

la costante ripetizione del tema «Ch'io veda soltanto»).<br />

La morte: riguardo alla morte il poeta prova dei sentimenti contraddittori. Da un lato per<br />

lui quello che è morto va celato e rimosso, perché triste e doloroso (vv. 6-7 e 13-14); ma<br />

dall'altro egli si sente legato ad essa perché sa che è l'ultimo, inevitabile rifugio dell'uomo.<br />

In altre parole, se è vero che la morte è triste e dolorosa perché racchiude un passato da


dimenticare (le cose lontane), è altrettanto vero che essa è l'unica prospettiva indolore per<br />

l'uomo affranto, nella misura in cui gli offre un sonno, un riposo eterno. Il poeta sa che un<br />

giorno dovrà morire pure lui (dovrà fare «quel bianco di strada [...] tra stanco don don di<br />

campane» - vv. 21-24), e questa è la sola prospettiva che vuole intravedere per il proprio<br />

futuro («Ch'io veda là solo quel bianco di strada» - vv. 21-22). Ad accentuare questo<br />

aspetto positivo della morte come di un sonno eterno ed indolore abbiamo, nell'ultimo<br />

verso, la figura del cane fedele che sonnecchia. L'idea della stanchezza, del sonno e della<br />

morte si trovano così ad essere intimamente legate.<br />

La natura: che sia vegetale, animale o minerale, ha un ruolo protettivo per il poeta, e tiene<br />

lontana la visione del pianto, del mondo esterno, violento e ostile. Così, la siepe, l'orto e i<br />

quattro alberi riempiono di dolcezza il nero pane del poeta, cioè la sua vita quotidiana; il<br />

cane fedele offre un immagine insieme di pace, affetto e protezione; la nebbia è un<br />

fenomeno meteorologico positivo; e, allo stesso modo, i «lampi notturni» e i «crolli d'aeree<br />

frane» della prima strofa, pur nelle loro sembianze violente, non toccano affatto il poeta,<br />

che ne trae unicamente una visione suggestiva.<br />

Osservazioni conclusive:<br />

Le frequenti figure di ripetizione, la presenza di ritornelli sono una costante nella poesia di<br />

Pascoli, e gli danno un ritmo cantilenante. Spesso leggendo queste poesie si ha<br />

l'impressione di trovarsi di fronte ad una canzone, o più precisamente ad una nenia,<br />

dolcemente recitata. Questo loro aspetto musicale (che ne rende spesso difficile la lettura<br />

ad alta voce) rispecchia perfettamente il tipo di contenuto che veicolano: il poeta<br />

malinconico esprime un forte bisogno d'affetto e di protezione, quasi come se fosse un<br />

bambino, e la poesia, col suo ritmo cantilenante, fa le veci di una figura materna, simbolo<br />

per eccellenza di amore e protezione.<br />

Il fatto che la poesia si sviluppi sulla base di una contrapposizione tra mondo esterno e<br />

mondo privato, e che il primo sia connotato negativamente, mentre il secondo<br />

positivamente, è un'altra costante in Pascoli. Ciò si ricollega al bisogno di affetto e<br />

protezione, per cui, proprio come un bambino, il poeta sente la necessità di rinchiudersi in<br />

un nido e sfuggire ai pericoli della vita, rifiutando persino di "andare" ed "amare"<br />

(«Nascondi le cose lontane che vogliono ch'ami e che vada!» - vv. 19-20).<br />

Diretta conseguenza delle osservazioni precedenti, troviamo espresso in questa poesia il<br />

rifiuto, forse inconsapevole, di crescere, di diventare adulto, attraverso la parola di un IObambino.<br />

Al di là della sua apparente semplicità e ingenuità, la poesia di Pascoli nasce<br />

dall'esigenza dolorosa e lacerante di dar voce a sentimenti intimi e remoti, di regredire<br />

verso un passato prenatale.<br />

La poesia è espressione di un IO poetico molto forte, la cui presenza è dominante. Questo<br />

ruolo dominante è accentuato dal fatto che, in tutta la poesia, non si parla mai degli<br />

uomini: le uniche presenze ammesse fanno parte del mondo naturale.<br />

Le descrizioni del piccolo mondo chiuso in cui si trova il poeta si caratterizzano per un forte<br />

determinismo: il muro non è coperto da un generico rampicante, ma dalle valerïane (v. 12),<br />

gli alberi nell'orto non sono soltanto specificati in numero (due..., due...), ma anche in<br />

genere (peschi e meli) (v. 15). Questa estrema precisione nella denotazione dovrebbe


creare un effetto assolutamente realistico dell'ambiente descritto. In realtà queste<br />

descrizioni, poiché sono inquadrate in uno sfondo imprecisato e indeterminato (dove<br />

siamo? in che periodo? ecc.) e introdotte da una prima strofa dal contenuto altrettanto<br />

sfocato (la nebbia, il fumo, le aeree frane), accentuano l'aspetto simbolico della poesia.


Edgar Allan Poe<br />

Il gatto nero<br />

(in Tales of Grotesque and<br />

Arabesque, 1840)<br />

Alla storia che mi accingo a mettere per iscritto, storia demenziale e tuttavia quanto mai<br />

domestica, non mi attendo né pretendo si dia credito. Pazzo sarei davvero ad aspettarmelo, in un<br />

caso in cui i miei stessi sensi respingono la loro propria testimonianza. E tuttavia, non sono pazzo<br />

e, certissimamente, non sto sognando. Ma domani muoio, e oggi vorrei sgravarmi l'anima. Mio<br />

proposito immediato è di porre davanti al mondo, in modo semplice e succinto, una serie di puri<br />

eventi familiari. Le conseguenze di tali eventi mi hanno atterrito, torturato, annientato. Ma non<br />

cercherò di spiegarli. Per me non sono stati altro che orrore; a molti sembreranno più baroques<br />

che terribili. Nei tempi a venire, forse, si troverà un intelletto capace di ridurre i miei fantasmi a<br />

luogo comune: qualche intelletto più calmo, più logico, e assai meno eccitabile del mio, che nelle<br />

circostanze da me descritte con terrore non vedrà nulla di più di un'ordinaria successione di cause<br />

ed effetti naturalissimi.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

(Tratto da: Poe, Racconti, ed. Garzanti, 1989)<br />

Che faccia riferimento oppure no ad un vero gatto, un titolo come Il gatto nero rimanda ad un<br />

immaginario molto potente, fatto di superstizioni, orrori ed avvenimenti che stanno fuori<br />

dall'ordinario.<br />

Stile narrativo:<br />

Il narratore è interno alla vicenda e parla in prima persona. Una particolarità di questa narrazione<br />

è che si vuole scritta, e non orale.<br />

Temi principali:<br />

Il primo tema che incontriamo è dunque quello della scrittura. Seppur grossolanamente,<br />

possiamo dire che una narrazione scritta è diversa da una orale perché, in genere, è<br />

organizzata meglio, persegue un fine più chiaro (almeno nella testa di colui che scrive), è<br />

meno spontanea, più controllata: in breve, è coscientemente ordinata. In questa novella, la<br />

scrittura vuole essere una mera «testimonianza» dove certi fatti saranno narrati «in modo<br />

semplice e succinto», ma ciò non deve farci perdere di vista che colui che scrive ha un


vantaggio rispetto a colui che parla: la possibilità di rileggersi, ed eventualmente di<br />

correggersi, di modificare ciò che ha detto a seconda dell'effetto che vuole ottenere nel<br />

lettore.<br />

La pazzia è un tema fondamentale, denunciato esplicitamente dal testo: non soltanto la<br />

storia è «demenziale», ma lo stesso narratore, seppur negandola, fa continuamente<br />

riferimento ad essa («Pazzo sarei...», «non sono pazzo»). Del resto, si contraddice lui stesso<br />

quando afferma di non essere pazzo ma di avere un intelletto «eccitabile», di non stare<br />

affatto sognando ma di essere preda di «fantasmi». Queste contraddizioni, insieme<br />

all'insistenza con la quale ripete di non essere pazzo, o alla violenza con la quale asserisce<br />

che «certissimamente, non [sta] sognando», non fa che accentuare un'idea contraria nel<br />

lettore.<br />

Il tema della domesticità si pone agli antipodi rispetto a quello della pazzia, accentuando<br />

l'importanza di quest'ultimo. Così, se la storia è demenziale, essa è anche domestica; se il<br />

narratore è preda di fantasmi, per altri si può trattare invece di semplici luoghi comuni; se<br />

la vicenda è respinta dagli stessi sensi del narratore, perché incredibile o incomprensibile,<br />

forse per altri non sarà che «un'ordinaria successione di cause ed effetti naturalissimi».<br />

Infine, il tema dell'orrore ricopre ed ingloba un po' tutta l'atmosfera della narrazione: il<br />

lettore è posto di fronte ad uno strano personaggio che ha vissuto un'avventura orribile e<br />

peccaminosa (si parla della necessità di sgravare l'anima da un peso) e subìto eventi che lo<br />

hanno «atterrito, torturato, annientato», ed è stimolato all'ascolto di una strana follia nel<br />

seno dell'ordinario.<br />

La suspence:<br />

Elemento estremamente moderno, ma al contempo antichissimo, la suspence si lega al tema<br />

dell'orrore e della pazzia. Ma è soprattutto la tecnica del gioco narrativo a crearlo: il narratore<br />

pone subito il lettore dinanzi all'incomprensibilità di certi fatti, che oltretutto sono anche orribili e<br />

spaventosi, ma senza anticipare nulla sul succo del racconto, stimolando così una forte aspettativa<br />

nel lettore. Se vuole sapere di cosa si tratta, questi dovrà aspettare che la mente eccitabile e<br />

terrorizzata del narratore si decida finalmente ad entrare in argomento.<br />

Osservazioni conclusive:<br />

Per la presenza di certi temi (la pazzia, l'orrore, la tortura, i fantasmi... anche mentali) le<br />

novelle di Poe rientrano nel genere della letteratura dell'orrore. E' questo un genere<br />

considerato minore all'interno del sistema dei generi letterari, ma, dal punto di vista<br />

consumistico, di massa, è certamente, insieme alla letteratura fantastica, uno dei generi<br />

più facilmente letti. In Poe esso si lega al gusto gotico, soprattutto per la presenza di certi<br />

ambienti (castelli, lande desolate, rovine, ecc.); nel nostro passo questi elementi non sono<br />

presenti, ma è tuttavia possibile scorgere un accenno a questo gusto quando il narratore<br />

dice che, probabilmente, a molti lettori i fatti che racconterà sembreranno baroques. Si<br />

può dire, infatti, che il Gothic revival, movimento neogotico che nasce in Inghilterra nella<br />

seconda metà del '700, e di cui Poe eredita molti elementi, è più un barocco travestito da<br />

gotico che un gotico vero e proprio.


Trovare due temi come quello della pazzia e quello della domesticità presenti<br />

contemporaneamente in questo passo, anzi legati intimamente da un rapporto di<br />

opposizione e complementarità, dà al testo di Poe un carattere tutto particolare. Quello<br />

che rende più spaventoso, e quindi anche più attraente, l'orrore nelle sue novelle è proprio<br />

il fatto che esso si mescola alla quotidianità. Se è vero che, spesso, bisogna che un<br />

personaggio si trovi in uno scenario adeguatamente spaventoso affinché gli succeda<br />

qualcosa di "diverso" (un cimitero, una grotta, un castello), qui ci troviamo di fronte a un<br />

caso in cui lo spaventoso nasce direttamente da «una serie di puri eventi familiari», dal<br />

«luogo comune». Dopo Poe, non è più possibile guardare il mondo conosciuto, familiare,<br />

impacchettato dai nostri luoghi comuni senza lasciargli un margine di magia, di libertà di<br />

sfuggire al raziocinio umano. Ricordiamo in proposito che moltissimi critici spiegano<br />

l'origine della letteratura dell'orrore e del gusto gotico come una reazione delle forze più<br />

oscure dell'uomo, dell'istinto, della paura, di fronte all'atteggiamento eccessivamente<br />

razionale di una società scientifica e determinista, come quella, appunto, che andò<br />

sviluppandosi in Inghilterra a partire dal '700.


Jean-Paul Sartre<br />

La nausea (1938)<br />

Appoggio la mia mano sulla panchina, ma la ritiro subito: essa esiste. Questa cosa sulla quale sono<br />

seduto, sulla quale appoggiavo la mano si chiama una panchina. L'hanno fatta apposta perché ci si<br />

possa sedere, hanno preso del cuoio, delle molle, della stoffa, si sono messi al lavoro, con l'idea di<br />

fare una sedia e quando hanno finito era questo che avevano fatto. L'hanno portata qui, in questa<br />

scatola, e ora la scatola viaggia e sballotta, con i suoi vetri tremolanti, e porta nei suoi fianchi<br />

questa cosa rossa. Mormoro: è una panchina, un po' come un esorcismo. Ma la parola mi rimane<br />

sulle labbra: rifiuta di andarsi a posare sulla cosa. Essa rimane quello che è, con la sua peluria<br />

rossa, migliaia di zampette rosse, all'aria, diritte, zampette morte. Questo enorme ventre girato<br />

all'aria, sanguinante, sballottato - rigonfio con tutte le sue zampe morte, ventre che galleggia in<br />

questa scatola, in questo cielo grigio, non è una panchina. Potrebbe benissimo essere un asino<br />

morto, per esempio, sballottato nell'acqua e che galleggia alla deriva, il ventre all'aria in un grande<br />

fiume grigio, un fiume da inondazione; e io sarei seduto sul ventre dell'asino e i miei piedi<br />

bagnerebbero nell'acqua chiara.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

La Nausea è un titolo che definisce una cosa, una sensazione particolare: è un malessere fisico al<br />

contempo circoscritto (nausea da mal di stomaco) e vago, indefinito (nausea come malessere<br />

generale). È un malessere fisico che si accompagna anche di un preciso stato d'animo, fatto di<br />

noia, di mollezza, di disgusto per ogni cosa. Come titolo ha un che di repulsivo; esso prepara il<br />

lettore a sentir parlare di un malessere, ma anche, forse, a provare egli stesso nausea. Ovviamente<br />

non si sa di che cosa è nausea, perché può essere nausea di tutto.<br />

Narrazione:<br />

Il racconto si svolge alla prima persona: il protagonista corrisponde al narratore. Questa scelta<br />

sembra legarsi bene al soggetto del titolo: la nausea è una sensazione di malessere che non si vede<br />

oggettivamente, ma si sente soggettivamente, e nessuno meglio di un IO narrante può quindi<br />

raccontarla.


