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Floriano De Santi<br />

GIORGIO DE <strong>CHIRICO</strong> E LISA <strong>SOTILIS</strong><br />

La forma segreta nel grembo di Afrodite<br />

Sculture, dipinti, gioielli ed opere su carta<br />

ARCHIVIO UMBERTO MASTROIANNI


HOTEL REAL FINI<br />

<strong>Via</strong> <strong>Emilia</strong> Est, 441<br />

41122 <strong>Modena</strong><br />

Tel: +39 059 2051511<br />

Fax: +39 059 2051590<br />

http://www.hotelviaemilia.it<br />

http://www.facebook.com/<strong>Hotel</strong>Real<strong>Fini</strong><strong>Via</strong><strong>Emilia</strong><br />

Facilmente raggiungibile, si trova ad 1 Km. dal centro storico,<br />

400 metri dal policlinico e a 10 Km. dai caselli autostradali<br />

87 camere di cui 6 Junior Suite<br />

TV LCD 32” in tutte le camere! New<br />

Accessibile ai disabili<br />

Centro Congressuale dotato di sale modulari, capace di ospitare fino a 500 persone<br />

Servizio di Ristorazione a richiesta<br />

American Bar<br />

Ampio parcheggio e Garage sotterraneo<br />

Internet wi-fi GRATIS in tutto lʼ<strong>Hotel</strong><br />

Servizio Estetica & Massaggi! New<br />

Palestra! New<br />

Servizio Transfer su richiesta<br />

Animali benvenuti


Giorgio de Chirico tra Maria Beatrice di Savoia<br />

e Lisa Sotilis (a destra), Casa di Iolas ad Atene, 1969


La mostra è stata promossa:<br />

dall’<strong>Hotel</strong> Real <strong>Fini</strong> di <strong>Modena</strong><br />

dal Comune di <strong>Modena</strong><br />

dall’Archivio Umberto Mastroianni<br />

di Brescia<br />

Catalogo e mostra a cura di<br />

Floriano De Santi<br />

Redazione testi<br />

Lucia Danesi<br />

Allestimento della mostra<br />

e Ufficio Stampa<br />

Adriana Renga (tel. 059 2051511)<br />

Referenze fotografiche<br />

Pierre Kaloussian Velissiotis, Atene<br />

Paolo Pugnaghi, <strong>Modena</strong><br />

Massimo Regallo, Treviglio<br />

Assicurazione<br />

Lonham Broker Italia<br />

Progetto grafico e stampa<br />

Publi Paolini, Mantova<br />

Si ringrazia vivamente l'artista internazionale<br />

Lisa Sotilis che, prestando le opere più preziose<br />

della sua collezione, ha reso possibile la realizzazione<br />

di questo straordinario evento espositivo.<br />

Inoltre, si ringraziano anche Francesco Boni, gli storici<br />

dell'arte Giovanna Dalla Chiesa e Gérard Xuriguera,<br />

Silvia Bonvicini della Fonderia di Sommacampagna,<br />

Michele Barberi, Pierre Kaloussian Velissiotis<br />

e Massimiliano Giovanelli<br />

GIORGIO DE <strong>CHIRICO</strong> E LISA <strong>SOTILIS</strong><br />

La forma segreta nel grembo di Afrodite<br />

<strong>Hotel</strong> Real <strong>Fini</strong>, <strong>Modena</strong>, <strong>Via</strong> <strong>Emilia</strong> Est 441<br />

dal 23 marzo al 30 giugno 2013


Floriano De Santi<br />

GIORGIO DE <strong>CHIRICO</strong> E LISA <strong>SOTILIS</strong><br />

La forma segreta nel grembo di Afrodite<br />

ARCHIVIO UMBERTO MASTROIANNI


Giorgio de Chirico, Ettore e Andromaca, 1971.<br />

Bronzo patinato, cm. 98x46x38,5<br />

PRESENTAZIONE<br />

Una mostra con opere di due artisti di fama mondiale<br />

Una città come <strong>Modena</strong>, resa famosa dalle “esperienze eccellenti” che<br />

ha saputo realizzare in diversi campi della vita economica, sociale, sportiva<br />

e culturale, grazie a iniziative, prodotti, marchi la cui unicità e pregevolezza<br />

sono diventati sinonimo di qualità in tutto il mondo, non può che<br />

trovare una particolare sintonia con un evento di straordinaria rilevanza artistica<br />

e culturale come la mostra “Giorgio De Chirico e Lisa Sotilis. La forma<br />

segreta nel grembo di Afrodite”.<br />

Siamo infatti onorati che la nostra città ospiti una rassegna espositiva<br />

di opere di due artisti di fama mondiale, protagonisti di primo piano dell'arte<br />

contemporanea, accomunati da una vicinanza che li ha visti condividere<br />

la ricerca plastica ed espressiva, con i diversi esiti creativi che hanno poi<br />

definito le grandezze unanimemente riconosciute del Maestro della Metafisica<br />

e dell'artista celebrata da Salvatore Quasimodo.<br />

L'opportunità di ammirare a <strong>Modena</strong> le opere di Giorgio De Chirico e<br />

di Lisa Sotilis sarà un'esperienza emozionante non solo per gli appassionati<br />

e gli esperti d'arte, ma per i tanti concittadini che condividono il tradizionale<br />

amore dei modenesi per il bello, per ciò che è fuori dall'ordinario,<br />

di alta qualità, risultato di una ricerca appassionata. Per questo esprimo un<br />

sentito ringraziamento a tutti coloro, a cominciare dal curatore della mostra<br />

Floriano De Santi, che hanno reso possibile lo svolgimento di questo<br />

grande evento culturale nella nostra città.<br />

4<br />

AVV. GIORGIO PIGHI<br />

Sindaco del Comune di <strong>Modena</strong>


I. L’arte come enigma della bellezza<br />

Con i dipinti, le sculture, le opere su carta di Giorgio de<br />

Chirico e di Lisa Sotilis i miti ritornano a popolare le figure<br />

del moderno. E giustamente Walter Benjamin, anziché respingere<br />

come irrazionale questa rinascita mitica, avrebbe<br />

parlato, per esempio, di fronte ai bronzi dorati Le muse inquietanti<br />

del 1972 di Giorgio de Chirico e a L’omaggio a<br />

Fidia del 2005 di Lisa Sotilis, di una “profezia filosofica”<br />

come enigma della bellezza, di una realtà che è al di fuori<br />

della storia esistenziale, che è al di fuori di ciò che è stato<br />

definito desiderio, epithymia del razionale. Senonché, questa<br />

realtà può prefigurare i “confini dell’anima” – come sostiene<br />

Eraclito –, le frontiere di un diverso sapere, di una<br />

diversa immagine del mondo. Nel segreto l’arte occulta può<br />

condurre al punto in cui “ogni cosa”, anzitutto ciò che nel linguaggio<br />

estetico chiamiamo materia (hyle) e forma (eidos),<br />

verrà cancellata e ridisegnata dal nostro sapere, dalla nostra<br />

“seconda vista”. E allora vedremo quello che si era occultato<br />

nella favola, quello che era nascosto nelle figure del<br />

meraviglioso.<br />

Ma questo esito è possibile in quanto la “scienza visiva”<br />

si è posta come il primo gradino della scala iniziatica,<br />

da cui abbiamo potuto ancora ascendere al gradino della<br />

conoscenza vera, della conoscenza della verità abscondita.<br />

In effetti, la mostra Giorgio de Chirico e Lisa Sotilis. La forma<br />

segreta nel grembo di Afrodite 1 , raccoglie cinque sculture,<br />

1 Dai Romani identificata con Venere, la dea greca dell’amore<br />

Afrodite è di origine fenicio-babilonese. Anche il suo nome,<br />

benché in seguito posto in rapporto con la parola aphor, con<br />

allusione alla sua nascita appunto dalla “schiuma” del mare,<br />

pare sia semitico. Ma atteniamoci a quanto scrive Erodoto parlando<br />

del santuario di Afrodite Urania, che sorgeva ad Ascalona<br />

in Francia: “Questo santuario è, per quanto io ho trovato<br />

nelle mie ricerche, il più antico di tutti i santuari di questa dea,<br />

Giorgio de Chirico e Lisa Sotilis:<br />

la forma segreta nel grembo di Afrodite<br />

DI FLORIANO DE SANTI<br />

5<br />

Lisa Sotilis, Testa di Afrodite, 2007.<br />

Bronzo lucidato e patinato, cm. 56×40×9<br />

tre dipinti e nove stampe d’arte del Pictor Classicus e una<br />

trentina tra dipinti, gioielli e sculture dell’artista greca, nota<br />

anche per essere stata l’unica assistente di studio del Maestro<br />

della Metafisica nel campo della ricerca plastica. Quale<br />

perché il santuario di Cipro è derivato da questo, come affermano<br />

gli stessi Ciprioti, e anche il santuario di Citera lo eressero<br />

alcuni Fenici, che provenivano da quella stessa parte<br />

della Siria”. Per Omero Afrodite è figlia di Zeus e di Dione.<br />

Esiodo invece ci racconta nella sua Teogonia un altro mito, probabilmente<br />

più antico, che pur partendo dal mythos cosmico<br />

del Cielo e della Terra, ci dà un’Afrodite perfettamente greca.<br />

Narra dunque Esiodo che Urano, il dio del Cielo, si stese


sarà, per il bronzo patinato I grandi archeologi, un capolavoro<br />

dechirichiano realizzato nel 1968, il principium della<br />

forma? Con puntiglio critico scrissi qualche anno fa: “Si può<br />

dire che la forma nasca dalla distruzione dello spazio, raggiunga<br />

la propria pienezza quando abbia fatto intorno a sé<br />

il vuoto, quando cessi di reagire alla luce e all’atmosfera, al<br />

vicino e al lontano, e determini da sé, con il ritmo sicuro e<br />

dei piani, le proprie condizioni prospettiche. Questa scultura<br />

monumentale non accetta leggi, ma le detta” 2 .<br />

Nelle opere tridimensionali e nei dipinti della Sotilis, il<br />

mito metafisico si afferma presentando tutto il suo complesso<br />

apparato metaforico, come un enigma da indovinare,<br />

come un discorso alchemico offerto agli iniziati. Esso<br />

fa parte del vissuto, si prolunga – rispetto a de Chirico – in<br />

atteggiamenti esistenziali: abita luoghi conosciuti, ma scelti<br />

con cura per accoglierlo, indossa i costumi di cui l’ha rivestito<br />

la storia per riconoscerlo, intona il suo canto sommesso<br />

all’ombra degli Dei. Sul suo singolarissimo lavoro<br />

puntualizza nel 1967 il poeta Salvatore Quasimodo: “Sono<br />

figure che si ritrovano come ghirlande, o corolle dai petali<br />

di carne. Sulla tela o nel metallo, perfino nelle rifrangenze<br />

delle pietre preziose che proseguono il mito frastagliato<br />

della metamorfosi nelle forme ridotte dei gioielli. È la natura<br />

ellenica, l’abbandono della stagione fiorita alla certezza<br />

che è nel grembo di Afrodite” 3 .<br />

II. I confini dell’anima della metafisica<br />

Con la morte di Giorgio de Chirico, avvenuta trentacinque<br />

anni fa, è scomparso il più grande “argonauta” ita-<br />

nell’amplesso amoroso sulla Terra, quand’ecco sul più bello<br />

sopraggiungere Crono che lo mutila. Il membro staccato galleggia<br />

sulle onde finché non si trasforma in bianca spuma nella<br />

quale si forma la fanciulla divina. Afrodite è la dea della primavera<br />

in fiore: le sono sacre le rose, ma pure molte altre<br />

piante, quali il melograno e il mirto. Anche la mela, remoto simbolo<br />

dell’amore, si trova nella sua mano. Dice Lucrezio nel<br />

poema De rerum natura: “Quando tu vieni fuggono i venti e si<br />

dileguano le nuvole, per te la terra fa fiorire il leggiadro ornamento<br />

dei fiori, per te sorride lo specchio delle acque del<br />

mare, e gli spazi lucenti del cielo splendono in silenzio”.<br />

2 Floriano De Santi, De Chirico. I grandi archeologi, catalogo<br />

della scultura esposta nella Rotatoria “Croce dei Missionari” di<br />

Urbino, Piero Guidi editore, Urbino, 2007, p. 3. Si veda anche,<br />

6<br />

liano del ’900. Con il suo theatrum alchemicum, si conclude<br />

quella scoperta del meraviglioso e dell’inconscio iniziata<br />

dai pittori fantastici e visionari dell’800 e, quindi, portata<br />

avanti dai simbolisti alle portentose intuizioni delle quali<br />

Freud darà, poco dopo, il crisma della scienza. In effetti, de<br />

Chirico sin dall’inizio “s’ispirava ad antichi trattati di magia<br />

e chiromanzia, di alchimia, di egittologia ermeneutica e<br />

d’indagine mistica sulle corrispondenze deterministiche tra<br />

macro e microcosmo, fondendo ogni suggestione di queste<br />

iconografie in una visione misteriosa, volta a esplorarne luminosamente<br />

le ombre del destino” 4 . Egli con la sua complessità<br />

di formazione e di sviluppo, con la continuità di una<br />

ricerca che – riteniamo – non si arresti alla stagione de La<br />

lassitude de l’infini del 1912 e de Le muse inquietanti del<br />

1916, come troppo spesso si è scritto, è il segno del nostro<br />

tempo, delle sue contraddizioni e dei suoi desideri. Se,<br />

come diceva Adorno, l’arte moderna ha portato alla luce<br />

tutto ciò che avremmo voluto magari nascondere, la luce di<br />

de Chirico è quella di uno scandaglio figurativo che vuole<br />

ritrovare se stesso nella sua funzione: uno scandaglio che<br />

non ha avuto timore di scoprire le sue ragioni nei drammi<br />

medesimi che affollano la coscienza, ma che nella sua logica<br />

suprema, nella normatività dei precisi procedimenti<br />

tecnici supera l’alternativa di dionisiaco e apollineo, del<br />

tempo aiòn e del tempo chronos, compie una deviazione<br />

precisa nella quale “non permangono tracce del programma<br />

estetico di Marées: rifare l’antico sulla natura“ 5 .<br />

Senza dubbio la formazione culturale di de Chirico, sin<br />

dagli anni della Grecia natale (era nato a Volos, capitale<br />

della Tessaglia, nel 1888), e quindi di Monaco, si costitui-<br />

dello stesso De Santi, Il sogno Metafisico di Giorgio de Chirico<br />

e di Lisa Sotilis, Edizioni dell’Archivio Umberto Mastroianni,<br />

Brescia, 2012.<br />

3 Lisa Sotilis, catalogo della personale di scultura, gioielli e disegni<br />

colorati alla Galleria Iolas, Milano, 1967. Ripubblicato in<br />

Visti da Salvatore Quasimodo, Edizioni Trentadue, Milano,<br />

1969, p. 123.<br />

4 Maurizio Calvesi, De Chirico e le metamorfosi del destino, in<br />

De Chirico nel centenario della nascita, catalogo della mostra<br />

nell’Ala Napoleonica del Museo Correr di Venezia, Mondadori-<br />

De Luca, Roma, 1988, p. 11.<br />

5 Marisa Volpi Orlandini, Artisti contemporanei. Saggi, Il Bagatto,<br />

Roma, 1985, p. 45.


