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RACCONTI N° 1 - Rhymers' Club

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

C'è un lume nell'angolo della stanza, proprio vicino a dove ti trovi. Se vuoi puoi accenderlo, così<br />

vedrai meglio, o almeno riuscirai a scrivere. Per me, come sai, non c'è nessuna differenza. Da<br />

bambina ascoltavo per ore mia madre mentre tentava di spiegarmi il significato dei colori, delle<br />

luci,... ma è rimasto tutto oscuro... come il resto.<br />

Forse sono già troppo noiosa, il tuo sguardo sta roteando per la stanza e la tua mente lo segue in<br />

cerca di una buona scusa per andartene al più presto, ma non importa. Ho imparato a vivere in<br />

quest'angolo di solitudine, in cui conta solo il calore di un abbraccio, la dolcezza di una voce... ho<br />

dovuto abituarmi ad aspettare.<br />

Siediti, accomodati. Parlo troppo, lo so, e dimentico le buone maniere. La poltrona è abbastanza<br />

confortevole, e dovrebbe essere sotto la luce della lampada. Tutto bene? Gradisci un caffè? No?<br />

Già, voi giornalisti non bevete mai niente, prima di aver scritto tutto...<br />

In realtà non ci sono altri particolari che io non abbia raccontato a chi ti ha preceduto, ma, se<br />

proprio lo desideri, ripeterò tutta la storia anche per te... dopotutto non ho mai ricevuto tante visite,<br />

mi sento quasi... come se esistessi sul serio. Forse durerà solo finché l'ultimo di voi non avrà scritto<br />

il proprio articolo, ma nel frattempo mi godo le attenzioni.<br />

Dunque, per ordine. È successo un martedì, mancavano pochi minuti alle cinque (è l'ora in cui passo<br />

il tempo contando i rintocchi dei secondi sul mio orologio), sì, proprio l'ora del tè... Non ricordo il<br />

tuo nome... no, non il cognome, il nome di battesimo. Non mi interessano i giornali, né i giornalisti,<br />

solo le persone: devi essere giovane... ventisei anni, forse ventisette... Come ho indovinato? Dal tuo<br />

passo, da come hai suonato il campanello, dalla tua voce: mi sembri molto più vero e sensibile di<br />

tanti tuoi colleghi, forse coglierai ciò che altri non hanno saputo ascoltare dal flusso incoerente delle<br />

mie parole. Mi manderai il tuo articolo? Sei il primo a cui lo chiedo, ma sento che varrebbe la pena<br />

di leggerlo.<br />

Dov'ero? Dimentico sempre la fretta e l'impazienza dei giovani, e mi perdo in divagazioni così<br />

inutili... Ah, ecco. Sedevo qui, come ora, in attesa delle cinque, quando è entrato qualcuno. La mia<br />

porta è sempre aperta, non ha avuto problemi a far scattare la serratura ed entrare camminando nel<br />

buio. Respirava affannosamente, aveva salito le scale correndo veloce, e non mi notò<br />

immediatamente. Appena entrato aveva chiuso la porta dietro le spalle, e vi si era appoggiato<br />

mentre riprendeva il fiato. Mentre i suoi occhi si abituavano all'oscurità avevo tutto il tempo di<br />

studiarlo, e così feci.<br />

Dall'intensità del respiro doveva essere un uomo piuttosto corpulento, i passi sulle scale erano stati<br />

pesanti, ma veloci e sicuri. Paura? No, non proprio. Sorpresa, interesse, non certo terrore o desiderio<br />

di fuga. Come forse ho già detto, la mia vita è sempre stata come l'oscurità che mi circonda, noiosa<br />

e vuota. Non temo la morte, né il dolore: conosco entrambi molto bene, conversiamo per ore ogni<br />

giorno, quasi come fossimo vecchi amici. Ma torniamo al mio ospite.<br />

Mentre mi interrogavo sulla sua probabile età, i suoi occhi cominciavano a distinguere la mia figura<br />

sulla sedia, proprio come è successo a te. Mi sono accorta di tutto: il corpo rilassato che si contraeva<br />

nuovamente contro l'uscita, la voce, spaventata e tremante, che cercava di superare il groppo in gola<br />

per emettere alla fine un "chi è?" troppo debole per essere udito da altri oltre lui.<br />

Mi sembrava talmente ridicolo che una povera cieca come me potesse spaventare a tal punto un<br />

uomo di quella stazza (che dai suoi movimenti non poteva che essere notevole), che cominciai a<br />

ridere, allegramente come non mi era capitato da quando ero bambina.<br />

L'uomo era sconcertato. Tremava ancora, cercando forse qualcosa da dire o da fare. Per un istante<br />

ho pensato che fosse armato, perché alcuni dei rumori che percepivo non mi erano noti ed erano...<br />

metallici. Comunque decisi di invitarlo ad accomodarsi, e così feci, insistendo perché occupasse la<br />

poltrona in cui ora siedi tu: è la migliore che possiedo... veramente anche l'unica...<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

Per farla breve, mi alzai e preparai un caffè forte, per farlo riprendere. Purtroppo non rientro nella<br />

categoria delle "brave nonnine", altrimenti avrei potuto offrirgli una torta fatta con le mie mani, o<br />

qualche altra leccornia: sembrava averne veramente bisogno.<br />

Quando riuscì a parlare con un tono di voce normale, provò a ringraziarmi per le "cose<br />

meravigliose" che stavo facendo per lui. L'accento della frase, lo ricordo bene, era proprio su queste<br />

due ultime parole, "per me". Cosa poteva aver fatto, chi poteva essere un uomo che non meritasse<br />

neppure una sedia per sedersi ed un caffè? Glielo chiesi.<br />

- Sono un assassino. - disse - Ho le mani insanguinate e sono entrato con la pistola in mano. Potrei<br />

ucciderla in qualsiasi momento. -<br />

In quel momento sospettai per la prima volta che non avesse capito la mia condizione, ed è<br />

effettivamente difficile, dato che mi volto sempre nella direzione di chi mi parla e mi muovo per la<br />

casa senza alcun bastone. Il pensiero mi sfiorò appena: l'odore di sangue che avevo sentito poco<br />

prima diventava sempre più forte. Ferito: doveva essere lui a perdere sangue, e probabilmente in<br />

grossa quantità. Cercai di essere pratica:<br />

- Il sangue non è una bella cosa sulle mani, sarà meglio pulirle e disinfettarle. - Così dicendo mi<br />

feci seguire verso il bagno, mentre lui continuava ad inciampare in tappeti e sedie.<br />

- Perché vive al buio, signora? - Un lampo attraversò la mia mente. Risposi come sempre:<br />

- Non ho ancora scoperto dove si trovano gli interruttori. -<br />

Perché si vive nel buio? Quante volte ho ripetuto questa domanda, quante volte ho cercato una<br />

ragione al mio isolamento, alla mia solitudine... sto ancora divagando. Ti prego di scusarmi,<br />

prometto che non ti farò perdere altro tempo.<br />

Scusandomi per non aver acceso nessuna luce, cercai l'interruttore del bagno, gli sporsi tutte le<br />

bende che possedevo (molto poche: che tipo di ferite posso procurarmi io?) e lo lasciai solo a<br />

medicarsi mentre davo fondo alle mie provviste per preparare la cena.<br />

- Ma non ha capito? Sono un assassino! -<br />

- Sei anche il primo ospite che ho per cena dopo dieci anni. Spero solo di saper ancora cucinare<br />

qualcosa. -<br />

Me ne andai anche perché non mi piace ascoltare un uomo che piange, e lui singhiozzava forte,<br />

come se non l'avesse fatto per moltissimo tempo. Ricordo come un sogno, tanto è lontano, il calore<br />

di una mano che sfiora il viso per asciugare le lacrime, così come il sollievo di uno sfogo di pianto.<br />

Lo lasciai a se stesso.<br />

Sentivo che si fidava di me, come io di lui. La cena era scarsa ed arrangiata, ma commestibile: la<br />

sua presenza aveva portato calore in questa vecchia casa, solo con poche chiacchiere tra un boccone<br />

e l'altro aveva sconfitto il suo silenzio. Lo stesso silenzio che mi avvolge da quando è andato a<br />

costituirsi, dicendo che gli avevo permesso di vedere l'oscurità in cui stava camminando.<br />

Quanto mi manca! Per fortuna mi scrive spesso... mi spiace, ti ho intristito... non volevo proprio.<br />

Ora ti chiederò un favore, forse potrebbe esserti utile per completare il tuo articolo. Questa è la<br />

lettera che è arrivata oggi: me la leggeresti? La sua voce assomiglia un po' alla tua, così mi<br />

sembrerà più vicino...<br />

*****<br />

Mia luce,<br />

non sono ancora riusciti a costruire delle prigioni non umide. Non so come gli altri<br />

vivano la prigionia, né come fosse nel passato, quando le galere erano sicuramente<br />

meno confortevoli di questa…. Ma, inevitabilmente, una cella è descritta come umida, e<br />

non è solo un modo di dire. Questa prigione ha solo quindici anni, sta su un’isola<br />

soleggiata e battuta dai venti, eppure è umida. Bagnata, quasi… sulle pareti, l’umidità<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

scende dall’alto verso il basso. Le ho tastate tutte, queste quattro pareti, palmo per<br />

palmo. Non per cercare una crepa, certo no. Solo per imparare a conoscere il mondo e<br />

le sensazioni attraverso le mani. Attraverso le dita.<br />

Io non ho ancora imparato, lo sai? Da quando ho deciso di fidarmi più degli altri<br />

quattro sensi che della vista, mi accorgo di aver fatto progressi sensibili nella<br />

classificazione dei rumori; sono addirittura stupito da quanta informazione mi porti il<br />

naso, che quasi non sapevo di avere… ma il tatto lo uso ancora da dilettante. Mi rendo<br />

appena conto di avere una sensibilità diversa tra mano destra e mano sinistra… la<br />

destra è un po' più brava a riconoscere le piccole asperità e le caratteristiche<br />

geometriche delle superfici, la sinistra è più sensibile ai fluidi, all’umidità, al calore.<br />