Personaggi:<br />

Se ci si riferisce soltanto a questo passo del romanzo, sulla "scena" appare soltanto il protagonista.<br />

Ma in realtà, per come si svolge la narrazione, i personaggi sono sostanzialmente tre: il<br />

protagonista narrante, la panchina (oggetto che prende vita agli occhi del protagonista) e un non<br />

meglio definito soggetto alla terza persona plurale (hanno fatto, hanno preso, si sono messi, hanno<br />

finito).<br />

Campi semantici:<br />

I colori: la panchina è una cosa rossa, con zampette rosse, come un ventre sanguinante<br />

(quindi rosso); il cielo è grigio; il fiume è grigio; l'acqua è chiara. Predomina quindi il colore<br />

acceso del rosso su uno sfondo incolore, quasi in bianco e nero.<br />

Sensazioni tattili : la panchina non può essere toccata con la mano perché dà la sensazione<br />

di esistere. A starci sopra si sente il cuoio, si sentono le molle, si sente la stoffa, si sentono<br />

anche le mille zampette della sua peluria. I piedi, invece, bagnano nell'acqua.<br />

Il movimento: la mano che si ritira prontamente dal toccare la panchina, la scatola (il<br />

pullman) che viaggia e sballotta, i vetri tremolanti, il ventre che sballotta e galleggia,<br />

l'asino morto che sballotta e galleggia alla deriva, l'immagine dell'inondazione. Tutto il<br />

movimento di questo passo accentua l'idea della nausea che prende quando si è sballottati<br />

a destra e a sinistra, per esempio in automobile.<br />

Il rifiuto: il rifiuto della mano di posarsi sulla panchina, che equivale al rifiuto della parola di<br />

posarsi sulla cosa, quindi di nominarla.<br />

Similitudini e metafore:<br />

Il pullman è una scatola che viaggia e sballotta con dei fianchi enormi e tremolanti; la strada è un<br />

grande fiume grigio da inondazione. La panchina del pullman subisce numerose trasformazioni: è<br />

un animale repellente, col ventre squarciato e migliaia di zampette morte all'aria; è un ventre che<br />

galleggia nella scatola; è un asino morto che va alla deriva su un enorme fiume da inondazione. La<br />

parola, l'atto di nominare le cose, diventa sinonimo di esorcismo.<br />

Osservazioni conclusive:<br />

La sensazione di nausea che permea tutto il romanzo, e in particolare questo passo, si<br />

esplica in un universo spaccato in due: da un lato la scatola chiusa, il mondo ristretto<br />

dell'IO, fatto di oggetti animati di vita propria e non riconoscibili; dall'altro il mondo<br />

esterno, popolato da un gruppo compatto di uomini sentiti come ostili e nemici, altrettanto<br />

irriconoscibili. Tutto il romanzo si svolge infatti sull'impossibilità di una conciliazione tra<br />

l'IO e GLI ALTRI.<br />

La nausea è dunque una sensazione provata soltanto dall'IO che si trova di fronte ad un<br />

mondo di oggetti che hanno perso la loro naturalezza, la loro banalità di mere cose, e che,<br />

su uno sfondo vago e incolore, si stagliano quasi aggressivamente (vedi la predominanza<br />

del rosso, colore che disturba e si associa al l'idea del sangue). Il mondo oggettuale si<br />

anima e rifiuta di essere nominato dall'uomo, etichettato dalla parola. Questa crisi della<br />

parola è reso nella narrazione attraverso un attento processo di straniamento che si


avvale di figure retoriche quali la metafora e la similitudine, sulla scia dello straniamento<br />

promosso dai Surrealisti o, prima ancora, da Kafka (vedi La Metamorfosi).<br />

La crisi della parola diventa il processo complementare di una profonda crisi d'identità<br />

dell'IO, che trovandosi da solo in un mondo che appare diverso e, finalmente, più vero,<br />

deve cercare nuove coordinate per poter continuare a pensarsi come un soggetto che<br />

esiste. È per questo che la nausea di questo romanzo diventa il simbolo del malessere<br />

moderno, di quel malessere provato all'inizio del XX secolo da tutta una generazione in<br />

Europa, un malessere non bene definito ma sicuramente vicino a una crisi d'identità<br />

soggettiva in un mondo fatto di oggetti sentiti come estranei, e retti da leggi umane non<br />

interiorizzate.


Umberto Saba<br />

La vetrina (1938)<br />

di Francesca Ciucci<br />

Sono a letto, ammalato. E gli occhi intorno<br />

giro per la mia stanza. Oltre i lucenti<br />

vetri un mobile antico a sé li chiama,<br />

alle cose ch'esposte in lui si stanno<br />

5 Bianche stoviglie, ove son navi in blu<br />

dipinte, un porto, affaccendate genti<br />

intorno a quelle. Altre vi sono cose<br />

ch'erano già nella materna casa,<br />

cui guardo con rimorso oggi ed affanno,<br />

10 e così lieto le guardavo un giorno,<br />

che di nuove acquistarne avevo brama.<br />

Ciascuna d'esse a un tempo mi richiama<br />

che fu sì dolce, che per me non fu<br />

tempo, che ancor non ero nato, ancora<br />

15 non dovevo morire. Ed anche in parte<br />

ero già nato, era negli avi miei<br />

il mio dolore d'oggi. E in un m'accora<br />

strano pensiero, che mi dico: Ahi, quanta<br />

pace al mondo prima ch'io nascessi;<br />

20 e l'ho turbata io solo. Ed è un mendace<br />

sogno; è questo il delirio, amiche cose.<br />

Quanto un giorno v'ho amate, belle cose,<br />

che siete là nella vetrina, e altrove<br />

siete, nell'ombra e nel sole, ed oh quale<br />

25 ho nostalgia di lasciarvi! Nel buio,<br />

tornar nel buio dell'alvo materno,<br />

nel duro sonno, onde più nulla smuove,<br />

non pur l'amore, soave tormento<br />

sì, ma a me fatto intollerando. È il letto<br />

30 questo in cui venni da quel caro buio<br />

molto piangendo, alla luce, alle cose<br />

ond'ebber gioia i miei occhi. E mortale<br />

non so più quel dì deprechi. E male<br />

non ho che m'impauri, o è solo interno.<br />

35 Come ogni notte, quando il lume spengo,<br />

che agli occhi miei gravi di sonno apporta<br />

essa fastidio, e metto il capo sotto<br />

la coltre, e tutto a me stesso rinvengo,<br />

tutto in me mi rannicchio, or sì vorrei


40 fare, e che più per me non fosse giorno!<br />

E sì tutto m'arride. Anche la gloria<br />

viene; il suo bacio, ancor che tardo, io sento.<br />

Del divino per me milleottocento<br />

Amate figlie, qui dalla lontana<br />

45 Inghilterra venute, di voi dico,<br />

pinte tazzine, vasellame usato<br />

dagli avi miei laboriosi, al tempo<br />

che la vita più degna era e più umana,<br />

e molto prima che nascessi, io so<br />

50 la vostra istoria, che ai vecchi la chiese<br />

il poeta ch'è pio verso il passato.<br />

Approdava ogni mese un bastimento<br />

A questo porto di traffici amico,<br />

con di voi sì gran copia che il mendico<br />

55 come il ricco ne aveva. Aveva il tempo<br />

fornito appena atroce guerra, e pace<br />

era sui mari, ma non mai nel cuore<br />

dell'uomo. Or voi nella vetrina state<br />

che v'è coetanea, semplice, capace<br />

60 di molte e belle forme. Ed io a guardarvi<br />

non so, nel mio dolore, altro che morte<br />

non so invocarmi. Non vissuto invano,<br />

più d'esser nato la sventura sento.<br />

Parafrasi:<br />

Sono a letto ammalato e rivolgo lo sguardo alla mia stanza. Un'antica vetrina attrae l'attenzione<br />

dei miei occhi (li chiama) a guardare le stoviglie, gli oggetti che in essa sono esposti. Stoviglie<br />

bianche (porcellane), con su dipinte delle navi blu, un porto e delle persone tutte indaffarate<br />

intorno ad esse.<br />

(Nella vetrina) Vi sono altre cose che erano già presenti nella casa di mia madre (prima che io<br />

nascessi); guardo a quelle cose con rimorso e con pena (perché mi ricordano mia madre, ormai<br />

morta), mentre c'è stato un tempo in cui quando le guardavo mi procuravano una tale gioia che<br />

avevo una gran voglia di acquistarne delle altre. Ogni oggetto della vetrina mi ricorda un tempo<br />

dolce, che per me non ha storia (non fu tempo) perché non ero ancora nato, e perciò non dovevo<br />

morire. Era già nato solo il dolore dovuto alla mia condizione umana, ereditato dai miei avi. Quel<br />

dolore mi affligge il cuore con uno strano pensiero, tanto che mi dico: quanta pace c'era nel<br />

mondo prima della mia nascita;e quest'armonia, quest'equilibrio l'ho guastato proprio io, solo io.<br />

Un sogno menzognero: questo è il turbamento che mi provocano questi oggetti, che mi provocate<br />

voi, amiche cose.


Quanto vi ho amato belle stoviglie che state là nella vetrina e altrove, esposte e visibili o celate alla<br />

vista, e quale sentimento malinconico mi coglie al pensiero di lasciarvi.<br />

(Vorrei) Tornare nel buio del ventre materno, in quello stato di sonno senza sogni (duro sogno),<br />

dove nulla più si muove, neanche l'amore, dolce tormento ma in grado di non poter essere<br />

tollerato da me. Questo è il letto in cui io venni al mondo (mia madre mi diede alla luce), in cui<br />

uscii dal ventre materno piangendo alla vista lieta delle cose. E nascendo sono diventato mortale e<br />

non so cosa maledire di più di quel giorno. E non ho nessun male (fisico, malattia) che mi inquieti,<br />

o questo male è solo interno. Come ogni notte, quando spengo la luce perché disturba i miei occhi<br />

pesanti di sonno e metto la testa sotto la coperta e mi chiudo di nuovo in me stesso (tutto a me<br />

stesso rinvengo), mi raggomitolo tutto e ora sì, è in questo momento che vorrei non rivedere più la<br />

luce del giorno (vorrei morire). E così ogni cosa mi sorride. Mi raggiunge anche la gloria e benché<br />

giunga tardi sento il suo bacio.<br />

Tazzine dipinte, prodotto (figlie) di quel milleottocento che io amo, importate dalla lontana<br />

Inghilterra (giunte sin qui dalla lontana Inghilterra), parlo di voi, vasellame usato dai miei avi<br />

operosi, nel tempo in cui (quando) la vita era più virtuosa e apparteneva all'uomo, e conosco la<br />

vostra storia che il poeta, che è rispettoso del passato, si fece raccontare dai vecchi, molto prima<br />

che io nascessi. Ogni mese una grossa nave mercantile attraccava in questo porto favorevole ai<br />

commerci trasportandovi in così grande quantità che vi possedevano sia i mendicanti che i ricchi.<br />

Era appena finita la terribile guerra, e la pace regnava sui mari, giammai nel cuore degli uomini.<br />

Adesso voi state nella vetrina antica quanto voi, che è semplice e che contiene tanti begli oggetti.<br />

Ed io guardandovi, nella mia sofferenza, non so far altro che chiamare a me la morte. Sento più il<br />

rimorso di essere nato e non di essere vissuto inutilmente.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

La lirica è suddivisa in tre lunghe e dense strofe regolari di tutti endecasillabi. Il numero tre nella<br />

suddivisione strofica è ricorrente in Saba a denotare la volontà di conferire all'intera opera una<br />

profonda armonia strutturale: la bellezza del Canzoniere è data da armonie, strutture, versi che<br />

ritornano, infondendogli continuità, forza e omogeneità.<br />

Ogni strofa è a sua volta composta da ventuno (multiplo di tre)versi; questa ossessiva ripetizione<br />

del numero tre è "dantesca" e denota la formazione profondamente classica di Saba. La superficie<br />

metrica rivela una grande complessità. Di particolare rilievo è l'artificio che collega con una rima,<br />

spesso perfetta, l'ultimo verso di ogni strofa con il primo di quella successiva: troviamo "cose"<br />

(v.21), "cose" (v.22); "sento" (v.42), "milleottocento" (v.43), rima a sua volta ripresa nel verso<br />

finale "sento" (v.63). Risulta complesso ricostruire la fitta maglia di rime, allitterazioni, omofonie,<br />

assonanze... le quali, creando dei legami anche fra parole tra loro lontane, conferiscono al<br />

componimento una sorta di compattezza fonica, seppur non riconducibile ad uno schema<br />

puntuale, e ne garantiscono la varietà. Nella prima strofa sono legate da rima "lucenti" (v.2),<br />

"genti" (v.6); "blu" (v.5), "fu" (v.13); "cose" (v.7), "casa" (v.8) sono legate da una forte consonanza;<br />

importante è poi la rima "chiama" (v.3), "brama" (v.11), "richiama" (v.12): dove "brama", posta<br />

alla fine del verso, assume il ruolo di parola chiave (e più avanti si vedrà in che misura); "ancora"


(v.14), "accora" (v.17), e ancora, nella seconda strofa troviamo "altrove" (v.23), "smuove" (v.27);<br />

"dur" (v.27), "pur" (v.28); "mortale" (v.32), "male" (v.33); "mortale" inoltre è graficamente<br />

connesso all' "apporta" del verso 36; per concludere con le rime dell'ultima strofa: "lontana"<br />

(v.44); "umana" (v.48); "usato" (v. 46), "passato" (v. 51); "amico" (v.53), "mendico" (v.54); "pace"<br />

(v.56), "capace" (v.59) e la rima fortissima "sento" (v.42), "milleottocento" (v.43), "bastimento"<br />

(v.52) e ancora "sento" (v.63), e in quasi-rima con "spengo" (v.35), "rinvengo" (v.38), "tempo"<br />

(v.47) e "tempo" (v.55).<br />

Ma aldilà delle rime sono fortissimi i legami creati dalla ripetizione puntuale di nessi consonantici:<br />

ad esempio notevole è l'effetto della ripetizione delle consonanti "st" ai versi 4-5 "esposte",<br />

"stanno", "stoviglie, e della sibilante palatale che troviamo in: "essa" (v.37), "stessa" (v.38) (dove<br />

ritorna anche il suono "st") e "fosse" (v.40); della consonanza "fatto", "intollerando", "letto"<br />

(v.29); come ai versi 9-10-11 dove troviamo "già", "oggi", "giorno", che a loro volta sono<br />

fortemente legati ai "già" (v.16) "oggi" (v.17), "guardo", "guardavo" e questo legame non è più<br />

soltanto fonico, ma anche fortemente semantico.<br />

Assumono un efficacissimo rilievo unico l'uso del metaling: parole che riprendono altre parole, e<br />

talvolta sono dei periodi, quasi a verificarne il senso e la presenza di forti risonanze analogiche:<br />

parole o periodi ripresi con funzioni diverse.<br />

Si può individuare una sorta di struttura speculare che ritorna e si ripete in ogni strofa. I legami<br />

non sono soltanto fonici ma anche di valore semantico: il "rimorso oggi ed affanno" (v.9) è lo<br />

stesso "dolore d'oggi" del verso 17; allo stesso modo "così lieto" (v.10) e "sì dolce" (v.13).<br />

Inoltre alcune di queste strutture frequenti ritornano occupando una determinata posizione: ad<br />

esempio "tempo" del verso 12 ritorna al verso 14 in posizione iniziale così come "siete" (v.23) è<br />

posto all'inizio del verso 24 e "non so" viene ripetuto in due versi consecutivi in posizione iniziale<br />