sce all’interno di una tradizione in cui fortissime sono le sollecitazioni<br />

romantiche che giungono a costruire immagini<br />

cariche di significati simbolici, o addirittura mitici. Nel 1899-<br />

1906 lo studio al Politecnico di Atene, l’esercizio nelle lingue<br />

e nella musica, la frequentazione costante dei classici,<br />

le letture appassionate di Shopenhauer, di Weininger, di<br />

Nietzsche e del misterioso sogno di eternità di Zarathustra,<br />

le visite ai musei, formarono un adolescente che subito iniziò<br />

a disegnare e a dipingere ad olio nature morte e ritratti.<br />

Ma più di tutto ebbe influenza su de Chirico quella terra<br />

dell’Attica che in una miracolosa misura di paesaggio trasudava<br />

miti e storia; sebbene il futuro Pictor Classicus<br />

abbia poi sdegnosamente negato, il giovane che per lunghe<br />

stagioni girovagò tra reliquie di templi e di colonne, tra<br />

memorie pagane e cristiane giocando all’ombra di Prassitele<br />

e sognando un mondo omerico, attinse evidentemente<br />

da quella sua nostalgia i motivi metafisici delle “Piazze<br />

d’Italia” e della “Partenza degli Argonauti”.<br />

Certo, quadri come Il centauro morente del 1909 rimandavano<br />

direttamente a Böcklin e a Klinger, nell’iconografia,<br />

nella forzatura stessa del procedimento tecnico; ma<br />

nel Pictor Optimus non c’è contorsione psicologica, stravolgimento<br />

verso un passato che egli sa improponibile. Il<br />

mito metafisico enuncia i significati del presente, di conseguenza<br />

trasforma le densità cromatiche, prima ancora che<br />

il processo di costruzione dell’immagine. L’enigma dell’oracolo<br />

del 1910 ci dà già a quella data il segno della diversità.<br />

La composizione ripete quella dell’Ulisse e Calipso<br />

del Kunstumuseum di Basilea, che Böcklin aveva dipinto<br />

nel 1883, ma ne semplificava le valenze allegoriche: le<br />

rocce, la caverna, sono sostituite da un muro di mattoni da<br />

una tenda dietro la quale la testa di una statua prefigura i<br />

manichini metafisici degli anni successivi. Bisogna tener<br />

presente che de Chirico si era trovato a Monaco di Baviera<br />

giusto negli anni immediatamente prossimi al 1910,<br />

quando anche in Germania, come a Parigi e a Milano, avveniva<br />

il grosso schieramento antirealista e antimpressionista,<br />

con Matisse e i fauves, Picasso e i cubisti, Kandinskij<br />

e il gruppo del Blaue Reiter. Non di meno, non ebbe necessità<br />

di ricorrere alla lunga polemica e alle violente scomposizioni<br />

dei suoi colleghi; anzi, preso da epithymia, da<br />

desiderio ed ammirazione per la pittura di Böcklin, si trovò<br />

nella pericolosa situazione di perdersi in quella sconvolgente<br />

scenografia romanticheggiante. Senonché, sta di<br />

7<br />

Giorgio de Chirico, Le muse inquietanti, 1968.<br />

Bronzo dorato, cm. 32,7×16×15,7<br />

fatto che nel dipinto La meditazione del mattino del 1912,<br />

si scorgono chiari i segni del suo metamorfico Retour au<br />

classicisme, che muove figure avvolte in pepli mediterranei<br />

nell’ombra mattutina di alcune case prese a prestito dagli<br />

affreschi toscani e ferraresi del Rinascimento, e ridesta un<br />

senso di stupore, una spazialità estatica, più celeste che<br />

terrena.<br />

È chiaro da questo esempio che de Chirico non crede<br />

affatto all’ottimismo naturalistico degli impressionisti, i quali<br />

trovano la loro poetica nello studio amoroso dell’en plein<br />

air e della luce. Alla fine, in Pissarro o in Monet, l’emozione<br />

è tutta d’occhio, un occhio restituito alla sua prima e veloce<br />

impressione. Lo sguardo di de Chirico, invece, è più lento<br />

e ironico e non si persuade alla variabilità nervosa della visione<br />

luministica: guarda più addentro alle cose, non cura<br />

tanto la loro superficie quanto la loro immagine interna, se-


greta. Gli oggetti, la natura, le figure, che negli impressionisti<br />

appaiono ancor per quel che sono – o, almeno, per<br />

quel che il papillotage della luce, colpendoli, li rivela – nella<br />

tavolozza dechirichiana acquistano un soprasenso, per il<br />

fatto che il pittore entra in relazione con essi in un modo<br />

più complesso e ambiguo, carico di suggestioni culturali 6 ;<br />

egli infatti staccandoli dalla loro momentaneità descrittiva,<br />

li spinge dentro uno spazio percorso dalla fantasia e dal<br />

sogno, dove si arricchiscono perciò di traslati, di significati<br />

magici, e rivelano, nel silenzio cristallino delle geometrie<br />

quattrocentesche, prospettive non soltanto fisiche.<br />

“Un popolo – ha precisato de Chirico in un saggio pubblicato<br />

su Valori Plastici nel 1919 – sul principio della sua<br />

esistenza ama il mito e la leggenda, il sorprendente, il mostruoso,<br />

l’inspiegabile e si rifugia in essi con l’andare del<br />

tempo, maturandosi in una civilizzazione, sgrossa le immagini<br />

primitive, le riduce, le plasma secondo le esigenze<br />

del suo spirito chiarito e scrive la sua storia scaturita dai<br />

miti originari. Un’epoca europea come la nostra, che porta<br />

in sé il peso stragrande di tante civilizzazioni e la maturità<br />

di tanti periodi spirituali è fatale che produca un’arte che<br />

da un certo lato somigli a quella delle mitiche inquietudini;<br />

tale arte sorge per opera di quei pochi dotati di particolare<br />

chiaroveggenza e sensibilità“ 7 . Ci pare di dover osservare<br />

come in questa dichiarazione di poetica, torni e al tempo<br />

stesso venga superata l’antitesi che era a fondamento della<br />

cultura romantica, così almeno come era stata proposta da<br />

Schiller nel saggio sulla poesia spontanea e continentale;<br />

quell’antilogia sulla quale aveva meditato Leopardi, cosciente<br />

di una perduta innocenza del “mondo dubbioso”,<br />

della possibilità di affidarsi completamente alla rêverie.<br />

Con dipinti quali Arianna del ’13, La surprise del ’14 e La<br />

pureté d’un rêve del ’15, de Chirico sembra voler risolvere<br />

6 Per l’analisi di questo problema si confrontino gli studi dedicati<br />

all’arte italiana nel catalogo della mostra Letteratura Arte<br />

Miti del ’900, a cura di Zeno Birolli, Idea editions, Milano, 1979.<br />

7 Sull’arte metafisica, Roma, a. I, n. 4-5, aprile maggio, 1919,<br />

pp. 15-18.<br />

8 Dopo quella apparsa il 25 luglio 1929 nel numero 2 della rivista<br />

parigina Bifur, si è avuta una versione italiana di Hebdomeros<br />

(Longanesi, Milano, 1971), con una singolare prefazione<br />

di Giorgio Manganelli: “Ebdòmero non è un personaggio, ed<br />

Ebdòmero non è un romanzo; il primo è un nome consapevole,<br />

8<br />

questa antitesi, sembra voler credere alla coesistenza della<br />

spontaneità del mito, tuttavia inquieto, e alle ragioni, anche<br />

sentimentali, e dunque di partecipazione, della vita moderna;<br />

e, come Leopardi, riesce a darci l’immagine dell’infinito<br />

attraverso cose finite: nelle prospettive serrate e<br />

geometriche, nei muri che delimitano le piazze, nelle architetture<br />

bloccate dei palazzi, nei portici immanenti sulle<br />

partiture d’ombra e di luce delle composizioni metafisiche.<br />

Anche il periodo metafisico di de Chirico, quello che<br />

tra il 1915 e il 1918 lo vede dialogare con Savinio e con<br />

Carrà, con Morandi e con de Pisis, propone una poiesis artistica<br />

assai diversa dalle avanguardie storiche che rende<br />

visibili gli eraclitei “confini dell’anima”. E non che del Cubismo<br />

e del Futurismo non abbia raccolto qualche suggestione,<br />

come è logico avendone vissuto da vicino gli<br />

sviluppi impetuosi e come appare dalla cognizione profonda<br />

che di esse ha avuto – certi passi dechirichiani di<br />

Hebdomeros 8 potrebbero addirittura far pensare a Locus<br />

Solus di Roussel –, ma di Picasso e di Boccioni non ha condiviso<br />

poetiche, comportamenti ed elaborazioni linguistiche.<br />

Citiamo un solo esempio, ma fondamentale: le<br />

perspectives médusées di de Chirico, così dense di significati<br />

evocanti un’aria “d’oeil crevé“, sono sempre delineate<br />

all’interno del parallelepipedo di derivazione rinascimentale.<br />

Anzi, è nell’esasperazione di questa tipologia tridimensionale<br />

che l’artista coglie il significato metafisico degli<br />

oggetti, è attraverso la delineazione di precise linee prospettiche;<br />

l’accentuazione di fuga nelle torri de La pureté<br />

d’un rêve del 1915, ma anche dopo, nei dipinti Il saluto agli<br />

Argonauti partenti del 1920 e I Gladiatori / L’amor fraterno:<br />

il fantasma di Breton del 1928, che l’artista realizza quella<br />

“sorpresa” rivelatrice del “carattere fatale delle cose moderne”<br />

di cui parlò Guillaume Apollinaire 9 .<br />

il secondo un itinerario, un deposito di immagini, un catalogo<br />

di simboli, un collage di simboli, paesaggi interni di abitazione,<br />

appunti di disegni, accesi, tutti, da una fosforescenza che sa<br />

di memoria, di visione, di mistificazione. La favola di Ebdòmero<br />

si stende come un labirinto proliferante, un edificio capace di<br />

riprodursi, di progettare nuove ali, aditi ed esiti”.<br />

9 Le varie riflessioni sul rapporto di de Chirico con Apollinaire<br />

sono contenute nell’agile volumetto di Maurizio Fagiolo dell’Arco<br />

Giorgio de Chirico. Il tempo di Apollinaire 1911-1915,<br />

De Luca editore, Roma, 1981.


È un procedimento compositivo completamente diverso,<br />

e potremmo dire addirittura di opposizione, da<br />

quello che conducono le avanguardie, nella linea di quella<br />

tradizione che era cominciata almeno con Delacroix, agli<br />

scompaginamenti ottico-plastici che sono una loro caratteristica<br />

fondamentale. E aggiungeremmo ancora che la<br />

“sorpresa” così peculiarmente capita da Apollinaire non ha<br />

nulla a che fare con lo choc sur nos sens di cui parlava Matisse,<br />

come non è quella paradossale dei ready-made di<br />

Duchamp, delle azioni e dei comportamenti antitradizionali<br />

dei Dada, e non è nemmeno quella degli automatismi surrealisti.<br />

Comunque sia, un simile discorso alternativo a<br />

quello delle avanguardie ha esercitato su di esse un’influenza<br />

determinante ed anche “perturbante”: e adoperiamo<br />

il termine proprio nel senso proposto qualche anno<br />

più tardi da Freud in un suo saggio famoso, in quanto le<br />

opere metafisiche di de Chirico ci pongono di fronte ad un<br />

universo che ci appare nello stesso tempo conosciuto e<br />

ignoto, familiare ed estraneo, heimlich e unheimlich, come<br />

appunto dice l’autore de L’interpretazione dei sogni e dell’Al<br />

di là del principio del piacere. È stato un punto di riferimento<br />

per il Dada di Grosz e di Hausmann, è stato<br />

necessario per Max Ernst nel periodo giovanile, è stato presente<br />

– sia pure secondo modalità che riteniamo di deperimento<br />

dei significati metafisici – in Magritte e in Delvaux,<br />

è stato preso in considerazione e travisato meccanicisticamente<br />

da alcuni esponenti della Neue Sachlichkeit<br />

(Schad, Wunderwald), si è ripercosso, ed è questione che<br />

andrebbe approfondita, su parecchi artisti statunitensi:<br />

dagli “immacolati” ai cosiddetti realisti degli anni Trenta: da<br />

Georgia O’Keeffe a Sheeler. Anche per questo è tuttora<br />

prodigiosa l’intuizione critica di Apollinaire, che parlava<br />

della “étrangeté des énigmes plastiques que nous pro-<br />

10 I Calligrammi-Poèmes de la paix et de la guerre 1913-1916<br />

furono pubblicati nel 1918, con un ritratto di Apollinaire per<br />

mano di Picasso. Il libro comprende 86 componenti, di cui 19<br />

calligrammi, oltre 6 di scrittura alternata, normale e ideografica.<br />

Come suggeriscono le date del titolo, esso raccoglie tutta<br />

la produzione poetica di Apollinaire successiva ad Alcools<br />

(escluso Vitam impendere Amori). Anche qui, i componimenti<br />

sono disposti fuor di ordine cronologico e senza data; ma se il<br />

termine a quo indicato nel titolo (1913) può sostanzialmente<br />

accettarsi, il termine ad quem (1916) deve ritenersi inesatto: almeno<br />

per La jolie rousse, pubblicata nella rivista il 15 marzo<br />

9<br />

Giorgio de Chirico, Il Minotauro pentito, 1969.<br />

Bronzo dorato, cm. 40×30,5×13<br />

pose M. De Chirico“, prodigiosa proprio perché fatta dal<br />

poeta di Alcoos e dei Calligrammes 10 il quale capisce perfettamente<br />

che non avrebbe potuto inserire il maestro italiano<br />

in quell’ampia categoria dei “pittori orfici” da lui creata<br />

nel 1913.<br />

In definitiva, la logica dello straordinario di de Chirico<br />

(ed in questo contesto non sembra occasionale un lontano<br />

1918, e che presuppone l’incontro con Jacqueline Kolb.<br />

Nel 1930 de Chirico, con l’editore Gallimard di Parigi, disegna<br />

66 litografie per illustrare i Calligrammes. In esse “il passato<br />

ha cambiato carattere. Tutto il tempo che una volta stava alle<br />

sue spalle, ordinato e diviso secondo gli anni e le epoche, ha<br />

perduto ogni spessore: tutto ciò che chiamava assenza umana<br />

si è trasformato in una sola interminabile galleria, in un vivace<br />

museo senza tempo, nel qule ogni istante diventa il nostro presente<br />

e futuro” (Floriano De Santi, I “Calligrammes” di Giorgio<br />

de Chirico, Edizioni del Centro Internazionale Umberto Mastroianni,<br />

Brescia, 1992, pp.13-14).