Ma sono sciocchezze da ragazzi… mi sembra impossibile che sia vero quello che mi hai<br />

detto, che le tue dieci dita hanno di fatto dieci specializzazioni diverse, dieci diversi<br />

dialetti del “tatto”…. Non so riuscirò mai a raggiungere questo livello di sensazione.<br />

Forse il mio corpo ancora ricorda, forse il mio cervello ancora lo sa, che non sono<br />

cieco.<br />

Tolgo la benda solo di notte, dopo aver oscurato l’unica finestra della cella, lo<br />

spioncino e tutte le fessure… ma non basta mai. Qualche raggio indiscreto di luce<br />

passa sempre, è impossibile tenerlo fuori del tutto. Mi chiedo persino da dove arrivi…<br />

ho chiesto al secondino di leggermi il calendario, qualche giorno fa: volevo sapere<br />

quando sarebbe stata la prima notte senza luna. Beh, Raggio di Luce, era proprio<br />

ieri….. E allora ho usato una cura speciale, nell’oscurare la cella: il pezzo di velluto<br />

nero che mi hai mandato ha cancellato la finestra; un pezzo dello stesso ha annullato lo<br />

spioncino, e non c’era fessura alcuna che non avesse addosso chili di stracci, panni,<br />

cotone idrofilo, coperte… e, là fuori, solo le stelle, e, all’interno, solo le piccolissime<br />

luci blu da notte. Non c’era alcuna possibilità di fare entrare neanche un fotone.<br />

E, per i primi minuti, è stato davvero perfetto.<br />

Potevo sentire quello che tu senti. Occhi aperti, palpebre rilassate, aria libera sulle<br />

cornee, e le retine comunque vergini di luce. Ho respirato forte, allora. Ho udito forte.<br />

Ho stretto forte le palme delle mani e i polpastrelli su ogni oggetto, su ogni angolo e<br />

spigolo della cella, su ogni parte del mio corpo.<br />

Gli occhi non servono solo per vedere.<br />

Sono anche l’unica parte del corpo sempre umida, sempre ricoperta da una pellicola di<br />

liquido frequentemente rinnovato. Sono fatti apposta per far l’amore con l’aria.<br />

Quando me ne sono reso conto, ho preso un foglio di carta (credo fosse la busta della<br />

tua ultima lettera) e ho cominciato ad oscillarla lentamente davanti ai miei occhi aperti<br />

e ciechi. L’aria di questa cella oscurata era stantia e pesante… ma che sensazione,<br />

accorgersene con gli occhi, e non con il naso! La leggera brezza artificiale provocata<br />

dalla mia stessa mano favoriva l’evaporazione dell’acqua dei miei occhi, mi forzava le<br />

lacrime, mi dava una conoscenza completa dell’aria, e della piccola tempesta che stavo<br />

generando di fronte ai miei occhi.<br />

Ciononostante, dopo qualche minuto, le retine si sono svegliate di nuovo.<br />

Senza che io potessi impedir loro di farlo, hanno cominciato (ma come hanno fatto?) a<br />

colorare di grigi assai simili, ma comunque diversi, gli oggetti della stanza. All’inizio,<br />

credevo che fosse solo la mia memoria, ancora così legata e schiava della vista, ad<br />

indovinare le forme, ad illudermi con forme nere su nero. Ma no, invece, no. In qualche<br />

modo, vedevo.<br />

E le sensazioni di prima hanno preso ad affievolirsi…<br />

L’aria negli occhi non era più nettare da bere con cornee e palpebre, ma ostacolo<br />

dotato di spessore. Gli odori non erano più liberi di raggiungere le narici a loro<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

piacimento, ma venivano indirizzati, pilotati dagli occhi, fissi ora in un’ombra, ora in<br />

un’altra, con le narici puntate a rapinare atomi volatili e dispersi, relegati ancora una<br />

volta al mero compito di confermare la sostanza di un oggetto, non a dedurlo per<br />

intero.<br />

E allora mi sono rimesso la benda.<br />

Scrivimi. Scrivimi. Scrivimi.<br />

Niente altro da chiederti, oltre a questo. Guidami ancora un po', in questo mondo di<br />

luce. Aiutami a sentire le emozioni degli uomini e del mondo, aiutami a leggere<br />

direttamente la natura, senza l’impedimento degli occhi.<br />

Avessi avuto questo naso, allora, avrei annusato il dolore e la paura, e ne sarei stato<br />

terrorizzato.<br />

Avessi avuto queste orecchie, allora, avrei ascoltato il terremoto del suo cuore, e il<br />

frastuono mi avrebbe fermato.<br />

Avessi avuto queste mani, allora, avrei percepito il suo calore e i suoi brividi, e non<br />

avrei ucciso.<br />

Lo sai? Il sangue è un odore assoluto.<br />

E le mie mani lo portano ancora.<br />

Scrivimi.<br />

*****<br />

Questi giovani sono strani, ancora non li capisco… adesso lo prenderai un po' di te? Ma certo, non<br />

importa, tanto lo faccio comunque. Niente torta di mele e biscottini, ovviamente, come ti ho detto<br />

non sono portata per queste cose, ma nel frattempo che l’acqua si scalda cambierai idea.<br />

A nessuno dei tuoi colleghi ho mai fatto leggere le sue lettere, mi sembravano troppo distratti da<br />

loro stessi per ascoltare questa povera vecchia cieca, e alla fine non c’è niente di peggio della fretta<br />

se veramente ti interessa ascoltare… ma tu ne sei capace, direi, se sei arrivato fino qui senza<br />

interrompermi e senza quelle stupide domande sui perché… ammettilo i perché non esistono. Tutti<br />

questi anni di silenzio e buio me l’hanno insegnato fin troppo bene, non esistono spiegazioni che si<br />

possono raccontare, per niente di quello che accade, per niente di ciò che è reale.<br />

Certo, i dottori possono raccontarti che la mia cecità si spiega facilmente con una qualche<br />

malformazione di un misterioso organo che si trova in un altrettanto incomprensibile angolo del mio<br />

cervello, ma non sanno spiegarti perché io vedo te anche senza vederti, perché io ho scelto te invece<br />

degli altri (certo, la demenza può essere una spiegazione, lo so, ma per un attimo lasciamola da<br />

parte, visto che oggi sono tanto famosa, almeno fino a domani).<br />

Così i tuoi colleghi non sono in grado di scrivere quello che tu scriverai, o semplicemente non sono<br />

stati in grado di ascoltare quello che tu hai ascoltato… se la mia cecità non è stata acuita da tutto<br />

questo parlare…<br />

Ecco il te, finalmente. Tornerai a trovarmi? Non sai quanto vorrei che quel caro giovane non si<br />

fosse messo in testa tutte queste idiozie sul buio e sui sensi amplificati, forse non se ne sarebbe<br />

andato e non starebbe in quella terribile umida cella. Ma ti giuro che non sono stata io a fargli<br />

venire quelle strane idee. Di cosa abbiamo parlato? Su questo ti trovo come i tuoi colleghi: credi che<br />

avesse davvero importanza? Per qualche gioco del destino due esistenze solitarie erano state<br />

avvicinate, abbiamo solo goduto di non dover chiedere la compagnia di qualcuno, semplicemente<br />

raccontato piccole storie insignificanti sulle nostre vite (e qui ti devo dire che ho parlato molto più<br />

io, del resto lo vedi anche tu che sono una chiacchierona, anche se non c’è molto da dire sulla mia<br />

vita…). Ah! Che ridere! “vedi” che io “chiacchiero”… solo io potevo dire un’idiozia del genere,<br />

ovviamente tu vedi, e ti tocca anche ascoltare questa rimbambita! Cosa non si deve fare per sbarcare<br />

il lunario…<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

Veramente vorresti fare qualcosa per me? Perché? Già, mai chiedere… mi contraddico pure da sola.<br />

Grazie, c’è qualcosa che desidero veramente, anche se non so se lo potrai fare.<br />

Lui è laggiù, da solo, e io qui, ancora più sperduta per aver causato questo silenzio dentro di lui, ma<br />

soprattutto questo rumore intorno a lui. Scrivigli, portagli le mie parole, con la tua voce, con le tue<br />

mani. Le ho sentite, leggere eppure sincere, mentre mi stringevi la mano. Sento che di te mi posso<br />

fidare, va da lui. Non so chi ha scritto per lui le sue parole, ma devi convincerlo a dire la verità, a<br />

non accusarsi di una colpa che non è sua. Devi portargli le mie parole, ti prego, ricordale, o scrivile,<br />

ma portalo a casa, fallo smettere di punirsi per non aver visto quando utilizzava gli occhi.<br />

Ti prego, so di non essere altro di una vecchia stupida, ma lui è giovane, come lo sei tu, e non può<br />

sopportare il mio buio, non è nato e cresciuto con lui, ne impazzirà.<br />

Torna, torna a trovarmi. Portami il suo passo sulle scale, portami le sue mani sulle mie spalle.<br />

Quanto mi confonde questo mondo che non mi ha mai dato molto, e mi ha usato ancora una volta<br />

non per dare ma per togliere, quanto mi fa sentire ancora più incapace di capire…<br />

Ma il te si è raffreddato, e tu devi sicuramente andare. Vai, vai per la tua strada. Scusa se questa<br />

vecchia stupida ti ha fatto perdere molto più della mezz’ora che avevi previsto, scusala ancora se si<br />

è lasciata andare a tutto le sue chiacchiere inutili, ma non dimenticarla, se puoi.<br />