(61-62) (anafora); si segnala inoltre l'anadiplosi al verso 55: "...aveva. Aveva..."<br />

Ma avviene anche che vengano riprese intere frasi con significato simile "e mortale non so" (v.32-<br />

33) " e male non ho" (v.33-34) o addirittura opposto: "non ero nato" (v.14) "ero già stato" (v.16).<br />

Ma lo stratagemma fonico che più colpisce l'orecchio del lettore è quello dei versi 26-28-29. Si può<br />

quasi parlare di punto culminante di un "climax fonico" inaugurato con ritmo ascendente dalla<br />

ripetizione del suono "st" culminando (nel momento di massima angoscia della lirica) con l'uso di<br />

vocaboli estremamente complessi (dal punto di vista fonico), difficili da articolare ( sui quali il<br />

lettore è costretto a soffermarsi) "tornar", "materno" (v.26), "tormento" (v.28), "intollerando"<br />

(v.29) dove "materno" e "tormento", posti entrambi a fine verso hanno un legame fortissimo,<br />

sembrano quasi anagrammati (ed è significativo che il vocabolo "tormento" abbia questa<br />

connessione con "materno", quasi a rievocare quel sentimento affettivo, quel rapporto angoscioso<br />

che legava Saba alla madre). E questa parabola musicale decresce e va a sfumare con la<br />

ripetizione, come si è già detto, delle consonanti "ss"<br />

(v. 37-39-40), e ritorna nell'enfatica chiusa finale: "so" (v.61 e ripetuto al v.62), "vissuto" (v.62),<br />

"esser" (v.63) "sento" (v.63), quasi a voler stabilire un equilibrio a livello emotivo dopo quel


momento di Spannung, quasi che il poeta voglia comunicare al lettore un preciso stato d'animo<br />

che ritorna, uguale a sé stesso alla fine della lirica.<br />

Degni di nota anche i frequenti rilanci sintattici degli enjambements, struttura metrica usata<br />

larghissimamente da Saba: il componimento risulta avere una solida compattezza fonica ma lo<br />

schema ritmico elude continuamente uno schema regolare. Lo ritroviamo già in apertura:<br />

"intorno//giro" (vv.1-2), "lucenti//vetri" (vv. 2-3); "blu//dipinte" (vv. 5-6); "cose//ch'erano" (vv.7-<br />

8); "fu//tempo" (vv.13-14); "ancora // non" (vv. 14-15) e via di seguito...<br />

Di particolare rilievo è forse l'enjambement dei versi 60-61 "guardarvi//non" e dei versi 61 e 62<br />

"morte//non". Questa tendenza all'articolazione ellittica della frase è avvalorata dall'uso,<br />

straordinariamente frequente, della congiunzione "e" immediatamente dopo un punto fermo:<br />

v.1: "...ammalato. E...",<br />

v.15: "...morire. Ed..."<br />

v.17: "...d'oggi. E..."<br />

v.20: "...io solo. Ed..."<br />

v.32: "...occhi. E..."<br />

v.33: "...deprechi. E..."<br />

v.41: "...un giorno! E..."<br />

v.60: "...forme. Ed..."<br />

L'inizio della lirica sembra riprendere i modi del racconto, ritagliando un episodio, un aneddoto,<br />

entro uno spazio specifico: "Sono a letto, ammalato"; questa rappresentazione spaziale puntuale,<br />

appartiene alla narrativa ed è forse per il poeta il mezzo migliore per dare voce all'io che si<br />

esprime nella forma dell'autoanalisi. C'è un rapporto tutto nuovo del poeta con gli oggetti: le<br />

figure, le persone, le cose assumono un valore emblematico, esercitano un potere evocativo. La<br />

vetrina è un oggetto cui rimane fortemente ancorata la memoria affettiva, "chiama a sé", e non<br />

attira ma proprio chiama a sé, gli occhi del poeta e alle stoviglie che in essa sono esposte: tazzine<br />

inglesi, stoviglie, porcellane... e ad ogni suo oggetto è legato un ricordo. Sono cose ricche di voci<br />

antiche, quindi il poeta non le guarda, ma le ode, parlano alla sua anima. Ecco che il presente<br />

tocca il passato e lo riaccende. Questo rapporto speciale di Saba con la vetrina e gli oggetti in essa<br />

riposti, in prospettiva freudiana può essere considerata una sorta di evasione regressiva nel<br />

conforto degli oggetti, tanto cari al poeta perché facenti parte della propria mitologia personale.<br />

Saba assegna una particolare importanza alla struttura temporale che risalta nelle opposizioni<br />

presente-passato, e nelle localizzazioni spaziali, normalmente circoscritte all'uso dei deittici


"questo" e "quello", tanto che si potrebbe parlare di una sorta di dialettica dei connotatori<br />

dimostrativi.<br />

"è questo il delirio" (v.21)<br />

"è il letto questo" (30)<br />

"quel dì" (v. 33)<br />

"questo porto" (v. 53)<br />

A riprova del carattere narrativo della lirica è l'uso dell'avverbio dittico "là" (v.23), tipico della<br />

lingua parlata perché si presuppone che venga indicata una direzione.<br />

Si viene a creare in questo modo una narrazione doppia, che riguarda il presente impetuoso<br />

quanto il passato.<br />

Il linguaggio della lirica denota un illimpidimento della scrittura rispetto alle opere precedenti.<br />

Saba presta una diversa cura formale e una maggiore attenzione ai particolari stilistici;ricorre<br />

sempre meno a forme auliche, arcaiche ed antiquate a favore di un lessico del quotidiano. La<br />

parola "comune" e non per questo impoetica, viene isolata nel verso, assumendo così pieno<br />

valore.<br />

Si semplifica il linguaggio ma non la sintassi: il ricorso semantico a inversioni stilistiche (iperbati,<br />

anastrofi...) è frequentissimo. "Altre vi sono cose" (v. 7) ne è un esempio.<br />

Di particolare complessità è il verso 17: "E in un m'accora//strano pensiero", l'enjambement<br />

ostacola maggiormente la comprensione del verso. Degna di essere menzionata è anche la prassi<br />

stilistica seguita da Saba di utilizzare frequentemente l'avverbio di negazione "non", che conferisce<br />

particolari sfumature di attenuazione rispetto alla negazione assoluta.<br />

La lirica permette di ritrovare i maggiori temi cari a Saba: l'amore per Trieste, il borgo, e la vita<br />

brulicante del porto (la descrizione delle "affaccendate genti" raffigurate sulle porcellane, è<br />

"triestina"), ma soprattutto il tema della casa, luogo altamente mitizzato, rifugio del corpo e<br />

dell'anima.<br />

È proprio nella sua stanza, nella forzata staticità per la malattia, che il poeta ritrova dei ricordi<br />

lontani, semplicemente volgendo lo "sguardo intorno" e ascoltando le voci delle stoviglie riposte<br />

nell'antica vetrina. Da un'atmosfera mitica e sognante, si approda ben presto al turbamento<br />

profondo. "le care cose" del passato, gli infondono ben presto un senso di disagio che ben presto<br />

si trasforma in rimorso: il rimorso di essere nato. Eppure c'era stato un tempo in cui le belle<br />

tazzine lo rendevano felice e desideroso e impaziente di acquistarne altre: "e così lieto le guardavo<br />

un giorno, che di nuove acquistarne avevo brama". E questa brama altro non è che la causa della<br />

sofferenza umana, è la libido freudiana, la brama carnale, che "accompagna l'uomo dalla nascita<br />

alla morte, non gli dà pace né tregua"; a questo tema gravoso Saba dedicherà una lirica in questa


stessa sezione di "vetrina", naturalmente intitolata "La brama": si nasce e si porta così il tema del<br />

male nella vita, il peccato dell'origine, ma anche la volontà di vivere, che si esprime nel desiderio<br />

della carne. La causa del male è la brama, ma nel contempo è anche la causa del bene, perché solo<br />

grazie alla brama il poeta vede "gente andare e venire,/ altre navi partire".<br />

Angoscianti diventano ora i toni della lirica: nascere è male, vivere è male, e male è conoscere il<br />

male.<br />

Il poeta è ammaliato e insieme atterrito e aspira ad una "serena, disperata brama d'annullamento,<br />

quasi di ritorno al caldo sonno del buio prenatale".<br />

Ha nostalgia di lasciare le belle cose amate e di tornare nel buio del non-essere.<br />

In tutto questo c'è però una forte componente narcisistica, denotata da quei melodrammatici "io"<br />

(v.19) "io solo" (v.20), dal susseguirsi di "a me", "in me", "per me" (v.39), e dall'uso quasi esclusivo<br />

degli aggettivi possessivi referenti alla propria persona: "la mia stanza" (v.2), "avi miei" (v.16),<br />

seguito da "il mio dolore" (v.17), "i miei occhi" (v.32), "occhi miei", e ancora "avi miei" ( v.47), "mio<br />

dolore" (v.61). Tutto questo suona quasi come una formula religiosa che celebra la superiorità del<br />

poeta, il solo capace di intendere il male di cui egli stesso è la causa. Il male lacerante di cui parla è<br />

la consapevolezza della morte: meglio allora rimanere nel grembo materno, "in quel tempo sì<br />

dolce", "in quel caro buio", vivo ma ancora non-nato, inconsapevole e sereno, perché "ancora non<br />

ero nato, ancora non dovevo morire". La consapevolezza della morte si acquisisce quindi<br />

nascendo, venendo alla luce; venire alla luce significa dunque sapere. "I miei occhi" diventano<br />

allora lo strumento per guardarsi dentro, per attuare quel doloroso processo di scavo interiore,<br />

alla ricerca della nostra identità. La sera è il momento di massimo ripiegamento : "mi rannicchio e<br />

tutto a me stesso rinvengo" (dove l'azione del rannicchiarsi rappresenta il ripiegamento interiore<br />

ma anche il tentativo di assumere una posizione tipica dei feti nel grembo materno). Il poeta<br />

mettendo la testa sotto le coperte cerca di ritornare alla pace del "caro buio materno". La luce<br />

diventa metafora negativa: egli viene alla luce "molto piangendo", il lume "apporta fastidio"agli<br />

occhi del poeta "gravi di sonno".La luce è conoscenza e la conoscenza porta il dolore. Ecco che in<br />

questa prospettiva si potrebbe spiegare la misteriosa immagine presentata ai versi 24-25: "belle<br />

cose,/che siete là nella vetrina, e altrove/siete, nell'ombra e nel sole"<br />

L'ombra ed il sole corrispondono al buio e alla luce, in una sorta di metafora rovesciata<br />

(comunemente la luce ha una connotazione positiva, e il buio estremamente negativa). In questo<br />

momento di annullamento, ecco che "anche la gloria viene". E cosa potrebbe significare quel<br />

"bacio tardo" apportato dalla gloria? Questa immagine ammette diverse interpretazioni che<br />

partono da un punto comune: questi sono gli anni in cui Saba intraprende la terapia psicanalitica<br />

(1928-29): il "male interno" che lo affligge potrebbe essere interpretato come il suo grave disagio<br />

psicologico, la sua nevrosi.<br />

L'arrivo della gloria potrebbe essere allora il primo segnale del recupero del ricordo della nutrice<br />

che lo aveva cresciuto fino a tre anni, per tanto tempo rimosso e che riaffiorerà con prepotenza in<br />

seguito, com'è testimoniato nelle "Tre poesie alla balia", che fanno parte della sezione del<br />

Canzoniere intitolata "il piccolo Berto" (1929/31) dove, nell'opera Storia e Cronistoria del


Canzoniere (1948), Saba, in funzione di critico di sé stesso afferma: "la figura della balia risorge, si<br />

rifà viva ed attuale". Ma tutto questo potrebbe anche essere interpretato come una conciliazione<br />

con l'immagine della madre dopo la sua morte: ecco spiegato allora il significato di quel "tardo<br />

bacio" (la riconciliazione sarebbe avvenuta solo dopo la morte della madre).<br />

È comunque evidente in Saba il tentativo, doloroso ed estenuante, di liberarsi o sublimare il<br />

trauma infantile, quando venne strappato alle cure amorose della "madre di gioia", per andare a<br />

vivere con la "madre austera" che lo proietta in un mondo fatto di sofferenze e frustrazioni,<br />

facendolo crescere nel senso di colpa.<br />

La lirica può essere quindi ricondotta a due sentimenti del poeta: il desiderio di annullarsi come<br />

coscienza, invocando la morte e la lucida accettazione del destino mortale dell'uomo.<br />

Bibliografia<br />

U. Saba, Il Canzoniere, 1921<br />

U. Saba, Storia e Cronistoria del canzoniere, Milano 1948


Giovanni Verga<br />

I Malavoglia (1881)<br />

Dopo la mezzanotte il vento s'era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci fossero tutti i gatti<br />

del paese, e a scuotere le imposte. Il mare si udiva muggire attorno ai fariglioni che pareva ci<br />

fossero riuniti i buoi della fiera di Sant'Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell'anima di<br />

Giuda. Insomma una brutta domenica di settembre, di quel settembre traditore che vi lascia<br />

andare un colpo di mare fra capo e collo, come una schioppettata fra i fichi d'india. Le barche del<br />

villaggio erano tirate sulla spiaggia, e bene ammarrate alle grosse pietre sotto il lavatoio; perciò i<br />

monelli si divertivano a vociare e fischiare quando si vedeva passare in lontananza qualche vela<br />

sbrindellata, in mezzo al vento e alla nebbia, che pareva ci avesse il diavolo in poppa; le donne<br />

invece si facevano la crose, quasi vedessero cogli occhi la povera gente che vi era dentro.<br />

Maruzza la Longa non diceva nulla, com'era giusto, ma non poteva star ferma un momento, e<br />

andava sempre di qua e di là, per la casa e pel cortile, che pareva una gallina quando sta per far<br />

l'uovo. Gli uomini erano all'osteria, o nella bottega di Pizzuto, o sotto la tettoia del beccaio, a<br />

veder piovere, col naso in aria. Sulla riva c'era soltanto padron 'Ntoni, per quel carico di lupini che<br />

ci aveva in mare colla Provvidenza e suo figlio Bastianazzo per giunta, e il figlio della Locca, il quale<br />

non aveva nulla da perdere lui, e in mare non ci aveva altro che suo fratello Menico, nella barca<br />

dei lupini.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

Il titolo lascia supporre che l'intero romanzo tratti di un certo gruppo di persone, e in particolare di<br />

un gruppo famigliare ben definito (dal nome). Si può dunque pensare che la vicenda raccontata sia<br />

la vicenda, più o meno dettagliata, di questa famiglia.<br />

Stile narrativo:<br />

Il narratore parla in terza persona e dà l'impressione di essere esterno alla vicenda. Tuttavia, l'uso<br />

di particolari formule definisce questo narratore in maniera assai precisa, perché mentre descrive<br />

la situazione egli dà anche dei giudizi personali ed esprime la propria cultura. È il caso di<br />

espressioni quali «com'era giusto» o «di quel settembre traditore che vi lascia andare un colpo di<br />

mare tra capo e collo, come una schioppettata tra i fichi d'india», che riportano direttamente il<br />

lettore all'esperienza e alla cultura del luogo in cui è ambientata la vicenda.<br />