suo giudizio di ammirazione per Jules Verne), ha rifiutato<br />

la linea della ragione cartesiana del postimpressionismo e<br />

del cubismo, come ha anche rifiutato il vitalismo, per lui<br />

troppo contingente, del futurismo e dell’espressionismo. La<br />

pittura metafisica prima, quindi il suo trasferimento nelle dimensioni<br />

sia pure più caute dei Valori Plastici, e tutta l’esperienza<br />

successiva fino al dopoguerra e agli anni della sua<br />

operosa vecchiaia, appaiono come la ricerca costante di<br />

un’essenza fatale delle cose, che sia al di là della contingenza<br />

delle mere apparenze, poiché – scrive giustamente<br />

Giuliano Briganti – “de Chirico è davvero maestro nell’arte<br />

di confondere le acque, di cambiare le carte in tavola, di<br />

volgere verso il muro e immergere nell’ombra gli antichi<br />

volti degli dei, di giocare insomma, al momento giusto, la<br />

carta segreta dell’Enigma” 11 .<br />

III. Tra i frammenti classici della rivelazione<br />

C’è in Amor fraterno: il fantasma di Breton, che Claudio<br />

Bruni Sakraishik nel suo Catalogo generale dell’opera<br />

di Giorgio De Chirico pubblica con il titolo I Gladiatori,<br />

un’evoluzione stilistica durante l’esecuzione nel 1928 di<br />

questo quadro? A prima vista, si direbbe, di sì, e notevolissima;<br />

rispetto a Le combat dello stesso anno la scena si<br />

fa meno affollata ed anedottica; il colore cessa di essere<br />

elementare e contrapposto in modo aspro per divenire più<br />

accordato e lirico; le proporzioni dei corpi si allungano; il<br />

racconto, anche se impostato su pochi protagonisti, diventa<br />

in tutti i sensi corale, e proprio per ragioni apparentemente<br />

opposte a quelle per cui si designa. Intanto sul<br />

leitmotiv dei guerrieri o dei gladiatori l’Amor fraterno: il fantasma<br />

di Breton, un olio su tela che misura cm. 65×81, è il<br />

più “espressivo”, ancora più inquietante del Combattimento<br />

di gladiatori in una stanza del 1927, in cui l’archetypos<br />

filosofico “è la guerra degli elementi che secondo<br />

Eraclito animerebbe: uno scontro di opposti che continuamente<br />

si ricompone in unità, un dinamismo che coincide<br />

con la stasi più assoluta”.<br />

Questa apparentemente eccessiva espressività par-<br />

11 Giuliano Briganti, Il viaggiatore disincantato. Brevi viaggi in<br />

due secoli d’Arte moderna, recensioni critiche pubblicate<br />

10<br />

rebbe, all’occhio profano, una ragione sufficiente per l’elevazione,<br />

l’apprezzamento e, all’occhio critico, una causa<br />

per diffidarne, in quanto scrive Plotino nel trattato Dell’impossibilità<br />

degli incorporei che difendere la teoria secondo<br />

la quale la materia è sensibile, come substrato dei corpi, è<br />

un incorporeo, un asomaton: essa precede il corpo per<br />

farne un composto. Ad ogni modo, un errore uguale e inverso<br />

si troverebbe nei due giudizi fondati su questa apparenza,<br />

che “un certo eccesso di storia” finisce per<br />

frantumare la storia stessa, o meglio il senso stesso della<br />

storia che l’artista sta raccontando. In realtà la pittura di de<br />

Chirico resta in Amor fraterno: il fantasma di Breton indiroccabile<br />

nella sua monumentalità, malgrado riceva la sua<br />

irresistibilità da ciò che non ha apparenza; e dove i gesti<br />

dei tre protagonisti accentuino l’espressione di un’emozione<br />

violenta, questa emozione non oltrepassa mai il<br />

gesto, l’attitudine delle facce, rimanendo chiusa in una<br />

messinscena teatrale disadorna e severa.<br />

L’arte di de Chirico scopre l’inapparente mistero della<br />

vita, dove “si trova tutto l’enigma della rivelazione che viene<br />

d’improvviso“. È qui il platoniano kalon, la bellezza della<br />

variegata superficie del mondo che nasconde la profondità:<br />

è l’ombra di ciò che è e di ciò che può diventare: è la<br />

stanza tremenda della verità, che si apre per chi sappia<br />

creare non solo le forme per esprimerla, ma anche l’uomo<br />

che possa vederla. Nell’Amore fraterno: il fantasma di Breton<br />

si oserebbe dire che al di sopra di un ipotetico reticolo<br />

tragico c’è un controllo che arriva quasi allo straniamento;<br />

non tutto è saputo, mai tutto è saputo, poiché dietro<br />

l’enigma della Sfinge, come ben sa Edipo, c’è un altro<br />

enigma. Allo stesso modo dell’École des gladiateurs del<br />

1928 e dei Gladiatori in riposo del 1928-29 il controllo della<br />

malinconia è pari all’impeccabile tenuta stilistica: non una<br />

sbavatura, non un eccesso, neppure negli scudi colorati<br />

accartocciati in se stessi. Entro questa misura classica che<br />

fa pensare ad Euripide, tale sentimento di dolore è il massimo<br />

consentito, non sale un gradino di più, se non nella<br />

direzione del Nietzsche di Così parlò Zarathustra: “Io passo<br />

in mezzo agli uomini, come in mezzo a frammenti dell’avvenire:<br />

di quell’avvenire che io contemplo”.<br />

nella pagina culturale de “la Repubblica”, Einaudi, Torino,<br />

1991, p. 160.


Ora de Chirico nell’Amor fraterno: il fantasma di Breton<br />

vuole rappresentare, ma non coinvolgere; vuole esprimere,<br />

ma non lasciarsi trascinare; resta perfettamente padrone e<br />

delle emozioni che la finzione del tragico fatto suscita e dei<br />

mezzi che impiega per raffigurarlo. Questi mezzi sono formali<br />

e non naturalistici: la linea di contorno assiepata e sintetica<br />

fino alla stilizzazione; il volume proposto come<br />

compresso e appiattito, ma denso e petrigno nelle ombre,<br />

e, in questa compressione, come scattante; il colore campito<br />

quasi a sillabare e a tenere diviso quello che il rilievo, pensato<br />

come continuo, unifica al di là delle cesure. L’impatto<br />

che ha così la scena dechirichiana sul fruitore è duplice,<br />

sotto l’azione immediata della rivelazione purificatrice, della<br />

katharsis inscritta nelle figure, la malinconia deflagra di<br />

colpo. Ma al secondo momento, di successiva riflessione,<br />

la limpidezza del contrasto la congela; se la dinamica è interna<br />

ai volumi compressi e al succedersi, anche parallelamente,<br />

delle diagonali, la composizione si realizza senza<br />

un vuoto, eppure senza apparire congestionata dalla sospensione<br />

che questa contesa apre nel tempo: sospensione<br />

che rappresenta lo spiraglio da cui l’eterno, l’aidios<br />

entra nel divenire o meglio in cui il divenire si fa eterno divenire.<br />

IV. “Amor fraterno”: una metafora ironica della rivalità<br />

Che cosa sono nel capolavoro Amor fraterno: il fantasma<br />

di Breton quei tre gladiatori se non i Marmidoni, come<br />

racconta de Chirico nel romanzo Hebdomeros, che combattono<br />

nelle camere vuote? Chi rappresentano e, soprattutto,<br />

cosa significano? Nella destra della tela è raffigurato<br />

Alberto Savinio che pugnala il cranio del fratello Giorgio de<br />

Chirico, nel tentativo disperato di esorcizzare ogni influenza,<br />

ogni syllogismos surealista che Breton, nascosto<br />

dietro di loro, possa inculcare nella poikilometis, nella<br />

“mente colorata” del fondatore della Metafisica. Le sue<br />

opere sono la traduzione pittorica delle grandi figure filosofico-poetiche<br />

di Nietzsche, con un nodo inestricabile di<br />

gioia e di dolore che appunto nel tragico si manifesta e che<br />

è la verità degli enti, o meglio degli esseri.<br />

Dopo la fortuna presso i surrealisti dei dipinti eseguiti<br />

tra il 1915 e il 1918, è questa l’epoca del noto passo di<br />

André Breton in cui condanna nel 1926 la consuetudine di<br />

11<br />

Giorgio de Chirico, Cavalli antichi/Gruppo cavalli, 1969.<br />

Bronzo patinato, cm. 36,5×23,5×34,5<br />

de Chirico di rifare soggetti del primo periodo nel quale<br />

l’accusa, con tono di anatema, di falsario, addirittura di truffatore.<br />

Nel giro di due anni s’inasprisce la polemica con<br />

Breton e i surrealisti che allestiscono in una stanza della<br />

Galerie Surréaliste una vetrina contenente delle parodie<br />

della sua opera; contemporaneamente, in La révolution<br />

surréaliste, compare una foto molto kitsch, dedicata a lui,<br />

in cui le Piazze d’Italia vengono trasformate in Torre di Pisa,<br />

con l’aggiunta della scritta funebre “Ci-git G.D.C“. Non<br />

escluderei così in quegli anni, sotto l’impressione traumatica<br />

di quell’asserzione bretoniana, che de Chirico si abbandonasse<br />

ad una ricerca di illusione, perché credeva, o<br />

faceva credere di non sentire la scissione profonda che divideva,<br />

tra il suo passato e il suo presente, la sua anima di<br />

pittore saturnino.<br />

Il gusto del molteplice fa dell’opera di de Chirico una<br />

sorta di brulicante, coloratissima enciclopedia di immagini<br />

e oggetti: un sontuoso catalogo di destini e di maschere; un<br />

regesto immenso di voci e di corpi, di sapori e di paesaggi.<br />

Nell’Amor fraterno: il fantasma di Breton misurandosi con


tanti orizzonti, il suo volto nato sotto l’ora di Saturno, questo<br />

impietoso Dio-astro della melancholia, si sdoppia, si triplica,<br />

si moltiplica: assume via via i lineamenti del pittore<br />

fluente e del pittore puntinista, dell’intarsiatore e del tessitore,<br />

dell’ebanista e dell’orafo, dell’attore e del giocoliere.<br />

Ma il Male, se pur sempre in agguato, è un abisso sempre<br />

pronto a dischiudersi sulla scena del tempo: De Quincey lo<br />

contempla, allucinato, nel gesto che trasfigura gli assassini<br />

in demoni; Dostoevskij lo riconosce nel gelido sorriso di<br />

Raskol’nikov e nell’odioso delitto consumato da Stavrogin<br />

su una bambina; Stevenson lo percepisce nell’orrore che<br />

emana da Hyde o negli occhi, ridotti a “capocchie di<br />

spillo”, di John Silver mentre pugnala il marinaio fedele.<br />

Sia pure molto meno tragico, il Male in de Chirico<br />

sfugge alla presa della ragione e della morale. Attraverso<br />

e oltre una lotta serrata tra giusto e ingiusto, fra strazio e<br />

luce, fra candore e colpe, “è possibile identificare alcune<br />

coppie di gladiatori in riposo, con le figure dei due fratelli<br />

de Chirico, e quindi ipotizzare per estensione che alcuni<br />

degli scontri raffigurati siano la metafora ironica di una rivalità,<br />

non tanto artistica, quanto ancestrale e relativa ai<br />

rapporti affettivi col padre e la madre” 12 . In Amor fraterno:<br />

il fantasma di Breton questa è forse la risposta-mistero più<br />

convincente all’antico monito della profetica roccia di Delfi:<br />

“Conosci te stesso”, che ritroviamo sempre sul nostro cammino,<br />

senza che ci sia dato di capire chiaramente se questo<br />

monito per de Chirico contenga un invito o una<br />

proibizione, o addirittura la sfida all’impossibile.<br />

V. La finzione simbolica de “Il cavaliere frigio”<br />

Un piccolo racconto di Honoré de Balzac, Il capolavoro<br />

sconosciuto scritto intorno al 1830, profetizza l’arte<br />

della modernité. Ma il termine avanguardia comincia ad<br />

avere senso solo a partire dalla Lettera del veggente, che<br />

il giovanissimo Rimbaud manda a Paul Demeny il 15 mag-<br />

12 Paolo Baldacci e Gerd Roos, De Chirico, catalogo della mostra<br />

antologica al Palazzo Zabarella di Padova, Marsilio Editori,<br />

Venezia, 2007, p. 202. Ma si consulti anche Paolo<br />

Baldacci, Giorgio de Chirico. Gladiatori 1927-1929, Skira editore,<br />

Milano, 2003, p. 131.<br />

12<br />

gio 1871; in essa si avanza l’illusione, che sarà propria di<br />

tutte le avanguardie storiche del Novecento, di un’essenza,<br />

divina phronesis artistica come avamposto del mutamento<br />

effettivo della realtà. Già Giuseppe Ungaretti nel 1935, nel<br />

suo saggio sui Caratteri dell’arte moderna, sottolineava l’urgenza<br />

di “riportare nei nostri spiriti gli antichi miti, non come<br />

modi neoclassici di imitazione oziosamente accademica,<br />

ma come figure di una giovinezza spirituale ritrovata” 13 , che<br />

confina tra l’infinito e il finito, tra l’essere e il non essere. Al<br />

pari di un fiume che trascina verso il nulla, senza che il nulla<br />

spenga lo sguardo dell’artista per abbagliarlo di buio, Giorgio<br />

de Chirico ha cercato nei dipinti L’Enigma di un pomeriggio<br />

d’autunno del 1910, La nostalgia dell’infinito del<br />

1911 e Malinconia / Solitudine del 1912 di rappresentare<br />

questo interstizio in vari modi. Ma sempre si è perduto, e al<br />

tempo stesso – e ciò è lo straordinario paradosso della sua<br />

opertio immaginativa –, perdendosi, ha mostrato e reso visibile<br />

l’inespresso, in un punto in cui il linguaggio mostra la<br />

sua insufficienza e superando i propri limiti si spinge nell’inesprimibile:<br />

incomincia, profetizza il Maestro di Volos in<br />

Zeusi l’esploratore, “a scorgere i primi fantasmi d’un arte<br />

più completa, più profonda, più complicata e, per dirlo in<br />

una parola [...] più metafisica“ 14 .<br />

Duplice come la luce crepuscolare che tiene dentro di<br />

sé l’oscurità della notte e la luce del giorno, nel quadro dechirichiano<br />

Il cavaliere frigio del 1938 la forza del cavallo si<br />

trasmette al cavaliere, manifestando una diversa tensione:<br />

non più, o non ancora, quella tra cosmos e logos, l’impetuoso<br />

agone tra l’essenza di forma del dionisiaco e l’eccesso<br />

di forma dell’apollineo, che si sospende miracolosamente<br />

sulla soglia dell’istante, del tempo ora, in cui tutto si affaccia<br />

davanti all’artista e davanti a noi. Senonché, l’urgenza della<br />

materia e la volontà della forma si attraggono con la stessa<br />

intensità con cui queste confliggono. Malgrado siano raffigurati<br />

da dietro, il cavallo e il cavaliere, simboli dell’umanità<br />

nel crepuscolo del mattino, viaggiano verso il futuro, che<br />

trasforma il noto in ignoto, l’abituale nello strano, il solito<br />

13 In Vita d’un uomo. Saggi e interventi, a cura di M. Diacono<br />

e L. Rebay, prefazione di Carlo Bo, “I Meridiani” Mondadori,<br />

Milano, 1974, p. 280.<br />

14 “Valori Plastici”, a. I, n. 1, Roma, novembre 1918, p. 10.


