Agorà - Comune di Carrara

Il mensile del Comune di Carrara
Anno V n. 9 - Maggio-Giugno 2010
www.comune.carrara.ms.it/agora
26 giugno - 31 ottobre 2010
PoSt MonuMent
XiV biennale internazionale di Scultura a Carrara
Agorà

e fiere 2010
Febbraio
lettronica
l’elettronica
nale e di consumo
oelettronica.it
Maggio
amarmotec
Internazionale
cnologie Design
raramarmotec.com
ta/New date
otec
gna della Produzione
le Composito
gie Correlate
oranea con
/18 Febbraio 2011
potec.it
afiere.com
Il mensile del Comune di Carrara
Anno V n. 9 - Maggio-Giugno 2010
www.comune.carrara.ms.it/agora
26 giugno - 31 ottobre 2010
PoSt MonuMent
XiV biennale internazionale di Scultura di Carrara
Agorà
AGORÀ
Mensile del Comune di Carrara
Anno V n. 8 - Maggio-Giugno 2010
Direttore Angelo Zubbani
Direttore Responsabile Vittorio Prayer Galletti
Coordinamento Andrea Zanetti, Marco
Tonelli, Vittorio Prayer
Comunicazione/URP Elettra Casani
In redazione Anna Rossi
Direzione, Amministrazione e Pubblicità
Piazza Due Giugno 1, Carrara
tel. 0585 641276, fax 0585 641275
e-mail: agora@comune.carrara.ms.it
Autorizzazione Tribunale di Massa
n. 373 del 31 gennaio 2005
Realizzazione editoriale SEA Carrara
Stampa Grapho Srl
Copertina
POST MONUMENT
In Copertina: Montaggio fotografico dellaTesta di
Lenin ad Ulan-Udè in Russia, trasferita a fianco di
Maria Beatrice in Piazza Alberìca.
Opera notevole, scolpita da un grande artista, ossessionato
dalla personalità di Vladimir IIiic.
Tengo Lenin nella mia testa e nel mio cuore. Sempre...
Parola d’onore di Kerbel, il “Michelengelo”... di sovietico
regime.
Troneggia, da lustri, la bruna marmorea testa di Lenin
più grande del mondo, nella Piazza Sovietova ad
Ulan Udè, capitale della repubblica autonoma dei
Buriati. Bella scultura plasmata da Lev Kerbel (San
Pietroburgo 1917 - Mosca 2003); la quale, basamento
incluso, arriva a misurare oltre 15 metri. Opera
celebrativa, con un unico difetto: l’artista ha scolpito
Vladimir Lenin con gli occhi affetti da strabismo.
Anni or sono, in periodo di Perestroika, le statue di
Lenin e di Stalin vennero abbattute in quasi tutta
la ex Unione Sovietica. Kerbel assistè impotente alla
distruzione, decapitazione, schiacciamento o polverizzazione
di tante sue opere. Soffrì molto, mentre i
venti politici mutavano direzione.
In quel periodo di statue decollate un imprenditore
lapideo di Carrara si trovava ad Ulan Udè in cerca di
graniti. Per pochi dollari in contanti acquistò la gigantesca
testa del Patriarca del comunismo, a preservarla
dalla distruzione. Ci rivela la curiosissima notizia l’industriale
del marmo Alessandro Corsi. Ero proprio
da quelle parti col collega ed amico Franco Mariani.
Ho visto l’enorme statua di Lenin nella piazza principale
dei “Soviet”.
I responsabili del Comune di Ulàn Udè mi hanno
XIV BIENNALE DI SCULTURA
POST MONUMENT:
“RISCRIVERE LA STORIA
ATTRAVERSO L’ARTE”
Da sempre assertore convinto che Carrara
avesse bisogno di segnali di discontinuità,
per misurarsi con quello che visto
da qui appare come il mondo esterno, la
XIV Biennale Internazionale di Scultura ce
ne sta offrendo una significativa occasione.
Un appuntamento che troppe volte ha attraversato
pigramente la città, senza agitarne
l’anima inquieta, faticando a smuoverla
dal suo torpore; e ancor più a metterla in
contatto con il respiro profondo del mondo
dell’arte.
La Biennale di quest’anno, rifuggendo
dall’immagine di un evento provincialmente
ripiegato in difesa della sua risorsa principale, ci ha messo di fronte a una sfida
che impone al marmo; e alla città che più di ogni altra lo rappresenta nel mondo:
la responsabilità di mostrarsi come materia e luogo di origine di ogni linguaggio
che per esprimersi abbia bisogno di più dimensioni.
Carrara come la casa di un genitore comprensivo, che lascia giocare i giovani dèi
nel suo cortile con quello che più gli piace. Con quello che sanno. Con quello
che hanno.
Sfida impegnativa, giocata da un “genitore” che non ha bisogno di mostrare la
sua potenza perché scritta da sempre e per sempre, nelle faticose forme assunte
dalle montagne e scolpita nelle espressioni dei capolavori cavati, tirati giù con
funi e sudore dal monte e scalpellati dall’eterno genio d’artista.
Benvenute dunque le sfide più irriverenti, frutto di ricerca geniale o talentuosa
provocazione, tentativi di annientare il “genitore-monumento”. Benvenute, in
quanto portatrici di un desiderio di riscrivere la storia attraverso il segno dell’arte.
La Comunità saprà riconoscersi nel segno “forte” di questa XIV edizione, curata
da Fabio Cavallucci; con il convinto sostegno delle istituzioni locali, della
Regione Toscana, delle scuole, della Cassa di Risparmio di Carrara e della sua
Fondazione; da tanti privati, dai laboratori d’arte, fino all’ultimo dei carraresi
che ancora sa emozionarsi quando l’arte torna a parlargli…
riferito che l’opera si è conservata intoccabile nel
tempo, perché comperata da un industriale di Carrara.
Pertanto -hanno garantito i russi- il Lenin di
marmo nero, magnifico nel suo strabismo di Venere,
è di proprietà privata di un vostro concittadino.
Attendiamo da anni che costui se la venga a prendere.
Anche se- hanno concluso i russi- la cosa è…
esorbitante.
La copertina di Agorà vuol’essere un omaggio
al concetto di “Post Monument” dato alla XIV
Biennale di Scultura di Carrara. Un’offerta alla
seicentesca sociale Piazza Alberìca, e al monumento
a Maria Beatrice D’Este. Un omaggio al
simulacro di Lenin “salvato” da uno sconosciuto
impresario carrarino. Un ossequio al compianto
artista Lev Kerbel, che in Patria definivano ironicamente
“Lo scultore di Stalin”; invece aveva
solo Vladimir Lenin nel cuore, nell’anima, nello
scalpello.
(Il Direttore)
Angelo Zubbani
Sindaco del Comune di Carrara
Ulàn Udè, tradotto dal russo significa “Porta
Rossa” o “Rosso Uda”; a riflettere l’ideologia
comunista d’un tempo che fu. È città della Russia
orientale nella Siberia meridionale sul fiume
Uda, tributario del più grande Selenga, fondata
nel 1666 dai cosacchi, sviluppatasi quale centro
commerciale tra est ed ovest di Russia, Cina e
Mongolia. Terzo comune siberiano per importanza,
si trova a 5.640 km. ad est di Mosca, a 100
km. a sud-est del lago Baikal e 600 metri sul livello
del mare.
Dal 1900 Ulan Udè viene attraversata dalla linea
principale della grande ferrovia “Trans-Siberian”.
I suoi abitanti, da censimento 2002, risultano essere
circa 400 mila.
Numero chiuso lunedì 7 giugno. Agorà è stampato su
carta di pura cellulosa ecologica ECF.

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 2
POSTMONUMENT
APRE I “LAVORI”
LA XIV BIENNALE
DI SCULTURA
Il 26 giugno si alza il sipario sulla XIV
Biennale Internazionale di Scultura di
Carrara. Una manifestazione che con
più di 30 artisti provenienti da tutto il mondo
e 26 produzioni studiate ad hoc per Carrara,
si sta già posizionando tra gli appuntamenti
più interessanti del contemporaneo in
Europa.
Evento unico nel suo genere, la mostra ha
cominciato a far parlare di sé già dal mese
di gennaio, quando, grazie al girovagare
degli artisti giunti in città per cercare nuove
suggestioni per le loro opere, ha iniziato
ad incuriosire i cittadini carraresi e nel
contempo ad attirare l’interesse dei mass
media. In seguito ad un piano coraggioso
e innovativo, i protagonisti della Biennale
hanno soggiornato nel centro cittadino
per poter costruire, frammento dopo
frammento, un personalissimo ritratto del
nostro territorio. Nel contempo i bambini
e gli studenti di tutte le età, hanno potuto
prendere confidenza con il linguaggio del
contemporaneo attraverso il ciclo didattico
Biennale Educational che li ha preparati
ad un confronto più maturo con i progetti
in mostra. Certo, non sono mancati venti
di polemica sollevati dalle operazioni più
audaci - che d’altra parte hanno contribuito
a innescare fertili discussioni su aspetti
offuscati della nostra storia - ma la Biennale
è molto di più di una rassegna estiva; e va
al di là di qualsiasi provocazione, grazie
all’articolato ventaglio delle sue proposte.
La mostra che intende affrontare il tema
del monumento - o meglio quel radicale
processo di “de-monumentalizzazione”
che ha scardinato le finalità celebrative e
commemorative della scultura - si declina
in quattro diverse sezioni. Spaziando
tra presente e passato, dall’attuale forza
espressiva dell’architettura alla dimensione
più impalpabile della creatività. Ravvisabile
nei “workshop” e nelle performance, la
mostra indaga la monumentalità sotto ogni
punto di vista. Un altro punto di forza
della manifestazione sta nella scelta degli
spazi espostivi: la città di Carrara appare
interamente coinvolta attraverso i suoi
luoghi emblematici: dall’ex Segheria Adolfo
Corsi di Avenza, alla spiaggia del Porto di
Marina di Carrara. Dal seminterrato delle
Scuole Saffi al Cimitero di Marcognano,
passando per le piazze principali del Centro
storico, per arrivare agli ex laboratori di
scultura Ugo Corsi e Corsi – Nicolai; ogni
Gustav Metzger, Historic Photographs : No. 1 : Liquidation of the Warsaw Ghetto, April 19-28
days, 1943, 1995.photographie, gravats exposition “Gustav Metzger : décennies 1959-2009”,
Musée départemental d’art contemporain de Rochechouart, 2010, photographie David Bordes.
Manifestazione unica
nel suo genere, curata
da Fabio Cavallucci.
Coinvolge la città nei suoi
luoghi emblematici
Ohad Meromi, Orange Woman, ph. courtesy of the artist
sede è uno scrigno capace di sussurrare al
visitatore la storia e i fasti dell’arte del marmo
a Carrara. Non solo: molte delle opere sono
state realizzate interamente all’interno dei
laboratori locali.
Nel percorso espositivo, il tema è introdotto
da un’ampia sezione storica con esempi
di produzione monumentale a cavallo
dei due secoli, affiancati da modelli della
statuaria del Ventennio e del Realismo
socialista sovietico e cinese. Cuore della
manifestazione sono però le opere degli
artisti della contemporaneità.
I progetti, tra i più vari: oltre a declinare in
modo a volte inaspettato il tema portante
della Biennale, questi hanno in comune un
approccio assolutamente sperimentale e
interdisciplinare alla pratica della scultura.
Ci sono interventi più tradizionali, come la
lapide commemorativa ai caduti delle cave
del giovanissimo Giorgio Andreotta Calò,
che ha estratto personalmente un blocco
di marmo da una cava senza l’ausilio dei
macchinari; ed opere dal carattere più
concettuale, come quella di Cai Guo-Qiang,
che riporta a Carrara ciò che da qui é partito,
con una videoinstallazione su migliaia di
studenti dell’Accademia di Pechino che
disegnano il David di Michelangelo; o
quella di Rossella Biscotti. Operazioni

