N° 3 - "La morale omerica e classica" - Rhymers' Club
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FILOSOFIA e DINTORNI – “<strong>La</strong> <strong>morale</strong> <strong>omerica</strong> e classica” – lezione III del Prof. E. RIVA<br />
a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />
Presentazione<br />
Nell'agosto del 1999, il Prof. Ernesto Riva, avevo pubblicato presso Tripod un sito dedicato alla<br />
filosofia: era nato così "Filosofia e dintorni". Oggi, dopo cinque anni di presenza sul World Wide<br />
Web, il Prof. Riva ha deciso di creare un sito autonomo che riprende tutti i materiali del sito<br />
originario, li amplia e vi aggiunge anche quelli dedicati alla storia. Questo è<br />
www.filosofiaedintorni.net.<br />
In queste pagine dedicate alla filosofia, il Prof. Riva, ha voluto raccogliere tutto quanto potrebbe<br />
essere utile a chiunque voglia avvicinarsi un po' alla filosofia. Troverete quindi le figure dei grandi<br />
filosofi, brevi esposizioni dei principali problemi filosofici ed anche opere o brani dei più famosi<br />
capolavori della filosofia. Per la filosofia antica troverete ad esempio una presentazione su che cos'è<br />
la filosofia e le sue origini e quindi appunti sui primi filosofi, i sofisti, Socrate, Platone, Aristotele,<br />
Epicuro, gli Stoici, Plotino, Seneca.<br />
Per la filosofia cristiana Agostino, Abelardo, Anselmo, Tommaso d'Aquino, Lutero (con Calvino e<br />
Zwingli), Erasmo.<br />
Per la filosofia moderna, i pensatori rinascimentali come T. More, Montaigne, Campanella, e poi<br />
scienziati (filosofi naturali) come Galilei e Newton; e quindi Bruno, Hobbes, Spinoza, Descartes,<br />
Pascal, Locke, Hume, Rousseau, Vico; e ancora Bayle, Lessing.<br />
Per la filosofia dell'Ottocento e Novecento, Kant, Hegel, Schopenhauer, Kierkegaard, Feuerbach,<br />
Marx, Stuart Mill, Nietzsche, Comte, Bergson, Freud, Heidegger, Sartre, Wittgenstein, Popper,<br />
Rosenzweig, Jonas, Lévinas, Morin, senza dimenticare alcune filosofe (Simone Weil, Hanna<br />
Arendt, Simone de Beauvoir, Edith Stein).<br />
Infine una carrellata sul pensiero orientale comprendente il pensiero ebraico, quello arabo, il<br />
pensiero induista, buddhista, confuciano e taoista.<br />
L’Associazione culturale “Rhymers’ <strong>Club</strong>” è pertanto lieta di avere la possibilità di presentare le<br />
lezioni del Prof. Ernesto Riva.<br />
copyright by Ernesto Riva<br />
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FILOSOFIA e DINTORNI – “<strong>La</strong> <strong>morale</strong> <strong>omerica</strong> e classica” – lezione III del Prof. E. RIVA<br />
a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />
Lezione III<br />
“<strong>La</strong> <strong>morale</strong><br />
<strong>omerica</strong> e classica”<br />
Prof. Ernesto Riva<br />
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FILOSOFIA e DINTORNI – “<strong>La</strong> <strong>morale</strong> <strong>omerica</strong> e classica” – lezione III del Prof. E. RIVA<br />
a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />
Il primo documento della cultura greca che sia giunto fino a noi è un corpo di narrazioni<br />
epiche raccolto in due opere di altissimo valore letterario, l’Iliade e l’Odissea. Per esse ci è<br />
stato tramandato il nome di Omero, ma non abbia notizie sicure che sia stato il loro autore.<br />
D’altra parte si ricordi che per i greci l’artista o l’artigiano, quando producono un’opera, non<br />
ne sono gli autori nel nostro senso del termine: essi non creano nulla ma la loro funzione è<br />
solamente quella di incarnare nella materia una forma preesistente, indipendente e superiore<br />