nell’insolito. Ma il loro sguardo è volto tra il qui e l’altrove:<br />

resta aperto anche al passato; verrebbe voglia di dire con<br />

Baudelaire, “in ogni luogo purché via dal mondo”.<br />

Come in altre tele coeve quali Cavalieri sulla spiaggia<br />

del 1937 e Dioscuri del 1939, ne Il cavaliere frigio, che misura<br />

cm. 42×32, il movimento della storia non è finito; non<br />

c’è nessuna visione ultima, nessuna sosta definitiva, nessuna<br />

meta raggiunta per sempre. Rivisitando la Metafisica<br />

di Aristotele, dice de Chirico: cosa dobbiamo dunque vedere<br />

con la noesis, il pensiero stesso per il quale Dio è Dio?<br />

Forse è giunto al punto segreto dove il tempo e l’eterno, l’aidios<br />

coincidono. Il tempo, una volta così espressivo, ha accettato<br />

il ritmo estatico dell’infinito: mentre l’eterno, invece di<br />

cristallizzarsi in un punto immobile, si muove senza fine,<br />

come “la sorgente d’acqua che zampilla verso la vita<br />

eterna”. Quando Giovanni Evangelista scrive l’Apocalisse<br />

non procede mai in linea retta, da un punto all’altro, seguendo<br />

la conseguenza logica e narrativa dei fatti: muove<br />

secondo cerchi successivi, onde concentriche, che variano<br />

e rinnovano i temi e le immagini, crescono disperatamente<br />

d’intensità, via via che si avvicina la fine; e tuttavia, all’inizio<br />

dei cerchi, sta sempre qualche segno che anticipa gli<br />

eventi, qualche voce d’angelo che li dà già per realizzati,<br />

accrescendo la nostra tensione e l’attesa. Così, nelle dieci<br />

litografie ideate nel 1934 per il testo Mythologie di Jean<br />

Cocteau, de Chirico proietta nel futuro le sue esperienze<br />

presenti o passate, i sogni e le speranze che nutrono la sua<br />

vita di esiliato. Se Ulisse, nove anni dopo ritornato a Itaca,<br />

mostra di essere un maestro di inganni, il fondatore della<br />

Metafisica avverte sulla carta bianca la presenza dell’evento<br />

che sta per erompere davanti ai nostri occhi: le immagini<br />

disegnate sulla pietra, labirintiche come Arianna tanto da<br />

anticipare i Bagni misteriosi, impenetrabili e profetiche ci<br />

sembrano frammenti di futuro, aeroliti di futuro che una<br />

mano prodigiosa ha strappato all’ignoto del tempo.<br />

Non c’è, per Il cavaliere frigio, che un punto di riferimento:<br />

l’idea del movimento di Rubens, ma senza la qualità<br />

delle textures policrome, sulla quale il Maestro<br />

fiammingo – precisa Gombrich – “deve fissare l’attenzione<br />

15 Ernst H. Gombrich, Reflections on the history of art: views<br />

and reviews, Phaidon Press Limited, Oxford, 1987; trad. it.<br />

13<br />

Giorgio de Chirico, Il segreto della fontana, 1971.<br />

Litografia colorata a mano, cm. 70x53<br />

dopo aver assimilato le forme dell’antichità” 15 . De Chirico<br />

non sottolinea e non commenta: la sua formazione classicista<br />

l’ha abituato ad un’obbiettività formale, ad una fermezza<br />

compositiva assoluta. La struttura di questo quadro<br />

ha un rigore, una puntualità, quali si possono trovare, tanto<br />

per restare alla produzione della stessa stagione creativa,<br />

soltanto ne Il buon Samaritano del 1939 e nel Perseo libera<br />

Andromeda del 1942. Entro una simile koinè ponderata e<br />

guardinga, però, vi sono un fervore e una concitazione<br />

tanto maggiori in quanto compressi; la sommarietà della<br />

resa pittorica è estrema come può vedersi specialmente<br />

Riflessioni sulla storia dell’arte, Einaudi, Torino, 1991, p.<br />

174.