Quanto vorrei che fosse vero quello che dici! Se posso credere che mi porterai sue notizie, avrò di<br />

che costruire i miei pensieri per giorni, fino al tuo ritorno. E già ti credo, già non posso pensare che<br />

non tornerai con buone notizie, ma ora vai, vai da lui o torna alla tua vita. Per questa speranza ti<br />

sarò comunque grata, anche se non tornassi più a trovarmi.<br />

*****<br />

Luoghi comuni , spazi insoliti<br />

(da "Tempo, Fatti e Opinioni" del 3 Aprile)<br />

Un articolo di cronaca ha le sue regole da seguire. Regole note e fondamentali,<br />

spesso citate anche al di fuori della cerchia ristretta dei giornalisti. Anche in un<br />

vecchio film con Clark Gable venivano citati "gli amici del giornalista", quelli che<br />

dovevano sempre aiutare il reporter a scrivere il pezzo. Frutto di matrice<br />

anglofona, si chiamano Who, What, When, Where e Why. E la continuità della<br />

lettera iniziale li rende facili da ricordare, e più difficili da trascurare. Come a dire<br />

che non si può scrivere un articolo, se non si racconta al lettore Chi ha fatto<br />

qualcosa, Cosa ha fatto, Quando Dove e Perché.<br />

In questo articolo, non troverete queste regole rispettate.<br />

Non saprete di chi stiamo parlando, se non per vaghi accenni. Non sarà<br />

ulteriormente raccontato cosa è accaduto, e meno che mai dove e quando. Il perché<br />

sia successo, poi, è quasi sempre non conoscibile, e non verrà neanche tentata<br />

un’ipotesi.<br />

Il sesto amico del giornalista non viene mai citato… forse perché la sua iniziale non<br />

inizia per "W", e rovinerebbe l’unità della squadra. È il "Come", che rovescia il<br />

punto di vista. In inglese si porta l’iniziale magica al fondo, e quell’"How"<br />

disorienta i colleghi statunitensi. Noi italiani, invece, restiamo pietrificati quando al<br />

"come" si aggiunge la piccola particella "mai", stravolgendone il significato e la<br />

potenza.<br />

CHI:<br />

Un assassino e una cieca<br />

COSA:<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

Un non-omicidio, una non-fuga<br />

QUANDO<br />

Ai nostri tempi<br />

DOVE<br />

Nei nostri luoghi<br />

PERCHE’<br />

Perché sì.<br />

L’avvenimento è una sequenza di rinunce. La cieca rinuncia al ruolo di cieca,<br />

l’assassino al ruolo di assassino, l’omicidio inevitabile rinuncia alla propria<br />

esecuzione, la libertà rinuncia ad imporsi. E la luce si spegne, su questa storia di<br />

tenebre luminose.<br />

E il giornalista non può che rinunciare al suo mestiere di giornalista.<br />

Non c’è pertanto traccia di cronaca, in quest’articolo che altro non è se non<br />

un'ulteriore rinuncia al racconto.<br />

Perché ci sono spazi insoliti che rifuggono dai luoghi comuni. E se i luoghi comuni<br />

sono delle parole-scorciatoia, che automatizzano descrizioni e situazioni, in questi<br />

spazi le parole non bastano, e tanto meno le scorciatoie. La cieca che ha dato<br />

ospitalità all’assassino potrebbe essere raccontata con l’aiuto di parabole<br />

evangeliche, con epigrammi tratti dalla vita del Mahatma Gandhi, con citazioni di<br />

canzoni di Fabrizio De Andrè. Oppure inchiodata a verità ancora superiori, come<br />

la forza assoluta che dorme nell’assoluta debolezza, come la certezza che non ci sia<br />

furia che riesca a resistere al coraggio di chi non ha più niente da perdere… o più<br />

semplicemente come il più banale e automatico gesto di amore e di fiducia riesca a<br />

disinnescare l’esplosiva aggressione di un anima in pena.<br />

Ma venite a vedere gli occhi di questa cieca, voi che gli occhi avete.<br />

Venite a sentire la sua voce, che con pochi decibel racconta la storia e delle parti<br />

più ignote di voi. Sedetevi su quella sedia poco usata, guardate quel lume<br />

disabituato alla fiamma, quegli interruttori sulla parete, che sono più simbolici e<br />

inutili di una medaglia al valore.<br />

Quello che vedrete non sarà poi narrabile con la lingua e la penna.<br />

Quello che vedrete sarà ciò che ha spinto un assassino in una prigione più buia dei<br />

nostri penitenziari, ma con assai più speranze di redenzione.<br />

Sempreché la parola redenzione abbia un senso.<br />

L’assassino ha rinunciato ai suoi occhi, per vedere con gli occhi della sua maestra.<br />

Io, senza l’alibi di una cella e di un reato, devo restare cieco in quest’alluvione di<br />

luce.<br />

Per questo, non scriverò altro. Non prima di aver visto gli occhi dell’assassino.<br />

*****<br />

Un altro giornalista? Incredibile. Questo carcere desolato e dimenticato da Dio, su<br />

quest’isola di sassi… in una settimana si sono viste tante persone capaci di<br />

scrivere quante non se ne erano viste in dieci anni di onorato servizio come<br />

guardia carceraria. E che mi venisse un accidente se non è venuta pure a me la<br />

voglia di imparare a leggere, per sapere che ci scrivevate su di noi e su quel<br />

poveraccio.<br />

No, non parla con nessuno. Fate un viaggio inutile, amico, spero che il vostro<br />

giornale ve la rimborsi, la traghettata. Un vero disastro, vero? Io non ci vado mai<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

in città, c’è da morire per il fetore di vomito che quel maledetto barcone manda<br />

su, sono cent’anni che trasporta solo assassini e farabutti, e in cent’anni –<br />

accidenti al governo – non è mai cambiato niente altro che qualche pezzo di<br />

motore.<br />

Ma venite, almeno vi faccio un caffè. Non ci entrate in quella prigione, io ci devo<br />

stare otto ore al giorno e sono già troppe per un anno… là dentro non c’è uno<br />

degno di camminare con onore sulla terra, a parte forse il vostro amico. Forse,<br />

dico, perché lui dice di essere un assassino, e l’ha proprio detto a tutti, tant’è che<br />

l’hanno mandato qui… la gente è strana.<br />

Quell’uomo è bravo, credete a me. Non sono istruito, io, ma lui sì. Un giorno me<br />

l’ha detto, scriveva da solo le sue lettere agli amici. Ma ora come farà a scrivere…<br />

come, con quella benda che si tiene tutto il tempo sugli occhi? Glielo dico io,<br />

quello è suonato. Ma un suonato bravo. Magari se l’è inventata la storia<br />

dell’assassinio, non mi stupirebbe proprio. Mia figlia dice che non può essere<br />

cattivo, e lei sì che capisce le persone… ah, la mia povera moglie me l’aveva<br />

detto, eccome, me lo diceva tutti i giorni, falla studiare, mandala a scuola, mica<br />

vuoi che faccia la nostra vita disgraziata! E diceva bene, la buonanima. Mia figlia<br />

fa l’avvocato e manda qui da me questi disgraziati… certo vorrebbe che me ne<br />

andassi da un’altra parte, ma che volete che dica? Io sono un poveraccio e non ho<br />

un mestiere. Guardo gli assassini, controllo le loro giornate e aspetto di<br />

raggiungere la mia povera moglie prima che le disgrazie di ogni giorno mi<br />

induriscano troppo il cuore.<br />

Ancora insistete? Ma perché? Ve l’ho detto, è toccato. Parla solo raramente e solo<br />

con me. Dice che sono l’unica persona non cieca che ha incontrato… secondo me<br />

è fuori di testa, ma mi fa pena. Continua a dettarmi lettere per una donna che non<br />

ci vede… sì, una cieca… ma voi ci capite qualcosa? Non scrive, perché non riesce<br />

senza gli occhi, e mi detta delle lettere… a me, un povero analfabeta, e per chi?<br />

Per un’orba, che mai potrà leggerle.<br />

Eppure, erano talmente belle le cose che diceva! Non ho avuto cuore di dirglielo<br />

che però io non le potevo scrivere... mia figlia, lei sì che sa scrivere… Io lo so che<br />

non so parlare bene e non le avrei mai sapute ripetere le sue parole, ma la mia<br />

bambina è brava e lo sa, come fare. Ha comprato un registratore e mi ha detto:<br />

“Papà, non ti preoccupare, fallo parlare al registratore e non gli dire niente, le<br />

scrivo io le lettere per il tuo amico.”<br />

Voi giornalisti ci fate i soldi con le parole, io per mangiare guardo degli assassini<br />

che sputano e bestemmiano per tutto il giorno, e sanno che lo faranno per il resto<br />

della loro vita… io ascolto tante parole insanguinate quante voi non avete mai<br />

scritto… mia figlia vorrebbe insegnarmi a leggere, ma a questa età, che volete che<br />

vi dica? È tardi per cercare di capire. Per accontentarla ho imparato a scrivere il<br />

mio nome, e poi ho lasciato perdere. Quando non ci sarò più non sarà certo<br />

qualche scarabocchio che mi farà ricordare, io non sono nessuno. Ma la mia<br />

bambina! Lei si ricorda di me anche se sono un povero diavolo.<br />

E anche il vostro assassino… quello è un brav’uomo ve lo dico io. Mi ha detto che<br />

prima di ammazzare faceva il panettiere: un bel mestiere vero? Ah, il profumo del<br />

pane caldo la mattina! Può essere cattivo un panettiere? No, non ci credo. Sono<br />

sicuro che era un brav’uomo.<br />

No, non mi ha raccontato niente dell’assassinio: voi ne sapete qualcosa? Io non ci<br />

credo, a quello che c’è scritto sulla sua scheda, che ha ucciso a sangue freddo.<br />

