Teologia e Vita Marzo 2006 - Diocesi di Nola
Teologia e Vita Marzo 2006 - Diocesi di Nola
Teologia e Vita Marzo 2006 - Diocesi di Nola
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LER E<strong>di</strong>trice
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PRESENTAZIONE<br />
PAOLA MIRANDA<br />
L’esistenza come interpretazione: Paul Ricoeur.<br />
FERNANDO RUSSO<br />
Analisi narrativa <strong>di</strong> Lc 7, 36-50.<br />
MARIA ROSARIA CIRELLA<br />
San Gregorio Magno e la Parola <strong>di</strong> Dio.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
sommario<br />
ANNA D’ALESSIO<br />
Dalla <strong>di</strong>dattica alla pedagogia: teorie e modelli per<br />
l’insegnamento.<br />
ANGELA GIONTI<br />
Gli obiettivi specifici <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento nell’Insegnamento<br />
della Religione Cattolica.<br />
LUIGI CASTIELLO<br />
Cultura in<strong>di</strong>vidualista e libero amore. Considerazioni<br />
teologico-morali.<br />
note e interventi<br />
GIUSEPPE GIULIANO<br />
Note <strong>di</strong> bioetica della sperimentazione.<br />
Come nasce il “Processo <strong>di</strong> Bologna”.<br />
sommario<br />
1
2<br />
B I A N C A<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
PRESENTAZIONE<br />
Questo numero <strong>di</strong> <strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 esce mentre il nostro<br />
Istituto è coinvolto nel Progetto <strong>di</strong> rior<strong>di</strong>no previsto dalla Conferenza<br />
Episcopale Italiana secondo le prospettive aperte dal cosiddetto<br />
Processo <strong>di</strong> Bologna (v. Note e Interventi in questo numero). È<br />
una grande opportunità per noi e per tutta la <strong>Diocesi</strong>: la formazione<br />
e i titoli rilasciati avranno riconoscimento europeo e l’Istituto potrà<br />
riproporsi come luogo autorevole <strong>di</strong> incontro e <strong>di</strong>alogo tra la fede e<br />
la cultura, come spazio in cui le domande che l’uomo rivolge al<br />
Vangelo possono ancora trovare eco e accoglienza e il Vangelo<br />
stesso potrà ispirare progetti e contribuire a interpretare la<br />
complessità della vita degli uomini.<br />
Ci sentiamo tutti, Docenti, Studenti e Collaboratori, coinvolti e<br />
chiamati a un rinnovato impegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> riflessione per far sì<br />
che la nostra presenza e il nostro lavoro corrispondano alle attese<br />
della Chiesa e della nostra gente.<br />
Sono perciò grato ai Docenti che hanno contribuito con il loro<br />
lavoro a realizzare questo numero della nostra Rivista: esso vuole<br />
rappresentare un modesto ma - cre<strong>di</strong>amo - sempre valido aiuto a<br />
“credere e comprendere”.<br />
I nostri Docenti <strong>di</strong> Sacra Scrittura, proff. Russo e Cirella, hanno<br />
proposto due interessanti contributi sulla interpretazione del Testo<br />
sacro e sulla Lectio <strong>di</strong> Gregorio Magno. Altro apporto sulla filosofia<br />
dell’interpretazione <strong>di</strong> Ricoeur è stato offerto dalla prof.ssa Miranda.<br />
Le Docenti <strong>di</strong> Didattica e Pedagogia, proff. sse D’Alessio e Gionti,<br />
hanno riflettuto sulle teorie e modelli dell’insegnamento e sugli<br />
obiettivi specifici <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento nell’IRC. Il prof. Castiello<br />
Francesco Iannone<br />
3
espone infine alcune considerazioni teologico-morali sulle deriva<br />
in<strong>di</strong>vidualista della concezione dell’amore. Tra le Note e interventi<br />
ospitiamo alcune note <strong>di</strong> bioetica della sperimentazione del<br />
prof. Giuliano.<br />
Con la certezza che il poco del nostro impegno giovi alle attese<br />
<strong>di</strong> molti...<br />
4 Francesco Iannone<br />
FRANCESCO IANNONE, <strong>di</strong>rettore<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
L’ESISTENZA COME INTERPRETAZIONE:<br />
PAUL RICOEUR<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
PAOLA MIRANDA<br />
Nel maggio 2005 è morto Paul Ricoeur, uno degli ultimi gran<strong>di</strong><br />
protagonisti e testimoni del novecento filosofico.<br />
Nato nel 1913 a Valence, in Francia, ha attraversato il secolo<br />
appena passato con la sua caratteristica capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogare, nel<br />
rispetto e nella convinzione che filosofare, in realtà, significa confilosofare.<br />
Dallo spazio sempre maggiore attribuito alla tematica ermeneutica in<br />
seminari <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, corsi universitari, <strong>di</strong>battiti culturali, si evince, in modo<br />
ormai inequivocabile, la centralità <strong>di</strong> questo in<strong>di</strong>rizzo all’interno della scena<br />
filosofica contemporanea.<br />
Per sottolineare la significatività <strong>di</strong> questo fenomeno culturale si parla<br />
ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> “atteggiamento ermeneutico” 1 , dove evidentemente il<br />
sostantivo “atteggiamento” sta ad in<strong>di</strong>care uno specifico orientamento<br />
della mentalità contemporanea. Esso, improntato ad un comune sentire,<br />
scavalca i limiti del semplice in<strong>di</strong>rizzo filosofico corrente 2 , per esprimere<br />
una sensibilità che sembra essere propria <strong>di</strong> tutti quegli uomini che vivono<br />
intensamente questo loro tempo, e che ne tentano una lettura significativa.<br />
Senza pretendere <strong>di</strong> esaurire, se mai lo si potesse fare, la comprensione<br />
e la esposizione delle ragioni <strong>di</strong> tale fenomeno, certamente se ne<br />
può in<strong>di</strong>viduare una causa nella complessità <strong>di</strong> questa epoca. Essa, infatti,<br />
non offre più valori e certezze univoche, tanto che un attento osservatore<br />
della società umana, Max Weber, già ai primi del secolo scorso<br />
1 Cfr G. VATTIMO, «Ermeneutica come koinè», in “Aut Aut”, 217-218 (1987), 3-l1;<br />
ID., Introduzione in Il pensiero ermeneutico, a cura <strong>di</strong> M. RAVERA, Genova 1986, VIII-<br />
IX; A. RIGOBELLO, Paul Ricoeur e il problema dell’interpretazione, in La filosofia dal<br />
1945 ad oggi, a cura <strong>di</strong> V. VERRA, Torino 1976, 211- 22l.<br />
2 Cfr G. VATTIMO, Introduzione, in Il pensiero..., cit., IX: «La società è oggi (...) un<br />
fenomeno ermeneutico globale; in essa, proprio, <strong>di</strong>venta possibile capire l’esistenza<br />
come fatto ermeneutico, nel senso della generalizzazione filosofica del fenomeno dell’interpretazione».<br />
Paola Miranda<br />
Paola<br />
Miranda<br />
Ë docente<br />
<strong>di</strong> Filosofia<br />
5
parlava <strong>di</strong> “politeismo dei valori” 3 . Tale espressione sta ad in<strong>di</strong>care una<br />
pluralità <strong>di</strong> valori, talora anche in <strong>di</strong>retto antagonismo tra loro, a cui l’uomo<br />
è chiamato a rapportarsi o operando una scelta, “decidendo” tra i<br />
valori proposti, oppure sprofondando in un relativismo e/o nichilismo<br />
aberrante e paralizzante.<br />
Nel tempo della lotta fra i valori, della pluralità delle logiche<br />
l’ermeneutica si è offerta come possibilità <strong>di</strong> comprensione, <strong>di</strong> orientamento<br />
e <strong>di</strong> interpretazione delle espressioni umane nel tempo. D’altra<br />
parte solo dopo una decifrazione del senso, più o meno nascosto, dei dati<br />
frammentari dell’esperienza, si può tentare un orientamento razionale al<br />
loro interno. La capacità <strong>di</strong> orientarsi nel proprio tempo è certamente<br />
un’esigenza profondamente umana, e come tale non ammette <strong>di</strong>stinzioni<br />
artificiose tra <strong>di</strong>mensione teoretica e <strong>di</strong>mensione pratica. Tutta intera, la<br />
stessa «con<strong>di</strong>zione umana si rivela come con<strong>di</strong>zione ermeneutica». Non<br />
è una con<strong>di</strong>zione pacifica né mai conclusa, ma quasi un itinerario apparentemente<br />
senza meta: «l’homo viator e l’homo hermeneuticus si<br />
spiegano in un unico contesto <strong>di</strong> non assolutezza ed insieme <strong>di</strong> inderogabile<br />
richiesta <strong>di</strong> una meta ricca <strong>di</strong> significato» 4 .<br />
Ciò che rende il compito dell’ermeneutica particolarmente arduo è<br />
appunto, da un lato, il bisogno intenso <strong>di</strong> trovare un senso alla realtà,<br />
intorno al quale fare unità, dall’altro la consapevolezza che tutto ciò è<br />
ormai un sogno frantumato. Infatti la frammentarietà e la complessità <strong>di</strong><br />
questa epoca si accompagnano alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> fiducia, ormai irrime<strong>di</strong>abile,<br />
nei poteri onnicomprensivi della ragione, nelle sue capacità <strong>di</strong> unificare il<br />
molteplice reale in una unità in cui gli aspetti <strong>di</strong>scordanti e laceranti trovano<br />
una loro conciliante collocazione. È in pratica, la <strong>di</strong>ssoluzione del<br />
panlogismo hegeliano, della sua pretesa, espressa nel concetto <strong>di</strong> “spirito<br />
assoluto”, <strong>di</strong> una autocomprensione e una autochiarificazione assoluta.<br />
Tutto ciò per l’ermeneutica significa non solo non poter attribuire vali<strong>di</strong>tà<br />
assoluta a nessuna delle interpretazioni della realtà sorte al suo interno,<br />
ma anche teorizzare questa proliferazione del senso della realtà senza<br />
necessariamente pretendere <strong>di</strong> ricomporla in unità 5 .<br />
Più <strong>di</strong> uno è l’in<strong>di</strong>rizzo in cui si articola questa «quarta fase dell’ermeneutica<br />
universale» 6 . Infatti «essa, proponendosi sempre più come<br />
3 Cfr M. WEBER, Il metodo delle scienze storico-sociali, Milano I974, 332 ss.<br />
4 A. RIGOBELLO, Prefazione, in P. RICOEUR, Il conflitto delle interpretazioni, Milano<br />
1977, 8-9.<br />
5 Cfr G. VATTIMO, Introduzione, in Il pensiero.., cit., IX.<br />
6 L. GELDSETZER, «Che cos’è l’Ermeneutica?», in Rivista <strong>di</strong> Filosofia neo-scolastica,<br />
75 (1983), 605.<br />
6 Paola Miranda<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
una possibile koinè filosofica del pensiero occidentale» 7 , presenta al<br />
suo interno una <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> orientamenti che scaturisce da un concetto<br />
<strong>di</strong>verso <strong>di</strong> atto interpretativo.<br />
La teoria ermeneutica, per esempio, <strong>di</strong> cui il maggior esponente è<br />
certamente Emilio Betti, concepisce l’ermeneutica essenzialmente come<br />
teoria interpretativa che, limitando al minimo gli equivoci dovuti al carattere<br />
soggettivo dell’interprete attraverso un rigido canone metodologico,<br />
mira ad un massimo <strong>di</strong> oggettività dei risultati. Insomma l’ermeneutica è<br />
una scienza, anzi una tecnica interpretativa che deve giungere non alla<br />
“creazione” <strong>di</strong> significati ma alla comprensione oggettiva, anche se relativa,<br />
delle espressioni dello spirito umano.<br />
L’ermeneutica filosofica ha, invece, deliberatamente mutato prospettiva<br />
8 . Rifiutando o sospendendo il <strong>di</strong>scorso metodologico essa si è<br />
portata su un piano ra<strong>di</strong>cale. «Si presenta (...) un nuovo interrogativo,<br />
perché la domanda sul come si apprende viene sostituita dalla domanda<br />
sul modo <strong>di</strong> essere <strong>di</strong> questo essere che esiste solo comprendendo»<br />
9 . La svolta, compiuta da Heidegger, è notevole: la comprensione<br />
non è una semplice forma <strong>di</strong> conoscenza ma è «il carattere ontologico<br />
originario della vita umana stessa» 10 . In questa ottica l’ermeneutica<br />
non rimane una riflessione sulle scienze dello spirito, come in Dilthey,<br />
ma un’esplicitazione della base ontologica su cui tutte le scienze possono<br />
e<strong>di</strong>ficarsi. Heidegger ha <strong>di</strong> fatto subor<strong>di</strong>nato l’epistemologia<br />
all’ontologia. Con la sua filosofia, infatti, secondo Ricoeur «non si cessa<br />
<strong>di</strong> praticare l’operazione <strong>di</strong> risalita alla causa, ma si <strong>di</strong>venta incapaci<br />
<strong>di</strong> compiere il tragitto <strong>di</strong> ritorno che dovrebbe condurre dall’ontologia<br />
fondamentale alla questione propriamente epistemologica riguardante<br />
lo statuto delle scienze dello Spirito» 11 .<br />
Con Gadamer comincia, ma per certi versi rimane agli inizi, questo<br />
“movimento <strong>di</strong> ritorno”, in quanto egli «mette fuori gioco tutti i significati<br />
nichilistici dell’ontologia <strong>di</strong> Heidegger» 12 , grazie all’accento posto sulla<br />
<strong>di</strong>mensione linguistica della comprensione.<br />
Tuttavia l’ermeneutica filosofica non comprende solo l’ermeneutica<br />
7 G. VATTIMO, Postilla 1983, in H. G. GADAMER, Verità e Metodo, Milano 1983,<br />
XXXV.<br />
8 Cfr H. G. GADAMER, Verità e Metodo, cit., XLIV.<br />
9 P. RICOEUR, Ermeneutica filosofica e ermeneutica biblica, Brescia 1977, 34.<br />
10 H. G. GADAMER, Verità e Metodo, cit., 307.<br />
11 P. RICOEUR, Ermeneutica filosofica e ermeneutica biblica, cit., 43-44.<br />
12<br />
VATTIMO, La fine della modernità, Milano 1985, 122.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Paola Miranda<br />
7
8<br />
ontologica-esistenziale <strong>di</strong> Heidegger e l’antologia linguistica <strong>di</strong> Gadamer,<br />
ma anche il personalismo ontologico <strong>di</strong> Pareyson. Questo filosofo italiano<br />
che, seppur non prescindendo da Heidegger, è certo più legato a<br />
Jaspers, indaga «non soltanto l’universalità ma soprattutto l’originarietà<br />
dell’interpretazione» 13 , nel senso che «essa qualifica quel rapporto con<br />
l’essere in cui risiede l’essere stesso dell’uomo; in essa si manifesta la<br />
primigenia solidarietà dell’essere con la verità» 14 .<br />
Nell’ambito della koinè ermeneutica contemporanea è necessario<br />
ricordare anche l’ermeneutica critica che contesta le assunzioni idealistiche<br />
immanenti sia alla teoria ermeneutico-esegetica, sia alla filosofia<br />
ermeneutica; essa riven<strong>di</strong>ca l’esistenza <strong>di</strong> «<strong>di</strong>storsioni sistematiche della<br />
comunicazione» umana che, originate da fattori extralinguistici quali il<br />
lavoro e il potere, mettono in <strong>di</strong>scussione la pretesa <strong>di</strong> universalità dell’<br />
ermeneutica filosofica.<br />
Interessante a questo riguardo è la vicenda del <strong>di</strong>battito tra Gadamer,<br />
rappresentante insigne dell’ontologia ermeneutica, e Habermas, principale<br />
esponente dell’ermeneutica critica. Tale <strong>di</strong>battito 15 all’interno del<br />
quadro filosofico ermeneutico contemporaneo, esplicita alcuni orientamenti<br />
<strong>di</strong> grande interesse: la rivisitazione del rapporto tra tra<strong>di</strong>zione e<br />
alternativa e <strong>di</strong> quello tra ermeneutica ed epistemologie, tra filosofia e<br />
scienze, tra comprensione e spiegazione.<br />
All’interno <strong>di</strong> questa koinè della filosofia e della cultura contemporanea,<br />
la riflessione “ermeneutica fenomenologica” 16 <strong>di</strong> Ricoeur si colloca<br />
in una posizione <strong>di</strong> rilievo. Secondo le stesse parole <strong>di</strong> Ricoeur, il<br />
suo pensiero «è nella linea <strong>di</strong> una filosofia riflessiva, permane alle <strong>di</strong>pendenze<br />
della fenomenologia husserliana, vuole essere una variante<br />
ermeneutica <strong>di</strong> questa fenomenologia» 17 .<br />
Essa rifiuta, definendola <strong>di</strong>sastrosa, la contrapposizione tra coscienza<br />
ermeneutica e coscienza critica, tra comprendere e spiegare, che<br />
sembra polarizzare la polemica tra Gadamer e Habermas 18 .<br />
13 M. RAVERA, Introduzione, a Il pensiero..., cit., 17.<br />
14 L. PAREYSON, Verità e interpretazione, Milano 1971, 53.<br />
15 Dal 1967 al 1971 Gadamer ed Habermas hanno svolto un acceso <strong>di</strong>battito attraverso<br />
scritti, saggi, conferenze che sono stati poi quasi tutti raccolti in AA.VV.,<br />
Ermeneutica e critica delle ideologie, Brescia 1979.<br />
16 Cfr J.BLEICHER, L’ermeneutica contemporanea, Bologna 1986, 15, 265 ss.<br />
17 P. RICOEUR, «Ce qui me préoccupe dépuis trente ans», in Esprit, 8-9 (1986), 237.<br />
Più recentemente Ricoeur ha riba<strong>di</strong>to la sua personale posizione in ID., La natura e la<br />
regola. Alle ra<strong>di</strong>ci del pensiero, 1998.<br />
18 Cfr P. RICOEUR, Ermeneutica e critica delle ideologie, in ID., Tra<strong>di</strong>zione o alternativa,<br />
Brescia 1980. Contributi più recenti, sostanzialmente immutati ma più<br />
Paola Miranda<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
La proposta <strong>di</strong> Ricoeur non mira ad un sincretismo che inglobi entrambe<br />
le istanze ma piuttosto è un tentativo <strong>di</strong> «integrarli in un quadro<br />
concettuale più ampio» 19 . Ciascuna <strong>di</strong> esse parla da un luogo <strong>di</strong>verso,<br />
ciascuna «può riconoscere la pretesa <strong>di</strong> universalità dell’altra in modo<br />
tale che la posizione dell’una sia inscritta nella struttura dell’altra» 20 .<br />
L’ermeneutica filosofica deve, dunque, «lasciar perdere la riven<strong>di</strong>cazione<br />
semi-incantatoria della propria universalità» 21 e fare appello ad un<br />
momento critico che, complementare <strong>di</strong> quello del “consenso”, è pure<br />
presente al suo interno. Infatti nei temi, tipici dell’ermeneutica filosofica,<br />
dell’ “applicazione”, della “<strong>di</strong>stanziazione storica” e della “ <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong><br />
domanda e risposta”, Ricoeur vede una sorta <strong>di</strong> “complemento critico”<br />
all’ermeneutica della tra<strong>di</strong>zione 22 .<br />
Anche la critica delle ideologie, da parte sua, deve limitare la sua<br />
pretesa <strong>di</strong> un’universalità «se non vuole auto<strong>di</strong>struggersi per<br />
autoreferenza», dal momento che in essa si insinua «una presunzione <strong>di</strong><br />
ideologia» 23 . L’istanza critica deve riconoscere <strong>di</strong> essere essa stessa<br />
tra<strong>di</strong>zione, ed essere consapevole che un consenso già da sempre sperimentato<br />
è la con<strong>di</strong>zione necessaria per riven<strong>di</strong>care un consenso desiderato<br />
24 .<br />
Il luogo comune in cui si incrociano queste due riven<strong>di</strong>cazioni, permettendo<br />
la loro reciproca integrazione, è per Ricoeur “l’ermeneutica<br />
della finitezza” 25 . Si tratta cioè dell’ermeneutica dei limiti storici dell’uomo:<br />
<strong>di</strong> quelli che sono insieme con<strong>di</strong>zione ed impe<strong>di</strong>mento all’agire<br />
e al conoscere umani; un’ermeneutica che concepisca la critica<br />
delle ideologie come «un risvolto necessario alla comprensione <strong>di</strong> sè» 26 ,<br />
tematica da sempre e tipicamente al centro della filosofia riflessiva, da<br />
Cartesio a Kant.<br />
contestualizzati, sono in ID., «Logica ermeneutica?», in Aut Aut, 217-218 (1987), 64-<br />
100; ID., Tempo e racconto. III. Il tempo raccontato, Milano 1988, 336-350. Per una<br />
presentazione critica della posizione <strong>di</strong> Ricoeur cfr M. FERRARIS, Ermeneutica e critica,<br />
in A.A.V.V., Ciò che l’autore non sa, Milano 1988, 119-132.<br />
19 J. BLEICHER, L’ermeneutica contemporanea, cit., 15.<br />
20 Cfr P. RICOEUR, Ermeneutica e critica..., cit., 91.<br />
21 ID., «Logica ermeneutica?», cit., 86.<br />
22 Cfr ID., Ermeneutica e critica..., cit., 117-125.<br />
23 ID., Tempo e racconto. III. Il tempo raccontato, cit., 345.<br />
24 Cfr ID., Ermeneutica e critica..., cit., 126-132.<br />
25 Ibid., 127.<br />
26 ID., Ermeneutica filosofica e ermeneutica biblica, cit., 78.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Paola Miranda<br />
9
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D’altra parte Ricoeur, come scrive in un articolo del 1986 in cui si<br />
chiede cosa ancora lo “preoccupi” dopo trent’anni <strong>di</strong> impegno filosofico,<br />
in<strong>di</strong>vidua proprio nella <strong>di</strong>alettica tra comprensione e esplicazione il suo<br />
principale contributo alla filosofia ermeneutica 27 . Muovendosi infatti all’interno<br />
<strong>di</strong> una interpretazione sia teoretica che pratica (soprattutto dal<br />
1970 in poi) della <strong>di</strong>alettica tra<strong>di</strong>zione-critica, egli tende ad articolare in un<br />
rapporto <strong>di</strong>alettico il comprendere e lo spiegare, la filosofia e le scienze.<br />
Ricoeur cioè, riconosce che la filosofia ermeneutica non è un’antiepistemologia,<br />
ma una riflessione sulle con<strong>di</strong>zioni non epistemologiche<br />
dell’epistemologia 28 . Tuttavia cosa «ne è <strong>di</strong> un’epistemologia dell’interpretazione,<br />
frutto <strong>di</strong> una riflessione sull’esegesi, sul metodo della storia,<br />
sulla psicoanalisi, e sulla fenomenologia della religione, ecc., quando è<br />
toccata, animata, e, se così si può <strong>di</strong>re, ispirata, da una ontologia della<br />
comprensione?» 29 .<br />
Questo interrogativo mette in evidenza la mancanza, all’interno<br />
dell’ermeneutica ontologica, <strong>di</strong> categorie che permettano <strong>di</strong> considerare<br />
come qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> un’«anteriorità ontologica la derivazione della<br />
problematica delle scienze» dall’ontologia della storicità.<br />
In sostanza «non si vede in virtù <strong>di</strong> cosa le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> possibilità<br />
dell’indagine ontologica siano anche con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> possibilità della conoscenza<br />
storica oggettiva» 30 .<br />
L’impegno filosofico <strong>di</strong> Ricoeur è dunque nella riconsiderazione, in<br />
termini più equilibrati e soprattutto <strong>di</strong>alettici, delle categorie ontologiche<br />
<strong>di</strong> appartenenza e <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanziazione. Di fatto la <strong>di</strong>alettica spiegarecomprendere<br />
è la proiezione in campo epistemologico, della implicazione<br />
ontologica tra il nostro appartenere agli esseri e all’Essere, e il <strong>di</strong>stacco<br />
che rende possibile ogni oggettivazione, ogni spiegazione, ogni<br />
critica 31 .<br />
Quin<strong>di</strong>, appartenenza e <strong>di</strong>stanza, per Ricoeur, si richiamano non solo<br />
in campo ontologico ma anche in campo epistemologico ed è compito<br />
della filosofia articolarne e tematizzarne la connessione feconda 32 .<br />
Nell’ermeneutica ontologica <strong>di</strong> Gadamer la <strong>di</strong>stanziazione assumeva la<br />
sfumatura negativa <strong>di</strong> “alienazione per <strong>di</strong>stacco”. Essa infatti costituiva<br />
27 Cfr ID., Ce qui me préoccupe dépuis trente ans, cit., 242.<br />
28 Cfr ID, «Logica ermeneutica?», cit., 72.<br />
29 ID., Il conflitto delle interpretazioni, cit., 20.<br />
30 ID., «Logica ermeneutica?», cit., 68.<br />
31 Cfr Ibid., 90.<br />
32 Cfr ID., «Expliquer et comprendre», in Revue philosophique de Louvain, 75<br />
(1977), 146.<br />
Paola Miranda<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
il presupposto ontologico che sosteneva la condotta oggettiva delle scienze<br />
umane 33 , mentre l’esperienza primor<strong>di</strong>ale d’appartenenza consentiva<br />
all’interprete <strong>di</strong> inserirsi nel suo ambito <strong>di</strong> ricerca.<br />
Ricoeur, nulla togliendo al valore dell’appartenenza, afferma però<br />
che la presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong>venta estraniante «quando il momento d’oggettività<br />
viene tolto dal suo sito concreto» 34 , quando cioè la <strong>di</strong>stanziazione<br />
viene concepita come ciò che mette fine al nostro rapporto con la realtà<br />
storica. La filosofia ricoeuriana si sforza invece <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare la funzione<br />
positiva ed anzi produttiva della <strong>di</strong>stanziazione nel pieno della storicità<br />
dell’esperienza umana. È infatti la <strong>di</strong>stanza che crea quello “spazio”<br />
necessario per una rispettosa considerazione <strong>di</strong> ciò che voglio comprendere.<br />
Questa con<strong>di</strong>zione ontologica della comprensione <strong>di</strong>viene altresì<br />
«una presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza attiva» in quanto, rendendo possibili le procedure<br />
<strong>di</strong> spiegazione, conferisce uno statuto epistemologico al comprendere.<br />
È questa la strada per render giustizia al senso <strong>di</strong> ciò che si va conoscendo<br />
liberandolo dalle ingerenze e dai con<strong>di</strong>zionamenti negativi del<br />
soggetto. Inoltre la <strong>di</strong>stanza è il me<strong>di</strong>um entro cui possiamo comunicare<br />
tra <strong>di</strong> noi 35 . Se l’ermeneutica, infatti, è per Gadamer l’arte dell’intendersi,<br />
per Ricoeur non <strong>di</strong> meno essa è più <strong>di</strong> un’arte, è cioè anche una<br />
kunstlehre, una tecnica che include un conoscere oggettivo. E solo attraverso<br />
l’oggettivazione, il «comunemente inteso», è possibile non porre<br />
alcun limite alla «comunicabilità del comprendere» 36 , e quin<strong>di</strong> riven<strong>di</strong>care<br />
l’universalità dell’ermeneutica filosofica.<br />
La vali<strong>di</strong>tà e la fecon<strong>di</strong>tà della <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong>stanziazione-appartenenza,<br />
e per essa quella spiegare-comprendere, troverà conferma e sviluppo<br />
proprio in una tematica, quella del simbolo, in cui sembra apparentemente<br />
più evidente l’esperienza originaria dell’appartenenza. Infatti anche<br />
il rapporto personale con l’Essere, rivelato dalla realtà simbolica, implica<br />
per Ricoeur necessariamente la categoria del “rispetto”, o meglio<br />
della <strong>di</strong>stanza rispettosa che consente il “riconoscimento” e il “ri-guardo”.<br />
Il problema più ra<strong>di</strong>cale della filosofia riflessiva, quella nata da Cartesio<br />
e proseguita da Kant, è la possibilità della comprensione <strong>di</strong> sé: ma come<br />
l’“io penso” si conosce? «È qui che la fenomenologia e più ancora<br />
l’ermeneutica rappresentano insieme una realizzazione e una trasfor-<br />
33 Cfr ID., Ermeneutica filosofica e ermeneutica biblica, cit., 46; ID., «Logica<br />
ermeneutica?», cit., 69.<br />
34 ID., «Logica ermeneutica?», cit., 73.<br />
35 Cfr ID., Ermeneutica filosofica e ermeneutica biblica, cit., 76.<br />
36 Cfr ID., «Logica ermeneutica?», cit., 91.<br />
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mazione ra<strong>di</strong>cale del problema stesso della filosofia riflessiva» 37 . Caduta,<br />
infatti, anche grazie alla fenomenologia e all’ermeneutica e soprattutto<br />
grazie ai “maestri del sospetto”, la pretesa <strong>di</strong> una perfetta coincidenza<br />
del sé con se stesso 38 , la comprensione <strong>di</strong> sé è necessariamente ricondotta<br />
ad un «orizzonte sempre più lontano», rimandata ad “oggetti” e segni<br />
esterni alla coscienza. Anzi la comprensione <strong>di</strong> sé coincide con l’interpretazione<br />
<strong>di</strong> questi termini interme<strong>di</strong>.<br />
All’interno <strong>di</strong> essi il simbolo costituisce per Ricoeur un luogo e un<br />
segno privilegiati perché rivela l’identità più profonda dell’uomo: il suo<br />
legame con l’Essere e con tutti gli esseri. Nel simbolo cioè, è possibile<br />
non solo ritrovare se stessi, ma anche un senso che si proietta al <strong>di</strong> fuori<br />
<strong>di</strong> noi e del simbolo stesso. Il simbolo dà a pensare, <strong>di</strong>ce Ricoeur, riprendendo<br />
un aforisma kantiano e interpretare, dunque, <strong>di</strong>viene <strong>di</strong>alettica tra<br />
esplicitazione della <strong>di</strong>namica interna al simbolo attraverso il fattivo contributo<br />
delle scienze umane, e comprensione riflessiva ed esistenziale<br />
del senso, dell’eccedenza <strong>di</strong> significato che così emerge.<br />
Il simbolo è per eccellenza quel mondo pre-riflessivo , che costituisce<br />
“l’altro” con cui la filosofia deve confrontarsi: un “segno’, o forse “il<br />
segno” interpretando il quale il soggetto riflessivo si riscopre, o meglio, si<br />
riappropria <strong>di</strong> sè. Il cogito, nel tentativo <strong>di</strong> comprendere il simbolo, si<br />
scopre epistemologicamente insufficiente a sondare questa realtà prefilosofica<br />
in cui pure esso affonda le proprie ra<strong>di</strong>ci.<br />
lnfatti il simbolo, è il ‘luogo” in cui il mistero sull’uomo si fa più fitto e<br />
più ra<strong>di</strong>cale, ma anche più “evidente” nella sua oscurità. Il simbolo si<br />
rivela così come il punto <strong>di</strong> condensazione in cui si verifica la <strong>di</strong>alettica<br />
tra scienze e filosofie, tra pre-filosofico e filosofico e, alle ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> esse,<br />
la <strong>di</strong>alettica tra finito ed infinito.<br />
Per questo motivo anche se nel corso degli anni in Ricoeur non si<br />
parlerà più <strong>di</strong> simbolo, ma <strong>di</strong> testo, <strong>di</strong> metafora, <strong>di</strong> racconto, è sempre la<br />
sovradeterminazione <strong>di</strong> senso, la polisemia del linguaggio o, meglio, la<br />
sua “funzione simbolica”, ad essere al centro dell’interesse ricoeuriano.<br />
37 ID., «Ce qui me préoccupe dépuis trente ans», cit., 237.<br />
38 Ricoeur infatti non si è sottratto all’opera demistificatrice del dubbio sulla coscienza.<br />
In particolare si è confrontato con quelli che egli stesso ha definito «maestri del<br />
sospetto»: Marx, Nietzsche e Freud i quali hanno rivelato alla coscienza il suo stesso<br />
inganno, la sua stessa menzogna: senso e coscienza non coincidono più, la coscienza è<br />
falsa; essa non determina l’essere sociale ma ne è determinata (Marx); essa non è<br />
Paola Miranda<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Nel simbolo quin<strong>di</strong>, la problematica ontologica e quella epistemologica<br />
trovano spazio; anzi è possibile affermare che, in questa sede, esse trovano<br />
conferma della loro unità.<br />
Per questa ragione Ricoeur in<strong>di</strong>vidua nel linguaggio e nella problematica<br />
religiosa i due gran<strong>di</strong> problemi che si prospettano alla attenzione della<br />
filosofia del domani 39 . Ed è significativo, inoltre, che non si parli astrattamente<br />
<strong>di</strong> problema metodologico e <strong>di</strong> problema ontologico, ma, con un<br />
intenso spessore esistenziale, si parli <strong>di</strong> linguaggio, come luogo <strong>di</strong> ogni<br />
“<strong>di</strong>re” umano, e religioso, come luogo <strong>di</strong> scommessa etica umana.<br />
Per <strong>di</strong> più, nel riferirsi ad una particolare <strong>di</strong>mensione della parola:,<br />
l’appello, Ricoeur ritrova l’intima unione tra il linguaggio e il religioso 40 .<br />
In definitiva l’interesse <strong>di</strong> Ricoeur per il simbolo è motivato dal fatto<br />
che in esso «il linguaggio viene rivelato nella sua più forte energia e con<br />
la maggiore pienezza» 41 e che esso esprime più <strong>di</strong> quanto il soggetto<br />
possa <strong>di</strong>re e comprendere. Il simbolo dunque, è sicuramente il luogo<br />
privilegiato dell’esperienza del surplus del senso.<br />
Per Ricoeur esso sembra essere l’accogliente spazio epistemologico<br />
in cui si realizza l’incessante ricerca umana della verità; una ricerca<br />
«tesa tra la finitu<strong>di</strong>ne del mio domandare e l’apertura dell’Essere» 42 .<br />
L’interpretazione, questa funzione propria della finitezza umana, è la<br />
modalità per sperimentare la sequela del simbolo, per sviluppare e amplificare<br />
il surplus <strong>di</strong> senso che vi è contenuto.<br />
L’interesse <strong>di</strong> Ricoeur per il simbolo, e per il concetto ad esso<br />
correlativo <strong>di</strong> interpretazione, è concentrato nella prima metà degli anni<br />
sessanta. Infatti Finitu<strong>di</strong>ne e colpa 43 e Dell’interpretazione. Saggio<br />
su Freud 44 , i due testi in cui sono esposte più <strong>di</strong>ffusamente le tesi<br />
ricoeuriane intorno al simbolo, sono rispettivamente del 1960 e del 1965<br />
e a tale periodo risalgono anche numerosi articoli, estratti, conferenze,<br />
padrona neanche <strong>di</strong> se stessa ma è preda <strong>di</strong> istinti inconfessati, dell’inconscio (Freud) e<br />
la chiave <strong>di</strong> queste menzogne e maschere è la “volontà <strong>di</strong> potenza” (Nietzsche). Cfr ID.,<br />
Dell’interpretazione. Saggio su Freud, Milano 1967, 46 e segg..<br />
39 Cfr ID., Le domande che la filosofia moderna pone alla filosofia del domani, in Il<br />
mondo <strong>di</strong> domani, a cura <strong>di</strong> P. PRINI, Roma 1964, 167.<br />
40 Ibid., 168.<br />
41 L. DORNISCH, Introduzione, in P. RICOEUR, Ermeneutica biblica. Linguaggio e<br />
simbolo nelle parabole <strong>di</strong> Gesù, Brescia 1978, 7.<br />
42 P. RICOEUR, Histoire et Verité, Paris 1964, 55.<br />
43 ID., Philosophie de la volontà. Finitude et Culpabilité I. L’homme fallible. La<br />
symbolique du mal, Paris 1960 (tr. it. <strong>di</strong> M. GIRARDET, Finitu<strong>di</strong>ne e colpa, Bologna 1970).<br />
44 ID., De l’interprétation. Essai sur Freud, Paris 1965 (tr. it. <strong>di</strong> E. RENZI, Dell’interpretazione.<br />
Saggio su Freud, cit.).<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Paola Miranda<br />
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riguardanti la tematica del simbolo. Tuttavia i prodromi <strong>di</strong> questo interesse<br />
sono presenti già nella prima tappa della “Filosofia della volontà” Le<br />
Volontaire et l’Involontaire (1950) 45 , dove si anticipa il ruolo centrale<br />
che i miti e i simboli rivestono all’interno della seconda tappa <strong>di</strong> quel<br />
progetto filosofico: Finitu<strong>di</strong>ne e colpa.<br />