Giorgio de Chirico, Il guardiano delle Termopili, 1970.<br />

Litografia colorata a mano, cm. 70×57<br />

nella criniera e nella coda di cavallo: un ordito figurativo<br />

che ci ricorda Delacroix più di Géricault. È una visione rapida,<br />

captata e fissata nella sua essentia, in quanto è un<br />

compendio che diviene traccia della coscienza. Non è un<br />

abbozzo, come quello del Cavaliere con berretto rosso e<br />

manto azzurro della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di<br />

Roma, ma una forma pittorica conclusa e assoluta. Nel Cavaliere<br />

frigio de Chirico si muove in mezzo a frammenti di<br />

futuro, orrida casualità, enigmi e ancora frammenti che vengono<br />

dal passato e che si accumulano davanti a noi. La<br />

forza del pensiero deve comporre in una forma questa pluralità<br />

incontenibile: una morphe che li contenga, ma che<br />

anche li esprima in quella tensione che impedisce che essi<br />

siano pacificati all’interno, di una costellazione o, come<br />

dice Nietzsche, nella finzione di “un mondo vero”.<br />

14<br />

VI. Nel museo ideale dell’artista “Paysage de la Seine”<br />

Tutto il Fedro di Platone è all’insegna del pathos, della<br />

passione “dell’ora immota”, dunque di un’ora sottratta al<br />

prima e al dopo del procedere del tempo. L’ora immota,<br />

l’ora athanatos, immortale, vale a dire l’ora senza tempo, è<br />

anche il grande attimo dello Zarathustra nietzscheano, l’attimo<br />

che il filosofo greco nel Parmenide aveva definito un<br />

atopon, letteralmente un tempo che non ha luogo: un<br />

mondo di mezzo, un interstizio che quando si muove muta<br />

nella quiete e quando è fermo muta nel movimento. L’ibridazione<br />

dei tempi, assai lontana tanto dall’imperativo di<br />

Rimbaud di essere absolument moderne quanto dalla via<br />

della salvezza indicata da Rilke nei Sonetti a Orfeo, domina<br />

la pittura e la scultura di Giorgio de Chirico, con una Zwilicht,<br />

una luce doppia, in cui notte e giorno, finzione e verità,<br />

si compenetrano e si dilatano come nei momenti<br />

epifanici della creazione.<br />

Fin dall’inizio non è un caso che il Pictor Classicus decida<br />

di dedicarsi alla ricerca figurativa, incominciando a rivisitare<br />

l’arte del passato, partendo dalle sale del museo,<br />

dalla pittura e non dalla realtà, dall’eidos, dall’idea estetica<br />

e non dalla physis, dalla natura fenomenica e che, nella<br />

sua mente echeggino idealmente capolavori dell’archeologia<br />

greca e romana; dei “primitivi” toscani Giotto, Agnolo<br />

Gaddi e Pietro Lorenzetti; Paolo Uccello, Luca Signorelli,<br />

Mantegna, Raffaello, Michelangelo, Dürer, Tiziano, Tintoretto,<br />

Rubens, El Greco, Agostino Carracci, Nicolas Poussin,<br />

Friedrich Delacroix, Arnold Böcklin e Max Klinger. La<br />

purificazione, la katharsis anche del sentimento è un’intima<br />

aspirazione di de Chirico, un polo magnetico composto di<br />

silenzio e di abbandono ai suoi echi d’infinito, che tende a<br />

richiamare a sé ogni moto d’esuberanza. Certo, ne L’antichità<br />

come futuro – per dirla con il titolo di un significativo<br />

libro di Rosario Assunto, egli vuole chiudersi deliberatamente,<br />

volontario esiliato da qualsiasi cadenza e theoria<br />

delle avanguardie e postavanguardie, convinto che i giochi<br />

siano ormai compiuti per sempre e che alla sfilata di stanze<br />

di un museo ideale non sia più possibile aggiungerne alcuna,<br />

e non resti quindi che ripercorrerle di continuo attraverso<br />

secoli e secoli di storia dell’arte: il paesaggio classico<br />

con templi e statue, le prospettive quattrocentesche, l’esagitazione<br />

barocca, l’illusionismo romantico) in tutti i sensi.<br />

Se però il termine di museo appare troppo severo ed im-


pegnativo, allora si può ricorrere alla nozione molto più pertinente<br />

di sogno: questo riciclare, in effetti, è simile all’esperienza<br />

onirica che, come ci suggerisce Freud nei<br />

“motti di spirito” e nei lapsus, ed Heidegger nelle pagine<br />

iniziali del suo Nietzsche, non porta alla produzione di immagini<br />

radicalmente nuove, ma a un diverso impiego di<br />

quelle accumulate nelle teche della memoria.<br />

Nel Paysage de la Seine, che è databile intorno al<br />

1926, cioè lo stesso anno in cui viene pubblicato Il Gusto<br />

dei Primitivi di Lionello Venturi, c’è quasi – con i rettangoli<br />

e i trapezi delle facciate delle case, del quadrato del molo,<br />

del triangolo della vela – un omaggio a Giotto, il pittore il<br />

cui “senso architettonico raggiunse alti spazi metafisici.<br />

Tutte le aperture (porte, arcate, finestre) che accompagnano<br />

le sue figure lasciano presentire il mistero cosmico”<br />

16 . In de Chirico la natura non è, come nei surrealisti<br />

Max Ernst e Joan Miró, il luogo delle forze misteriose ed<br />

oniriche: è il luogo “ove gli enigmi dell’esistenza, santificati<br />

dal soffio dell’arte, svestono l’aspetto ingrovigliato e pauroso<br />

che fuori dell’arte l’uomo s’immagina, per rivestire l’apparenza<br />

eterna, tranquilla e consolante, della costruzione<br />

geniale” 17 . Non vi sono gerarchie: le nuvole in corsa, un<br />

guizzo di luce sulla corteccia di un tronco o su una piega<br />

del terreno grasso, sono tutti fenomeni e hanno la stessa<br />

forza d’appello. Su che cosa? Non la sensazione oggettiva,<br />

corporea, che basta a se stessa, ma sul Mysterium mirabile<br />

di un albero, di un corso d’acqua, di una roccia: non c’è<br />

uno spazio che contenga le cose, ci sono soltanto le cose,<br />

e la loro determinazione determina lo spazio o quanto<br />

meno un’estensione infinita della metamorfosi della luce e<br />

dell’ombra, del conosciuto e dell’ignoto, del rivelato e del<br />

nascosto.<br />

Non si può dire che Paysage de la Seine, un olio su<br />

tela che misura cm. 38×46, sia un quadro arcadico, invitante,<br />

e offra la pace della vita rustica all’affaticato abitante<br />

della città; semmai è il fervore dell’esistenza moderna che<br />

si trasmette alla natura e la mette in “prospettiva psicologicamente<br />

[...], la sola – scrive Ardengo Soffici – che si con-<br />

16 Giorgio de Chirico, Il senso architettonico nella pittura antica,<br />

“Valori Plastici”, a. III, n. V-VI, Roma, maggio-giugno<br />

1920, p. 60.<br />

17 Idem.<br />

15<br />

faccia al carattere lirico dell’arte” 18 . Certo, c’è ancora, sotto,<br />

l’impianto prospettico del paesaggio classico, benché trasformato<br />

in pardeigma visivo; e, non di rado le stesse implicazioni<br />

storico-mitologiche-allegoriche di Argonauti del<br />

1925, Il riposo di Alcmena del 1933 e Il ritorno di Ulisse del<br />

1968. È uno schema che si rianima: la natura si rifenomenizza,<br />

risale tumultuosamente dal passato e dal presente al<br />

futuro. Nel dipinto Paysage de la Seine sensibilità e interesse<br />

convergono, fanno sintesi: la sensibilità non dà l’attualità,<br />

ma l’attesa, la verità del valore poetico. Mentre<br />

Poussin aveva applicato il metodo del classicismo, come<br />

Cartesio i principi formali della logica, de Chirico sostituisce<br />

il metodo al sistema: rinuncia al mathesis, allo studio<br />

classico, stabilisce la giustezza dei valori attraverso il ragguaglio,<br />

il confronto, la riduzione delle scale quantitative<br />

alla giustapposizione delle qualità immaginative.<br />

VII. Nell’opera della Sotilis il “teatrino delle meraviglie”<br />

Nel lavoro pittorico e scultoreo di Lisa Sotilis il mito si afferma<br />

presentando tutto il suo complesso apparato metaforico,<br />

come un enigma da indovinare, come un discorso<br />

ermetico offerto agli iniziati; o meglio ancora come un gioco<br />

letterario sull’enigma, una sua abilissima melodia, al pari<br />

nell’Edipo re della cupa cantatrice che è al contempo<br />

dipus, tripus, tetrapus. Ma le immagini dell’artista sono cariche<br />

di una vita simbolica reale che oggi ci tocca profondamente:<br />

le creature mutanti, le prospettive distorte e i piani<br />

sfuggenti che sembrano corrispondere ad una allucinata<br />

degenerazione della percezione provocano un senso di<br />

vertigine. Puntualizza ancora Salvatore Quasimodo: “È<br />

certo che la Sotilis non lavora sugli anni o sui secoli, ignora<br />

la spinta di un riferimento presuntuoso alle esperienze dei<br />

maestri immediati, ma la sua dimensione affonda nei millenni,<br />

è come una materia (ecco che ritornano le zolle di<br />

Afrodite e di Persefone) nella quale si sciolgono le antinomie<br />

delle scuole, le inimicizie delle generazioni” 19 .<br />

18 Le due prospettive, in Divagazioni sull’arte, “La Voce”, Firenze,<br />

22 settembre 1910.<br />

19 Visti da Salvatore Quasimodo, ed. cit., pp. 122-123. Sullo<br />

stesso tema si rammentino di Floriano De Santi almeno tre


Lisa Sotilis, Apollo, 2000.<br />

Bronzo lucidato e patinato, cm. 85×55×15<br />

Con le tempere Il giardino di Iside del 1957 e Omaggio<br />

a Esopo dell’anno seguente la Sotilis introduce un “teatrino<br />

di meraviglie”, che il caleidoscopio delle luci e dei<br />

colori pare muovere e trasformare come nell’eterno e mai<br />

uguale ripetersi delle ore e apparire delle stelle. Le sue<br />

composizioni rimandano al concetto del cosmo: la vibrazione<br />

di una foglia al flusso della vita, l’equilibrio armonioso<br />

di un cavallo o di un nudo muliebre all’infinito bilanciarsi<br />

pubblicazioni: Il mito nell’opera di Giorgio de Chirico e di Lisa<br />

Sotilis, catalogo della mostra nella Rampa di Francesco di<br />

Giorgio Martini ad Urbino, Vallecchi, Firenze, 2009; Sotilis. Le<br />

figure della seduzione, catalogo della mostra al Teatro Rossini<br />

16<br />

delle sostanze e delle energie nei fenomeni epicuriani della<br />

physis, della natura. Così, dalla magia per i bambini delle<br />

carte ritagliate che divengono le caravelle che solcano i<br />

mari della fantasia, tutti i personaggi e le cose del castello,<br />

l’artista ateniese fa nascere un linguaggio che – come<br />

quello di Alice del paese delle meraviglie – coltiva sistematicamente<br />

il non-sense della metamorfosi metafisica e<br />

surrealista: scava nel Regno dello Specchio, oltre “la luminosa<br />

nebbia d’argento”, dove tutto è capovolto. Nel bronzo<br />

Fenicottero di Alice del 1980 la Sotilis sceglie i simboli più<br />

visibili, attraverso un discorso lirico nutrito di antichi riferimenti<br />

culturali, che portano il procedimento del “gioco” al<br />

suo valore più profondo di rivelazione del vero nelle regole<br />

della finzione.<br />

Con la sua pittura – dall’Autoritratto del 1959 ad Afrodite<br />

del 1972 e alle Due atlete del 1980 – la Sotilis mostra<br />

di voler aiutare la bambina che è ancora in lei, a tener ben<br />

fermo nel suo cuore ciò che ama e non vuole perdere: il<br />

piacere del volo fantastico, il volo nello spazio cosmico, il<br />

volo intorno all’eraclitea psyches peirata, confine dell’anima,<br />

per attraversare la strada della “favola” legata a un<br />

tempo puro e distanziante, ad una grazia intatta intessuta<br />

di realtà e simboli, che possiedono la semplicità festosa<br />

dell’infanzia insieme a una profonda spiritualità. Ma ciò che<br />

elude l’intelligibile non elude l’intuibile e consegna alla visione<br />

un reale potere suggestivo, un sospetto sottile e malinconico<br />

di attualità. Nella materia policroma di Terra di<br />

Agamennone del 1969, Tramonto a Cartagine del 1980 ed<br />

Esplosione vitale del 2008, le forme bruciano come impronte;<br />

la luce emerge piano dalle grotte, dai fondi, dagli<br />

orizzonti; ali oscure ovunque fremono, si distendono, proteggono<br />

e minacciano; a volte dagli spessori abbruniti<br />

delle nuvole nasce uno smeraldo d’aria o dalle onde dense<br />

come lava un taglio di azzurro; a volte i bruni del cielo e i<br />

bruni del mare si fondono così mirabilmente da formare una<br />

sola parete di viola.<br />

Oltre al mito, la Sotilis e de Chirico hanno in comune<br />

proprio l’elaborazione del sogno, e l’aver intrapreso que-<br />

di Pesaro, Umberto Allemandi, Torino, 2009; Giorgio de Chirico<br />

e Lisa Sotilis. I mille occhi della Sfinge, catalogo della mostra<br />

nella Pinacoteca del Porto/Centro Culturale di Hermoupolis,<br />

Isola di Syros (Grecia), 2010.


sta via non significa affatto aver aderito alla poiesis surrealista;<br />

anzi nessuno dei due si è mai riconosciuto nel movimento<br />

di Breton. Nel caso del maestro della Metafisica la<br />

causa di questo rifiuto è forse più complessa, ma rasenta,<br />

benché apoditticamente e con violenza polemica, quelle<br />

stesse motivazioni anti-programmatiche che nella Sotilis<br />

appaiono chiarissime e serenamente ragionate. Per la<br />

scultrice di Omaggio a Fidia del 2005, Poesia di Saffo del<br />

2006 e Metamorfosi di Persefone del 2007, la dimensione<br />

del miracoloso è qualcosa che si manifesta abnormemente<br />

nell’ambito del naturale, servendosi delle sue leggi<br />

sia pure per sconvolgerle, o semplicemente capovolgerle.<br />

Il surreale è invece l’autre, un’altra realtà, ignota e allucinante,<br />

suprema ma anche sotterranea, dotata di leggi e<br />

meccanismi diversi, suoi propri, inaccessibili, oscuramente<br />

profondi. Laddove nella Sotilis non è mai l’oscurità<br />

ad annunciarne il messaggio, ma come un improvviso intensificarsi<br />

di luce; quella luce che modula il bassorilievo<br />

di bronzo dorato Autoritratto con fiori del 1975 come se<br />

fosse tessuto da un’ape: come un moto d’onda o una caduta<br />

di piuma, che continuamente debordino dall’assiologia<br />

e dall’assioma del presente.<br />

VIII. La “malinconia della materia”<br />

Forse è vero, come scrive Walter Benjamin in Passagen-Werk,<br />

che si desidera solo ciò che si vede. Forse è<br />

vero anche che si può desiderare l’ignoto, lo sconosciuto,<br />

ciò che è altro, che questo abbia vita nella realtà visibile e<br />

palpabile o meno, nel suo essere visibile anche come pensiero,<br />

come phronesis attraverso cui si esercita un potere<br />

di seduzione. Ma l’incanto non vuol dire probabilmente attrarre?<br />

Non significa pertanto avvicinare a sé? Non lo si può<br />

negare, ma quello che il filosofo berlinese suggerisce è che<br />

tale avvicinamento è anche una distanza. Mantenere l’ousia,<br />

l’essenza della distanza, in altri termini, è quanto la seduzione<br />

esige per la percezione della bellezza o della<br />

scoperta nel processo conoscitivo dell’arte. Partendo da<br />

questo punto di vista puntualizza María Zambrano ne El<br />

sueño creador: “A cominciare di lì, finché si mantiene la<br />

tensione si vive dentro un sogno”.<br />

Nella produzione d’oreficeria di Lisa Sotilis avvicinare<br />

vuol dire allontanare, accostare respingendo, accogliere<br />

17<br />

Lisa Sotilis, Omaggio a Fidia, 2005.<br />

Bronzo lucidato e dorato, cm. 47×29×8,5<br />

esiliando. Si tratta di uno strano ossimoro, di un curioso paradosso<br />

che il doppio significato del termine “seduzione”<br />

dovrebbe contribuire a porre in rilievo. Poiché, se per un<br />

verso seduce ciò che attira, dall’altra parte attira ciò che<br />

porta altrove. Dunque da un lato ducere ad se: è il significato<br />

più ovvio, quello che – se assunto in termini esclusivi<br />

– cattura la seduzione, l’incatturabile stesso entro gli<br />

schemi, di un rito un po’ banale; dall’altro se(d)-ducere<br />

(l’etimologia ci richiama a questa radice, l’unica realmente<br />

corretta): condurre via, sviare, allontanare. Il movimento<br />

dell’actio in distans, così come la Sotilis lo prefigura, si sviluppa<br />

in un simile spazio, che apre e che chiude l’opera<br />

come il coro nella tragedia attica, anch’esso testimone dell’affiorare,<br />

dice Sofocle nell’Edipo re, di ciò che è nascosto,<br />

dell’inapparente.<br />

Il lavoro fantasmatico di un’immagine non si risolve<br />

mai in un punto isolato, ma nella “dinamografia” – come<br />

ha dimostrato Warburg – della sostanza immaginativa nel<br />

suo complesso. Rispetto alla pittura e alla scultura e alle


Lisa Sotilis, Canto di Saffo, 2006.<br />

Bronzo lucidato e dorato, cm. 58×50×8<br />

loro verificate possibilità tecniche, i colori dei gioielli della<br />

Sotilis appaiono di una qualità diversa, che non dipende<br />

da un’accelerazione di frequenza o di vibrazione, ma all’opposto<br />

da una loro improvvisa fissazione, e cioè non soltanto<br />

dal loro immedesimarsi con la durezza del metallo o<br />

della pietra, ma dal loro inserirsi in un contesto plasticodinamico,<br />

dal loro trovarsi coinvolti in quella deflagrazione<br />

del nucleo con cui l’eidos, la forma non soltanto si<br />

espande ma si esalta a fuoco con lo spazio. Più che frammenti<br />

proiettati i colori sono lembi strappati alla realtà visiva<br />

del mondo, ricaduti nell’epicentro del fenomeno o<br />

dell’evento.<br />

In Fleur de l’Eden del 1981 e in Danse byzantine del<br />

1992 la Sotilis si rende conto che la kalon, la bellezza non<br />

20 Al pari di de Chirico, il mistero di Arianna, l’enigma di una vita<br />

che contiene dentro di sé, congelata nella malinconia, anche<br />

la morte, adombra il lavoro creativo della Sotilis. Figlia di Minosse<br />

re di Creta, Arianna è la donna di un eroe, Teseo, e di un<br />

18<br />

è più quella pensata da Platone o da Plotino. Quella è letteralmente<br />

“saltata”, come la cintura di Sancho nel Don<br />

Chisciotte ha fatto esplodere quella di Venere. È saltata,<br />

definitivamente esplosa sotto la passione della materialità,<br />

che essa aveva occultato, ma che non aveva potuto<br />

sopprimere: l’urgenza della materia sensibile (aisthete),<br />

che non può essere fatta tacere, per quanto sia sottoposta<br />

a una sorta di macerazione intelligibile (noete), che finisce<br />

per generare i fantasmi, fin troppo “materiali”, che<br />

hanno tormentato e tentato sin dalle prime prove l’artista<br />

greca. Il soggetto (da Hommage à Agamennon a Hommage<br />

à Toutankhamon), preso tra questa ansia di assoluto<br />

e l’opacità del mondo, è lacerato, straniero, senza<br />

luogo, in un’epoca in cui la “freccia del tempo”, che sembra<br />

correre verso un progresso indiscutibile, si è invece<br />

definitivamente spezzata.<br />

Quasi un secolo e mezzo fa è Flaubert che ha parlato<br />

di una “malinconia della materia”, come una sorta di substrato<br />

ontologico costitutivo del mondo: malinconia che<br />

penetra tutta di fronte alla percezione di un’inarrestabile<br />

oscillazione del mondo, che deve però essere, in qualche<br />

modo, contenuta o arrestata, perché in esso si possa<br />

avere luogo e dare alla malinconia stessa una forma 20 . La<br />

Sotilis cerca questa traccia di consistenza, e la cerca in<br />

ciò che sembra essere più distante dalle ansie del nostro<br />

tempo, in quella ricerca del “frammento” archeologico non<br />

più come conquista, ma come “etimologia assoluta nella<br />

sua ellissi senza confini” (così, l’ha suggestivamente definita<br />

Quasimodo). Il legame tra i disegni e le sculture, le<br />

pitture e gli ori è sottile. Certo, nelle collane, nelle spille,<br />

negli anelli e nei bracciali si arriva subito alla rottura della<br />

superficie bidimensionale, all’insorgere della plasticità dell’immagine.<br />

Distrutta dalla ritmica penetrante della techne<br />

incisoria, quella superficie non è del tutto annullata, rimane<br />

come un diaframma nello spazio su cui le infinite sostanze<br />

policrome e presenze luminose vengono intercettate e sistemate,<br />

come se si accendessero di un ultimo e decisivo<br />

guizzo prima di spegnersi.<br />

dio, Dioniso. È congiunta al Minotauro e, al tempo stesso, fornisce<br />

a Teseo il filo per distruggerlo. Nei Frammenti postumi recita<br />

Nietzsche: “Oh Arianna, tu stessa sei il labirinto: da te non<br />

si esce più fuori”.