Quando è arrivato, all’inizio sembrava uno normale, tanto che mi sono chiesto<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

come diavolo fosse finito qui, poi ha cominciato a dare di matto e a mettersi<br />

quella benda sugli occhi… allora ho capito, quello si è accusato di qualcosa che<br />

non ha fatto.<br />

La cieca? No, lei non scrive mai. I ciechi sanno scrivere? Beh, io no, e ci vedo<br />

benissimo… Mia figlia ogni tanto si inventa delle lettere per lui e me le fa<br />

imparare, così che almeno non si sente tanto solo… che brava che è la mia<br />

bambina! Ha avuto subito pietà di lui, come me, quando ha ascoltato la sua<br />

voce… ah, mi ha detto, come hanno fatto a crederlo un mostro tale da uccidere a<br />

sangue freddo? Nel tempo libero si è informata un po' sul suo caso, forse lei ci<br />

può capire qualcosa di più.<br />

Vorrei veramente aiutarlo, quello è solo un povero cristo, ha visto la morte in<br />

faccia e non ha più saputo viverci assieme.<br />

Allora siete proprio convinto… va bene, vi ci porto. Ma voi l’avete vista la cieca?<br />

Lui dice che ha degli occhi speciali, nell’anima, mi ha detto lui, e vede dentro alle<br />

persone. Io mica l’ho capito quello che vuole dire…<br />

Comunque non vi parlerà, ve lo dico. Se volete perdere il vostro tempo sono affari<br />

vostri. Ma non gli dite che siamo noi a inventarci le lettere della vecchia, o ci<br />

resterà male. Che gli diciamo? Non so, io imparo quello che mi dice mia figlia, e<br />

poi me lo dimentico... lei mica parla così come me, è roba da gente istruita, io non<br />

ce la faccio a tenerla a mente a lungo.<br />

Siete un bel tipo voi! Scommetto che siete solo curioso di vedere che faccia ha.<br />

Ecco, entrate qui, lo faccio venire dall’altra parte di quelle sbarre. Chiamatemi<br />

quando avete finito, c’è un campanello qua dietro la porta. Tanto non vi dirà una<br />

parola…<br />

*****<br />

Parlerai?<br />

Io sto qua, fuori dalla galera, ma vedo solo barriere. La prima è quella delle lenti spesse<br />

dei miei occhiali, che piegano i raggi di luce, li convincono ad un percorso strano per<br />

facilitare alle mie retine la raccolta dei loro minimi impulsi. Dopo di loro, un altro vetro:<br />

spesso, sporco, e chissà… forse è addirittura antiproiettile. Lascia passare la luce, ma<br />

blocca le parole. Le parole devono incanalarsi in questo microfono, cambiare natura,<br />

diventare impulsi strani ma ben organizzati, per ridiventare parole solo alla fine,<br />

articolate dalla membrana di quell’altoparlante che sta dalla tua parte. Poi, ridicole, ci<br />

sono le sbarre. Orizzontali e verticali, e solo dalla tua parte del vetro. Che senso hanno,<br />

qui? Il vetro è già una barriera insuperabile, e quelle sbarre non servono certo ad altro se<br />

non a ribadire il già di per sé evidente concetto che sei tu il prigioniero, e io l’uomo<br />

libero. Io vedo prima il vetro, poi le sbarre. Tu vedi prima le sbarre, poi il vetro. Sono<br />

solo sbarre concettuali. Spranghe ideologiche.<br />

Ma non è vero che tu le vedi… la quarta barriera è la tua benda.<br />

Ancora più fragile, ancora più simbolica. Più forte delle mie lenti tecnologiche, e con un<br />

obiettivo diametralmente opposto. Assai più facilmente rimovibile di questo spesso<br />

vetro antiproiettile, ma assolutamente più difficile da togliere. E simbolica quanto le<br />

sbarre, ma con un messaggio ben diverso, vero? Come loro non serve a niente, se non a<br />

ribadire la tua libertà, come loro sottolineano la tua prigionia.<br />

Non posso superare tutte e quattro le barriere. Non posso superare la quarta….<br />

Parlerai?<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

Parlerai con me?<br />

Se potessi vedermi, vedresti la mia cravatta ed il mio taccuino, come in un film degli<br />

anni cinquanta. Nessun maglione alla moda, nessun registratore. E, di solito, non porto<br />

neanche il taccuino… gli appunti cambiano sempre aspetto, quando mi siedo la sera<br />

davanti al computer, per scrivere un articolo… Quando li prendo, di solito sono<br />

convinto di registrare tutto quello che è davvero importante. Poi, quando scrivo, mi<br />

accorgo che la cosa veramente difficile è scrivere un pezzo realistico, e nel contempo<br />

metterci dentro quelle notizie che campeggiano sul bloc-notes. Non si incontrano mai, la<br />

realtà dei fatti e quella della vita. Come se la vita non fosse fatta dai fatti, come se la<br />

registrazione puntuale degli eventi non avesse niente a che vedere con la logica della<br />

vita. Scrivo cronaca… cronaca: quello che accade nel tempo: fatto uno, fatto due, e<br />

inevitabile fatto tre. Come se fosse vero. Come se fosse importante, adesso, sapere<br />

quanti anni hai, e dove sei nato. O come se fosse davvero importante sapere se hai<br />

ucciso qualcuno.<br />

Già….<br />

Tu stai lì, seduto in quel pezzo di buia libertà.<br />

Io di qua, a rincorrere notizie e fatti della tua vita. Come se potessero aiutarmi a capire<br />

in quale luogo hai trovato quel pezzo di libertà in cui nuoti, fermo come un vulcano in<br />

eruzione. Cieco artificiale. Reo confesso. Forse assassino. E io qua, a doverti chiederti<br />

se è vero.<br />

La guardia carceraria dice che fai il pane. E lui dice che questo è un fatto che conta.<br />

Nella sua testa, la tua innocenza è lampante, perché sai mischiare acqua, farina e lievito.<br />

Di nuovo un simbolo, no? Il nutrimento base, il più semplice, il più antico. Quello che si<br />

usa come antitesi alla fame. Quello che si mangia per mangiare il creatore. Il cibo per<br />

antonomasia, per antonomasia innocente. La sua mente non articola bene le parole, il<br />

suo coraggio è intimidito più dalla vita che dagli assassini con i quali divide il suo<br />

tempo. Ma ha le sue regole, sai? Chi fa il pane è innocente, sua figlia è la sua vita, e lui<br />

è nato e destinato a vivere senza la libertà di un libro di avventure che lo porti nei mari<br />

del sud. Lui è destinato a rinunciare alla sua libertà per poter meglio chiudere la libertà<br />

degli assassini. Ma vorrebbe libero te. Trova giusto passare quasi tutta la sua esistenza<br />

in galera, e non trova giusto che tu condivida questa sua aria.<br />

Perché fai il pane. E sai nutrire il mondo e gli uomini.<br />

Sai? Volevo giocare con lui, e raccontargli come dovrebbero essere il mondo visto da<br />

una pianta di grano. Con i chicchi pesanti, in equilibrio fragile su uno stelo ingiallito.<br />

Una lotta continua, anche se vegetale, per estrarre acqua e sale dalla terra, in lotta<br />

perenne con le spighe consorelle e nemiche, anche loro assolutamente concentrate nella<br />

stessa diuturna attività… Così, per sempre, giorno dopo giorno, alba dopo alba. A<br />

portare il peso sempre maggiore di cinquanta, cento, quanti mai saranno? chicchi su uno<br />

stelo sempre più fragile e sottile. Sempre un giorno in più , sempre un’ora ancora, per<br />

sentire maturarli, crescere, salire all’indipendenza. E quando ormai il calvario della vita<br />

è quasi finito, quando si sente ormai pronta a proiettarli nell’infinita lontananza di<br />

settanta centimetri di distanza, ecco che arriva il mostro. Coltelli affilati e infallibili, che<br />

si nutrono di steli ormai stanchi. Miriadi di spighe sorelle che cadono velocissime,<br />

inghiottite e frantumate. Con gli occhi che non ha, vedrebbe il mostro avanzare pigro e<br />

inarrestabile, deciso ad averla, e vergognosamente inconsapevole di lei. Chissà se spera<br />

almeno nei suoi cento figli ormai maturi… chissà se il suo ultimo pensiero è per cento<br />

spighe come lei, più forti di lei, decise a regnare su mezzo metro quadro di questo<br />

pianeta…. Ma no, non potrebbe. Vedrebbe lo stesso il mostro che strappa i figli dalle<br />

sue sorelle ormai morte, li scotenna e li scuoia, gli ruba il fragile equilibrio vitale, li<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

deruba da quella protezione sottile e così faticosamente costruita dal nulla, e vedrebbe il<br />

loro cuore bianco polverizzato, ammucchiato, mischiato. E le sarebbe risparmiato il<br />

passo finale del viaggio, quello che vede la bianca polvere infangarsi con l’acqua,<br />

diventare un magma grigio e pallido, composto da mani mostruose in forme assurde e<br />

ridicole, comode sole per chi quelle mani userà, ultimo scempio, per spezzarle di nuovo,<br />

e di nuovo tritarle. Coi denti.<br />

Volevo raccontargli così, il tuo mestiere…. Forzarlo a sistemi di riferimento<br />

improbabili, faziosi, tanto per scalfire qualcuna delle sue gentilezze. Ma chi sono io, per<br />

ferire quell’uomo? Quell’uomo che è così più ricco di me, così più giusto e pulito, nel<br />

riconoscere il bene dal male. Lui ti sa innocente, e ama sua figlia. Lui non ha neanche<br />

bisogno della benda, per essere libero. Lui libero in questa prigione, tu liberissimo nella<br />

tua microscopica cella, dietro le sbarre della tua benda. E io qui, che ancora vomito<br />

parole che rimbalzano come palle di gomma, leggere come la luce di una candela un<br />

attimo prima che muoia nella sua stessa cera.<br />

Sono io il prigioniero, vero? La mia domanda di grazia è stata respinta. Peggio, non è<br />

neanche arrivata. La mia voce, se ha superato il microfono e l’altoparlante, non ha<br />

superato la benda che ti copre gli occhi. O forse è morta ancora prima, dietro questo<br />

vetro sporco. Magari è solo un guasto del circuito… magari sei stato lì, immobile, a<br />

bearti di un visitatore silenzioso come sono silenziosi i tuoi occhi. Magari, non ho<br />

neanche parlato… forse la mia benda è fissata più in basso della tua: forse ce l’ho nella<br />

gola, cucita da mia madre già nella pancia. Forse non ti ho parlato, invidioso come sono<br />

della tua libertà.<br />

Ho bisogno di rinchiuderti ancora. Imprigionarti con l’amore, che è negazione assoluta<br />

della libertà. Devo inseguire una donna che imprigiona parole, le confeziona, che<br />

imprigiona uomini e mette le ali alle loro emozioni. A questa libertaria della voce,<br />

chiederò ancora la mia grazia.<br />

*****<br />

Ha parlato? Ah, sì, io ho sempre ragione. Tutto il resto del mondo è difficile da<br />

capire, ma questi uomini qua dentro, loro sì, sono facili, mica tanto complicati,<br />

come me. Li vedo camminare ogni giorno, so di quanto si è incurvata la loro<br />

schiena quest’anno, conosco le loro colpe e so se il buon Dio li ha perdonati,<br />

credete a me.<br />

Lui non parla con nessuno. Volete saperla una cosa? Forse parlerebbe con la<br />

vecchia. Forse solo con lei, ma lei non verrà, se è vero che è cieca, non verrà fin<br />

quaggiù… Ma la mia bambina ha fatto delle parole per lui, ne ha fatte di nuove.<br />