pagina 3 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
performative, come quella concepita da Sam
Durant - che fa recitare l’opera Il Primo
Maggio di Pietro Gori ad attori diretti da
Gianmarco Montesano - poi gli interventi
più dissacranti, tipo quelli di Maurizio
Cattelan e Paul Mccarthy. In Biennale vi
sono anche omaggi alla tradizione libertaria
carrarese, come l’installazione sonora di
Deimantas Narkevicius, che diffonde
l’audio del canto anarchico Addio mia bel
Carrara, per voce di anziani reduci della lotta
di Resistenza; e monumenti al quotidiano,
come l’operazione di Gillian Wearing, che
ha fotografato su un piedistallo di marmo
gruppi di carraresi. Approcci romantici,
come quello di Cyprien Gaillard, alternati
ad analisi sociali quale quella di Artur
Zmijewski; e per finire addirittura uno
sconfinamento verso l’irrealtà e la mitologia
attraverso il monumento agli UFO di
Kristina Norman.
In parallelo il ruolo forte dell’architettura
contemporanea, che oggi forse meglio
assolve al desiderio di grandezza e maestosità
un tempo demandato alla scultura, ed è
rappresentato dalle maquette e dai progetti
specifici di architetti di fama mondiale.
Il percorso espositivo trova infine ideale
completamento nelle iniziative degli Eventi
Paralleli, che spaziano dal design alla mostra
monografica, alla “piece” teatrale.
Elena Del Becaro
La XIV Biennale Internazionale di Scultura
è organizzata dal Comune di Carrara, dalla
Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara
e dalla Cassa di Risparmio di Carrara, col
sostegno della Regione Toscana e della Provincia
di Massa e Carrara e in collaborazione
con l’Accademia di Belle Arti, l’Apt di Massa-Carrara,
il gruppo Internazionale Marmi
Macchine e l’associazione Amici dell’Accademia
di Belle Arti di Carrara.
ARTISTI
History
Libero Andreotti, Veniamin Bogolubov &
Yona Friedman, La città più moderna del mondo. Progetti per Venezia, curated
by Maria Pesavento and Gabriele Maria Gallo at Sale Docks, Dorsoduro 265,
Venezia, 2010, photos by Ugo Carmeni, courtesy of Galleria Massimo Minini
Vladimir Ingal, Aldo Buttini, Leonardo Bistolfi,
Arturo Dazzi, Lucio Fontana, Arturo
Martini, Fausto Melotti, Alina Szapocznikow,
Dymitr Szwarc, Adolfo Wildt, Wu Maoquan
Present
Carl Andre, Giorgio Andreotta Calò, Huma
Bhabha, Rossella Biscotti, Monica Bonvicini,
Carlos Bunga, Cai Guo-Qiang, Valentin
Carron, Maurizio Cattelan, Marcelo
Cidade, Nemanja Cvijanovic, Sam Durant,
Urs Fischer, Yona Friedman, Cyprien Gaillard,
Antony Gormley, Thomas Houseago,
Daniel Knorr, Terence Koh, Liu Jianhua,
Paul McCarthy, Yerbossyn Meldibekov &
Nurbossyn Oris, Ohad Meromi, Gustav
Metzger, Deimantas Narkevicius, Kristina
Norman, Damián Ortega, Santiago Sierra,
Rirkrit Tiravanija, Kevin van Braak, Yelena
Vorobyeva & Viktor Vorobyev, Gillian Wea-
Thomas Houseago, Study for Sun/ Moon figure
(verso), 2009, tuf-cal, canapa, ferro, legno, grafite,
carboncino, 298 x 61 x 61 cm, ph. Jacopo Menzani
Courtesy Thomas Houseago e ZERO..., Milano
ring, Artur Zmijewski
Architecture
Asymptote, Norman Foster, Massimiliano
Fuksas, Frank O. Gehry, Zaha Hadid, Daniel
Libeskind, MVRDV, Jean Nouvel
Workshop and Performance
Nevin Aladag, Vanessa Beecroft, Grzegorz
Kowalski, Zorka Wollny
DATE E ORARI
26 giugno – 31 ottobre, 2010
fino al 20 settembre: dal martedì al giovedì
dalle 11.00 alle 20.00; dal venerdì alla domenica
dalle 11.00 alle 22.30
dal 21 settembre: dalle 11.00 alle 19.00
chiuso al lunedì
Per gli orari del Cimitero di Marcognano attenersi
all’orario dei servizi cimiteriali
Opening:
26 giugno, ore 11.00
Press and professional preview
25 giugno, ore 12.00
SEDI ESPOSITIVE
Indoors
Ex segheria Adolfo Corsi
Via Covetta 38, Avenza (Carrara)
Ex laboratorio Ugo Corsi
Via Apuana 7, Carrara
Ex laboratorio Corsi Nicolai
Viale Potrignano 22/d, Carrara
Seminterrato Scuole Saffi
Piazza Gramsci, Carrara
Chiesa di Santa Maria delle Lacrime
Via Carriona 33, Carrara
Outdoors:
Piazza Alberica, Carrara
Piazza Gramsci, Carrara
Spiaggia Molo di Ponente, Marina di Carrara
(Carrara)
Piazza Brucellaria, Carrara
Cimitero Monumentale di Marcognano,
Viale Potrignano 2, Carrara.

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 4
POST MONUMENT
DIECI DOMANDE “10”
A FABIO CAVALLUCCI
di VITTORIO PRAYER
1Fabio Cavallucci il tuo primo impatto
con Carrara. Ti ha sconvolto oppure
tranquillizzato, nel senso di “magnificato”?
Né l’uno né l’altro. Carrara è una città
speciale, nel bene e nel male, e questo lo
si vede subito, appena si arriva. Credo di
aver capito abbastanza presto che non
sarebbe stato possibile qui realizzare una
Biennale tranquilla, pulita, precisa. Per
cui ho deciso di puntare sugli aspetti che
la città manifesta: ruvidità, genuità, ma
anche una certa allergia alle regole. Insomma,
diciamo che ho cercato di curare
questa Biennale nel senso originario del
termine, usando una cura omeopatica.
La Tua Biennale: lavoro massacrante,
2 incomprensioni, difficoltà burocratiche,
intoppi culturali, pochi soldi per
grandi aspettative. L’orchestra carrarese
dell’arte contemporanea suonerà; in che
tono?
Questa Biennale si comporta un po’ come
un reality show, ed è una sorta di cartina
di tornasole. Tutto avviene in pubblico,
sotto i riflettori della comunicazione. Le
reazioni, come in ogni esperimento, sono
da valutare a posteriori. Nemmeno io so
quali effetti produrrà, quale musica suonerà
questa Biennale. Ma sono abbastanza
sicuro che qualche cambiamento, nel
tessuto sociale e nel modo di affrontare
certe problematiche, lo produrrà.
Cavallucci, Petrolini diceva che l’arte
3 sta nel deformare… Pavese, che Tutta
l’arte è problema di equilibrio tra due
opposti…
Non credo ci siano delle regole per definire
l’arte. L’arte è tutto ciò che nel tempo è
stato considerato tale. È un concetto che
cambia, così come il modello di bellezza
di una donna: grassa nel Seicento, magra
e quasi anoressica oggi. Credo che oggi,
in un momento di trasformazione globale,
sia interessante offrire punti di vista
diversi. In mostra dunque troveremo sia
deformazione che classicità.
Catullo, trattando l’argomento “ope-
4 ra d’arte”: Viva nel tempo più di una
generazione...
Anche questo è un concetto particolare,
che non è detto sia l’unico possibile per
interpretare l’arte contemporanea. Una
volta Achille Bonito Oliva, parlando della
conservazione delle opere d’arte, ha
detto: seppelliamo gli artisti contemporanei
con le loro opere. L’arte contemporanea
può anche aspirare all’effimero, al
momentaneo: si pensi alla performance,
che sparisce nello stesso momento in cui
avviene.
Dicono che il peccato originale nel si-
5 stema dei valori dell’arte e nella sua
immagine del mondo sia il “kitsch”. È
presente questo “male” in Carrara?
Il kitsch è un aspetto dell’arte contemporanea
che ha trovato il suo momento
di massima considerazione con gli artisti
emersi negli anni Novanta: da Jeff Koons a
Paul McCarthy. In fondo ad essere kitsch
è la nostra società, che espone in vetrina
oggetti sempre più elaborati e attraenti, e
richiede una certa “stravaganza” perché
una voce possa essere riconosciuta nella
massa. Carrara è kitsch in modo diverso,
diciamo che è un po’ caotica... Ma in un
mondo che sta andando verso una definizione
troppo precisa delle regole, verso
un modello “aeroporto” in cui le corsie
sono già tutte segnate, un po’ di caos significa
spazio per la creatività.
La XIV Biennale offre spazi culturali
6 a tutti: apprendisti dell’arte ma giovinetti
e bambini innanzitutto. Come mai
la novità?
L’arte è un potente mezzo di comunicazione,
che ha grande possibilità di espansione
nella società. In fondo parla di noi,
dei nostri problemi e delle nostre questioni
irrisolte. Se l’arte contemporanea
risulta apparentemente incomprensibile
è solo perché come tutti i mezzi di comunicazione
usa un codice, un linguaggio.
Ecco allora la necessità di cominciare fin
dalle scuole a farlo conoscere. Il progetto

pagina 5 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
Biennale Educational, partito con largo
anticipo rispetto all’apertura della Biennale,
ha coinvolto quasi cinquemila studenti
di tutti gli ordini di scuole. È un
modo per allargare la preparazione del
pubblico. E naturalmente continua, con
altre modalità, anche durante il periodo
di apertura della mostra.
Nessuno che non sia un grande scul-
7 tore, o pittore, può essere architetto.
Se non è scultore o pittore, può essere
solo un… costruttore. Vero?
Sì.
Perché anche l’architettura in questa
8 Biennale?
L’architettura è sempre stata un’arte, e
spesso l’artista - come Giotto o Michelangelo
- era anche architetto. Oggi l’archi-
C’era una volta, tanti anni fa, un
grande scultore forestiero che
plasmava la sua opera in marmo,
all’aperto, in Piazza San Francesco. L’artista
stava dando vita al simulacro di un
riquadrature e tutto era perfetto: nella
posa, nelle mosse e persino nelle rughe
del lavoratore. Perfetto o perfettibile?
Entra in scena un vecchio cavatore, di
quelli che s’intendevano assai di ogni
piccola cosa del mestiere antico. L’uomo
gira e rigira intorno alla scultura, ma
scuote la testa e le mani congiunte e ritmate,
al petto. Il sommo artista gli chiede
il motivo di tanta palese sua insofferenza.
Il curatore della XIV Biennale: “...ho deciso di
puntare sugli aspetti che Carrara manifesta: ruvidità,
genuità, ma anche una certa allergia alle regole...
Sono abbastanza sicuro che qualche cambiamento,
nel tessuto sociale e nel modo di affrontare certe
problematiche, questa Biennale lo produrrà”...
tettura ha acquisito un privilegio sociale,
riscuote indiscutibilmente maggior consenso
rispetto all’arte contemporanea.
Non si poteva non toccarla nel momento
in cui si discute di monumenti contemporanei.
Che poi dal punto di vista estetico
resti indietro rispetto alla ricerca degli
artisti, spero sia un aspetto che la mostra
metterà in luce.
Cosa ne pensi della battuta di S. Fit-
9 zgerald: fate attenzione all’artista che
è anche un intellettuale: è solo quell’artista…
che è di troppo…
Dipende da cosa si intende per intellettuale.
L’artista che spiega troppo razionalmente
il proprio lavoro o che ha bisogno
di accompagnare le proprie opere
con testi esplicativi rischia di non essere
un vero artista, e nemmeno un buon in-
In dialetto “càràrìno” l’individuo risponde:
“Vede o signor Maestro che io sono
d’accordo con lei su quasi tutto, però -e
mi scuso- lei ha eseguito negli scarponi del
“quadratore” dei semplici lacci da scarpe,
invece noi cavatori adoperiamo la “Corzòla”,
che è un insieme di striscioline di pura
pelle avvinghiate tra loro; ma sono più resistenti
e sicure, e reggono benone ad ogni
mutamento di temperatura...
A questo punto lo scultore esclama: Perbacco,
hai proprio ragione, se non c’eri te
la mia opera sarebbe stata solo un’ incompiuta
per l’eternità.
E così l’artista si mette al lavoro e piano-
tellettuale. Ma quando l’artista produce
vera arte, quando è un buon artista, attraverso
le sue invenzioni visive e concettuali,
l’artista è una delle punte più avanzate
della ricerca intellettuale della società.
Anche perché l’arte contemporanea, che
ha abbattuto le regole canoniche ormai
più di un secolo fa, è uno degli strumenti
di ricerca più liberi e avanzati.
Fabio Cavallucci, domanda finale
10 un po’ cattiva: Ogni critico è come
una donna nell’età critica: astioso e “refoulé”…
Come critico o curatore preferisco stare
dietro agli artisti. Sono loro che hanno la
qualità e la sensibilità. Noi curatori abbiamo
il compito di scegliere gli artisti
giusti.
POST MONUMENT
L’ARTE, L’ARTISTA,
IL PROFANO SAPIENTE E LA CULTURA
DELLA... CORZOLA
piano col “gradino” realizza la “Corzòla”.
Giorni dopo il vecchio cavatore rientra in
scena e s’aggira in tutto tondo, pensoso e
perplesso, dinanzi alla creazione. Cosa c’è
che non va… ancora?.
Vede o signor Maestro -e mi riscuso- ma
non sono d’accordo con l’espressione del
volto del mio collega di marmo che lei ha
rifinito...
A questo punto il grande artista forestiero
ha un sussulto d’orgoglio, ma che subito
riesce ad attenuare.
Poi a dire o ad ammonire in dialetto “càràrìno”
che non gli faceva difetto: Ehi
brav’uomo: fèrmt’ alla corzòla...