Il narratore dà così per scontato che il lettore conosca già l'ambiente della vicenda, le espressioni<br />

linguistiche del popolo, e addirittura anche i personaggi, che non introduce in alcun modo e di cui<br />

parla con i soprannomi con i quali sono conosciuti nel paese. In tal modo, il lettore è chiamato a


diventare parte della vicenda, come fosse un abitante del luogo.<br />

Campi semantici:<br />

I rumori, i suoni: nel primo paragrafo domina il rumore del vento che s'era messo a fare il<br />

diavolo; il mare che muggisce; la schioppettata del settembre traditore; i monelli che<br />

vociano e fischiano. Il secondo paragrafo, invece, crea un contrasto col primo con la figura<br />

di Maruzza che non diceva nulla: un silenzio, questo, che mostra il dolore e la<br />

preoccupazione del personaggio, ma anche l'impotenza dell'essere umano di fronte alle<br />

forze della natura.<br />

Il movimento: tutto si muove in questi due paragrafi, dal vento che s'era messo a fare il<br />

diavolo e a scuotere le imposte, al mare agitato, all'immagine delle barche in mare con il<br />

diavolo in poppa, alla Longa che andava di qua e di là, per la casa e pel cortile, che pareva<br />

una gallina quando sta per far l'uovo.<br />

Similitudini e modi di dire:<br />

Come s'è detto sopra, il narratore utilizza numerose espressioni e molti modi di dire che<br />

denunciano la sua cultura. Eccone un elenco:<br />

- il vento s'era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese<br />

- pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di S. Alfio<br />

- peggio dell'anima di Giuda<br />

- settembre traditore che vi lascia andare un colpo tra capo e collo, come una schioppettata tra i<br />

fichi d'india<br />

- pareva ci avesse il diavolo in poppa<br />

- pareva una gallina quando sta per far l'uovo<br />

La cultura del narratore è popolare: lo dimostrano i riferimenti agli animali d'allevamento (i buoi,<br />

le galline), al diavolo come spauracchio collettivo, al paese con i suoi luoghi e momenti di ritrovo<br />

(l'osteria, la caccia, ecc).<br />

Osservazioni conclusive:<br />

Assieme a Luigi Capuana, Giovanni Verga è il padre del Verismo, il movimento italiano che<br />

traduce nel contesto e nella cultura della penisola il Naturalismo francese, di cui fu<br />

promotore Emile Zola. Seguendo questa poetica, il romanzo è «lo studio sincero e<br />

spassionato»-nota- della ricerca del benessere da parte di una famiglia, i Malavoglia<br />

appunto (la citazione è tratta dalla prefazione al romanzo), le cui vicende vengono seguite<br />

da parte di un narratore il più possibile obiettivo (parla in terza persona), ma anche il più<br />

vicino possibile alla cultura e alla mentalità dei personaggi (è "calato" nella cultura dei<br />

personaggi). Questo studio si svolge nel più puro spirito positivista, tipico della fine<br />

dell'Ottocento, secondo cui ogni fenomeno (anche sociale) è analizzabile, riconducibile a<br />

leggi precise, e quindi riproducibile sperimentalmente. Da questo punto di vista il romanzo<br />

diventa come un vero e proprio laboratorio d'analisi, in cui far muovere i personaggiburattini<br />

a seconda dello studio umano e sociale che vuol fare lo scrittore.


Il rapporto tra autore e narratore è quindi particolare: da un lato abbiamo un autore, il<br />

Verga, colto e di provenienza agiata; dall'altro un narratore che, per cultura ed esperienze,<br />

condivide la mentalità dei protagonisti popolani, i Malavoglia. Si capisce che la ricerca<br />

formale (linguistica e narratologica) sia molto importante in questo romanzo, e che sia<br />

frutto di uno studio attento, di un tentativo di ricostruzione intellettuale. È questo il<br />

significato di tutte le similitudini e i modi di dire di cui è pieno il testo, tanto più che il<br />

verismo si distingue dalle altre correnti europee proprio per l'interesse verso la vita<br />

multiforme delle popolazioni contadine nelle diverse realtà regionali.<br />

D'altra parte, i campi semantici del rumore e del movimento presenti nel passo analizzato<br />

mostrano bene quanto importante sia stata, per il Verga, anche la ricerca stilistica che<br />

potesse caricare il testo di forti emozioni. Assieme a Maruzza La Longa, personaggio quasi<br />

sconosciuto ma nel quale già ci si immedesima, il lettore prova l'angoscia del disastro<br />

temuto. Il movimento di tutta la scena rende molto bene il senso di catastrofe naturale e<br />

umana veicolato dal testo, così come il silenzio della Longa, accanto al frastuono del vento<br />

e del mare, mostra l'impotenza dell'uomo davanti alle forze del destino.


Virginia Woolf<br />

La camera di Jacob (1922)<br />

La luna bianca, piumosa, non lasciava che il cielo imbrunisse completamente: per tutta la notte i<br />

fiori di castagno biancheggiarono nel verde; scuro era solo il centrisco, nei prati.<br />

I camerieri, al Trinity, dovevano stare a rimescolare come carte da gioco i piatti di porcellana, a<br />

giudicare dall'acciottolio che giungeva fino al Gran Cortile. L'alloggio di Jacob era, però, nel cortile<br />

Neville, su in cima, ed era con un certo affanno che s'arrivava alla sua porta. Non c'era, comunque.<br />

Forse era in sala, a cena. Sarà tutto buio, nel Cortile Neville, molto prima di mezzanotte, ma le<br />

colonne di fronte rimarranno bianche, e così anche le fontane. Dà un curioso effetto il cancello,<br />

come di un merletto sul verde pallido. Anche dalla finestra si sente l'acciottolio dei piatti, e, per di<br />

più, il brusio dei commensali. La sala è illuminata, e le porte a battenti si aprono e si chiudono con<br />

un soffice tonfo. C'è chi arriva in ritardo.<br />

[...] La stanza di Jacob conteneva un tavolo rotondo e due sedie basse. Un vaso di iris gialle sul<br />

caminetto, con una fotografia di sua madre; cartoncini di compagnie con piccole mezzelune,<br />

stemmi e iniziali; fogli d'appunti e pipe. Sul tavolo, fogli con i margini rigati in rosso... un saggio,<br />

senza dubbio: «Può la storia consistere nelle biografie dei grandi uomini?». [...] E' così inerte l'aria<br />

che c'è in una stanza vuota, fa appena gonfiare le tendine. I fiori del vaso hanno un lieve moto, una<br />

fibra della poltrona di vimini scricchiola senza che nessuno vi sia seduto.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

(Traduzione tratta da: Virginia Woolf, Tutti i romanzi, ed. Newton, 1994)<br />

Il titolo ci rivela che un certo Jacob è uno dei personaggi basilari della storia, ma, soprattutto, che<br />

l'attenzione è rivolta a un luogo appartenente a questo Jacob, la sua camera. Se questo è un luogo<br />

reale o simbolico, non lo si può dire a priori, ma comunque quel che è certo è che designa uno<br />

spazio, e che a questo spazio è dedicato il romanzo.<br />

Stile narrativo:<br />

Il narratore parla in terza persona ed è esterno alla vicenda. Non è un narratore tradizionale (alla<br />

Manzoni), nel senso che non è onnisciente, non spiega tutto dei personaggi e della vicenda.<br />

Ciononostante, la sua presenza è avvertibile nel testo, qua e là, dall'uso di certe particolari<br />

similitudini («il cancello, come un merletto sul verde pallido»), o dall'espressione di certe<br />

sensazioni e di certi pensieri. Questo narratore ha alcune particolarità molto interessanti, di cui ci<br />

rendiamo subito conto se ci soffermiamo nell'analisi della tipologia testuale a cui appartiene il<br />

passo che abbiamo scelto, essenzialmente descrittiva.


La descrizione:<br />

La prima parte è una descrizione esterna (1° e 2° paragrafo). Nel par. 1 il narratore descrive<br />

la notte, con accenni brevi ma molto delicati ed una particolare attenzione rivolta ai giochi<br />

di luce (la luna bianca, il cielo luminoso, i bianchi fiori di castagno, il centrisco scuro). Nel<br />

par. 2 si sofferma a descrivere soprattutto le sensazioni uditive che riceve in quella notte<br />

(l'acciottolio dei piatti, il brusio dei commensali) e, senza essere esauriente, il luogo in cui si<br />

trova la camera di Jacob. Ciò che risalta maggiormente agli occhi da questa descrizione, per<br />

la sua originalità, è il fatto che il narratore risulta spesso ignorante, incapace di dare al<br />

lettore la "verità", fissa ed indiscussa, riguardo alla vicenda che racconta: di sicuro egli<br />

sente l'acciottolio dei piatti, ma immagina soltanto il daffare dei camerieri, che non vede<br />

(«I camerieri [...] dovevano stare a rimescolare [...] i piatti di porcellana a giudicare<br />

dall'acciottolio che giungeva fino al Gran Cortile»); non sa dove si trova in quel momento<br />

Jacob, il suo personaggio, del quale ipotizza soltanto che sia a cena, in sala («Forse era in<br />

sala...»). Le uniche asserzioni che è in grado di fare riguardano l'esterno del Trinity: la<br />

notte, i cortili, il cancello, e se dà informazioni riguardo all'interno del Trinity, è solo quel<br />

che vede dalla finestra («Dalla finestra si sente...»).<br />

La seconda parte di questa descrizione riguarda un interno: la camera di Jacob, di cui già<br />

sapevamo dal paragrafo precedente che era vuota («[Jacob] non c'era, comunque»). La<br />

distanza tra il narratore e il suo personaggio che i paragrafi 1 e 2 ci hanno fatto sentire<br />

(l'ignoranza del primo riguardo a ciò che fa il secondo) sembrano essere riconfermati in<br />

questa seconda descrizione proprio dal fatto che il narratore dà una libera descrizione della<br />

camera di Jacob dal momento che non c'è, quasi a suggerire l'idea che, se Jacob ci fosse<br />

stato, il narratore non avrebbe potuto entrarci. L'immagine che sembra più appropriata a<br />

cogliere l'atteggiamento di questo narratore è quello di vederlo mentre sbircia<br />

furtivamente nella camera del suo personaggio.<br />

Temi principali:<br />

Benché non sia affatto facile (ma neanche impossibile) dedurlo da questo estratto, per la<br />

comprensione del testo è indispensabile sapere che il Trinity è un college. Dunque Jacob è<br />

un giovanotto che frequenta il college, e i commensali nella sala della cena sono tutti i suoi<br />

coetanei altrettanto pensionati. Da ciò si capisce anche perché, nel descrivere la sua<br />

camera, il narratore dica del libro sul tavolo che, «senza dubbio», si tratta di un saggio. Il<br />

tema della cultura è dunque importantissimo in questo passo, anche perché chiarisce<br />

meglio la natura dello spazio che dà il titolo al romanzo: la camera di Jacob è la camera di<br />

un college, dove un giovanotto studia i grandi autori e le vite dei grandi uomini (vedi il<br />

titolo del saggio: «Può la storia consistere nelle biografie dei grandi uomini?»); essendo un<br />

luogo chiuso e riservato a pochi intimi, la camera designa dunque, oltre che una vera e<br />

propria stanza, uno spazio ristretto e non aperto a tutti.<br />

Un altro tema significativo è quello dell'assenza. Il fatto che il narratore non sappia niente<br />

di quel che fa Jacob, che se lo immagini soltanto, accentua l'idea di trovarsi di fronte ad un<br />

personaggio poco consistente, quasi fantomatico. Ma è soprattutto la descrizione della<br />

camera a dare risalto al tema dell'assenza: non soltanto la camera è vuota, ma essa sembra


avere una vita autonoma proprio quando Jacob non c'è (le tendine che si gonfiano, il lieve<br />

moto dei fiori, la poltrona che scricchiola).<br />

Osservazioni conclusive:<br />

Virginia Woolf non deve la sua fama mondiale come scrittrice unicamente al suo talento,<br />

ma anche al fatto che la sua scrittura si lega al primo movimento femminista (la si può<br />

considerare a buon diritto la madre del femminismo). Dal passo che abbiamo analizzato<br />

possiamo tirare molti elementi che ci riportano al problema del maschilismo nella nostra<br />

società, ed in particolare il fatto che: 1) il protagonista è un giovane uomo che appartiene<br />

alla ristretta cerchia di persone che possono accedere alla cultura (ricordiamo che Jacob's<br />

room è del 1922, e che le donne dovranno aspettare ancora a lungo prima di potere<br />

entrare nelle università); 2) il narratore è un estraneo rispetto al mondo di Jacob, cioè a<br />

quello del college, e narra la vicenda da un punto di vista marginale; 3) la stessa cultura,<br />

chiusa nel college maschile e fatta dagli uomini, vive di se stessa auto-generandosi (il titolo<br />

del saggio denuncia in proposito una realtà preoccupante).<br />

La particolare struttura del libro, il ruolo più dubitativo che assertivo del narratore, il fatto<br />

che il personaggio principale sia delineato più dalla sua assenza che dalla sua presenza<br />

sono elementi che si riallacciano alle inquietudini della società europea tra le due guerre, e,<br />

nel mondo degli artisti in particolare, al movimento passato alla storia col nome di<br />

modernismo. Virginia Woolf si ricollega dunque, per il suo sperimentalismo, a questo<br />

movimento sostanzialmente inglese, caratterizzato da autori quali Joyce e Eliot, ma<br />

dandogli un'impronta tutta personale a partire dalla propria femminilità: il che non significa<br />

solo trasmettere una certa dolcezza e sensibilità nella scrittura, ma anche affrontare, come<br />

scrittrice, una tradizione letteraria tipicamente maschile, e di dominio fino ad allora (quasi)<br />

completamente indiscusso.