Se la conoscesse, con lei parlerebbe, o certo che lo farebbe! Ma che ne volete<br />

sapere voi giornalisti della realtà? Scrivete tante storie… io non e leggo, certo, ma<br />

vedo i telegiornali, ascolto, e lo so che vi inventate tutto, lo dice anche mia figlia<br />

ogni tanto, che non dite mai la verità. Voi mi sembrate una brava persona… siete<br />

sicuro di essere un giornalista? Non siete un po' troppo giovane?<br />

Io che sono un ignorante ne so molto più di voi sugli uomini, li vedo ogni giorno<br />

rotolare la loro anima nel fango e lo so a cosa pensano. Certo sulle donne di meno,<br />

nella mia vita c’è stata solo la mia povera moglie, che il Signore mi ha portato<br />

via! Ma le donne sono esseri più vicini all’Onnipotente, perché sanno prendere<br />

per mano un uomo e portarlo nella giusta direzione…<br />

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RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

Ve lo dico io, la vecchia è una figlia del demonio! Ha portato quell’uomo buono e<br />

onesto in questo posto maledetto… ma voi l’avete conosciuta? Mia figlia vuole<br />

andare a trovarla: ci pensate? Il mio angelo a casa di quella megera che ha messo<br />

in testa a questo povero ragazzo tutte quelle strane idee!<br />

Spero proprio che cambi idea, ma venite, si è fatto tardi. Il barcone parte tra poco<br />

e non potete perderlo, non ce ne sono altri fino a domani sera. No, qui non<br />

vengono molti visitatori, qui non ci viene mai nessuno, perché ci dovrebbero<br />

mandare quel catorcio più di una volta al giorno?<br />

Andate, io devo imparare le nuove parole per lui, prima che mi passino di mente<br />

le devo ripetere ancora... spero che qualcuno venga a prenderlo e lo porti via,<br />

prima che diventi cieco e sordo. Sapete, capita spesso qui dentro: entrano sani e<br />

dopo qualche anno cominciano a dimenticare che esiste il resto del mondo e<br />

muoiono dentro. Ma lui no, non gli deve succedere.<br />

Andate, andate. Il traghetto è in partenza.<br />

*****<br />

Mi stai guardando le gambe, scribacchino.<br />

Hai le pupille appoggiate sotto l'orlo della mia gonna, cristallini che si<br />

mettono a fuoco ogni volta che mi sposto sulla sedia. Le guardi perché le<br />

trovi belle, o è un riflesso condizionato, in voi maschietti? Gonna corta,<br />

gambe osservate. Un automatismo. E di solito anche rivelatore. C'è chi le<br />

guarda come fossero un'offerta, soppesando e valutando, oscillando piano la<br />

testa per guardare da angoli diversi, estrarre un'immagine tridimensionale da<br />

una serie di immagini retiniche e piatte. E c'è chi guarda di nascosto, di<br />

sottecchi, in tralice, nascondendo gli sguardi… e così sottolineano<br />

splendidamente il centro dell'attenzione. Quelli così parlano subito con un<br />

tono più alto, concentrato e fintamente distratto, sempre condiscendente.<br />

Solo, non riescono a gestire le pause di chi ascolta… finché il discorso<br />

fluisce, l'esperienza li guida nella scelta del momento giusto per lanciare lo<br />

sguardo che si appoggia preciso tra inguine e ginocchia…. Ma se taccio per<br />

venti secondi, non sanno più come fare: se concedo ai loro occhi troppo<br />

tempo e spazio, non hanno il coraggio di mostrare la direzione dello<br />

sguardo. E poi ci sono quelli che guardano insistentemente, per farti capire<br />

che ti stanno guardando. E quelli che sono imbarazzati, e vogliono<br />

ufficializzare lo sguardo con una battuta. E altri ancora.<br />

Come te, scribacchino.<br />

O no?<br />

Il tuo modo è un po' diverso, a ben vedere… Mi guardi le gambe e gli occhi,<br />

e la stanza. Hai i modi garbati e imbarazzati di un timido, ma i tuoi occhi<br />

non sono garbati, non sono timidi. Per niente. Li vedo catalogare i libri di<br />

questa stanza, registrare la posizione dello stereo e i colori dei manifesti. Li<br />

vedo classificare le mie letture e le carte disperse su quel tavolo, come se<br />

stessi bevendo informazioni. Avrai già la tua opinione, dopo che hai letto<br />

cento titoli di letteratura francese, saggi di bridge e manuali di puericultura?<br />

Hai già un'idea della mia mente, vero? E il modo in cui mi guardi le gambe<br />

è quello di un costruttore di puzzle, che cerca di capire come il mio corpo si<br />

incastri in quest'immagine che hai già della mia mente. Va bene il volto, il<br />

collo e le spalle. Pochi secondi sulla curva del seno, una verifica distratta<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

alle scarpe, e poi le gambe, a lungo. Quasi quanto gli occhi. Non rientrano<br />

nello schema, scribacchino? Volevi gambe più pesanti, occhi più ampi e<br />

meno appuntiti? O è la gonna troppo corta e troppo rossa, e la montatura<br />

degli occhiali troppo audace, con questo metallo troppo lucido e troppo<br />

piegato in angoli insoliti? Cosa non torna nei tuoi conti, scribacchino? Fossi<br />

nuda, forse mi guarderesti di meno. Forse i relè della tua testa<br />

classificherebbero meglio un corpo femminile nudo (temperatura ambiente<br />

circa 20 gradi) su seggiola mobile (cinque ruote) arco di schiena esente da<br />

scoliosi? Stai inscatolandomi in un catalogo, o creando una nuova classe,<br />

solo per me, scatenata da gambe troppo scoperte e montatura troppo<br />

audace?<br />

Se mio padre ha ragione, stai cercando di capire la cecità degli occhi e del<br />

cuore. Così dice lui. È questo che gli hai raccontato? Hai usato tu queste<br />

parole, come se fossero significanti di qualcosa? Vuoi davvero scoprire la<br />

cecità, scribacchino? Non potrai riuscirci, lo sai.<br />

Non tu.<br />

Sei un professionista degli occhi, tu. Lavori con gli occhi. Vivi, con gli<br />

occhi.<br />

Come puoi pretendere di capire la cecità?<br />

Taci, ma i tuoi occhi urlano. Prima che entrassi in questa stanza, per te io<br />

ero solo una serie di appunti verbali sul tuo taccuino e sul tuo cervello.<br />

Adesso, dopo dieci minuti, hai un'idea già fin troppo precisa di me e dei<br />

miei pensieri. Ti travesti da giornalista obiettivo, da coagulo di sentimenti<br />

umani, di comprensione a largo raggio… ma non è vero. Ti nutri della vita<br />

degli altri, e i tuoi bocconi preferiti sono i sentimenti insoliti. Cosa vuoi da<br />

me, scribacchino, oltre a guardarmi le gambe? Sono assai più disposta ad<br />

scoprire le mie gambe, piuttosto che il cuore e la testa.<br />

Quel che resta della mia vita è registrato su piccole bande magnetiche,<br />

tradotto in parole scritte con la voce, dopo che sono state scritte a penna.<br />

Buffo, vero? L'unico che può leggere i miei scritti legge con le orecchie, e a<br />

patto che la mia voce sia travestita da voce di un'altra.<br />

Io scrivo di notte, quando non c'è nessuno che ascolti il ritmo del mio<br />

respiro, quando le mie orecchie allargano il loro raggio d'azione, quando il<br />

mio cervello può illudersi di amare e di essere amata, senza dover tenere<br />

conto degli interrogativi propri del giorno. E questo mio amore notturno va<br />

verso chi ha scelto la notte.<br />

Chiediti quale sia il tuo giorno e la tua notte, scribacchino dagli occhi<br />

appuntiti.<br />

Tutte le persone che hai incontrato in questo tuo viaggio lo sanno. La notte<br />

negata della vecchia, come ribellione alla sua notte eterna e fisica. La notte<br />

voluta del mio assassino, come libertà dal sole e dalla vita. La notte<br />

quotidiana di mio padre, che insegue il lungo crepuscolo iniziato quando è<br />

morta mia madre. E la mia notte ribelle, nemica del giorno. Perché di giorno<br />

gioco con le vostre regole, e di notte faccio l'amore con lui. Potrai capirlo<br />

mai, tu che non spegni mai i tuoi occhi? Riuscirai a trovare una logica<br />

perversa e razionale, riuscirai a spiegare anche a me quello che succede a<br />

notte fonda, quando resto sola con lui? Come farai, senza usare tutti i<br />

possibili sinonimi di "follia", a scrivere il tuo pezzo?<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