alla loro techné (arte, tecnica). L’opera insomma possiede più perfezione dell’artefice: l’uomo<br />
è molto più piccolo del suo compito. Comunque, queste opere (circa 6° sec. a.C.) per un lungo<br />
periodo circolarono oralmente, tramandate dagli aedi, i poeti-cantori dell’età arcaica. Essi<br />
svolgevano una funzione estremamente importante: erano la memoria vivente del popolo, i<br />
maestri e annunciatori di una visione religiosa del mondo. I poeti conoscono le antiche<br />
narrazioni e possono dunque fornire all’uomo greco una molteplicità di esempi che lo guidino<br />
in ogni situazione. Sono in grado di offrire modelli di comportamento a cui adeguarsi,<br />
supremi esempi di valore. Non per nulla Omero fu definito da Senofane come “l’uomo da cui<br />
tutto il mondo ha imparato sin dai primordi”.<br />
I poemi omerici rispecchiano i valori della società greca agli inizi dell’età arcaica. Gli<br />
avvenimenti narrati, però, si collocano in un passato ormai lontano, nella età degli eroi (verso<br />
la fine del 2° millennio a.C.). ed è proprio la figura dell’eroe che riveste molta importanza per<br />
la <strong>morale</strong> <strong>omerica</strong>.<br />
L’eroe della società <strong>omerica</strong> è una figura legata ad uno status particolare, quello di una<br />
aristocrazia regale e militare; è il capo di una casata che detiene la sovranità su una comunità<br />
e sul suo territorio. L’eroe è per eccellenza agathos, che significa buono, nobile, ma anche<br />
buono a, capace di, come noi diciamo di un “buon guerriero” o di un “buon strumento”.<br />
L’insieme delle prestazioni eccellenti di cui l’eroe è capace costituiscono la sua aretè, la sua<br />
virtus alla latina, appunto la sua eccellenza, il suo valore, che non si riferisce tanto alla vita<br />
<strong>morale</strong> quanto piuttosto indica nobiltà, capacità, successo, imponenza. Si tratta in Omero di<br />
una virtuosità che si esprime nella capacità di far prevalere la propria forza sui nemici e<br />
rivali.<br />
L’etica eroica è un’etica dell’onore ( timé) e della gloria, un’etica estremamente aristocratica e<br />
individualistica. L’ideale per l’uomo è l’eccellere, la aretè. Fin dalla sua fanciullezza il giovane<br />
viene esortato a preoccuparsi del suo buon nome: deve far sì che gli altri lo avvicinino col<br />
dovuto rispetto. L’onore è perciò ancora più importante della vita; per la gloria e per l’onore<br />
il giovane nobile mette in gioco la vita stessa. Sommo bene è, in Omero,sentir parlare bene di<br />
sé, sommo male è sentirsi dileggiare dalla propria società a seguito rispettivamente dei<br />
successi o delle sconfitte che quella società massimamente considera. In altre parole, la società<br />
<strong>omerica</strong> è una civiltà che si fonda sul sentimento della vergogna. Non è tanto la colpa oppure<br />
il peccato ma la vergogna a sancire il decadimento dell’eccellenza dell’eroe, la perdita della<br />
sua condizione di esemplarità. Una buona reputazione (eukleia) in questo mondo è la sola cosa<br />
che importa. Perciò in questa vita l’uomo deve cercare di assicurare a se stesso l’elemento più<br />
duraturo in un mondo dove tutto cambia: deve assicurare una posizione di fama e di rispetto<br />
di sé e per la propria famiglia, una buona reputazione che rimarrà dopo la morte. <strong>La</strong> gloria è,<br />
per il greco antico, quella forma di immortalità che è concessa anche ai mortali. Niente altro<br />
può importare altrettanto. Questo è dunque l’atteggiamento normale in quell’epoca a noi così<br />
lontana!<br />
Abbiamo visto che l’eroe omerico è il depositario della areté, la virtù propria del nobile.<br />