Emile Zola<br />

Germinale (1885)<br />

Nella rasa pianura, sotto la notte senza stelle, scura e spessa come l'inchiostro, un uomo solo<br />

seguiva lo stradone che andava da Marchienne a Montsou, dieci chilometri di selciato diritto che<br />

tagliava un campo di barbabietole. Davanti a sé, non vedeva neanche la terra nera, e soltanto i<br />

soffi del vento di marzo, dalle raffiche ampie come in pieno mare, gelide per aver spazzato intere<br />

leghe di paludi e terre nude, gli dava la sensazione dell'immenso orizzonte piatto. Nessuna ombra<br />

di albero si stagliava sul cielo, il selciato si stendeva con la precisione di una gettata, in mezzo<br />

all'oscurità accecante delle tenebre.<br />

L'uomo era partito da Marchienne verso le due. Camminava a passi ampi, tremando sotto il<br />

cotone sottile della sua giacca e del suo pantalone di velluto. Un pacchettino, annodato in un<br />

fazzoletto a quadri, gli dava molto fastidio; e lo stringeva contro i suoi fianchi, talvolta con un<br />

gomito, talatra con l'altro, per far scivolare in fondo alle tasche entrambe le mani, delle mani rosse<br />

che le lamine del vento facevano sanguinare. Un'unica idea occupava la sua testa vuota di operaio<br />

senza lavoro e senza alloggio, la speranza che il freddo sarebbe stato meno intenso dopo il sorgere<br />

del giorno. Da un'ora camminava così, quando sulla sinistra, a due chilometri da Montsou, scorse<br />

dei fuochi rossi, tre bracieri brucianti all'aria aperta, e come sospesi. Inizialmente esitò, preso dalla<br />

paura; poi, non poté resistere al bisogno doloroso di scaldarsi un po' le mani.<br />

<strong>Analisi</strong> testuale<br />

Titolo:<br />

(Tradotto da: Emile Zola, Germinal, ed. Folio Gallimard, 1978)<br />

"Germinal" è il termine che in francese designa ciò che è relativo alla germinazione. Quando, dopo<br />

il 1789, i rivoluzionari abbatterono la Monarchia per instaurare la prima Repubblica francese,<br />

decisero di sostituire il vecchio calendario istituzionale con un nuovo calendario che seguisse il<br />

ritmo naturale della successione del tempo. Il settimo mese, che cadeva tra marzo e aprile, venne<br />

chiamato "germinale" proprio perché era il mese in cui la natura germogliava. L'inizio della vicenda<br />

comincia proprio in questo periodo dell'anno; si parla, infatti, del «vento di marzo» (par. 1).<br />

Questo termine è dunque legato da un lato all'idea della rivoluzione sociale, dall'altro a quella<br />

della rinascita, della vita, del ciclo continuo della natura, della speranza. Tuttavia, richiamandosi ad<br />

una rivoluzione che destò molte aspettative ma che si concluse con un grande fallimento per le<br />

classi popolari, l'idea di speranza che è implicito in questo titolo si accompagna anche ad un<br />

sentimento di perdita, di illusione.<br />

Struttura e tipologia:


Il passo rappresenta l'inizio del romanzo; è composto da due paragrafi ed è di natura descrittiva. Il<br />

primo paragrafo è la descrizione di un paesaggio; il secondo si concentra sul personaggio. Il<br />

narratore è esterno alla vicenda e parla alla terza persona.<br />

Lo spazio:<br />

Quello che è descritto è uno spazio che si caratterizza soprattutto per la sua orizzontalità: siamo in<br />

una «rasa pianura», davanti a «dieci chilometri di selciato diritto» attorniato solamente da «un<br />

campo di barbabietole». Tutto concorre a dare all'uomo «la sensazione dell'immenso orizzonte<br />

piatto» in cui si trova, e perciò a dare l'idea di uno spazio sconfinato e quasi surreale. La sola unità<br />

di grandezza a cui si fa riferimento è il chilometro («dieci chilometri di selciato diritto» - par. 1; «a<br />

due chilometri da Montsou» - par. 2) e questo accentua l'idea della grandezza del luogo, tenuto<br />

conto che il personaggio è appiedato.<br />

Campi semantici principali:<br />

L'immensità del paesaggio: oltre agli elementi già individuati (la pianura rasa, i chilometri,<br />

l'«immenso orizzonte piatto», ecc.), a dare l'idea dello spazio sconfinato concorrono anche<br />

altri elementi, e soprattutto la descrizione del forte vento, «dalle raffiche ampie come in<br />

pieno mare», che ha spazzato «intere leghe di paludi e terre nude».<br />

La nudità: la pianura è rasa, le paludi e le terre sono nude, sul cielo non si staglia nessuna<br />

ombra di albero; persino la notte è senza stelle. L'idea della nudità del paesaggio accentua<br />

l'idea dell'immensità del paesaggio.<br />

La povertà: per quanto riguarda il paesaggio, povertà e nudità sono la stessa cosa; da<br />

notare che i campi che lo compongono sono campi di barbabietole, un alimento povero.<br />

Ma l'idea della povertà insita nel paesaggio si ritrova anche nel personaggio: egli trema<br />

«sotto il cotone sottile della sua giacca» ed è un operaio «senza lavoro e senza alloggio».<br />

Il freddo: le raffiche di vento gelide, i brividi dell'uomo sotto il cotone, le mani rosse che il<br />

vento fa sanguinare, la speranza che il freddo diminuisca, il «bisogno doloroso di scaldarsi<br />

un po' le mani».<br />

L'oscurità: la «notte senza stelle, scura e spessa come l'inchiostro», l'impossibilità di vedere<br />

«la terra nera», «l'oscurità accecante delle tenebre»; persino l'assenza di ombre degli<br />

alberi. Gli unici colori che appaiono in questo paesaggio nero è il rosso dei tre bracieri.<br />

Osservazioni conclusive:<br />

L'inizio del romanzo si apre con una descrizione desolante, che mostra un personaggio in<br />

balia di un paesaggio vuoto e ostile. Da questi due paragrafi introduttivi emerge una<br />

visione della condizione dell'uomo assai pessimista. Se è vero che il periodo dell'anno in<br />

cui ci troviamo è la primavera (il mese "germinale"), la natura non è però affatto ridente e<br />

dolce, o il clima più mite. Il paesaggio assomiglia piuttosto ad un paesaggio dantesco,<br />

pauroso e negativo. Questa descrizione sembra essere una metafora della condizione<br />

dell'uomo, che deve affrontare l'ostilità del mondo.


La desolazione, il vuoto, l'oscurità e il freddo, che caratterizzano il paesaggio, sono tutti<br />

elementi che richiamano l'idea della morte. L'unico essere vivente a trovarsi in questo<br />

ambiente ostile è l'uomo, che riesce a sopportare la propria condizione solamente perché<br />

sorretto dalla speranza miserevole di avere meno freddo all'alba, cioè nel momento in cui<br />

uscirà da quella notte che sembra eterna. La sua speranza è accentuata dalla visione dei tre<br />

bracieri, anche se lo riempie di paura. La decisione di dirigersi finalmente verso i bracieri<br />

riflette il bisogno di pensare alla propria sopravvivenza: l'uomo si vuole allontanare dalla<br />

pianura funesta per avvicinarsi alla vita, al calore, alla luce.<br />

Un tema molto evidente nel romanzo, che emerge fin dall'inizio, è quello del problema<br />

sociale della lotta di classe, problema che ha sempre preoccupato Zola. Già il titolo si<br />

richiama esplicitamente ad una delle rivoluzioni politiche e sociali più importanti della<br />

storia, la rivoluzione francese del 1789, ma questo tema è ripreso anche da altri elementi<br />

nel testo. Del personaggio descritto nel secondo paragrafo ci viene detto molto poco, se<br />

non per sottolineare la sua condizione sociale (povera). E' interessante notare come la sua<br />

descrizione sia generalmente vaga (non sappiamo né come si chiami, né che aspetto fisico<br />

abbia), mentre subito ci viene detto che si tratta di un operaio disoccupato. Il paesaggio<br />

infine, con la sua povertà e ostilità, preannuncia il tipo di ambiente che troviamo poi in<br />

tutto il romanzo.<br />

Zola è il "maestro" della scuola naturalista che nasce in Francia verso il 1880. L'intento<br />

principale di questa scuola era quello di rendere il romanzo una specie di laboratorio<br />

scientifico in cui analizzare i comportamenti dei personaggi, a seconda dell'influenza che su<br />

di loro avevano l'ambiente e l'ereditarietà. Per realizzare questo romanzo sperimentale, il<br />

narratore doveva essere distaccato ed esterno alla narrazione come può esserlo un analista<br />

nei confronti degli elementi chimici che manipola in un laboratorio. Questo passo tuttavia<br />

ci mostra come questo intento non abbia avuto effettiva realizzazione (almeno nei romanzi<br />

di Zola): spesso il narratore descrive gli ambienti e gli avvenimenti con una tale forza<br />

suggestiva da sfiorare il genere fantastico, ed è quindi ben lontano da un freddo distacco<br />

scientifico verso la propria creazione.<br />

Possiamo vedere una traccia di questo elemento fantastico in questo passo nell'immagine<br />

dei tre «fuochi rossi» «brucianti all'aria aperta, e come sospesi» che si stagliano nel<br />

paesaggio pauroso e dantesco, immerso nell'oscurità ed in balia del vento. La forza<br />

suggestiva della descrizione in Zola, se lo allontana suo malgrado dal suo proposito<br />

puramente analitico, è ciò che rende le sue opere assolutamente personali e attraenti per<br />

noi lettori moderni.


Come procedere per fare da soli un'analisi testuale?<br />

Per fare una lettura critica di un passo letterario non esiste una "ricetta" sempre uguale,<br />

schematica, rigida, che presuppone un'attenzione rivolta sempre alle stesse cose. E questo, a mio<br />

parere, lungi dall'essere un ostacolo, è anzi il segno che la letteratura merita un'attenzione<br />

particolare, che ha tanto, veramente tanto da darci, e ogni volta una cosa diversa. È dunque un<br />

bene che sia così.<br />

Premesso questo, esiste però un metodo. Questo metodo è molto semplice, e, una volta acquisito,<br />

fare una lettura critica di un passo letterario diventa un esercizio relativamente facile. Come in<br />

tutte le cose, è solo una questione di abitudine: basta imparare a "ragionare" secondo i criteri<br />

costitutivi della "letteratura", il suo sistema linguistico, sintattico, strutturale, ecc. Vediamo più da<br />

vicino di cosa si tratta.<br />

1) Il tipo di testo<br />

Il tipo di testo<br />

Il titolo<br />

La struttura<br />

Il tempo<br />

I temi o i campi semantici<br />

Lo stile<br />

Innanzitutto, è necessario chiedersi di che tipo è il testo che vogliamo analizzare. Salvo casi<br />

particolari, una poesia è molto diversa da un brano in prosa, non soltanto per come la<br />

visualizziamo, cioè per quanto riguarda il suo aspetto "tipografico" (i paragrafi, gli spazi bianchi,<br />

ecc.), ma anche perché fa uso di tecniche narrative e stilistiche diverse. La nostra analisi, le<br />

"domande" che dovremo fare al testo, saranno dunque diverse a seconda della tipologia alla quale<br />

appartiene. Ma anche all'interno della poesia e della prosa esistono molti tipi diversi di stili.<br />

2) Il titolo<br />

^ torna su ^<br />

Il titolo è importantissimo e possiamo essere certi che qualsiasi autore lo sceglie con estrema<br />

attenzione, perché sa che è quello che crea il primo contatto con il lettore. Spesso è una specie di<br />

brevissimo riassunto di quello che troviamo all'interno del testo (ad esempio I viaggi di Gulliver);<br />

altrettanto spesso definisce il personaggio principale (es. Mastro-don Gesualdo), o il luogo in cui si<br />

svolge la vicenda (es. La montagna incantata), o il tema prevalente (un sentimento, una realtà,<br />

ecc. - es. Delitto e castigo, La nausea). Esso è dunque carico di informazioni, rapide ma<br />

preziosissime, da non sottovalutare mai.<br />

Esistono anche titoli che sono, per così dire, svianti, nel senso che talvolta non si riesce a capire


immediatamente quale rapporto abbiano con il testo in sé. Questi titoli, invece di essere come gli<br />

altri che danno fin dall'inizio un'idea del testo, hanno invece una funzione retrospettiva: vanno,<br />

cioè, riletti dopo aver finito il testo, e reinterpretati alla luce di esso. Spesso forniscono così<br />

un'ulteriore chiave di lettura dell'opera in sé, e, spessissimo, danno perciò di quest'ultima l'idea<br />

che ne esista una seconda interpretazione.<br />

Un titolo "sviante" si ha, ad esempio, col romanzo di Flaubert L'educazione sentimentale.<br />

Il titolo sembra indicare un romanzo di formazione in cui il protagonista debba farsi una<br />

"educazione sentimentale", ma poi la storia smentisce questa aspettativa. Il protagonista infatti è<br />

un giovane che nutre un amore platonico per una donna sposata e più grande di lui; ma egli arriva<br />

poi, alla fine del libro, alla conclusione che le sole donne che hanno contato nella vita per lui sono<br />

quelle che ha conosciuto... in un bordello!, con le quali tra l'altro non ha neanche avuto il coraggio<br />

di avere un rapporto (né amoroso, né sessuale). Alla luce di questa storia, il titolo appare dunque<br />

profondamente ironico.<br />

In questo caso quindi il titolo fornisce al lettore una chiave di lettura di un testo che molte volte<br />

non si capisce immediatamente, perché fa un'uso molto sottile dell'ironia (non a caso Flaubert è<br />

considerato un maestro in questo campo).<br />

3) La struttura<br />

^ torna su ^<br />

Che abbiamo a che fare con una poesia, con un romanzo, o con una novella, una struttura c'è<br />

sempre, e può essere molto interessante rendersene conto. Se un autore decide di dividere una<br />

poesia in determinate strofe, di esprimere un certo contenuto attraverso un sonetto o una poesia<br />

libera, oppure se divide un romanzo in una serie di sezioni, paragrafi e sottoparagrafi, ciò denuncia<br />

un intento preciso.<br />

Spesso una divisione in strofe o in capitoli indica una semplice successione temporale, ma può<br />

anche avere un senso più profondo, come quello di presentare aspetti diversi di una stessa cosa,<br />

diversi punti di vista, ecc. Con qualche esempio tutto ciò diventerà più chiaro. Importante è<br />

accorgersi, mentre si legge, che la letteratura non è lì soltanto per raccontare qualcosa, ma anche<br />

per raccontarlo in un certo modo, e che per farlo utilizza anche una struttura, una forma, un<br />

genere.<br />

Le raccolte poetiche sono talvolta attentamente strutturate. Ad esempio, I fiori del male di<br />

Baudelaire rappresentano, attraverso le varie sezioni, prima la condizione del poeta, uomo scisso<br />

tra lo Speen e l'Ideale (Spleen et Idéal), poi la città in cui si muove, Parigi (Tableaux parisiens),<br />

infine le quattro diverse realtà che l'uomo ha a sua disposizione per esprimere la propria libertà,<br />

dalla poesia alla rivolta (Le vin, Fleurs du mal, La révolte, La mort).