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 6
POST MONUMENT
RI-RACCONTARE
IL MARMO…
Testo che non sublima le immagini
di ENRICO NORI
Il titolo “Raccontare il Marmo”, lo
dice: questo è un racconto, non una
mostra. Un racconto per immagini,
che sanno di fatica e sudore non troppo
lontani, ma forse dimenticati e sconosciuti.
La materia di questo racconto è, naturalmente,
il marmo di Carrara. Marmo
bianco, colore dell’assoluto: ammirato,
desiderato, richiesto da almeno 2000
anni. Marmo adatto per fissare e tramandare
arte e bellezza; pietà e riconoscenza,
vanità e inutilità. Sforzo, abilità, pena per
estrarlo e trasportarlo…
Pochi li hanno visti e conosciuti. Non imperatori
romani, non papi, non condottieri
imbalsamati al centro di piazze, non
distaccati scultori e architetti. Michelangelo,
lui sì vide e capì; pur nel suo egoistico
furore d’artista.
Protagonisti del racconto sono gli uomini
del marmo di Carrara. A loro, il racconto
è dedicato. Vite, spesso corte, vendute
alla fatica e al rischio. Mani come tenaglie.
Pezze al culo. Cicche a bruciare le
Dal catalogo della mostra
“Raccontare il marmo.
Ilario Bessi e Sergio
Vatteroni - Immagini dalla
fine degli anni 20 all’inizio
degli anni 50”, Carrara,
Palazzo Del Medico, 1987
Il Buddha gigante di Leshan è la più grande statua di pietra di Buddha del mondo: è alta 71
metri ed è una delle più antiche statue del mondo. Fu infatti costruita tra il 713 ed l’803
dita. Filoni di pane e sospetti di companatico.
Vino, sul lavoro, niente; dopo,
Il Crazy Horse Memorial (monumento a Cavallo Pazzo) è una grande scultura nella roccia in costruzione sulle Black Hills, in South Dakota. Sarà la più grande scultura
nella roccia mai costruita, larga 195 metri ed alta 172. Solo per fare un paragone, le teste scolpite sul Monte Rushmore (a destra) sono alte solamente 18 metri.

pagina 7 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
Romano Cagnoni, Caro marmo - Fotografie 1982-1987. Cavatore alla finestra
tanto, troppo. Rughe come trincee. Facce
di vecchi, che sono soltanto le facce di chi
è invecchiato, per la fatica, troppo presto.
La fatica come malattia e come diagnosi
mortale.
Ma quale orgoglio, quale dignità, quale
coscienza della propria professionalità!
Una meravigliosa scheggia di classe
operaia. Un soffio di epica stracciona,
dannati della fatica che assurgono a vera
aristocrazia del lavoro. Antonio Gramsci,
La seconda statua piu’ alta del mondo, 103 metri, si trova in Cina
e rappresenta due antichi imperatori cinesi, Huangdi e Yandi
se avesse avuto la possibilità di conoscere
gli uomini del marmo di Carrara, li
avrebbe ammirati e amati. Come li hanno
ammirati e amati Bessi e Vatteroni: nelle
immagini, si vede.
Vi sono, nel racconto, anche alcune comparse.
Industriali e padroni, compaiono
ai margini di fotografie. Fanno il loro mestiere,
interpretano il loro ruolo. Organizzano,
osservano, controllano, approvano.
L’epica non li sfiora; e non li riguarda. Le
L’ Ushiku Daibutsu è una grande statua che si trova in
Giappone nella città di Ushiku, prefettura di Ibaraki.
Completata nel 1995, ha un’altezza di 110 metri, ed è
la terza statua più alta del mondo. Un ascensore posto
al suo interno porta i visitatori ad una piattaforma di
osservazione posta a 85 metri d’altezza.
Alcune caratteristiche. Peso: 4.000 tonnellate. Larghezza
dell’occhio: 2,5 metri. Altezza dell’orecchio: 10 metri.
Lunghezza del dito indice: 7 metri (Wikipedia)
immagini del racconto partono dalla fine
degli anni ’20 e si spingono, in alcune fotografie
di Bessi, all’inizio degli anni ’50.
La scelta dell’arco di tempo non è troppo
arbitraria. Solo alla metà degli anni ’50, il
mondo del marmo cominciò veramente a
mutare. Cambiarono, lentamente, metodi
di estrazione e di trasporto. Cambiarono
modi di vita, vestiti, cappelli; persino facce,
espressioni. Il grande frullatore della
società dei consumi girava sempre più in
fretta; omogeneizzava le cose più diverse
e remote.
Fine anni ’20, inizio anni ’50; lo spessore
di un’epoca. Dietro a queste immagini
-molte delle quali sono già monumenti di
cenere- si dipanano infiniti avvenimenti
che le immagini stesse non potevano
registrare. Scontri politici e so-

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 8
RI-RACCONTARE
IL MARMO…
ciali. Guerra, lotte per la libertà. Proteste,
ribellioni, coerenze e sogni anarchici.
Crisi economiche, ricchezze che il
monte e il marmo rapidamente concedono
e altrettanto rapidamente cancellano.
Tragedie collettive e individuali, fame,
imprecazioni, ironie, coraggio, insofferenze,
bisogno inesausto di libertà, grani
di follia.
“Raccontare il Marmo” può essere letto
in modi diversi. Ad esempio, come una
piccola, didascalica ricostruzione delle
tecniche di escavazione e di trasporto del
marmo. Oppure, come un documentario
d’epoca.
C’è un rischio. Le rievocazioni del passato,
specie quando vi è coinvolta la fotografia,
inducono a nostalgia. Qui, vi è
molto da ammirare, nulla da rimpiangere.
Troppo duro.
Enrico Nori
L’immagine del tabernacolo di marmo
alla memoria di Bettino Craxi, eseguito
negli Studi d’Arte Cave Michelangelo di
Franco Barattini, cala dal cielo sopra il
Cimitero Monumentale di Marcognano,
a Torano di Carrara. Due angeli candidi
tengono le mani a coppa a raccogliere
l’acqua sorgente di vita. Due putti vergini
sorreggono l’icona di Bettino.
De Profundis per il progetto di Maurizio
Cattelan artista esperto in sobillazione
culturale, post dadaista, post duchampiano,
o duchampista tra virgolette; artista
intelligente ma arguto. Non è riuscito a
levare la statua del profeta repubblicano
Giuseppe Mazzini in periodo di Biennale,
e piazzare al suo posto quella di Craxi.
Sollevazione popolare minacciata, dai
patrioti di Carrara. Allora Cattelan si è
La Statua della Madre Russia a Volgograd. È una delle statue più alte del mondo. La statua della donna
che raffigura la madrepatria è alta 52 metri e la spada 33 metri, per un totale di 85 metri. © Zindox
POST MONUMENT
DE PROFUNDIS AL PROGETTO DI CATTELAN
deterso il sudore artistico, proprio col sudario
dell’ingegno. E lancia la sua nuova
sfida all’interno del cimitero , fra tombe
di marmo a ridosso di cave di marmo. La
morte dell’idea di Craxi è certificata vicino
al monumento agli Alpini. “Il tramonto
degli eroi non avrà mai sera”.
Il fantasma di Bettino senza catene ai piedi,
da Hammameth torna finalmente in
Patria e aleggia nel camposanto chic della
libertaria Carrara. Nuove proteste s’attendono?
Forse quelle dei vivi e financo
dei morti dalle belle orgogliose cappelle.
Cappelle che fanno la moda. Cappelle
di sinistra, di centro e di destra; sepolcri
imbiancati, sinonimo di distinzione di
classe. L’emarginato Bettino Craxi reagisce
ma non s’ appella più al suo “Frankenstein”
Cattelan, bensì al famoso triste
verso di Antonio de Curtis in arte Totò:
“La morte sai cos’è?... è una Livella…”.

pagina 9 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
POST MONUMENT
L’ULTIMA “FOLLIA”
DEL GENIO
PAUL MC CARTHY
Missione artistico - culturale milanese,
ospiti nella “Pig Island” del
leggendario artista Usa Paul Mc
Carthy che esporrà una sua opera in Carrara,
quella effettuata il 20 maggio scorso
dal curatore della Biennale Fabio Cavallucci,
la coordinatrice Cristina Natalicchio, la
imprenditrice Francesca Nicoli e Vittorio
Prayer dell’Ufficio Stampa civico, inviato in
loco dal Sindaco Zubbani. La “Fondazione
Trussardi” ha allestito e inaugurato nell’antico
“Palazzo Citterio” in Via Brera, una
“mostra” al noto e discusso “mostro” nativo
di Salt Lake City, ma cittadino dell’universo
contemporaneo. L’esposizione fa
già tanto parlare e scrivere di sé la Grande
stampa nazionale ed estera; come farà
parlare e scrivere la scultura che il “Folle”
Paul sta realizzando nella nostra città, un
gigantesco estremento umano a valorizzare
tutto ciò che espelliamo e cerchiamo di
nascondere..
Il percorso iniziale è da brividi: si scorge
in una stanza screpolata il verissimo autoritratto
scultoreo dell’artista da morto, seminudo,
che ci risospinge indietro tra frammenti
di corpi, immagini deliranti e urla
silenziose. Esposti alcuni lavori dei cicli
recenti elaborati da Paul Mc Carthy, opere
indicative che confermano la immensa
capacità tecnico-scenografica dell’autore.
Celebri fotografie e video che ritraggono
Paul Mc Carthy e Fabio Cavallucci
scene di allucinata violenza orgiastica e che
fanno da corollario ad oggetti a caratura
variegata, quali le “Body Sculptures” od il
“Mechanical Pig”, struttura dalle complesse
tecnologie elettroniche che dirigono i
movimenti di un maiale in silicone fra sospiri,
ansiti e movimenti di coda. Impatti
devastanti tra giochi di luce ed ombre dove
a un certo punto non si tratta di sculture,
bensì di roba complessa che non vuole essere
rappresentativa, ma dimostrativa, che
assorbe totalmente il visitatore. Cose gigantesche
da set cinematografico, dove ogni
sentimento di orrore scatenato dal genio
Mc Carthy si tramuta in sarcasmo ed ironia.
Tracce e ancora tracce di “ketchup”,
che in “fiction” sono schizzi di sangue
che cola dappertutto. Succhi di cioccolato
fuso, tra carrelli, casse da imballaggio, porte
sfondate che lasciano intravvedere gente
decapitata e brandelli di carne lacerata. Gli
spettatori inermi dinanzi alle scene “diaboliche”
nella caverna del magnifico orrido,
piano piano divengono ospiti consapevoli.
Nel corso della magnifica serata culturale
in onore al genio McCarthy, il curatore della
nostra prossima Biennale Fabio Cavallucci
ha intrattenuto nientemeno che Mau-
Studio Nicoli. La provocatoria opera per la Biennale McCarthy, Ermafrodita
La visita alla mostra
milanese «Pig Island,
l’Isola dei porci»
dell’artista americano, in
attesa di ammirarlo alla
Biennale di Carrara
rizio Cattelan, in persona. Tra McCarthy e
Cattelan, entrambi a Milano ma presto in
trasferta artistica sotto il cielo di Carrara, si
può concludere che… Più provocazione in
arte contemporanea di così... si muore!