Perché io entro qui, di notte, e resto con lui. Lui che non c'è. Ma va bene lo<br />

stesso, è come se lo avessi spogliato. Come se lo avessi spogliato del tutto,<br />

anche del suo corpo. E lo accarezzo leggera, all'inizio, finché non sento la<br />

consistenza del suo corpo e del suo cuore. E io mi spoglio di me stessa, e<br />

della mia voce. Così, con me ridotta a niente altro che i miei pensieri, con<br />

lui ridotto a niente altro che i miei pensieri, facciamo l'amore delle parole.<br />

Tutte cose che i tuoi occhi attenti non possono vedere, scribacchino.<br />

I tuoi occhi possono solo guardare la mia minigonna rossa.<br />

*****<br />

Non ce la faccio più. Sono stanca, e non capisco. Viviamo insieme<br />

ormai da quasi un anno, e non ti ho mai visto in questo stato.<br />

Lo so, fare il giornalista non è facile, ogni giorno rincorrere l’umanità<br />

che sfugge e agisce senza perché, ogni giorno guardarla, ascoltarla e<br />

darle una ragione, una spiegazione. Non è facile, si resta soli in una<br />

giungla di giornalisti più bravi, più famosi, o che sanno scrivere<br />

meglio ciò che “loro” vogliono leggere, l’ultimo scandalo, l’ultimo<br />

amore del personaggio famoso o la più recente polemica<br />

sull’inquinamento ambientale...<br />

So bene che da sempre combatti, ti ho visto farti avanti senza<br />

sgomitare, ti ho visto cercare le parole per ore e ore nella notte e<br />

rincorrere donne e uomini veri, raccogliere storie dai giornali e<br />

raccontarle di nuovo, alla nostra coscienza di uomini e donne.<br />

Ma cosa ti succede? Da quando hai parlato con quella vecchia cieca<br />

non sei più tu, hai viaggiato in capo al mondo per parlare con<br />

quell’uomo per non parlargli, per vederlo solo per qualche minuto. E<br />

se non tiri fuori un articolo d’effetto non ti pagheranno neppure le<br />

spese. Ti guardo ogni sera tornare su quegli appunti, rileggerli fino a<br />

consumare i fogli del notes, e scrivere pagine e pagine con la tua<br />

grafia fine, quei piccoli segni arruffati che mi hanno fatto innamorare<br />

di te, quando ti ho conosciuto. Ricordi? Io sì, come se fosse ora,<br />

quando ci incontravamo nei corridoi, tra una lezione e l’altra, ci<br />

sfioravamo appena e io ti scrivevo bigliettini che infilavo ovunque, e<br />

mi trovavo le tue poesie tra gli appunti… parole che mi toglievano il<br />

respiro, che ancora adesso mi fanno vibrare.<br />

Ed eccoli lì, i tuoi geroglifici, non per me, questa volta. Come se il tuo<br />

pc non potesse contenere l’emozione che questa storia ti sta dando,<br />

come se neppure tu fossi capace di contenerla. E scrivi, scrivi<br />

tantissimo, e non parli più, non mi racconti, ti guardi le mani per ore…<br />

Ti ho visto, ti ho osservato guardarti le mani, quelle mani che da<br />

quando è cominciata questa storia si sono dimenticate di sfiorami le<br />

spalle, hanno perso l’abitudine di esplorare la mia pelle, le guardi<br />

come se avessero una risposta, come se bastasse cercare più in fondo,<br />

e mi sembri talmente solo!<br />

Perché non mi vedi più? Sono qui e ti parlo, anche se non esce alcun<br />

suono dalle mie labbra. Ti amo, sei tutta la mia vita. Lo vedi nei miei<br />

occhi quando ti bacio prima di uscire la mattina? Le senti le mie mani<br />

la notte che ti cercano, il mio respiro sul tuo petto? Il mio mondo ruota<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

intorno a te, sei il sole che riscalda le mie giornate. Eppure lo sai che<br />

io non penso mai a te durante il giorno, non ti immagino, non ti cerco,<br />

perché ti assorbo la notte e ti porto dentro di me, nei miei gesti più<br />

naturali ci sono i tuoi movimenti, la consapevolezza che ti ritroverò a<br />

casa, per me.<br />

Così mi avvicino distrattamente, ti porto qualcosa di caldo e ti chiedo<br />

come stai, se hai scoperto qualcosa di nuovo, se hai mangiato oggi.<br />

Così ti prendo le mani e le guardo, perché sono certa che hanno ogni<br />

risposta, e a me basta, a me basta toccarle e sapere che tu troverai le<br />

risposte e poi le domande, e le tue mani me le porgeranno entrambe.<br />

Così non sono capace di chiederti nulla, ma ti parlo del tempo e della<br />

pioggia che mi ha preso oggi mentre tornavo a casa da te, ti parlo di<br />

niente e ti passo davanti continuamente, sposto oggetti in giro per la<br />

stanza, fingo di riordinare e ti sfioro ogni volta che ti passo accanto.<br />

Dove sei? Come fai a non sentirmi? Guardami, ora, sentimi, adesso.<br />

Adesso che sono qui ferma e non riesco più a fingere, che non posso<br />

fare a meno di abbracciarti forte. Sono qui e tu lo devi sapere… mi<br />

guardi e sorridi, mi stringi forte e mi racconti, mi spieghi.<br />

Io non so quanto ti ascolto, so che non è a me che parli, stai<br />

raccogliendo le carte e le distribuisci sul tavolo, gli dai un ordine e le<br />

disponi ancora e parli e sussurri e mi baci perché non mi parli più e<br />

stai di nuovo leggendo gli appunti.<br />

Mi siedo per terra e leggo un libro appoggiata alle tue ginocchia. Tu<br />

cerchi ancora delle risposte, ma io ho trovato il tuo abbraccio e non<br />

cerco più nulla, la mia notte è cominciata, e i tuoi fogli sparsi ne sono<br />

parte, volteggiano sul tappeto. La storia che racconterai parla d’amore,<br />

dell’amore che ha bisogno di parole che non pronuncia. Scrivi sempre<br />

storie d’amore, ma questa deve essere la più bella di tutte, lo sento. Ci<br />

sarà il nostro amore, ci sarà l’amore degli occhi per il colore e delle<br />

mani per il calore morbido di un altro corpo, l’attesa del sonno senza<br />

sogni e del risveglio nella luce, ci sarà l’amore di padri e di madri, ci<br />

saranno curve di inchiostro che volteggiano su fogli che non parlano<br />

ma toccano l’anima.<br />

Sì, lo so anch’io che la tastiera non era capace di scriverle, ma le<br />

batterò io per te, se vorrai. Queste frasi scritte di notte, mentre<br />

l’umanità a cui sono rivolte dorme ignara, vive e soffre senza<br />

consapevolezza, in attesa che tu li risvegli per un breve istante, un<br />

microsecondo in cui la loro attenzione sfiorerà un articolo nella pagina<br />

della cronaca, un brivido passerà lungo la loro schiena, per essere<br />

dimenticato nel voltare verso la pagina sportiva.<br />

Incredibile come i tesori più belli siano racchiusi in contenitori di<br />

scarso valore, o poco appariscenti. I tuoi occhi, che leggono nelle<br />

pieghe dei capelli, al di là degli occhiali spessi e professionali. I tuoi<br />

orecchi, che percepiscono il respiro più leggero e lo trasformano in<br />

poesia, coperti da qualche ricciolo ribelle. Le tue mani, forti e decise,<br />

delicate e leggere, che raccolgono l’ispirazione dal mio abbraccio,<br />

imbrigliano le sensazioni e ne fanno castelli di parole, con torri alte e<br />

maestose, oltre una fitta foresta, invisibili da questo lato, ma a pochi<br />

passi. Il tuo petto, poco muscoloso e glabro, in cui batte il tamburo che<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

ascolto la notte per addormentarmi. Questo appartamento, vecchio,<br />

dalle tubature corrose dalla ruggine, dove ritroviamo le nostre<br />

ispirazioni e la forza per affrontare il mondo. Il tuo giornale, pieno di<br />

pettegolezzi e commenti sull’ultima amante di un Capo di Stato, che a<br />

volte nasconde le tue parole, tra le statistiche degli scippi e l’apertura<br />

di una nuova catena di alimentari. La pioggia che mi ha sorpreso oggi,<br />

allegra e estiva, che mi ha fatto ridere e correre felice come una<br />

bambina.<br />

Mentre tu scrivi leggo un libro sui cantautori poeti, ti mostro qualcosa:<br />

“All’ombra dell’ultimo sole / s’era assopito un pescatore / e aveva un<br />

solco lungo il viso / come una specie di sorriso…”, tu ti illumini e ridi,<br />

e finalmente andiamo a letto.<br />

*****<br />

Ti farò fuggire.<br />

Ti porterò via da quella cella in cui ti chiudi come fosse l'utero di tua madre,<br />

come fosse ancora il tuo uovo privo dello spermatozoo, cellula ancora<br />

ignara e ignota. Ti porterò via, rubandoti al buio e all'idiozia della gente,<br />

alle sbarre stolide d'acciaio, al calcestruzzo pesante, all'etica approssimata di<br />

queste città, al ritmo del giorno e della notte indistinti.<br />

La mia voce non basta, amore mio.<br />

La mia voce travestita da altra voce, le mie parole come miele fabbricato da<br />

api eccessivamente alacri, che trabocca dal favo, che cola in terra, uccidendo<br />

dieci formiche e deliziandone diecimila. Ma non sono fatta solo di voce.<br />

Ho anche le mani.<br />

Ho mani sottili, che sono in grado di sfogliare codici e scrivere parole, per<br />

imbarazzare giornalisti e pubblici ministeri, per estrarre codicilli e<br />

precedenti legali, per costruire una montagna di nulla significativo, una<br />

montagna sufficiente ad erodere quelle sbarre, quel calcestruzzo, quelle<br />

mura. Mani che sapranno uccidere la bonaccia del tuo corpo, sapranno<br />

percorrere lenti spirali sulla tua schiena, farti sentire il taglio delle unghie, il<br />

respiro della pelle del palmo.<br />

Mani che ti faranno sentire il desiderio di non essere chiuso.<br />

E ho occhi acuti.<br />

Occhi che berranno la luce riflessa e diffusa da te. Occhi che studieranno, se<br />