Oltre alla struttura generale, è spesso interessante vedere in che maniera le varie parti del testo<br />

sono collegate le une alle altre: si tratta, cioè, di vedere che rapporto c'è tra i vari paragrafi, o tra<br />

le varie strofe, o tra le varie frasi, o tra i vari capitoli. Questo rapporto può essere di causa/effetto,<br />

di opposizione, di spiegazione, di complementarietà, ecc.<br />

1) Il tempo<br />

^ torna su ^<br />

Molto importante è anche l'analisi del fattore tempo, inteso in tutti i suoi significati: come<br />

contesto, tema, sistema verbale o velocità della narrazione. Per approfondire quest'aspetto vedi<br />

l'articolo Narrazione e tempo.<br />

4) I temi o i campi semantici<br />

^ torna su ^<br />

I temi principali di un testo, resi evidenti da un'analisi dei suoi campi semantici più significativi,<br />

spesso aiutano a chiarire il senso di un'opera, a cogliere le sue problematiche principali. Per<br />

l'analisi di una poesia, in particolare, ricercare le aree semantiche più ricorrenti equivale ad<br />

individuare l'atmosfera generale in cui si colloca il testo (e si sa quanto "l'atmosfera generale" in<br />

una poesia sia importante). Ma anche per un testo in prosa la ricerca dei campi semantici è<br />

importantissima. Ovviamente però, la ricerca dei temi va organizzata in maniera diversa a seconda<br />

che si abbia a che fare con un testo breve o lungo.<br />

Ricerca dei temi<br />

La ricerca dei campi semantici può partire, ad esempio, da categorie frequenti, come quelle legate<br />

ai 5 sensi:<br />

la vista: sono indicati dei colori? quali sono i colori più ricorrenti? l'ambiente descritto è più<br />

o meno illuminato/buio? ecc.<br />

l'odorato: si indicano degli odori? ecc.<br />

l'udito: ci sono rumori/suoni? di che tipo sono? sono suoni umani/animali/artificiali? c'è<br />

assoluto silenzio? ecc.<br />

il gusto: c'è qualcosa che viene assaporato? ecc.<br />

il tatto: si indicano delle qualità tattili? c'è qualcosa di<br />

ruvido/liscio/morbido/duro/freddo/caldo? ecc.<br />

Oltre a questi campi semantici, ovviamente, ce ne possono essere altri. Ad esempio, un'altra<br />

categoria molto importante riguarda la dimenzione spaziale e temporale: tutte le parole o i gruppi<br />

di parole che rimandano allo spazio e al tempo come qui, là, domani, nell'infanzia, nell'orto, ecc. In<br />

più, per quanto riguarda il tempo, può essere interessante vedere di che tipo sono i tempi verbali<br />

più ricorrenti: passati/presenti/futuri? condizionali? ecc.


Può essere utile evidenziare sul testo i vari elementi di un campo semantico con un colore diverso,<br />

usando, per esempio, delle matite colorate. Sembrerà un modo un po' infantile di trattare un testo<br />

ma è una cosa utilissima.<br />

Associazioni create dai temi<br />

Dopo aver individuato i campi semantici principali, è necessario fare un passo ulteriore: bisogna<br />

imparare a distinguere tra i campi semantici interessanti e quelli che non sono particolarmente<br />

interessanti. L'importanza di un campo semantico si capisce:<br />

dalla frequenza con cui ricorrono i suoi elementi (ovviamente);<br />

dalla singolarità delle associazioni che i suoi elementi stabiliscono con altri elementi del<br />

testo o con il testo in generale.<br />

La singolarità delle associazioni è molto importante: ad esempio, se si associa il colore giallo a<br />

qualcosa che è naturalmente giallo, come una banana, questa associazione non è particolarmente<br />

rilevante presa in sé; se invece il giallo è associato a qualcosa che di solito non è giallo, o che<br />

addirittura non ha nessun colore, allora si ha un effetto di stile voluto e sicuramente pieno di<br />

significato.<br />

Significato delle associazioni<br />

Una volta trovati i temi più interessanti, bisogna chiedersi perché l'autore ha voluto esprimersi<br />

così, cioè capire il significato dei campi semantici. A questo livello di analisi ovviamente il risultato<br />

dipende dalla propria capacità critica, oltre che dal proprio bagaglio culturale, però anche qui è<br />

possibile aiutarsi con alcuni "trucchi".<br />

Ci sono campi semantici il sui significato non è difficile da capire, perché associato<br />

immediatamente, nella nostra cultura, a un determinato sistema di valori: ad esempio, il campo<br />

semantico del rosso è associato automaticamente al sangue, al calore, alla vita, all'amore, alla<br />

passione (e così via per tutti i colori); il campo semantico del passato è associato alla storia, alla<br />

commemorazione, al ricordo, talvolta all'infanzia; ecc.<br />

L'insieme del testo, poi, aiuta a circoscrivere meglio il significato esatto da scegliere tra tutta la<br />

gamma simbolica delle associazioni trovate.<br />

Certo, non tutti i campi semantici sono così facili da capire. È importante cercare di cogliere il più<br />

possibile le associazioni a cui portano singolarmente, e nello stesso tempo avere bene in mente<br />

l'insieme del testo che si analizza.<br />

Per esempio, nell'Infinito di Leopardi , molto del significato si capisce grazie all'individuazione del<br />

campo semantico spaziale. La poesia si costruisce attraverso degli indicatori spaziali (questa siepe,<br />

parte dell'ultimo orizzonte, interminati spazi, di là da quella, queste piante, quello infinito silenzio,<br />

questa voce, questa immensità, questo mare) che formano due gruppi: tutto ciò che c'è al di qua<br />

della siepe e quello che c'è oltre la siepe. La siepe, cioè l'elemento che separa i due gruppi spaziali,<br />

è per il poeta l'ostacolo visivo che gli impedisce di vedere cosa c'è dietro. Questo ostacolo diventa<br />

però lo stimolo per immaginare gli spazi infiniti che non si possono vedere, e da qui nasce la<br />

poesia.


Anche in questo caso può essere interessante vedere in che rapporto stanno tra loro i vari campi<br />

semantici: causa/effetto, opposizione, complementarietà, ecc. Quest'analisi può portare a delle<br />

scoperte molto particolari, oppure anche solo a focalizzare meglio il ruolo e il significato di ogni<br />

singolo campo semantico.<br />

^ torna su ^<br />

5) Lo stile<br />

Lo stile è quel carattere particolare che un autore dà al proprio testo; si può dire che ogni autore<br />

ha il proprio stile.<br />

Per inquadrare uno stile con una certa precisione, è utile il ricorso alle figure retoriche. Le figure<br />

retoriche sono uno degli strumenti più "potenti" che uno scrittore ha in mano per dare alla propria<br />

opera uno stile particolare. Una stessa storia, ad esempio, può diventare diversissima a seconda se<br />

viene raccontata facendo uso di certe figure retoriche invece che di altre [a questo proposito vedi:<br />

Ma lo stile cos'è?].


MA LO STILE CHE COS’È?<br />

Esistono libri e libri. Questo è ovvio per tutti. Ma questo non vuol dire soltanto che ogni libro<br />

racconta una storia diversa: spesso significa anche che la racconta in un modo diverso. Infatti, si<br />

può raccontare esattamente la stessa storia per infinite volte, ma se lo si fa cambiando stile<br />

sembreranno infinite storie distinte e separate.Un modo simpatico per capire cosa significa<br />

raccontare una stessa storia cambiando stile ce l'ha dato lo scrittore francese Raymond Queneau,<br />

in un libro intitolato Exercices de style (Esercizi di stile). Questo libro, sapientemente tradotto in<br />

italiano da Umberto Eco, racconta per ben 99 volte... la stessa, banalissima storia...<br />

Notazioni Telegrafico Modern style<br />

Retrogrado Versi liberi Geometrico<br />

Onomatopee Anglicismi Interiezioni<br />

Volgare Botanico Prezioso<br />

Sonetto Medico Sogno<br />

Notazioni<br />

Sulla S, in un'ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al<br />

posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato. La gente scende. Il tizio in<br />

questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni che passa qualcuno. Tono<br />

lamentoso, con pretese di cattiveria. Non appena vede un posto libero, vi si butta. Due ore più<br />

tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint-Lazare. È con un amico che gli dice:<br />

«Dovresti far mettere un bottone in più al soprabito». Gli fa vedere dove (alla sciancratura) e<br />

perché.<br />

Retrogrado<br />

Dovresti aggiungere un bottone al soprabito, gli disse l'amico. L'incontrai in mezzo alla Cour de<br />

Rome, dopo averlo lasciato mentre si precipitava avidamente su di un posto a sedere. Aveva<br />

appena finito di protestare per la spinta di un altro viaggiatore che, secondo lui, lo urtava ogni<br />

qualvolta scendeva qualcuno. Questo scaarnificato giovanotto era latore di un cappello ridicolo.<br />

Avveniva sulla piattaforma di un S sovraffollato, di mezzogiorno.<br />

Onomatopee<br />

A boarrrdo di un auto (bit bit, pot pot!) bus, bussante, sussultante e sgangherato della linea S,<br />

tra strusci e strisci, brusii, borbottii, borrrborigmi e pissi pissi bao bao, era quasi mezzodin-dongding-dong,<br />

ed eccoco, cocoricò un galletto col paltò (un Apollo col cappello a palla di pollo) che<br />

frrr! piroetta come un vvortice vverso un tizio e rauco ringhia abbaiando e sputacchiando «grr grr,


arf arf, harffinito di farmi ping pong?!».<br />

Poi sguizza e sguazza (plaffete) su di un sedile e sooossspiiira rilassato.<br />

Al rintocco e allo scampanar della sera, ecco-co cocoricò il galletto che (bang!) s'imbatte in un<br />

tale balbettante che farfuglia del botton del paletò. Toh! Brrrr, che brrrividi!!!<br />

Volgare<br />

Aho! Annavo a magfnà e te monto su quer bidone de la Esse - e 'an vedi? - nun me vado a<br />

incoccià con 'no stronzo con un collo cche pareva un cacciavite, e 'na trippa sur cappello? E quello<br />

un se mette a baccaglià con st'artro burino perché - dice - jé acciacca er ditone? Te possino! Ma<br />

cche voi, ma cchi spinge? e certo che spinge! chi, io? ma va a magnà er sapone!<br />

'Nzomma, meno male che poi se va a sede.<br />

E bastasse! Sarà du' ore dopo, chi s'arrivede? Lo stronzo, ar Colosseo, che sta a complottà con<br />

st'artro quà che se crede d'esse er Christian Dior, er Missoni, che so, er Mister Facis, li mortacci<br />

sui! E metti un bottone de quà, e sposta un bottone de là, a acchittate così alla vitina, e ancora un<br />

po' ce faceva lo spacchetto, che era tutta 'na froceria che nun te dico. Ma vaffanculo!<br />

Tanto gentile la vettura pare<br />

che va da Controscarpa a Ciamperetto<br />

che le genti gioiose a si pigiare<br />

vi van, e va con esse un giovinetto.<br />

Alto ha il collo, e il cappello deve stare<br />

avvolto in un gallone a treccia stretto:<br />

potrai tu biasimarlo se un compare<br />

iroso insulta, che gli pigia il retto?<br />

Ora s'è assiso. Sarà d'uopo almeno<br />

ritrovarlo al tramonto, quando poi<br />

non lontano dal luogo ove sta il treno<br />

s'incontri un amico, che gli eroi<br />

della moda gli lodi, e non sia alieno<br />

dall'aumentare li bottoni suoi.<br />

Sonetto


Telegrafico<br />

BUS COMPLETO STOP TIZIO LUNGOCOLLO CAPPELLO TRECCIA APOSTROFA SCONOSCIUTO SENZA<br />

VALIDO PRETESTO STOP PROBLEMA CONCERNE ALLUCI TOCCATI TACCO PRESUMIBILMENTE<br />

AZIONE VOLONTARIA STOP TIZIO ABBANDONA DIVERBIO PER POSTO LIBERO STOP ORE DUE<br />

STAZIONE SAINTLAZARE TIZIO ASCOLTA CONSIGLI MODA INTERLOCUTORE STOP SPOSTARE<br />

BOTTONE SEGUE LETTERA STOP<br />

Versi liberi<br />

L'autobus<br />

pieno<br />

il cuore<br />

vuoto<br />

il collo<br />

lungo<br />

il nastro<br />

a treccia<br />

i piedi<br />

piatti<br />

piatti e appiattiti<br />

il posto<br />

vuoto<br />

e l'inatteso incontro alla stazione dai mille fuochi spenti<br />

di quel cuore, di quel collo, di quel nastro, di quei piedi,<br />

di quel posto vuoto<br />

e di quel<br />

bottone.<br />

Anglicismi<br />

Un dèi, verso middèi, ho takato il bus and ho seen un yungo manno con uno greit necco e un<br />

hatto con una ropa texturata. Molto quicko questo yungo manno becoma crazo e acchiusa un<br />

molto rrspettabile sir di smashargli i fitti. Den quello runna tovardo un anocchiupato sitto.<br />

Leiter lo vedo againo che ualcava alla steiscione Seintlàzar con uno friendo che gli ghiva<br />

suggestioni sopro un bàtton del cot.


Botanico<br />

Dopo aver fatto il porro sotto un girasole fiorito, m'innestai su un cetriolo in rotta orto-gonale.<br />

Là sterrai uno zucchino dallo stelo inverosimilmente lungo, e il melone sormontato da un<br />

papavero avvolto da una liana. E questa melanzana si mette a inghirlandare una rapa che gli stava<br />

spiaccicando le cipolle. Datteri! Per evitar castagne, alla fine andò a piantarsi in terra vergine.<br />

Lo rividi più tardi al mercato ortofrutticolo. Si occupava di un pisellino proprio al sommo della<br />

sua corolla.<br />

Medico<br />

Dopo una breve seduta elioterapica, temendo d'esser messo in quarantena, salii finalmente su<br />

un'autoambulanza piena di casi clinici. Laggiù mi accade di diagnosticare un dispeptico ulceroso<br />

affetto da gigantismo ostinato con una curiosa elongazione tracheale e un nastro da cappello<br />

affetto da artrite deformante. Questo tale, preso subitamente da crisi isterica, accusa un maniaco<br />

despressivo di procurargli sospette fratture al metatarso. Poi, dopo una colica biliare, va a calmarsi<br />

le convulsioni su di un posto-letto.<br />

Lo rivedo più tardi al Lazzaretto, a consultar un ciarlatano su di un foruncolo che gli rovinava i<br />

muscoli pettorali.<br />

Modern style<br />

Okey baby, se vuoi proprio saperlo. Mezzpgiorno, autobus, in mezzo a una banda di rammolliti.<br />

Il più rammollito, una specie di suonato con un collo da strangolare con la cordicella che aveva<br />

intorno alla berretta. Un floscio incapace anche di fare il palo, che nel pigia-pigia, invece di dar di<br />

gomito e di tacco come un duro, piagnucola sul muso a un altro duro che dava di acceleratore sui<br />

suoi scarpini - tipi da colpire subito sotto la cintura e poi via, nel bidone della spazzatura. Baby, ti<br />

ho abituata male, ma ci sono anche ometti di questo tipo, beata te che non lo sai.<br />

Okey, il nostro fiuta l'uppercut e si butta a sbavare su un posto per mutilati, perché un altro<br />

rammollito se l'era filata come se arrivasse la Madama.<br />

Finis. Lo rivedo due ore dopo, mentre io tenevo duro sulla bagnarola, e che ti fa il paraplegico?<br />