Ricoeur, in seguito, elaborerà una teoria più comprensiva del vasto<br />
orizzonte ermeneutico a cui la tematica del simbolo lo aveva spinto: la<br />
teoria del testo 46 . Poi, negli ultimi anni si interesserà ai problemi dell’identità,<br />
della tra<strong>di</strong>zione, della memoria; spazierà dalla storia della filosofia<br />
alla filosofia del <strong>di</strong>ritto e della giustizia, dall’etica all’estetica.<br />
L’evoluzione in senso più ampiamente linguistico avviene e si evolve<br />
negli anni settanta e ottanta del secolo scorso ed è accompagnata anche<br />
dalla comparsa della “metafora” e del “racconto”. In quest’ultima fase<br />
emergono con più evidenza le categorie del tempo e della finzione<br />
(mimesis). Senza voler o potere esaurire il <strong>di</strong>scorso, si può <strong>di</strong>re che Ricoeur<br />
scopre nell’atemporalità <strong>di</strong> un testo, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> una metafora o <strong>di</strong> un<br />
racconto, la più profonda caratteristica dell’autonomia del senso, della<br />
“Cosa” che può così prestarsi a innumerevoli “ricreazioni” nella mimesis.<br />
Queste finzioni non sono mistificazioni della realtà, ma anzi ne sono<br />
la “rivelazione”: «il mito, il racconto sono funzioni euristiche della nostra<br />
esperienza» 47 .<br />
In effetti l’uomo si riferisce, conosce e costituisce la propria realtà<br />
me<strong>di</strong>ante la finzione. Già «Aristotele <strong>di</strong>ce che la poesia è più vicina alla<br />
verità della storia, per il fatto che la storia resta al livello della contingenza,<br />
mentre la poesia aderisce ai sensi per mezzo <strong>di</strong> variazioni immaginative»<br />
48 .<br />
Un nuovo legame che qui si può rilevare è quello tra metafora-racconto<br />
e immaginazione. Non si tratta della immaginazione riproduttiva<br />
«che sarebbe una forma indebolita della percezione», ma della immaginazione<br />
produttiva 49 . La poesia cioè, nelle sue forme <strong>di</strong> metafora e <strong>di</strong><br />
racconto, fa apparire la realtà non solo come ciò che è già verificato, ma<br />
45 ID., Philosophie de la volonté. I. Le volontaire et l’involontaire, Paris 1950.<br />
46 Per una compiuta e sintetica esposizione <strong>di</strong> tale teoria cfr gli articoli <strong>di</strong> Ricoeur:<br />
«Che cos’è un testo?»; «Come leggere un testo?» in ID., La sfida semiologica, Roma<br />
1974, 239-273. Cfr anche P. RICOEUR, La funzione errneneutica della <strong>di</strong>stanziazione in<br />
ID., Ermeneutica filosofica e ermeneutica biblica, cit., 53-78.<br />
47 ID., La sfida semiologica, cit., 270.<br />
48 Ibid., 271.<br />
49 Ibid., 284.<br />
Paola Miranda<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
anche come ciò che comporta «delle possibilità impossibili che noi stessi<br />
possiamo sviluppare abitando questo mondo» 50 .<br />
Così si passa dalla modalità dell’essere dato a quella del poter essere.<br />
La metafora, la poesia non sopprimono solo «le strutture or<strong>di</strong>narie<br />
del nostro linguaggio, introducendo la finzione, ma anche le strutture<br />
della realtà data, scontata, posta» 51 . Lo sforzo e il desiderio d’essere<br />
lavora adesso su un “progetto <strong>di</strong> possibili” che dal mondo del linguaggio<br />
si colloca ai mondo della volontà, dell’esistenza umana. Nuovo significato<br />
e nuova intensità acquista così la categoria dell’“applicazione”, intesa<br />
come il momento esistenziale dell’interpretazione.<br />
Comprendere significa allora comprendersi davanti al testo. Dove<br />
per comprendersi Ricoeur intende non solo conoscenza <strong>di</strong> sé nella categoria<br />
del tempo passato e del tempo presente, ma anche nella categoria<br />
della progettualità, del possibile.<br />
Infatti, accanto alla ricchezza sovrabbondante <strong>di</strong> senso <strong>di</strong> queste<br />
espressioni multivoche, sia esso il simbolo, la metafora o il racconto <strong>di</strong><br />
finzione, c’è sempre lo sforzo interpretativo dell’uomo <strong>di</strong> “rispondere” in<br />
modo limitato nella sua finitezza, ma autonomo nella sua razionalità, all’appello<br />
del linguaggio.<br />
Gli ultimi stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Ricoeur a questo riguardo e cioè Metafora viva e<br />
i tre volumi <strong>di</strong> Tempo e racconto 52 , sono quasi «una giustificazione retrospettiva»<br />
<strong>di</strong> tutta la sua teoria dell’interpretazione presagita già nelle<br />
opere più lontane 53 .<br />
È l’ascolto del linguaggio “in festa” ad essere costantemente al centro<br />
del lavoro <strong>di</strong> Ricoeur. Infatti, non è certo un caso che Metafora viva<br />
si chiuda rifacendosi all’aforisma kantiano che ricorreva così spesso nei<br />
lavori <strong>di</strong> Ricoeur de<strong>di</strong>cati alla teoria del simbolo. Adesso non è più, o non<br />
è più solo il simbolo a dar da pensare, ma anche la poesia 54 perché<br />
50 Ibid., 287.<br />
51 Ibid.<br />
52 ID., La métaphore vive, Paris 1975 (tr. it <strong>di</strong> G. GRAMPA, La metafora viva, Milano,<br />
1981); ID., Temps et récit. I, Paris 1983 (tr. it. <strong>di</strong> G. GRAMPA, Tempo e racconto I, Milano<br />
1986); ID., Temps et récit. II. La configuration dans le récit de Finction, Paris 1984 (tr.<br />
it. <strong>di</strong> G. GRAMPA, Tempo e racconto II. La configurazione nel racconto <strong>di</strong> finzione,<br />
Milano 1987); ID., Temps et récit. III. Le temps raconté, Paris 1985 (tr. it. <strong>di</strong> G. GRAMPA,<br />
Tempo e racconto III. Il tempo raccontato, cit.).<br />
53 Cfr B.STEVENS, «Le temps de la fìnction», in Revue philosophique de Louvain, 61<br />
(1986) 117; cfr anche S. BONZON, «Paul Ricoeur. Temps et récit: une intrigue<br />
philosophique», in Revue de théologie et de philosophie, 119 (1987), 341-367.<br />
54 Cfr, ID., La metafora viva, cit., 417.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Paola Miranda<br />
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16<br />
entrambi sono una parola che raggiunge e <strong>di</strong>svela l’essenza più profonda<br />
della realtà.<br />
Alla luce <strong>di</strong> queste parole che mettono in evidenza come questa evoluzione<br />
del pensiero <strong>di</strong> Ricoeur non sia stata solo un mutare <strong>di</strong> lessico ma<br />
un reale “progresso” <strong>di</strong>venta legittimo interrogarsi sul motivo per cui egli<br />
continui ad interessarsi al simbolo.<br />
La risposta si può dedurre da uno scritto del 1975 55 nel quale Ricoeur<br />
confronta il simbolo e il concetto <strong>di</strong> metafora.<br />
Lo stu<strong>di</strong>o del simbolo, afferma Ricoeur, presenta ben due svantaggi,<br />
sia perché appartiene ad un campo <strong>di</strong> ricerca troppo vasto e <strong>di</strong>spersivo,<br />
e sia perché mette in rapporto due <strong>di</strong>mensioni e due livelli molto eterogenei,<br />
quali l’or<strong>di</strong>ne linguistico e quello non linguistico.<br />
La metafora al contrario, appartiene ad una sola <strong>di</strong>sciplina, quella<br />
della retorica, e offre una costituzione linguistica omogenea 56 . Tale interesse,<br />
così motivato, si rivela, strada facendo, un’“analisi preparatoria”<br />
finalizzata ad una «chiarificazione delle ambiguità, della complessità e<br />
delle stranezze che gravano il concetto <strong>di</strong> simbolo» 57 .<br />
In effetti lo stu<strong>di</strong>o sulla metafora rende più agevole mostrare il nucleo<br />
semantico del simbolo. Per certi versi sembra essere questo il compito<br />
e la funzione dello stu<strong>di</strong>o sulla metafora e sul linguaggio poetico in<br />
genere. E se in questo “c’è più” del simbolo è perché esso, il linguaggio<br />
poetico, “porta alla luce” la semantica pur implicita del simbolo.<br />
Tuttavia con questo lavoro <strong>di</strong> esplicitazione della struttura semantica<br />
si oscura alquanto il momento non semantico del simbolo. Infatti, qualche<br />
cosa del simbolo non “passa” nella metafora e, <strong>di</strong> fatto, «resiste a<br />
una trascrizione linguistica, semantica e logica del simbolo» 58 .<br />
La metafora e il racconto, cioè, sono il “proce<strong>di</strong>mento” linguistico in<br />
cui viene a depositarsi la potenza simbolica. Mentre la metafora quin<strong>di</strong><br />
«si tiene nell’universo già purificato del logos (...), il simbolo esita sulla<br />
linea <strong>di</strong> spartizione tra bios e logos» 59 .<br />
Il linguaggio poetico, e dunque la metafora, è un linguaggio “slegato”,<br />
ed è più <strong>di</strong>fficile riconoscere in esso il linguaggio “legato” che è<br />
proprio del simbolo 60 .<br />
55 ID., «Parole et symbole», in Revue des sciences religeuses, 49 (1975), 142-161.<br />
56 Ibid., 142-143.<br />
57 L.c.<br />
58 Ibid., 151.<br />
59 Ibid., 153.<br />
60 L.c.<br />
Paola Miranda<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
La funzione simbolica del linguaggio è cioè nella metafora meno evidente<br />
che nel luogo suo più proprio: il simbolo.<br />
È questa la ragione dell’interesse per il simbolo. Certo, qui è meno<br />
evidente e <strong>di</strong>spiegato a livello teorico il suo “nucleo linguistico” , la sua<br />
struttura semantica, la sua carica esplorativa; ma è, in cambio, più palese<br />
la sua “possanza”, la sua efficacia. Quest’ultima, pur domandando d’essere<br />
portata al logos, non “passa” totalmente in esso. Nel simbolo «l‘uomo,<br />
sembra designato come un potere d’esistere, circondato al <strong>di</strong> sotto,<br />
lateralmente e dall’alto; potere <strong>di</strong> pulsioni, che agitano i nostri fantasmi;<br />
potere <strong>di</strong> mo<strong>di</strong> d’essere immaginari che suscitano la parola poetica» 61 .<br />
In fondo Ricoeur in questi anni sembra aver sondato la trama del<br />
simbolo, approfondendone sempre più la conoscenza, prima nella simbolica<br />
religiosa che traeva le sue fonti nel simbolismo cosmico (Finitu<strong>di</strong>ne<br />
e colpa), poi nei simboli onirici (Dell’interpretazione. Saggio su<br />
Freud), e infine nell’immaginazione della simbolica poetica (Metafora<br />
viva; Tempo e racconto I- II- III). Questi sono gli ambiti nei quali Ricoeur<br />
riconosce l’emergere dei simboli 62 . E anche se, a <strong>di</strong>fferenza delle precedenti<br />
<strong>di</strong>mensioni simboliche, quella poetica «ci pone all’origine dell’essere<br />
parlante», è sempre il simbolo che si fa parola e <strong>di</strong>scorso nella poesia.<br />
Ricoeur è profondamente convinto che proprio in questo periodo storico<br />
in cui il linguaggio è <strong>di</strong>venuto più preciso ed univoco, e la critica più<br />
<strong>di</strong>ssacrante, gli idoli sono morti e si comincia a comprendere il simbolo 63 .<br />
La nostra “modernità” è tesa tra un’azione culturale iconoclasta e il<br />
desiderio nuovo <strong>di</strong> essere interpellati. Per Ricoeur sono queste, in fondo, le<br />
con<strong>di</strong>zioni ideali «per lasciar parlare ciò che una volta, e ogni volta, è<br />
stato detto, quando nuovo apparve il senso, quando pieno era il senso» 64 .<br />
L’epistemologia del simbolo <strong>di</strong> Ricoeur, abbiamo già accennato, trova<br />
nell’aforisma kantiano 65 : il simbolo dà a pensare («le symbole donne<br />
à penser»), una felice sintesi.<br />
Questa breve massima ha il fascino della saggezza antica e misteriosa<br />
dell’uomo, ma per Ricoeur è stata soprattutto via <strong>di</strong> pazienza e <strong>di</strong><br />
rigore 66 .<br />
61 Ibid., p. 156.<br />
62 Cfr ID., Finitu<strong>di</strong>ne e colpa, cit., 254-259; ID., Dell’interpretazione. Saggio su<br />
Freud, cit., 26-29.<br />
63 Cfr ID., Finitu<strong>di</strong>ne e colpa, cit., 247, 419-420, 625; ID., Dell’interpretazione.<br />
Saggio su Freud, cit., 16, 41, 46; ID., Il conflitto delle interpretazioni, cit., 314, 400.<br />
64 ID., Dell’interpretazione. Saggio su Freud, cit., 41.<br />
65 Cfr I. KANT, Critica del giu<strong>di</strong>zio, Bari 1972, 135-136.<br />
66 Cfr, ID., Finitu<strong>di</strong>ne e colpa, cit., 624.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Paola Miranda<br />
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18 Paola Miranda<br />
Essa, nella sua essenzialità e paradossalità coglie i fondamenti del<br />
simbolo. Questo nel <strong>di</strong>alogo con l’uomo prende l’iniziativa, gli si avvicina<br />
mostrandoglisi e rivelandoglisi.<br />
Tale ricchezza che precede, istruisce e nutre la riflessione dell’uomo<br />
è un dono.<br />
Il verbo francesce donner rende meglio questa <strong>di</strong>mensione gratuita<br />
e quasi “amorevole” del linguaggio <strong>di</strong>etro cui, per Ricoeur credente, vi è<br />
certamente una Potenza personale.<br />
Questo dono, però, «crea il dovere <strong>di</strong> pensare, <strong>di</strong> inaugurare il <strong>di</strong>scorso<br />
filosofico a partire da ciò che da sempre lo precede e lo fonda».<br />
È un dono che interpella l’uomo, la sua responsabilità, il suo rigore<br />
riflessivo, la sua stessa vita. In questo senso non c’è lacerazione nell’uomo,<br />
anche se ben presto egli sperimenterà l’impossibilità <strong>di</strong> contenere ed<br />
esaurire la sovrabbondanza del senso appena intravisto nel simbolo.<br />
In altre parole, per Ricoeur giungere alla fine <strong>di</strong> questa strada percorsa<br />
a fianco, e sotto la guida del simbolo, non lascia il senso della<br />
lacerazione e della sconfitta, ma è la testimonianza gioiosa <strong>di</strong> ciò che è<br />
riconosciuto come più grande.<br />
Non si tratta dunque dell’ammirazione rassegnata e turbata dell’uomo<br />
sconfitto e schiacciato, ma della contemplazione “riposante” dell’uomo<br />
che ha percorso fino in fondo questa strada «<strong>di</strong> pazienza e <strong>di</strong> rigore».<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
ANALISI NARRATIVA DI Lc 7, 36-50<br />
FERNANDO RUSSO<br />
La scelta, dell’unità narrativa <strong>di</strong> Lc 7,36-50, è dettata da due ragioni.<br />
La prima ragione è che tale pericope è uno dei pochi esempi <strong>di</strong> racconto<br />
nel racconto. Connesso a questo motivo, non si può non tenere conto del<br />
fatto che la parabola, al suo interno (Lc 7,41-42), può essere accostata,<br />
non senza prudenza in merito, ad ogni tentativo nell’antichità <strong>di</strong> narrare il<br />
vissuto ad un pubblico, con lo scopo <strong>di</strong> chiamare in causa la coscienza su<br />
questioni che regolano la vita <strong>di</strong> tutti i giorni, l’universo delle convinzioni<br />
personali, talvolta persino l’ipocrisia dei comportamenti umani. Il secondo<br />
motivo è dettato dal ruolo che il narratore conferisce alla pericope<br />
stessa. Trovandosi all’interno <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso più ampio, quello cioè del<br />
ministero galilaico <strong>di</strong> Gesù, essa rappresenta il culmine <strong>di</strong> una progressione<br />
analettica e una fondamentale prolessi per il macroracconto del<br />
<strong>di</strong>ttico (Luca-Atti).<br />
Daremo subito inizio all’analisi narrativa. In primo luogo cercheremo<br />
<strong>di</strong> delimitare l’unità narrativa, secondo i criteri che in<strong>di</strong>cheremo nel corso<br />
della stesura. Ciò ci permetterà <strong>di</strong> isolare momentaneamente la<br />
pericope dal contesto, per potere effettuare una full-immersion. Il secondo<br />
momento sarà un tentativo iniziale <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>visione del brano in<br />
scene, con la possibilità <strong>di</strong> etichettare singolarmente ogni scena, me<strong>di</strong>ante<br />
un titolo appropriato. Questo primo tentativo ci consentirà <strong>di</strong> passare<br />
alla spiegazione <strong>di</strong> ogni singola scena. Saremo aiutati in questo cammino<br />
dalle sfumature e dai contributi <strong>di</strong> alcuni autori. Si riterrà opportuno de<strong>di</strong>care<br />
più spazio all’importanza della parabola nel racconto primario.<br />
Contemporaneamente alla spiegazione, ci avventureremo nel campo delle<br />
istanze intra<strong>di</strong>egetiche. Il nostro obiettivo sarà rivolto, dunque, ai personaggi,<br />
alla loro caratterizzazione.<br />
Cercheremo <strong>di</strong> seguire, dunque, le curve climatiche della loro particolare<br />
rivelazione. Il nostro stu<strong>di</strong>o avrà <strong>di</strong> mira anche il tipo <strong>di</strong> intreccio,<br />
me<strong>di</strong>ante la ulteriore sud<strong>di</strong>visione delle scene, secondo lo schema quinario.<br />
La sintesi finale <strong>di</strong> questa prima parte ci permetterà <strong>di</strong> progre<strong>di</strong>re con la<br />
seconda parte, che avrà come oggetto fondamentale le istanze<br />
extra<strong>di</strong>egetiche. Alcune intuizioni, dunque, delle istanze intra<strong>di</strong>egetiche<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Fernando Russo<br />
Fernando<br />
Russo<br />
Ë<br />
docente <strong>di</strong><br />
Sacra Scrittura<br />
19
saranno sviluppate e completate, considerando essenzialmente il narratore<br />
ed il lettore implicito. Ciò ci consentirà, con una sorta <strong>di</strong> inclusione,<br />
<strong>di</strong> ricollegarci all’inizio, ponendo <strong>di</strong> nuovo la pericope nel suo contesto e<br />
tentando <strong>di</strong> ricomporre la prospettiva finale del macroracconto. La strategia<br />
narrativa dell’autore, corredata anche delle tecniche utilizzate, quali<br />
le analessi, le prolessi, nonché il cammino del lettore implicito saranno<br />
completati proprio attraverso il contesto in cui la pericope è situata.<br />
Ogni pericope può essere sud<strong>di</strong>visa in ulteriori microunità che, una<br />
volta identificate, ci permettono <strong>di</strong> comprendere meglio la logica interna<br />
dei passaggi, sottolineati dall’autore. In realtà il nome <strong>di</strong> un simile proce<strong>di</strong>mento<br />
varia a seconda degli esegeti. Nel nostro caso parleremo <strong>di</strong> una<br />
scansione <strong>di</strong> scene. Quali potrebbero essere i criteri per una ulteriore<br />
sud<strong>di</strong>visione? Innanzitutto, la presenza o meno dei personaggi, ma, anche,<br />
il cambiamento <strong>di</strong> tematica e, soprattutto un’attenzione quasi<br />
certosina alla grammatica, con i verbi utilizzati, le particelle che consentono<br />
<strong>di</strong> prendere coscienza <strong>di</strong> alcune svolte nella narrazione.<br />
20 Fernando Russo<br />
Ragionamento sulla composizione<br />
Il v.36 è dominato dalla presenza <strong>di</strong> due personaggi: Gesù ed il fariseo,<br />
per ora senza nome. Quest’ultimo è introdotto da una particella d ., che<br />
crea <strong>di</strong>stacco da ciò che precede nell’or<strong>di</strong>to narrativo del Vangelo <strong>di</strong><br />
Luca. Infatti, Lc 7,29-34 riporta il non riconoscimento, da parte dei farisei,<br />
<strong>di</strong> Giovanni il Battista. Quin<strong>di</strong>, c’è un contrasto precedente, basato sulla<br />
non volontà a farsi battezzare da Giovanni il Battista, ma anche una<br />
incomprensione <strong>di</strong> fondo riconoscere il Figlio dell’uomo. Ad ogni modo,<br />
una particella avversativa, a questo punto, può fornire l’in<strong>di</strong>zio per una<br />
svolta, non imme<strong>di</strong>atamente evidente, ma quasi subito chiara nell’invito<br />
a pranzo che il fariseo stesso rivolge a Gesù.<br />
I vv. 37-38 sono dominati dalla presenza della donna, anch’essa come<br />
il fariseo senza nome. A <strong>di</strong>fferenza del fariseo, essa è introdotta con una<br />
particella kai., che si protrae lungo tutto l’arco del v. 38, nell’introdurre in<br />
maniera coor<strong>di</strong>nata i gesti che compie.<br />
Il protagonista del v. 39 è <strong>di</strong> nuovo il fariseo, introdotto nuovamente<br />
con un d .., legato al participio aoristo ivdw,n, riferito esplicitamente al fariseo.<br />
Suscita particolare attenzione il v. 40, il cui protagonista è Gesù. Se il<br />
v. 39 oltre a costituire una critica in sor<strong>di</strong>na da parte del fariseo all’atteggiamento<br />
“lassista” <strong>di</strong> Gesù ed a rendere concreta la domanda su come<br />
reagirà Gesù, la presenza del verbo avpokri,nw introduce anche un’evi-<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
dente reazione <strong>di</strong> Gesù a quello che il fariseo ha appena pensato. Tuttavia,<br />
la reazione concreta del v. 40 sembra essere monca, perché è<br />
concretizzata in un <strong>di</strong>alogo, che ha appena l’estensione <strong>di</strong> due battute «kai.<br />
avpokriqei.j o` VIhsou/j ei=pen pro.j auvto,n\ Si,mwn( œcw soi, ti eivpei/nÅ o`<br />
dš,\ <strong>di</strong>da,skale( eivpš,,( fhsi,n». Il v. 40, dunque, funge da cerniera, in<br />
quanto costituisce il culmine <strong>di</strong> una progressione iniziata con il v. 36,<br />
tuttavia c’è un visibile rallentamento, dovuto al <strong>di</strong>alogo, che non esaurisce<br />
ancora la domanda su come avverrà la reazione. Bisognerà ancora<br />
leggere l’intero racconto per comprendere finalmente il contenuto <strong>di</strong><br />
quel ti che Gesù ha appena annunciato a Simone (v. 40).<br />
L’unità dei vv. 41-42 è garantita dall’evidente cambio <strong>di</strong> prospettiva,<br />
inaugurato dal racconto della parabola. Il problema si pone per il v. 43,<br />
facilmente collegabile al v.39, anche a motivo della ripresa del verbo<br />
«avpokriqei.j», questa volta attribuito a Simone il fariseo. La sezione<br />
parabolica sembra avere il suo culmine nel v. 43, tuttavia anche in questo<br />
caso potremmo parlare <strong>di</strong> una cesura, sancita in qualche modo dalla<br />
ratifica <strong>di</strong> ciò che Simone ha giu<strong>di</strong>cato «ovrqw/j œ;krinaj», in contrasto<br />
con quanto segue, vv. 44-47, col quale viene passato in rassegna l’elenco<br />
delle omissioni <strong>di</strong> Simone nei confronti <strong>di</strong> Gesù.<br />
Se volessimo tagliare il nostro racconto, dopo il v. 40, eliminando<br />
l’intera sezione parabolica e facendola riprendere <strong>di</strong>rettamente con il<br />
v.44, ci accorgeremmo che, in definitiva, l’intero racconto potrebbe persino<br />
fare a meno della parabola. Rispondere a questa legittima osservazione<br />
significherebbe entrare in un lungo <strong>di</strong>scorso sulla retorica narrativa<br />
<strong>di</strong> Luca che, a questo punto del nostro lavoro, risulta fuori luogo.<br />
L’unità della sezione dei vv. 44-47 è data dal paragone tra i due personaggi<br />
<strong>di</strong> Simone e della donna, per bocca <strong>di</strong> Gesù. Due elementi vale<br />
la pena <strong>di</strong> prendere in considerazione. Il primo riguarda la ripresa dei<br />
vocaboli e dei verbi dei vv.37-38, con una sorta <strong>di</strong> inclusione. Ritornano,<br />
dunque, verbi come “entrare”, “bagnare”, “ungere”, “asciugare”, “baciare”<br />
e vocaboli come “pie<strong>di</strong>”, “lacrime”, “unguento”. Inoltre, si può<br />
annotare anche la formula stereotipa con cui, nel lungo paragone, viene<br />
introdotta la donna, cioè «au[th d ».<br />
Se guar<strong>di</strong>amo al v. 37, è la particella «kai.» ad introdurre la donna.<br />
Abbiamo qui una inversione <strong>di</strong> tendenza. Infatti, ricorderemo che è<br />
proprio la particella d . ad introdurre il fariseo (vv. 36.39). Il v. 47,<br />
sebbene conferisca in qualche modo un epilogo al lungo <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong><br />
Gesù, tuttavia anticipa già l’oggetto del successivo <strong>di</strong>scorso, al v.48.<br />
Abbiamo un richiamo lessicale «ou- ca,rin» con ciò che precede<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Fernando Russo<br />
21
«evcari,sato», (vv. 42-43) ed un rimando lessicale con ciò che segue, a<br />
motivo della ripresa del termine «aƒ ¡marti,ai», (vv. 47-48).<br />
Il v. 48 ripete quanto è stato appena detto al v. 47, ma, questa volta, il<br />
<strong>di</strong>scorso è rivolto alla donna. Il v. 49 riporta la presenza al banchetto <strong>di</strong><br />
altri commensali. Abbiamo un rimando tra «n ˜autw/» del v. 39 ed «vn<br />
˜autoi/j» del v.49.<br />
Il v. 50, infine, è sempre un <strong>di</strong>scorso rivolto alla donna, che aggiunge<br />
qualcosa, rispetto al precedente <strong>di</strong>scorso del v. 48. Infatti, se al v. 48 l’argomento<br />
principale metteva in risalto la remissione dei peccati della donna,<br />
al v. 50 si parla <strong>di</strong> salvezza per la fede «¹ pi,stij sou sš,swkš,n se».<br />
22 Fernando Russo<br />
Sud<strong>di</strong>visione in scene e conferimento <strong>di</strong> un titolo<br />
Il ragionamento sulla composizione della struttura ci permette ora <strong>di</strong><br />
operare una sud<strong>di</strong>visione in scene, con il tentativo <strong>di</strong> fornire un titolo<br />
riassuntivo ad ogni singola scena. Riguardo la sud<strong>di</strong>visione, inoltre, adoperiamo<br />
come riferimento lo schema quinario, per ragioni che saranno<br />
ancora più evidenti nella stesura del presente lavoro.<br />
I vv. 36-39 possono essere raggruppati insieme e riconosciuti come<br />
situazione iniziale. Abbiamo l’informazione dell’invito a pranzo e la presenza<br />
dei tre attori principali. Ovviamente, all’interno <strong>di</strong> questa situazione<br />
iniziale rinveniamo la complicazione «kai. ivdou. gunh. h[tij h=n vn tÍ/<br />
po,lei ¡martwlo,j», acuita ed amplificata dai vv. 37-39. Sorge spontanea<br />
la domanda su come risolverà Gesù la complicazione.<br />
In realtà, volendo momentaneamente separare la parabola dal contesto,<br />
e considerando anche una determinata svolta, a partire dal v. 40, una<br />
svolta che si avvale sostanzialmente dei <strong>di</strong>scorsi, non rinveniamo una<br />
vera e propria azione trasformatrice. La curva climatica, ossia la progressione<br />
delle scene raggiunge il suo culmine proprio al v. 40, laddove<br />
la concretizzazione <strong>di</strong> una determinata reazione subisce in realtà una<br />
<strong>di</strong>latazione, che si protrae fino al v. 47. I vv. 40.44-47 costituiscono,<br />
dunque, la soluzione.<br />
La situazione finale copre i vv. 48-50. Siamo a conoscenza della con<strong>di</strong>zione<br />
finale della donna, alla quale sono stati rimessi i peccati e che la<br />
fede stessa ha salvato.<br />
Volendo riassumere quanto abbiamo detto finora, cerchiamo <strong>di</strong> dare,<br />
non senza <strong>di</strong>fficoltà, un titolo alle singole scene:<br />
1) vv. 36-39 La presenza <strong>di</strong> una donna peccatrice nella casa <strong>di</strong><br />
un fariseo è occasione per mettere alla prova Gesù.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
2) vv. 40.44-47 La reazione <strong>di</strong> Gesù provoca un’inversione <strong>di</strong><br />
tendenza nella considerazione della donna e del fariseo.<br />
3) vv. 41-43 Il racconto <strong>di</strong> due debitori condonati.<br />
3) vv.48-50 La fine interpreta il principio. I gesti della donna<br />
testimoniano un perdono già ricevuto e la salvezza per fede.<br />
Racconto primario: Situazione iniziale e complicazione<br />
(vv. 36-39)<br />
Siamo imme<strong>di</strong>atamente proiettati nella prima scena, dal carattere<br />
conviviale, quasi familiare. L’esor<strong>di</strong>o del v. 36, con un verbo all’imperfetto<br />
«VHrw,ta», apre il sipario, rivelando le prime immagini. Colpisce<br />
subito il fatto che ad invitare a pranzo Gesù sia proprio un fariseo. Non<br />
abbiamo informazioni sulla motivazione <strong>di</strong> un simile invito, forse il fariseo<br />
voleva interrogare semplicemente Gesù oppure era un semplice collezionista<br />
<strong>di</strong> celebrità. Nemmeno il suo nome è riportato, tanto è vero che<br />
viene chiamato con un «tij» (v. 36).<br />
Una volta aperto il sipario, siamo proiettati <strong>di</strong>rettamente sulla scena,<br />
la casa del fariseo. Gesù si mette a tavola «katekli,qh» (v. 36).<br />
Il significato del verbo «katakli,nw» in<strong>di</strong>ca il movimento dello sdraiarsi.<br />
I pranzi avvenivano in una posizione <strong>di</strong>stesa, su cuscini o <strong>di</strong>vani.<br />
Tutto sembra filare liscio fino a questo momento, quando si presenta la<br />
complicazione, in seno alla prima scena. Un pranzo nell’universo semitico<br />
non era mai un fatto privato, a se stante, soprattutto quando uno dei<br />
commensali era un Rabbi. Tutti coloro che volevano, potevano assistere<br />
in <strong>di</strong>sparte, per godere delle perle <strong>di</strong> sapienza che uscivano dalla bocca<br />
del Maestro. Ciò era facilitato anche dal modo in cui erano costruite le<br />
case. Infatti, gli ambienti erano costruiti attorno ad un cortile, al centro<br />
del quale era situato spesso un giar<strong>di</strong>no, con piante e fontane. Durante la<br />
stagione estiva, a causa del caldo, i pranzi venivano consumati proprio<br />
nel giar<strong>di</strong>no 1 .<br />
La complicazione, dunque, si comincia ad intuire con l’entrata in scena<br />
della donna. Il fatto che sia una sconosciuta viene sottolineato dalla<br />
mancanza <strong>di</strong> articolo «gunh,» e dal pronome indefinito «h[tij», (v. 37).<br />
L’unica informazione, riguardo la donna, che rompe in qualche modo il<br />
suo anonimato è «¡martwlo,j» (v. 37). Costei è, dunque, una peccatrice,<br />
1 2 W. BARCLAY, The Gospel of Luke. Introduction by J. Drane, London 2001 , 111-<br />
113.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Fernando Russo<br />
23
ma non viene spiegato in che senso. Era una prostituta 2 ? O semplicemente<br />
una donna che aveva a che fare con pratiche che la rendevano<br />
impura 3 ? In realtà, una certa ambiguità o ambivalenza del termine, che<br />
va sotto il nome <strong>di</strong> anfibologia, sembra voluta dal narratore, anche se<br />
ciò non è imme<strong>di</strong>atamente evidente, ad una lettura superficiale del testo.<br />
I gesti della donna<br />
Due participi aoristi introducono una serie <strong>di</strong> gesti che la donna sta per<br />
intraprendere, «pignou/sa» e «komi,sasa avla,bastron mu,rou» (v. 38). Venuta<br />
a sapere che, nella casa del fariseo, Gesù sta pranzando, prende un<br />
vasetto <strong>di</strong> alabastro e vi si reca, probabilmente al seguito <strong>di</strong> tutti coloro<br />
che volevano ascoltare l’insegnamento del famoso Rabbi che fa miracoli.<br />
Altri due participi conferiscono rallentamento all’azione «kai. sta/sa<br />
ovpi,sw para. tou.j po,daj auvtou/» e «klai,ousa» (v. 38a). Il secondo dei<br />
due participi aoristi in<strong>di</strong>ca il punto <strong>di</strong> rottura del visibile rallentamento.<br />
Finalmente viene riportato l’esito <strong>di</strong> una forte emozione.<br />
Soltanto a questo punto il ritmo della narrazione <strong>di</strong>viene più incalzante,<br />
nella sequenza <strong>di</strong> verbi <strong>di</strong> senso compiuto.<br />
Il primo verbo è conseguenza del piangere. La donna comincia a<br />
bagnare i pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> Gesù «h;rxato bršcein tou.j po,daj auvtou/» (v. 38b). I<br />
tre verbi che seguono sono tutti all’imperfetto e sottolineano la durata<br />
dell’azione. Poi asciuga i suoi pie<strong>di</strong> con i capelli «tai/j qrixi.n th/j kefalhj<br />
auvth/j vxšmassen» (v. 38c), li bacia «katefi,lei tou.j po,daj auvtou/» (v.<br />
38d) e li unge con l’olio profumato «h;leifen tw/| mu,rw|Å» (v. 38e).<br />
2 E.R. THIBEAUX, «Known to be a sinner; the narrative rhetoric of Luke 7,36-50», in<br />
BibTB, 23 (1993) 151-160. L’immagine che Luca dà della donna è forse più adatta per<br />
un u<strong>di</strong>torio <strong>di</strong> tipo ellenistico. L’interpretazione che fa <strong>di</strong> lei una prostituta, così come<br />
vorrebbero molti esegeti, non collima con l’immagine giudaica della prostituzione. Infatti,<br />
la maggior parte delle prostitute del mondo giudaico erano schiave. Inoltre, se<br />
Luca avesse annotato che questa donna era una prostituta, avrebbe forse sminuito le sue<br />
colpe. C’è qualcosa <strong>di</strong> più, qui, che prende corpo nel corso della narrazione e che non è<br />
imme<strong>di</strong>atamente evidente.<br />
3 B. REID, «So you see this woman?: Luke7,36-50 as a para<strong>di</strong>gm for feminist<br />
hermeneutics», in BR 40 (1995) 39. Sembrerebbe più plausibile l’ipotesi della impurità,<br />
dovuta alla frequentazione <strong>di</strong> esponenti del mondo pagano o alla de<strong>di</strong>zione a pratiche<br />
che avevano a che fare con questi ultimi, anche se ciò <strong>di</strong> fatto non risolve il problema<br />
dell’ambiguità semantica. Resta un’ipotesi, inoltre, la ricchezza, rappresentata dal costoso<br />
«avla,bastron mumrou», che potrebbe essere interpretato come frutto del commercio<br />
del suo corpo. In realtà, bisogna convenire sul fatto che Luca non dà spiegazioni.<br />
Forse, come <strong>di</strong>remo anche in seguito, si trattava <strong>di</strong> una donna che aveva a che fare con<br />
i pagani e, per questo motivo, la sua impurità era nota a tutto il paese.<br />
24 Fernando Russo<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Più che annotare il contesto dei gesti, credo sia il caso <strong>di</strong> fare presente<br />
il silenzio che gli fa da scenario e da sottofondo. La donna non parla,<br />
è in preda ad una forte emozione, che le causa pianto e mette in pratica<br />
una serie <strong>di</strong> azioni, che vogliono esprimere in primo luogo un sentimento<br />
nei confronti dell’ospite del fariseo. Quali sono questi sentimenti? C’è<br />
qualcosa che emerge dal profondo <strong>di</strong> lei, ma non è ancora chiaro. Per<br />
ora ci soffermiamo sui gesti, senza preoccuparci <strong>di</strong> spiegare ciò che<br />
sarà più chiaro in seguito.<br />
Il non esplicito<br />
Il fariseo, così come, probabilmente, altri commensali presenti, assiste<br />
alla scena «ivdw.n» (v. 39). E la scena ha delle risonanze. Viene riportato<br />
l’esito dei suoi pensieri, pensieri che esprimono in primo luogo <strong>di</strong>sgusto<br />
nei confronti della donna e sorpresa nei confronti <strong>di</strong> Gesù «ei=pen<br />