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 10
POST MONUMENT
ANGELO ZUBBANI
“STESO” DAI TAGLI
DEL GOVERNO
Il Sindaco Angelo Zubbani si è steso a
terra per la prima volta quando a Carrara
arrivò lo spericolato ciclista Brunotti,
inviato speciale di “Striscia la Notizia”,
a cercar di riparare a danni ambientali. Il
Primo Cittadino fu democraticamente e allegramente
supino nel suo studio a Palazzo
Civico, mentre Brunotti, come fanno gli
squali, gli girava attorno con la bicicletta.
La seconda volta del Sindaco disteso, fascia
tricolore indossante, accadde a Firenze il
20 maggio scorso assieme a tanti altri colleghi
dei comuni d’Abruzzo, Emilia Romagna,
Lazio, Marche, Umbria e Toscana. Le
serissime ragioni della “performance” le
riportiamo integralmente…
La terza volta dell’Angelo Zubbani sdraiato
è avvenuta domenica mattina 23 maggio
scorso in Piazza D’Arme. Il Sindaco di
Carrara ha replicato la protesta sua e dei
colleghi dell’Anci messa in atto in Piazza
Della Signoria a Firenze contro i tagli di
fondi agli Enti Locali, i minori trasferimenti
monetari ed i vincoli posti dal Governo
centrale ai “Patti di stabilità”.
Zubbani ha colto la mirabolante occasio-
Massimo Menconi, Enrico Isoppi, Nicola
Marchetti e Leonardo Buselli
La performance del Sindaco Zubbani
ne offerta dall’artista inglese della Biennale
Gillian Wearing , che ha immortalato
in obiettivo fotografico tanti cittadini del
mondo ed ora diversi “carrarini”. Tutti in
posa per prossime scenografie di Biennale
di Scultura: Consiglieri e Capigruppo comunali
compresi, quali: Enrico Isoppi (Repubblicani),
Massimo Menconi (Rifondazione
Comunista), Nicola Marchetti (Comunisti
Italiani) e Leonardo Buselli (Psi).
Simpatica la loro “impresa”, improvvisata
su di uno spessore rettangolare in marmo:
tutti nell’atto di scacciar via dal “monumento”
il socialista Leonardo Buselli, che aveva
sostenuto l’ideazione di Maurizio Cattelan:
ossia quella di traslare
per i tre-quattro
mesi di Biennale, la
statua a Giuseppe
Mazzini, per far posto
a quella di Bettino
Craxi. Occasione
od inopportunità ormai
sfumate. E così il
Sindaco Zubbani si è
sdraiato sul freddo
marmo, recante la
vistosa incisione di
“Monument”.
E dichiarando: Proprio
noi, che siamo
Comune virtuoso rientrato
nel Patto di
L’originale protesta del
Sindaco contro i tagli
monetari ai Comuni ed
i vincoli posti ai “Patti
di stabilità”
stabilità, non siamo stati posti in grado di
spendere un euro per la messa in sicurezza
di edifici pubblici, o per migliorare la qualità
della vita dei nostri concittadini….
La grande artista anglosassone Gillian Wearing
ha fatto “Click” sul Sindaco supino,
mentre la gente intorno così commentava
la “gag” artistica: “Solo chi cade può risorgere!
Ma la vecchia battuta non si adatta
ad Angelo Zubbani uomo e politico, che si
sdraia sul lettino di marmo di sua spontanea
volontà. Tre volte disteso il nostro Sindaco
-concludeva la massa- malgrado cavalchi, al
galoppo, gli anni del consenso…”.
(V.P.)

pagina 11 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
POST MONUMENT
L’ARTE?: “NIET”
PROVOCAZIONI, SOLO
SORRISO E SPERANZA!
In una cornice che sfida
il torpore e stimola le riflessioni
più acute, incontriamo
l’artista tedesco Frank
Breidenbruch, alle prese con i
suoi ultimi lavori. Lui li chiama
“Testimoni”: serie di acrilici su
carta in cui il colore è steso a
valorizzare antiche fotografie e
“33 uova d’oro”.
Allestimento che verrà presentato
tra le opere collaterali alla
Biennale. Trentatré piccole tavole
di legno con un vero uovo
ciascuna, svuotato dell’albume
ma non del tuorlo. Un uovo
tutto rivestito d’oro.
La fervida mente dell’artista,
senza stimolo alcuno, inizia
la sua “danza rovente” che lo
porta a percorrere una strada
contornata da carboni ardenti,
verso i quali e non di rado, devia
con piacere.
Partendo dall’uovo, l’artista
tedesco sintetizza il senso della
vita ed attraversa secoli e imperi,
da Leda a Gesù, da Cristoforo
Colombo alla pietra filosofale,
fino alla palla di Piazza
d’Arme.
Frank non manca anche di lanciare
polemici strali, all’indirizzo
di quegli “artisti” acclamati
da una città che rivela, proprio
attraverso tale ovazione, tutti i
suoi limiti.
Breidenbruch giustifica la sua
opera, difende la sua creatura,
ne spiega percezioni e contenuti:
non c’è posto, nella sua arte,
per fantomatiche istigazioni,
improbabili installazioni o processi
di massa. Il “teutonico”
si sofferma sul valore di ogni
esistenza che nasce proprio
dall’uovo, contenitore di esplosiva
forza germinale; e richiama
il mito orfico della creazione:
Frank Breidenbruch
quando la nera e alata Notte
si congiunse al Vento e generò
proprio quell’uovo da cui Eros
nacque. Non manca di sottolineare
ogni universale creazione
di materia in esso contenuta, lo
sfondo simbolico che ha rappresentato
in ogni tempo ed in
ogni luogo; il richiamo al Sole
e alla Luna, splendenti eterne
uova d’oro e d’argento.
Frank è incline a farsi suggestionare
da filosofiche riflessioni,
affascina e affabula; poi
si lascia attraversare dalla catartica
acqua del mare, prendendo
l’esempio di una goccia
d’acqua: la prima a cadere in un
recipiente o l’ultima a lasciarlo.
Frank ci avverte che non c’è
differenza nella sostanza perché
sempre d’acqua si tratta. Un relativismo
della conoscenza che
lo porta a dire: “Siamo soltanto
gocce nel mare della vita: presa-
gi di grandi catastrofi o grandi
miracoli”.
Con un sorriso ironico indossa
la veste di “Joker” (il più pazzo
sulla nave dei folli), e torna
a lanciare una ferale stilettata
all’indirizzo di quello che sembra
essere, da qualche tempo,
l’unico artista sulla piazza:
“Frank-Joker”, come il giullare
alla corte del re, rischia la
testa ogni giorno perché non
può permettersi di sbagliare un
solo colpo. Nell’arte, come nella
vita. “Qualcun’altro, in città,
sembra avere conquistato troppa
potenza ed essere il tutore
unico del verbo rivelato. L’artista
che ha troppa potestà non
è più un “Joker” che vive e gratifica
con la sua sana follia: esso
non rischia più, ma perde la sua
dote migliore: l’autenticità”.
Il sorriso ironico lascia il posto
ad una vena malinconica, e
Frank
Breidenbruch,
artista tra ironia,
malinconia e...
33 uova d’oro
Frank sembra amareggiato per
le continue provocazioni fini a
se stesse a cui siamo chiamati
ad assistere quotidianamente.
Così, prima del congedo, Lui
chiosa: “Una merda non è più
una provocazione, è solo uno
spreco di materiale, energie e
intelligenza”. Comprendiamo
la lezione di chi si schiera apertamente
contro il cinismo perché
Frank Breidenbruch, con
i suoi “Testimoni”, le sue “33
uova d’oro”, quelle tentate lezioni
di vita e tante aspirazioni
eterne, cerca sempre, in fondo,
il sorriso e la speranza. Questo
il suo vero messaggio finale rivelato:
“l’arte non deve stupire,
ma donare sorrisi e farci accarezzare
speranze”. Che non abbia
ragione?
Riccardo Forfori

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 12
POST MONUMENT
IL CRISTO DEL DITTATORE
SALVATO DA FIDEL CASTRO
IL RIVOLUZIONARIO
Scultori Aldo Buttini e Jilma “Orchidea selvaggia” Madera. La storia del sacro
colosso che dovrà essere magnifico, alto 15 metri, più tre di basamento...
Avana, isola di Cuba, inizio gennaio,
anno 1959. La rivoluzione trionfa,
Fidel Castro ha già sgominato
le schiere del dittatore Fulgenzio Batista,
il quale proprio nella notte di Capodanno
fugge in aereo verso Santo Domingo, portandosi
appresso un bottino di centinaia
di milioni di dollari. Nelle ore del caos da
insurrezione e delle espiazioni, qualcuno
informa Fidel che i suoi “Barbudos” hanno
minato una colossale statua di marmo, voluta
dal tiranno e inaugurata nel Natale 1958,
pochi giorni prima della vittoria del “pueblo”.
Castro incuriosito si reca sulla collina
che domina la Bahìa, il porto dell’Avana
nell’oceano Atlantico e il villaggio di Casablanca.
Il capo guerrigliero scorge un Cristo
candido, dal volto di meticcio, ergersi tranquillo
e maestoso sulla sua terra, nell’atto di
benedire uomini e cose.
“El llegò con migo. El Cristo de la Habana
serà el protectòr de la revolucion. El auctor
de mi suerte”. In poche parole Fidel dice:
“Lui è venuto con me. Il Cristo dell’Avana
sarà il patrono della rivoluzione e mi porterà
fortuna”. Poi, forse memore dei teologi
della liberazione del Sudamerica, che vide
apostoli combattenti e martiri come i vesco-
vi Romero e Recife Elder di Camara, Castro
ordina di disarmare l’esplosivo piazzato alla
base del Nazareno cavato dai monti di Carrara,
plasmato ed eretto da maestranze di
Carrara, sotto la guida di una artista donna
cubana e di uno scultore di casa nostra.
LA STORIA DELLA
“ESTATUA DE CRISTO”
Il 13 settembre 1957 un gruppo di giovani
rivoluzionari indipendentisti in armi prova
ad ammazzare Batista, che anni prima
ha preso il potere con un “golpe” militare
e “regna” da despota su Cuba, appoggiato

pagina 13 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
El Cristo de la Habana
dalla mafia italo-americana ed ebraica, che
ha trasformato l’Avana in una grande bisca.
L’attentato viene compiuto dinanzi agli occhi
della moglie del dittatore, che terrorizzata
si raccomanda l’anima a Dio e pronuncia
un voto: “Se Fulgenzio si salva la vita prometto
di innalzare un monumento a Gesù,
come quello che si erge a Rio De Janeiro in
Brasile”. Il tirannicidio sfuma per un pelo
e gli esecutori vengono passati per le armi.
Ora Marta Batista deve mantenere la promessa
e far scolpire il Cristo per la “Buena
Suerte” del marito: un “Ex Voto”, o sorta
di esorcismo da paura. La quarantaduenne
Jilma Madera da Cuba presenta un bozzetto
alto un metro, che raffigura il Cristo eretto
col volto dai lineamenti tropicali. L’artista,
che anni prima aveva scolpito nel marmo il
busto dell’eroe-martire cubano José Martì,
si aggiudica la notevole commessa. Ma i
Batista pretendono che il simulacro del Redentore
superi in altezza i più grandi palazzi
dell’Avana e che venga ricavato dal marmo
bianco, colore dell’assoluto.
CORRE L’ANNO 1957
A miglia e miglia di distanza, al di là
dell’oceano, lo scultore carrarese Aldo
Buttini (conosciuto per le sue Statue degli
Atleti al Foro Italico), viene contattato
dall’Ambasciatore di Cuba a Roma che gli
chiede la sua disponibilità a coadiuvare la
Madera nella realizzazione della complessa
opera: “Che dovrà essere magnifica, alta 15
metri, più tre di basamento”. Di provvedere
al marmo necessario, agli operai per la lavorazione,
alla spedizione, al montaggio e
“messa a dimora” della scultura sul suolo
dell’Avana. Prezzo pattuito: circa 100 milioni
di lire dell’epoca. Il babbo era genero
di Ottavio Dell’Amico -racconta l’architetto
Giuliano Buttini- uno dei maggiori industriali
del marmo, la cui azienda tra cave,
laboratorio e segheria, annoverava oltre 300
lavoratori e specialisti. Niente di più facile
dar vita al titanico Cristo, con le tecniche del
nostro mondo di marmo. Mentre nelle cave
della “Scalochiella” a Colonnata vengono
estratte 600 tonnellate di marmi, Jilma Madera
arriva a Carrara. Donna e artista ricca
di maestria e fascino latino, il suo nome nella
scomparsa lingua tribale caraibica “Sipa”
significa “Orchidea selvaggia”. Per un anno
e mezzo (fino all’agosto 1958), la scultrice
lavora 16 ore al giorno intorno al suo Cristo,
all’interno della grande segheria di Ottavio
Dell’Amico lungo il Viale XX Settembre
in zona detta “Piombara” ad Avenza. Nella
difficile impresa (per realizzare il “Santo
Colosso” si devono far combaciare perfettamente
12 segmenti di marmo orizzontali e
67 verticali), la assistono Aldo Buttini e un
gruppo di ottimi operai specializzati guidati
da Armando “Armandino” Chinca.
I giornali di Cuba seguono periodicamente
la straordinaria opera, che nella sua complessità
si può definire un intreccio di spessori,
di tagli e fili per ricami di marmi. O danza di
subbie, scalpelli e martelli, a compiere il mirabolante
“collage” di Gesù. Héctor Arturo
da Cuba, scrive: “La scultrice Jilma Madera
si è trasferita in quella Carrara dove vengono
realizzate le statue più belle del pianeta.
Il marmo bianco che aveva sognato è
stato estratto ed ora lei sta scolpendo