Come i giochi della luce e dell’ombra nel loro rapporto<br />

struttu rante di presenza ed assenza, così la statua è il momento<br />

di raccor do tra mondo diurno e mondo notturno.<br />

Unica verticale sulla terra all’interno del nostro spazio, contrariamente<br />

a torri e ciminiere, col locate al di fuori della nostra<br />

portata, la statua è il perno attorno a cui il moto,<br />

temporale ruota, diventando manifesto. E, d’altra parte,<br />

essa si pone nel tempo fluido che scorre senza posa, in<br />

modo da in terromperlo metafisicamente, arrestando la sua<br />

corsa. Doppio visi bile, nel proprio sembiante, essa incontra,<br />

allora, il proprio doppio invisibile in cui si rimira e contempla:<br />

l’ombra. «Si deve attribuire il mistero delle opere<br />

d’arte a una specie di comunione ermetica tra il divino e<br />

l’umano, tra la realtà logica e le apparenze metafisiche inesplicabili»,<br />

ha scritto Giorgio de Chirico a pro posito de La<br />

torre rossa e, ancora, in un manoscritto degli anni pa rigini:<br />

«E penso allora se l’idea di figurarsi un dio dal volto umano,<br />

cosi come la concepirono i Greci in arte non sia un eterno<br />

pretesto per scoprire ben altre sorgenti di sensazioni<br />

nuove. Gli artisti del medioevo non riuscirono mai ad esprimere<br />

questo sentimento. Questa primitività, questo brivido<br />

sacro dell’artista, che tocca una pietra o un frammento di<br />

legno, che lo raffina, lo palpa, lo acca rezza con il sentimento<br />

sacro che un dio vi abita».<br />

Dove cercare, allora, se non in quel mondo che sta all’altro<br />

capo del nostro, come il mondo infero, una traccia<br />

dell’originario senso del divino, che l’uomo contemporaneo<br />

ha vanificato ed, anzi, pro priamente ucciso dentro di sé?<br />

Più vicino al carattere demonico che a quello divino, questo<br />

uni verso comincia a manifestare la propria turbolenza,<br />

già al tempo dell’entrata in scena del monumento equestre,<br />

nel quale si concen tra, forse, il più alto potenziale di energia<br />

del mondo sotterraneo, mai evidenziato da una statua<br />

di de Chirico. A quanto detto riguar do all’intreccio dell’orizzontale<br />

e della verticale nella sua forma complessa<br />

che, già così, ingloba due dimensioni, va aggiunta la fu -<br />

De Chirico scultore<br />

o il Proteo che dorme in noi<br />

DI GIOVANNA DALLA CHIESA<br />

19<br />

sione di uomo-cavallo, senza dimenticare le facoltà profetiche<br />

os sia extrasensoriali che de Chirico attribuisce al cavallo,<br />

riconoscendogli qualità pressoché divine. La nuova<br />

figura assorbe in sé l’ombra che l’uomo e la statua proiettano<br />

sul terreno, riassumendo interamente e forse anche<br />

più accentuatamente nella propria imma gine in negativo<br />

tutte le tensioni espresse dal sovrapporsi di queste molteplici<br />

traiettorie. «/ confini dell’anima, nel tuo andare, non<br />

potrai scoprirli, nep pure se percorrerai tutte le strade: così<br />

profonda è l’espressione che le appartiene». Così un frammento<br />

di Diogene Laerzio ricorda un pensiero di Eraclito.<br />

Ma de Chirico nel testo parigino dedicato a La volontà della<br />

statua, dirà: «Essa ama la propria anima stra na. Essa ha<br />

vinto» e «in una felicità di carattere eterno essa annega la<br />

propria anima nella contemplazione della propria ombra».<br />

Quanto basta, in sostanza, per restituire alla statua la funzione<br />

pre ziosa di tramite tra il mondo umano e quello divino<br />

e per mettere in comunicazione il nostro mondo<br />

illusorio, benché visibile, con quel lo ben più reale, benché<br />

sotterraneo, che riposa sotto di noi.<br />

Poco dopo l’apparizione del monumento equestre,<br />

un’altra sta tua di indefinibile sostanza, tra marmo e pietra<br />

il suo colore, dal bianco, si attenua nel grigio pallido o<br />

bianco sporco, compare tra le quinte degli edifici della<br />

Piazza dechirichiana. Essa rappresenta, ora, un uomo<br />

eretto, in abiti inequivocabilmente contemporanei, che ne<br />

nascondono l’anatomia, sino a riportarla ad un carattere<br />

anonimo ed uniforme, in uno schema facilmente ripetibile. Il<br />

suo prototipo sta tra il monumento a Giovan Battista Bottero<br />

di Torino e l’immagine di Cavour, come appare in alcuni disegni<br />

di de Chirico degli stessi anni. Il dipinto in questione<br />

è il celebre: L’e nigma di un giorno, del 1914 e per un momento<br />

il nuovo enigma dechirichiano ci appare in pieno<br />

sole. È a questo tipo di statua, doppio evidente dell’uomo<br />

contempo raneo, che meglio si attagliano le parole di de<br />

Chirico, che abbiamo appena menzionato. Lo scarto tem-


porale, che ci fa ritrovare al centro della nostra epoca, è<br />

anche quello che, verosimilmente, fa con vergere tutte le<br />

tensioni allo Zenith, ma catalizza pure, traendole dal suo<br />

polo opposto e potenziandole al massimo, le energie più<br />

profonde, tanto da farle risplendere in una dimensione allucinatoria<br />

che, in questi termini, non era ancora stata sfiorata<br />

da de Chirico.<br />

La statua che «proclama» la propria «Vittoria in una<br />

posa di re vincitore» appartiene a questo momento centrale<br />

in cui, mutuando la da Nietzsche, de Chirico vuol rappresentare<br />

la seconda «meta morfosi dello spirito». Superata la<br />

«fase del cammello», quando lo spirito accoglie le cose più<br />

«difficili da portare» in de Chirico il re taggio del passato,<br />

rappresentato dalla figura del fantasma, che cir cola al cospetto<br />

della modernità lo spirito anela ad essere signore del<br />

proprio deserto e si fa leone. Come Zarathustra, così de<br />

Chirico considera questo periodo co me una fase di preparazione<br />

a nuove invenzioni, che ancora una volta, seguendo<br />

le tracce di Nietzsche, si manifesteranno con il ca rattere di<br />

«rivelazioni improvvise». «E improvvisamente», scrive de<br />

Chirico nel testo degli anni pari gini «Proteo», in seguito pubblicato<br />

da André Breton in «L’Art et l’occultisme», «un momento,<br />

un pensiero, una combinazione che si rivela a noi<br />

con la rapidità del lampo che ci scuote, ci getta di fronte a<br />

noi stessi, come dinanzi alla statua di un dio sconosciuto<br />

[...]. È il momento. Il Proteo che dormiva in noi ha aperto gli<br />

occhi. E noi diciamo ciò che dovevamo dire. Queste scosse<br />

sono per noi ciò che per il profeta glauco erano i laghi e la<br />

tortura». Potremo forse riconoscere meglio, a questo punto,<br />

nella «statua» di questo «dio sconosciuto» dinanzi al quale<br />

ci troviamo come di «fronte a noi stessi», il nostro io razionale<br />

reso inerte e inoffensivo, come in quello stato di morte<br />

apparente che è il sonno, dove le no stre membra restano<br />

quale puro sembiante, o simulacro del viven te, e, per estensione,<br />

della vita.<br />

Mai, prima d’ora, la plumbea quiete di un corpo, la sua<br />

opacità si sarà rivelata tanto ingannevole, men tre la pervade<br />

il più alto potenziale vitale, risvegliato dal suo stesso denso<br />

torpore. Sarà il «Saggio sulle apparizioni di spiriti» di Arturo<br />

Schopenhauer, estratto da Parerga e Paralipomena, di cui<br />

fa parte e apparso in traduzione francese nel 1912, ma consultato<br />

da de Chi rico nel 1913, a tracciare un ponte più solido<br />

tra il mondo umbratile dei defunti e quello notturno del<br />

sonno e dei sogni. Esso individua nei resti corporei dei morti<br />

20<br />

la fonte prima di quelle visioni, che sti molate da un fenomeno<br />

di «seconda vista retrospettiva», orientata verso il<br />

passato, siamo normalmente abituati a considerare come<br />

«visioni di spiriti». «Esse sarebbero, dunque, in realtà, ciò<br />

che gli antichi, la cui concezione del regno delle ombre è<br />

forse derivata da apparizioni di spettri [...] chiamavano già<br />

ombre, eidola [...], manes (da manére) [...], resti, tracce,<br />

cioè a dire echi di antiche apparizioni del nostro mondo fenomenico<br />

rappresentantesi nel tempo e nello spazio».<br />

Schopenhauer attribuisce queste visioni agli stadi di<br />

sonno pro fondo, dove il sogno raggiunge la mezza-veglia,<br />

sfiorando la chia roveggenza stato analogo alla veglia, o all’inverso,<br />

a quelle con dizioni di mezza-veglia naturale, dove<br />

il sogno comincia a divenire percepibile per l’ambiente che<br />

circonda il dormiente e in cui, tutta via, l’estraneità di queste<br />

figure agisce diversificando l’atmosfera ri spetto a quella<br />

della veglia. È sin troppo evidente, anche ora, che queste<br />

presenze spiazzanti, benché innocue, nell’aspetto di sempre<br />

più verosimili duplicazioni dell’uomo, se trasferite nel<br />

cosmo dechirichiano, sono ancora le statue. Mai come<br />

adesso, esse sono desti nate a impersonare l’immagine corporea,<br />

l’eidolon dell’assente; puri veicoli di un processo, che<br />

in loro trova solo un canale come nella Pizia, l’oracolo per<br />

articolare messaggi fuori dall’ordinario, in termini, per il momento,<br />

meramente indiziari. La loro neutralità ser ve la nascita<br />

del nuovo linguaggio di emblemi a chiaro carattere<br />

oracolare ed enigmatico, che si esprime particolarmente in<br />

opere co me Torino primaverile, Il destino di un poeta o II<br />

giorno di festa, dalle quali lentamente la statua tende, infatti,<br />

a scomparire per la sciare progressivamente parlare i<br />

segni al suo posto.<br />

Armatura passiva, la statua rappresenta soprattutto il<br />

soma, con il suo anonimo contorno, all’interno del quale,<br />

proprio grazie alia sua disponibilità senza difese, si possono<br />

produrre notevoli modifi cazioni, che Schopenhauer<br />

giustifica in questo modo: «le visioni di questa specie, per<br />

quanto concretamente in esse appaia la persona, non sorgono<br />

affatto per un’impressione esterna dei sensi, ma per<br />

un’azione magica della volontà di colui che le determina su<br />

di un altro, cioè sull’essere in sé di un organismo estraneo».<br />

Se la statua rappresenta la struttura portante della sua<br />

prima pit tura, che resta per lui un’esperienza di pensiero<br />

per quanto di tipo particolare ora la pittura, approdando alla<br />

scultura, vuol toccare il cuore di quel disegno che fa tut-


t’uno con se stessa: corpo e linea. Ecco perché, seguendo<br />

questa strada sia pur facendo una conces sione al gusto veristico<br />

che lo aveva già tentato alla fine degli Anni Venti de<br />

Chirico pensò addirittura di colorare le terracotte, effet -<br />

tuando con l’invetriatura una iperrealizzazione della sua pittura.<br />

Isabella Far parla espressamente di un colo re che<br />

serve solo da colorante e non costituisce il corpo stesso<br />

della pittura-corpo che in de Chirico resta soltanto metafisico.<br />

A cosa potremmo paragonare il nuovo disegno, allora,<br />

che è una cosa sola con la pittura, se non all’«anima» che<br />

uscita dalla fase schizoide di tutta la prima metafisica, dopo<br />

lunghi vagabondaggi e trasmigrazioni, torna a ricongiungersi<br />

con il corpo, in una dimen sione «altra», appunto<br />

quella della pittura? E, infatti, la materia di ora ha le stesse<br />

caratteristiche che appartengono all’ombra, una densità e<br />

una profondità senza confini, illimitatamente dilatabile ed<br />

estendibile, come il principio dell’«unità interna dell’onnivolontà»<br />

(per ritornare a un tema di Schopenhauer) che ora<br />

presiede alla metafisica dechirichiana.<br />

Attraversata la fase del «Mondo come rappresentazione»<br />

degli anni della prima metafisica, de Chirico procede<br />

nel senso del «Mondo come volontà» dagli Anni Venti in poi,<br />

e ne porta a satura zione la lezione proprio in questo periodo.<br />

Secondo le concezioni espresse da Schopenhauer<br />

nel suo libro capitale: «L’atto volitivo e l’azione del corpo<br />

[...] non stanno tra loro nella relazione di causa ed effetto:<br />

bensì sono un tutto unico, soltanto dati in due modi affatto<br />

diversi [...] la volontà è la conoscenza a priori del corpo, e<br />

il corpo la conoscenza a posteriori della volontà». Nella<br />

prima pittura metafìsica la scissione in sede di immagine si<br />

era presentata, infatti, a livello di fenomeni. Essi accompagnano<br />

la volontà come «l’ombra il corpo», secondo il filosofo,<br />

mentre la volontà è propriamente «la cosa in sé,<br />

l’interna sostanza, l’essenza del mondo» e, come tale, è al<br />

di fuori del tempo. La base di ogni essere umano è costituita,<br />

per Schopenhauer, dalla volontà, che rappresenta «il<br />

carattere originario»; «la conoscen za», invece, «non sopraggiunge<br />

che più tardi». La volontà è, dunque, «l’elemento<br />

primo e originario». Scavalcato il problema delle<br />

manifestazioni visibili del mondo, de Chirico, in questa fase,<br />

entra nel corpo caldo e, anzi, incande scente come la lava<br />

di un vulcano, che è la sostanza interna del mondo, dove<br />

ogni elemento è ridotto allo stato originario, un altro tratto, insomma,<br />

della struttura mitica entro cui l’artista si muove.<br />

21<br />

Giorgio de Chirico, Dioscuro, 1938-1939.<br />

Terracotta policroma, cm. 27,5×28×8<br />

Dopo il momento di separazione attraversato dall’inizio degli<br />

Anni Venti sino alla metà circa degli Anni Trenta, materia e<br />

stile possono, allora finalmente coincidere.<br />

Per quanto si è detto, ritornato al nucleo centrale della<br />

propria personalità (la volontà), de Chirico può riconoscere<br />

facilmente il proprio stile nella coincidenza con il proprio carattere,<br />

non deve più rincorrerlo in altre epoche e tempi.<br />

Quanto alla materia, come non ricordare queste parole di<br />

Schopenhauer? «Se i signori vogliono assolutamente avere<br />

un assoluto: allora io voglio dargliene nelle mani uno, che<br />

soddisfa tutte le esigenze per esso assai meglio delle loro<br />

fantastiche figure nebulose: esso è la materia. Questa non<br />

sorge e non trapassa, quindi è realmente indipendente,<br />

quod per se est per se concipitur: dal suo seno tutto scaturisce,<br />

e tutto in esso ritorna: che si può pretendere di più<br />

da un assoluto!». C’è forse bisogno di riconfermare che<br />

questo assoluto, per de Chirico, è la pittura e che anche la<br />

scultura si pone quale puro suo corollario? Il tempo si è<br />

semplicemente incaricato di trasformare il principio puro di<br />

«conoscenza» (e di rappresentazione), il poetico intuire ed<br />

interrogare del primo de Chirico, nel principio del “dive nire”<br />

e “dell’essere” della sua metafisica “ulteriore”.