n ˜autw/| lš,gwn\ ou-toj eiv h=n profh,thj( vgi,nwsken an ti,j kai. potaph.<br />
¹ gunh. h[tij a[ptetai auvtou/( o[ti ¡martwlo,j stinÅ» (v. 39). La prima<br />
scena è fatta <strong>di</strong> silenzi. Il silenzio della donna, scenario naturale ai suoi<br />
gesti, il finto silenzio del fariseo che, attraverso i suoi pensieri, rende<br />
concreta la complicazione. Egli, probabilmente, ha la conferma definitiva<br />
ai suoi sospetti. Costui non è un profeta, se consente ad una peccatrice<br />
<strong>di</strong> toccarlo. Un profeta avrebbe redarguito, si sarebbe tenuto lontano,<br />
per non contaminarsi. Egli, dunque, vede e constata quello che vede, la<br />
realtà per la quale formula un giu<strong>di</strong>zio.<br />
Dal silenzio alle parole (v. 40)<br />
Se la scena che abbiamo contemplato insieme ai presenti è avvolta<br />
dal silenzio, ecco che al silenzio seguono le parole, questa volta in forma<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo. Ci si sarebbe aspettato una auto<strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Gesù, che spiegasse<br />
il motivo del suo lasciarsi toccare o un qualche gesto che almeno ponesse<br />
fine a quanto era stato contemplato. Invece, Gesù si rivolge proprio al<br />
fariseo e lo chiama per nome «Si,mwn» (v. 40). La reazione <strong>di</strong> Gesù,<br />
evidente nella forza <strong>di</strong> significato del verbo «avpokriqei.j», si traduce in<br />
un primo <strong>di</strong>alogo, che ha appena l’estensione <strong>di</strong> due battute «Si,mwn(<br />
œcw soi, ti eivpei/nÅ Ð d \ <strong>di</strong>da,skale( eivpš,( fhsi,n» (v. 40). In cosa si<br />
tradurrà materialmente quel ti <strong>di</strong> cui ha appena parlato Gesù? Termina<br />
qui, dunque, la prima parte del racconto primario. In essa abbiamo constatato<br />
la presenza <strong>di</strong> una situazione iniziale e <strong>di</strong> una complicazione. Si<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Fernando Russo<br />
25
ichiede, dunque, un intervento, qualcosa che <strong>di</strong>a <strong>di</strong> nuovo equilibrio alla<br />
situazione. Cosa succederà?<br />
4 V. FUSCO, Oltre la parabola. Introduzione alla parabole <strong>di</strong> Gesù, Roma 1981, 60-<br />
85. L’autore insiste particolarmente sul trasferimento dell’u<strong>di</strong>torio nel piano fittizio e,<br />
dunque, sulla metanarratività della parabola.<br />
5 J. DUPONT, Il metodo parabolico <strong>di</strong> Gesù, Brescia 1978. Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Dupont mira<br />
ad evidenziare l’originalità dell’utilizzo parabolico nel contesto evangelico. Egli sud<strong>di</strong>vide<br />
le parabole in due gruppi. Nel primo gruppo rientrano le parabole che riguardano<br />
il comportamento degli ascoltatori, mentre nel secondo gruppo rientrano quelle che<br />
vogliono spiegare il comportamento <strong>di</strong> Gesù o quello <strong>di</strong> Dio. Il caso della nostra parabola<br />
sembra rientrare nel primo gruppo, anche se l’utilizzo lucano mostra una sua<br />
originalità, perché la parabola stessa è inserita in un contesto narrativo preciso, quello<br />
della scena che il narratore sta attualmente raccontando.<br />
26 Fernando Russo<br />
Racconto secondario o meta<strong>di</strong>egetico (vv. 41-42)<br />
Con il v. 41 il racconto primario si arresta, per dare vita a quello<br />
meta<strong>di</strong>egetico. Cerchiamo <strong>di</strong> spiegare bene questo passaggio. La nuova<br />
scena non riporta nessun <strong>di</strong>alogo, come forse ci si sarebbe aspettato<br />
dall’esito <strong>di</strong> quanto avevamo letto, ma Gesù <strong>di</strong>viene narratore e racconta<br />
semplicemente una storia. Se volessimo dare una giusta immagine al<br />
racconto secondario, dovremmo usare l’immagine <strong>di</strong> un cavalcavia o <strong>di</strong><br />
una sopraelevata che, interrompendo la strada principale, fa in modo<br />
che l’automobilista o il viandante vi si immetta <strong>di</strong> nuovo al punto in cui la<br />
strada era stata interrotta. Lo scorrere del tempo si arresta, lo scenario<br />
reale della casa del fariseo resta in sottofondo. C’è un pubblico che<br />
ascolta, una voce che narra. Comincia il racconto.<br />
Chi ascolta è catapultato improvvisamente in una storia che sembra<br />
non attinente a nessun contesto 4 . Una storia fittizia, i cui personaggi<br />
sono tratti dall’immaginario comune 5 . Entriamo nel vivo della storia, ossia<br />
<strong>di</strong> quella storia che chiameremo con il nome <strong>di</strong> parabola. Il v. 41<br />
presenta la situazione iniziale, cioè un cre<strong>di</strong>tore «danisth,j» che ha due<br />
debitori «creofeilš,tai». Nulla <strong>di</strong> più normale, dunque. Il primo ha contratto<br />
con lui un debito <strong>di</strong> cinquecento denari «w;feilen dhna,ria<br />
pentako,sia», mentre il secondo gli deve molto <strong>di</strong> meno, cioè cinquanta<br />
denari «Ð d ›teroj penth,konta». Esiste una sproporzione, evidente nel<br />
debito, tra il primo e il secondo. La voce narrante, ossia il narratore<br />
meta<strong>di</strong>egetico ci informa, con l’inizio del v. 42, che entrambe sono nell’impossibilità<br />
<strong>di</strong> saldare il debito «mh. co,ntwn auvtw/n avpodou/nai». Non<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
viene spiegato il perché e non sono riportate ulteriori informazioni sulla<br />
situazione finanziaria dei due debitori. Guardando alla realtà concreta<br />
del racconto, potremmo considerare una simile situazione la complicazione,<br />
anche se tale non è evidente nel racconto <strong>di</strong> Gesù. Ci si aspetterebbe,<br />
a questo punto, un’azione del cre<strong>di</strong>tore oppure delle parole <strong>di</strong><br />
ammonimento, perché i termini non sono stati rispettati, ma il racconto<br />
risulterebbe scontato, scorrerebbe cioè tenendo conto della mentalità<br />
corrente, del senso comune.<br />
Invece, accade l’imprevisto, senza motivazioni, senza supporto umano<br />
<strong>di</strong> nessun genere. Il cre<strong>di</strong>tore rimette il debito ad entrambe «avmfotšroij<br />
cari,sato» (v. 42a).<br />
Ritorno al racconto primario: (la soluzione)<br />
La tecnica della synkrisis (vv. 44-47)<br />
Al v.43 Simone risponde alla domanda postagli dal maestro, alla fine<br />
del racconto. In realtà, la sua risposta riflette il <strong>di</strong>stacco intravisto precedentemente,<br />
al v. 39 ed, infatti, il verbo adoperato è «Øpolamba,nw» (supporre).<br />
Tuttavia, il ritorno alla realtà non è più lo stesso per lui, perché<br />
egli è chiamato a giu<strong>di</strong>care su quanto ha ascoltato nel piano fittizio. Notiamo<br />
come la struttura letteraria del racconto primario e <strong>di</strong> quello<br />
meta<strong>di</strong>egetico percorrano il medesimo itinerario. Il racconto parabolico<br />
è, dunque, speculare e simmetrico, rispetto al racconto primario. La situazione<br />
narrata nel primo racconto si specchia nel racconto fittizio. Il<br />
cre<strong>di</strong>tore, dunque, è Gesù, mentre i debitori sono la donna e Simone.<br />
L’uno deve cinquecento denari, mentre l’altro deve soltanto cinquanta<br />
denari.<br />
L’effetto parabola comincia a realizzarsi nel giu<strong>di</strong>zio che Simone<br />
emette. È allora che si ha il rovesciamento <strong>di</strong> prospettiva.<br />
Nel racconto primario la situazione iniziale presenta il fariseo, l’uomo<br />
dai sal<strong>di</strong> principi, avvantaggiato, perché si propone <strong>di</strong> applicare la<br />
legge nei minimi dettagli. In quanto fariseo, sa <strong>di</strong> essere debitore, ma<br />
<strong>di</strong>mostra <strong>di</strong> non avere bisogno <strong>di</strong> imparare da nessuno 6 . Inoltre, nel racconto<br />
primario viene presentata anche la donna. La sua è una posizione<br />
<strong>di</strong> svantaggio, perché, stando al giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Simone e dei presenti, è una<br />
peccatrice. Il suo debito, dunque, è considerato grande. In quanto spet-<br />
6 O. DA SPINETOLI, Il Vangelo <strong>di</strong> Luca, Assisi 1982, 283-284.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Fernando Russo<br />
27
tatrice del racconto della parabola, anche lei, al pari <strong>di</strong> Simone, ha bisogno<br />
<strong>di</strong> essere condotta per mano, ha bisogno cioè <strong>di</strong> qualcuno che <strong>di</strong>a<br />
voce al senso dei suoi gesti.<br />
Come abbiamo detto, a partire dal giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Simone «avpokriqei,j»<br />
(v. 43), nella constatazione <strong>di</strong> quanto si presenta nel piano fittizio, avviene<br />
il rovesciamento delle prospettiva. I debiti vengono improvvisamente<br />
condonati. Colui, dunque che era nella situazione <strong>di</strong> vantaggio si trova<br />
imme<strong>di</strong>atamente ad essere in una posizione svantaggiata, mentre colei<br />
che era in una posizione <strong>di</strong> svantaggio passa ad una posizione avvantaggiata.<br />
L’effetto parabola, ossia la soluzione, è resa ancora più viva dalla<br />
tecnica <strong>di</strong> synkrisis, che Luca adopera, accostando le due figure. Il<br />
metro positivo <strong>di</strong> valutazione sono le azioni della donna.<br />
Primo piano<br />
della realtà<br />
Donna (svantaggio)<br />
Fariseo (vantaggio)<br />
28 Fernando Russo<br />
Parabola<br />
(piano della finzione)<br />
Donna<br />
(svantaggio-vantaggio)<br />
Fariseo<br />
(vantaggio-svantaggio)<br />
Effetto nel contrasto vv. 44-46<br />
Secondo piano<br />
della realtà<br />
Donna (vantaggio)<br />
Fariseo (svantaggio)<br />
Al v.43b Gesù ratifica quanto ha appena giu<strong>di</strong>cato Simone «ovrqw/j<br />
œkrinaj». È vero, sarà ancora più grato al cre<strong>di</strong>tore colui al quale viene<br />
condonato <strong>di</strong> più. Abbiamo detto, dunque, che il rovesciamento <strong>di</strong> prospettiva<br />
nelle rispettive situazioni del fariseo e della donna, nell’ottica <strong>di</strong><br />
vantaggio-svantaggio, si acuisce con il paragone che Gesù opera, a partire<br />
dal v. 44. Il metro <strong>di</strong> paragone, dunque, <strong>di</strong>vengono inaspettatamente<br />
le azioni della donna, al v. 38. Fino a questo momento Gesù non aveva<br />
rivolto parola a lei. Con il v. 44 volge le rivolge l’attenzione «kai. strafei.j<br />
pro.j th.n gunai/ka» e, mantenendo il capo rivolto ancora verso <strong>di</strong> lei,<br />
attira l’attenzione su <strong>di</strong> lei, rivolgendo la domanda retorica a Simone<br />
«blšpeij tau,thn th.n gunai/ka;». Tutto ciò introduce in modo incalzante<br />
il successivo contrasto. Innanzitutto, ci sono delle chiare inclusioni, causate<br />
dai richiami linguistici. I pie<strong>di</strong>, ad esempio, «tou.j po,daj», del v. 38,<br />
sono ripresi due volte al v.44. Le azioni connesse con i pie<strong>di</strong> stessi e cioè<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
«bršcein, evxš,massen, katefi,lei, h;leifen», sono ripresi ai vv. 44-46,<br />
ma questa volta la descrizione delle azioni della donna viene amplificata.<br />
Assistiamo, dunque, ad una sproporzione tra ciò che il fariseo ha omesso<br />
e quello che la donna ha compiuto, superando la stessa legge biblica che<br />
regolava l’ospitalità 7 .<br />
A livello grammaticale c’è un’alternanza tra frasi formulate negativamente<br />
e positivamente.<br />
Negativo (omissione) Simone<br />
u[dwr moi pi. Po,daj ouvk œ;dwkaj<br />
v. 44d<br />
fi,lhma, moi ouvk œdwkaj v. 45a<br />
lai,w| th.n kefalh,n mou ouvk<br />
h;leiyaj v. 46a<br />
Positivo (sproporzione) donna<br />
au[th de. Toi/j da,krusin œ;brexšn<br />
mou tou.j po,daj kai. tai/j qrixi.n<br />
auvth/j vxe,maxenÅ v. 44e<br />
au[th d . avfV h-j eivsh/lqon ouv<br />
<strong>di</strong>šlipen katafilou/sa, mou tou.j<br />
po,dajÅ v. 45b<br />
au[th d . Mu,rw| h;leiyen tou.j<br />
po,daj mouÅ v. 46b<br />
All’omissione dell’acqua (v. 44d) corrisponde la pioggia <strong>di</strong> lacrime e<br />
l’asciugare i pie<strong>di</strong> con i capelli (44e). All’omissione del bacio corrisponde<br />
un numero crescente <strong>di</strong> baci, rivolti ad<strong>di</strong>rittura ai pie<strong>di</strong> (v. 45b). All’omissione<br />
dell’unzione del capo con olio, corrisponde l’unzione dei pie<strong>di</strong><br />
con unguento profumato. Al centro <strong>di</strong> questa struttura, che si alterna<br />
tra negativo e positivo, omissione e sproporzione, si trova la formula<br />
stereotipata au[th d . La stessa particella che aveva introdotto il fariseo,<br />
al v. 39, viene ora utilizzata per parlare della donna, con lo stesso valore<br />
7 Esistevano dei gesti che regolavano l’ospitalità nei confronti <strong>di</strong> personalià <strong>di</strong><br />
riguardo. Veniva data l’acqua per i pie<strong>di</strong> (Gen 18,4; Gc 19,21), ad<strong>di</strong>rittura si parla <strong>di</strong> un<br />
bacio <strong>di</strong> benvenuto (Gen 29,13; 45,15). Riguardo, poi, l’unzione abbiamo a testimonianza<br />
proprio i salmi (Sal 23,5; 141,5). Il fatto che Simone abbia trascurato simili gesti<br />
nei confronti del Rabbi che egli ha invitato, <strong>di</strong>mostra forse la poca considerazione che<br />
egli ha <strong>di</strong> lui. Lo aveva invitato, allora, probabilmente, per redarguire la sua condotta o<br />
per contrad<strong>di</strong>re il suo insegnamento? Oppure ciò fa parte <strong>di</strong> una strategia narrativa che<br />
mira a mettere in evidenza qualcosa in partiolare? Non abbiamo in<strong>di</strong>zi chiari a riguardo.<br />
L. MORRIS, Il Vangelo secondo Luca Leicester 1978 (trad. it. 2003), 218-220.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Fernando Russo<br />
29
avversativo. Qui è ancora più chiaro il cambio <strong>di</strong> prospettiva, nell’ottica<br />
<strong>di</strong> un vantaggio acquisito da parte della donna.<br />
30 Fernando Russo<br />
L’esito del racconto: la situazione finale (vv. 47-50)<br />
Cerchiamo ora <strong>di</strong> ragionare un momento sull’epilogo del racconto.<br />
La prima cosa che occorre fare è cercare i nostri personaggi. Essi hanno<br />
vissuto certamente delle tensioni, delle emozioni, talvolta espresse,<br />
attraverso i gesti, talvolta attraverso i pensieri. Ciò che li caratterizza è<br />
la <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zione, nonché l’intervento stesso del narratore, che<br />
talvolta, come nel caso della donna, si appella al senso comune o alle<br />
<strong>di</strong>cerie a suo riguardo oppure rivela l’esito <strong>di</strong> pensieri recon<strong>di</strong>ti, come nel<br />
caso <strong>di</strong> Simone.<br />
A questo punto della storia essi sembrano scomparire, perché il protagonista<br />
in<strong>di</strong>scusso dell’ultima scena, come del resto lo è dell’intera<br />
unità narrativa, è Gesù. Infatti, non possiamo constatare fattivamente la<br />
loro presenza, se non attraverso <strong>di</strong> lui.<br />
Se guar<strong>di</strong>amo alla struttura dell’ultima scena, notiamo una prevalenza<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi. Il primo <strong>di</strong> essi è al v. 47 «avfšwntai aƒ amarti,ai auvth/j aƒ<br />
pollai,( o[ti hvga,phsen polu,\ w-| d ovli,gon avfi,etai( ovli,gon avgap´». Il<br />
<strong>di</strong>scorso è rivolto a Simone «ou- ca,rin lšgw soi». La prima parte del<br />
<strong>di</strong>scorso è una esplicitazione dello stato della donna. Il verbo adoperato<br />
è un perfetto, «avfš,wntai». Tutti sappiamo che il tempo del perfetto allude<br />
ad una situazione passata, i cui effetti sono ancora visibili nel presente.<br />
Quin<strong>di</strong>, la donna era già stata perdonata, ma non sappiamo quando e<br />
come. Quello che conta è che, quando è giunta nella casa <strong>di</strong> Simone, i<br />
suoi gesti hanno rimandato ad un’azione che ha già sortito su <strong>di</strong> lei un<br />
effetto <strong>di</strong> remissione delle colpe o <strong>di</strong> condono. La progressiva sproporzione<br />
dei suoi gesti è confermata da «o[ti hvga,phsen polu/» (v. 47a), che<br />
vuole anche essere la prima parte della morale della parabola. Non entriamo<br />
in merito alla questione su come la donna avesse incontrato Gesù,<br />
in precedenza, dal momento che un numero considerevole <strong>di</strong> persone<br />
costituiva l’u<strong>di</strong>torio del suo insegnamento. Tuttavia, appellandoci proprio<br />
a questa ultima osservazione, potremmo entrare ancora meglio nel vivo<br />
delle intenzioni che spingono la donna nella casa <strong>di</strong> Simone. Tali intenzioni<br />
potrebbero essere viste nell’ottica della “sfida”. Perché nessuno, notoriamente<br />
conosciuto come un peccatore e, quin<strong>di</strong>, separato dal resto<br />
della comunità, si sarebbe recato nella casa <strong>di</strong> un fariseo, mettendo in<br />
atto quello che ha fatto lei nei confronti <strong>di</strong> Gesù. La seconda parte del<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
<strong>di</strong>scorso è la seconda parte della morale «w-| d ovli,gon avfi,etai( ovli,gon<br />
avgapa/|Å» (v. 47b) . Colui che ama poco è, dunque, Simone. La morale della<br />
parabola è sdoppiata ed è riportata proprio dopo il contrasto che mette a<br />
paragone i due personaggi.<br />
Un secondo <strong>di</strong>scorso, invece, al v. 48, è rivolto proprio alla donna<br />
«avfšwntai, sou aƒ ¡marti,ai» e costituisce una ripresa del v. 47. Perché<br />
una simile sottolineatura rivolta alla donna? Non bastava quanto ampiamente<br />
era già stato detto nel colloquio con Simone? Bisogna notare che<br />
il suo silenzio non fa soltanto da scenario alle prima scena, in cui parlano<br />
i gesti. Anzi, tale silenzio dura fino alla fine. Probabilmente costei, fino a<br />
questo momento, non è stata cosciente del proprio condono, neanche<br />
quando viene raccontata la parabola. Questo è il momento in cui viene<br />
condotta per mano alla presa <strong>di</strong> coscienza definitiva del suo stato interiore.<br />
E potremmo anche aggiungere che tale è il momento in cui lei stessa<br />
si converte dall’atteggiamento <strong>di</strong> “sfida” che, molto probabilmente, l’aveva<br />
precedentemente animata.<br />
Il terzo <strong>di</strong>scorso non è <strong>di</strong> Gesù, ma si tratta <strong>di</strong> un’informazione, riguardo<br />
alla presenza <strong>di</strong> altri commensali al banchetto. Essi si stupiscono delle<br />
parole che Gesù ha appena proferito «kai. h;rxanto oƒ sunanakei,menoi<br />
lšgein vn ˜autoi/j\ ti,j ou-to,j vstin o]j kai. ¡marti,aj avfi,hsinÈ» (v. 49).<br />
Abbiamo una chiara inclusione con il v. 39, a motivo della ripresa del<br />
pronome <strong>di</strong>mostrativo ou-toj, che accomuna i due giu<strong>di</strong>zi emessi riguardo<br />
a Gesù. I commensali sono stupiti del fatto che Gesù parli <strong>di</strong> remissione<br />
dei peccati. In realtà, egli non <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> avere rimesso i peccati alla donna,<br />
ma fa una semplice constatazione del suo stato. La presenza <strong>di</strong> queste<br />
persone, a cui si associa probabilmente anche Simone, ossia la loro voce<br />
nel contesto narrativo costituisce il punto più alto della rivelazione <strong>di</strong> Gesù.<br />
Sono essi a <strong>di</strong>re <strong>di</strong> Lui che ha rimesso i peccati alla donna.<br />
L’ultimo <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Gesù è <strong>di</strong> nuovo rivolto alla donna ed aggiunge<br />
qualcosa, rispetto al precedente «ei=pen d pro.j th.n gunai/ka\ ¹ pi,stij<br />
sou sš,swkš,n se\ poreu,ou eivj eivrh,nhnÅ» (v. 50). Abbiamo <strong>di</strong> nuovo un<br />
perfetto, sšswken e quin<strong>di</strong> una chiara allusione al passato, dagli effetti<br />
constatabili nel presente. Ma quale fede ha salvato la donna? Gesù non<br />
lo <strong>di</strong>ce esplicitamente, anche se l’ultimo <strong>di</strong>scorso sembra quasi volere<br />
fare da controaltare allo stupore dei presenti, i quali si scandalizzano che<br />
ad una donna <strong>di</strong> quella portata siano stati rimessi i peccati. Qui si allude,<br />
dunque, alla fede che ha spinto la donna nel ricercare la fonte da cui ha<br />
tratto dei benefici interiori e questa fonte è l’uomo giunto nella casa <strong>di</strong><br />
Simone.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Fernando Russo<br />
31
L’intreccio<br />
A questo punto proce<strong>di</strong>amo con l’analisi dell’intreccio. Adopereremo<br />
uno schema riassuntivo che si avvarrà <strong>di</strong> titoli particolari, desunti dal mondo<br />
cinematografico. Per evitare confusione, cercheremo <strong>di</strong> specificare<br />
sempre ulteriormente il campo <strong>di</strong> indagine in cui ci stiamo muovendo.<br />
32 Fernando Russo<br />
Ciò che accade: la trama <strong>di</strong> risoluzione (vv. 36-39)<br />
Il racconto primario, fin dalle sue prime battute presenta in un crescendo,<br />
quasi incalzante, i personaggi. Essi sono caratterizzati per lo più<br />
dai movimenti. Il primo movimento è quello che porta Gesù nella casa<br />
del fariseo «kai. eivselqw.n eivj to.n oi=kon tou/ Farisai,ou» (v. 36b). Il<br />
secondo movimento è quello che conduce, invece, la donna «komi,sasa<br />
avla,bastron mu,rou» (v. 38). Ecco, dunque, comporsi la scena. Le informazioni<br />
sui personaggi sono inizialmente scarne. Essi compaiono sulla<br />
scena senza nomi (vv. 36.37). Intanto non sappiamo neanche se ci sono<br />
altri invitati al banchetto, oppure altre presenze. Ad ogni modo, se esse<br />
per caso si trovano sulla scena, per ora sono solo comparse. Sappiamo<br />
della con<strong>di</strong>zione degli attori principali me<strong>di</strong>ante l’intervento del narratore,<br />
che riporta ciò che si <strong>di</strong>ce a loro riguardo. «Tij tw/n Farisai,wn» (v.<br />
36) è l’uomo che invita Gesù a pranzo. «Kai. ivdou. gunh,……. ¡martwlo,j»<br />
(v. 37) è la donna che entra nella casa del fariseo. Queste informazioni<br />
potrebbero essere paragonate a dei riquadri riassuntivi, tra una scena e<br />
l’altra oppure a dei semplici sottotitoli. Chi assiste alla scena si fa, dunque,<br />
già un’idea dei due personaggi, incasellandoli nella propria visione<br />
delle cose. Fino a questo momento, dunque, non ci sono <strong>di</strong>aloghi, ma<br />
Luca focalizza quasi subito l’attenzione sulla donna. E, stranamente, essa<br />
non parla, ma agisce: «kai. sta/sa ovpi,sw para. tou.j po,daj auvtou/ klai,ousa<br />
toi/j da,krusin h;rxato bršcein tou.j po,daj auvtou/ kai. tai/j qrixi.n th/j<br />
kefalh/j auvth/j vxš,massen kai. katefi,lei tou.j po,daj auvtou/ kai. h;leifen<br />
tw/| mu,rw|» (v. 38). La serie <strong>di</strong> azioni della donna, in ultima istanza, subisce<br />
una <strong>di</strong>latazione, data dalla presenza <strong>di</strong> tre imperfetti: vxš,massen,<br />
katefi,lei, h;leifen. Se volessimo dare un nome a questa prima serie<br />
<strong>di</strong> immagini o se volessimo provare ad immaginarle, dovremmo paragonarle<br />
ad una rappresentazione <strong>di</strong> mimi.<br />
Mentre la cinepresa continua a riprendere la donna nella sequenza <strong>di</strong><br />
azioni rivolte ad uno degli ospiti del convivio, siamo improvvisamente<br />
<strong>di</strong>stratti da una voce. L’inquadratura si allarga. È come se, improvvisa-<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
mente, durante lo scorrere del mimo, si aprisse sulla testa <strong>di</strong> uno degli<br />
attori e, precisamente, del fariseo che ha invitato Gesù, una vignetta. La<br />
vignetta riporta il commento a quanto accade e il commento, in forma<br />
ipotetica, dubita circa il carisma profetico dell’uomo che è oggetto delle<br />
attenzioni della donna, la quale, a detta <strong>di</strong> colui che pensa, è una peccatrice<br />
(v. 39). La cosa strana è che i presenti non sono informati del<br />
contenuto della vignetta, ossia del contenuto dei pensieri del fariseo, ma<br />
soltanto il regista-sceneggiatore, colui che riprende le immagini, cioè il<br />
cameraman ed il pubblico che osserva.<br />
Riassumendo, nel fare un bilancio, focalizziamo la nostra attenzione<br />
al v. 39, in quanto risulta essere il punto più alto della progressione nella<br />
trama <strong>di</strong> risoluzione. C’è una situazione “imbarazzante”, che con i pensieri<br />
del fariseo raggiunge un culmine e che pone la domanda su come<br />
Gesù reagirà, per riportare equilibrio.<br />
Dal silenzio alle parole: La reazione (v.40)<br />
A questo punto il mimo subisce un’evoluzione e <strong>di</strong>viene un vero e<br />
proprio filmato. Perché? Gli attori, finalmente, parlano. Escono dalla<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> mutismo e fanno sentire la propria voce. La scena principale<br />
<strong>di</strong>viene più nitida. La cinepresa è rimasta all’inquadramento precedente.<br />
Quin<strong>di</strong>, il primo piano è ancora per la donna e Gesù, mentre è<br />
caduto nell’obiettivo anche il fariseo, ma non in primo piano. La prime<br />
parole che si odono dagli altoparlanti sono in qualche modo il frutto <strong>di</strong><br />
una prima reazione <strong>di</strong> Gesù «kai. avpokriqei.j» o <strong>di</strong> un controbattere ai<br />
pensieri del fariseo, <strong>di</strong> cui sappiamo persino il nome «Si,mwn( œcw soi, ti<br />
eivpei/n…..».<br />
Buio in sala (vv. 41-42)<br />
La scena si oscura, i personaggi scompaiono momentaneamente,<br />
mentre sulla parete della casa viene proiettato un altro filmato. Il pubblico<br />
si allarga. Chi assiste al nuovo filmato non sono più soltanto gli spettatori<br />
che stavano assistendo al filmato, ma anche i personaggi, coloro<br />
che si trovano e si muovono nella storia, fatta eccezione per uno <strong>di</strong> essi,<br />
Gesù. Egli passa da attore a colui che proietta la pellicola <strong>di</strong> una cinepresa.<br />
La presenza del v. 42b serve a prolungare l’estensione del filmato,<br />
prima che ritorni la luce ad illuminare i volti e le azioni.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Fernando Russo<br />
33
34 Fernando Russo<br />
Approfon<strong>di</strong>mento sul ruolo della parabola nel racconto lucano<br />
Abbiamo ragionato all’inizio del presente lavoro sul fatto che, eliminando<br />
l’intera sezione parabolica (vv.41-43) e collegando <strong>di</strong>rettamente il<br />
v.40 con il v.44, il racconto non ne risentirebbe. In realtà, l’inserimento<br />
della parabola in un simile racconto ha uno scopo fondamentale. Bisogna<br />
sottolineare una fondamentale somiglianza con l’arte della mimesi<br />
nel mondo greco- ellenistico 8 .<br />
Gli esempi potrebbero essere molteplici, ma credo sia opportuno restringere<br />
il campo all’utilizzo della fabula latina e della trage<strong>di</strong>a greca.<br />
Più che affrontare in modo minuzioso gli stu<strong>di</strong> in merito, quello che mi<br />
sta a cuore principalmente è accostare la tecnica adoperata da Luca,<br />
con l’inserimento della parabola e l’effetto che la fabula o la trage<strong>di</strong>a<br />
sortiscono sull’u<strong>di</strong>torio.<br />
Proviamo ad accostare i due schemi letterari.<br />
Fabula o Trage<strong>di</strong>a<br />
Situazione che motiva (primo piano<br />
della realtà)Il pubblico è calato<br />
in un contesto vitale.<br />
Racconto (trama, personaggi,voce<br />
narrante). Secondo piano<br />
dell’irrealtà.<br />
Pubblico o u<strong>di</strong>torio. Secondo piano<br />
della realtà.<br />
Parabola nel racconto primario<br />
<strong>di</strong> Lc 7,36-50<br />
Situazione che motiva (primo piano<br />
della realtà)Il pubblico-personaggi<br />
vive una particolare situazione.<br />
Racconto (trama, personaggi, voce<br />
narrante) Secondo piano<br />
dell’irrealtà.<br />
Pubblico o u<strong>di</strong>torio. Secondo piano<br />
della realtà<br />
La prima osservazione verte sulla motivazione che conduce all’esigenza<br />
del racconto. Abbiamo una particolare situazione. Nel mondo greco<br />
era la stessa situazione vissuta dai citta<strong>di</strong>ni, a livello politico, economico,<br />
che spingeva l’autore a scrivere la fabula o la trage<strong>di</strong>a. Nell’Atene del<br />
V secolo, ad esempio, il motto democratico pericleo, concetti come<br />
l’euritmia, lo strumento democratico della Boulè, finivano per essere<br />
una sorta <strong>di</strong> maschera, tendente a nascondere le falle della società greca.<br />
Lo strumento democratico finiva così per <strong>di</strong>ventare una macchina <strong>di</strong><br />
ingran<strong>di</strong>mento economico, a danno dei citta<strong>di</strong>ni più poveri, esasperati<br />
8 ARISTOTELE, De poetica, 17, 1-2. Si parla della trage<strong>di</strong>a. Aristotele passa in rassegna<br />
gli effetti scenici e passionali in relazione al linguaggio. Molto chiaro sembra, dunque, il<br />
processo <strong>di</strong> identificazione tra i personaggi che gravitano sulla scena e gli spettatori, a<br />
motivo delle passioni e delle situazioni che li accomunano.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
dalle tasse e a danno dei soldati, impiegati in battaglie, il cui unico scopo<br />
era quello dell’arricchimento dello stato 9 .<br />
Sensibilità eminenti del mondo culturale, come Eschilo, Sofocle e, più<br />
tar<strong>di</strong> Euripide, assorbiranno da un simile contesto la motivazione per<br />
cominciare a scrivere le loro opere. Questo è dunque il primo piano,<br />
quello della realtà, in cui vivono e si muovono gli spettatori. Situazione<br />
analoga per l’utilizzo che Luca fa della parabola <strong>di</strong> 7,41-42 nel contesto<br />
più ampio del racconto <strong>di</strong> 7,36-50. Ci ritroviamo anche qui <strong>di</strong>nanzi ad una<br />
situazione iniziale, in cui è la realtà quella che prevale, sottolineata ancora<br />
<strong>di</strong> più dal giu<strong>di</strong>zio del fariseo (v. 39) sulla donna e su Gesù. Questa<br />
situazione motiva il racconto della parabola.<br />
L’arte <strong>di</strong> raccontare, nel caso della trage<strong>di</strong>a, si avvale <strong>di</strong> attori che<br />
sono talvolta dei o uomini, ma quel che conta è che essi riflettono situazioni<br />
umane, spesso violente. Sofocle, ad esempio, in trage<strong>di</strong>e del calibro<br />
dell’Antigone descrive il <strong>di</strong>battimento interiore della protagonista, lacerata<br />
dalla domanda se sia giusto o meno applicare la legge umana, che<br />
vieta la sepoltura del fratello Polinice, in quanto tra<strong>di</strong>tore della patria e la<br />
legge <strong>di</strong>vina, che prescrive l’onore della sepoltura ai cadaveri 10 . La lacerante<br />
domanda su che cosa sia giusto fare ha come specchio la società<br />
ateniese del tempo. Discorso analogo per la fabula, in Esopo o Fedro.<br />
Nelle fabule sono gli animali ad impersonare vizi come la prepotenza, la<br />
furbizia. Lo specchio o piano reale, dunque, è, soprattutto nel caso <strong>di</strong><br />
Fedro, la società romana del I secolo d. C.<br />
Al <strong>di</strong> là delle sostanziali <strong>di</strong>fferenze, anche la parabola ha un suo specchio<br />
naturale, un suo piano reale, da cui muove ed il contesto reale è quello<br />
del racconto primario. Il racconto, dunque, non è reale, ma trasferisce<br />
l’u<strong>di</strong>torio in un piano irreale, <strong>di</strong>stante dal suo. Nel caso della trage<strong>di</strong>a le<br />
situazioni sono incarnate da personaggi, appartenenti all’aristocrazia, al<br />
9 D. MUSTI, Storia greca, Bari 1993. La domanda <strong>di</strong> senso sulla vera giustizia<br />
accompagnerà l’evoluzione della stessa trage<strong>di</strong>a, fino ad Euripide. Con tale autore si<br />
assisterà ad una vera caduta <strong>di</strong> tono della società ateniese. Le sue opere sono intrise <strong>di</strong><br />
dramma umano. Basti pensare a trage<strong>di</strong>e del calibro <strong>di</strong> Medea o le Baccanti.<br />
10 SOFOCLE, Antigone, vv. 891-928. Si tratta, in particolare, del <strong>di</strong>scorso che Antigone<br />
proferisce al re Creonte, suo zio, nuovo re <strong>di</strong> Tebe, per giustificare l’atto della<br />
sepoltura <strong>di</strong> suo fratello Polinice, il quale, marciando su Tebe, per conquistare il potere,<br />
dopo la morte <strong>di</strong> suo padre, muore trafitto <strong>di</strong> spada, combattendo presso una delle sette<br />
porte. Il re, dunque, vieta la sepoltura dei tra<strong>di</strong>tori della patria. In realtà, l’e<strong>di</strong>tto contrasta<br />
con il volere degli dei, che prescrivevano l’obbligo della sepoltura ai cadaveri. Antigone,<br />
dunque, riflette in sé un simile travaglio interiore, tuttavia decide <strong>di</strong> dare sepoltura<br />
al fratello, consapevole <strong>di</strong> andare incontro alla morte.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Fernando Russo<br />
35
mondo <strong>di</strong>vino. Anche nel caso della parabola l’u<strong>di</strong>torio è trasferito in un<br />
piano irreale. Infatti, l’u<strong>di</strong>torio in questione è costituito dal fariseo, dalla<br />
donna, dal pubblico dei commensali, <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>rà più avanti (Lc 7,49). Tutti<br />
sono trasferiti nel piano irreale, in cui sono chiamati ad assistere ad una<br />
scena, apparentemente <strong>di</strong>stante dalla loro situazione, in cui tre personaggi<br />
tratti dall’immaginario comune, compiono delle azioni o <strong>di</strong>cono qualcosa.<br />
Il piano dell’irrealtà, dunque, oltre ad essere fittizio, ha anche la caratteristica<br />
<strong>di</strong> essere momentaneo. Il pubblico, proiettato in una <strong>di</strong>mensione<br />
parallela, simmetrica, non può restarvi eternamente. Ecco, dunque,<br />
il ritorno alla realtà.<br />
Nella trage<strong>di</strong>a, per esempio, il pubblico scopre che personaggi <strong>di</strong>stanti<br />
da sé, per ceto o per natura <strong>di</strong>vina, vivono le sue stesse tensioni,<br />
sono lacerati dalle sue stesse domande. Allora, emette giu<strong>di</strong>zi, sente <strong>di</strong><br />
solidarizzare con un personaggio, piuttosto che un altro e stimmatizza la<br />
paura, i sentimenti contrad<strong>di</strong>tori, chiusi nel segreto della propria coscienza.<br />