è il caso, percorsi radenti i muri, vedranno gallerie scavate dove ancora la<br />

terra riposa solidamente, occhi che non lacrimano nell'immaginare ostacoli<br />

abbattuti, secondini uccisi, carceri incendiati, se necessario. Occhi che<br />

misureranno millimetri di libertà su una mappa, li trasformeranno in passi<br />

veloci, calci, morsi, esplosioni, tutto per poter usare i miei occhi<br />

nell'esplorazione di te.<br />

Perché la mia mente conosce la tua mente, ma ho bisogno di riconoscere<br />

anche le tue rughe e il tuo colore, la linea del collo e della mascella,<br />

perdermi nei muscoli intrecciati delle tue braccia, nell'accavallarsi lento e<br />

deciso dei muscoli della tua schiena e delle tue gambe.<br />

Occhi che ti accenderanno di brividi, toccandoti con sguardi sfacciati.<br />

E ho gambe lunghe.<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

Lunghe, per trasformare ogni passo in una falcata rabbiosa, per amplificare<br />

le distanze tra te e il mondo, dietro il solo compenso di potersi intrecciare<br />

alle tue. Gambe che sono calci veloci e violenti contro chi è armato solo di<br />

divisa e ottusità, di tocco e fetore, di dignità ereditata, di vita raccontata.<br />

Rese veloci da scarpe da tennis, violente da anfibi militari, pericolose da<br />

tacchi neri e alti. Trasformiste come il resto di me, pronte ad ospitare armi o<br />

giarrettiere, ad esporsi o colpire, a fare qualsiasi cosa pur di aprire la porta<br />

della tua cella, o un buco nei suoi muri, o a divellere il tetto del carcere,<br />

qualsiasi cosa, per averti di fronte a me.<br />

Perché possano tornare solo belle, perché possano accendere quello sguardo<br />

che sempre accendono nei maschi, perché tu possa sentirne la presenza,<br />

sentirne la forza, indovinare con precisione il piccolo angolo di<br />

divaricazione, perché riescano a trasformare la tua cecità in respiro pesante,<br />

tensione del ventre, irrigidimento dei deltoidi.<br />

Gambe che ti faranno cadere la benda.<br />

Perché non voglio niente altro che tutto. Tutto di te, e lo voglio proprio<br />

perché so che me ne basterebbe solo una parte. Potrebbe bastare,<br />

quest'amore delegato alla testa. Potrebbe, lo so… con una piccola<br />

percentuale del mio tempo e quasi nulla del tuo. Con te che non sai della<br />

mia esistenza, che conosci la mia voce ma che continui a sovrapporla ad<br />

un'altra donna, con te che non sai che ti amo, che non sai quanti respiri<br />

gonfiano petto e ventre solo perché tu ci sei.<br />

Basterebbe. Un pezzo d'infinito è già bastante, e la mia vita appesa ad un<br />

registratore e alle tue lettere è già più piena e vitale di qualsiasi vita senza te.<br />

Ed è questa consapevolezza, che mi uccide.<br />

Se solo l'ombra di te già basta…<br />

Se solo l'idea del tuo respiro già mi trasforma in un lago aperto, una vallata,<br />

un pezzo di nuvola inconsistente e fluida…<br />

Come posso rinunciare al resto?<br />

E se fossi davvero tu, la risposta? Fosse nascosta nel tuo pomo d'Adamo, o<br />

sotto il tuo sterno, o tra le tue cosce, o dietro la tua nuca, la soluzione di<br />

tutto?<br />

Se capissi il cielo, grazie alle tue labbra sul mio seno?<br />

Uscirai di lì, per me. O entrerò io in quella cella, a bruciarti benda e pelle, a<br />

ricercare con passione meticolosa quali siano le ragioni delle tue ciglia.<br />

Perché io non capisco la vita, amore mio.<br />

Sfugge alla ragione, e con essa, sfuggono le sue cause e i suoi motivi. Non è<br />

conoscibile, vero? Credo sia un mistero… e allora, lo strumento per viverla<br />

non può essere altro che altrettanto inconoscibile, inspiegabile. Come<br />

l'amore. Come l'amore che esplode, non chiede, non ha ragione di esistere.<br />

Ma esiste, ma esiste, ma esiste.<br />

Berrò il tuo sangue e il tuo sperma e il tuo sudore; e mi ciberò del tuo odore.<br />

Con i miei denti dentro le tue spalle, capirò la profondità del cielo e la<br />

testardaggine dei lombrichi. Mentre il mio sesso soffocherà il tuo, riderò del<br />

sole e della sua brevissima vita. Nei tuoi occhi aperti e senza benda, nella<br />

tua gola non più muta, nella tua voce che urla, nel tuo corpo che dimentica<br />

sé stesso e muore nel mio, mi farò beffe della morte.<br />

Perché avrò vinto la vita.<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

******<br />

Sono contenta che tu sia tornato, ti aspettavo con tanta ansia. Ma questa storia che mi hai raccontato<br />

è incredibile, inaspettata. Quell'uomo cosi` forte e vitale, ridotto ad ascoltare il silenzio nel buio di<br />

una cella non era già abbastanza, non era sufficientemente terribile, lo devo pensare anche cieco,<br />

solo. E questa donna, di cui mi hai parlato, questa giovane bellissima, un avvocato di successo che<br />

lo ama e gli scrive e cerca di tirarlo fuori… no, lo so che tu non mi hai mai detto che lei lo ama, ma<br />

ogni tua descrizione di lei e delle sue parole me l'ha urlato.<br />

Bene, mio caro, ti hanno letto dentro tutte le persone che hai incontrato in questo viaggio. Hai<br />

cominciato con me e poi non hai saputo fermarti… vorrei veramente sapere cosa significa "vedere"<br />

a volte, capire cosa si può percepire in più con gesti e sguardi, e tu si`, tu sei proprio nella posizione<br />

di farlo, di vedere ogni differenza, di percepire le mie sensazioni e di vivere gli sguardi, i colori.<br />

Ma io sento, sento che questa vecchia cieca per la prima volta in vita sua ha fatto qualcosa. Ti<br />

ascolto parlare e percepisco la commozione e la confusione nella tua voce, so che ormai non saprai<br />

tornare a scrivere un articolo su questa storia che non abbia un significato più grande di un'intervista<br />

ad una vecchia cieca che parla troppo. Fatti prendere le mani, per favore. I tuoi passi per le scale<br />

erano lenti e pensierosi, ho sentito tutta l'esitazione nel tuo entrare.<br />

Vivo al buio da tanto, troppo tempo, per non sapere che uomini come te devono vivere nella luce.<br />

Le tue mani sono le mani di un uomo, non di un ragazzo.<br />

Hai parlato con una vecchia cieca, l'hai voluta ascoltare, hai cercato di capire come potesse<br />

percepire lei tanto dei tuoi respiri mentre prendevi nota delle sue parole moltiplicate dal piacere<br />

dell'ascolto.<br />

Hai visto un carcere, hai visto un uomo invecchiato da anni di vita semplice, di amore semplice,<br />

capace di capire la natura degli uomini, proprio perché il motore che spinge i nostri cuori è lo stesso<br />

per tutti, la linfa che scorre dentro di noi ha la stessa origine, e solo chi non è inquinato dalle<br />

complessità dei nostri giorni lo riesce ancora a percepire chiaramente.<br />

Hai visto un uomo cieco che vede perfettamente. Lo hai visto parlare, senza un solo suono. Dio solo<br />

sa cosa sta cercando, o forse lo sa anche lei, lei che legge le sue lettere, quelle che a me non<br />

arrivano più, lei che sa rispondergli.<br />

Hai visto una donna innamorata, bella e forte, capace di utilizzare le parole per condannare ed<br />

assolvere, ma anche per amare e consolare. La hai ascoltata, la hai guardata. Io l'ho fatto attraverso<br />

le tue parole, e l'ho vista con i tuoi occhi, quella donna sarà lei che lo salverà dall'inferno in cui io<br />

involontariamente l'ho gettato.<br />

Quello che vedi ora è la stessa vecchia cieca di qualche settimana fa, ma sono cambiata anch'io. E<br />

sento il bisogno di sentire le tue mani, per rassicurarmi che quello che sento sia vero, seguire le<br />

linee sul tuo palmo e i calli sulle dita che stringono nervosamente la penna che deve raccontare le<br />

tue storie. Sei proprio tu, sei tornato.<br />

E` tempo che faccia qualcosa anch'io. Ti ho lasciato solo ad affrontare tutto questo e non ho saputo<br />

aiutarti. Sono stata chiusa in questa vecchia casa troppo a lungo. Aiutami, aiutami ancora una volta.<br />