Orbene, gli eroi, che sono i più forti e più coraggiosi tra gli uomini, combattono ed operano in<br />
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un contesto non solo umano ma divino, perché gli dèi – si pensi a quanto è descritto nell’Iliade<br />
e nell’Odissea – li proteggono o li ostacolano, li guidano e li combattono. A questo proposito si<br />
consideri che uno dei tratti di maggiore genialità dell’Iliade e dell’Odissea è proprio la<br />
completa antropomorfizzazione degli dèi, nel senso di una radicale liberazione degli uomini da<br />
un divino concepito nelle figure arcaiche dell’ignoto, del terribile, del radicalmente altro.<br />
Tornando alla figura dell’eroe, si pensi ad esempio ad Achille: l’Iliade non è forse la<br />
gigantesca storia di una passione travolgente, la famosissima ira di Achille? Nel mondo<br />
omerico, l’eccesso passionale e sentimentale è una cosa normale, e costituisce la dimensione<br />
stessa dell’eccellenza (aretè) di un eroe. Nei poemi omerici è descritto più volte un tale<br />
conflitto tra le passioni che convivono nel nostro animo. Se siamo in preda all’odio, all’amore,<br />
alla sete di gloria ecc. è come se il nostro io fosse sì parte in causa ma anche spettatore di un<br />
evento che accade davanti ai suoi occhi interiori. Le passioni, infatti, giunte al loro culmine,<br />
non possono essere facilmente tenute a freno e il nostro io ne è quasi prigioniero. In Omero<br />
manca ancora una chiara consapevolezza della padronanza dell’uomo su se stesso e della sua<br />
libertà, pur nel quadro di una complessa rete di influenze che agiscono oggettivamente<br />
dall’esterno (come l’ambiente, la società, le situazioni ecc.). Ma c’è di più: possiamo dire che<br />
la <strong>morale</strong> dei greci è proprio priva di un concetto-cardine dell’etica moderna, e cioè il concetto<br />
di obbligo e di responsabilità <strong>morale</strong>, nel senso che non si tiene conto delle intenzioni ma solo<br />
dell’esito delle azioni e, visto che nessuno, quando fa qualcosa, ha l’intenzione di non riuscire,<br />
quel che conta è il successo o l’insuccesso dell’azione. Le qualità competitive, in altre parole, e<br />
cioè l’ingegno e il coraggio, sono più importanti di altre qualità come ad es. l’agire in modo<br />
giusto. Esse sole permettono di conseguire il successo e la fama e di evitare l’insuccesso e<br />
l’infamia. Quando ad es. Ulisse non sa cosa fare in una determinata azione ( cfr. per es. Iliade,<br />
11, 404-410), per risolvere i suoi dubbi basta che pensi di appartenere ad una data categoria e<br />
di dover adempiere la virtù che le è propria. Egli non si richiama ad un bene più o meno<br />
astratto, bensì alla cerchia a cui sa di appartenere. È come se un ufficiale dicesse: “come<br />
ufficiale devo agire in questo o quel modo”, e si richiamasse così alle solide concezioni<br />
dell’onore della sua categoria.<br />
Ma non basta. Nel primo libro dell’Iliade, quando Achille vuole, nella sua ira, affrontare<br />
Agamennone con la spada, la dea Atena lo trattiene e lo ammonisce: “Io vengo dal cielo a<br />
calmare il tuo menos (ira); se tu mi obbedisci… poni fine al litigio e non brandire la spada”<br />
(vv. 207-210).<br />
Già nell’antichità si sono interpretate queste parole come un ammonimento alla moderazione.<br />
Atena invita Achille a frenare il suo impulso; si presenta qui, in germe, un fenomeno che<br />
possiamo chiamare freno <strong>morale</strong>, e che Omero, in più luoghi, definisce come moderazione o<br />
anche raffrenamento. Parlando così di freno, egli mostra di concepire l’emotività come<br />