Il suo ritorno, quin<strong>di</strong>, al piano della realtà gli consente <strong>di</strong> applicare<br />
personalmente a se stesso quanto ha u<strong>di</strong>to o sentito o quanto gli è riuscito<br />
<strong>di</strong> comprendere. Questa tecnica è chiamata da Aristotele catarsi, ossia<br />
purificazione.<br />
Nella nostra parabola, il ritorno alla realtà dell’u<strong>di</strong>torio avviene alla<br />
fine del racconto. La domanda retorica <strong>di</strong> Gesù, al v.42a, chiama in<br />
causa Simone il fariseo. Come egli è stato in grado <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care la realtà<br />
del racconto primario, così è ora chiamato in causa, affinché possa constatare<br />
la situazione che gli era stata posta nel piano dell’irrealtà.<br />
Luca, a quanto pare, è molto abile nell’interazione con i modelli letterari<br />
del suo tempo, sia quelli del mondo greco, che quelli della letteratura<br />
rabbinica. Pur adottando una struttura simile a quella della trage<strong>di</strong>a, nell’interesse<br />
<strong>di</strong> sortire un effetto, tuttavia se ne <strong>di</strong>stanzia. Infatti, l’effetto<br />
catartico, se così possiamo <strong>di</strong>re, è assai <strong>di</strong>verso. Simone è chiamato<br />
indubbiamente a purificare il proprio modo <strong>di</strong> vedere, a mo<strong>di</strong>ficare certamente<br />
la sua visione della realtà, a partire dalla stessa realtà per la<br />
quale è chiamato in causa, con la formulazione <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio. Tuttavia,<br />
proprio da questa prima constatazione, ha bisogno ancora <strong>di</strong> essere condotto<br />
per mano. E qui sta la <strong>di</strong>fferenza.<br />
Mentre il processo <strong>di</strong> presa <strong>di</strong> coscienza e <strong>di</strong> catarsi, <strong>di</strong> applicazione<br />
al piano reale dei contenuti me<strong>di</strong>ati dal piano fittizio, avviene per il pubblico<br />
della trage<strong>di</strong>a senza un’ulteriore me<strong>di</strong>azione, l’ulteriore applicazione<br />
del contenuto me<strong>di</strong>ato dal piano fittizio, nella parabola, ossia l’ulteriore<br />
presa <strong>di</strong> coscienza che sopravvive alla semplice constatazione della<br />
36 Fernando Russo<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
ealtà, avviene in un contesto <strong>di</strong>alogico 11 . È Gesù il protagonista in<strong>di</strong>scusso<br />
<strong>di</strong> questo terzo piano della realtà.<br />
Il <strong>di</strong>scorso, ovviamente, rispetto alla trage<strong>di</strong>a, è <strong>di</strong>verso per la fabula 12 ,<br />
la quale garantisce il ritorno al piano della realtà, me<strong>di</strong>ante un breve<br />
insegnamento che riassume il contenuto del piano fittizio, il famoso «ov<br />
mu,qoj deloi/». Naturalmente, ritroviamo la morale del piano fittizio anche<br />
nella nostra parabola (v. 47), ma sempre all’interno <strong>di</strong> un processo<br />
<strong>di</strong>alogico.<br />
Non bisogna sottovalutare, nel caso della pericope che stiamo stu<strong>di</strong>ando,<br />
l’insieme dell’u<strong>di</strong>torio. Non è solo Simone il fariseo che viene<br />
proiettato nel piano fittizio, in un <strong>di</strong>scorso metanarrativo, ma anche la<br />
donna fa parte dell’u<strong>di</strong>torio, così come gli altri commensali, persino il<br />
lettore.<br />
Il resto è ciò che viene detto: La trama <strong>di</strong> rivelazione (vv. 43-50)<br />
Ritorna, dunque, la luce, mentre la cinepresa ritorna a filmare. Questa<br />
volta l’inquadratura è a tutta la scena, che subisce una seconda evoluzione.<br />
Abbiamo visto il mimo, abbiamo visto il filmato. L’interesse fondamentale<br />
sembrava essere rivolto a ciò che <strong>di</strong> lì a poco sarebbe accaduto,<br />
invece ciò che sopravvive nel secondo atto del racconto sono proprio<br />
le parole. E le parole ci parlano dei personaggi.<br />
Le ultime parole che proferisce Simone sono un secondo giu<strong>di</strong>zio.<br />
Egli non fa altro che rispondere alla domanda del suo interlocutore, solo<br />
perché è stato chiamato in causa. Il primo piano della telecamera, che fa<br />
confluire l’attenzione su <strong>di</strong> lui, non rivela apparenti emozioni «Øpolamba,nw»<br />
(v. 43). Egli suppone che amerà <strong>di</strong> più il cre<strong>di</strong>tore colui al quale è stato<br />
condonato <strong>di</strong> più, ma non lo <strong>di</strong>ce per convinzione personale, piuttosto,<br />
forse, fa finta <strong>di</strong> non essere entrato nel paradosso. Lo <strong>di</strong>ce più che altro,<br />
constatando l’imprevisto condono del debitore.<br />
11 J. DUPONT, Il metodo parabolico, cit., 57. L’applicazione del metodo parabolico<br />
evangelico è originale, come abbiamo già anticipato nella introduzione, anche rispetto<br />
alla letteratura rabbinica. Infatti, nella letteratura rabbinica la forza persuasiva delle<br />
parabole deriva dall’autorità dei testi che esse commentano. La prospettiva è, senza<br />
dubbio, anche in questo caso <strong>di</strong>alogica, ma la struttura e l’applicazione sono molto<br />
<strong>di</strong>verse.<br />
12 G. MONACO - G. DE BERNARDIS, La Produzione Letteraria nell’Antica Roma, III,<br />
Palermo 1990, 7-42.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Fernando Russo<br />
37
Le parole che Gesù proferisce, invece, coprono tutto il secondo atto<br />
della scena. Cosa mettono in risalto <strong>di</strong> Simone e della peccatrice? Ve<strong>di</strong>amolo<br />
più da vicino.<br />
38 Fernando Russo<br />
L’inversamente proporzionale<br />
Da questo punto parte il <strong>di</strong>scorso più lungo <strong>di</strong> Gesù, quello nel quale,<br />
con una progressione inversamente proporzionale, i termini <strong>di</strong> riferimento<br />
sono rovesciati. I contorni sembrano <strong>di</strong>latati. Tutto è concentrato sul<br />
paragone che Gesù fa, elencando quello che Simone non ha fatto, in<br />
termini <strong>di</strong> ospitalità e quello che la donna continua a fare (vv. 43-46). Per<br />
farla in breve, più Simone decresce, nell’elenco delle sue omissioni, ancora<br />
più gravi, perché egli conosce la legge che regola l’ospitalità delle<br />
personalità <strong>di</strong> riguardo, più la donna aumenta, nella sua sproporzionata<br />
accoglienza. Ciò che sopravvive del filmato visto nella casa <strong>di</strong> Simone è<br />
un richiamo, un motto, la morale della storia che, proprio qui, svela l’amarezza<br />
della verità: Simone ama poco. (v. 47b).<br />
La fine dei <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> Gesù riguarda <strong>di</strong>rettamente la donna. Essa è<br />
stata perdonata, perché ha molto amato (v. 47a) e la sua fede, inoltre,<br />
l’ha salvata (v. 50). Simone, dunque, viene inghiottito definitivamente<br />
dalla negligenza dei suoi atteggiamenti. Nell’inquadratura della telecamera<br />
viene assimilato alle comparse che gravitano intorno alla scena e<br />
che costituiscono nel loro stupore-<strong>di</strong>sappunto la progressione più alta<br />
nella rivelazione <strong>di</strong> Gesù «kai. h;rxanto oƒ sunanakei,menoi lšgein n<br />
˜autoi/j\ ti,j ou-to,j vstin o]j kai. ¡marti,aj avfi,hsinÈ» (v.49). Infatti<br />
sono proprio essi a ratificare il fatto che è Gesù a rimettere i peccati,<br />
mentre al v.48 viene riportato, in riferimento al perdono dei peccati, un<br />
perfetto passivo alla terza persona plurale «avfšwntai, sou aƒ ¡marti,ai».<br />
In definitiva, bisogna ammettere che la trama <strong>di</strong> rivelazione, nell’episo<strong>di</strong>o<br />
che stiamo stu<strong>di</strong>ando, prevale su quella <strong>di</strong> risoluzione e che i <strong>di</strong>scorsi<br />
rivelano dei personaggi più <strong>di</strong> quanto non facciano gli eventi che li<br />
riguardano.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
SAN GREGORIO MAGNO E LA PAROLA DI DIO<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
INTRODUZIONE<br />
MARIA ROSARIA CIRELLA<br />
Dopo quaranta anni dal Concilio Vaticano II, la Bibbia sembra aver<br />
ritrovato un “posto” privilegiato e fondamentale nella vita dei cristiani<br />
come Parola <strong>di</strong> vita; infatti, «la Parola <strong>di</strong> Dio, dopo un plurisecolare esilio,<br />
ha ritrovato oggi la sua centralità nella vita della chiesa: questo è un<br />
fatto incontestabile. Si potrebbe ad<strong>di</strong>rittura parlare <strong>di</strong> riscoperta della<br />
Parola <strong>di</strong> Dio da parte dei credenti che da secoli non conoscevano e<br />
non praticavano più il contatto <strong>di</strong>retto con le Scritture e non avevano<br />
neppure l’occasione <strong>di</strong> attingere alla Parola <strong>di</strong> Dio nella loro vita <strong>di</strong> fede<br />
(...). Il Concilio Vaticano II (...) ha <strong>di</strong>chiarato finito l’esilio delle sacre<br />
Scritture, sicché oggi noi assistiamo a un’epifania della Parola <strong>di</strong> Dio<br />
nella comunità cristiana» 1 .<br />
Negli ultimi anni la chiesa ha percorso un cammino 2 in tal senso,<br />
perché la Parola potesse sempre più assumere un ruolo centrale nella<br />
vita dei credenti; infatti, dal 14 al 18 settembre 2005 a Roma si è svolto<br />
il Congresso organizzato dalla Federazione Biblica Cattolica, su «La Sacra<br />
Scrittura nella vita della Chiesa», proprio in occasione dei quaranta<br />
anni dalla promulgazione della Dei Verbum, Costituzione Dogmatica<br />
sulla Divina Rivelazione, del Concilio Vaticano II. Tuttavia, è molto evidente<br />
che occorre ancora camminare: potrebbe essere efficace per questo,<br />
una riscoperta della tra<strong>di</strong>zione patristica, essendo i Padri della Chiesa<br />
gran<strong>di</strong> maestri <strong>di</strong> spiritualità biblica. Essi possono insegnare alla Chiesa<br />
dei nostri tempi il modo con il quale il credente deve accostarsi alla<br />
Parola <strong>di</strong> Dio, le <strong>di</strong>sposizioni spirituali necessarie per un ascolto profondo<br />
e fruttuoso della Parola. A questo proposito B. Calati, uno dei più<br />
gran<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi dei Padri, afferma: «la tra<strong>di</strong>zione dei Padri, ritengo, garantisce<br />
la nostra sensibilità attuale che ha trovata larga accoglienza nel<br />
1 E. BIANCHI, Pregare la Parola. Introduzione alla «Lectio Divina», Milano 1996,<br />
9.<br />
2 Cfr l’articolo <strong>di</strong> G. SEGALLA, «In ascolto della Parola. La Bibbia nella Chiesa», in<br />
CredereOggi 26 (1/<strong>2006</strong>), 37-52, che riassume le tappe fondamentali degli stu<strong>di</strong><br />
scientifici nell’ambito cattolico dell’ultimo secolo.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
Maria<br />
Rosaria<br />
Cirella<br />
Ë<br />
docente <strong>di</strong><br />
Sacra Scrittura<br />
39
Concilio Vaticano II e fa il punto necessario sul senso dell’o<strong>di</strong>erna<br />
ecclesiologia» 3 . Per i Padri della Chiesa e tutta la tra<strong>di</strong>zione monastica<br />
la Parola <strong>di</strong> Dio e la lectio <strong>di</strong>vina erano il nutrimento quoti<strong>di</strong>ano.<br />
Tra i Padri che hanno vissuto questa esperienza con maggiore ampiezza,<br />
c’è San Gregorio Magno, da cui le generazioni successive dei<br />
monaci, soprattutto nel me<strong>di</strong>oevo, hanno imparato a fare della lectio un<br />
esercizio quoti<strong>di</strong>ano, una sorgente a cui attingere per la vita. La tra<strong>di</strong>zione<br />
della Chiesa è concorde nell’affermare che San Gregorio è stato uno<br />
dei più gran<strong>di</strong> papi della storia, l’ultimo dei gran<strong>di</strong> padri cristiani e il primo<br />
dei me<strong>di</strong>evali. Nonostante i tanti progressi recenti nell’ambito delle scienze<br />
bibliche, in verità, Gregorio rimane molto attuale, è un vero e proprio<br />
“esegeta” della Parola <strong>di</strong> Dio; anzi, è possibile rintracciare nella stessa<br />
Dei Verbum tanti riferimenti a volte espliciti, a volte impliciti, alle opere<br />
e all’ermeneutica biblica <strong>di</strong> Gregorio. Il presente contributo vuole, allora,<br />
recuperare gli aspetti fondamentali del rapporto tra Gregorio e la Parola<br />
<strong>di</strong> Dio, rintracciabili ancora oggi nel Concilio Vaticano II, come la<br />
centralità della Parola <strong>di</strong> Dio nella comunità e nella preghiera personale;<br />
il rapporto tra Parola e Spirito; la Parola come realtà vivente, <strong>di</strong>namica<br />
capace <strong>di</strong> alimentare la fede, <strong>di</strong> ispirare la vita; la necessità che la<br />
pre<strong>di</strong>cazione ecclesiastica sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura; il<br />
carisma del pre<strong>di</strong>catore; il contatto costante e continuo con la Parola.<br />
40 Maria Rosaria Cirella<br />
1. SAN GREGORIO MAGNO: VITA E OPERE<br />
Per comprendere l’esegesi <strong>di</strong> Gregorio, è necessario partire dalla<br />
sua vita, in particolare dal contesto storico in cui è vissuto, che ha tanto<br />
influito sulla sua ermeneutica biblica. Fu, infatti, un momento particolarmente<br />
<strong>di</strong>fficile, <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> tensioni e cambiamenti.<br />
• VITA<br />
Nato a Roma nel 540 da una famiglia patrizia, <strong>di</strong>venne prefetto<br />
dell’Urbe verso il 572, si convertì alla vita monastica tra il 574 e il 575;<br />
per questo trasformò la casa del padre in un monastero e fondò <strong>di</strong>versi<br />
monasteri. La sua vita <strong>di</strong> monaco venne però interrotta dal forzato soggiorno<br />
a Costantinopoli, in qualità <strong>di</strong> apocrisario dal 579 al 585-586. Ma<br />
3 B. CALATI, Parola <strong>di</strong> Dio, in S. DE FIORES - T. GOFFI (edd.), Nuovo Dizionario <strong>di</strong><br />
Spiritualità, Roma 1979, 1134.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
anche qui continuò a vivere da monaco con alcuni fratelli, con cui iniziò<br />
la lectio spiritualis <strong>di</strong> Giobbe, che proseguì a Roma e che rappresenta<br />
per alcuni la più grande opera esegetica del nostro autore. Dopo la morte<br />
<strong>di</strong> Papa Pelagio II, fu per quattor<strong>di</strong>ci anni (590-604) Sommo Pontefice,<br />
la cui opera svolta ci è offerta dal corpus delle sue lettere e delle sue<br />
opere strettamente legate all’azione pastorale. In particolare il suo<br />
Registrum Epistolarum, che consta <strong>di</strong> 848 lettere in 14 libri, <strong>di</strong> carattere<br />
e contenuto <strong>di</strong>versi, e la sua Regula Pastoralis, dove espone le virtù del<br />
pastore nell’educare il suo gregge e la responsabilità del pre<strong>di</strong>catore.<br />
Gregorio fu sottratto alla solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> monaco che egli tanto desiderava,<br />
per essere immerso in un’esperienza turbolenta e drammatica, anche se<br />
questo non gli tolse mai l’amore alla contemplazione e l’ininterrotta lettura<br />
della Parola <strong>di</strong> Dio. Infatti, anche in mezzo agli impegni più gravi<br />
trovava il tempo per me<strong>di</strong>tare e annunciare la Parola <strong>di</strong> Dio. Ricor<strong>di</strong>amo<br />
anche la sua epopea dell’evangelizzazione e missione dell’Inghilterra e<br />
verso i Franchi, i Burgun<strong>di</strong> e i Longobar<strong>di</strong>. Ebbe grandemente a cuore il<br />
rior<strong>di</strong>namento della liturgia, <strong>di</strong> cui abbiamo il testo nel Sacramentario<br />
gregoriano. Morì il 12 marzo del 604.<br />
• OPERE<br />
Per molti Gregorio «si presenta tuttora come il momento culminante<br />
dell’apostolicità della Chiesa <strong>di</strong> Roma» 4 come vescovo e «servo dei servi<br />
<strong>di</strong> Dio». Tuttavia, ciò che ha plasmato la sua personalità è stato l’ascolto<br />
della Parola <strong>di</strong> Dio; infatti, come pastore <strong>di</strong> Roma, ha spezzato il pane<br />
della Parola nelle celebrazioni <strong>di</strong> ogni giorno, ma anche come monaco<br />
viveva la lectio quoti<strong>di</strong>ana: è considerato un gran santo proprio perché<br />
è riuscito a fondere questi due aspetti. I suoi commentari, le sue esegesi,<br />
il suo linguaggio, hanno avuto un’influenza preponderante su tutto il me<strong>di</strong>oevo:<br />
ha animato l’epoca successiva grazie alla sua esperienza religiosa,<br />
maturata e attinta dalla lettura costante della Parola; ma è soprattutto<br />
«l’atmosfera ecclesiale» che lo arricchiva: «ha nutrito», infatti, costantemente<br />
i suoi fedeli e fratelli, spiegando le Scritture come storia<br />
della salvezza. I commentari <strong>di</strong> Gregorio sulla Scrittura sono il frutto<br />
della sua lectio <strong>di</strong>vina, o con i suoi monaci da abate, o con il suo popolo<br />
da vescovo e papa. «L’intera opera <strong>di</strong> scrittore e <strong>di</strong> uomo d’azione <strong>di</strong><br />
Gregorio è l’esaltazione della Bibbia, considerata come la Parola <strong>di</strong> Dio<br />
4 B. CALATI, Parola <strong>di</strong> Dio, op. cit., 1210.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Maria Rosaria Cirella<br />
41
42<br />
all’uomo» 5 Le sue opere sono molto simili ai commentari biblici <strong>di</strong> oggi,<br />
<strong>di</strong> cui sembra esserne quasi il precursore, certo non come un’esposizione<br />
scientifica costruita in maniera sistematica, ma come me<strong>di</strong>tazione<br />
sulla Parola, a cui attingere per la vita cristiana. «A raccogliere la dottrina<br />
<strong>di</strong> Gregorio Magno sulla lectio <strong>di</strong>vina ci sarebbe da scrivere tutto un<br />
poema»: un poema che non è architettato dalla mente, ma creato da<br />
un’esperienza vitale: «mi dava vita la lettura fatta con Amore»” 6 .<br />
Elenchiamo brevemente le opere7 :<br />
• L’Expositio in Job (anche Moralia in Job) iniziato a Costantinopoli,<br />
pressato dalle preghiere dei fratelli, e rielaborato a Roma, è il<br />
commento morale al libro <strong>di</strong> Giobbe, nel quale Gregorio legge i Sacramenta<br />
<strong>di</strong> Cristo e della Chiesa;<br />
• Le Homiliae in Evangelium: sono una raccolta <strong>di</strong> circa 40 omelie<br />
in due libri, che riproducono la pre<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Gregorio in due anni <strong>di</strong><br />
pontificato. Sono un «modello <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cazione popolare», consistenti in<br />
insegnamento morale e mistico, esposto in forma semplice e naturale,<br />
perché rivolto alla gente, ai fedeli.<br />
• Le Homiliae in Hiezechihelem, tenute tra il 593 e 594 al popolo <strong>di</strong><br />
Roma, dove spiegò i primi 4 capitoli e il capitolo 40 del profeta, in 2 libri,<br />
scritte in un momento drammatico, sotto la minaccia dell’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Roma<br />
da parte <strong>di</strong> Agilulfo. Gregorio, partecipe della desolazione e trage<strong>di</strong>a in<br />
cui vive la sua città, legge da profeta gli avvenimenti, con gli occhi <strong>di</strong><br />
Dio, cioè alla luce della Parola <strong>di</strong> Dio. È proprio la situazione così drammatica<br />
che suggerisce a Gregorio la lettura del libro <strong>di</strong> Ezechiele, profeta<br />
che durante l’esilio <strong>di</strong> Israele ha accompagnato il popolo in Babilonia;<br />
egli, così, opera una trasposizione, per nulla artificiosa e forzata, con la<br />
situazione che egli stesso vive a Roma: come il popolo <strong>di</strong> Israele era<br />
stato sra<strong>di</strong>cato e condotto in esilio, così il popolo romano è ora esposto<br />
alla fame, agli attacchi dei barbari, ma sotto la cura del proprio Pastore.<br />
5 R. MANSELLI, Gregorio Magno e la Bibbia, in La Bibbia nell’alto Me<strong>di</strong>oevo.<br />
Settimane <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sull’alto Me<strong>di</strong>oevo, X, Spoleto 1963, 78.<br />
6 M. MAGRASSI, La Bibbia pregata, Milano 1976, 34.<br />
7 Per le Opere <strong>di</strong> Gregorio e<strong>di</strong>zione latino-italiana, facciamo riferimento alla collana<br />
Opere <strong>di</strong> Gregorio Magno, testi e<strong>di</strong>ti da Città Nuova: Commento morale a Giobbe/<br />
1-4, a cura <strong>di</strong> P. SINISCALCO, Roma 1992-1997; Lettere/1-4, a cura <strong>di</strong> V. RECCHIA, Roma<br />
1996-1999; Omelie su Ezechiele/1-2, a cura <strong>di</strong> V. RECCHIA, Roma 1992-1993. Cfr<br />
anche il testo <strong>di</strong> V. RECCHIA, Gregorio Magno. Papa ed esegeta biblico (Quaderni <strong>di</strong><br />
«Invigilata lucernis»), Bari 1996.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
• I Dialoghi : in quattro libri, sono la narrazione della vita dei santi,<br />
vescovi, preti o uomini del popolo <strong>di</strong> Italia, concepite dall’autore in stretta<br />
attinenza con la storia sacra. Qui Gregorio mette in parallelo la lectio<br />
biblica e la “lectio hagiographica”.<br />
• Le Expositiones in Canticum Canticorum: sui primi otto versetti<br />
del testo, Librum Primum Regum, su 1Sam 1-16, non redatti <strong>di</strong>rettamente<br />
da lui.<br />
2. LA PAROLA DI DIO COME LETTERA DI DIO<br />
La Parola <strong>di</strong> Dio è per San Gregorio la “lettera” che Dio ha scritto<br />
agli uomini. Nell’epistola al suo amico me<strong>di</strong>co Teodoro, appunto, scrive:<br />
«Poiché ama <strong>di</strong> più chi più osa, ho qualche lamentela circa il<br />
dolcissimo animo del gloriosissimo figlio mio, il signor Teodoro,<br />
perché ha ricevuto dalla Santa Trinità il dono dell’ingegno, il dono<br />
dei beni, il dono della compassione e della carità, ma si lascia tuttavia<br />
prendere incessantemente dagli affari del mondo, è intento<br />
alle continue pubbliche manifestazioni e trascura <strong>di</strong> leggere ogni<br />
giorno le parole del suo Redentore. Che cos’è, infatti, la sacra Scrittura<br />
se non una specie <strong>di</strong> lettera <strong>di</strong> Dio Onnipotente alla sua creatura?<br />
E certamente, se in qualche luogo la vostra gloria <strong>di</strong>morasse<br />
altrove e ricevesse una lettera <strong>di</strong> un imperatore terreno, non indugerebbe,<br />
non riposerebbe, non concederebbe sonno ai propri occhi,<br />
se prima non avesse conosciuto ciò che l’imperatore terreno<br />
gli avesse scritto. L’imperatore del Cielo, il Signore degli uomini e<br />
degli angeli ti ha trasmesso una lettera a vantaggio della tua anima,<br />
e tuttavia, glorioso figlio, tu non ti curi <strong>di</strong> leggere con passione<br />
questa lettera. Sii ben <strong>di</strong>sposto, ti prego, e me<strong>di</strong>ta ogni giorno le<br />
parole del tuo Creatore; impara a conoscere il cuore <strong>di</strong> Dio nelle<br />
parole <strong>di</strong> Dio per desiderare più ardentemente i beni eterni, perché<br />
il vostro cuore arda <strong>di</strong> più gran<strong>di</strong> desideri per i gau<strong>di</strong> del cielo.<br />
Tanto maggiore allora sarà per esso il riposo, quanto più ora non<br />
cesserà <strong>di</strong> amare il suo Creatore. Ma per far questo, Dio onnipotente<br />
ti infonda lo Spirito consolatore. Egli stesso riempia della sua<br />
presenza il tuo cuore, e riempiendolo lo ricrei» 8 .<br />
8<br />
GREGORIO MAGNO, Lettere, V, 46, in Opere <strong>di</strong> Gregorio Magno, op. cit., 227-<br />
229.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Maria Rosaria Cirella<br />
43
44<br />
Gregorio usa l’immagine della lettera che ben si ad<strong>di</strong>ce alla Sacra<br />
Scrittura per vari aspetti:<br />
• Mittente: una lettera è sempre mandata da un mittente, che desidera<br />
raggiungere un destinatario; in questo caso è Dio stesso, che <strong>di</strong> sua<br />
spontanea volontà, gratuitamente invia un messaggio. Questo <strong>di</strong>ce l’iniziativa<br />
<strong>di</strong> Dio: infatti, tutta la storia della salvezza non è altro che un<br />
invito da parte <strong>di</strong> Dio ad ascoltare la sua Parola, è un <strong>di</strong>alogo tra Dio che<br />
parla al popolo <strong>di</strong> Israele e il popolo chiamato ad ascoltare. Dio continuamente<br />
va incontro all’uomo: la Parola è testimonianza <strong>di</strong> quest’incontro<br />
tra Dio e Israele, è Parola <strong>di</strong> Dio rivolta all’uomo, a cui si rivela.<br />
Ciò evidenzia la struttura stessa <strong>di</strong> Dio, come essere essenzialmente in<br />
relazione, ma anche dell’uomo, chiamato ad entrare in <strong>di</strong>alogo con Dio.<br />
La Parola <strong>di</strong> Dio, allora, è un dono gratuito da parte <strong>di</strong> Dio all’umanità,<br />
che desidera incontrare 9 ;<br />
• Mezzo: Dio parla attraverso la lettera scritta, assumendo il linguaggio<br />
umano, come <strong>di</strong>chiara chiaramente il Concilio Vaticano II:<br />
«… Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo <strong>di</strong> uomini e alla<br />
maniera umana…» 10 .<br />
Ciò significa che la Parola <strong>di</strong> Dio “si incarna” nella parola, nel linguaggio<br />
umano: «è un atto <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong> grazia questo aprirsi <strong>di</strong> Dio a noi,<br />
questo suo aprirsi nel nostro stesso linguaggio» 11 . L. A. Schökel, nel<br />
trattare dei profeti, parla <strong>di</strong> un cammino “<strong>di</strong> debolezza” della Parola:<br />
«nulla è più debole della parola» 12 ; la Parola <strong>di</strong> Dio, infatti, si è “incarnata”<br />
nelle parole umane, e così si è “limitata”, “consegnata”, “abbassata”,<br />
nonostante il rischio <strong>di</strong> non essere accolta; «umanizzandosi, la Parola<br />
<strong>di</strong> Dio <strong>di</strong>venta debole, quasi svuotata» 13 ; in particolare si è limitata<br />
nella <strong>di</strong>stanza e nella lingua, assumendo il linguaggio degli uomini, la lingua<br />
<strong>di</strong> un popolo preciso, <strong>di</strong> un luogo preciso; debole è il popolo che lo<br />
ascolta, perché quasi mai capace <strong>di</strong> accogliere e ascoltare la sua Parola;<br />
debole è anche colui che è chiamato ad annunciare: i pre<strong>di</strong>catori, come<br />
i profeti, sperimentano spesso l’inadeguatezza nei confronti <strong>di</strong> Dio e della<br />
sua Parola. Possiamo aggiungere che debole è stato anche tutto il<br />
9 Cfr Eb 1, 1-2.<br />
10 DV 12.<br />
11 L.A. SCHÖKEL, La parola ispirata. La Bibbia alla luce della scienza del linguaggio,<br />
Brescia 1987, 42.<br />
12 L. A. SCHÖKEL - J. L. SICRE DIAZ, I Profeti, Roma 1996, 17.<br />
13 Ibid., 18.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
cammino e le tappe che la Parola ha percorso perché da parola orale<br />
<strong>di</strong>ventasse scritta, perché potesse avere frontiere non delimitate solo ad<br />
un popolo, ma perché potesse raggiungere tutti i confini della terra. La<br />
Parola si “umilia” nell’entrare nel tempo. È questo un tema molto caro ai<br />
Padri della chiesa, la “con<strong>di</strong>scendenza” <strong>di</strong> Dio nella Parola, la<br />
symkatabasis, come attesta anche la Dei Verbum:<br />
«Nella sacra Scrittura dunque, restando sempre intatta la verità e la<br />
santità <strong>di</strong> Dio, si manifesta l’ammirabile “con<strong>di</strong>scendenza” della eterna<br />
Sapienza, “affinché possiamo apprendere l’ineffabile benignità <strong>di</strong> Dio e<br />
quanto egli, sollecito e provvido nei riguar<strong>di</strong> della nostra natura, abbia<br />
contemperato il suo parlare”. Le parole <strong>di</strong> Dio infatti, espresse con lingue<br />
umane, si son fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo<br />
dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze della umana natura, si<br />
fece simile all’uomo» 14 .<br />
• Destinatario: la lettera è mandata da un mittente ad un destinatario;<br />
non avrebbe senso se non fosse in<strong>di</strong>rizzata a qualcuno; come <strong>di</strong>ce V.<br />
Mannucci «la storia della Bibbia è una storia della Parola <strong>di</strong> Dio agli<br />
uomini» 15 ; è consegnata a noi, nelle nostre mani. Il destinatario è un<br />
uomo preciso, Teodoro, che ha un in<strong>di</strong>rizzo personale, ma poi Gregorio<br />
allarga la prospettiva <strong>di</strong>chiarando che la lettera è in<strong>di</strong>rizzata ad ogni<br />
creatura; è offerta a tutti; allora, la lettura è il fine della lettera, il suo<br />
“essenziale compimento”, la Parola è interpersonale e <strong>di</strong>alogica:<br />
«Dio parla per mezzo dell’uomo, al mondo umano, perché parlando<br />
così ci cerca» 16 .<br />
• Contenuto della lettera: la Parola è scritta a noi, per essere letta,<br />
perché ha un messaggio, ha un contenuto: le parole <strong>di</strong> Dio “contengono”<br />
il cuore <strong>di</strong> Dio, ciò che è <strong>di</strong> Dio più intimo e personale, la sua stessa<br />
vita e la sua volontà. Dio rivela se stesso: «alla ra<strong>di</strong>ce della rivelazione<br />
c’è la gratuita e libera iniziativa <strong>di</strong> Dio. La rivelazione è un puro dono <strong>di</strong><br />
Dio che esce dal suo mistero per farsi incontro all’uomo» 17 . In qualche<br />
modo Dio si compromette, espone se stesso al rischio:<br />
«Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare<br />
il mistero della sua volontà (cfr Ef 1,9), me<strong>di</strong>ante il quale gli<br />
14 DV 13.<br />
15 V. MANNUCCI, Bibbia come Parola <strong>di</strong> Dio. Introduzione generale alla sacra<br />
Scrittura, Brescia 1981, 14.<br />
16 S. AGOSTINO, De civitate Dei 17, 6.<br />
17 B. MAGGIONI, Rivelazione, in P. ROSSANO - G. RAVASI - A. GHIRLANDA (edd.),<br />
Nuovo Dizionario <strong>di</strong> <strong>Teologia</strong> Biblica, Milano 1988, 1361.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Maria Rosaria Cirella<br />
45
46<br />
uomini per mezzo <strong>di</strong> Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno<br />
accesso al Padre e sono resi partecipi della <strong>di</strong>vina natura (Cfr Ef 2,18;<br />
2pt 1,4). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (Cfr Col 1,15; 1Tim<br />
1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (Cfr Es<br />
33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (Cfr Bar 3,38) per invitarli e<br />
ammetterli alla comunione con sé» 18 .<br />
• Fine: il passo della Dei Verbum, appena riportato, ci ha già introdotti<br />
nel fine del messaggio, il perché Dio scrive la lettera e la invia:<br />
vuole renderci partecipi della sua stessa <strong>di</strong>vinità, della sua vita <strong>di</strong> relazione,<br />
<strong>di</strong> comunione; vuole intrattenere con noi un <strong>di</strong>alogo, la Parola non<br />
vuole essere un monologo, è per noi. Afferma San Gregorio<br />
«Tutta la sacra Scrittura è stata scritta per noi» 19 .<br />
• Effetti: lo scopo della lettera, è “a vantaggio” del destinatario,<br />
perché possa desiderare “i beni eterni”, i veri beni, la pienezza <strong>di</strong> vita.<br />
La Parola ci trasforma, è efficace, feconda, ci aiuta a fare scelte quoti<strong>di</strong>ane<br />
ra<strong>di</strong>cate in Dio, in fondo ci fa essere sempre più cristiani; Dio nel<br />
rivelarsi, rivela anche la vocazione dell’uomo, come colui che risponde<br />
alla chiamata <strong>di</strong> Dio con la fede, a partecipare al suo stesso mistero <strong>di</strong><br />
comunione:<br />
«Con la <strong>di</strong>vina rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se<br />
stesso e gli eterni decreti della sua volontà riguardo alla salvezza degli<br />
uomini, per renderli cioè partecipi dei beni <strong>di</strong>vini, che superano assolutamente<br />
la comprensione della mente umana» 20 .<br />
«Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta<br />
amorevolezza incontro ai suoi figli e <strong>di</strong>scorre con essi; nella Parola <strong>di</strong><br />
Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore<br />
della chiesa, e per i figli della chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima,<br />
sorgente pura e perenne della vita spirituale» 21 .<br />
• Risposta: eppure l’amico Teodoro si lascia <strong>di</strong>strarre, anzi la lettera<br />
<strong>di</strong> Gregorio parte dalle sue lamentele per aver trascurato la lettura<br />
della sacra Scrittura, come già aveva detto Origene:<br />
«Voi che siete soliti prendere parte ai <strong>di</strong>vini misteri, quando ricevete<br />
il corpo del Signore lo conservate con ogni cautela e ogni<br />
venerazione perché nemmeno una briciola cada a terra, perché<br />
18 DV 2.<br />
19 In Hiez. II, 5,3. Cfr Dt 29, 28; 30, 11-14.<br />
20 DV 6.<br />
21 DV 21.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
nulla si perda del dono consacrato. È vostra convinzione – giusta<br />
convinzione – che sia una colpa lasciarne cadere per trascuratezza.<br />
Se per conservare il suo corpo siete tanto cauti – ed è giusto<br />
che lo siate – perché ritenete che sia colpa minore se si trascura la<br />
parola <strong>di</strong> Dio anziché il suo corpo?» 22 .<br />
L’immagine stessa della lettera esprime la libertà che Dio lascia al<br />
destinatario <strong>di</strong> accogliere e rispondere, o ad<strong>di</strong>rittura rifiutare; infatti,<br />
Gregorio usa dei verbi molto forti per rimproverare il suo amico:<br />
• «trascura <strong>di</strong> leggere ogni giorno le parole del suo Redentore»;<br />
• «non ti curi <strong>di</strong> leggere con passione questa lettera».<br />
Teodoro avrebbe la possibilità <strong>di</strong> accogliere la lettera e capirla: infatti,<br />
ha ricevuto da Dio stesso, dalla Santa Trinità, il dono dell’ingegno, compassione<br />
e carità; tuttavia si lascia <strong>di</strong>strarre dagli affari del mondo, dalle<br />
continue pubbliche manifestazioni. Ancor più Gregorio usa un paragone<br />
per esagerare la mancanza <strong>di</strong> risposta alla lettera <strong>di</strong> Dio: se ricevessimo<br />
una lettera da un imperatore terreno, subito e senza esitazioni andremmo<br />
a leggerla. La Parola <strong>di</strong> Dio ci interpella continuamente, ci chiama<br />
ad un ascolto profondo, ma non ci obbliga all’incontro; in fondo ci <strong>di</strong>ce<br />
anche il luogo dell’appuntamento, ma ci lascia liberi <strong>di</strong> andare, <strong>di</strong> scegliere.<br />