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 14
LA STORIA
DEL REDENTORE
SALVATO DA FIDEL
l’immagine di un Cristo uomo e “leader”
del suo tempo. Il Cristo del riscatto
di Cuba che suscita sentimenti di vigore,
fermezza, serenità e sicurezza in se stessi.
Madera è vicina agli operai giorno e notte,
modifica i tagli secondo i volumi e le teorie
delle ombre. Il corpo di marmo prende forma.
Le sue sezioni lavorate da mani umane
sono sollevate da gru e deposte ad incastro,
a congiungersi alla perfezione”. Mese dopo
mese la statua viene rifinita e assemblata. Jilma
Madera ne affina il volto, le mani, i piedi.
In quel periodo, tra il 1957 e il 1958, da
Cuba giungono notizie rivoluzionarie: Fidel
Castro e Che Guevara stanno conquistando
l’isola palmo a palmo. A Carrara proprio
mentre si sta ultimando il monumento trova
tragica morte Paolo Buttini, giovane e assai
promettente artista figliolo di Aldo. Il padre
non gli sopravvive che tre mesi e muore di
crepacuore. Una mazzata per tutto l’entourage
del Cristo di marmo. Ma il lavoro va
avanti -afferma Giuliano Buttini nell’ancora
angosciante ricordo- va avanti... comunque.
Verso fine agosto 1958, un’armatura di acciaio
e cemento costituisce lo scheletro della
gigantesca statua foderata di marmi, ad
immagine e somiglianza del Redentore. In
tre pezzi principali viene caricata su vagoni
ferroviari, che dalla stazione di S. Martino
partono alla volta del porto di Genova. Le
mani, i piedi e la base vengono spediti successivamente.
Poi la sacra composizione,
che ora pesa 320 tonnellate, è imbarcata su
una nave in rotta verso l’Avana. Il 3 di settembre
la statua viene montata sulla collina
a ridosso di Casablanca a 51 metri sul livello
del mare. Ad assistere ai lavori sono arrivati
da Carrara Armandino Chinca e altri collaboratori.
Jilma Madera depone all’interno di una nicchia
alla base, alcune monete d’oro e d’argento
che recano la data dell’anno della sua
nascita, oltre a giornali con le cronache relative
alla fantastica storia. Auspicio o presagio?
NATALE 1958
Giorno della Natività e dell’inaugurazione
della “Estatua de Cristo”. Sulla collina arrivano
Fulgenzio Batista e consorte assieme
ANNO 1962. DUE EPISODI
SUL CRISTO DELL’AVANA
GIUGNO 1962. Carrara inaugura l’attuale nuovo Palazzo Comunale in Piazza II
Giugno (ex Colombarotto). Da tempo l’amministrazione è in contatto d’amicizia con
Erevan, capitale dell’Armenia, città ricca di storia, cultura e civiltà di lavoro. Alla
cerimonia interviene la delegazione ufficiale armena, col Sindaco Grigor Hastratian.
La nostra Amministrazione è guidata dal Sindaco Filippo Martinelli. Il 12 giugno la
“Giunta Martinelli” sancisce il gemellaggio ufficiale con Erevan e stila un protocollo
di amicizia destinato a durare nel tempo. Un anno dopo, l’otto agosto 1963, il Sindaco
di Carrara scrive al collega di Erevan: “Lieto di informare che Le ho spedito per
ferrovia due casse contenenti abbozzi di grandi mani, scolpite in marmo bianco. È il
dono che invia la città di Carrara alla sorella Erevan, a titolo di pegno dell’amicizia
che lega le due nostre municipalità, e a ricordo del gemellaggio effettuato. Ho fiducia
che il popolo di Erevan gradirà il dono e mi auguro che esso giunga a destinazione in
buon ordine. Voglia ricevere i miei più cordiali saluti e quelli di tutta Carrara”.
Le due mani di marmo, che misurano più di 2 metri, altro non sono che la copia identica
di quelle del Cristo dell’Avana, sbozzate da Jilma Madera nel 1957/58.
Il Sindaco Martinelli le ha chieste in omaggio ad Ottavio Dell’Amico che le ha donate
volentieri. Dopo quasi mezzo secolo esse sono ancora in bella vista in uno dei principali
viali del centro di Erevan. Mani congiunte, quasi in preghiera, che gli armeni
chiamano “Le mani dell’amicizia”.
OTTOBRE 1962. La Guerra Fredda tra Usa ed Urss raggiunge il suo culmine con
la insidiosa storia dei missili a Cuba e dei blocchi navali effettuati dagli americani
alla Baia Dei Porci; ad impedire il trasporto di materiale bellico e nucleare sovietico
nell’isola di Fidel Castro. Il mondo trattiene il respiro, mentre non pochi pessimisti
presagiscono che stia per scoppiare la Terza Guerra Mondiale. Verso fine ottobre
Nikita Kruscev ordina lo smantellamento di razzi e testate e il rientro delle navi in patria.
I bastimenti salpano le ancore dal porto dell’Avana e poco dopo solcano le acque
proprio sotto il grande Cristo bianco di Casablanca. Tutti i telegiornali del mondo
mostrano l’esodo che si svolge dinanzi al simulacro di marmo, che pare benedire tutti:
americani, russi, cubani, guerrafondai e pacifisti... di buona volontà.
a scarsi dignitari e molti miliziani dall’aria
incupita. Sono presenti gli specialisti Chinca
e altri di Carrara che hanno dato gli estremi
ritocchi al monumento. Ma la “prima”
avviene senza tante cerimonie -hanno scritto
in seguito i giornali cubani- perché neanche
Gesù Cristo in persona avrebbe potuto salvare
l’agonia del tiranno. Come nelle tragedie
di Shakespeare che si avvertono da lontano,
il regime di Batista ha le ore contate e i rivoluzionari
di Fidel Castro stanno per arrivare.
Subito dopo Natale Armando “Armandino”
Chinca e i suoi uomini vengono fatti
imbarcare in fretta e furia su una nave verso
l’Italia. Correte, correte -dicono loro gli uomini
di Batista- qui fra poco ci fanno fuori
tutti. Il resto è storia, fino a Capodanno del
1958/59 e dopo Capodanno, quando Castro
conquista il suo duraturo potere. In seguito
alla “Revolucion” Jilma Madera passa brutti
momenti, ma per fortuna il suo Cristo, voluto
dal passato regime, è gradito al nuovo
capo. Poco prima di morire nel 1998 all’età
di 83 anni, Jilma viene avvicinata da un giornalista
che porta il nome profetico di “Jesùs”
Risquet. La vecchia signora, ritenuta la
migliore ritrattista di Cuba e autrice della
più grande scultura che sia mai stata fatta da
una donna, si lascia intervistare sul grande
monumento, da lei eseguito 40 anni prima.
Ho fatto Gesù adulto, tropicale e meticcio,
perché Cuba è una mescolanza di razze e di
culture. Contemplativo e paziente, che giorno
dopo giorno dal 1958 osserva la nostra terra
dalla collina. Ascolta e benedice le gioie e i
dolori dei cubani. Mi sono ispirata -ha detto-
ai versi dell’apostolo-martire dell’indipendenza
cubana José Martì, che ha lasciato scritto:
“Voglio dividere la mia sorte coi poveri della
terra”.
Se tornassi indietro sulle montagne di Carrara
lo rifarei esattamente uguale: umano ma
giustiziere, forte ma fragile. Soprattutto -ha
concluso Jilma Madera- lo rifarei col volto da
creolo. Come siamo noi di Cuba.
(V.P.)

pagina 15 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
POST MONUMENT
IL LOGOTIPO
DELLA BIENNALE
Giovedì 3 giugno alle ore 18.30
presso la Sala di rappresentanza
del Comune di Carrara si è tenuta
la premiazione del progetto vincitore del
Bando di Concorso per la realizzazione del
marchio logotipo della Biennale internazionale
di Scultura. Il concorso è stato vinto
da Tomas Ghisellini, architetto ferrarese,
professore associato presso la Facoltà di
Architettura di Ferrara.
È sorto il logo per la Biennale Internazionale
di Scultura -commenta Giovanna Bernardini,
Assessore alle Politiche Culturali
del Comune di Carrara- il marchio che da
quest’anno accompagnerà tutte le edizioni
per rafforzarne presa comunicativa ed identità.
Selezionato dopo un attento esame di
numerosi progetti, il nuovo logo sintetizza
graficamente i molteplici significati connessi
all’evento espositivo. Un grazie va alla
“Associazione Amici dell’Accademia, e in
particolare alla signora Lina Sicari, che ha
dimostrato amicizia anche nei confronti della
Biennale, facendosi carico di un’iniziativa
che qualifica ulteriormente questo quattordicesimo
appuntamento con l’arte contempo-
Cherubino Binelli: pittore, scultore,
poeta, scrittore, “film maker”. Nato in
Carrara alle 17,20 pomeridiane del 30-
11-1920. Morto in Carrara alle 5,00 del
mattino del 15-11-2001.
“Il bambino che vive in tutti noi Cherubino
non l’ha represso, anzi, l’ha mantenuto
ben desto, facendosi guidare per acquisire
quella sua speciale ottica artistica,
nella quale il gioco s’è fatto metodologia
espressivo - creativa. Tuttavia Binelli è
uomo colto e, pertanto, quando gioca lo
fa sapientemente, ricaricando l’arte delle
sue più genuine valenze ludiche che co-
ranea a Carrara.”
La gara ha visto la partecipazione di 153
progetti presentati da singoli, gruppi, grafici,
designer ed artisti da tutta Italia.
Il nuovo logotipo della Biennale -dichiara
Lina Sicari, Presidente dell’Associazione-
nasce dalla felice unione fra idee proposte
dal curatore Fabio Cavallucci e il mecenatismo
di un’associazione culturale, appunto
quella degli “Amici dell’Accademia”. Collaborazione
che si pone come modello virtuoso
di sostegno all’arte, non sempre praticato e
Tomas Ghisellini è il
vincitore del bando
di concorso per la
realizzazione
del nuovo marchio
cercato, ma che rimane una risorsa fondamentale
per la realizzazione di progetti ad
ampio respiro. L’Associazione lascia in questo
modo un segno tangibile e riconoscibile
legando, oggi come ieri, il suo nome alla
Biennale.
Alla commissione, che si è riunita il 24
aprile 2010, hanno preso parte Marco Baudinelli,
Direttore dell’Accademia di Belle
Arti di Carrara dal 2003, Fabio Cavallucci,
Direttore Artistico della XIV Biennale Internazionale
di Scultura di Carrara e il Professore
Flavio Maria Giuseppe Lorusso,
Presidente del corso di Laurea Magistrale
in Architettura dell’Università di Firenze.
Presidente della giuria, l’artista svizzera
Cordelia von den Steinen, vedova di Pietro
Cascella, già allieva di Marino Marini e insegnante
di disegno e scultura.
La commissione ha individuato nel progetto
di Tomas Ghisellini, la risposta più convincente
rispetto alle finalità del bando.
Inoltre essa ha ritenuto segnalare, a titolo di
menzione d’onore, i progetti presentati da
Emanuele Zenoni e Paolo Giacomazzi, rispettivamente
secondo e terzo classificato.
POST MONUMENT
L’ARTE RICORDA IL SUO CHERUBINO
stituiscono “sempre” l’essenza connotativa
dello sperimentalismo…”.
Giorgio Di Genova
Stralcio tratto da Cherubino Binelli, la
“follia” del linguaggio. Edizioni Bora
(Bo). Catalogo artistico edito nel gennaio
1983, a cura di Giorgio Di Genova, con
una nota di Luigi Fontanella e il patrocinio
del Comune di Carrara, Assessorato
alla Cultura; e della Accademia di Belle
Arti di Carrara. Mostra di opere di Cherubino
Binelli, Aula Magna della Accademia,
8-30 gennaio 1983.