qualcosa di selvaggio, di bestiale, e quindi la facoltà di trattenerla è veramente qualcosa che<br />
eleva l’uomo al di sopra degli animali. Così, ogni volta che una passione viene raffrenata, è<br />
male l’azione positiva, ed è bene invece l’astenersi da essa. A queste situazioni si riferiscono,<br />
nell’antichità, i comandamenti o meglio, i divieti “non uccidere”, “non rubare”, “non<br />
commettere adulterio”. Essi erano espressi in forma negativa, ma si riferivano a situazioni<br />
molto concrete, ed era quello l’importante per l’uomo antico: non tanto il riferimento alla<br />
astrattezza di un bene quanto la concretezza di un’azione. Interviene qui un altro sentimento,<br />
altrettanto forte nell’etica arcaica: è lo aidòs, il rispetto o soggezione. In origine fu il<br />
sentimento che si provava nei confronti del sacro, in seguito significò il rispetto per i propri<br />
pari, e poiché l’onore ha così tanta importanza in quella società, il rispetto di quell’onore,<br />
l’aidos, fu il sentimento a sostegno della autorità e della gerarchia nella società primitiva e fu<br />
il mezzo più potente per porre un freno all’uomo. Non per nulla, tornando all’esempio che<br />
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FILOSOFIA e DINTORNI – “<strong>La</strong> <strong>morale</strong> <strong>omerica</strong> e classica” – lezione III del Prof. E. RIVA<br />
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citavo, Atena ammonisce Achille di non abbandonarsi al suo impeto selvaggio, a non<br />
offendere il pio sentimento del rispetto.<br />
Vi è poi in Omero (e questo rimarrà a lungo nella cultura greca, fino all’età classica) la<br />
concezione di una duplice natura dell’uomo: da un lato egli si sente in balìa di forze che lo<br />
sovrastano, dall’altro però non smarrisce il senso della propria forza e del proprio carattere.<br />
Tipica è, a questo riguardo, la situazione dell’uomo rispetto al destino. <strong>La</strong> vita umana è<br />
concepita entro i confini segnati dagli dèi e dal destino (Moira), a cui tutti devono sottostare<br />
(cfr. ad es. l’ottavo libro dell’Iliade, 1-52). Nella vita non si può sapere qual è il fato di una<br />
persona e non si può pretendere di agire a dispetto di esso. Nella vita, la fede nella Moira<br />
serve solo a indicare che quanto è Moira deve accadere. Il bene e il male, d’altra parte, non<br />
sono pensati come valori morali, come concetti astratti o come caratteri propri delle cose: il<br />
bene e il male sono forze oggettive, potenze che convivono nell’universo e tra esse Zeus pone<br />
equilibrio. Felice dunque l’uomo a cui Zeus manda il bene; infelice l’uomo a cui Zeus manda i<br />
mali. Vi è nell’uomo, profondamente radicata, la speranza che il bene venga premiato e il<br />
male punito ma poiché è evidente che non sempre ciò avviene in questo mondo, la risposta dei<br />
Greci, dopo parecchi sforzi speculativi, fu la seguente: se il malfattore riesce a sottrarsi alla<br />
punizione in questa vita, la subiranno i suoi discendenti. Gli dèi puniscono prima o poi<br />
l’azione malvagia ma gli uomini non se ne accorgono perché non sempre gli dèi eseguono la<br />
condanna al tempo in cui viene commessa l’offesa: possono trascorrere più generazioni prima<br />
che sia eseguita la punizione. Se un uomo è ingiusto e prospera, i suoi discendenti hanno la<br />
certezza di soffrire; se egli non prospera, ciò è solo quanto si è meritato; se è giusto e prospera,<br />
si merita di prosperare; se è è giusto e non prospera, sta semplicemente scontando i misfatti di<br />
qualche antenato.<br />
Da questo punto di vista, potrebbe sembrare che la religiosità greca sia essenzialmente<br />