La risposta dell’uomo all’invito <strong>di</strong> Dio spesso è fragile: per questo<br />
Dio dona lo Spirito Santo, perché possa riempire e ricreare il nostro<br />
cuore.<br />
• Come va letta e me<strong>di</strong>tata la Parola: San Gregorio suggerisce anche<br />
una regola per la lettura; infatti per ben due volte <strong>di</strong>ce “ogni giorno”,<br />
costantemente:<br />
«Come dall’assidua frequenza al mistero eucaristico prende vigore<br />
la vita della chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso <strong>di</strong> vita spirituale<br />
dall’accresciuta venerazione della parola <strong>di</strong> Dio che “rimane in eterno”<br />
(Cfr Is 40,8; 1Pt 1,23-25)» 23.<br />
• Gregorio: come nel caso dei profeti Dio sceglie degli uomini, perché<br />
possa essere annunciata la sua Parola al popolo, così Gregorio in<strong>di</strong>rettamente<br />
rappresenta questa voce <strong>di</strong> Dio che invita all’ascolto e denuncia<br />
il <strong>di</strong>sinteresse <strong>di</strong> Teodoro; i “pre<strong>di</strong>catori” sono uomini chiamati al<br />
servizio della Parola; Dio parla sempre attraverso uomini. Risuona <strong>di</strong>etro<br />
il rimprovero <strong>di</strong> Gregorio, quello <strong>di</strong> tanti profeti <strong>di</strong> Israele 24 .<br />
22 ORIGENE, In Ex. Hom. 13, 3.<br />
23 DV 26<br />
24 Cfr Ger 2, 13; Ger 7, 13.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Maria Rosaria Cirella<br />
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48<br />
3. SITUAZIONE PROFETICA<br />
San Gregorio Magno attinge esclusivamente dalla Parola <strong>di</strong> Dio e questo<br />
gli permette <strong>di</strong> leggere ogni avvenimento della storia sotto l’ispirazione<br />
della Scrittura. In particolare egli afferma che bisogna leggere come se si<br />
trattasse <strong>di</strong> noi 25 : «…il racconto <strong>di</strong> ciò che è avvenuto fuori, nell’azione,<br />
c’insegni ciò che accade dentro, nell’anima» 26 . Gregorio, infatti,<br />
educa il suo popolo a partire dai contesti: c’è connessione tra la vita spirituale<br />
<strong>di</strong> ciascuno e tutta la storia salvifica attestataci dalle Scritture. Egli<br />
legge la storia a lui contemporanea come “adempimento” <strong>di</strong> ciò che era<br />
stato preannunciato dai profeti nell’Antico Testamento. Ogni cristiano deve<br />
sentirsi «in piena storia profetica», cioè vivere nella tensione <strong>di</strong> ciò che<br />
la Parola <strong>di</strong> Dio ha annunziato e in parte realizzato prima, e l’attesa <strong>di</strong> ciò<br />
che deve compiersi in lui. Questa è chiamata «Situazione profetica» o<br />
«profezia della situazione». Gregorio, leggendo così la situazione drammatica<br />
del presente alla luce della Parola, e quin<strong>di</strong> alla luce <strong>di</strong> momenti<br />
analoghi vissuti in parte già nella Parola <strong>di</strong> Dio, traccia un filo conduttore <strong>di</strong><br />
tutta la storia della salvezza tra Antico e Nuovo Testamento, come era già<br />
stato affermato da Agostino. Tale connessione profetica attesta l’unità dei<br />
due Testamenti nello sviluppo o compimento del progetto salvifico alla<br />
luce del mistero pasquale:<br />
«…, i due Testamenti non sono in nulla <strong>di</strong>scordanti fra loro, e<br />
sono come rivolti l’uno verso l’altro, perché ciò che uno promette,<br />
l’altro fa vedere, essendo rivolti verso il Me<strong>di</strong>atore fra Dio e gli<br />
uomini posto in mezzo a loro. (…). L’AT, dunque, è profezia del<br />
Nuovo Testamento, e il Nuovo è la spiegazione dell’Antico» 27 .<br />
Gregorio soprattutto parla ai fedeli, si riferisce alla situazione attuale<br />
del credente che si pone nel mezzo tra la fede <strong>di</strong> chi ci ha preceduto e la<br />
speranza che attende, nell’esperienza dell’unica e molteplice parola che<br />
ricrea. Questo è molto evidente nel commentario a Giobbe, quando si<br />
afferma che muore nella pienezza dei giorni:<br />
«Ora questa morte, questa pienezza <strong>di</strong> giorni, che noi cre<strong>di</strong>amo<br />
si sia verificata nel beato Giobbe, cioè in un membro della Chiesa,<br />
abbiamo la speranza che si compirà in tutta la Chiesa nel suo insieme;<br />
e così noi posse<strong>di</strong>amo la verità <strong>di</strong> ciò che è avvenuto, senza che<br />
si svuoti la profezia <strong>di</strong> ciò che deve avvenire. Se infatti i beni della<br />
25 Cfr Moral., I, 24, 33.<br />
26 Moral., II, 38, 63.<br />
27 In Hiez. I, 6, 15. Cfr DV 15-16.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
vita dei santi che conosciamo sono privi <strong>di</strong> verità, non valgono<br />
nulla; se non contengono un mistero, valgono molto poco. Perciò<br />
la vita dei buoni, che per mezzo dello Spirito santo viene narrata,<br />
splenda ai nostri occhi in virtù dell’intelligenza spirituale, senza<br />
che il significato si scosti dalla fedeltà alla storia. E così l’animo<br />
rimane maggiormente fisso nella sua intelligenza, in quanto, trovandosi<br />
come in mezzo, la speranza lo tiene legato al futuro e la<br />
fede al passato» 28 .<br />
Egli parla delle varie fasi della storia della salvezza, a partire dall’Antico<br />
Testamento, ma sottolinea soprattutto l’unità in Cristo <strong>di</strong> tutta la comunità<br />
credente sparsa nella varietà dei tempi. La storia <strong>di</strong> Giobbe è l’annuncio<br />
<strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Cristo, ma anche profezia della vita della chiesa e <strong>di</strong> ogni<br />
credente, membro del popolo <strong>di</strong> Dio. Tale è la forza sorprendente <strong>di</strong> quanto<br />
Gregorio chiamò «<strong>di</strong>spensatio sancti Spiritus cuncta mirabiliter or<strong>di</strong>nante»,<br />
l’economia cioè dello Spirito santo che or<strong>di</strong>na ogni cosa.<br />
Allora, il presupposto base da cui Gregorio parte è che «la Sacra Scrittura<br />
si presenta agli occhi della nostra anima come uno specchio, in<br />
cui possiamo contemplare il nostro volto interiore» 29 .<br />
«L’esegeta sarebbe dunque autentico – nel pensiero <strong>di</strong> Gregorio –<br />
quando, utilizzando l’acumen intimae visionis, riesce a scoprire, con la<br />
spiritalis intelligentia, la profezia nascosta nel personaggio biblico e,<br />
pur tenendolo continuamente presente, lo libera da tutti quei riferimenti<br />
“esteriori” che impe<strong>di</strong>scono <strong>di</strong> raggiungere il contenuto “interno” o “interiore”<br />
del personaggio stesso. Questa comunque, o <strong>di</strong> questo tipo, è la<br />
contemplatio aeternitatis che caratterizza la Chiesa» 30 .<br />
4. SPIRITO E CRESCITA DELLA PAROLA<br />
Ciò che rende attuale e viva la Parola in chi l’ascolta è la presenza<br />
dello Spirito: per questo la Bibbia è un libro vivente. Lo Spirito Santo non<br />
era presente solo sugli agiografi, ma agisce sempre su chi legge la Scrittura<br />
e la sua presenza assicura «una giovinezza perenne»: è l’ispirazione<br />
sempre in atto. «È lo Spirito che ha creato la Parola ed è lo Spirito<br />
che non l’abbandona nel suo cammino nella storia ma la rende nuova-<br />
28 Moral. VI, 35, 48.<br />
29 Moral. II, 1, 1.<br />
30 I. GARGANO, «Gregorio Magno esegeta della Bibbia», in Liber Annuus 54 (2004)<br />
261-294, 279.<br />
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50<br />
mente Parola viva in chi l’ascolta» 31 . È solo lo Spirito Santo capace <strong>di</strong><br />
far comprendere la Parola <strong>di</strong> Dio come Profezia nella chiesa e nei singolo<br />
credenti:<br />
«A Dio che rivela è dovuta l’obbe<strong>di</strong>enza della fede (Cfr Rm 16,26;<br />
rif. Rm 1,5; 2Cor 10,5-6), per la quale l’uomo si abbandona tutto a Dio<br />
liberamente, prestando “il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà a<br />
Dio che rivela” e acconsentendo volontariamente alla rivelazione fatta<br />
da lui. Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia <strong>di</strong><br />
Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il<br />
quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e <strong>di</strong>a<br />
“a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità”. Affinché l’intelligenza<br />
della rivelazione <strong>di</strong>venti sempre più profonda, lo stesso Spirito<br />
Santo per mezzo dei suoi doni perfeziona continuamente la fede» 32 .<br />
Gregorio userà lo stesso linguaggio sia per i profeti sia per i credenti<br />
<strong>di</strong> ogni tempo: «Spiritus tangit», è lo stesso Spirito che tocca e fa i<br />
profeti ed è lo stesso Spirito che tocca i credenti. «Tra l’agiografo che<br />
ha fissato il testo sotto la mozione dello Spirito, e il lettore che ascolta il<br />
testo sotto la mozione dello stesso Spirito, si stabilisce una profonda comunione<br />
che annulla le <strong>di</strong>stanze <strong>di</strong> tempo, perché li mette entrambi in<br />
comunione con la Parola del Dio vivente» 33 . È lo stesso principio espresso<br />
nella Dei Verbum:<br />
«…, dovendo la sacra Scrittura essere letta e interpretata con l’aiuto<br />
dello stesso Spirito me<strong>di</strong>ante il quale è stata scritta,…» 34 .<br />
È questa presenza continua dello Spirito che “rinvigorisce” continuamente<br />
la Parola: così è prolungata nel singolo l’economia storica<br />
della salvezza, che si muove sotto l’azione <strong>di</strong>retta dello Spirito, e la Scrittura<br />
è in qualche modo “ricreata” . . È questo il fondamento <strong>di</strong> quel metodo<br />
del senso plurimo con cui i Padri hanno letto e commentato la sacra<br />
Scrittura. Nei Moralia, in particolare, Gregorio espone la metodologia<br />
connessa con i vari sensi delle Sacre Scritture: si parte dal senso letterale<br />
o storico del fatto in sé, per passare al senso tipico o allegorico che ci<br />
apre al mistero <strong>di</strong> Cristo per arrivare al senso morale o spirituale che<br />
riflette il mistero della chiesa e <strong>di</strong> ogni credente, grazie alla presenza<br />
dello Spirito, che attualizza la Parola. Il senso spirituale garantisce il<br />
cammino profetico della Parola <strong>di</strong> Dio.<br />
31 E. BIANCHI, Pregare la Parola, op. cit., 40.<br />
32 DV 5.<br />
33 M. MAGRASSI, La Bibbia, op. cit., 54.<br />
34 DV 12.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Tuttavia ciò che è più interessante nell’esegesi <strong>di</strong> Gregorio è la affermazione<br />
che la Scrittura cresce con chi legge:<br />
“DIVINA ELOQUIA CUM LEGENTE CRESCUNT” 35 .<br />
Questa espressione, che troviamo nel commentario a Ezechiele, sviluppa<br />
un’intuizione già presente nella tra<strong>di</strong>zione patristica, in particolare<br />
con Origene, Gregorio <strong>di</strong> Nissa e Cassiano, ed ebbe un ampio influsso in<br />
tutto il Me<strong>di</strong>oevo, fino alla Scolastica, come su Taione <strong>di</strong> Saragozza,<br />
Rabano Mauro 36 . Già Sant’Agostino aveva affermato che, quando si<br />
accinse allo stu<strong>di</strong>o della Scrittura, si rese conto che «era tale da crescere<br />
con i piccoli, ma io non volevo essere piccolo, perché nella<br />
mia superbia mi consideravo già grande» 37 .<br />
Gregorio parte dal testo del profeta Ezechiele e commenta i primi<br />
quattro capitoli e il capitolo 40. «Ciò che lo attira è anzitutto l’analogia<br />
della sua situazione con quella del profeta» 38 . Da questa analogia egli<br />
riesce a «ricavarne una metodologia della lettura profetica (o della<br />
pre<strong>di</strong>cazione) della Bibbia in genere» 39 . Commenta la visione <strong>di</strong> Ezechiele<br />
1,19-21, dove appare il simbolo carro:<br />
«Quando quegli esseri viventi si muovevano anche le ruote si<br />
muovevano accanto a loro e, quando gli esseri si alzavano da terra,<br />
anche le ruote si alzavano. Dovunque lo spirito le avesse spinte,<br />
le ruote andavano e ugualmente si alzavano, perché lo spirito<br />
dell’essere vivente era nelle ruote. Quando essi si muovevano, esse<br />
si muovevano; quando essi si fermavano,essi si fermavano e, quando<br />
essi si alzavano da terra, anche le ruote ugualmente si alzavano,<br />
perché lo spirito dell’essere vivente era nelle ruote».<br />
Gregorio parte con lo stabilire un paragone tra la Scrittura e il carro,<br />
e tra il movimento degli esseri viventi e la ruota da una parte e la crescita<br />
della Scrittura e progresso del credente dall’altra. «La ruota è la Scrittura.<br />
Il movimento solidale è la lettura: il testo si muove, cresce, avanza<br />
con chi lo legge» 40 :<br />
35 In Hiez I, 7, 8-9.<br />
36 Cfr lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> questa formula <strong>di</strong> P.C. BORI, L’interpretazione infinita.<br />
L’ermeneutica cristiana e le sue trasformazioni, Bologna 1987.<br />
37 S. AGOSTINO, Confessioni, III, 5, 9.<br />
38 P.C. BORI, L’interpretazione, op. cit., 20.<br />
39 Ibid., 24.<br />
40 P.C. BORI, L’interpretazione, op. cit., 43.<br />
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Maria Rosaria Cirella<br />
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52<br />
«Mentre osservavo gli esseri viventi, apparve una ruota sopra<br />
la terra. Che significa la ruota se non la sacra Scrittura, che gira<br />
da ogni parte per la comprensione degli u<strong>di</strong>tori e lungo la via della<br />
sua pre<strong>di</strong>cazione non è trattenuta da nessun ostacolo dell’errore?<br />
Gira tutto intorno, perché procede dritta e umile, in mezzo alla prosperità<br />
e avversità. Il movimento circolare dei suoi precetti ora va<br />
in su e ora in giù: le cose che vengono dette ai più maturi in senso<br />
spirituale, si adattano secondo la lettera ai deboli e quelle stesse<br />
cose che i deboli comprendono alla lettera, gli uomini colti le interpretano<br />
in senso spirituale.» 41 .<br />
Così, poi, commenta:<br />
«Gli esseri viventi si muovono quando gli uomini santi apprendono<br />
nella Sacra Scrittura come deve essere le loro vita morale. Gli<br />
esseri viventi si alzano da terra quando gli uomini santi si tengono<br />
sospesi nella contemplazione. E quanto più ciascun uomo santo<br />
progre<strong>di</strong>sce nella conoscenza della Sacra Scrittura, tanto più questa<br />
stessa Sacra Scrittura progre<strong>di</strong>sce in lui. Perciò <strong>di</strong>ce giustamente:<br />
“Quando i viventi si muovevano a terra, si muovevano a<br />
terra anche le ruote; e quando i viventi si alzavano, si alzavano<br />
anche le ruote”, perché le parole <strong>di</strong>vine crescono con chi le legge;<br />
infatti quanto più in profon<strong>di</strong>tà le si guarda, tanto più in profon<strong>di</strong>tà<br />
le si capisce. Per cui le ruote non si sollevano, se non si sollevano<br />
gli esseri animati, perché se la mente dei lettori non è progre<strong>di</strong>ta<br />
salendo in alto, le parole <strong>di</strong>vine giacciono come a terra, incomprese.<br />
Quando infatti la Parola della Sacra Scrittura non muove la<br />
mente <strong>di</strong> chi abbia una debole sensibilità per la parola <strong>di</strong>vina, e<br />
quando nell’animo <strong>di</strong> questi non risplende lume alcuno <strong>di</strong> comprensione,<br />
la ruota è allora oziosa e a terra, perché l’essere vivente<br />
non se ne solleva. Ma se l’essere vivente cammina, cioè cerca il<br />
modo <strong>di</strong> bene vivere, e con i passi del cuore trova come mettere in<br />
atto i passi del bene operare, anche le ruote camminano. Tanto più<br />
profitto trarrai infatti dalla Parola <strong>di</strong>vina, quanto più avrai saputo<br />
progre<strong>di</strong>re in essa. Se però l’animale alato si protende nella contemplazione,<br />
le ruote subito si sollevano da terra, perché capisci<br />
che non sono terrene quelle cose che nella Scrittura Sacra credevi<br />
dette secondo il costume terreno. E accade che tu senta che le pa-<br />
41 In Hiez. I, 6, 2.<br />
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<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
ole della Sacra Scrittura sono celesti se, acceso dalla grazie della<br />
contemplazione, eleverai te stesso alle cose celesti. E la potenza<br />
mirabile e ineffabile della Parola <strong>di</strong>vina si riconosce quando l’animo<br />
<strong>di</strong> chi legge è penetrato dall’amore che viene dall’alto. La ruota<br />
vola dunque perché l’animale si solleva in alto. E prosegue: “Dovunque<br />
andava lo spirito, là anche andavano sollevandosi le ruote,<br />
seguendolo”. Le parole <strong>di</strong>vine si levavano là dove tende lo spirito<br />
<strong>di</strong> chi legge, giacché se in esse hai cercato, vedendolo e cercandolo,<br />
qualcosa <strong>di</strong> alto, quelle stesse parole <strong>di</strong>vine crescono con<br />
te, con te salgono in alto. È giusto che si <strong>di</strong>ca delle stesse ruote: “e<br />
che lo seguono”. Infatti se lo spirito <strong>di</strong> chi legge vuol sapere qualcosa<br />
inerente alla morale o alla storia in esse, riceve la comprensione<br />
morale della storia. Se cerca qualcosa <strong>di</strong> tipico, vi legge il<br />
parlare figurato. Se infine è interessato alla contemplazione, subito<br />
le ruote prendono come delle penne e si sollevano in alto, perché<br />
nelle parole <strong>di</strong>vine si rivela un’intelligenza celeste. E perciò è scritto<br />
che ‘dovunque andava lo spirito, anche le ruote si alzavano<br />
seguendolo’. Le ruote infatti seguono lo spirito, perché l’intelligenza<br />
delle parole <strong>di</strong>vine, come più volte si è detto, cresce secondo<br />
la capacità <strong>di</strong> sentire <strong>di</strong> chi legge» 42 .<br />
Due sono le metafore che utilizza: la crescita, lo sviluppo, che suggerisce<br />
la linea verticale, e il progresso, l’avanzamento in senso spaziale,<br />
che <strong>di</strong>ce la linea orizzontale. La spiegazione <strong>di</strong> Gregorio al passo <strong>di</strong><br />
Ezechiele può essere <strong>di</strong>visa in tre parti:<br />
1) Inizia a specificare i tre verbi <strong>di</strong> movimento: muoversi, alzarsi,<br />
progre<strong>di</strong>re:<br />
a. il muoversi degli esseri viventi è in relazione agli uomini santi che<br />
apprendono nella parola come deve essere la vita morale;<br />
b. l’alzarsi da terra <strong>di</strong>ce la contemplazione;<br />
c. il progre<strong>di</strong>re nella Scrittura corrisponde al progre<strong>di</strong>re del lettore.<br />
Sviluppa poi il paragone con la Scrittura (perciò) e alterna i due verbi<br />
“crescere” in altezza e “proficere” in avanti, ma anche “intelligere” e<br />
“intendere”: infatti, “intelligere” viene da “intus-légere”, che <strong>di</strong>ce l’andare<br />
in profon<strong>di</strong>tà, mentre “intendere” dal greco “ek-teino” <strong>di</strong>ce più<br />
l’espansione, il senso dello spazio. Si crea un contrasto tra l’avverbio<br />
comparativo “altius” più in profon<strong>di</strong>tà, e “imis” in terra: se l’essere vi-<br />
42 In Hiez. I, 7, 8.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
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vente continua a muoversi a terra, anche le ruote (le Parole <strong>di</strong>vine) rimangono<br />
a terra; ma se si alzano possono crescere in profon<strong>di</strong>tà; se<br />
l’essere vivente non si solleva, la Parola non può alzarsi, ma aspetta<br />
“oziosa”;<br />
2) in questa seconda parte usa l’immagine del cammino:<br />
a. ai passi del cuore, cioè l’inizio della conversione, corrisponde la<br />
comprensione della Parola «secondo il costume terreno»;<br />
b. ai passi del “bene operare” la contemplazione;<br />
c. al “profitto” conclusivo la visione della cose celesti;<br />
3) qui sviluppa l’immagine del seguire: la Parola segue chi legge;<br />
infatti può cercare<br />
a. il senso morale o storico;<br />
b. il senso tipico, figurato;<br />
c. la contemplazione attraverso un’intelligenza celeste.<br />
P. C. Bori 43 sintetizza in due le affermazioni <strong>di</strong> Gregorio:<br />
1) il <strong>di</strong>namismo oggettivo del testo: se da una parte «il progresso non<br />
si dà nella pura soggettività, è nel testo che sono contenuti, oggettivamente<br />
significati che emergono via via, man mano che il leggente cresce»<br />
44 ; dall’altra però, visto che è lo stesso Spirito ad animare i viventi e<br />
le ruote «c’è nel testo una potenza oggettiva che attende, per liberarsi,<br />
espandersi, crescere, un atto ricognitivo - creativo da parte del lettore<br />
mosso dalla stessa potenza» 45 ;<br />
2) la lettura è vista come un “progresso”: alla «simultanea ispirazione»<br />
corrisponde una «corrispondenza tra le domande che il lettore pone al<br />
testo, e le risposte che questo può dargli». Ciò significa, in conclusione,<br />
che «ogni testo biblico ha dunque potenzialmente sensi infiniti, è infinitamente<br />
polisemico» 46 . La crescita, che arriva fino al volo del mistico carro<br />
dei cherubini nella contemplazione, avviene in proporzione della penetrazione<br />
della Parola <strong>di</strong> Dio e lo stesso Spirito, che anima le Scritture:<br />
«Lo Spirito della vita è nelle ruote, perché col dono dello Spirito,<br />
attraverso la Parola <strong>di</strong> Dio, noi riceviamo la vita liberandoci dalle<br />
opere che procurano la morte. Si può intendere che lo Spirito si muove,<br />
quando in <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong> e gra<strong>di</strong> Dio tocca l’animo del lettore» 47 .<br />
43 Cfr P.C. BORI, L’Interpretazione, cit., 66ss.<br />
44 Ibid., 66.<br />
45 Ibid., 67.<br />
46 Ibid., 69.<br />
47 In Hiez. I, 7, 11.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Così lo Spirito <strong>di</strong> chi legge si <strong>di</strong>lata e nella misura in cui si <strong>di</strong>lata,<br />
cresce l’intelligenza <strong>di</strong> chi la riceve, si <strong>di</strong>lata la Parola; per questo Gregorio<br />
è stato chiamato «Dottore del desiderio». La metafora della Parola <strong>di</strong><br />
Dio come ruota, inoltre, <strong>di</strong>ce vari aspetti 48 :<br />
• «inarrestabilità e infallibilità del percorso della Parola biblica»: niente<br />
può fermare o rallentare il corso della Parola; anche la Dei Verbum<br />
parlando della pre<strong>di</strong>cazione degli apostoli <strong>di</strong>ce:<br />
«Questa tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> origine apostolica progre<strong>di</strong>sce nella chiesa con<br />
l’assistenza dello Spirito Santo; cresce infatti la comprensione, tanto delle<br />
cose quanto delle parola trasmesse, sia con la riflessione e lo stu<strong>di</strong>o dei<br />
credenti, i quali me<strong>di</strong>tano in cuor loro (Cfr Lc 2,19 e 51), sia con l’esperienza<br />
data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per<br />
la pre<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> coloro i quali con la successione episcopale hanno<br />
ricevuto un carisma sicuro <strong>di</strong> verità» 49 ;<br />
• la “circolarità”della ruota: <strong>di</strong>ce il desiderio <strong>di</strong> ritornare alla vita “in<br />
basso”, dopo il “volo in alto”, dopo la contemplazione della Parola;<br />
• «adattabilità della Parola biblica e della sua corretta pre<strong>di</strong>cazione»:<br />
la Parola si fa carne, si adatta ai destinatari. Infatti, «anche le ruote<br />
ugualmente avanzano, si fermano, si alzano, perché nella sacra<br />
Scrittura uno trova quello che egli <strong>di</strong>venta. Hai progre<strong>di</strong>to fino alla<br />
vita attiva? Essa cammina con te. Hai raggiunto una certa soli<strong>di</strong>tà<br />
e stabilità <strong>di</strong> spirito? Essa si ferma con te. Sei pervenuto, per grazia<br />
<strong>di</strong> Dio, fino alla vita contemplativa? Essa vola con te» 50 .<br />
Gregorio suggerisce che c’è un incontro personale tra Parola e lettore,<br />
che si trovano l’uno <strong>di</strong> fronte all’altro: all’umiliazione della Parola, già accennata,<br />
corrisponde l’innalzarsi del credente. Anzi la Scrittura per crescere,<br />
per essere viva, suppone un lettore, la piena incarnazione della Parola<br />
avviene solo attraverso il lettore; tuttavia anche il lettore per crescere<br />
nella fede deve me<strong>di</strong>tare la Parola: c’è un circolo ermeneutico. La lettura<br />
della Parola allora, permette <strong>di</strong> entrare in una relazione profonda con Dio,<br />
ma tende a creare anche l’unità del noi. La lettura avviene nel tempo:<br />
questo è sottolineato dal presente del verbo crescere ma anche dal participio<br />
presente del lettore: ciò suppone un tempo per l’ascolto e me<strong>di</strong>tazione<br />
della Parola, che avviene con pazienza, con lo stu<strong>di</strong>o faticoso.<br />
48 Cfr P.C. BORI, L’interpretazione, cit., 34.<br />
49 DV 8.<br />
50 In Hiez. I, 7, 16.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Maria Rosaria Cirella<br />
55
56<br />
Questa formula ci ricorda anche il Salmo 1:<br />
«Beato l’uomo che… si compiace della legge del Signore, la sua<br />
legge me<strong>di</strong>ta giorno e notte…, darà frutto a suo tempo»:<br />
C’è nel Salmo la promessa del frutto a suo tempo, non oltre il tempo;<br />
nella LXX è usato il vocabolo kairós, tempo opportuno; in questo tempo<br />
è promessa una crescita, una fecon<strong>di</strong>tà, ma la con<strong>di</strong>zione è la me<strong>di</strong>tazione<br />
costante, giorno e notte, della Parola. Questo ci <strong>di</strong>ce che c’è un cammino,<br />
la storia è un cammino, è la storia della salvezza, in cui l’Eterno si<br />
fa Parola: è la Parola, la Scrittura che rende fecondo il nostro cammino.<br />
5. ASCOLTO ECCLESIALE E PERSONALE<br />
Gregorio, come già accennato, sia come monaco e sia come Papa, è<br />
riuscito a fare della lectio della Bibbia il centro della sua vita ed esperienza.<br />
Egli è riuscito a riscoprire la Parola al centro della sua vita sia<br />
personale che ecclesiale: infatti, nella sua esperienza ritroviamo un vero<br />
equilibrio fra questi due momenti complementari. Egli riconosce che,<br />
mentre illumina la Parola alla comunità con la sua pre<strong>di</strong>cazione, la fede<br />
dei fratelli a sua volta sostiene e illumina lo stesso pastore: è la comunità<br />
che ha innanzitutto il carisma nell’intelligenza delle Scritture. L’ascolto<br />
personale della Parola, dall’altra parte, permette <strong>di</strong> arrivare ad un incontro<br />
personale ed imme<strong>di</strong>ato con Dio.<br />
• PRIMATO DELL’ASCOLTO ECCLESIALE<br />
La Bibbia, per Gregorio, non è riservata solo ai monaci, ma destinata<br />
a tutti i fedeli; come per tutti i Padri della chiesa, il contesto della lettura<br />
della Parola <strong>di</strong> Dio è innanzitutto ecclesiale. Per Gregorio la comunità<br />
rappresenta il criterio normativo della Parola <strong>di</strong> Dio; egli sottolinea la<br />
vitalità della Parola <strong>di</strong> Dio nella comunità <strong>di</strong> fede, che ha la capacità <strong>di</strong><br />
reinterpretare o <strong>di</strong> rileggere la Parola <strong>di</strong> Dio nella situazione concreta.<br />
Come pastore si sforza <strong>di</strong> educare l’intero popolo <strong>di</strong> Dio nel suo insieme:<br />
monaci, clero, laici. Egli parte da una categoria fondamentale ripresa<br />
oggi dal Concilio Vaticano II: la comunità come Popolo <strong>di</strong> Dio 51 .<br />
Gregorio, in verità, non fa altro che riproporre alla sua Chiesa un’ere<strong>di</strong>tà<br />
ricevuta dalla tra<strong>di</strong>zione degli apostoli; infatti, nei suoi scritti non conosce<br />
il monologo o il soliloquio, ma parla a tutto il “popolo <strong>di</strong> Dio”, “Nuovo<br />
51 Cfr la Lumen Gentium.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Israele”, “Corpo vero <strong>di</strong> Cristo”, nella sua comunità, che si realizza e si<br />
attua nella “varietà” dei carismi e dei doni a partire dal carisma fondamentale,<br />
quello che fa il cristiano: la elezione in Cristo e nella chiesa; i<br />
credenti uniti intimamente con Cristo sono la chiesa. Gregorio riconosce<br />
ai vari membri della sua comunità la capacità dell’intelligenza spirituale<br />
delle Scritture; così tutta la comunità assume un ruolo profetico, <strong>di</strong>venendo<br />
norma della vitalità della Parola: lo Spirito stesso parla alla comunità.<br />
È possibile parlare <strong>di</strong> «mutuo rapporto e mutua rispondenza» tra il<br />
Vescovo e la comunità, <strong>di</strong> «comune responsabilità per l’ascolto dell’unico<br />
Verbo». Il libro <strong>di</strong> Giobbe fu la prima esperienza <strong>di</strong> una lettura me<strong>di</strong>tata<br />
coram fratribus, una ricerca comune. Nei suoi commentari biblici<br />
egli come pastore espone le sue <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> fronte alle sacre Scritture,<br />
che non ha potuto comprendere da solo. Il «Rector Ecclesiae et<br />
animorum» <strong>di</strong>venta <strong>di</strong>scepolo dei suoi fedeli e ascoltatori:<br />
«Se il mio u<strong>di</strong>tore e lettore che certamente potrà comprendere il<br />
senso della Parola <strong>di</strong> Dio in modo più profondo e più vero <strong>di</strong> quanto<br />
ho fatto io, non troverà <strong>di</strong> suo gra<strong>di</strong>mento le mie interpretazioni,<br />
tranquillamente lo seguirò come un <strong>di</strong>scepolo segue il suo maestro.<br />
Ritengo come un dono tutto ciò che egli potrà sentire e comprendere<br />
meglio <strong>di</strong> me. Quanti infatti, ripieni <strong>di</strong> fede ci sforziamo <strong>di</strong> far<br />
risuonare Dio, siamo organi della verità, ed è in potere della verità<br />
che essa si manifesti per mio mezzo agli altri o che per gli altri<br />
giunge a me. Essa certamente è uguale per tutti noi, anche se non<br />
tutti viviamo allo stesso modo; ora tocca questo, perché ascolti con<br />
profitto ciò che essa ha fatto risuonare per mezzo <strong>di</strong> un altro, ora<br />
invece tocca quello, perché faccia risuonare chiaramente ciò che<br />
gli altri debbono ascoltare» 52 . «Quanti, infatti, ripieni <strong>di</strong> fede, ci<br />
sforziamo <strong>di</strong> far risuonare Dio, siamo organi della verità. Ed è in<br />
potere della verità che essa si manifesti per mio mezzo agli altri o<br />
che, per mezzo degli altri, giunga a me» 53 .<br />
In questo senso, per Gregorio l’ermeneutica più che lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un<br />
testo è “un evento” 54 , un incontro tra il credente e lo Spirito, tra il pre<strong>di</strong>catore<br />
e la comunità. Tuttavia, rimane fondamentale la figura del pre<strong>di</strong>catore:<br />
52 Moral. XXX, 27, 81.<br />
53 L. C.<br />
54 Cfr I. GARGANO, Gregorio Magno, cit., 291.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Maria Rosaria Cirella<br />
57
58<br />
«Il commentatore della Parola <strong>di</strong> Dio deve comportarsi come un<br />
fiume. Un fiume, quando lungo il suo corso viene a trovarsi in valli<br />
profonde, subito vi si precipita con impeto e non rientra nel suo<br />
alveo se non dopo averle sufficientemente riempite. Proprio così<br />
deve comportarsi il commentatore della Parola <strong>di</strong> Dio: qualunque<br />
sia il tema che tratta, se lungo il suo cammino incontra una buona<br />
occasione <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficare, rivolga verso questa valle l’onda della sua<br />
parola e non rientri nell’alveo del suo <strong>di</strong>scorso se non dopo essersi<br />
sufficientemente riversato nel campo dell’argomento raggiunto» 55 .<br />
Il pre<strong>di</strong>catore è al servizio dei fratelli 56 ; per questo Papa Benedetto<br />
nella sua prima enciclica “Dio è Amore”, commentando la visione della<br />
scala <strong>di</strong> Giacobbe, per <strong>di</strong>re l’amore ascendente e <strong>di</strong>scendente, fa riferimento<br />
a Gregorio:<br />
«Colpisce in modo particolare l’interpretazione che il Papa Gregorio<br />
Magno dà <strong>di</strong> questa visione nella sua Regola pastorale. Il pastore buono,<br />
egli <strong>di</strong>ce, deve essere ra<strong>di</strong>cato nella contemplazione. Soltanto in questo<br />
modo, infatti, gli sarà possibile accogliere le necessità degli altri nel suo<br />
intimo, cosicché <strong>di</strong>ventino sue: “per pietatis viscera in se infirmitatem<br />
caeterorum transferat”. San Gregorio, in questo contesto, fa riferimento<br />
a san Paolo che vien rapito in alto fin nei più gran<strong>di</strong> misteri <strong>di</strong> Dio e<br />
proprio così, quando ne <strong>di</strong>scende, è in grado <strong>di</strong> farsi tutto a tutti (Cfr 2<br />
Cor 12, 2-4; 1 Cor 9, 22). Inoltre in<strong>di</strong>ca l’esempio <strong>di</strong> Mosè che sempre<br />
<strong>di</strong> nuovo entra nella tenda sacra restando in <strong>di</strong>alogo con Dio per poter<br />
così, a partire da Dio, essere a <strong>di</strong>sposizione del suo popolo. “Dentro [la<br />
tenda] rapito in alto me<strong>di</strong>ante la contemplazione, si lascia fuori [della<br />
tenda] incalzare dal peso dei sofferenti: intus in contemplationem rapitur,<br />
foris infirmantium negotiis urgetur”» 57 .<br />
Tutta la chiesa partecipa <strong>di</strong> questa “crescita”:<br />
«La sposa del Verbo incarnato, cioè la Chiesa, istruita dallo Spirito<br />
Santo <strong>di</strong> giorno in giorno si sforza <strong>di</strong> avvicinarsi ad una comprensione più<br />
profonda delle sacre Scritture, per nutrire incessantemente i suoi figli<br />
con le <strong>di</strong>vine parole» 58<br />
Per comprendere proprio il ruolo della Chiesa, Gregorio commenta la<br />
parte finale <strong>di</strong> Giobbe:<br />
55 Moral., Epistola fratri Leandro, 2, 85.<br />
56 Cfr I. GARGANO, Gregorio Magno, cit., 290-291.<br />
57 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 7.<br />
58 DV 23.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
«Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant’anni e<br />
vide figli e nipoti <strong>di</strong> quattro generazioni. Poi Giobbe morì vecchio e<br />
pieno <strong>di</strong> giorni» (Gb 42,16). È detto bene che il beato Giobbe, dopo<br />
i flagelli, visse ancora, perché la santa Chiesa prima viene colpita<br />
dal flagello della prova, e poi viene irrobustita con la perfezione<br />