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 16
LA SCOMPARSA DI LOUISE BOURGEOIS
CIAO GRANDE
DONNA, AMANTE
DI CARRARA
Louise Boirgeois, francese di nascita
statunitense di adozione, artista sublime
e femminista, quasi centenaria
ma attivissima, si è spenta nella sua casa di
New York City. La stampa internazionale
ha parlato tanto della scomparsa di questa
“donna genio-donna ragno”: (la sua enorme
scultura della madre-ragno è tra i simboli
della “Tate Modern” di Londra, sacro
tempio dell’arte contemporanea).
Scultrice amatissima nel mondo, ricercatrice
assai innovativa, regina dell’espressio-
Louise Boirgeois, Janus fleuri, 1968
Louise Boirgeois, Maman, National Gallery of Canada
nismo astratto americano, Luoise amava
Carrara e il suo marmo. A due opere d’arte
esposte al Moma di New York e alla Tate
Modern a Londra, Louise ha dato i titoli di
“Avenza” e “Colonnata”.
Durante la Biennale di Scultura di due anni
fa, curata da Francesco Poli, nel Parco della
Padula vennero esposte opere gentilmente
concesse a Carrara personalmente dall’artista
che scelse di collocarle in mezzo al
verde degli antichi giardini “Fabbricotti”.
Il Sindaco di Carrara Angelo Zubbani ha
espresso pubblicamente il cordoglio della
AMBASCIATORE USA A CARRARA
CANDIDE STELLE E STRISCE
La “donna ragno” si è
spenta a 99 anni.
Fu una delle principali
rappresentanti
dell’espressionismo
astratto
città per la morte della grande vegliarda.
Centinaia di tonnellate di marmi speciali
per i famosi “occhi-panchina” di Louise
Bourgeois, sono oggi in lavorazione negli
“Studi Nicoli” a Carrara.
Occhi, che forse guardano la loro vecchia
signora ascendere al cielo dell’arte dei
grandi uomini.
Pardòn, delle grandi donne.
Louise Boirgeois, Avenza
La bandiera americana a “Stars and Stripes”, la “Old Glory” del popolo
che abita la terra del Presidente Obama, “sventolerà” nel biancore del
marmo nostro a “Palazzo Margherita” in Via Veneto a Roma, sede dell’Ambasciata
Usa. A ricevere lo stendardo di marmo dalle mani del Sindaco Angelo
Zubbani, è arrivato in città nientemeno che l’Ambasciatore David Thorne.
Nel frangente c’era anche Mary Ellen Countryman, Console Usa a Firenze.
“Old Glory” è stata scolpita nello statuario delle cave di Franco Barattini al
“Polvaccio” di Torano; autore Luciano Massari, che è anche il direttore degli
“Studi di Scultura Michelangelo” dove si è tenuta la magnifica cerimonia;
presenti l’assessore alla Cultura Giovanna Bernardini, il Presidente Crc Ciro
Gaspari, il Presidente della “Fondazione Crc” Alberto Pincione e il Presidente
della Camera di Commercio Norberto Ricci. Un nuovo patto di amicizia e di
collaborazione con gli Stati Uniti d’America è stato saldato dal Sindaco di Carrara e dall’Ambasciatore Thorne, dinanzi ad un tavolo
“logicamente e rigorosamente” ricavato dal marmo bianco, conosciutissimo da David Thorne e famiglia. Noi Thorne da generazioni
amiamo l’Italia e Carrara -ha ammesso l’Ambasciatore-; questa vostra Città Bianca i cui scultori come Franzoni, Iardella ed Andrei -tanto
per citarne alcuni- un paio di secoli fa contribuirono alla ristrutturazione e all’abbellimento del Campidoglio a Washington…”. Angelo
Zubbani (che ha ricevuto in dono dall’Ambasciatore Usa un calice d’argento con frase d’amicizia incisa), ha sottolineato l’importanza
della radiosa giornata del venerdì 11 giugno; tra breve il nostro Sindaco sarà invitato a Roma nella sede dell’Ambasciata Usa. Nel giardino
di “Villa Margherita” David Thorne inaugurerà “in pompa magna” il vessillo donato da Carrara all’America di Barack Obama.

pagina 17 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
MIRACOLO IN GALLERIA
LA MADONNA
DI CARLòN
IL “BOLSCEVICO”
Il “graffito di Dio” in realtà
disegna la Vergine col
Bambino. Bassorilievo del
miracolo, in effetti l’ha scolpito
il caso. Combinazione tutta di
marmo, perché siamo nel ventre
delle montagne di Carrara.
Ironia della sorte la Sacra Immagine
decora l’antro di un comunista,
che lì per lì è rimasto
sbalordito. Dopo, in silenzio
perfetto ma gridando, ha accettato
l’evento e l’ha onorato. Il
“bolscevico” ha rinunciato anche
al business: La Signora col
pargolo in braccio non si tocca.
Proibito! Niente tagli alla bancata.
Anni dopo i clamori delle
cronache giornalistiche l’hanno
fatto imbestialire: Il compagno
Carlòn ha visto la Madonna
-sussurravano le voci da monte
a mare- ormai è fuori di testa….
Immaginatevi la reazione di
questo cavatore provetto,
biondo e nerboruto, nativo di
Bergiola Foscalina, consigliere
comunale per anni tra le file
del Pci, comunista d’onore e
d’azione, burbero benefico,
istruttore disinteressato di giovani
cavatori e titolare -amato
dagli operai- della azienda di
escavazione in galleria “Ravaccione-Fantiscritti”.
Il fenomeno successe 15 anni fa
e sembrava un sortilegio, od un
presagio. “O Carlòn -gridò in
dialetto un cavatore- vieni a vedere
cosa è apparso laggiù dietro
al “pezzo”. Una roba mai vista,
che mi viene anche da piangere.
Mio padre si precipita -racconta
il figlio Eugenio Dell’Amico-
lì per lì aveva paura che si
fosse fatto male qualcuno. Poi
la vede, la Signora, col bambino
tra le braccia. Sembra proprio
Maria Vergine, la Madonna,
comparsa da uno strappo dell’argano
che tirava via un blocco, un
“dente”difettoso dalla bancata
sana. E quel comunista del babbo
ci ordina a tutti: state fermi,
Lei non si tocca più; e te o ninìn
disegnale intorno una capanna
con lo spry rigorosamente in
rosso. Al vertice di questa nostra
speciale Grotta della Natività
Da quindici anni i cavatori
di Ravaccione Fantiscritti
onorano un ex-voto a dir poco
“particolare”, sicuramente
unico nel suo genere
metti una stella scarlatta, che è
molto meglio della “Cometa”.
Però Lei -e ripeto-: Lei, la mamma
di Gesù, non si tocca… più.
E al diavolo gli affari di marmo.
Carlo Dell’Amico è morto qualche
anno fa.
Comunista figlio di comunisti,
iscritto al partito dal 1946. Eccovi
tutte le tessere del Partito
di Antonio Gramsci -mostrava
fiero agli amici, e precisava- con
tutti i bollini regolarmente pagati
alla Federazione.
Suo padre si chiamava Michele,
un gigante alto due metri che in
processione non disdegnava di
portare sulle spalle il pesante
Cristo; eppoi salvò anche dal
saccheggio di guerra il “tesoro”
della chiesa di Bergiola.
Il nonno divenne comunista per
umana e sociale indignazione
-ammette Eugenio Dell’Amico-
e voglia di riscatto della classe
degli umili.
La mamma di Carlòn faceva da
“priora”: puliva, lavava, stirava,
di tutto, per tutti. Ottimo il suo
“minestrone coi fagioli”, che
dispensava a chiunque avesse
fame.
La Vergine col Bambino in
braccio è ancora nell’antro di
Carlòn dove la mano dell’uomo
ha creato un Inferno dantesco
ordinato, fra tagli e fili al diamante
industriale, grattacieli
postmoderni nel grembo del
titano bianco.
I cavatori dal Natale 1995 depongono
luci votive tutt’intorno
ai piedi di Maria, le offrono ginestre
selvatiche raccolte lungo
i sentieri di marmo e rose rosse,
“fiori di sinistra”. Mai visto un
ex Voto così… semplicemente
umano, anzi, sovrumano.
Il “bolscevico” Carlòn -abbiamo
detto- è passato a miglior
vita; ma non sono pochi gli uomini
di marmo che giurano di
avere visto la sua anima ascendere
al cielo. Per un uomo forte
ma benigno come lui, il Paradiso
non poteva attendere...
“Ave, o Maria”.
Vittorio Prayer

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 18
VANESSA BEECROFT IN CITTÀ
UNA STELLA
NEL CIELO
DI CARRARA
È
ritenuta una delle artiste più
innovative e accreditate nel
panorama contemporaneo internazionale
e da poco ha deciso di
cimentarsi con l’arte scultorea a Carrara.
Vanessa Beecroft, solo per amicizia,
regalerà una sua “performance”
alla XIV Biennale.
La “cosa” si terrà a settembre nel laboratorio
d’arte “Nicoli” in Piazza
S. Francesco. Di madre italiana (di
Genova, città dove Vanessa è nata) e
padre inglese, la Beecroft ha trascorso
parte della sua infanzia sul Lago
di Garda (fonte Enciclopedia libera
Wikipedia); tornata a Genova frequenta
il Liceo Artistico, poi si diploma
all’Accademia Linguistica di Belle
Arti.
Segue i corsi di spettacolo dell’Associazione
“La Chiave” di Campopisano,
diretta dall’attore di teatro,
cinema, televisione e cabaret Mimmo
Chianese. Si iscrive alla facoltà universitaria
di architettura, poi si trasferisce
all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano,
dove si diploma nel 1993. Oggi Vanessa
vive e lavora tra New York City che definisce:
“Il primo paese in cui mi sono sentita
D&P ph. Fabio Fantuzzi
Vanessa Beecroft con la bimba Angelica
davvero a casa”; e Los Angeles.
La scelta espressiva della Beecroft, maturata
fin da giovanissima, è stata quella di pensare
e realizzare “performance”, utilizzando
il corpo di giovani donne più o meno nude.
Straordinario “materiale umano”, che vie-
Gente come noi
La giovane artista italiana,
celebrata in tutto il
mondo, regalerà una sua
inconfondibile performance
alla XIV Biennale
ne mosso secondo precise coreografie
come su di una scacchiera invisibile,
con opportuni commenti musicali
e studiato variare di luci. Ciascuna
delle partecipanti deve attenersi con
scrupolo a inderogabili norme che
l’artista impone prima dell’azione, a
creare i suoi “quadri viventi” esposti
in gallerie o musei dell’arte contemporanea
di tutto il mondo. Vanessa
pone al centro della sua riflessione i
temi dello sguardo, del desiderio e
del volubile mondo della moda. Private
di ogni possibilità di dialogo o
di relazione le “sue” giovani donne in
costumi adamitici appaiono congelate
al di là di un’ invisibile barriera.
Il loro mutismo e l’isolamento totale
producono il mirabolante effetto
di far rimbalzare lo sguardo da chi
osserva su sé stesso, trovandosi nel
contempo in situazione affascinante
e di disagio.
A settembre, in data da definirsi,
la bella e grande artista Vanessa Beecroft
omaggerà Carrara di una sua nuova “performance”;
da lei creata apposta sull’arte
dello scolpire marmo.
V.P.
Il loro lavoro spesso non si vede, ma se ne vedono i risultati. Sono oltre 12.000 i dipendenti Manutencoop Facility
Management che, ogni giorno, tengono curati i parchi, calde le aule, puliti gli uffi ci e igienizzati gli ospedali sul
territorio nazionale.
Grazie a loro il Gruppo Manutencoop Facility Management è oggi uno dei protagonisti del Facility Management in
Italia, offrendo ad enti pubblici, grandi gruppi privati e strutture sanitarie, servizi integrati per migliorare sempre più
la vita degli immobili e di chi ci vive dentro.
Paolo Zaniboni Manutentore impianti

pagina 19 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
FOTOGRAFIA
CAVE E
CAVATORI
IN MOSTRA
È
in corso sino al prossimo 30 giugno
lungo la “Sandro Pertini”, passeggiata
di Ponente del Porto di Marina
di Carrara: “Cavatori²”: mostra di
suggestive fotografie di Enzo Cei, dedicate
al lavoro di questa speciale razza di lavoratori;
organizzata da Comune di Carrara e
Associazione Culturale “Artime”, in collaborazione
con Autorità Portuale Porto di
Marina di Carrara, APT Massa Carrara e
Camera di Commercio.
Una promozione turistica di qualità, affidata
a questi splendidi scatti artistici, dedicati ad
un elemento così caratterizzante il territorio,
come è il marmo e il lavoro dei cavatori,
riconoscendo alla fotografia la centralità
nella comunicazione dei messaggi, grazie al
suo valore culturale, garantito in questo caso
dalla scelta di un fotografo importante come
Enzo Cei. È questo il motivo che mi ha spinto
a credere in questo progetto - commenta
il vice sindaco Andrea Zanetti.
Strategico e innovativo è il luogo scelto per
proporre la mostra, inserita nel dialogo perenne
tra le montagne e il mare.
Così la passeggiata Sandro Pertini diviene
l’innovativo scenario per accogliere idee
espositive; anche grazie alla facilità e libertà
di fruizione per pubblico, residenti, turisti
e crocieristi.
Enzo Cei originario di Ghezzano (Pisa), è
cresciuto bene in una famiglia contadina.
Autodidatta, dagli anni Settanta, fotografa
e stampa in bianco nero occupandosi di fotografia
narrativa e scegliendo l’ordinario
come “evento”, dentro storie radicate nel
territorio cui appartiene.
Per aderire alle cose, come gli torna naturale,
organizza la sua attività lontano dalle
leggi proprie della committenza, dedicando
Alleluia a nonna Lucia da Gragnana che mercoledì 18 maggio ha compiuto cento anni, ma non
li dimostra, affatto”. Il Sindaco Angelo Zubbani e l’assessore Giuseppina Andreazzoli levano i
calici in alto e brindano alla salute di Lucia Musetti: “Cento di questi giorni dolce Lucia –dice l’Angelo
di Gragnana, che ribadisce: 100 di questi giorni, ma senza porre limiti al destino…”. Giorno
di festa in casa “Mannoni-Musetti” nei “quartieri alti” del villaggio, circondato da colline fitte di
boschi. Giorno di letizia per nonna Lucia, che è bella e senza una ruga sul volto roseo: lucidissima,
intelligente, verace. “Solo un po’ frastornata –dice lei- di tanta attenzione dei miei cari e addirittura
di quella del mio paesano Sindaco e della mia paesana Giusy; l’ assessora ai soldi comunali…”.
Lucia Musetti, classe 1910, guarda il mazzo di rose bianche donatele. E sorride. Intorno a lei i figli
Michele, Augusta e Maria coi 10 figli e 9 pronipoti a festeggiare la loro cara vegliarda...
L’esposizione delle belle immagini che
Enzo Cei ha dedicato al lavoro dei
cavatori continuerà fino al prossimo
30 giugno lungo la passeggiata
“Sandro Pertini”a Marina
ai suoi progetti il tempo che richiedono.
Lavoro, costume, vissuti sociali e sanità
offrono a Cei idee e risorse utili alla pubblicazione
dei suoi libri, curati affinché
essi rispettino fino in fondo la finalità di
informare… documentando. È un lavoro
che armonizza contatti umani e conoscenza
dei fatti nella luce naturale che li accoglie;
ma diverranno in seguito ostinati e ripetuti
procedimenti di camera oscura, a restituire
alle fotografie quell’ energia espressiva desiderata
dall’autore. Cei, col digitale, trova
oggi il naturale innesto per potenziare le
espressività del bianco- nero, fedelmente
alla sua tradizione.
Andare tra i cavatori è ritornare alla mia infanzia
contadina - racconta Enzo Cei - riconoscere
i tratti della fatica a contatto con la
natura specchiata sui volti e sulle loro mani.
In loro leggo la storia millenaria dell’uomo
nel suo cimento con l’ambiente: giorni e
giorni a sventrare un duro monte, tra nebbia,
gelo, turbinio di vento e calura estiva.
Tra ristagno e scolo di acque, con pulviscolo
disperso… ovunque. E funi, cavi, tagliatrici,
macchine perforanti, pale di trasporto e
caricamento. Il cavatore è lì - conclude Cei
il suo pensiero - figura antica e mitica, a tradurre
quello spirito d’umanità che sempre
più raro si concede all’uomo.
Anna Rossi
BUON COMPLEANNO NONNA LUCIA
CENTO ANNI, NON LI DIMOSTRA