Si fa mettere le mani addosso da un flosio della sua razza, che gli fiata sulla balconata una storia di<br />

bottoni su e giù che sembrava Novella Duemila.<br />

Geometrico<br />

In un parallelepipedo rettangolo generabile attraverso la linea retta d'equazione 84x+S=y, un<br />

omoide A che esibisca una calotta sferica attorniata da due sinusoidi, sopra una porzione cilindrica<br />

di lunghezza l>n, presenta un punto di contatto con un omoide triviale B. Dimostrare che questo


punto di contatto è un punto di increspatura.<br />

Se l'omoide A incontra un omoide omologo C, allora il punto di contatto è un disco di raggio r


LE FIGURE RETORICHE<br />

Le figure retoriche si possono chiamare anche figure di stile perché è grazie al loro uso che un<br />

autore dà un particolare "stile" alla propria opera letteraria.<br />

Anche per chi non ha particolare interesse nel conoscere perfettamente la retorica può essere<br />

utile conoscere perlomeno qual'è l'effetto principale che esse creano, se non altro per facilitarsi<br />

l'analisi stilistica di un testo letterario (fermo restando che il dizionario retorico rimane lo<br />

strumento più completo e preciso).<br />

Figure di sostituzione<br />

figure di sostituzione<br />

figure d'insistenza<br />

figure di opposizione<br />

figure di rottura sintattica<br />

Sono tutte quelle figure per cui una parola con un certo significato viene sostituita da un'altra<br />

parola con un significato ad esso attinente. In questo gruppo si trovano la metonimia, la<br />

sineddoche, la litote, l'antifrasi.<br />

Spesso l'effetto ottenuto dall'uso di queste figure è quello di dare una visione più frammentata<br />

della realtà, di soffermarsi maggiormente sui dettagli (metonimia e sineddoche); oppure quello di<br />

attenuare il carattere negativo o troppo diretto di una certa realtà o di una certa espressione<br />

(litote, antifrase). Queste ultime figure retoriche, in particolare, erano frequentissime durante il<br />

periodo del Classicismo, quando era di rigore una poetica della "morale" e della "nettezza<br />

linguistica".<br />

Figure d'insistenza<br />

^ torna su ^<br />

Qui si trovano tutte le figure retoriche che permettono, tramite ripetizioni o altri accorgimenti,<br />

un'insistenza su un certo concetto o una certa parte del discorso. Tra le figure di ripetizione<br />

troviamo l'anafora e l'assonanza; altre figure d'insistenza sono il parallelismo e il climax (che<br />

operano al livello della sintassi), e l'iperbole e la preterizione.<br />

Di solito queste figure vengono utilizzate quando si vuole ordinare il testo secondo un certo ritmo<br />

che sottolinea appunto, insistendovi sopra come un ritornello, alcune parti del discorso.


Figure di opposizione<br />

^ torna su ^<br />

Le figure di opposizione mettono accanto due cose che, per un motivo o per un altro, sono tra loro<br />

opposte. L'opposizione può verificarsi al livello della sintassi (chiasmo), del significato (ossimoro) o<br />

di pensiero (antitesi).<br />

L'effetto ottenuto è quello di sottolineare l'esistenza di un conflitto. Si crea una "nuova realtà",<br />

presentandone gli aspetti meno evidenti. Si sottolinea l'opposizione tra due cose, ma anche,<br />

spesso, la loro intima unione.<br />

Figure di rottura sintattica<br />

^ torna su ^<br />

Tra le figure che rompono l'ordine e la costruzione sintattica normale ci sono l'anacoluto, l'ellissi e<br />

lo zeugma.<br />

Queste figure retoriche creano degli effetti di sorpresa, e quindi svegliano l'attenzione del lettore<br />

che è portato a soffermarsi maggiormente sul testo. Esse quindi servono principalmente a mettere<br />

in rilievo una parte importante. L'ellissi, d'altra parte, omettendo alcune parti del discorso crea un<br />

effetto di accelerazione del ritmo e di condensazione del senso. Queste figure retoriche, proprio<br />

perché rompono l'ordine sintattico, creano spesso effetti comici e sono dunque molto utilizzate<br />

nella satira e negli epigrammi.


E oltre all'analisi testuale?<br />

La ricerca storica<br />

L'analisi testuale presuppone una ricerca letteraria che prende in considerazione unicamente il<br />

testo. Ma, com'è ovvio, una ricerca più estesa non si limita soltanto alla realtà testuale.<br />

Attorno al testo (o messaggio) letterario, ci sono almeno altri 5 campi d'analisi che possono essere<br />

approfonditi: la vita e la personalità dell'autore, il contesto storico in cui nasce e si sviluppa<br />

l'opera, la ricezione dell'opera, ecc (per una più completa e più chiara introduzione a questi<br />

problemi vedi l'articolo su Jakobson e i 6 fattori della comunicazione).<br />

Ogni campo d'analisi, interessante in sé, si arricchisce notevolmente di significato quando<br />

accompagnato e completato da altri campi. Ma quello che sicuramente gioca un ruolo<br />

fondamentale, accanto all'analisi testuale, è quello della ricerca storica.<br />

La ricerca storica<br />

L'approfondimento e lo studio della letteratura da un punto di vista storico è l'aspetto<br />

generalmente più conosciuto dagli studenti italiani. Infatti a scuola spesso a "Italiano" quello che si<br />

fà è ripercorrere la storia della letteratura.<br />

Quest'approccio alla letteratura ha numerosi vantaggi: permette di inquadrare storicamente e<br />

geograficamente la produzione letteraria, e di sottolinearne i legami con l'attualità. Esso ha però<br />

anche dei svantaggi, se praticato da solo: quello di non far capire cosa sia, effettivamente, la<br />

letteratura, quali sono i suoi meccanismi, cosa la definisce, ecc.<br />

È all'interno dello studio storico che si situano tutte le informazioni riguardanti:<br />

1. la vita e la personalità dell'autore, le sue idee, la sua poetica (es.: Fino a che punto l'infermità<br />

di Leopardi ha giocato un ruolo nella sua produzione? In che modo il nazionalismo di D'Annunzio<br />

ha influenzato le sue opere? ecc)<br />

2. i rapporti tra le tematiche e le forme del testo letterario e il contesto storico generale (es.: I<br />

legami tra il Neorealismo e la situazione politico-sociale-economica dell'Italia del dopoguerra, ecc)<br />

3. la ricezione dell'opera (es.: Come mai certe opere hanno più o meno fortuna a seconda dei<br />

periodi storici?, La ripresa dei temi della Roma Imperiale sotto il Neoclassicismo, Cosa pensava il<br />

critico Tizio dell'autore Tale?, ecc)<br />

Il materiale<br />

I manuali di Storia della letteratura (antologici o meno) sono il primo strumento (e il più<br />

conosciuto) per partire con una ricerca storica. Ma per una ricerca più approfondita possono<br />

essere utili anche altri strumenti:


1. i libri di Storia, dai quali trarre informazioni dettagliate sul contesto<br />

2. i saggi che approfondiscono il clima culturale o la tendenza letteraria del periodo che ci<br />

interessa, per evidenziare i rapporti tra un singolo autore e il gruppo sociale e artistico in cui si<br />

muove (un titolo - inventato - potrebbe essere, ad es., Surrealismo e Marxismo, in cui verrebbero<br />

esplorati i legami tra il movimento artistico e la corrente politica che si afferma all'inizio del secolo)<br />

3. le raccolte di documenti relativi alla vita di un autore, come la corrispondenza, le dichiarazioni,<br />

le fotografie, le interviste.<br />

E la punteggiatura dove la metto?<br />

Quando si scrive a mano, con la penna, tutto è molto più semplice perché non si hanno da seguire<br />

delle regole precise di impaginazione. Ma quando s'inizia a scrivere a macchina o, più<br />

frequentemente, col computer, bisogna stare attenti a rispettare delle norme esatte. Queste<br />

norme di impaginazione prevedono che anche la punteggiatura abbia un posto ben preciso<br />

all'interno del testo, e questo per rendere ottimale la stessa impaginazione. In altre parole, se non<br />

mettiamo ogni cosa al posto giusto, rischiamo di avere delle brutte sorprese.<br />

La maggior parte dei problemi riguarda il rapporto tra ogni elemento della puntaggiatura e gli<br />

spazi bianchi. Ciò è dovuto al fatto che il computer interpreta uno spazio boanco come uno<br />

"stacco" tra due elementi del testo, e perciò impagina automaticamente il testo tenendo conto del<br />

posto in cui abbiamo inserito gli spazi.<br />

I pochi accorgimenti che seguono sono preziosi consigli per diventare degli esperti di<br />

impaginazione e dare un tocco di professionalità ai nostri scritti.<br />

Regola generale: lo spazio deve seguire la punteggiatura<br />

Il punto di fine frase deve seguire immediatamente l'ultima parola, ma è d'obbligo farlo seguire da<br />

uno spazio bianco. Così il computer, se per esempio deve andare a capo automaticamente, lascerà<br />

il punto accanto alla frase che conclude, di cui fa parte, evitando cose del genere:<br />

La mela è buona<br />

.Infatti la mangio sempre.<br />

La mela è buona.<br />

Infatti la mangio sempre.<br />

Sbagliato<br />

Corretto


Esattamente la stessa regola vale per la virgola, il punto e virgola, i due punti, il punto<br />

esclamativo, il punto interrogativo, i puntini di sospensione, per lo stesso motivo:<br />

La mela è buona<br />

:la mangio sempre.<br />

La mela è buona:<br />

la mangio sempre.<br />

Due eccezioni: parentesi e virgolette<br />

Sbagliato<br />

Corretto<br />

Le parentesi e le virgolette costituiscono un'eccezione a questa regola generale. Vediamo il caso<br />

delle parentesi, che possono essere di due tipi:<br />

1) i "trattini":<br />

Una parentesi segnata con i trattini (-) ha come regola quella di lasciare uno spazio bianco sia<br />

prima che dopo il trattino. Il trattino infatti ha la funzione di separare e rendere "autonoma" una<br />

parte della frase rispetto al resto, per cui anche se il computer automaticamente va a capo ciò non<br />

ostacola l'impaginazione. Non appartenendo né alla porzione di frase precedente, né a quella<br />

successiva (perché semplicemente le divide), il trattino può indifferentemente trovarsi posto di<br />

qua o di là; l'importante è che sia separato tipograficamente (con uno spazio bianco) da entrambi<br />

le parti:<br />

La mela è buona -<br />

la mangio sempre.<br />

La mela è buona<br />

- la mangio sempre.<br />

Corretto<br />

Corretto<br />

2) le parentesi:<br />

Le parentesi si comportano in maniera diversa rispetto ai trattini. Infatti, di esse non si può dire<br />

che non appartengono a nessuna parte del discorso, perché inquadrano in maniera forte<br />

l'elemento che contengono. La parola "contengono" è importante per definire le parentesi, che<br />

possono a giusto titolo essere paragonate a dei "contenitori di testo", e in questo sono molto<br />

diverse dai trattini. Mentre può capitare trovare in un testo un singolo trattino che divide la frase<br />

in due parti, le parentesi sono SEMPRE due, proprio perché devono delimitare, contenere una<br />

parte del discorso, anche se siamo a fine frase. Perciò, gli spazi bianchi (che devono separare)<br />

devono essere posti all'esterno delle parentesi, e MAI al loro interno, per evitare cose del genere:<br />

Mangio sempre la mela(<br />

è buona).<br />

Mangio sempre la<br />

mela (è buona<br />

Sbagliato<br />

Sbagliato


).<br />

Mangio sempre la<br />

mela (è buona).<br />

Corretto<br />

Le virgolette, di qualsiasi tipi siano ("-", «-»), si comportano esattamente come le parentesi (-),<br />

quindi con lo spazio bianco che deve stare all'esterno:<br />

Retorica ieri e oggi<br />

Mi disse:«<br />

Mangio sempre la mela ».<br />

Mi disse: «Mangio<br />

sempre la mela».<br />

Sbagliato<br />

Corretto<br />

La retorica, tutti lo sanno, è un'arte dalle origini molto antiche, che risalgono al periodo classico<br />

dei Greci, e che ha avuto una fortuna notevole nel corso dei secoli, attraverso il Medioevo e il<br />

Rinascimento. Ma questa disciplina antica sembra oggi caduta in disuso: non ha più lo stesso<br />

statuto di una volta, in cui era considerata tra le arti più importanti per l'uomo, tanto che neppure<br />

più nelle scuole viene insegnata.<br />

Ma è davvero morta questa disciplina?<br />

Prima di rispondere a questa domanda, conviene considerare effettivamente cos'è la retorica. Essa<br />

è stata definita spesso "l'arte di convincere gli altri", talvolta con l'aggiunta di "attraverso il<br />

linguaggio". In realtà, alla luce delle scoperte moderne e della nascita di scienze come la semiotica<br />

e la linguistica, potremmo estendere questa definizione a tutto il sistema comunicativo, non<br />

soltanto a quello del linguaggio orale o scritto, della lingua. Così, per "retorica" si può intendere,<br />

più in generale, un tentativo di sedurre l'altro, di destare in lui emozioni che, benché di breve<br />

durata, possano rimanere impresse nella memoria. È "l'arte della persuasione" (Burke). E questo<br />

tentativo di persuasione viene fatto non solo attraverso l'uso del linguaggio, della lingua, ma di<br />

tutto l'insieme dei linguaggi elaborati dall'uomo.<br />

Retorica e Design<br />

Si capisce che una definizione così ampliata di retorica includa non solo il gruppo di figure<br />

retoriche dell'oratoria (del parlare) e dello scrivere, ma anche tutto l'insieme segnico che l'uomo<br />

utilizza per comunicare: disegni, icone, elementi tipografici, ecc. Un'eccellente dimostrazione di<br />

questo fatto è dato dalla pubblicità: nata con l'unico scopo di sedurre e persuadere, la pubblicità<br />

utilizza tanto le parole, le rime, le assonanze, le discordanze linguistiche, i giochi di parole... che le<br />

immagini, l'accostamento di colori, le forme, le luci, gli spazi, le tecniche di impaginazione.<br />

In effetti la pratica, da questo punto di vista, è molto più avanzata della teoria. La retorica<br />

letteraria è una disciplina antica affermata (sia come dottrina che come scienza autoconsapevole),


mentre le altre retoriche legate al linguaggio dei mass-media, della pubblicità, dei video-clip e<br />

dell'infodesign (diagrammi, illustrazioni scientifiche, cartine, legende, interfacce di programmi,<br />

ecc) non lo sono.<br />

Si potrebbe dire che la retorica comprenda due tipi di elementi: le figure verbali (che riguardano il<br />

significato delle parole e la loro posizione sintattica) e le figure mentali (che riguardano la<br />

formulazione e l'organizzazione delle informazioni). Da questo punto di vista, anche discipline<br />

riguardanti aspetti più prettamente grafici appartengono alla retorica, nel secondo gruppo di<br />

elementi. In un certo senso, la grafica è un elemento sempre presente nella retorica (l'unica<br />

eccezione è l'espressione orale).<br />

Ribaltando un po' le posizioni più comuni, c'è chi ha affermato che persino «la scrittura è un<br />

particolare tipo di design. Uno dei più arbitrari e indefiniti» (Ted Nelson, Computer Lib - Dream<br />

Machines).<br />

Prospettive della retorica<br />

Nel mondo in cui viviamo, si vanno affermando sempre più nuove forme di comunicazione. La<br />

nascita del concetto di ipermedia (sostituito spesso col più comune termine di multimedia) indica<br />

proprio l'affermazione di "nuove macchine letterarie". Sono nate nuove forme di pubblicazione<br />

che permettono miscele ibride aprendo nuove prospettive per l'abbinamento di intelligenza<br />

testuale e figurativa, e che si manifestano nello spazio retinico.<br />

Il linguaggio, visto come un insieme di atti performativi (emissioni orali che rappresentano, oltre<br />

che un livello comunicativo, anche veri e propri atti reali), diventa uno dei tanti strumenti che<br />

l'uomo ha per agire nel mondo e sulla realtà. Accanto a questo potente strumento, al contempo<br />

comunicativo e fattuale, il design si sviluppa e si fonde in nuovi sistemi segnici e comunicativi.<br />

Se è vero che il design appartiene all'insieme degli elementi della retorica, e dato il boom degli<br />

ultimi anni in questo settore, si può ipotizzare che la retorica, lungi dall'essere morta, ha<br />

semplicemente assunto forme più varie e più complesse; la sua vitalità non va cercata più soltanto<br />

nella letteratura. Perché non ipotizzare che lo stesso design potrebbe diventare, un domani non<br />

troppo lontano, una vera e propria disciplina insegnata anche nella scuola di base del futuro?<br />

Cos'è l'aggettivo<br />

Bibliografia:<br />

Gui Bonsiepe, Dall'oggetto all'interfaccia. Mutazioni del design.<br />

Gli aggettivi sono una delle parti del discorso più utilizzate, soprattutto nel linguaggio orale. Come<br />

lo dice l'etimologia latina, (nomen) adiectivum, l'aggettivo è quella parola che si aggiunge al nome,<br />

al sostantivo. La sua funzione è quella di caratterizzare i sostantivi e, più in generale, di dare<br />

personalità o precisione all'espressione, qualificandola.