della vita. Essa vede anche i suoi figli e i figli dei suoi figli fino alla<br />
quarta generazione, perché in questa epoca, che si svolge annualmente<br />
in quattro stagioni, contempla i figli che nascono ogni giorno<br />
fino alla fine del mondo per mezzo della bocca dei pre<strong>di</strong>catori.<br />
(…). Vede i figli dei figli, quando riconosce che altri sono generati<br />
alla fede dagli stessi fedeli» 59 .<br />
Questo testo <strong>di</strong>ce il ruolo fondamentale della Chiesa Madre dei suoi<br />
figli: attraverso la bocca dei pre<strong>di</strong>catori e il loro servizio, e quin<strong>di</strong> grazie<br />
all’annuncio del Vangelo, c’è l’atto <strong>di</strong> nascita dei cristiani; la chiesa<br />
“partoriente” 60 ha una funzione generativa; «muore vecchia e piena <strong>di</strong><br />
giorni», fino a raggiungere l’«incorruttibilità della patria spirituale», ma<br />
«me<strong>di</strong>ante la ricompensa delle opere compiute nella quoti<strong>di</strong>anità». «Questa<br />
Parola infatti che, uscendo dalla bocca dei pre<strong>di</strong>catori (ora<br />
pre<strong>di</strong>cantium), permette alla vita <strong>di</strong> scorrere fino a congiungersi con la<br />
vita eterna, cioè con la <strong>di</strong>vinità che, unica, sconfigge il tempo nella permanenza<br />
dell’incorruttibilità» 61 . La chiesa deve “essere vigilante”, «sorveglia<br />
l’andamento della sua casa; non mangia il pane oziosa» (Pr 31,27).<br />
«Sorveglia l’andamento della sua casa, perché esamina <strong>di</strong>ligentemente<br />
tutti i pensieri della sua coscienza. Non mangia il pane in ozio, perché ciò<br />
che con l’intelligenza coglie della sacra Scrittura, lo manifesta con le<br />
opere che presenta agli occhi dell’eterno Giu<strong>di</strong>ce». La chiesa come Giobbe<br />
«muore piena <strong>di</strong> giorni», «perché quando la contemplazione dell’eternità<br />
l’avrà assorbita, la sottrarrà totalmente a questa situazione precaria, e<br />
così non sopravvivrà in lei niente <strong>di</strong> ciò che in qualche modo possa impe<strong>di</strong>re<br />
lo sguardo dell’intima visione. Tanto più veramente infatti potrà allora<br />
scorgere le realtà interiori, quando più completamente morirà a tutto<br />
ciò che è esteriore». È una «morte che apre alla vita» 62 , perché permette<br />
<strong>di</strong> giungere alla contemplazione della vita eterna.<br />
59 Moral. VI, 35, 48.<br />
60 Cfr I. GARGANO, Gregorio Magno, cit., 273-276.<br />
61 Ibid., 276.<br />
62 Ibid., 277.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Maria Rosaria Cirella<br />
59
60<br />
• ASCOLTO PERSONALE<br />
Accanto ad un ascolto ecclesiale, c’è un altro ascolto personale della<br />
Parola, che Gregorio sperimenta come monaco e mistico:<br />
«Spesso, per grazia <strong>di</strong> Dio onnipotente, certe cose del suo linguaggio<br />
si comprendono meglio quando si legge la Parola <strong>di</strong> Dio<br />
segretamente. L’animo allora, consapevole delle sue colpe, mentre<br />
riconosce ciò che ha ascoltato, è colpito con la freccia del dolore e<br />
trafitto con la spada della compunzione, così che non prova altro<br />
gusto che piangere e lavare le macchie con fiumi <strong>di</strong> lacrime» 63 .<br />
Grazie all’ascolto della Parola, si arriva ad un incontro personale,<br />
imme<strong>di</strong>ato con Dio: è un’esperienza che dalla lettura arriva alla contemplazione,<br />
che accende un fuoco nell’anima e la “sospende” ai gra<strong>di</strong> celesti.<br />
È il volo con cui l’anima, oltrepassando le parole del testo, entra in<br />
unione col Verbo <strong>di</strong>vino, anticipando il cielo. Gregorio come contemplativo<br />
ricorda spesso le <strong>di</strong>sposizioni spirituali e concrete che animano la lettura,<br />
ma soprattutto sottolinea l’umiltà e la purezza <strong>di</strong> cuore, perché l’orgoglio<br />
impe<strong>di</strong>sce allo spirito umano <strong>di</strong> entrare in comunione con Dio. L’umiltà<br />
consiste semplicemente nel riconoscere la trascendenza della Parola <strong>di</strong><br />
Dio, è la <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> spirito per chi vuole comprendere la Parola<br />
ispirata da Dio; è uno sguardo capace <strong>di</strong> riconoscere nelle Scritture il<br />
Cristo. Rimane sempre, tuttavia, una sproporzione tra l’uomo e il mistero<br />
<strong>di</strong> quella Parola che pure è stata scritta per lui:<br />
Inoltre, perché possa svolgersi questo colloquio familiare, la lettura<br />
deve essere assidua:<br />
«Se invece la frequenti assiduamente, riuscirai a penetrare anche<br />
il pensiero come attraverso un colloquio familiare» 64 .<br />
Anche questa affermazione può essere rintracciabile nella Dei<br />
Verbum:<br />
«Tutti... conservino un contatto continuo con le Scritture, me<strong>di</strong>ante la<br />
sacra lettura e lo stu<strong>di</strong>o accurato, affinché non <strong>di</strong>venti vano pre<strong>di</strong>catore<br />
della Parola <strong>di</strong> Dio all’esterno colui che non l’ascolta dal <strong>di</strong> dentro. (…).<br />
Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia<br />
ricca <strong>di</strong> parole <strong>di</strong>vine, sia me<strong>di</strong>ante la pia lettura,… Si ricor<strong>di</strong>no però,<br />
che la lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera,<br />
affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché<br />
63 In Hiez. XXIII, 19, 34.<br />
64 Moral. IV, 1, 1.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
quando preghiamo, parliamo con Lui, Lui ascoltiamo quando leggiamo<br />
gli oracoli <strong>di</strong>vini» 65 .<br />
• BIBBIA E VITA<br />
Non basta leggere la Scrittura: occorre soprattutto viverla, metterla<br />
in pratica. Gregorio più volte sottolinea il rapporto tra Scrittura e vita;<br />
infatti, se la Bibbia è una storia <strong>di</strong> salvezza, la vita dell’uomo spirituale ne<br />
è il prolungamento. La Parola deve <strong>di</strong>ventare “atto” nella mia vita <strong>di</strong><br />
ogni giorno. Per questo descrive nei Dialoghi la vita dei santi, che hanno<br />
incarnato nella loro vita la Parola. Tutta l’esegesi gregoriana è orientata<br />
verso questa messa in opera effettiva: seguendo l’esempio <strong>di</strong> Maria,<br />
i veri ascoltatori della Parola devono interiorizzarla nel proprio cuore<br />
per viverla:<br />
«Nascon<strong>di</strong>amo nel seno del nostro cuore le parole della bocca<br />
<strong>di</strong> Dio, quando ascoltiamo i suoi comandamenti, non come <strong>di</strong> passaggio,<br />
ma mettendoli in pratica. È quanto sta scritto della stessa<br />
Vergine Maria: Maria conservava tutte queste parole, me<strong>di</strong>tandole<br />
nel suo cuore (Lc 2,9). Queste parole anche se sono destinate a<br />
tradursi nella pratica, rimangono nascoste in fondo al cuore, se<br />
per mezzo <strong>di</strong> ciò che si compie fuori l’animo <strong>di</strong> chi agisce,non si<br />
eleva in superbia dentro» 66 .<br />
Gregorio paragona il rapporto tra conoscenza e azione alla mano<br />
dell’uomo con l’arco o la spada:<br />
«L’arco nella mano è la Sacra Scrittura messa in pratica. E infatti,<br />
tiene l’arco in mano chi mette in pratica la Parola <strong>di</strong> Dio che<br />
conosce con l’intelletto. L’arco quin<strong>di</strong>, si rinforza nella mano, quando<br />
nella vita si attua tutto ciò che nella Sacra Scrittura si viene a<br />
conoscere con lo stu<strong>di</strong>o. (…). Perché non basta conosce, occorre<br />
fare. Ha la spada, ma non la maneggia, colui che conosce la Parola<br />
<strong>di</strong> Dio, ma non si cura <strong>di</strong> viverla» 67 .<br />
Invece:<br />
«La vita dei buoni è una pagina biblica vivente. Non per nulla i<br />
giusti nella sacra Scrittura sono chiamati libri, come sta scritto:<br />
65 DV 25.<br />
66 Moral., XVI, 36, 44.<br />
67 Moral., XIX, 30, 56.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Maria Rosaria Cirella<br />
61
62<br />
«Furono aperti i libri. Fu aperto anche un altro libro, quello della<br />
vita. I morti vennero giu<strong>di</strong>cati in base a ciò che era scritto nei libri»<br />
(Ap 20,12). Il libro della vita è la visione stessa del Giu<strong>di</strong>ce che<br />
verrà. Si può <strong>di</strong>re che in esso sta scritto ogni precetto, perché chiunque<br />
lo vede, si rende subito conto, con la testimonianza della coscienza,<br />
<strong>di</strong> ciò che non ha fatto. Si <strong>di</strong>ce che furono aperti i libri,<br />
anche perché allora si vede la vita dei giusti nei quali si scorgono<br />
impressi con le opere i comandamenti <strong>di</strong>vini. I morti vengono giu<strong>di</strong>cati<br />
in base a ciò che è scritto in quei libri, perché nella vita dei<br />
giusti, che si presenta come un libro aperto, leggono il bene che<br />
non vollero compiere e, al confronto con quelli che l’hanno compiuto,<br />
si sentono condannati» 68 .<br />
CONCLUSIONE: CRISTO PAROLA DI DIO<br />
La Parola è un “LIBRO VIVENTE”: esso è Cristo Gesù, è il suo volto<br />
che ogni pagina ci riflette e accanto al suo vedo riflesso il mio volto. Egli<br />
è il “Verbum brevissimum”, è il Verbo fatto carne, non solo u<strong>di</strong>bile e<br />
scritto, ma incarnato e vivente. Cristo “compie” le Scritture, ricapitola<br />
l’economia e condensa in sé la Parola; per questo è anche il “<strong>di</strong>vino<br />
esegeta”: «Colui che è l’Autore dei Santi Testamenti, è anche<br />
l’Esegeta» 69 . Con Cristo «cadono dal libro i sigilli», e la Rivelazione<br />
raggiunge la sua pienezza. Soltanto il Cristo ci rivela i misteri contenuti<br />
nella Sacra Scrittura, non solo perché la Scrittura parla <strong>di</strong> Lui, ma perché<br />
Lui ci manifestò tutti i suoi misteri nella sua Passione e Resurrezione.<br />
Così il Cristo, Parola <strong>di</strong> Dio, «progre<strong>di</strong>sce in noi che siamo sue<br />
membra ogni giorno attraverso i colpi che riceviamo: egli progre<strong>di</strong>sce<br />
quando siamo colpiti e affinati per <strong>di</strong>ventare il suo Corpo.<br />
Egli, che personalmente non può crescere, cresce ogni giorno attraverso<br />
le sue membra» 70 .<br />
Egli ha impresso in noi il suo mistero pasquale, per cui completa in noi<br />
la sua passione per manifestare in noi anche la sua Resurrezione. Per<br />
questo, poiché la Rivelazione <strong>di</strong> Dio culmina nell’incarnazione e passione<br />
<strong>di</strong> Cristo, le prove <strong>di</strong> Giobbe sono una prefigurazione delle sofferenze<br />
<strong>di</strong> Cristo:<br />
68 Moral., V, 24, 16.<br />
69 In Hiez I, 7, 17.<br />
70 In Hiez. I, 6, 8.<br />
Maria Rosaria Cirella<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
«Fu dunque necessario che anche il beato Giobbe, il quale annunziò<br />
i gran<strong>di</strong> misteri dell’Incarnazione, esprimesse altresì nella<br />
propria vita Colui che descriveva con le sue parole; che mostrasse<br />
con le proprie sofferenze ciò che il Cristo avrebbe sofferto e pre<strong>di</strong>casse<br />
i misteri della Passione con tanta maggior verità in quanto li<br />
profetava con le sue sofferenze più che con le sue parole» 71 .<br />
Tutta l’esegesi <strong>di</strong> Giobbe tende a porre la storia <strong>di</strong> Giobbe nel quadro<br />
dell’economia della salvezza, il cui evento centrale è la passione <strong>di</strong> Cristo,<br />
con cui Dio rivela la sua fondamentale umiltà. È la passione <strong>di</strong> Gesù<br />
che confonde le pretese della saggezza umana e rivela che la grandezza<br />
<strong>di</strong> Dio è una grandezza umile, che passa per la Croce. Tuttavia, Giobbe<br />
non è solo figura <strong>di</strong> Cristo: è figura dell’uomo che, in mezzo alle prove<br />
del mondo, con una visione unitaria tende verso Cristo. Gregorio padre e<br />
maestro del popolo <strong>di</strong> Dio, commentando il banchetto, conclusione al<br />
libro <strong>di</strong> Giobbe, banchetto conclusivo della Sacra Scrittura, che raggiungerà,<br />
l’unità del mistero salvifico, afferma che «Abbondare <strong>di</strong> delizie a<br />
motivo dell’Onnipotente significa saziarsi del suo amore al banchetto<br />
della sacra Scrittura» 72 . Come leggiamo nell’Apocalisse 3,20:<br />
«Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e<br />
mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me».<br />
La Parola viene da Dio e a Dio conduce. Gregorio ci insegna che<br />
Dio ci parla attraverso la Scrittura, ma per uno scopo: per attirarci all’amore<br />
verso <strong>di</strong> Lui e il prossimo, per vivere una relazione d’amore.<br />
Egli sottolinea la precarietà <strong>di</strong> tutti i carismi <strong>di</strong>nanzi all’amore, unico<br />
carisma che regge e a cui tutto è or<strong>di</strong>nato. Vivere la Parola significa<br />
necessariamente amare.<br />
71 Moral. praef. 14.<br />
72 Moral. XVI, 24, 1.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Maria Rosaria Cirella<br />
63
64 Anna D’Alessio<br />
DALLA DIDATTICA ALLA PEDAGOGIA:<br />
TEORIE E MODELLI PER L’INSEGNAMENTO<br />
ANNA D’ALESSIO<br />
«Il termine insegnare può essere fatto derivare dall’espressione latina<br />
in signo ponere, cioè rappresentare le conoscenze attraverso un sistema<br />
<strong>di</strong> segni adeguati» 1 .<br />
In latino del resto insegnare significa in<strong>di</strong>care, far segno. L’azione<br />
<strong>di</strong>dattica può essere interpretata sia come azione che mira a rendere<br />
percepibili le conoscenze, le competenze che si vogliono proporre all’appren<strong>di</strong>mento<br />
degli alunni, sia come in<strong>di</strong>cazione del loro significato.<br />
Già ai suoi tempi S. Tommaso d’Aquino affermava: «Il maestro non<br />
causa il lume intellettuale del <strong>di</strong>scepolo, né <strong>di</strong>rettamente le specie intelligibili,<br />
ma con il suo insegnamento stimola il <strong>di</strong>scepolo perché, applicando<br />
la capacità del proprio intelletto, formi i concetti dei quali, dal <strong>di</strong> fuori,<br />
offre i segni» 2 . O ancora: «…il maestro, nei riguar<strong>di</strong> del <strong>di</strong>scepolo non fa<br />
altro che proporgli dei segni o in<strong>di</strong>cargli qualcosa con parole o con gesti.<br />
L’insegnante esercita una funzione esteriore come il me<strong>di</strong>co che risana;<br />
e come la natura interiore è la principale causa della guarigione, così il<br />
lume interiore dell’intelletto è la principale causa del sapere» 3 .<br />
In passato si riteneva sufficiente una buona preparazione culturale <strong>di</strong><br />
base per insegnare; in altri termini l’insegnante, con il suo bagaglio <strong>di</strong><br />
esperienza e <strong>di</strong> conoscenza, costituiva la garanzia per la buona riuscita<br />
della <strong>di</strong>dattica. Questo concetto successivamente viene superato in considerazione<br />
del fatto che un buon docente debba conoscere, oltre i contenuti<br />
<strong>di</strong>sciplinari, anche il soggetto cui è rivolto il suo lavoro ed inoltre<br />
debba superare l’idea che il suo compito si risolva nella semplice trasmissione<br />
<strong>di</strong> conoscenze e pensare invece ad una situazione <strong>di</strong>namica <strong>di</strong><br />
insegnamento/appren<strong>di</strong>mento in cui si verifichino continui vicendevoli<br />
scambi docente-<strong>di</strong>scente <strong>di</strong> stimoli e feedback.<br />
È chiaro che l’esperienza <strong>di</strong>dattica è connotata da una immane complessità<br />
dovuta alla convergenza in essa <strong>di</strong> più sistemi: un sistema-allie-<br />
1 M. PELLEREY, Progettazione Didattica, Torino 1994, 14.<br />
2 S. TOMMASO D’AQUINO, De Magistro, Roma 1965, 119-121.<br />
3 Ibid., 113.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Anna<br />
D’Alessio<br />
Ë<br />
docente <strong>di</strong><br />
Pedagogia
vo e un sistema-insegnante (soggetti), un sistema delle <strong>di</strong>scipline e un<br />
sistema metodologico-tecnologico (oggetti); questi sistemi operano<br />
all’interno del sistema-scuola, il quale a sua volta è parte del più ampio<br />
sistema formativo.<br />
Le modalità tecnico-<strong>di</strong>dattiche adottate dal docente nell’iter formativo<br />
sono un aspetto <strong>di</strong> primaria importanza finalizzato a qualificare l’azione<br />
degli insegnanti ed a orientarne le pratiche scolastiche.<br />
Il modo in cui gli insegnanti pensano l’insegnamento è molto variegato,<br />
siamo infatti lontani dall’omogeneità dei comportamenti professionali<br />
e dei modelli <strong>di</strong>dattici utilizzati.<br />
Una delle più antiche e <strong>di</strong>battute questioni nel corso dei decenni è<br />
senza alcun dubbio il modo <strong>di</strong> impostare il rapporto docente-<strong>di</strong>scente e i<br />
modelli <strong>di</strong>dattici che da esso scaturiscono.<br />
Nel rapporto tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> tipo trasmissivo, autoritario, adultocentrico,<br />
si ha da un lato il docente che fa da schermo tra il sapere e il <strong>di</strong>scente, ne<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Anna D’Alessio<br />
65
66<br />
monopolizza quasi totalmente le possibilità e si colloca al centro <strong>di</strong> ogni<br />
processo sia <strong>di</strong> trasmissione che <strong>di</strong> controllo; un rapporto <strong>di</strong> tipo gerarchico<br />
e subalterno, da una parte un docente detentore <strong>di</strong> saperi co<strong>di</strong>ficati,<br />
scientificamente corretti, dall’altra uno studente minus. Un’azione<br />
educativa, quin<strong>di</strong>, quasi sempre <strong>di</strong> tipo verticale in cui l’allievo è tenuto<br />
ad ascoltare la spiegazione impartita e in cui l’insegnante funge da filtro<br />
con tutte le limitazioni che ne conseguono. Il limite maggiore, più rilevante<br />
è che ad un costo altissimo <strong>di</strong> energia corrisponde un risultato, definito<br />
sapere residuale, estremamente modesto.<br />
Successivamente si afferma un modello educativo e <strong>di</strong>dattico che<br />
pone il soggetto al centro del processo formativo: il modello del<br />
puerocentrismo, che pur essendo centrato sul bambino-soggetto che<br />
apprende, risponde ancora ad un’interpretazione del soggetto fatta dagli<br />
adulti a loro uso e consumo. I risultati <strong>di</strong> tale impostazione danno luogo a<br />
situazioni <strong>di</strong> iperprotettività sfavorendo processi <strong>di</strong> autonomia da parte<br />
dei <strong>di</strong>scenti.<br />
È in<strong>di</strong>spensabile e necessario stabilire, creare un giusto equilibrio tra<br />
trasmissione <strong>di</strong> conoscenza e possibilità <strong>di</strong> rielaborazione critica,<br />
personalizzata, che si riesce a raggiungere con il modello partecipativo.<br />
Tale tipo <strong>di</strong> impostazione considera in maniera paritaria i <strong>di</strong>versi soggetti<br />
dell’azione educativa, dando luogo ad un processo insegnamentoappren<strong>di</strong>mento<br />
<strong>di</strong>namico ed equilibrato.<br />
Non c’è, infatti, un prima e un dopo ma un gioco costante <strong>di</strong><br />
ribaltamento <strong>di</strong> posizioni. L’insegnante non resta estraneo ma opera su<br />
tre <strong>di</strong>rezioni: l’informazione continua, che si potrebbe definire <strong>di</strong> aggiornamento<br />
delle conoscenze; il controllo obiettivo delle varie tappe del<br />
percorso formativo; il <strong>di</strong>alogo costante con l’allievo, attraverso il quale<br />
può rettificare determinate situazioni o posizioni, facilitare certi processi.<br />
La funzione dell’insegnante, quin<strong>di</strong>, non è <strong>di</strong>minuita ma è accresciuta<br />
quantitativamente e qualitativamente.<br />
I tre modelli finora considerati rientrano nella categoria dei modelli<br />
prescrittivi e traggono ispirazione da concezioni dell’appren<strong>di</strong>mento, concezioni<br />
dell’azione educativa, concezioni della relazione fra i soggetti<br />
dell’appren<strong>di</strong>mento.<br />
Lo schema che segue riassume gli aspetti essenziali dei <strong>di</strong>versi modelli<br />
pedagogici e <strong>di</strong>dattici<br />
Anna D’Alessio<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
PEDAGOGIA DEL DOCENTE<br />
caratteristiche:<br />
• gerarchizzazione<br />
• autoritarismo<br />
• adultocentrismo<br />
• […]<br />
PEDAGOGIA DEL DISCENTE<br />
caratteristiche:<br />
• attivismo<br />
• spontaneismo<br />
• puerocentrismo<br />
• [...]<br />
PEDAGOGIA DELLA RELAZIONE<br />
caratteristiche:<br />
• collegialità<br />
• comunicazione<br />
• me<strong>di</strong>azione<br />
• [...]<br />
Schema adattato da V. SARRACINO - M.L. IAVARONE, Progettare L’insegnamento.<br />
Teoria e pratica dell’intervento <strong>di</strong>dattico, Lecce, 2002.<br />
È stato fatto riferimento ai modelli prescrittivi e alle concezioni a cui<br />
essi si ispirano. Riguardo le concezioni dell’appren<strong>di</strong>mento vanno annoverate:<br />
quella che rimanda al comportamentismo, vale a <strong>di</strong>re la teoria secondo<br />
la quale l’appren<strong>di</strong>mento può essere spiegato partendo dall’influenza<br />
che l’ambiente esterno esercita sul soggetto in formazione; quelle che si<br />
riferiscono al gestaltismo, che si basano sulla competenza interna al soggetto<br />
<strong>di</strong> adattare le esperienze esterne al suo modo <strong>di</strong> organizzare ed elaborare;<br />
infine le concezioni riguardanti il costruzionismo che considerano<br />
le funzioni del soggetto all’interno dei compiti imposti dall’ambiente<br />
Riguardo le concezioni della relazione, che occupano un posto <strong>di</strong> rilievo<br />
nell’ambito dei modelli prescrittivi, si riferiscono a relazioni<br />
interin<strong>di</strong>viduali, nei gruppi e tra i gruppi e fanno capo a <strong>di</strong>scipline quali la<br />
psicoanalisi, la psicologia sociale e così via, fino ad arrivare all’etologia.<br />
Infine sono da citare le teorie provenienti dall’ambito <strong>di</strong> ricerca sulla<br />
razionalità dell’azione in senso economico e tecnologico, si tratta <strong>di</strong> con-<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
DIDATTICA TRASMISSIVA<br />
La centratura è sul docente che, possessore<br />
<strong>di</strong> un sapere <strong>di</strong> tipo profetico,<br />
trasmette agli allievi i contenuti della<br />
conoscenza.<br />
DIDATTICA ATTIVA<br />
La centratura è sul <strong>di</strong>scente, sui suoi<br />
interessi e sulle sue motivazioni. L’insegnamento<br />
ha una forte caratterizzazione<br />
pratica.<br />
DIDATTICA PARTECIPATIVA<br />
La centratura è sulla relazione. I processi<br />
<strong>di</strong> insegnamento-appren<strong>di</strong>mento<br />
vengono socializzati e con<strong>di</strong>visi.<br />
Il docente ha il ruolo <strong>di</strong> stimolare e<br />
motivare alla ricerca e all’appren<strong>di</strong>mento.<br />
Anna D’Alessio<br />
67
68<br />
tributi rivolti propriamente all’azione <strong>di</strong>dattica. Viene trasferita la razionalità<br />
economica e tecnologica nel mondo dell’educazione scolastica che<br />
viene coinvolta nel più ampio movimento riformatore <strong>di</strong> modernizzazione<br />
reso plausibile dal contatto con il mondo anglo-americano, più in generale<br />
dalla prevalenza <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> razionalizzazione della quoti<strong>di</strong>anità. Il riferimento<br />
è ai modelli della programmazione curricolare o pedagogia per<br />
obiettivi che saranno approfon<strong>di</strong>ti nei paragrafi successivi 4 .<br />
Vanno a questo punto analizzati i modelli descrittivi che hanno incontrato<br />
meno favore a livello nazionale ed internazionale, dal momento<br />
che, anziché affrontare il <strong>di</strong>scorso sull’insegnamento come dovrebbe<br />
essere, lo affrontano su come esso accade, prendendo in considerazione<br />
le parole usate per insegnare, le interazioni verbali. «Siamo sempre all’analisi<br />
<strong>di</strong> parole, ma muta ra<strong>di</strong>calmente l’orientamento, anzi l’oggetto<br />
d’analisi: non è più la teoria dell’insegnamento – le parole con le quali si<br />
chiama l’insegnamento (parole su) – ma la prassi <strong>di</strong>dattica – le parole<br />
con le quali s’insegna (parole <strong>di</strong>). E l’insegnante non è più semplicemente<br />
il destinatario ma fonte dell’analisi, il produttore <strong>di</strong> insegnamento <strong>di</strong> cui<br />
scoprire tattiche e strategie linguistiche. Secondo questo capovolgimento<br />
le teorie sull’insegnamento possono venire dopo che il teso effettuale<br />
dell’insegnamento si sia costituito e abbia manifestato i significati che<br />
insegnante e alunni si sono scambiati attraverso la verbalizzazione 5 .<br />
Gli ambiti da considerare sono tre: il clima della classe – interazione<br />
verbale insegnante/alunno; la conduzione del lavoro in aula – funzioni<br />
assolte dal comportamento dell’insegnante; attività <strong>di</strong> conoscenza in classe<br />
– compiti cognitivi utilizzati dall’insegnante.<br />
A <strong>di</strong>fferenza dei modelli descrittivi che concentrano l’attenzione sul<br />
prodotto (l’appren<strong>di</strong>mento dell’alunno) quelli descrittivi, invece, concentrano<br />
l’attenzione sul processo (l’insegnamento) quin<strong>di</strong> è la figura dell’insegnante<br />
ad essere osservata e analizzata.<br />
Partiamo dai modelli tendenti a migliorare il clima in classe: la griglia<br />
H. H. Anderson, il Sistema <strong>di</strong> Analisi delle Interazioni Verbali <strong>di</strong> E. J.<br />
Amidon, la Tavola <strong>di</strong> R. F. Bales, la Tavola <strong>di</strong> Bales – Borgatta.<br />
Il primo limite <strong>di</strong> questo gruppi <strong>di</strong> modelli è la priorità riservata<br />
all’interazione verbale come in<strong>di</strong>catore del comportamento docente dal<br />
momento che il modo <strong>di</strong> parlare non è sufficiente né a valutare il comportamento<br />
dell’insegnante né ciò che accade in classe.<br />
4 E. DAMIANO, L’Azione Didattica, Roma, 1993 96-100.<br />
5 Ibid., 101.<br />
Anna D’Alessio<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Il secondo che, sebbene centrati sull’insegnante non riescono a cogliere<br />
la specificità dell’azione <strong>di</strong> insegnare, visto che le <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong><br />
gruppo sono un obiettivo strumentale con<strong>di</strong>zionante rispetto alle aspettative<br />
fissate nel curricolo.<br />
Consideriamo ora quel gruppo <strong>di</strong> modelli descrittivi che pre<strong>di</strong>ligono lo<br />
stu<strong>di</strong>o della conduzione del lavoro in aula, meno noti e meno utilizzabili<br />
per la complessità <strong>di</strong> applicazione: Observational System for Instructional<br />
Analysis, Brown’s Interaction Analysis System, Fiche d’Observation du<br />
comportment de l’enseignant.<br />
A conclusione <strong>di</strong> questa veloce rassegna dei meto<strong>di</strong> descrittivi va<br />
annoverato lo stu<strong>di</strong>o effettuato dalla psicologa americana H. Taba (1965)<br />
che rientra nel terzo settore dei modelli descrittivi. La Taba mise a punto<br />
il rapporto tra interventi dell’insegnante e attività intellettuali richieste<br />
agli alunni. È evidente che l’argomento stu<strong>di</strong>ato è sempre la corrispondenza<br />
tra insegnamento e appren<strong>di</strong>mento; alle funzioni messe un atto<br />
dall’insegnante seguono operazioni eseguite dagli allievi. Quin<strong>di</strong> una certa<br />
competenza da parte degli insegnanti nella messa in atto <strong>di</strong> funzioni utili<br />
produce non solo un buon insegnamento ma soprattutto positive mo<strong>di</strong>fiche<br />
sistematiche nel grado <strong>di</strong> attività intellettuale dell’allievo 6 .<br />
I modelli <strong>di</strong>dattici finora presi in esame riguardavano in modo specifico<br />
il rapporto docente-<strong>di</strong>scente, <strong>di</strong> seguito vengono analizzati tre gruppi<br />
<strong>di</strong> modelli <strong>di</strong>dattici stu<strong>di</strong>ati alla luce delle priorità che in<strong>di</strong>viduano, modelli<br />
del prodotto, modelli del processo, modelli dell’oggetto me<strong>di</strong>atore.<br />
La principale caratteristica del modello del prodotto è quella <strong>di</strong> puntare<br />
sull’insegnamento come un’azione tecnico-razionale orientata ad introdurre<br />
i cambiamenti attesi nel soggetto in appren<strong>di</strong>mento, condotta in<br />
modo da autoregolare l’intervento me<strong>di</strong>ante l’intervento continuo sul<br />
processo. Importante è l’accertamento del prodotto come esito <strong>di</strong> una<br />
precisa azione d’insegnamento. L’attenzione è posta al controllo degli<br />
interventi che vengono in parte riorganizzati dopo le fasi <strong>di</strong> monitoraggio.<br />
Le capacità <strong>di</strong> previsione e <strong>di</strong> controllo sono le competenze principali<br />
dell’insegnante: l’appren<strong>di</strong>mento è fenomeno del tutto preve<strong>di</strong>bile e<br />
controllabile. Esempi sono dati dalla Pedagogia per obiettivi <strong>di</strong> Skinner<br />
o dalle tassonomie <strong>di</strong> Bloom<br />
I modelli del processo hanno una decisa propensione per il metodo,<br />
inteso come procedura <strong>di</strong> pensiero riflessivo da privilegiare nell’insegnamento.<br />
Il metodo viene insegnato facendo fare agli studenti <strong>di</strong>retta espe-<br />
6 E. DAMIANO, op. cit., 111.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Anna D’Alessio<br />
69
70<br />
rienza dei proce<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> scoperta (problem posing, problem solving).Tali<br />
modelli si riconoscono nella ricerca/azione e nei laboratori. Si accorda<br />
preferenza agli argomenti desunti dall’attualità (in nome della continuità<br />
con l’esperienza concreta e <strong>di</strong>retta dei ragazzi). Si enfatizza la congruenza<br />
psicologica con gli interessi degli allievi e la pregnanza emotiva ed affettiva<br />
del lavoro in classe, nonché il benessere relazionale. La valutazione<br />
si esercita sui processi, cioè sui <strong>di</strong>namismi <strong>di</strong> interesse, coinvolgimento,<br />
con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> un’attività scolastica significativa. Si valorizzano gli itinerari<br />
<strong>di</strong> cambiamento con strumenti <strong>di</strong> valutazione qualitativi.<br />
Il terzo modello <strong>di</strong>dattico, modelli dell’oggetto me<strong>di</strong>atore, rimprovera<br />
ai modelli del prodotto un eccesso <strong>di</strong> semplicità, prendendo le <strong>di</strong>stanze<br />
rispetto alla relazione causa-effetto che dovrebbe unire insegnamento<br />
ed appren<strong>di</strong>mento. Costoro si <strong>di</strong>chiarano costruttivisti; l’appren<strong>di</strong>mento<br />
consiste nel lavoro produttivo del soggetto su cui l’insegnamento può<br />
intervenire soltanto in<strong>di</strong>rettamente, agendo sull’ambiente in cui si compie.<br />
Per questo alcuni modelli <strong>di</strong> questa categoria si chiamano ecologici<br />
(Bateson). Le nozioni scolastiche hanno la loro importanza, funzionano<br />
come “utensili <strong>di</strong>sciplinari” e fungono da amplificazione delle strutture<br />
cognitive del soggetto in appren<strong>di</strong>mento. La specificità <strong>di</strong> questi modelli<br />
sta nella me<strong>di</strong>azione tra i due processi dell’insegnamento e dell’appren<strong>di</strong>mento,<br />
che convergono su un compito comune. L’appren<strong>di</strong>mento può<br />
aver luogo solo a partire dagli oggetti culturali (nozioni, concetti <strong>di</strong>sciplinari,...).<br />
Rientrano in tali modelli lo strutturalismo <strong>di</strong>dattico <strong>di</strong> Bruner, il<br />
modello dello “sfondo integratore”, la <strong>di</strong>dattica per concetti <strong>di</strong> Damiano,<br />
la pedagogia del contratto e la Didattica Breve.<br />
MODELLI DEL PRODOTTO<br />
• Insegnamento: azione tecnico-razionale.<br />
• Autoregolazione dell’intervento educativo.<br />
• Monitoraggio del processo e controllo continuo.<br />
• Obiettivo prevalente: conseguire un prodotto atteso.<br />
• Previsione dei risultati e capacità <strong>di</strong> intervento in itinere.<br />
• Appren<strong>di</strong>mento fenomeno preve<strong>di</strong>bile e controllabile.<br />
• Istruzione programmata.<br />
• Programmazione per obiettivi.<br />
• Oggettività della valutazione <strong>di</strong> conoscenze e abilità.<br />
• Visibilità <strong>di</strong> prodotti e comportamenti. (Competenze, capacità).<br />
• Scansione logica e programmata <strong>di</strong> tappe <strong>di</strong>dattiche.<br />
• Meto<strong>di</strong> quantitativi (valutazioni in scale ampie e graduate).<br />
Anna D’Alessio<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
MODELLI DEL PROCESSO<br />
• “Metodo” centrato su forme <strong>di</strong> pensiero riflessivo (problem posing e<br />
problem solving). Suggerimenti <strong>di</strong> procedure.<br />
• Insegnante come animatore, consigliere accorto, amichevole.<br />
• Gli alunni fanno <strong>di</strong>retta esperienza dei proce<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> scoperta.<br />
• Attività <strong>di</strong> ricerca e laboratorio.<br />
• Argomenti desunti dall’attualità. Continuità ricercata con l’esperienza concreta<br />
e <strong>di</strong>retta dei ragazzi.<br />
• Congruenza psicologica con gli interessi dei ragazzi.<br />
• Pregnanza affettiva ed emotiva del lavoro <strong>di</strong> classe.<br />
• Benessere relazionale della comunità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento.<br />
• Valutazione dei processi (<strong>di</strong>namismi <strong>di</strong> coinvolgimento e con<strong>di</strong>visione,<br />
significatività soggettiva dell’attività)<br />
• Valorizzazione degli itinerari <strong>di</strong> cambiamento.<br />
• Meto<strong>di</strong> qualitativi (descrittivi e comprensivi) tratti da <strong>di</strong>scipline psicologiche<br />
e psicosociali.<br />
MODELLI DELL”OGGETTO MEDIATORE”<br />