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 20

pagina 21 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
Le nostre radici
RICORDO DI
NARDO DUNCHI
di FRANCESCA ALIX NICòLI
Sostenendo una cosa scontata,
ossia che a Carrara
Nardo Dunchi non ha
bisogno di introduzioni avrei
presto esaurito il mio compito.
«Le sue opere, le sue azioni,
parlano da sé, anche prima di
lui» e avrei detto -per cominciare
limitandomi a quanto è
evidente a chiunque- che anche
il visitatore distratto, il turista
ignaro o il semplice passante,
lasciando il mare e salendo a
Carrara lungo l’asse principale
verso i monti, si troverà di fronte
la sua scultura, enfatizzata
dalla posizione strategica, di
preminenza assoluta nel contesto
della nostra rete viaria, e già
divenuta una specie di guardia
o il faro della nostra città.
L’opera appare semplicemente
perfetta, come il necessario
sviluppo e l’imprescindibile
punto di snodo nella poetica
dell’artista Dunchi. Avrei poi
rammentato che il suo nome
è rimbalzato dalle pagine dello
storico Giorgio Bocca ai ricordi
di Vittorio Sereni, il poeta
ermetico vicino alla rivista
“Corrente”, mentre l’artista e
critico Zeno Birolli si è soffermato
su aspetti essenziali della
sua attività artistica. In questo
modo avrei schivato l’arduo
compito di seguire questi illustri
maestri ma, allo stesso
tempo, avrei tradito la stima
dichiarata e forse anche l’affetto
personale che Nardo mostra
nei miei confronti volendomi
onorare dell’incarico di scrivere
un’introduzione a questo suo
secondo libro. Tanto più che ci
si offre così un’occasione in più
per saggiare intenzioni motivi o
ragioni del suo fare, e riflettere
sul significato della sua opera,
prendere spunto e fare tesoro
della sua missione, della sua
vita da civile e da artista. 2
Rimando alle sue “Memorie
partigiane” chi volesse approfondire
gli aspetti legati al
suo impegno da combattente,
eroiche vicende che lo videro
protagonista, nel corso della
seconda guerra mondiale, della
costruzione di un nuovo mondo,
con la restituzione dell’Italia
al governo democratico, la
riaffermazione della regolare
prassi parlamentare, e il riconoscimento,
almeno sulla carta,
della parità di diritti, doveri e
opportunità di tutti i cittadini
di fronte alla legge. Tocca a
noi ora difendere sviluppare e
diffondere nel mondo ciò che
dobbiamo a chi agì e pensò
come Nardo: i valori della democrazia.
Nei lontani giorni
della guerra, nelle sue fasi conclusive
e nel difficile accordarsi
delle diverse bandiere, con lo
stendardo rosso in prima linea,
Nardo respinse ogni proposta
d’intraprendere la carriera del
politico per non incorrere nel
rischio di dovere sottostare a
imposizioni o condizionamenti
di qualsivoglia genere o specie.
Va da sé, il nostro non ha mai
preso moglie, e ha continuato a
perseguire un ideale di perfetta
uguaglianza di tutti gli esseri
umani, facendo della sua vita
la perfetta incarnazione di un
valore indistruttibile.
Esistono è vero donne che
sembrano fin troppo dedite al
lavoro, ma la maggioranza è
delle molte che riflettono e partecipano
alla vita civile senza
per questo smettere di fare figli
e amare i loro uomini. Quello
di Nardo è un sogno di libertà
assoluto e severo, ma anche
schietto, e soprattutto leggero
e avvincente, un ideale narrato,
rivissuto e offerto in dono
alla coscienza dei più, grazie a
questo libro. Un libro che ha
richiesto all’autore un impegno
e una costanza sostenute
da lungimiranza lucidità e intelligenza
veramente fuori dal
comune, doti rare ed eccezionali
che si coniugano alla sua
calda simpatia. E grazie anche
alla pazienza dell’editore Roberto
Meiattini, possiamo seguire
meglio come per Nardo
quell’ideale, una guida morale,
la libertà, ha trovato nell’arte il
suo sbocco naturale, la giusta
misura esistenziale. 3
Le pagine che seguono sono
un viaggio attraverso gli anni, e
seguirlo non è difficile: Nardo
ci riporta in una Carrara fatta
di strade e di acciottolati ghiaiosi
dove dominano i profumi
dei fiori e delle piante, i rumori
dei carri, gli scherzi dei bambini
agli angoli delle strade. Ci
muoviamo con gli occhi curiosi
e vivaci di un puro, avvinti dal
parlare semplice e chiaro che è
proprio delle persone più sagge
e col sentire immediato degli
entusiasti. Ripercorriamo, con
la penna che corre agile e svelta
in questi ricordi, i primi passi
compiuti nel mondo dell’arte,
mondo cui il nostro era destinato
ricevendo a battesimo il
nome Leonardo.Il talento
precoce mostrato in

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 22
Le nostre radici
RICORDO DI
NARDO DUNCHI
disegni e schizzi eseguiti
a mano libera, prelude agli
anni della formazione negli
istituti scolastici per la preparazione
tecnica e artistica. Di qui
l’approdo nell’ambiente stanco
e stantio dei corsi impartiti
all’Accademia di Belle Arti
giunge ormai come la morte
dell’anima. «Quel rimbambito
del Dazzi l’Accademico d’Italia,
ha fatto un cavallino, lì in
piazza Farini, che nemmeno
un allevatore l’avrebbe lasciato
sopravvivere, con le gambette
a x esili e incerte, l’avrebbero
ammazzato alla nascita». A uno
spirito attento e curioso come
quello di Nardo stavan stretti la
riproduzione fedele al dettaglio
anatomico, la celebrazione delle
giornate eroiche del nostro
risorgimento, la rappresentazione
allegorica della vita di
qualche personaggio illustre.
Da artista e da combattente
Nardo era nato per scardinare
gli equilibri stabili e le certezze
assodate, era nato per essere un
rivoluzionario.
C’era, a salvarlo, il brulichio
di vita e il fervore delle attività
che fiorivano nei laboratori
artistici locali, gli artisti, italiani
e stranieri, in soggiorno
a Carrara, e un’inseminazione
d’idee e di suggestioni varie
che trovarono un interlocutore
privilegiato nella focosa e
malinconica indole di Arturo
Martini. Nell’immediato dopoguerra
lo scultore trevigiano
tornò da Nicoli nei laboratori
artistici in centro a Carrara per
seguire la traduzione in marmo
di un suo progetto dedicato a
Il Palinuro, che era poi la raffigurazione
mitologica della vicenda
del partigiano Masaccio
caduto in guerra da eroe. Fra
i pochi maestri che Nardo sia
disposto a riconoscere, poiché
l’arte non si insegna come fosse
un mestiere, ma scorga da
sé nell’animo ispirato, Martini
non s’impose col suo stile o il
suo modo di pensare, ma per
quel suo destare sempre nuove
occasioni di riflessione, un interrogare
che era forse soprattutto
un interrogarsi. Nardo
andava a trovare il maestro tutti
i giorni dopo le sei. Scendeva a
San Francesco, e dalla chiesa in
piazza e poi giù al laboratorio
nel lieve dislivello delle pendici
del colle di Codena. Al calar
del sole Martini era quasi sempre
dalla Clara, il bar che era lì
a due passi, e sotto il pergolato
odoroso di glicine si lasciava
interrogare dal ragazzo avido
di stimoli che era Nardo, sulla
scultura e sul problema della
sua innovazione, mancando il
quale si sarebbe andati verso
una sua definitiva estinzione.
Ciò che Martini andava scrivendo
all’epoca, è noto, ha fatto
scuola alle generazioni successive
di artisti e ha segnato in
maniera indelebile gli sviluppi
futuri della plastica contemporanea.
Per impartire un nuovo
corso alla scultura del periodo,
non bisognava attardarsi sulla
problematica dell’arte celebrativa
e monumentale, né su quella
del soggetto più nobile per la
rappresentazione artistica. La
scultura è lingua viva quando si
riavvicina ai luoghi comuni, diceva
il maestro. È viva quando
si trova nelle piazze, nelle strade
e nei parchi ripensati dagli
architetti o decorati da scultori
e artisti, quando si rivolge alle
persone comuni che lì lavorano
o si trovano a passare, si
scambiano il saluto, sostano, e
Profilo di Dunchi, Pulica 2007
vivono. In quel periodo di crisi
e di rinnovamento, ai tempi
del Palinuro, Martini sperava
di aprire la scultura a nuove
possibilità e linee di sviluppo
alternative. Meno noto è forse
che egli andava addentrandosi
nelle problematiche legate alla
profonda ispirazione metafisica
della sua opera, e che si soffermava,
nei discorsi con Nardo e
poi sulla carta in scritti minori,
sulla questione, fondamentale,
delle ombre e delle luci. Così,
in un opuscoletto postumo di
pensieri del maestro trevigiano
che oggi è praticamente introvabile,
ritroviamo gli argomenti
cari al Dunchi: a differenza della
pittura, la scultura è soggetta
al variare dell’illuminazione
ambientale e, quando non la
si voglia costringere al chiuso,
subisce il variegato susseguirsi
delle ore e delle stagioni, è
preda degli agenti atmosferici,
e come un fotografo che voglia
immortalarla da più lati, si sottrae
all’apprensione adeguata
in una visione sintetica unica:
in ogni modo la scultura offre
di sé sempre un aspetto limitato
ed effimero. Per fortuna o
purtroppo, nel suo manifestarsi
l’essere viene in luce, mostrandosi
si limita nei confini della
pura apparenza. 4
Fra bicchieretti, frasche nodose
e gli ultimi raggi del sole al
tramonto Nardo e Martini passavano
le ore senza quasi accorgersene.
Martini era un chiacchierone,
dice Nardo, niente a
che vedere con quell’arcigno di
Sironi, ottimo pittore senz’altro,
ma scostante come pochi,
nella glaciale eleganza dei suoi
due dobermann, degli abiti in
tessuti ricercati e tagliati a misura
e della sua compagna longilinea
e incappellata. Quando
s’incrociavano negli studi Nicoli
praticamente si evitavano,
e Martini conquistava tutti con
la parola semplice e poetica, e
l’umorismo balenante qua e là
nei discorsi. A starlo a sentire si
dimenticava la fatica della dura
giornata trascorsa fra la polvere
del marmo con in mano mazzette
scalpelli e compassi. Poi,
ricorda Nardo, un giorno il
maestro fu chiamato a Milano
per un impegno di lavoro sopraggiunto
e lasciò l’amico con
la promessa di continuare la discussione
al suo ritorno. Di lì a
poco, leggendo il giornale Nardo
si sarebbe casualmente imbattuto
in un trafiletto di due
righe che più o meno suonava
così: «Si annuncia la recente