Devo andare da lui, gli devo parlare. Tu ci sei stato, tu conosci la strada, io non potrei mai farcela da<br />

sola. Portami da lui. Non so ancora come e perché, non so ancora nulla, ma devo portarlo via, devo<br />

farli incontrare, e lui la deve vedere, con gli occhi che ora ha, più acuti e più profondi, ma ancora<br />

chiusi. Pensi di poterlo fare? Ho abbastanza denaro per il viaggio, pagherò per entrambi, ma devi<br />

venire con me.<br />

Lo farai? Mi porterai da lui? Mi porterai da lei?<br />

E` quasi tempo che tu trovi il finale per la tua storia.<br />

******<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

Siete troppi, davvero. Non posso proprio, non dipende da me…. il regolamento è<br />

severissimo, da questo punto di vista, e il direttore non fa altro che parlare di<br />

regolamento, regolamento, regolamento. Che volete che faccia io? Come posso<br />

farvi entrare, tutti e quattro, in quel parlatorio dove al massimo posso entrare due<br />

persone per detenuto? Ma vi siete dati appuntamento? Tutta questa gente, per<br />

parlare ad un muto e cieco, che muto e cieco vuole essere. Non parla mai, lo<br />

sapete, no? Non posso farvi entrare, non vorrà vedere nessuno, se arrivate tutti<br />

insieme. Cosa potrei dirgli, poi? Lo so, lo so…. Sara' contento di sentire che la<br />

vecchia cieca è venuto a trovarlo…. Ma non sarà contento di sentire che c'è anche<br />

il giornalista, con tanto di moglie. Spiegargli poi che anche mia figlia vuol<br />

vederlo, poi…. Ma vi conoscete, tra voi? Ma perché tutti insieme? Non capisco,<br />

non capisco…. È una vita che non capisco, e non ho più una moglie in grado di<br />

spiegarmi le cose. Ma la sento, sapete? La sento ripetermi un sorriso e una<br />

carezza, e dirmi di non preoccuparmi. Il direttore non lo saprà. E se anche lo verrà<br />

a sapere non sarà una tragedia. Chiederò ad un altro detenuto di scendere in<br />

parlatorio, e faremo finta che due di voi siano venuti per parlare con lui. Faremo<br />

così, sì. Così.<br />

Non dovevo chiedertelo, avevi ragione. Non c'entro niente con questa<br />

storia, non c'entro niente con questo posto, non c'entro niente con il<br />

tuo lavoro. Ma ero convinta che seguirti, accompagnarti, vederti<br />

mentre accarezzi il tuo notes senza scriverci niente sopra, mi avrebbe<br />

aiutato a capire se e quanto sei distante da me. Ma forse sono io, ad<br />

essere altrove… Nuda dentro il mio vestito, spogliata nella mia testa,<br />

ad inseguire te e i tuoi pensieri. Ma non so se sia poi questo, il centro<br />

vero della tua vita. I tuoi occhi esplorano i fianchi di quella giovane<br />

donna con la stessa attenzione che riservi alle spalle cadenti della<br />

cieca, alle rughe profonde della fronte del secondino. La stessa<br />

attenzione che, in fondo, riservi anche al mio seno e ai miei occhi.<br />

Sono fuori posto, qui, e non perché io sia solo un'ospite non richiesta.<br />

Sono fuori posto perché cercavo di vedere il luogo profondo della tua<br />

anima. Ma neanche tu abiti qui. Ti credevo distante da me. Invece, sei<br />

solo distante.<br />

Colpirò mio padre. Non se lo aspetta da nessuno, figuriamoci da me. Non<br />

gli farò neanche troppo male, e l'importante è che perda i sensi, che non<br />

cerchi di fermarmi con quei suoi occhi sempre maledettamente pieni<br />

d'amore. Mai che mi giudichi, mi rimproveri, mi consigli o mi dica ciò che è<br />

giusto e ciò che non lo è. Solo amore, innocente e non richiesto, e privo di<br />

giudizio. Un colpo lieve con la mia calza piena di cento monete, e sverrà. E<br />

se non sviene per il colpo, sverrà per amore e per la paura di ostacolarmi. E<br />

la cieca non conta, e questa signora impaurita e spaesata non capirà cosa sta<br />

succedendo, e il giornalista… il giornalista avrà gli occhi impegnati. Quelle<br />

sue pupille fangose registreranno al rallentatore ogni mio gesto, ogni solco<br />

del mio collo, ogni smagliatura delle mie calze. Vedranno il calzino salire e<br />

scendere, vedranno il rumore sulla testa di mio padre, il sospendersi del<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

respiro della cieca, tutto. Vedranno anche il mio cuore che urla, adesso, ora,<br />

in questo momento esatto, perché finalmente ti vedo. Dietro vetro sbarre e<br />

benda, sei tu. E già sento il sapore della tua pelle e il calore dei tuoi pensieri,<br />

e spero di riuscire ancora a governare la mia mano, quando dovrà strappare<br />

le chiavi a mio padre svenuto, spero di ricordarmi di respirare, nel momento<br />

in cui aprirò le cento porte che ci dividono, spero di riuscire a vedere il<br />

mondo, adesso che è abbagliato dalla tua presenza. Tieni ancora la benda,<br />

tieni ancora la benda, amore mio. Non accecarmi con il tuo sguardo. Tienila,<br />

anche se ora tutti urlano e tacciono ad un tempo, a vedere mio padre che<br />

giace come un gigantesco bambino addormentato sul pavimento di cemento.<br />

Tienila ancora, mentre la cieca tace e respira piano, mentre questa signora<br />

già è chinata su di lui, mentre il giornalista (lo sapevo, lo sapevo) non dice e<br />

non si muove, ma esplora i miei occhi e il mio respiro, come se volesse<br />

scoparmi il cervello. Tieni quella benda che scioglierò coi baci, e fidati del<br />

mio odore e delle mie mani. Sto aprendo l'ultima porta, amore mio. Tieni<br />

quella benda, ancora, e non ci fermerà nessuno.<br />

Mi sembra di tornare bambina, con tutti questi rumori e suoni, e quasi nessuna parola. Quando<br />

giocavo coi nomi non detti, e costruivo un mio dizionario personale, per catalogare i compagni di<br />

gioco. Voce Buona dall'Odore Vecchio è stato colpito, e finge di essere svenuto. Il suo respiro è<br />

pero' sempre sveglio, anche se non vigile. Il suo pensiero è confuso come la miscela degli odori di<br />

una cucina indaffarata, ma lascia il suo corpo giacere, quasi in una prova generale della morte.<br />

Gatta Feroce ha un odore che graffia, e produce solo suoni acuti. Acuto il ticchettio dei suoi passi<br />

affrettati, acuto il tintinnio delle chiavi che manovra, acuto il suo respiro, acutissima la sua brama di<br />

te, mio Ospite Triste e Gentile. Mi restituirai la mia cena, uno di questi giorni. Dopo che il tuo passo<br />

pesante avrà conosciuto di nuovo l'assenza di eco da corridoio, annullato dall'erba. Dopo che le tue<br />

mani, cosi' grandi, avranno trasformato in fusa la furia di Gatta Feroce. Non fermarti a<br />

riconoscermi, non capire, se puoi. Darò il mio tè a questa Samaritana Sperduta, che accarezza il<br />

volto di un vecchio non svenuto. Scalderò il cuore di Pagina Bianca, e cercherò di stupirlo. Lasciati<br />

guidare da lei e dai suoi artigli, adesso. Non ha altro che te.<br />

Ha gambe bellissime. E me ne accorgo solo adesso. Cosa guardano i miei occhi, se<br />

continuano a non vedere? Solo adesso vedo la stanchezza di questa guardia dolorante,<br />

solo adesso vedo l'intuizione saggia di questa cieca. E la corsa lenta di quell'uomo, che<br />

non ha certo ucciso nessuno, se non sé stesso. Tutto questo, scatenato dall'ultima<br />

immagine di quelle gambe lunghe ormai scomparse dietro quella porta, occupate a<br />

costruire spazio e distanza tra noi e lui, a scandire passo e libertà, passo e libertà, passo<br />

e libertà. Perché saranno sempre quelle gambe a imprigionarlo e a proteggerlo. La<br />

libertà negata dell'assassino, la libertà di sofferenza del secondino, la libertà di emozioni<br />

del mio bloc notes. E di me. Governate e vinte da questi tre amori al femminile, quello<br />

cosmico e lento della cieca, quello furente e esplosivo di quelle gambe feline, quello<br />

naturale e pieno di questa mia moglie, che, con dieci punte di dita, riaccende la luce<br />

negli occhi di questo vecchio ferito. Il mio notes è ancora più bianco, e i miei occhi non<br />

registrano più. Quelle gambe corrono veloci, com'è veloce quell'amore furente. Il mio<br />

ritmo è leggero come quello della cieca, ma ancora ingenuo. Ho bisogno non di gambe<br />

nervose e bellissime, ma di un arco di schiena morbido e fragile come l'acciaio. E<br />

adesso che i miei occhi vedono, non lascerò più inosservati quei fianchi. Quelli che da<br />

anni danno forma e calore alle coperte del mio letto.<br />

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“FILI DI LUCE E PAROLE (in forma di treccia) di Francesca Ortenzio e Piero Fabbri<br />

RACCONTO N. 1 - a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />

Aria. E vento, luce, odore d'erba. Terrò la benda. Mi tiene per mano, tira, trascina, e parla<br />

d'amore. Feconda il mondo d'intenzioni, celebra una messa solenne anche ora che<br />

violentemente mi spinge in macchina, e conficca le unghie dure nel mio braccio, corre,<br />

schiaccia la frizione e bestemmia, mi lecca l'orecchio prima di far ruggire il cambio, e lascia<br />

che i miei orecchi ascoltino il frusciare della sua camicetta. Corre, e parla di bende e occhi da<br />

baciare, di vita fuga poliziotti notti insonni. La sua mano è preda di una danza isterica tra la<br />

leva del cambio e la mia coscia sinistra, come la sua voce che scende a toni tenorili e rochi,<br />

risale ad acuti secchi di contralto, mentre le accelerazioni muovono il mio stomaco e incollano<br />

la mia spalla allo sportello. Come in un film americano. Forse, adesso arriveranno gli eroi che<br />

cavalcano sirene ululanti e lampeggianti biancazzurri, faranno cantare polvere da sparo e<br />

minacce. E noi qui. Su quest’isola che non ha strade, che non dovrebbe avere automobili, leve<br />

del cambio, accelerazioni. Qui. Qualunque posto sia.<br />

Noi.<br />

Mi hai rubato al resto del mondo, e il tuo profumo è buono.<br />

Non mi dispiace, essere il tuo bottino.<br />

****** ****** ****** ****** ****** ******<br />

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