• Rifiutano un rapporto univoco causa/effetto nei processi <strong>di</strong> insegnamento/appren<strong>di</strong>mento.<br />
• Costruttivismo. L’appren<strong>di</strong>mento sta nel lavoro produttivo del soggetto<br />
sul quale l’insegnamento interviene in<strong>di</strong>rettamente agendo sull’ambiente<br />
in cui si compie (sulle strutture mentali, semantiche, percettive <strong>di</strong> chi si<br />
pone in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento).<br />
• Modelli ecologici (Bateson).<br />
• Le nozioni scolastiche sono importanti sono amplificazioni delle strutture<br />
cognitive del soggetto in appren<strong>di</strong>mento (Piaget, Bruner).<br />
• Gli oggetti culturali hanno un potenziale formativo: possono modellare il<br />
soggetto che con essi interagisce. L’oggetto <strong>di</strong>venta me<strong>di</strong>atore nella costruzione<br />
<strong>di</strong> conoscenze.<br />
• Me<strong>di</strong>azione tra i processi <strong>di</strong> insegnamento e appren<strong>di</strong>mento data dall’analisi<br />
degli oggetti culturali (nozioni, strutture <strong>di</strong>sciplinari,<br />
epistemologie, logiche…).<br />
• Strutturalismo <strong>di</strong>dattico, Sfondo integratore, Didattiche <strong>di</strong>sciplinari, Didattica<br />
per concetti, Didattica Breve Pedagogia del Contratto.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Anna D’Alessio<br />
71
72<br />
Per questa sintesi è stato utilizzato un articolo <strong>di</strong> Elio Damiano “Modelli<br />
<strong>di</strong>dattici e lavoro in aula”, Nuova secondaria, settembre 1998, n°1.Si<br />
presenta ora un quadro dei modelli <strong>di</strong>dattici maggiormente utilizzati attualmente,<br />
allo scopo <strong>di</strong> orientare lo studente nella riflessione e nella<br />
pratica del processo formativo.<br />
MODELLO DIDATTICO<br />
FILOSOFICO-DISCIPLINARE<br />
ATTIVISTICO<br />
CIBERNETICO-TECNOLOGICO<br />
FUNZIONALISTA<br />
STRUTTURALISTA<br />
COGNITIVISTA<br />
DIALETTICO-SOCIOLOGICO<br />
SCIENTIFICO-SPERIMENTALE<br />
FENOMENOLOGICO<br />
SISTEMICO<br />
TESTUALE<br />
ARGOMENTATIVO<br />
ERMENEUTICO<br />
NARRATOLOGICO<br />
PEDAGOGICO<br />
PEDAGOGIA PER OBIETTIVI<br />
Nella <strong>di</strong>samina dei modelli <strong>di</strong>dattici, la “Pedagogia per Obiettivi” si<br />
colloca nel gruppo dei modelli <strong>di</strong>dattici “Modelli del prodotto” della classificazione<br />
introdotta nel paragrafo precedente. Questo modello si inserisce<br />
nel contesto pedagogico scolastico europeo degli anni ’70 e introduce<br />
una nuova impostazione ideologica <strong>di</strong> natura razionale in campo<br />
educativo che ottiene all’imme<strong>di</strong>ato un successo massivo; <strong>di</strong>viene quasi<br />
Anna D’Alessio<br />
METATEORIA<br />
Idealismo (G. Gentile)<br />
Pragmatisrno (J. Dewey)<br />
Comportamentismo (B. Skinner)<br />
Funzionalismo (T. Parsons)<br />
Strutturalismo (C. Levi Strauss)<br />
Psicologia cognitiva (Piaget, Brunet)<br />
Teoria critica (Horkheimer, Adorno)<br />
Spiegazione (neopositivismo)<br />
Fenomenologia (E. Husserl)<br />
Teoria dei sistemi (N. Luhmann)<br />
Semiotica (Pierce, Eco)<br />
Retorica (Ch, Perelman)<br />
Ermeneutica (Gadamer, Ricoeur)<br />
Narratologia (Bremond, Todorov)<br />
Formazione Bildung<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
subito argomento <strong>di</strong> rilievo nelle riviste e guide <strong>di</strong>dattiche specificamente<br />
agli insegnanti; entra a far parte del linguaggio degli operatori scolastici.<br />
Cosa ancor più eclatante è che la PXO è stata subito adottata dal Ministero<br />
della Pubblica Istruzione, che la ha introdotta in interventi normativi<br />
a partire dai Decreti Delegati del 1974 e dalla legge 517 del 1977, la ha<br />
proposta come modello ufficiale nei programmi della Scuola Me<strong>di</strong>a del<br />
’79, della Scuola Elementare dell’85, fino al Progetto Brocca della Scuola<br />
Secondaria Superiore del ’91 ed infine assegnata ai docenti come attività<br />
extra-aula con la denominazione <strong>di</strong> programmazione 7 .<br />
A questo punto è opportuno soffermare l’attenzione sugli elementi<br />
che hanno caratterizzato l’affermazione <strong>di</strong> questo modello <strong>di</strong>dattico.<br />
Da un lato la volontà <strong>di</strong> apportare notevoli innovazioni e consistenti e<br />
ra<strong>di</strong>cali cambiamenti nell’ambito delle pratiche scolastiche cercando <strong>di</strong><br />
introdurre una nota <strong>di</strong> razionalità, <strong>di</strong> sistematicità <strong>di</strong> organicità, <strong>di</strong> coerenza<br />
utilizzando un impianto <strong>di</strong> istruzione programmata, una tecnica <strong>di</strong> lavoro<br />
che andasse a sostituire un’attività scolastica basata sul<br />
pressappochismo, sull’improvvisazione e soprattutto sull’ansia spasmo<strong>di</strong>ca<br />
da parte dei docenti <strong>di</strong> seguire ad ogni costo i dettami previsti dai<br />
programmi ministeriali senza tenere in debita considerazione l’elemento<br />
centrale, principale del processo formativo, l’allievo 8 .<br />
Dall’altro la reticenza da parte degli operatori del sistema <strong>di</strong> integrare<br />
questo modello all’esercizio concreto della loro attività <strong>di</strong>dattica.<br />
Questa contrad<strong>di</strong>zione tra proposte <strong>di</strong> cambiamento e adozione fattive<br />
<strong>di</strong> esse risulta essere una caratteristica costante nelle vicende nelle innovazioni<br />
in campo scolastico.<br />
Dal momento che «ogni modello <strong>di</strong>dattico è l’effetto <strong>di</strong> un modello<br />
culturale, filosofico, pedagogico, epistemologico che agisce come una<br />
metateoria del modello stesso» 9 è opportuno soffermarci innanzitutto sul<br />
modello filosofico-pedagogico a cui la PXO è correlata ed in seguito sul<br />
suo modello culturale <strong>di</strong> riferimento.<br />
Il comportamentismo ha esercitato ed esercita una forte influenza<br />
sulla <strong>di</strong>dattica per l’attenzione posta ai processi cognitivi e all’uso <strong>di</strong><br />
tecnologie nella <strong>di</strong>namica dell’appren<strong>di</strong>mento. Tale movimento in<strong>di</strong>vidua<br />
tra i suoi maggiori rappresentanti B. F. Skinner (1904-1990).<br />
7 E. DAMIANO, op. cit. p.153.<br />
8 A.M. NOTTI, Programmazione e valutazione nei processi formativi, Roma<br />
1998, 16.<br />
9 M. GENNARI, Didattica generale, Milano,1996, 10.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Anna D’Alessio<br />
73
74<br />
Con Skinner si ha uno stu<strong>di</strong>o articolato del rapporto tra stimolo e<br />
risposta che tiene conto delle affinità e delle <strong>di</strong>fferenze delle reazioni del<br />
comportamento degli animali, degli uomini, dei bambini, delle relazioni<br />
tra apparati biologici, fisiologici, organici e comportamentali e degli elementi<br />
attivi operanti a livello biologico, psichico, comportamentale nel<br />
rapporto con l’ambiente.<br />
Secondo Skinner le precedenti impostazioni innatiste, mentaliste, strutturaliste<br />
risultano limitate rispetto alla spiegazione dei comportamenti;<br />
d’altro canto non tutto può essere risolto in termini filogenetici, fisiologici,<br />
cellulari. È, invece, possibile, grazie ad opportuni interventi produrre<br />
raccor<strong>di</strong>, relazioni, modalità <strong>di</strong> percezioni nonché esercitare un controllo<br />
positivo su azioni, risposte, comportamenti, condotte attraverso rinforzi<br />
con caratteristiche contingenti. Pensare <strong>di</strong>viene così una forma <strong>di</strong> comportamento.<br />
Bisogna, quin<strong>di</strong>, solo mettere a punto materiali, tecniche, programmi<br />
atti all’acquisizione <strong>di</strong> comportamenti nei quali abbiano un ruolo specifico<br />
l’apprendere il <strong>di</strong>scriminare, il controllare e così via. Da questo tipo <strong>di</strong><br />
impostazione nasce l’idea <strong>di</strong> una attenta programmazione, costruzione <strong>di</strong><br />
curricoli, <strong>di</strong> una istruzione programmata che privilegi un modello a sequenza<br />
lineare e favorisca l’in<strong>di</strong>vidualizzazione dell’insegnamento e<br />
dell’autoistruzione; un frazionamento analitico dei contenuti; una progressione<br />
quantitativa e qualitativa; l’eliminazione dell’errore; la formulazione<br />
<strong>di</strong> risposte non meccaniche, progressi costanti nell’appren<strong>di</strong>mento;<br />
controllo delle attività <strong>di</strong> acquisizione, feed-back, incentivazione dell’interesse,<br />
dell’attenzione, della motivazione 10 .<br />
Skinner prevede anche l’introduzione delle macchine per insegnare<br />
(tabulato con le unità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, scansione temporale, spazio per<br />
le risposte costruite ecc.) che permettono un appren<strong>di</strong>mento ottimale<br />
perché: «lo studente viene rinforzato imme<strong>di</strong>atamente e frequentemente;<br />
è libero <strong>di</strong> muoversi al suo ritmo naturale; segue una sequenza coerente»<br />
11 .<br />
Le sue idee, sull’organizzazione dell’attività <strong>di</strong>dattica, anche se contrastate<br />
e criticate, hanno apportato novità nel settore educativo da non<br />
sottovalutare: aver posto in <strong>di</strong>scussione modelli cognitivi ormai superati<br />
insistendo sul fatto che le modalità <strong>di</strong> conoscenza non sono innate o il<br />
risultato <strong>di</strong> una maturazione, ma effetto <strong>di</strong> una acquisizione e quin<strong>di</strong> obiet-<br />
10 P.F. SKINNER, Stu<strong>di</strong> e ricerche, Giunti Barbera 1976, 225-258.<br />
11 Ibid., 240.<br />
Anna D’Alessio<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
tivi, traguar<strong>di</strong> da raggiungere ed inserire nella programmazione educativa<br />
e <strong>di</strong>dattica; la constatazione che la programmazione è una procedura<br />
in<strong>di</strong>spensabile in tutti i processi delle società e particolarmente della scuola<br />
e che l’istruzione programmata portava gli operatori educativi ad un’opera<br />
attenta <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduazione, selezione quantitativa e razionalizzazione dei<br />
contenuti; l’attenzione da porre alla verifica in tempi reali dei meto<strong>di</strong><br />
utilizzati, dei saperi appresi, dei rinforzi ottenuti.<br />
Va considerato a questo punto il modello culturale che fa da sfondo<br />
alla PXO che in<strong>di</strong>vidua nella programmazione e precisamente negli “obiettivi”<br />
la risposta innovativa ai bisogni <strong>di</strong> sviluppo del processo <strong>di</strong> insegnamento-appren<strong>di</strong>mento.<br />
In primo luogo bisogna considerare la variegata offerta culturale in<br />
ambito scolastico che non riesce a collocarsi in maniera adeguata nei<br />
percorsi formativi tra<strong>di</strong>zionali. In secondo luogo l’incremento del numero<br />
<strong>di</strong> coloro che decidono <strong>di</strong> frequentare la scuola. Infine una generale<br />
insod<strong>di</strong>sfazione per gli esiti scolastici ottenuti.<br />
Da tale contesto proviene l’esigenza <strong>di</strong> adottare gli obiettivi come<br />
organizzatori dell’attività scolastica. Gli obiettivi, infatti, «possono operare<br />
come criteri <strong>di</strong> selezione, possono aggregare unitariamente contenuti<br />
anche <strong>di</strong>sparati, possono consentire <strong>di</strong> finalizzare gli insegnamenti,<br />
possono <strong>di</strong>fferenziare in progressione lineare l’insegnamento (a seconda<br />
dei gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> padronanza degli studenti oppure ottimizzando i risultati,<br />
assegnando i tempi su misura delle abilità degli studenti)» 12 .<br />
Considerati nell’ottica delle potenzialità elencate poc’anzi, gli obiettivi<br />
hanno la capacità <strong>di</strong> «prevedere e controllare l’attività educativa, in quanto<br />
consentono: <strong>di</strong> anticipare i risultati attesi, <strong>di</strong> rendere trasparente agli<br />
operatori <strong>di</strong>rettamente coinvolti, ai destinatari interessati ed al pubblico in<br />
generale il senso dell’attività intenzionalmente istituita dalla scuola» 13 .<br />
È chiaro che si tratta <strong>di</strong> esigenze <strong>di</strong> integrazione e sistemazione complessiva<br />
dei curricoli scolastici maturate e <strong>di</strong>ffuse un po’ ovunque. Il<br />
paese precursore è l’America con Tyler che parla <strong>di</strong> programmazione<br />
per obiettivi sin dagli anni cinquanta, seguono poi la Gran Bretagna, la<br />
Francia, la Germania, l’Italia, tutti comunque accomunati dalla necessità<br />
<strong>di</strong> risoluzione del medesimo problema: riorganizzare ed innovare l’unità<br />
scolastica ed i processi formativi derivanti da essa.<br />
12 E. DAMIANO, op cit., 158-159.<br />
13 Ibid., 159.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Anna D’Alessio<br />
75
76<br />
LA RICERCA COME MODELLO<br />
Scopo della attività educativa e <strong>di</strong>dattica, da oltre trenta anni è quello<br />
<strong>di</strong> consentire agli allievi <strong>di</strong> «apprendere ad apprendere». Si è spesso<br />
insistito sulla importanza della costanza nell’applicazione per agevolare<br />
l’appren<strong>di</strong>mento, sostenuto a sua volta dalla motivazione ad apprendere,<br />
da fattori socio-familiari ed ambientali, dalla progressiva padronanza <strong>di</strong><br />
efficaci meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, dall’utilizzazione, in specifici contesti, <strong>di</strong> un metodo<br />
<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o personale tale da ottimizzare l’appren<strong>di</strong>mento, inteso come<br />
mo<strong>di</strong>ficazione stabile del modo <strong>di</strong> conoscere, <strong>di</strong> agire, <strong>di</strong> essere, come<br />
persona e citta<strong>di</strong>no, in <strong>di</strong>mensione relazionale con altri in<strong>di</strong>vidui.<br />
La famiglia è la prima agenzia educativa capace <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zionare e<br />
favorire le potenzialità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento degli studenti ma fondamentale<br />
è l’intervento adeguato della scuola che possa attuare metodologie <strong>di</strong>dattiche<br />
basate sul «problem posing e sul problem solving» in modo da<br />
stimolare in maniera efficace le capacità cognitive dell’alunno e rendere<br />
possibile il recupero <strong>di</strong> svantaggi non dovuti a responsabilità del soggetto<br />
in appren<strong>di</strong>mento.<br />
Bisogna promuovere l’abitu<strong>di</strong>ne ad impostare il proprio stu<strong>di</strong>o come<br />
attività <strong>di</strong> acquisizione e <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> conoscenze importanti, significative,<br />
criticamente fondate, con<strong>di</strong>visibili, coerenti, strutturate, con relazioni<br />
e connessioni, suscettibili <strong>di</strong> ulteriori approfon<strong>di</strong>menti e ampliamenti, così<br />
come avviene per le conoscenze scientifiche.<br />
La pratica quoti<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> inciampare in problemi e <strong>di</strong> risolverli, in modo<br />
cooperativo con altri, è uno degli elementi caratterizzanti l’attività dell’uomo,<br />
la scuola perciò dovrebbe <strong>di</strong>ventare un laboratorio <strong>di</strong> ricerca, in<br />
cui ciascun insegnante libero da comportamenti routinari e burocratici<br />
possa impostare il proprio lavoro in classe secondo la metodologia della<br />
ricerca.<br />
Quando si parla <strong>di</strong> <strong>di</strong>dattica centrata sulla metodologia della ricerca<br />
bisogna far riferimento a fonti culturali profonde, alle caratteristiche del<br />
pensiero occidentale moderno, soggettività, storicità, proceduralità,<br />
progettualità che possono essere ritrovate nei suoi rappresentativi risultati,<br />
democrazia e scienza; all’attivismo delle sue <strong>di</strong>verse e<strong>di</strong>zioni storiche<br />
a cominciare dalle “scuole nuove” fino al libertarismo e<br />
antiautoritarismo 14 .<br />
14 E. Damiano, op. cit. 145.<br />
Anna D’Alessio<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Fondatore della scuola attiva e quin<strong>di</strong> promotore dell’attivismo è J.<br />
Dewey che sulla scia <strong>di</strong> pensatori quali Comenio, Locke e Rosseau,<br />
puntava su una concezione comunitaria e democratica dell’educazione<br />
e della scuola, cercava <strong>di</strong> coniugare l’esperienza con l’intelligenza.<br />
Creò una scuola nella quale avevano molta importanza il lavoro, le<br />
ricerche nei vari settori <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e il riscontro tra le progettazioni e i<br />
risultati raggiunti e nella quale si dava spazio al fare e al pensiero. In<br />
Dewey ritroviamo il binomio realtà caratterizzata da situazioni<br />
problematiche, cruciali, ambigue, oscure, conflittuali ed esigenza <strong>di</strong> superare<br />
la separazione tra conoscenza e azione, teoria e pratica, mente e<br />
corpo. Intelligenza creativa e sapere progettuale, problematico, sperimentale<br />
sono i nuovi punti <strong>di</strong> riferimento per or<strong>di</strong>nare un complesso <strong>di</strong><br />
esperienze aperte allo sviluppo e al cambiamento 15 .<br />
Consideriamo a questo punto quali potrebbero essere i vantaggi <strong>di</strong><br />
questo modello <strong>di</strong>dattico.<br />
Elemento primario ed irrinunciabile del modello della ricerca è la definizione<br />
dell’insegnamento quale attività finalizzata esclusivamente all’appren<strong>di</strong>mento<br />
dell’alunno (è da questo del resto che deriva il nome<br />
attivismo) a cui si connettono la motivazione nonché gli altri fattori<br />
costitutivi del modello. La motivazione compito complesso e <strong>di</strong>fficile del<br />
docente da ottenere e mantenere è con<strong>di</strong>zione in<strong>di</strong>spensabile affinché si<br />
realizzi un percorso insegnamento/appren<strong>di</strong>mento. Essa viene considerata<br />
nelle varie versioni del movimento attivistico più come estrinseca,<br />
vale a <strong>di</strong>re attivata da fattori eteronomi, esterni al soggetto oppure da<br />
spinte interne, interiori. In ogni caso è un coinvolgimento emotivo una<br />
spinta volitiva che stimola la naturale curiosità del soggetto, potenziandone<br />
l’appren<strong>di</strong>mento.<br />
Nella pratica scolastica la ricerca è considerata riscoperta del sapere<br />
e l’insegnante ha la funzione <strong>di</strong> regista che evita interventi <strong>di</strong>retti con<br />
suggerimenti o imposizioni e simula in un contesto scolastico l’iter <strong>di</strong><br />
acquisizione del sapere, selezionando i contenuti sui quali attivare l’appren<strong>di</strong>mento,<br />
scelti non arbitrariamente ma tra quelli pertinenti all’indagine<br />
da svolgere e soprattutto appropriati al metodo. L’autorità dell’insegnante<br />
in tale tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>dattica è notevolmente ri<strong>di</strong>mensionata. Si tende a<br />
mettere in luce, infatti, l’attività dell’altro protagonista del rapporto<br />
educativo, l’allievo, evitando un suo atteggiamento <strong>di</strong> passività.<br />
15 R. FORNACA, Storia della Pedagogia, Firenze, 1991, 214-215.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Anna D’Alessio<br />
77
78<br />
Le fasi fondamentali da percorrere per giungere alla preparazione e<br />
alla realizzazione dell’attività <strong>di</strong> ricerca in classe sono:<br />
1. scelta del tema da trattare,<br />
2. ricerca bibliografica preliminare,<br />
3. elaborazione <strong>di</strong> un progetto personale <strong>di</strong> lavoro,<br />
4. raccolta della documentazione,<br />
5. organizzazione del materiale raccolto,<br />
6. elaborazione della documentazione.<br />
La ricerca/azione come modello <strong>di</strong>dattico, poi, si pone in maniera<br />
alternativa rispetto a quello della ricerca classica <strong>di</strong> cui si è finora parlato.<br />
Il metodo della ricerca azione è stato introdotto da Kurt Lewin negli<br />
anni ’40 per affrontare e risolvere problemi <strong>di</strong> cambiamento istituzionale,<br />
<strong>di</strong> tipo migliorativo. I ricercatori esperti entrano in rapporto con i membri<br />
<strong>di</strong> un gruppo per aiutarli a in<strong>di</strong>viduare e a risolvere problemi che impe<strong>di</strong>scono<br />
loro <strong>di</strong> poter esercitare l’attività professionale in modo sod<strong>di</strong>sfacente.<br />
Il rapporto tra ricercatori-esperti e ricercatori-attori-gestori del<br />
progetto <strong>di</strong> ricerca/azione sul campo è paritetico; la funzione dei ricercatori<br />
è quella <strong>di</strong> aiutare gli attori-gestori del progetto a livello operativo, sul<br />
campo, a prendere coscienza dei problemi da affrontare, in<strong>di</strong>viduando<br />
insieme le possibili soluzioni dei problemi in<strong>di</strong>viduati. Il gruppo <strong>di</strong> gestori<br />
del progetto <strong>di</strong> ricerca/azione metteranno in pratica le soluzioni in<strong>di</strong>viduate<br />
insieme ai ricercatori esperti e valuteranno l’efficacia dei miglioramenti<br />
conseguiti 16 .<br />
La ricerca/azione rispondendo ad un modello <strong>di</strong> ricerca per agire, si<br />
<strong>di</strong>stacca dal modello <strong>di</strong> ricerca classica, ricerca per sapere. il primo si<br />
concentra sulla risoluzione <strong>di</strong> un problema in termini <strong>di</strong> spiegazione dei<br />
fatti e <strong>di</strong> progettazione <strong>di</strong> interventi in contesti specifici, il secondo si<br />
prefigge lo scopo <strong>di</strong> accumulare nuove conoscenze ampiamente<br />
generalizzabili.<br />
Il modello della ricerca/azione punta a realizzare un rapporto circolare<br />
tra appren<strong>di</strong>mento e azione, attraverso un potenziamento, allo stesso<br />
tempo, tanto dell’appren<strong>di</strong>mento dall’esperienza quanto della<br />
sperimentazione in azione <strong>di</strong> ciò che si è appreso; in altri termini costituisce<br />
una modalità <strong>di</strong> promozione del cambiamento basato sulla nozione<br />
dell’imparare facendo secondo il modello anglosassone dell’Action<br />
Learning.<br />
16 A.M. NOTTI, Strumenti per la ricerca educativa, Salerno 2002, 85-86.<br />
Anna D’Alessio<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Il modello della ricerca/azione si basa sul principio del coinvolgimento<br />
attivo dei soggetti che da fruitori dell’attività <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong>ventano attori<br />
della ricerca stessa. Esso è orientato soprattutto alla valutazione dei processi,<br />
intesi come incremento dei <strong>di</strong>namismi <strong>di</strong> interesse, <strong>di</strong> coinvolgimento<br />
e <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione da parte degli alunni in attività per loro significative. Si<br />
valorizzano i cambiamenti interni alla classe <strong>di</strong> fronte a situazioni <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />
nuove rispetto alla routine e più ampiamente con<strong>di</strong>vise come<br />
lavori a gruppi, a coppie, cooperative learning, brain storming e così via.<br />
La ricerca/azione cerca <strong>di</strong> creare con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro serene e fattive,<br />
cerca <strong>di</strong> affrontare problematiche psicologiche interpretando il <strong>di</strong>sagio e<br />
canalizzando produttivamente la tensione emotiva verso finalità <strong>di</strong>dattiche<br />
positive, <strong>di</strong> costruire in breve, un contesto un ambiente <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />
capace <strong>di</strong> far decollare la motivazione dei giovani spingendoli alla<br />
sfida della conoscenza, facendo assumere loro ruoli attivi, coinvolgenti e<br />
stimolanti 17 .<br />
Gli aspetti caratteristici della metodologia <strong>di</strong>dattica basata sulla R-A<br />
sono:<br />
• carattere attivo: il soggetto elabora i saperi e non li subisce allorquando<br />
viene messo o si trova in una situazione <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> protagonista<br />
• carattere partecipativo: il soggetto produce saperi originali in situazione<br />
<strong>di</strong> autoappren<strong>di</strong>mento<br />
• carattere investigativo: il soggetto matura nuovi saperi e non produce<br />
saperi in forma ripetitiva quando si trova <strong>di</strong> fronte a situazioni<br />
problematiche che richiedono risoluzione<br />
• carattere rappresentativo della realtà: il soggetto giunge a saperi ine<strong>di</strong>ti<br />
quando lavora attorno alla sua rappresentazione della realtà<br />
• carattere trasformativo: il soggetto mo<strong>di</strong>fica e arricchisce la sua rappresentazione<br />
della realtà.<br />
Per concludere, utilizzare la R-A in ambito formativo significa tendere<br />
ad un proficuo rapporto fra teoria e pratica, fra chi “fa” educazione e<br />
chi invece “stu<strong>di</strong>a” i processi educativi 18 .<br />
LO STRUTTURALISMO COME MODELLO DIDATTICO<br />
Quando si parla <strong>di</strong> Strutturalismo, si intende generalmente quella corrente<br />
<strong>di</strong> pensiero sviluppatasi a partire dagli anni cinquanta grazie alle<br />
17 P. OREFICE, La ricerca-azione partecipativa, Napoli 1993, 60-62.<br />
18 P. OREFICE, op. cit., 63.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Anna D’Alessio<br />
79
80<br />
intuizioni <strong>di</strong> Claude Lèvi-Strauss. Più che <strong>di</strong> un para<strong>di</strong>gma antropologico<br />
strutturato su <strong>di</strong> una base metodologica specifica, lo strutturalismo può<br />
essere considerato come una sorta <strong>di</strong> «filosofia <strong>di</strong> carattere antropologico»,<br />
che tenta <strong>di</strong> dare conto del reale utilizzando idee e principi teorici<br />
provenienti da ambiti eterogenei, organizzati all’interno <strong>di</strong> un campo<br />
esperenziale non sempre sottoponibile a verifica sperimentale. In ogni<br />
caso lo strutturalismo non può essere riservato o correlato ad un unico<br />
ambito specifico quale la <strong>di</strong>dattica della lingua e delle lingue straniere o<br />
la pedagogia o l’antropologia. Esso va in<strong>di</strong>viduato come fenomeno complesso<br />
che interessa tutta la cultura contemporanea, non come episo<strong>di</strong>o<br />
precisato e circoscritto quanto piuttosto orientamento concettuale.<br />
Il termine struttura, lessicalmente parlando, si riferisce al principio<br />
unitario che or<strong>di</strong>na il molteplice rispettando le qualità dei singoli elementi.<br />
Tale termine risulta essere un vocabolo polisemico che non può essere<br />
ricondotto ad una <strong>di</strong>mensione unitaria, per cui dalla biologia alla fisica,<br />
dall’economia alla sociologia, dall’antropologia alla linguistica, il vocabolo<br />
è connotato da una ricchezza semantica eccezionale, in considerazione<br />
anche delle varianti ottenute me<strong>di</strong>ante l’aggiunta <strong>di</strong> prefissi (sopra,<br />
infra, macro, micro, ecc…).<br />
Al<strong>di</strong>là del suo significato, il termine strutturalismo esprime il carattere<br />
logico-formale adottato dalla riflessione scientifica da circa cinquant’anni,<br />
il criterio secondo il quale è l’organizzazione a dare un senso<br />
agli elementi che costituiscono le nozioni e la definizione del rapporto<br />
che intercorre tra loro a renderli significativi e coerenti 19 .<br />
È opportuno, nonché in<strong>di</strong>spensabile, analizzare il movimento strutturalista<br />
dal punto <strong>di</strong> vista pedagogico e naturalmente valutarne i contributi,<br />
le proposte avanzate nell’ambito educativo-scolastico, ambito <strong>di</strong> nostra<br />
specifica competenza.<br />
Il lancio del primo Sputnik (4 ottobre, 1957) dava inizio ad una nuova<br />
èra spaziale che introduceva da un lato un confronto internazionale e<br />
dall’altro premiava la scienza e la tecnologia. Il ritardo tecnologico da<br />
parte degli Stati Uniti d’America fu addebitato anche al sistema formativo<br />
e scolastico, rimasto arretrato rispetto alle innovazioni scientifiche.<br />
Di qui nacque l’esigenza <strong>di</strong> fare il punto sulla situazione, <strong>di</strong> impostare<br />
una nuova strategia formativa e scolastica. È in questo contesto che va<br />
inquadrata la conferenza <strong>di</strong> Woods Hole del 1959 con il compito <strong>di</strong> proporre<br />
innovazioni. All’interno <strong>di</strong> tale conferenza coprì un ruolo importan-<br />
19 E. DAMIANO, op. cit., 120-121.<br />
Anna D’Alessio<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
te lo psicologo e pedagogista J.S. BRUNER (1915) che nell’opera The<br />
process of Education rese pubbliche le sue posizioni.<br />
Lo Stesso si <strong>di</strong>stinse tra i principali riformatori della scuola americana,<br />
che gettò le basi dello strutturalismo <strong>di</strong>dattico. Santoni Rugiu, presenta<br />
Bruner in una sua opera così:<br />
«Una frase <strong>di</strong> Bruner sintetizza bene la sua linea pedagogica: “L’educazione<br />
tende a sviluppare la sensibilità e la forza della mente”. E mentre<br />
la “sensibilità” (valori, costumi e altri elementi della cultura <strong>di</strong> un popolo) è<br />
sod<strong>di</strong>sfatta dai processi sociali cui un fanciullo partecipa, solo l’istruzione<br />
può contribuire decisamente a migliorare i processi intellettivi che fanno<br />
dell’uomo un innovatore, capace <strong>di</strong> adattarsi creativamente alle trasformazioni<br />
senza subirne i con<strong>di</strong>zionamenti. [...] Così, l’insegnamento dovrebbe<br />
tendere prima a far intuire la struttura fondamentale delle <strong>di</strong>scipline<br />
e poi a farne prendere consapevolezza, almeno per quello che serve a<br />
padroneggiarle operativamente». Bruner in<strong>di</strong>cava, come strumenti ideali<br />
per ottenere il massimo <strong>di</strong> rapi<strong>di</strong>tà e <strong>di</strong> efficienza della <strong>di</strong>dattica da lui<br />
proposta, le tecnologie educative [...] le tecnologie educative parvero destinate<br />
a realizzare lo slogan: «insegnare più a lungo, a più persone, in<br />
minor tempo e con maggiori risultati». Fra le tecnologie educative spiccano<br />
i proce<strong>di</strong>menti della cosiddetta «istruzione programmata». L’istruzione<br />
programmata consente, appunto, <strong>di</strong> programmare l’appren<strong>di</strong>mento adattandone<br />
i contenuti alle abilità e al ritmo in<strong>di</strong>viduali, svolgendo gli esercizi<br />
«programmati» attraverso le «macchine per insegnare»” 20 .<br />
Bruner partendo dal presupposto secondo il quale è possibile insegnare<br />
tutto a tutti in qualsiasi momento, si domandava il come, e nel<br />
porre tale domanda, rimandava alla ricerca <strong>di</strong> un perché. Per Bruner il<br />
problema dell’appren<strong>di</strong>mento va analizzato in termini <strong>di</strong> una ricerca che<br />
colleghi la struttura psicologica del soggetto con la struttura logica dell’oggetto.<br />
Da qui derivano le due parti in cui si scan<strong>di</strong>sce la ricerca pedagogica<br />
successiva: la struttura delle <strong>di</strong>scipline e le rappresentazioni mentali<br />
degli allievi, che riconducevano a tre categorie: delle rappresentazioni attive<br />
psico-motorie; delle rappresentazioni iconiche; delle rappresentazioni e<br />
dell’elaborazione simbolica e formale delle informazioni.<br />
Fondamentale è l’utilizzo <strong>di</strong> tali categorie perché permettono <strong>di</strong> fare<br />
tutta una serie <strong>di</strong> operazioni concrete, astratte, formali e <strong>di</strong> strutturare<br />
processi mentali <strong>di</strong> generalizzazione 21 .<br />
20 SANTONI RUGIU, Storia sociale delle educazione, Milano 1979, 698-702.<br />
21 R. TASSI, Itinerari Pedagogici del Novecento, Bologna 1991, 354-355.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Anna D’Alessio<br />
81
82 Anna D’Alessio<br />
Una teoria quella <strong>di</strong> Bruner, attenta alla formazione delle strutture e<br />
all’utilizzazione <strong>di</strong> strumenti in grado <strong>di</strong> favorire una crescente in<strong>di</strong>pendenza<br />
della risposta dalla natura imme<strong>di</strong>ata dello stimolo, interiorizzare<br />
gli eventi in un sistema <strong>di</strong> conservazione, <strong>di</strong> sviluppare ed attivare<br />
interazioni contingenti e sistematiche con gli altri, <strong>di</strong> interagire con l’ambiente,<br />
<strong>di</strong> considerare simultaneamente <strong>di</strong>verse alternative.<br />
Per Bruner l’acquisizione <strong>di</strong> abilità e metodologie <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento è<br />
importante quanto l’acquisizione dei contenuti, da qui l’idea «imparare<br />
ad apprendere» fino a concepire l’istruzione come un impegno profuso<br />
ad orientare lo sviluppo e <strong>di</strong> impostare curricoli nei quali la scelta <strong>di</strong><br />
obiettivi, meto<strong>di</strong>, criteri <strong>di</strong> valutazione deve essere orientata a promuovere<br />
la crescita e lo sviluppo 22 .<br />
Bruner parla, a proposito della <strong>di</strong>dattica, <strong>di</strong> struttura, che va intesa<br />
come <strong>di</strong>sposizione or<strong>di</strong>nata e intenzionale dell’azione educativa, che deve<br />
svilupparsi secondo ritmi e sequenze or<strong>di</strong>nate. Il progresso nell’appren<strong>di</strong>mento<br />
si ottiene perciò grazie ad acquisizione successiva <strong>di</strong> varie strutture,<br />
da quelle più concrete e corpose a quelle più astratte e meno legate<br />
al particolare.<br />
Bruner ha sicuramente rappresentato un punto <strong>di</strong> riferimento centrale<br />
per quanto riguarda il modello <strong>di</strong>dattico dello strutturalismo pur essendoci<br />