pagina 23 n. 9 - MAGGIO 2010 AgorÀ
scomparsa di Arturo Martini, lo
scultore trevigiano che ha fatto
il Palazzo di Giustizia a Milano
ivi si è spento il 22 marzo scorso
per trombosi celebrale» Era
il 1947, e con quelle mezze frasi
buttate là e i rimasugli di quelle
difficili problematiche che fermentavano
in testa, Nardo era
rimasto solo. Unica ancora di
salvezza, un sogno che era un
misto di libertà, e di arte. Dove,
se non a Parigi, realizzarlo?
Al Deux Magots e al Café Flore
erano anni mitici. Seduti al caffè
o sguscianti nelle vie affollate
del quartiere parigino di Saint
Germain des Près, si poteva
incontrare Tristan Tzara, il giovane
Bréton, o Giacometti alle
prese con la scultura che svanisce,
mentre Simone de Bouvoir
e il compagno Sartre scioglievano
nell’elegante eloquio francese
le rigidità caratteristiche del
primo esistenzialismo tedesco:
credenze, certezze e assunzioni
preliminari del senso comune
erano sospese, ma nel senso di
una coscienza critica che osserva
vigila e demolisce anche
le istituzioni, tornava l’appello
alla purezza della descrizione,
tanto caro ai maestri fenomenologi,
ma il flusso coscienziale
era ormai colto dall’interno
della vita vissuta, assunto forse
in chiave materialistica, o
semplicemente più sensibile
all’urgenza di un più ampio e
consapevole impegno civile.
«Noi figurativi», ricorda Nardo,
«eravamo a Montparnasse,
o potevi trovarci più giù, fra i
fumi e le belle donne che popolavano
fino a tarda notte i locali
del Sélect». Andava esponendo
le sue prime prove su legno, di
cui si ricordano, ad esempio,
quel “Si è rotto l’argine a Oc-
Francesca Nicòli non ha curato l’ultimo libro di Nardo
in vita, “Memorie artistiche”, Roberto Meiattini editore,
Carrara 2004. Ne ripresentiamo solo la sua introduzione,
dedicata alla memoria dello scultore recentemente scomparso
chiobello” che risale al 1952 ed
è di proprietà di Gigino Biso
–perché, dice Nardo, lui mi ha
molto aiutato- o il magnifico,
martiniano Il razzagliatore. Nardo
ripensava il problema della
scultura sull’onda di un realismo
socialista che maturava nei
pomeriggi d’estate a Bocca di
Magra con Franco Fortini, Elio
Vittorini e Vittorio Sereni, per
lo più al “Pontile”. Quegli stimoli
prendevan forma, nei soggiorni
in Italia, nel “laboratorio
dei giovani” sempre da Nicoli,
prima del rientro nella capitale
francese. «Così» ricorda «ero
là anche un primo maggio, e,
nonostante il sacrosanto invito
a una pausa dal lavoro, in quella
data, mi affrettavo a finire la
scultura perché il giorno della
partenza era ormai alle porte.
Dalle finestre di casa s’affacciava
la signora Nicoli; la genovese
Maria Francesca, tutti la chiamavan
Franca per comodità, o
forse per la sua franchezza, anche
lei giustamente desiderava
un pò di riposo, ma il risuonar
dello scalpello, quando non
accompagna i sogni, di sicuro
male non fa, e alla fine mi lasciava
continuare». Ripartiva
carico di energie alla volta della
ville lumière convinto che la
questione delle ombre e delle
luci era la sola veramente importante
per salvare la scultura
dal rischio della retorica e delle
forme morte.
Ora i modi arcaici e paleocristiani
dei primi lavori cedevano
il passo a una riflessione di
tutt’altra portata. Bisognava
abbandonare definitivamente
le forme riconoscibili degli
oggetti di questo mondo, e
salpare coraggiosamente verso
un nuovo e totalmente ine-
splorato continente. Bisognava
“obbligare la luce”: così comparivano
i primi buchi. Quelli
di Nardo non erano né sono
vuoti alla Moore, che Nardo ha
frequentato per anni nei rientri
da Parigi in Versilia, non costituivano
elementi espressivi alla
stregua dei pieni, ma obbedivano
a un’esigenza interiore, sottrarre
la scultura al limite delle
sue molte facce che son sempre
limitate, o, un po’ come Fontana,
seguire la materia nel fluido
magmatico delle sue viscere:
tagliarla è un po’ come bucarla,
puntellarla di fori e fenditure
da cui sgorga l’energia primigenia.
Basta guardarlo mentre
lavora con il trapano o la perforatrice,
sembra che continui ad
adoperare la mitragliatrice con
la stessa forza di allora, non per
uccidere – cosa che Nardo ha
amato pochissimo, preferendo
sempre la libertà alla morte e
alle torture-, ma per obbligare
la luce. Questo è il trucco di
Nardo. Entra e esce da un lato
all’altro, e non lascia mai nessun
lato in ombra, così la scultura
s’accende e brilla in ogni
sua faccia nello scorrere degli
istanti, è verità e disvelamento
che si compie aggirando l’ostacolo
della materia, attraversandola.
Il diafano è attraversato
da un raggio di luce e la natura
si mostra, ma apparendo sempre
anche si nasconde. Nelle
sculture di Nardo la luce segue
un canale obbligato e s’irradia
su quanto altrimenti sarebbe
interamente occultato, nascosto,
in ombra. Ora l’essere viene
in luce: come ama recitare
Nardo, “primavera d’intorno
brilla nell’aria e per li campi
esulta sì ch’a mirarla intenerisce
il cuore…” 5 .
A Parigi, terra di pionieri e
punto di convergenza della migliore
intellettualità europea,
giungevano Pevner e Gabo,
gli astrattisti russi in fuga dal
regime staliniano, l’ingegnere
Calder con i suoi leggeri e aerodinamici
mobiles, e il cubano
Cardenas, nero come l’ebano
e bello come pochi, per molti
versi insuperate le sue vigorose
forme di matrice post-surrealista.
Più avanti sarebbero arrivati
César Baldacchini e il critico
Restany di cui il nostro stende
la candida e gustoso parodia,
e ancora Yves Klein, le prime
performances, il pubblico attonito
di fronte alle provocazioni,
e il cinema, le aperture delle
gallerie, il viavai dei passanti e
la folle rincorsa alla trovata più
scandalosa, l’invenzione più
accattivante. Tutti portavano
avanti un loro stile nell’incrollabile
convinzione che quello
solo avrebbe resistito al tempo.
Per Nardo, la purezza adamantina
delle forme zadkininiane,
con gli essenziali pieni di
Brancusi, avevano dato frutti
imprevisti nell’innesto sulle
problematiche d’ascendenza
martiniana. In vero, Parigi era
stata il terreno fertile su cui impostare
le nuove ricerche.
“O uomo ritrovati nuovo ogni
giorno” l’ha scritto Goethe
nei primi anni del XIX secolo
e Nardo lo ripete ogni mattina
scendendo verso piazza
San Francesco per lavorare il
marmo, instancabile e pugnace
come sempre, con quei suoi occhietti
da gatto e il passo fiero tipico
del carrarino di razza dura
e col cuore grande. L’avanguardia
non era la provocazione di
Duchamp, che pontificava
al Deux Magots impar-

AgorÀ n. 9 - MAGGIO 2010 pagina 24
Le nostre radici
RICORDO DI
NARDO DUNCHI
tendo precetti sulla morte
dell’arte e sul suo giusto superamento
nella sfera della pura
denuncia sociale. Avanguardia
era quella vera, autentica e sentita,
di Picasso, che avrebbe
potuto impugnare le armi ma
fece Guernica ottenendo gli
stessi risultati. Contro il puro
gesto nichilistico che si traduce
poi nella ricerca del plauso del
pubblico, del successo, della
fama, della quotazione considerevole
sul mercato dell’arte,
«Tutte boiate», sbotta Nardo,
che per modestia e superiorità
morale non va sbandierando
le sue conquiste, quel Cristo
in acciaio inossidabile che costituiva
una sfida ai limiti della
tecnica e alle stesse possibilità
espressive legate al materiale
utilizzato, nel pauroso allungamento
del corpo sui nove metri,
e nello sviluppo vertiginoso
delle braccine in orizzontale.
Sempre a Legnano Nardo s’è
ioccupato dell’abbellimento
dei tombini comunali, tornando
a dar prova di un gusto estetico
diffuso che raramente si
mostra in interventi mirati con
pari estrema efficacia unita alla
grande semplicità. Immaginiamo
così che le tipiche bucherellature
alla Nardo comincino
a richiamarsi anche nella nostra
città, e che come trine d’altri
tempi, o simpatici allegri motivi
accompagnino il passante
distendendolo dai grattacapi,
rasserenando i bambini, colti
da stupore, o semplicemente
guidando persone anziane, giovani
scalcitanti, ragazzi in amore
nelle loro diverse strade. Di
qui non si posson dimenticare
i lavori di oreficeria, preziosi
sottili gioielli, ori di origini mi-
...Basta guardarlo mentre lavora con il trapano o
la perforatrice, sembra che continui ad adoperare
la mitragliatrice con la stessa forza di allora, non
per uccidere - cosa che Nardo ha amato fare
pochissimo, preferendo sempre la libertà alla
morte e alle torture -, ma per obbligare la luce...
steriose che brillan sempre, non
per l’incastro di brillanti ma per
la peculiare armonia di ombre
e di luci che è tipica della sua
scultura, sculture in miniatura,
oggetti ideali per dare luce al
viso delle donne. Infine la grande
commissione per Vesdun, la
città posta al centro della Francia,
dove la grande scultura di
dimensioni monumentali anima
e ravviva di giochi di luce la
radura, il sottobosco, e il fitto
intrico di rami della Foret des
milles poètes.
D’altra parte, torna a ripetere
Nardo, inutile rifare i nudi
greci, stucchevole e al massimo
artigianale la straordinaria manualità
di Canova, con quei capelli
che, aveva ragione Medardo
Rosso, sembrano spaghetti.
I soggetti nobili della retorica
dell’antico lasciano spazio alla
gente comune, ritratta in pose
spontanee, con caratteristiche
umane, e nessuna divina perfezione.
Un pensiero laico che
ha radici profonde, ecco il pensiero
di Nardo, dove la luce è
disvelamento di questo mondo,
e la sua vibrazione intacca la
materia, la sostanzializza ora, in
corpi, l’annichilisce poi, riducendola
ormai a velocità pura,
pensiero.
Questo ed altro troverà il lettore
seguendo Nardo, un messaggio
di democrazia, la speranza
che un giorno quella rivoluzione
estetica si compia chissà
anche sul piano degli attuali
assetti sociali. Alle soglie della
nostra città “Armonia di ombre
e di luci” fa molto riflettere e ci
rimanda col pensiero a Il monumento
alla III internazionale
di Tatlin, naturalmente visto e
ripensato, o premente dal sot-
Nardo ai piedi del Sagro, 2007
tofondo subcoscienzale delle
immagini archiviate o confuse
nella memoria, in una maniera
che è tutta del Dunchi! O è
una corsa in avanti e una scommessa
contro il tempo, audace,
libera e insofferente verso
l’imitazione, la copia, così
come nei confronti del mero
rimescolamento diplomatico
dei posti di potere. L’evoluzione
stilistica supera e anticipa di
milioni di anni i ritmi naturali
nella trasformazione geologica
dell’ambiente, non sempre si
piega ai lenti aggiustamenti cui
le dinamiche politiche e sociali
rispondono in fasi ordinarie di
stabilità e normalizzazione. Nel
caso di Dunchi l’incursione nel
nuovo è continua e incessante,
non teme l’ignoto, è sempre rivoluzionaria,
evoca il futuro, e
sempre di nuovo lo presenta.
Francesca Alix Nicòli
[1] Si rimanda a Giorgio Bocca,
Storia della repubblica italiana dalla
caduta del fascismo a oggi, Milano, Rizzoli,
1982; Vittorio Sereni, Un posto di
vacanze, Milano, All’insegna del pesce
d’oro, 1973 (la collana era Quaderni
di Bocca di Magra); infine, più direttamente
incentrato sull’attività artistica
del Dunchi era il contributo di Zeno
Birolli, Come l’argilla e il pollice, in
“Scultura di Nardo Dunchi”, catalogo
della mostra, 12 dicembre 1998-31
gennaio 1999, ex Banca d’Italia, Comune
di Carrara.
[2] Nardo Dunchi, Memorie partigiane,
La nuova Italia, Firenze, 1957
(L’Arciere, Cuneo, 1982).
[3] Faccio riferimento al preziosissimo,
Arturo Martini, Delle ombre e delle
luci, in “Il trucco di Michelangelo e altri
scritti”, a cura di Mario De Micheli
e Antonio Pinghelli, Edizioni Gianferrari,
Milano, 1967, pp. 41-43. Ad esempio
Martini sosteneva che “L’inferiorità
della scultura è data dall’impossibilità
di fermare le luci e le ombre che sono
le sole a rendere stabile un’atmosfera,
un’espressione”.
[4] Oltre a tutto il repertorio di poeti
celeberrimi e minori che rimanda a memoria
alla sua veneranda età, Nardo si
rifà spesso e volentieri a Giacomo Leopardi,
Il passero solitario, qualunque
edizione.