“L’uomo, questo miserabile piccolo cumulo di segreti”,<br />

diceva Malraux, sottolineando anche la complessità del cervello<br />

umano, e allo stesso modo, quello di Giorgio de Chirico,<br />

le cui ricerche mentali e stilistiche a volta a volta<br />

innovatrici e accademiche, si prestano a molteplici interpretazioni<br />

che toccano tanto la psicanalisi quanto il reflusso (rifluire)<br />

delle reminiscenze dell’infanzia. In effetti, questo<br />

italiano nato in Grecia, innamorato di Roma e di Parigi, è uno<br />

dei casi più singolari dell’arte moderna. Fondatore della<br />

Scuola metafisica, considerato da Apollinaire nel 1915 come<br />

“il pittore più stupefacente dei tempi”, l’uguale di Lautréamont,<br />

secondo André Breton, è indubbiamente il precursore<br />

del Surrealismo e s’inserisce in pôle position in seno alle<br />

avanguardie della sua epoca, allo stesso titolo dei pionieri<br />

del Cubismo e delle calde e fredde astrazioni nascenti. Pertanto,<br />

egli non riconoscerà più tardi di essere stato parte integrante<br />

del movimento surrealista confermando le curve, le<br />

divagazioni del suo umore ombroso assortito di fasi depressive,<br />

e talvolta brioso fino a confutare dei quadri di gioventù<br />

anti o postdatati, contro il parere degli esperti, e alla<br />

base di processi tumultuosi. Parallelamente, egli doveva<br />

anche molto al Surrealismo, e non bisogna dimenticare la<br />

sua influenza sull’atmosfera delle tele di Magritte, Tanguy,<br />

Pierre Roy o di Max Ernst ai suoi inizi.<br />

Nondimeno, la sua maniera di essere all’avanguardia,<br />

non era seguita passo passo dalle grandi correnti del momento,<br />

poiché egli non obbediva che alle sommazioni del<br />

suo immaginario dentro una vena iconoclasta, e costruiva<br />

meno città fantasma, ombre, chimere che basamenti della<br />

sua vita interiore. Dapprima studente ad Atene poi a Venezia<br />

e a Milano, un soggiorno di tre anni a Monaco e la scoperta<br />

dei romantici tedeschi, in particolare Arnold Boeklin,<br />

l’apporto della musica di Wagner e i testi di Nietzsche e<br />

Schopenhauer, a misura, spazio, dell’architettura rettilinea di<br />

Torino e le sue sculture classiche, lo conducono al cuore<br />

della sua “mitologia moderna”. A Parigi nel 1911, raggiunge<br />

suo fratello cadetto, con lo pseudonimo Alberto Savinio,<br />

Giorgio de Chirico,<br />

il maestro del pensiero e del sogno metafisico<br />

DI GÉRARD XURIGUERA<br />

22<br />

anche lui artista, frequenta Picasso, Brancusi, Derain, Léger,<br />

Braque, Max Jacob; espone i suoi “Enigmi” nel 1912 al<br />

Salon d’Automne, ed entra nella collettiva del mercante Paul<br />

Guillaume.<br />

Avendo trovato il linguaggio che gli corrisponde, non rinuncia<br />

alla sua tracotanza e alla sua sufficienza, persuaso<br />

che nessuno sia in grado di comprendere la sua opera. Nel<br />

1914, realizza il Ritratto di Guillaume Apollinaire e lo rappresenta<br />

con degli occhiali neri e una ferita al cranio, pittura<br />

premonitrice poiché il poeta sarà colpito da una scheggia<br />

di granata e trapanato durante la guerra 1914-18. Mobilitato<br />

a Ferrara nel 1915 e riconosciuto inabile al servizio armato,<br />

viene trasferito in un ospedale militare dove inizia ad eseguire<br />

la serie di manichini. Tutti i giorni a Ferrara, incontra il<br />

pittore futurista Carra, con il quale crea la corrente della “pittura<br />

metafisica”, che annetterà anche Morandi e Sironi. Una<br />

pittura che contrasta con il dinamismo macchinista del Futurismo,<br />

per la sua tendenza alla fissità e al sogno. I seguaci<br />

della Scuola Metafisica, al contrario, coltivano uno spazio<br />

fuori-tempo e la nostalgia dell’antico.<br />

L’esposizione del Musée d’Art Moderne de la Ville de<br />

Paris del 2009, forte di 170 opere, che mostra l’insieme dei<br />

periodi dell’artista, permette una rilettura equilibrata delle direzioni<br />

plurali, spesso sconcertanti. Questo appendere cronologicamente<br />

al filo, si fermerà sui quadri più significativi,<br />

come a dire, le opere metafisiche, che passano per la fase<br />

maggiore di de Chirico, e che secondo la maggioranza degli<br />

esperti, chiudono la sua tappa più creatrice, tra il 1911 e<br />

1918. La Stazione Montparnasse nel 1914, Piazza con<br />

Arianna nel 1913, Il doppio sogno di primavera nel 1915, La<br />

Salvezza dell’amico lontano dello stesso anno, condensano<br />

la stessa segnaletica dello strano, la stessa simbologia autobiografica,<br />

la stessa allusione al viaggio, gli stessi climi distanti<br />

e ghiacciati, infine, le stesse prospettive frontali<br />

codificate attraverso armonie geometriche, dove affiorano<br />

dei mini-personaggi in fila, se non una testa a forma di pallone<br />

da rugby ovvero un essere in piedi visto di spalle sui


margini, con l’andatura indefinibile, e comunque delle sculture<br />

equestri stese a terra.<br />

Da questi dispositivi leggermente oppressivi, disertati<br />

da tutta l’animazione umana, scaturisce un sentimento di<br />

malinconia che rinvia al povero esule confrontato al fasto<br />

delle città, e le locomotive in lontananza, con il pennacchio<br />

bianco dei loro camini, non rammentano il ricordo del padre<br />

amato, ingegnere palermitano progettista di strade ferrate?<br />

Allora, s’incatena di seguito ai temi, delle linee di fuga, dei<br />

muri di mattoni, dei percorsi impavidi, dei chiaroscuri crepuscolari,<br />

delle ombre portate, degli orizzonti mutilati talvolta<br />

popolati da colline, delle arcate ricorrenti, degli edifici che<br />

s’impongono a valle, oppure dei portici che ci parlano della<br />

Nostalgia dell’infinito del 1913-14. In questi paraggi, si manifesta<br />

un’impressione di solitudine, di silenzio e d’immobilità,<br />

che declinano lo scorrimento dei tempi. René Passeron<br />

vede qui un granoturco reale “derealizzato nel senso astratto<br />

– figurativo della scena del teatro”. E aggiunge: “Niente che<br />

non sia nelle sue città d’accesso, poiché nei periodi successivi<br />

ai ‘Manichini’, agli ‘Interni Metafisici’ del 1914, ai ‘Biscotti’<br />

del 1916 – domanda problematica”. Nondimeno, è<br />

giusto constatare che la scrittura metafisica di de Chirico è<br />

iniziata a Parigi a partire dall’estate 1911, ed è proseguita a<br />

Ferrara fino al 1918, dove nacquero congiuntamente nuovi<br />

manichini ortopedici, Ettore e Andromaca, Le Muse inquietanti,<br />

oggetti smaltati per la casa e strumenti curiosi, perfino<br />

scatole per dolci.<br />

Alla fine del 1918 de Chirico si stabilisce a Roma e dà<br />

un taglio alla pittura metafisica, sostituendola con un ritorno<br />

al classicismo. “Io sono un pittore classico”, dichiara, e un<br />

classico, sostiene Valery, “è qualcuno che conosce il suo<br />

mestiere”. Questo mestiere lo fa riallacciare a Giotto, Paolo<br />

Uccello, Masaccio, dentro un anacronismo sconcertante,<br />

privo di sensualità: i parchi sono deserti, le statue sono tolte<br />

dalla loro ossatura inerte. “Affinché un’opera d’arte sia veramente<br />

immortale, scrive de Chirico, bisogna che esca<br />

completamente dai limiti umani: il buon senso e la logica<br />

mancheranno. In questo modo s’accosterà ai sogni e alla<br />

mentalità infantile”. Nel 1919 diventa il portavoce del gruppo<br />

“Valori Plastici”. Affascinato dalla tecnica e dalla mescolanza<br />

dei colori degli “antichi”, prende a modello Michelangelo,<br />

Botticelli, Raphaël, Fragonard e una tirata di copie che volgono<br />

al kitch. Di conseguenza, dall’anno 1920, de Chirico<br />

rompe con la pittura che ha forgiato il suo successo. Ma si<br />

23<br />

Giorgio de Chirico, Il fiume misterioso, 1969.<br />

Litografia colorata a mano, cm. 50×70<br />

ritrova qua e là la sua inclinazione all’onirico, per esempio<br />

nei Bagni misteriosi, mentre negli Archeologi del 1927, e soprattutto<br />

ne Il combattimento del 1929, mostra la preminenza<br />

del mito. E questo scivolamento verso gli emblemi barocchi<br />

dell’antico, alimentati da copie alla maniera di Rubens, Courbet<br />

o Delacroix, alterna con una ripresa rivista dei suoi soggetti<br />

metafisici, ma il soffio non c’è più.<br />

Attaccato dai surrealisti, afflitto dal declino della sua traiettoria<br />

e la scarsità della sua ispirazione, impermeabile alle<br />

ultime tendenze dell’arte contemporanea, segnatamente la<br />

Pop Art, della quale il suo araldo Andy Warhol ammira la sua<br />

opera, il continuo intristirsi in un processo di autodistruzione.<br />

Del resto, secondo il critico Pierre Courthion, la spaccatura<br />

con il suo periodo metafisico e il rigetto delle sue vecchie<br />

amicizie, scaturirono una rottura sentimentale sostituita da<br />

un nuovo legame. Nondimeno, questa rottura non era stata<br />

consumata in termini di primo conflitto mondiale, allorché<br />

riallaccia con lo stile dei pittori del Rinascimento? “Il de Chirico<br />

che noi amiamo, scrive Michel Ragon, è morto nel 1930,<br />

all’età di quarantadue anni. A parte le sue sessantanove litografie<br />

per illustrare i ‘Calligrammi’ di Apollinaire del 1930,<br />

i suoi affreschi del Palazzo della Triennale di Milano del<br />

1933, i quasi quarant’anni dell’altro de Chirico, fecero parlare<br />

i giornali solamente per l’accanimento che metterà nel<br />

voler dimenticare il De Chirico precursore del Surrealismo”.<br />

Ci resta questo architetto del sogno, oltre alla sua leggenda<br />

che vive ogni giorno, alcuni anni inalienabili che hanno segnato<br />

la storia dell’arte del ventesimo secolo.


Opere<br />

di Giorgio de Chirico<br />

e di Lisa Sotilis<br />

Giorgio de Chirico con Lisa Sotilis, Atene, 1971


Giorgio de Chirico, Paysage de la Seine, 1926. Olio su tela, cm. 38×46<br />

Giorgio de Chirico, I gladiatori/Amor fraterno: il fantasma di Breton, 1928.<br />

Olio su tela, cm. 65×81<br />

25


Giorgio de Chirico, Il cavaliere frigio, 1938. Olio su tela, cm. 42×32<br />

26


Giorgio de Chirico, I grandi archeologi, 1968. Bronzo patinato, cm. 175×113,5×101<br />

27


Giorgio de Chirico, Le sibille, 1970. Bronzo colorato, cm. 51×36,5×17<br />

28


Lisa Sotilis, Cariatide moderna, 1990. Bronzo sbalzato e dorato, cm. 55×35×20<br />

29


Lisa Sotilis, Eva, 2000. Bronzo bulinato e lucidato, cm. 52×50×9<br />

30


Lisa Sotilis, Imperatrice Teodora, 1970.<br />

Oro, argento, pietre dure e perline, cm. 21×12×1,5<br />

Lisa Sotilis, Bisanzio, 1987.<br />

Oro, pietre dure, coralli e perline, cm. 18×14×2<br />

31<br />

Lisa Sotilis, Fleur de l'Eden, 1981.<br />

Oro, argento, pietre dure e perline, cm. 30×15×2<br />

Lisa Sotilis, Libellula, 1993.<br />

Oro, argento, pietre dure e perline, cm. 20×16×2


Lisa Sotilis, Natura morta con vasetto di fiori, 1960-65. Olio su tela, cm. 80×60<br />

32


Lisa Sotilis, Forme minoiche, 1983. Olio su tela, cm. 100×80<br />

33


Lisa Sotilis, Giardino dell'Eden (facciata A e B), 2010. Olio su tela, cm. 210×80 (ogni opera)<br />