all’insegna del pessimismo: l’esistenza umana è per definizione effimera (cfr. Pindaro:<br />
“L’uomo è il sogno di un’ombra”, 8^ Pitica, 18) e sovraccarica di affanni, poi viene la morte<br />
che non risolve, del resto, proprio nulla.<br />
<strong>La</strong> vita umana è concepita entro i confini segnati dagli dèi e dal destino (Moira), a cui tutti<br />
devono sottostare (Cfr. Iliade, 8° , 1-52). Il bene e il male, d'altra parte, non sono pensati<br />
anticamente come valori morali, concetti astratti: sono invece forze oggettive, potenze che<br />
convivono nell'universo e tra esse Zeus pone l'equilibrio. Felice dunque l'uomo a cui Zeus<br />
manda il bene, infelice l'uomo a cui Zeus manda i mali! Da questo punto di vista potrebbe<br />
sembrare che la religiosità greca sia essenzialmente all'insegna del pessimismo: l'esistenza<br />
umana è per definizione effimera ("l'uomo è il sogno di un'ombra", diceva Pindaro, 8^ Pitica,<br />
18) e sovraccarica di affanni, poi viene la morte che non risolve, del resto, proprio nulla. Per i<br />
contemporanei di Omero, la morte era infatti una sorta di post-esistenza, ridotta ed umiliante,<br />
nelle tenebre sotterranee dell'Ade, popolate da pallide ombre, prive di ogni forza e memoria.<br />
L'uomo insomma dispone solo di questa vita terrena e solo dei propri limiti, quelli che gli sono<br />
stati assegnati dalla sua condizione e, in particolare, dalla sua Moira (nella vita non si può<br />
pretendere di sapere qual è il fato di una persona e di agire a dispetto di esso. Nella vita, la<br />
credenza della Moira serve ad indicare che quanto è Moira deve accadere).<br />
Eppure, proprio in questa situazione, l’uomo greco potrà intravedere una soluzione positiva:<br />
la saggezza, per l’uomo greco, comincerà infatti dalla coscienza della finitezza e della<br />
precarietà della vita umana, ed è questa la lezione fondamentale di Omero: vivere totalmente<br />
ma nobilmente nel presente. Dal momento che gli dèi hanno costretto l’uomo a non<br />
oltrepassare i propri limiti (si pensi alle massime come “Ottima è la misura”, “Nulla di<br />
troppo” ecc.), egli ha allora finito per cercare la perfezione e pertanto, la sacralità, nella e<br />
della vita umana. In altri termini, l’uomo greco ha riscoperto e perfezionato il senso religioso<br />
della gioia di vivere, il valore sacramentale della esperienza erotica e della bellezza del corpo<br />
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FILOSOFIA e DINTORNI – “<strong>La</strong> <strong>morale</strong> <strong>omerica</strong> e classica” – lezione III del Prof. E. RIVA<br />
a cura dell’Associazione Culturale “RHYMERS’ CLUB”<br />
umano, la funzione religiosa di ogni festeggiamento organizzato collettivamente (processioni,<br />
giochi, danze, canti, competizioni sportive, spettacoli, banchetti ecc.). <strong>La</strong> gioia di vivere<br />
scoperta dai Greci non fu un godimento di tipo profano: rivela la beatitudine di esistere, di<br />
partecipare, anche in modo fuggevole, alla spontaneità della vita e alla grandiosità del mondo.<br />
I Greci hanno appreso che il mezzo più sicuro per sfuggire al tempo è quello di sfruttare sino<br />
in fondo la ricchezza – a prima vista insospettabile – dell’attimo fuggente.<br />
BIBLIOGRAFIA MINIMA<br />
M. VEGETTI, L’etica degli antichi, <strong>La</strong>terza<br />
M. TROMBINO, <strong>La</strong> filosofia occidentale e i suoi problemi, vol. 1°, Poseidonia<br />
B. SNELL, <strong>La</strong> cultura greca, Einaudi<br />
A.ADKINS, <strong>La</strong> <strong>morale</strong> dei greci, <strong>La</strong>terza<br />
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