Un tesoro della lingua<br />

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Esiste una differenza non trascurabile tra sostantivi e aggettivi, dal punto di vista degli utenti di<br />

una lingua: i sostantivi, a meno di casi particolari, etichettano convenzionalmente una precisa<br />

realtà referenziale (l'animale che abbaia è per tutti il "cane", l'oggetto di metallo che si usa per<br />

tagliare è la "forbice", ecc); al contrario, l'aggettivo è sentito come una parte del discorso più<br />

personalizzabile, in cui si possono esprimere sfumature di significato anche molto soggettive.<br />

Questa natura particolare dell'aggettivo ha dei grandi vantaggi: spesso, soprattutto quando si<br />

vuole fare effetto sull'interlocutore, è proprio sull'aggettivo che si focalizza il nostro sforzo di<br />

attirare l'attenzione. L'aggettivo è capace di sintetizzare una situazione, un concetto, un pensiero,<br />

dandone al contempo un'immagine che permette all'altro di inquadrarli con precisione. Se, ad<br />

esempio, parlo di "un carattere fermo e deciso", oppure di una "immagine vivida", chi ci ascolta,<br />

pur non avendo nessun preciso referente in mente, può immaginare bene a cosa ci riferiamo; un<br />

"carattere" da solo non dice niente, un "carattere fermo e deciso" può già indicare una situazione<br />

linguistica completa.<br />

Due rischi: gli stereotipi e le mode<br />

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Alla luce di queste osservazioni, è chiaro che se si vogliono utilizzare aggettivi tali da personalizzare<br />

il nostro discorso o comunque da richiamare l'attenzione altrui su ciò che diciamo, è necessario<br />

fare una scelta accurata. La prima cosa da evitare è l'uso di stereotipi linguistici: non copiamo<br />

quello che è già stato detto da altri, evitiamo formule generiche o inespressive.<br />

Molte espressioni, tipiche del linguaggio burocratico, giornalistico o politico, sono entrate a far<br />

parte del linguaggio comune. Anche se questo fatto, a prima vista, può sembrare un arricchimento<br />

per alcuni settori della lingua, in realtà prefigura un impoverimento linguistico dovuto all'uso<br />

sempre più generalizzato delle stesse espressioni, che diventano vere e proprie frasi fatte. Così, i<br />

politici usano continuamente gli stessi aggettivi, parlando di "una netta opposizione", "un<br />

vergognoso compromesso", "una ferma presa di posizione".<br />

Una tendenza comune è anche quello di usare aggettivi in maniera da rendere eccessiva un'idea,<br />

di drasticizzarla, sempre per destare maggiore attenzione o maggiore emotività nell'interlocutore.<br />

Di nuovo, il linguaggio di giornalisti e politici si caratterizza anche per questo: si parla di "una<br />

insanabile frattura tra forze politiche" quando si intende una divergenza di opinioni, oppure di<br />

"un'eccezionale ondata di freddo" per indicare una nevicata che, magari, avviene ogni anno alla<br />

stessa maniera.<br />

Le espressioni che vanno di moda sono altrettanto un rischio. Un aggettivo viene spesso scelto, in<br />

un dato periodo e da un certo gruppo di parlanti - tra cui soprattutto i giovani -, come qualificatore


per tutta una serie di cose, anche molto diverse, e con connotazione talvolta opposte. È stato il<br />

caso, ad esempio, di "bestiale" (bestiale era il film di successo, così come il film commerciale, e<br />

così via), dove il significato positivo o negativo poteva essere colto solo all'interno del contesto.<br />

L'uso dei sinonimi<br />

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Un ottimo strumento da imparare a maneggiare per arricchire lessicalmente il proprio vocabolario,<br />

e renderlo quindi più personale e preciso, è dato dai sinonimi, cioè da quegli aggettivi che hanno<br />

all'incirca lo stesso significato ma che, con le eventuali sfumature di senso, possono essere più<br />

precisi e quindi più atti a qualificare il sostantivo a cui vengono aggiunti.<br />

Aggettivi in letteratura<br />

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La pubblicità fa largo uso degli aggettivi per catturare l'attenzione e, come lei, in generale anche la<br />

letteratura. In quest'ultimo caso, ovviamente, l'intento non è quello di "fare effetto" sul lettore (o<br />

almeno solo in parte), ma quello di mettere in evidenza un concetto, ampliando la risonanza<br />

emotiva e contenutistica del testo. La poesia è il campo letterario in cui questo è più evidente;<br />

talvolta un solo aggettivo, aggiunto ad un sostantivo in maniera inaspettata, riesce a suscitare<br />

emozioni nel lettore/ascoltatore, oppure ad evocare intere situazioni o sentimenti.<br />

Ad esempio, nel seguente verso di Alda Merini (Lasciando adesso che le vene crescano, in "La<br />

presenza di Orfeo"):<br />

in intrichi di rami melodiosi<br />

l'accostamento imprevisto, perché inusuale, dell'aggettivo melodiosi al sostantivo rami attira<br />

l'attenzione evocando un'immagine visiva (di rami che si intrecciano armoniosamente) e insieme<br />

un sentimento (di pace e comunione, e comunque sia connotato positivamente). Questo effetto<br />

non sarebbe stato ottenuto se la poetessa si fosse espressa dicendo, per esempio, "intrichi di rami<br />

attorcigliati", oppure "groviglio di rami intrecciati": due espressioni che pur lasciando una<br />

suggestiva immagine nel lettore non ha certo la stessa portata dell'originale.


Letteratura e... lavoro<br />

I mestieri della letteratura<br />

Talvolta la passione per la letteratura sembra non poter mai<br />

trasformarsi in un mestiere vero e proprio. In realtà l'editoria,<br />

pur essendo un campo lavorativo che esiste ormai da secoli, si<br />

è sempre rinnovato grazie alle continue scoperte tecnologiche<br />

che ne hanno accompagnato e favorito lo sviluppo. In<br />

particolare, negli ultimissimi anni l'editoria, assieme a tutte le<br />

professioni legate al mondo della scrittura e della lettura,<br />

sono stati rivalutati grazie alle innovazioni del mondo digitale. Lo sviluppo e la crescita di Internet,<br />

la capacità di immagazzinare dati in CD-Rom e quindi di elaborare dei multimediali ha provocato la<br />

nascita di nuovi mestieri, accanto a quelli più tradizionali.<br />

I mestieri della letteratura<br />

Autore<br />

Com'è ovvio, l'autore è colui che crea il testo nuovo, che produce le parole. Affinché la sua opera<br />

sia resa fruibile sul mercato, deve ricorrere alle figure professionali che si occupano di dare al testo<br />

una forma cartacea o multimediale. In entrambi i casi è quindi affiancato, nel suo processo di<br />

creazione, dall'Editore.<br />

Editore<br />

A questa figura compete la scelta e la valutazione dei testi scritti dall'Autore. Egli deve possedere<br />

una buona sensibilità letteraria perché deve essere in grado di scegliere, tra tutte le proposte,<br />

quella che ha un più alto valore. Ma nello stesso tempo deve essere in grado di vedere proiettato il<br />

materiale testuale in un prodotto finale, da presentare sul mercato. Il suo compito è un compito di<br />

mediazione molto importante, che lo porta a compiere la decisione finale.<br />

Redattore editoriale<br />

Il Redattore editoriale si occupa della produzione concreta di un testo destinato alla stampa.<br />

Spesso rappresenta un tramite tra autore e editore. Il suo compito è quello di supervisionare e<br />

coordinare la realizzazione di un progetto editoriale, in tutte le sue fasi: dall'editing alla lettura<br />

redazionale, dalle prove di impaginazione alla verifica della correzione delle bozze e della<br />

collazione, dal confronto con la versione dell'autore alla predisposizione, insieme al Grafico, della<br />

copertina.


Redattore elettronico<br />

È una figura professionale nuova, simile per certi aspetti a quella del Redattore editoriale ma che<br />

deve essere capace di usare le tecnologie informatiche più innovative, dai fogli elettronici<br />

all'HTML, per sviluppare prodotti on-line o off-line. Egli può occuparsi di individuare sul mercato<br />

quali sono i nuovi prodotti da sviluppare, oppure lavorare sulla produzione stessa di un prodotto,<br />

trasferendo materiale testuale al data entry (il gruppo di lavoro che segue l'immissione dei dati nel<br />

computer).<br />

Segretario di redazione<br />

È una figura che viene affiancata, soprattutto nei prodotti editoriali più complessi, a quelli del<br />

Redattore editoriale o del Redattore elettronico. Accanto al Redattore, si occupa del controllo del<br />

prodotto editoriale e delle relazioni tra Autore, Editore e la sezione del Marketing.<br />

Giornalista<br />

Esistono diversi tipi di giornalisti: il Giornalista della stampa, quello televisivo o per le radio, il<br />

Giornalista di testata elettronica o quello di agenzia. Si occupa di acquisire, selezionare ed<br />

elaborare l'informazione, trasformandola in un prodotto finito che può essere una notizia, un<br />

articolo o un servizio. Per diventare giornalista esistono numerose scuole, di cui però solo 8 sono<br />

riconosciute dall'Ordine: esse, a numero chiuso e di durata minima di 2 anni, prevedono 18 mesi di<br />

praticantato (stage o altro) e un esame finale di idoneità. Si può così richiedere l'iscrizione all'Albo.<br />

Correttore di bozze e Revisore<br />

Queste due figure professionali operano insieme nell'area dell'elaborazione dei testi, dandone una<br />

versione definitiva. Com'è intuibile dallo stesso nome, entrambi si occupano di rileggere e<br />

controllare i testi, verificandone la coerenza e la coesione, oltre che correggendone gli errori.<br />

Content manager<br />

Il Content manager è il responsabile e l'ideatore dei contenuti di un sito web e della maniera in cui<br />

tali contenuti devono essere veicolati nel sito. Egli deve avere competenze trasversali che vanno<br />

dalla capacità organizzativa alla conoscenza perfetta della lingua italiana, da nozioni di marketing<br />

alla conoscenza dei principali strumenti di elaborazione dell'informazione digitale (HTML, fogli<br />

elettronici, ma sono spesso richieste anche conoscenze più approfondite).<br />

Web writer<br />

È l'Autore del web, colui che si occupa di produrre testi che nascono per essere inseriti in un sito<br />

web. Rispetto all'autore, il Web writer deve avere coscienza che il suo testo sarà letto da un utente<br />

collegato in rete, e deve perciò adattarsi alle esigenze della scrittura on-line: una scrittura molto<br />

più breve e concisa, sviluppata con un organizzazione logica e chiaramente visibile. Per certi<br />

aspetti questa figura professionale è assimilabile a quella del Giornalista che scrive un articolo,<br />

anche se in questo caso può trattarsi di materiale non informativo.<br />

Copywriter<br />

Assieme all'Art Director, è colui che si occupa dell'ideazione e dell'elaborazione di un messaggio<br />

pubblicitario: mentre al primo spetta la definizione grafica o visiva, al secondo spetta la definizione<br />

della formula testuale da utilizzare. Se una laurea umanistica è la base per svolgere questa


mansione, è anche necessario un certo talento artistico e magari anche una specializzazione<br />

presso una scuola di grafica pubblicitaria.<br />

Sceneggiatore<br />

Lo sceneggiatore è colui che scrive quali sono le storie da "raccontare" in televisione o al cinema.<br />

Se si tratta di una sceneggiatura televisiva, il prodotto da realizzare è un progetto definito "la<br />

Bibbia", che è un documento di una decina di pagine contenente il titolo, il nome dell'autore, la<br />

descrizione della storia proposta, il profilo dei personaggi e la durata dei singoli episodi. Nel<br />

cinema, invece, si parte con la stesura di un soggetto con l'intreccio e la scaletta degli elementi<br />

principali. Comunque sia, lo sceneggiatore deve avere una grande conoscenza della dizione<br />

(pause, silenzi, toni, ecc.) e saper padroneggiare i vari tipi di struttura narrativa.<br />

Letteratour segnala...<br />

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Gli indirizzi delle scuole di giornalismo approvate dall'ONG:<br />

IFG Milano<br />

IFG Urbino<br />

Scuola Superiore di Giornalismo di Bologna<br />

Scuola di di giornalismo radiotelevisivo<br />

Scuola di Specializzazione in <strong>Analisi</strong> e Gestione della Comunicazione<br />

Scuola di Specializzazione in Giornalismo<br />

Scuola di Specializzazione in <strong>Analisi</strong> e Gestione della Comunicazione<br />

Scuola di Giornalismo<br />

Accademica di comunicazione: corso di "Tecnica editoriale per aspiranti redattori" e altri corsi<br />

CSG education: sito che organizza corsi di management per le imprese editoriali, editoria<br />

multimediale e corsi "Da Redattore a editor"<br />

Istituto Europeo di Design<br />

Fondazione Scuola Nazionale di Cinema: è la scuola più accreditata per diventare sceneggiatore

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