34


Lisa Sotilis, Ratto d'Europa, 2013. Olio su tela, cm. 206×190<br />

35


Giorgio de Chirico, Gli archeologi, 1969.<br />

Litografia colorata a mano, cm. 70x50,5<br />

Giorgio de Chirico nasce a Volo il 10 luglio 1988, capitale<br />

della Tessaglia. La madre Gemma Cervetto era nata<br />

da una famiglia di origini italiane residente a Smirne, in<br />

Asia Minore, mentre il padre Evaristo, nato a Costantinopoli,<br />

veniva da una famiglia nobile di Ragusa, in Dalmazia,<br />

trasferitasi all’inizio del Settecento nella capitale<br />

ottomana. I primi anni di vita di Giorgio trascorrono in parte<br />

a Volo e in parte ad Atene, dove il 25 agosto 1891 nasce<br />

il fratello Andrea (che prenderà lo pseudonimo di Alberto<br />

Savinio dal 1914). Nel 1990 inizia lo studio di pittura al Po-<br />

Brevi biografie<br />

36<br />

litecnico di Atene, sotto la guida di Costantino Volonakis e<br />

Georges Jakobidis.<br />

Nell’ottobre del 1906 Gemma e i figli giungono – dopo<br />

due brevi soste a Venezia e a Milano – a Monaco di Baviera<br />

dove de Chirico continua i suoi studi all’Accademia<br />

Reale di Belle Arti. Due anni dopo essi vedono i primi dipinti<br />

böckliniani.<br />

Agli inizi del 1909 de Chirico si trasferisce a Milano,<br />

dove vivono già dal 1907 la madre e il fratello. Insieme i<br />

due fratelli studiano molto, leggendo soprattutto Nietzsche<br />

e Schopenhauer. Nell’ottobre Giorgio fa un viaggio a Roma<br />

e a Firenze. Qui, in piazza Santa Croce vive la famosa<br />

esperienza della “rivelazione” dalla quale nasce il primo<br />

quadro metafisico: L’enigma di un pomeriggio d’autunno.<br />

Nel 1912 espone per la prima volta al Salon d’Automne e<br />

la critica comincia a occuparsi di lui; dipinge la serie delle<br />

cosiddette “piazze d’Italia”. Conosce Guillaume Apollinaire,<br />

di cui diventa amico frequentando regolarmente la<br />

sua casa insieme agli altri maggiori artisti del tempo. Alla<br />

fine dell’anno entra in contatto con il gallerista Paul Guillaume<br />

che gli fa un contratto. Nel maggio del 1915 rientra<br />

in Italia per la guerra e fino al 1918 compie il servizio militare<br />

a Ferrara. Nascono gli “Interni metafisici” e la seconda<br />

serie dei manichini. Conosce Filippo De Pisis e nel 1917<br />

avrà un breve sodalizio con Carlo Carrà che subisce fortemente<br />

l’influenza della sua pittura. Dal 1919 vive a Roma<br />

dove nell’estate ha “la rivelazione della grande pittura”. Lavora<br />

come critico d’arte e saggista per “Valori Plastici”,<br />

edita dall’amico e mercante Mario Broglio. Nel novembre<br />

del 1924 torna a Parigi, partecipa alla fondazione della rivista<br />

“La Révolution Surréaliste” di André Breton e dei suoi<br />

amici.<br />

L’anno seguente, a Roma, durante le prove per La<br />

morte di Niobe di Savinio, conosce l’attrice russa Raissa Gurievich<br />

Krol che diverrà la sua compagna. In maggio espone<br />

nella Galleria di Léonce Rosenberg a Parigi, marcando così<br />

la rottura con i surrealisti. A fine dicembre del 1929, a Parigi,<br />

pubblica il cosiddetto romanzo Hebdomeros.<br />

Nella primavera del 1931 conosce Isabella Pakszwer,<br />

un’immigrata bielorussa ebrea che sarà la sua compagna


per il resto della vita. Ritornato dall’America nel 1938<br />

(aveva vissuto a New York dall’agosto del ’36 al dicembre<br />

del ’37) ai primi di gennaio, entra in contatto con due gallerie<br />

milanesi, la Galleria il Milione e la Galleria Barbaroux.<br />

Alla fine dell’anno torna a Parigi dove, nell’inverno inizia a<br />

sperimentare nuove tecniche pittoriche che preludono al<br />

cosiddetto “periodo barocco” che dominerà la sua opera<br />

fino alla metà degli anni Sessanta. Alla Biennale di Venezia<br />

del 1942 ha una sala personale con una trentina di<br />

quadri barocchi. Nell’autunno si trasferisce da Milano a Firenze,<br />

dove abita prima presso l’amico antiquario Luigi<br />

Bellini, poi in una villa sulle colline di Fiesole. Durante l’occupazione<br />

tedesca del 1943, la coppia si nasconde, prima<br />

in Toscana, poi a Roma. Pubblica il libri Ricordi di Roma<br />

nel 1944, seguito dalla prima edizione delle Memorie della<br />

mia vita nel 1945. Nello stesso anno esce anche la raccolta<br />

di scritti Commedia dell’arte moderna. Compra nel<br />

Lisa Sotilis nasce ad Atene nel 1943 da un’eroica e<br />

nobile famiglia, che contribuisce in misura rilevante all’indipendenza<br />

del Paese. Consegue studi classici ed artistici<br />

in Grecia e in Italia, dove si diploma all’età di vent’anni all’Accademia<br />

di Brera a Milano. Giovanissima partecipa a<br />

mostre nazionali e internazionali, tra l’altro a rassegne quali<br />

San Fedele a Milano, Quadriennale Nazionale d’Arte di<br />

Roma, Nechemia Glezer di Washington, Michetti a Francavilla<br />

al Mare, Musée d’Art de la Ville di Parigi. Consegue<br />

all’Accademia di Carrara la Coppa del Presidente della<br />

Repubblica. Sin dai primi anni Sessanta scrivono della sua<br />

opera grafica, pittorica e scultorea, critici come Leonardo<br />

Borgese, Raffaele De Grada, Giorgio Kaisserlian, Giorgio<br />

Mascherpa, Dario Micacchi, Gualtiero Schönenberger, Lorenza<br />

Trucchi, Franco Russoli, Luigi Carluccio, che nel<br />

1969 già puntualizza la sua poiesis: “Le metamorfosi della<br />

Sotilis non annullano lo slittamento, l’oscillazione tra due<br />

opposte tensioni di una medesima immagine, forma, sostanza,<br />

che costituisce il fascino della metamorfosi appunto.<br />

Sotto, o dentro la massa del metallo, si avverte la<br />

forma della cera che defluisce, e dentro il flusso della cera<br />

si avverte ancora, e perciò risuscita seppure più labile, il<br />

37<br />

1947 un grande attico in piazza di Spagna dove risiederà<br />

fino alla morte. Negli anni Quaranta e Cinquanta crea le<br />

scenografie e i costumi per diverse produzioni di teatro e<br />

d’opera a Milano, Firenze e Roma.<br />

Nel 1968 Isabella Far pubblica a Milano la monografia<br />

Giorgio de Chirico, illustrata con opere di tutti i periodi<br />

pittorici del marito, il quale ha intanto iniziato la cosiddetta<br />

“Neometafisica”. Due anni appresso sotto la direzione di<br />

Franco Russoli e Wieland Schmied viene allestita la prima<br />

retrospettiva dedicata a de Chirico che viene presentata a<br />

Milano a Palazzo Reale e poi alla Kunsthalle di Hannover.<br />

Nel 1974 diventa membro dell’Accadémie des Beaux-Arts<br />

di Parigi, dove nell’anno successivo si tiene una grande<br />

mostra personale a lui dedicata al Musée Marmottan. Il 20<br />

novembre 1978 muore a Roma. La sua tomba si trova nella<br />

cappella della Pietà della chiesa di San Francesco a Ripa<br />

Grande a Trastevere.<br />

Lisa Sotilis, Annunciazione con gigli selvatici, 1958.<br />

Acquarello e tempera su carta, cm. 14x17<br />

tocco delle dita che la provocano”.<br />

Ma s’interessano del suo lavoro personalità nel campo<br />

dell’arte come Renato Guttuso, Ennio Morlotti (“Per me la<br />

Sotilis raggiunge una realtà che trascende abitudini e convenzioni,<br />

insegue la struggente luce bianca della sua Grecia,<br />

un suo nostalgico e perduto Eden”), Salvador Dalí,


René Magritte, Giorgio de Chirico, di cui diviene assistente<br />

e collaboratrice insostituibile di tutta la produzione plastica<br />

del Maestro della Metafisica. Anche nel campo della letteratura<br />

e della poesia trova grandi estimatori tra i quali<br />

giova ricordare Dino Villani e soprattutto Salvatore Quasimodo,<br />

che nel 1967 appronta un suggestivo e convincente<br />

saggio, dapprima pubblicato nel catalogo della personale<br />

alla Galerie Iolas nel 1967, poi nel libro “Visti da Quasimodo”<br />

edito per i tipi della Galleria Trentadue di Milano.<br />

Dal 1964 al 1985, fa parte come artista dell’entourage<br />

della galleria parigina di Alexander Iolas, che le organizza<br />

personali a Parigi, a New York, a Los Angeles, a Roma, a<br />

Venezia, ad Atene e a Madrid. Oltre alle personali alla Galleria<br />

Aimos di Atene nel ’61, alla Galleria Gian Ferrari nel<br />

’62-’63, alla Galleria Bürdeka di Zurigo nel ’65, partecipa<br />

alle rassegne in varie edizioni della Promotrice delle Belle<br />

Arti di Torino, del Museo Municipale d’Arte Moderna di Parigi,<br />

della Repubblica di San Marino, della Galleria del Na-<br />

38<br />

viglio a Milano. Curata da Floriano De Santi, negli ultimi<br />

anni, infine, si segnalano “La fable du Monde” al Museo-<br />

Fondazione Matalon di Milano e “Metamorfosi del fantastico.<br />

L’immagine ritrovata” per il XLI Premio Vasto.<br />

Nella maturità si dedica anche ad altre tecniche<br />

espressive, come l’affresco della Morte di Sant’Antonio<br />

nella Chiesa di Lorenteggio a San Giovanni alla Creta,<br />

come l’oreficeria, con collane, anelli, spille e braccialetti, in<br />

cui – scrive Kaisserlian – la consumata perizia dell’artista<br />

riesce “a darsi convegno con i ritmi plastici e musicali che<br />

possono sprigionarsi dalle forme naturali e creano, tutti insieme,<br />

attorno a questi gioielli, una suggestione di poesia”.<br />

Realizza in bronzo persino un’opera monumentale: la<br />

Porta centrale per la Cattedrale Ortodossa di Amman, in<br />

Giordania. Mentre la pittura è dominata dall’inquietudine<br />

della “favola del mondo”, la scultura, in lamine e fili di<br />

bronzo, raffigura nudi muliebri, vegetali e animali, dando<br />

corso alla sua verve fantastica e metamorfica.


Indice<br />

Presentazione<br />

di Giorgio Pighi 4<br />

Giorgio de Chirico e Lisa Sotilis:<br />

le forme segrete nel grembo di Afrodite<br />

di Floriano De Santi 5<br />

De Chirico scultore<br />

o il Proteo che dorme in noi<br />

di Giovanna Dalla Chiesa 19<br />

Giorgio de Chirico,<br />

il maestro del pensiero e del sogno metafisico<br />

di Gérard Xuriguera 22<br />

Le opere di Giorgio De Chirico<br />

e di Lisa Sotilis 24<br />

Brevi biografie 36<br />

39


Realizzazione e stampa<br />

Publi Paolini – Mantova<br />

Marzo 2013


ARCHIVIO<br />

UMBERTO MASTROIANNI<br />

Le Edizioni dell'Archivio<br />

Umberto Mastroianni<br />

Floriano De Santi, Sergio Andreoli. Le perturbazioni dell’anima. Dipinti dal 1980 al 2010, saggio critico di Floriano<br />

De Santi, catalogo della mostra antologica alla Galleria Centro Steccata di Parma, dal 20 novembre al 31 dicembre<br />

2010; Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, luglio 2010, pagg. 80, ill. 66 a colori.<br />

Floriano De Santi, Giancarlo Scorza. Lo spettro dell’immagine. Dipinti e disegni dal 1940 al 1987, saggio critico<br />

di Floriano De Santi, catalogo della mostra antologica alla Bottega Giovanni Santi - Casa di Raffaello di Urbino,<br />

dal 6 al 27 agosto 2011; Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, luglio 2011, pagg. 64, ill. 49 a colori e 2 in bianco<br />

e nero.<br />

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. Il tragico ruotare dell’universo. Bronzi, terrecotte, jhute, legni, rami,<br />

piombi e cartoni dal 1929 al 1992, introduzioni di Paolo Mascheroni, Antonello Iannarilli ed Antonio Abbate,<br />

Beppe Pezzetto, Giuse Scalva, Ennio Rutigliano, Aldo Moretto, Roberto Tentoni, saggi critici di Floriano De Santi<br />

e di Angelo Mistrangelo, catalogo della mostra antologica al Museo Fornace Pagliero di Spineto-Castellamonte,<br />

dal 3 settembre al 2 ottobre 2011; Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, settembre 2011, pagg. 56, ill. 48 a colori.<br />

Floriano De Santi, Claudio Malacarne. Le figure dell’ignoto. Dipinti dal 1989 al 2012, saggi critici di Floriano De<br />

Santi e di Alessandra Redaelli, catalogo della mostra antologica al Chiostro del Bramante di Roma, dal 18 marzo<br />

al 15 aprile 2012; Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, marzo 2012, pagg. 64, ill. 49 a colori.<br />

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni nelle collezioni Evandro Franceschelli e Tiziana ed Enrico Todi. Sculture,<br />

bassorilievi, rami, piombi, dipinti su carta e su juta dal 1939 al 1997, introduzioni di Antonello Iannarilli, Antonio<br />

Abbate, Bruno Vano, Tiziana Todi, saggio critico di Floriano De Santi, Intervista a Enrico Todi: la mia amicizia<br />

con i Mastroianni di Alessandra Lorenzetti ed intervista ad Umberto Mastroianni: la Scultura nasce come un fiore<br />

in un giardino di Ivo Carezzano, catalogo della mostra antologica alla Fondazione Mastroianni - Palazzo Ducale<br />

Boncompagni di Arpino, dal 12 maggio al 30 settembre 2012; Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, maggio<br />

2012, pagg. 64, ill. 53 a colori.<br />

Floriano De Santi, Le figure del fuoco. Umberto Mastroianni, Bernard Aubertin, Elio Torrieri, Lilian Rita Callegari,<br />

introduzioni di Daniele Chechi, Nella Falletti e Paolo Mascheroni, Antonio Abbate, Roberto Tentoni, saggio e<br />

schede critiche di Floriano De Santi, catalogo della mostra al Museo Fornace Pagliero di Spineto-Castellamonte,<br />

dall’8 luglio al 30 settembre 2012; Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, luglio 2012, pagg. 64, ill. 79 a colori.<br />

Floriano De Santi, Il sogno metafisico di Giorgio de Chirico e di Lisa Sotilis. Dipinti, sculture e opere su carta, introduzioni<br />

di Daniele Chechi, Nella Falletti e Paolo Mascheroni, Intervista a Lisa Sotilis: l’arte di de Chirico: rivela<br />

e vela, scopre e nasconde e saggi critici di Floriano De Santi, catalogo della mostra al Museo Fornace<br />

Pagliero di Spineto-Castellamonte, dall’8 luglio al 30 settembre 2012; Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, luglio<br />

2012, pagg. 24, ill. 14 a colori e 6 in bianco e nero.<br />

Floriano De Santi, Sante Arduini. Il naufragio della luce. Dipinti su tavola e opere su carta del 2011-2012, introduzioni<br />

di Franco Mancinelli e di Vittorio Solazzi, saggi critici di Floriano De Santi e di Gualtiero De Santi, catalogo<br />

della mostra alla Rocca Malatestiana di Fano, dal 4 agosto al 2 settembre 2012; Archivio Umberto<br />

Mastroianni, Brescia, luglio 2012, pagg. 72, ill. 55 a colori e quattro in bianco e nero.<br />

Prima di copertina: Giorgio de Chirico, I Grandi archeologi (particolare), 1968. Bronzo patinato, cm. 175×113,5×101<br />

Quarta di copertina: Lisa Sotilis, Micene, 1995. Oro e pietre dure, cm. 18×18×1,5

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