stati altri referenti altrettanto vali<strong>di</strong>, ma è a partire da lui che si è<br />
costruita una tra<strong>di</strong>zione metodologica <strong>di</strong>dattica che ritroviamo tuttora<br />
nelle pratiche scolastiche:<br />
• i programmi scolastici devono essere elaborati in team dagli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong><br />
ciascuna <strong>di</strong>sciplina insieme a psicologi ed insegnanti. La competenza<br />
degli insegnanti è in<strong>di</strong>spensabile ad associare la struttura logica della<br />
<strong>di</strong>sciplina, con la struttura psicologica degli alunni;<br />
• la materia deve essere insegnata nella sua autenticità scientifica dal<br />
momento che ogni scienza è uno strumento capace <strong>di</strong> dare significato<br />
ai fenomeni incontrati nell’esperienza, da qui nasce l’orientamento<br />
epistemocentrico dell’insegnamento;<br />
• a scuola non bisogna insegnare tutta una scienza ma una sua struttura<br />
specifica, vale a <strong>di</strong>re le sue idee forza, i suoi principi essenziali 23 .<br />
22 J.S. BRUNER, Verso una teoria dell’istruzione, Roma 1967, 17-25.<br />
23 E. DAMIANO, op cit., 132-133.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
GLI OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO<br />
NELL’INSEGNAMENTO<br />
DELLA RELIGIONE CATTOLICA<br />
Scuola dell’Infanzia e scuola Primaria<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
ANGELA GIONTI<br />
È sempre più con<strong>di</strong>visa dagli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> pedagogia, <strong>di</strong> <strong>di</strong>dattica e dagli<br />
stessi insegnanti, l’idea che la scuola deve fornire all’allievo gli strumenti<br />
necessari per imparare dalle proprie esperienze e, l’insegnamento della<br />
religione cattolica rappresenta il veicolo <strong>di</strong> conoscenza <strong>di</strong> una <strong>di</strong>mensione<br />
costitutiva dell’identità dell’Occidente e della sua cultura. Esso è frutto<br />
<strong>di</strong> una corresponsabilità della proposta educativa che nella Chiesa e nella<br />
scuola trova appartenenza e alleanza. Educare attraverso la scuola è<br />
connaturale alla tra<strong>di</strong>zione storica umana della persona, oggi più che mai<br />
al centro del sapere pedagogico. La qualità dell’istruzione e della formazione<br />
dunque <strong>di</strong>venta con<strong>di</strong>zione imprescin<strong>di</strong>bile per la garanzia del successo<br />
formativo e il docente, in questo rinnovato clima scolastico, più<br />
che conoscitore esperto della <strong>di</strong>sciplina, più che abile tecnico degli interventi<br />
educativi sarà testimone autentico della propria comunicazione. Al<br />
<strong>di</strong> là <strong>di</strong> specifiche valutazioni del sistema scolastico, l’emergenza prioritaria<br />
resta quella <strong>di</strong> dare risposta ai bisogni formativi <strong>di</strong> una società che evolve<br />
all’insegna della complessità e della pluralità. Già nella prospettiva<br />
dell’autonomia scolastica, art. 21, Legge 59 (Bassanini) del 1997, la<br />
Conferenza Episcopale Italiana e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università<br />
e della Ricerca promossero d’intesa la «Sperimentazione nazionale<br />
biennale», (1998/99 e 1999/00) per l’insegnamento della religione<br />
cattolica ed ancora, nel primo febbraio dell’anno 2002, il Consiglio dei<br />
Ministri approvò il progetto <strong>di</strong> riforma del sistema <strong>di</strong> istruzione e formazione<br />
per cui, da parte dell’Ufficio Catechistico Nazionale, al fine <strong>di</strong><br />
favorire la formazione dei docenti <strong>di</strong> religione cattolica, ci fu l’impegno<br />
della pubblicazione dei quaderni della Segreteria generale CEI 1 , della<br />
guida <strong>di</strong>dattica dei nuclei tematici e delle matrici progettuali, nonché del-<br />
1 UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE, Notiziario 5, Roma, agosto 2002.<br />
Angela Gionti<br />
Angela<br />
Gionti<br />
Ë<br />
docente <strong>di</strong><br />
Didattica<br />
83
84 Angela Gionti<br />
le schede riferite al processo <strong>di</strong> riforma dei cicli scolastici in atto. Questo,<br />
a favore della formazione in servizio (FIS), dei docenti R.C., impegnati<br />
nella realizzazione <strong>di</strong> una scuola sempre più attenta alla persona<br />
alunno, per la costruzione <strong>di</strong> identità libere e consapevoli, attraverso proposte<br />
culturali ricche <strong>di</strong> significati e valori con<strong>di</strong>visi. La crisi dei valori <strong>di</strong><br />
cui la nostra società è investita, fa appello a tutte le organizzazioni sociali<br />
nel richiedere proposte <strong>di</strong> formazione delle giovani e meno giovani generazioni;<br />
ovviamente la scuola può e deve rispondere a questa chiamata.<br />
A scuola, e soprattutto nelle ore dell’insegnamento della religione cattolica,<br />
è possibile registrare tanti <strong>di</strong>sagi che gli allievi tutti; piccoli e gran<strong>di</strong><br />
manifestano. Questo accentua la responsabilità dell’insegnante che <strong>di</strong>venta<br />
guida autorevole e autentica cui affidarsi. Da qui l’importanza<br />
dell’insegnante <strong>di</strong> religione cattolica, la sua identità, il suo ruolo, ma soprattutto<br />
la sua formazione che <strong>di</strong>ventano oggetto <strong>di</strong> particolare attenzione<br />
anche nell’ambito normativo. Significativo a tale proposito risulta<br />
l’evento costituito dallo “stato giuri<strong>di</strong>co” dell’i.d.r., legge approvata dal<br />
Parlamento, n° 186 del luglio 2003.<br />
Uno degli aspetti qualificanti della riforma scolastica, Legge 53 del<br />
2003 va in<strong>di</strong>viduato proprio nel rinnovato rapporto tra insegnamento e<br />
appren<strong>di</strong>mento in cui l’attenzione all’appren<strong>di</strong>mento non rappresenta una<br />
facciata innovativa ma una sostanziale convinzione della ricerca pedagogica<br />
e <strong>di</strong>dattica che fa capo alla scuola francese <strong>di</strong> Edgar Morin con il<br />
concetto dell’unitarietà dei saperi (ologramma) che si lega all’unitarietà<br />
della persona. «…sforzarsi a pensare bene è praticare un pensiero<br />
che si sforzi senza sosta <strong>di</strong> contestualizzare le sue informazioni e le<br />
sue conoscenze, che senza sosta si applichi a lottare contro l’errore<br />
e la menzogna a se stesso, il che ci riconduce una volta ancora al<br />
problema della testa ben fatta...» 2 . «Dobbiamo dunque pensare il<br />
problema dell’insegnamento da una parte a partire dalla considerazione<br />
degli effetti sempre più gravi della compartimentazione dei<br />
saperi e dell’incapacità ad articolare gli uni agli altri, dall’altra<br />
parte a partire dalla considerazione che l’attitu<strong>di</strong>ne a contestualizzare<br />
e a integrare è una qualità fondamentale della mente umana<br />
e che si tratta <strong>di</strong> svilupparla piuttosto che atrofizzarla» 3 .<br />
Tutta l’esperienza pedagogico-biografica della scuola va usata nella<br />
nuova situazione per produrre il cambiamento. Di certo bisogna far rife-<br />
2 EDGAR MORIN, La testa ben fatta, Milano 2000, 62.<br />
3 Ibid., 8.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
imento “in primis” all’autonomia (L. 59/97), al monitoraggio dell’INVALSI,<br />
all’accre<strong>di</strong>tamento, all’informatizzazione, alla personalizzazione,<br />
alla formazione continua dei docenti <strong>di</strong> tutte le <strong>di</strong>sciplina e,<br />
in particolare al docente <strong>di</strong> religione cattolica, che va aiutato a traghettare<br />
l’esperienza pregressa nel nuovo processo innovativo, nella prospettiva<br />
<strong>di</strong> un autentico clima migliorativo dell’insegnamento, oggi sempre più<br />
al centro della progettazione scolastica. La legge 53 del 28 marzo 2003<br />
vuole dunque garantire a tutti il <strong>di</strong>ritto all’istruzione e alla formazione con<br />
un’articolazione <strong>di</strong>stinta in scuola dell’infanzia; un primo ciclo <strong>di</strong> otto<br />
anni, comprensivo <strong>di</strong> scuola Primaria così <strong>di</strong>stinta:<br />
– un periodo <strong>di</strong>dattico <strong>di</strong> durata annuale (prima primaria);<br />
– due perio<strong>di</strong> <strong>di</strong>dattici <strong>di</strong> durata biennale (II e III primaria e IV e V<br />
primaria),<br />
e <strong>di</strong> scuola Secondaria <strong>di</strong> I grado così <strong>di</strong>stinta:<br />
– un periodo <strong>di</strong>dattico <strong>di</strong> durata biennale (I e II classe)<br />
– un periodo <strong>di</strong>dattico <strong>di</strong> durata annuale (III classe);<br />
Un secondo ciclo dell’istruzione e formazione comprende il sistema<br />
degli otto licei: classico, scientifico, musicale e coreutico, delle scienze<br />
umane, tecnologico, artistico, economico, linguistico. Grande risorsa e<br />
nuova figura <strong>di</strong> competenza docente si presenta in questo scenario il<br />
tutor coor<strong>di</strong>natore, cui sarà affidato un gruppo <strong>di</strong> alunni che seguirà con<br />
una relazione <strong>di</strong> docenza <strong>di</strong> 18/21 ore per i primi tre anni della Primaria e<br />
per ciò che attiene il percorso dei piani <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o personalizzati e il portfolio<br />
delle competenze in<strong>di</strong>viduali. La relazione docente, esercitata attraverso<br />
il rapporto <strong>di</strong> insegnamento e appren<strong>di</strong>mento, sarà progettata attraverso<br />
momenti <strong>di</strong> attività con il gruppo-classe o della sezione e la sud<strong>di</strong>visione<br />
dello stesso in gruppi <strong>di</strong> interclasse o intersezione, con gruppi <strong>di</strong> livello, <strong>di</strong><br />
compito, elettivi e laboratori LARSA (laboratori <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento,<br />
recupero e sviluppo degli appren<strong>di</strong>menti). Oltre ai LARSA, altri laboratori<br />
per la valorizzazione dei talenti, la scuola può organizzare per l’espansione<br />
prevista dal monte ore opzionale (99 ore, per la scuola Primaria),<br />
ricorrendo anche ai contratti <strong>di</strong> prestazione d’opera occasionale, con<br />
esperti esterni. Due i documenti prescrittivi nazionali: il PECUP (profilo<br />
educativo, culturale professionale) e le In<strong>di</strong>cazioni Nazionali, contenenti<br />
gli obiettivi specifici <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento (OSA) dei singoli insegnamenti ed<br />
attività, <strong>di</strong>stinti in conoscenze ed abilità.<br />
Gli Obiettivi Specifici <strong>di</strong> Appren<strong>di</strong>mento propri dell’insegnamento della<br />
religione Cattolica, nell’ambito delle In<strong>di</strong>cazioni Nazionali per i Piani<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Angela Gionti<br />
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86<br />
Personalizzati delle Attività Educative (scuola dell’Infanzia) e per i Piani<br />
<strong>di</strong> Stu<strong>di</strong>o Personalizzati (scuola Primaria) sono stati approvati il 23 ottobre<br />
del 2003 dalla Conferenza Episcopale Italiana e dal Ministero dell’Istruzione,<br />
dell’Università e della Ricerca, sottoscritti da S.Em. il Card.<br />
Camillo Ruini e dalla Dott. Letizia Moratti. «Questi Obiettivi specifici<br />
si collegano ai Programmi in vigore (rispettivamente del 1986 e del<br />
1987), firmati a seguito della revisione del Concordato (1984) e<br />
dell’Intesa (1985; 1990). Tali programmi hanno determinato un IRC<br />
in grado <strong>di</strong> esprimersi in maniera sempre più compiuta sia per i<br />
contenuti che per la <strong>di</strong>dattica messa in atto, compresa la<br />
sperimentazione CEI attivata dal 1998 in poi. Si rendeva necessario<br />
però mettere l’IRC al passo con la Riforma scolastica in atto,<br />
<strong>di</strong>ventata legge il 23 marzo scorso. Gli accor<strong>di</strong> concordatari contemplavano<br />
la possibile mo<strong>di</strong>fica dei programmi, da farsi d’intesa<br />
fra le parti (protocollo ad<strong>di</strong>zionale, punto 5, lettera b, n.1). Con<br />
questo primo accordo si perviene alla definizione degli obiettivi<br />
della scuola dell’Infanzia e per la scuola Primaria, in attesa delle<br />
ulteriori definizioni della scuola Secondaria <strong>di</strong> primo grado e <strong>di</strong><br />
secondo grado. Si tratta <strong>di</strong> un passo decisivo per assicurare il pieno<br />
collegamento tra IRC e Riforma della scuola, esigito da un IRC<br />
che vuole essere a tutti gli effetti inserito nella scuola, ma richiesto<br />
anche dalla stessa riforma scolastica che propone una <strong>di</strong>dattica<br />
dove la convergenza fra le <strong>di</strong>scipline, per un’attività inter<strong>di</strong>sciplinare,<br />
è uno degli aspetti qualificanti» 4 .<br />
OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO<br />
PROPRI DELL’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE<br />
CATTOLICA<br />
NELL’AMBITO DELLE INDICAZIONI NAZIONALI<br />
PER I PIANI DI STUDIO PERSONALIZZATI<br />
Approvati d’intesa tra la C.E.I. e il M.I.U.R. il 23 ottobre 2003<br />
SCUOLA DELL’INFANZIA<br />
– Osservare il mondo che viene riconosciuto dai cristiani e da tanti<br />
uomini religiosi dono <strong>di</strong> Dio Creatore.<br />
4 MIUR e CEI, Comunicato Stampa, 24 ottobre 2003.<br />
Angela Gionti<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
– Scoprire la persona <strong>di</strong> Gesù <strong>di</strong> Nazaret come viene presentata<br />
dai Vangeli e come viene celebrata nelle feste cristiane.<br />
– In<strong>di</strong>viduare i luoghi <strong>di</strong> incontro della comunità cristiana e le<br />
espressioni del comandamento evangelico dell’amore testimoniato<br />
dalla Chiesa.<br />
CLASSE 1 a<br />
Conoscenze<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
SCUOLA PRIMARIA<br />
– Dio Creatore e Padre <strong>di</strong> tutti gli uomini.<br />
– Gesù <strong>di</strong> Nazaret, l’Emmanuele “Dio con noi”.<br />
– La Chiesa, comunità dei cristiani aperta a tutti i popoli.<br />
Abilità<br />
– Scoprire nell’ambiente i segni che richiamano ai cristiani e a tanti<br />
credenti l presenza <strong>di</strong> Dio Creatore e Padre.<br />
Cogliere i segni cristiani del Natale e della Pasqua.<br />
– Descrivere l’ambiente <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> Gesù nei suoi aspetti quoti<strong>di</strong>ani,<br />
familiari, sociali e religiosi.<br />
– Riconoscere la Chiesa come famiglia <strong>di</strong> Dio che fa memoria <strong>di</strong><br />
Gesù e del suo messaggio.<br />
CLASSE 2 a e 3 a<br />
Conoscenze<br />
– L’origine del mondo e dell’uomo nel cristianesimo e nelle altre religioni.<br />
– Gesù, il Messia, compimento delle promesse <strong>di</strong> Dio.<br />
– La preghiera, espressione <strong>di</strong> religiosità.<br />
– La festa della Pasqua.<br />
– La Chiesa, il suo credo e la sua missione.<br />
Angela Gionti<br />
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Abilità<br />
– Comprendere, attraverso i racconti biblici delle origini, che il mondo<br />
è opera <strong>di</strong> Dio, affidato alla responsabilità dell’uomo.<br />
– Ricostruire le principali tappe della storia della salvezza, anche attraverso<br />
figure significative.<br />
– Cogliere, attraverso alcune pagine evangeliche, come Gesù viene<br />
incontro alle attese <strong>di</strong> perdono e <strong>di</strong> pace, <strong>di</strong> giustizia e <strong>di</strong> vita eterna.<br />
– Identificare tra le espressioni delle religioni la preghiera e, nel “Padre<br />
Nostro”, la specificità della preghiera cristiana.<br />
– Rilevare la continuità e la novità della Pasqua cristiana rispetto alla<br />
Pasqua ebraica.<br />
– Cogliere, attraverso alcune pagine degli «Atti degli Apostoli», la<br />
vita della Chiesa delle origini.<br />
– Riconoscere nella fede e nei sacramenti <strong>di</strong> iniziazione (battesimoconfermazione-eucaristia)<br />
gli elementi che costituiscono la comunità<br />
cristiana.<br />
CLASSE 4 a e 5 a<br />
Conoscenze<br />
– Il cristianesimo e le gran<strong>di</strong> religioni: origine e sviluppo.<br />
– La Bibbia e i testi sacri delle gran<strong>di</strong> religioni.<br />
– Gesù, il Signore, che rivela il Regno <strong>di</strong> Dio con parole e azioni.<br />
– I segni e i simboli del cristianesimo, anche nell’arte.<br />
– La Chiesa popolo <strong>di</strong> Dio nel mondo: avvenimenti, persone e strutture.<br />
Abilità<br />
– Leggere e interpretare i principali segni religiosi espressi dai <strong>di</strong>versi<br />
popoli.<br />
– Evidenziare la risposta della Bibbia alle domande <strong>di</strong> senso dell’uomo<br />
e confrontarla con quella delle principali religioni.<br />
– Cogliere nella vita e negli insegnamenti <strong>di</strong> Gesù proposte <strong>di</strong> scelte<br />
responsabili per un personale progetto <strong>di</strong> vita.<br />
– Riconoscere nei santi e nei martiri, <strong>di</strong> ieri e <strong>di</strong> oggi, progetti riusciti<br />
<strong>di</strong> vita cristiana.<br />
Angela Gionti<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
– Evidenziare l’apporto che, con la <strong>di</strong>ffusione del Vangelo, la Chiesa<br />
ha dato alla società e alla vita <strong>di</strong> ogni persona.<br />
– Identificare nei segni espressi dalla Chiesa l’azione dello Spirito <strong>di</strong><br />
Dio, che la costruisce una e inviata a tutta l’umanità.<br />
– In<strong>di</strong>viduare significative espressioni d’arte cristiana, per rilevare<br />
come la fede è stata interpretata dagli artisti nel corso dei secoli.<br />
– Rendersi conto che nella comunità ecclesiale c’è una varietà <strong>di</strong><br />
doni, che si manifesta in <strong>di</strong>verse vocazioni e ministeri.<br />
– Riconoscere in alcuni testi biblici la figura <strong>di</strong> Maria, presente nella<br />
vita del Figlio Gesù e in quella della Chiesa5 .<br />
Una <strong>di</strong>sciplina in evoluzione dunque, l’insegnamento della Religione<br />
Cattolica, come affermò Don Giosuè Tosoni, responsabile del Servizio<br />
Nazionale per l’IRC nel convegno <strong>di</strong> Napoli del 22 novembre 2005; «dopo<br />
una <strong>di</strong>sciplina in cammino abbiamo oggi una <strong>di</strong>sciplina al bivio, tra l’inserimento<br />
pieno nella scuola, la situazione degli alunni che non si avvalgono <strong>di</strong><br />
tale insegnamento, l’appartenenza ecclesiale degli insegnanti <strong>di</strong> religione».<br />
Con la centralità della persona dell’alunno rispetto al fare ed essere scuola,<br />
si ra<strong>di</strong>ca l’esigenza <strong>di</strong> un’azione formativa determinante; dell’attenzione<br />
alla crescita globale dell’allievo; della convergenza <strong>di</strong> tutte le <strong>di</strong>scipline<br />
verso il raggiungimento <strong>di</strong> tale obiettivo. L’insegnamento della Religione<br />
Cattolica trova, a tale scopo, la sua connotazione <strong>di</strong> collaboratore<br />
inter<strong>di</strong>sciplinare per il raggiungimento del profilo <strong>di</strong> competenza previsto in<br />
uscita al primo ciclo dell’Istruzione e Formazione. È la promozione del<br />
passaggio dalle capacità alle competenze che determina la formazione,<br />
attraverso le conoscenze ed abilità <strong>di</strong> cui sono costituiti gli obiettivi specifici<br />
<strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, un sapere e un saper fare per far sì che gli allievi<br />
mettano a frutto le loro capacità per raggiungere le competenze che mirano<br />
all’essere della persona e del citta<strong>di</strong>no. Questo passaggio avviene attraverso<br />
l’obiettivo formativo, che svolge un ruolo centrale nella progettazione<br />
delle unità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, coniugando, a livello <strong>di</strong>dattico, gli OGPF<br />
(obiettivi generali del processo formativo) e gli OSA (obiettivi specifici <strong>di</strong><br />
appren<strong>di</strong>mento) sulla base del principio dell’ologramma. Gli OSA <strong>di</strong> religione<br />
cattolica non sono né molti né pochi, ma proporzionati agli OSA delle<br />
altre <strong>di</strong>scipline, insegnamenti, attività.<br />
5 MIUR e CEI, Intesa, 23 ottobre 2003, Roma.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Angela Gionti<br />
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Di Gesù si parla in una linea <strong>di</strong> continuità che attraversa la scuola<br />
dell’Infanzia, la scuola Primaria e la scuola Secondaria <strong>di</strong> I grado. Infatti<br />
– nella scuola dell’infanzia è centrale la “Figura” <strong>di</strong> Gesù <strong>di</strong> Nazaret;<br />
– nel monoennio della Primaria è centrale la “Figura” <strong>di</strong> Gesù<br />
l’Emmanuele;<br />
– nel primo biennio della Primaria è centrale la “Figura” <strong>di</strong> Gesù il<br />
Messia;<br />
– nel secondo biennio della Primaria è centrale la “Figura” <strong>di</strong> Gesù il<br />
Signore;<br />
– nel biennio della scuola Secondaria <strong>di</strong> I grado è centrale la “Figura”<br />
<strong>di</strong> Gesù il Salvatore e figlio <strong>di</strong> Dio;<br />
– nel monoennio della scuola Secondaria <strong>di</strong> primo grado è centrale la<br />
“Figura” <strong>di</strong> Gesù via, verità e vita.<br />
Gli OSA <strong>di</strong> religione cattolica rappresentano la sintesi del nostro patrimonio<br />
religioso attraverso le fonti teologiche e la Bibbia in particolare.<br />
Essi costituiscono il mezzo attraverso cui l’alunno, a partire dalla scuola<br />
dell’Infanzia matura consapevolezza e sviluppa la propria identità religiosa<br />
in apertura al confronto interculturale e al <strong>di</strong>alogo interreligioso.<br />
Tre sono le <strong>di</strong>mensioni caratterizzanti gli obiettivi specifici <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />
della religione cattolica:<br />
– la <strong>di</strong>mensione teologica;<br />
– la <strong>di</strong>mensione culturale;<br />
– la <strong>di</strong>mensione antropologica.<br />
La <strong>di</strong>mensione teologica prevede il riferimento alla Bibbia, alla vita <strong>di</strong><br />
Gesù, al Suo insegnamento, alla Chiesa come comunità cristiana, alla<br />
Chiesa come luogo <strong>di</strong> culto, alla responsabilità morale del cristiano. La<br />
<strong>di</strong>mensione culturale invece si rivolge alle conoscenze ed alle abilità,<br />
quin<strong>di</strong> alla storia della nostra religione, all’arte religiosa, al pluralismo<br />
religioso. La <strong>di</strong>mensione antropologica fa riferimento, a sua volta, al bisogno<br />
<strong>di</strong> salvezza, al problema della morte, al senso della vita, al rispetto<br />
della vita 6 .<br />
6 Se riflettiamo sul primo OSA della scuola dell’Infanzia: «Osservare il mondo che<br />
viene riconosciuto dai cristiani e da tanti uomini religiosi dono <strong>di</strong> Dio Creatore» notia-<br />
Angela Gionti<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
La centralità della persona che apprende si realizza con il valore<br />
strategico della progettazione <strong>di</strong>dattica e con l’autentica testimonianza<br />
del docente che sarà, per gli alunni il primo testimone delle conoscenze<br />
che propone. Mettere al centro la persona che apprende è funzionalisticamente<br />
ricercabile nella ricerca pedagogico-<strong>di</strong>dattica che offre<br />
le metodologie più efficaci dal punto <strong>di</strong> vista cognitivo e metacognitivo.<br />
Ciò che <strong>di</strong>venta prioritario nella progettazione degli interventi resta però<br />
il fine della nostra azione, l’obiettivo formativo che accompagna l’alunno<br />
al raggiungimento delle competenze spen<strong>di</strong>bili nel “fare quoti<strong>di</strong>ano”.<br />
Jacques Maritain, negli anni Quaranta, rimproverava all’educazione il<br />
primato dei mezzi sui fini e quin<strong>di</strong> il crollo <strong>di</strong> ogni finalità certa. La cultura<br />
scolastica attuale è in realtà segnata da una sorta <strong>di</strong> prassi quoti<strong>di</strong>ana<br />
che standar<strong>di</strong>zza organizzazione oraria e <strong>di</strong>dattica, cosa che sicuramente<br />
non favorisce la personalizzazione. L’autonomia scolastica è invece<br />
sostegno alla realizzazione della scuola per la persona, perché garantisce<br />
la risposta ai bisogni formativi degli alunni.<br />
«Personalizzare significa aprire, accrescere, liberare, moltiplicare,<br />
le capacità e le competenze personali <strong>di</strong> ciascuno; dare a<br />
ciascuno il proprio che è unico e irripetibile; valorizzare le identità<br />
personali, non svilirle, ma considerarle la con<strong>di</strong>zione per un <strong>di</strong>alogo<br />
fecondo con altre identità che possono, così, perfezionarsi a<br />
vicenda 7 ».<br />
Per la realizzazione progettuale dell’unità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento il docente,<br />
con l’équipe dei colleghi, curerà tre fasi, quella pre-attiva, quella attiva<br />
e quella post-attiva. La fase pre-attiva o ideativi progettuale, ha lo<br />
scopo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare un appren<strong>di</strong>mento unitario da esprimere me<strong>di</strong>ante<br />
uno o più obiettivi formativi integrati. Si tratta <strong>di</strong> una progettazione a<br />
bassa definizione in cui si chiariscono i reali bisogni formativi degli allievi<br />
e ad essi si adattano gli obiettivi specifici <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, si in<strong>di</strong>viduano<br />
gli obiettivi generali del processo formativo, si formulano gli obiettivi<br />
formativi e si in<strong>di</strong>viduano le competenze in uscita. La fase attiva o della<br />
me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong>dattica è la fase in cui si concretizza l’appren<strong>di</strong>mento uni-<br />
mo come emerge forte il senso del dono della vita, il rispetto ad essa in tutti i suoi<br />
aspetti e manifestazioni, perché rispecchia la logica del dono <strong>di</strong> Dio. Una grande apertura<br />
<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento contenutistico offrono tutti gli osa <strong>di</strong> religione cattolica che,<br />
nelle mani del docente <strong>di</strong>ventano strumento efficace per rispondere al bisogno formativo<br />
dell’allievo, piccolo o grande che sia.<br />
7 Cfr Raccomandazioni per la comprensione e l’attuazione dei Documenti nazionali<br />
della Riforma, Roma 2003.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Angela Gionti<br />
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tario, lavorando con gli alunni sulle conoscenze implicate. Non esiste<br />
<strong>di</strong>scontinuità tra la prima fase e la seconda perché quest’ultima orienta<br />
l’azione <strong>di</strong>dattica e recepisce i ritorni della stessa azione, secondo una<br />
logica <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza. La fase post-attiva o dell’accertamento e della<br />
documentazione degli esiti, è quella in cui il docente esercita la sua<br />
autonomia <strong>di</strong> ricerca e sviluppo finalizzata alla formazione e all’aggiornamento.<br />
Come lavoriamo con gli obiettivi specifici <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento nella scuola<br />
Primaria?<br />
1) in<strong>di</strong>viduiamo il gruppo <strong>di</strong> alunni cui in<strong>di</strong>rizzare il percorso <strong>di</strong> conoscenze;<br />
2) leggiamo il/i loro bisogno/bisogni formativo/i;<br />
3) Tracciamo il percorso <strong>di</strong> conoscenze ed abilità atto a trasformare<br />
le capacità possedute in competenze attese, partendo dal bisogno<br />
formativo rilevato;<br />
4) Scegliamo l’OSA o gli OO.SS.AA. rispondenti al bisogno formativo<br />
emerso.<br />
Suggerimento (simulazione).<br />
Primo biennio <strong>di</strong> scuola primaria (classi: II e III)<br />
BISOGNI<br />
- Conoscere l’origine del mondo<br />
e degli esseri viventi sulla Terra.<br />
- Conoscere il significato della<br />
preghiera.<br />
- Conoscere momenti e mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
pregare.<br />
- Pregare per l’amico che ha bisogno...<br />
Angela Gionti<br />
OBIETTIVI SPECIFICI<br />
DI APPRENDIMENTO R.C.<br />
Conoscenze:<br />
- L’origine del mondo e dell’uomo<br />
nel cristianesimo e nelle altre<br />
religioni.<br />
- La preghiera, espressione <strong>di</strong><br />
religiosità. Abilità:<br />
- Comprendere, attraverso i racconti<br />
biblici delle origini, che il<br />
mondo è opera <strong>di</strong> Dio, affidato alla<br />
responsabilità dell’uomo.<br />
- Identificare, tra le espressioni<br />
delle religioni la preghiera e, nel<br />
Padre Nostro, la specificità della<br />
preghiera cristiana.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Da qui la progettazione (semplice o composta), per tematiche, per<br />
sfondo integratore, per mappe concettuali.<br />
L’insieme delle unità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento costituisce il piano <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />
personalizzato dell’alunno <strong>di</strong> scuola Primaria e il piano personalizzato<br />
delle attività per il bambino <strong>di</strong> scuola dell’Infanzia.<br />
Come si progetta una bozza annuale <strong>di</strong> piano <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o personalizzato?<br />
Suggerimento (simulazione).<br />
Gruppo/classe V primaria.<br />
1) Rilevazione dei bisogni formativi con i seguenti strumenti: prove<br />
d’ingresso; osservazioni spontanee, sistematiche, partecipate; colloqui<br />
clinici…<br />
Bisogni cognitivi.<br />
- Conoscere il Cristianesimo attraverso i documenti.<br />
- Conoscere il Cristianesimo attraverso i segni.<br />
- Conoscere altre fe<strong>di</strong> religiose.<br />
- Cogliere <strong>di</strong>fferenze e somiglianze tra le religioni.<br />
- Conoscere la vita <strong>di</strong> Gesù.<br />
- Conoscere la narrazione <strong>di</strong> Gesù.<br />
- Conoscere avvenimenti e persone <strong>di</strong> Chiesa.<br />
- Conoscere il significato autentico della preghiera.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Angela Gionti<br />
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Bisogni metacognitivi.<br />
- Volersi bene così come faceva Gesù con tutti.<br />
- Avere comportamenti <strong>di</strong> accoglienza verso gli altri.<br />
- Apprezzare ed accettare la <strong>di</strong>versità come ricchezza.<br />
- Pregare con gioia.<br />
- Pregare con il canto.<br />
- Essere parsimoniosi verso le cose materiali.<br />
- Esercitare la gratuità.<br />
- Esercitare il perdono.<br />
- Esercitare il sorriso nella comunicazione con l’altro.<br />
- Saper ascoltare gli altri.<br />
- Fare qualche rinuncia personale a beneficio degli altri.<br />
- Fare dono agli altri <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> proprio.<br />
- Prendersi cura dei più piccoli della scuola.<br />
- Prendersi cura del fratellino più piccolo.<br />
- Dare or<strong>di</strong>ne alle proprie cose.<br />
- Frequentare il Catechismo in parrocchia.<br />
- Chiedere ai genitori <strong>di</strong> andare a Messa la domenica.<br />
- Invitare genitori ed altri parenti a fare del bene.<br />
- Visitare un parente ammalato…<br />
2) Dai bisogni formativi, le unità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento.<br />
Saranno circa tre:<br />
N° 1, Titolo: “Il Testo, i Testi”.<br />
(potrebbe essere a sfondo integratore e coinvolgere tutte le <strong>di</strong>scipline).<br />
N° 2 , Titolo: “La narrazione <strong>di</strong> Gesù”.<br />
(potrebbe essere <strong>di</strong> tipo semplice).<br />
N° 3, Titolo: “Segni, simboli e immagini, personaggi e contesti”.<br />
(potrebbe essere composta per temi).<br />
Angela Gionti<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
ESEMPIO DI UNITÀ DI APPRENDIMENTO N° 1<br />
Scuola dell’infanzia<br />
Titolo: «Il dono della vita».<br />
Tipologia: semplice<br />
Destinatari: Bambini <strong>di</strong> 4/5 anni.<br />
Insegnante: Maria Rossi.<br />
Scuola: “Arcobaleno”…<br />
OBIETTIVO SPECIFICO<br />
DI APPRENDIMENTO<br />
«Osservare il mondo che viene riconosciuto<br />
dai cristiani e da tanti uomini<br />
religiosi dono <strong>di</strong> Dio Creatore».<br />
APPRENDIMENTO UNITARIO<br />
Il bambino riconosce la vita nella<br />
complessità del creato ed apprezza e<br />
rispetta ogni creatura <strong>di</strong> Dio.<br />
ATTIVITÀ DIDATTICA<br />
- Negli ambienti scolastici, giocare<br />
alla scoperta delle somiglianze e<br />
delle <strong>di</strong>fferenze tra pari e adulti.<br />
- Fuori, in giar<strong>di</strong>no, giocare alla scoperta<br />
degli esseri viventi e della<br />
loro grande utilità per l’uomo e la<br />
natura stessa.<br />
- Canti e filastrocche…<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
PECUP (profilo educativo, culturale,<br />
professionale)<br />
«…comprendere se stessi, vedersi in<br />
relazione con gli altri…conoscere la<br />
realtà e coglierne le <strong>di</strong>fferenze… rispettare<br />
l’ambiente e conservarlo...»<br />
OBIETTIVO FORMATIVO<br />
Riconoscere la vita in ogni aspetto<br />
del mondo naturale, rispettando tutte<br />
le creature <strong>di</strong> Dio (piante, animali...),<br />
soprattutto i bambini, i ragazzi, i<br />
giovani, i gran<strong>di</strong> e i nonni <strong>di</strong> tutto il<br />
mondo.<br />
OSSERVAZIONE<br />
L’osservazione spontanea, sistematica<br />
e partecipata darà modo <strong>di</strong> valutare<br />
l’appren<strong>di</strong>mento unitario e <strong>di</strong> realizzare<br />
lavori <strong>di</strong> laboratorio scientifico,<br />
in base alle conoscenze ed abilità<br />
dei bambini.<br />
Angela Gionti<br />
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ESEMPIO DI UNITA’ DI APPRENDIMENTO N° 2<br />
Scuola dell’infanzia<br />
Titolo: «Io e la scuola».<br />
Tipologia: composta.<br />
Destinatari: Bambini <strong>di</strong> 3/4/5 anni.<br />
Insegnanti: Maria Rossi, Mario Rossi…<br />
Scuola: “Arcobaleno”….<br />
OBIETTIVO SPECIFICO<br />
DI APPRENDIMENTO<br />
- Rafforzare l’autonomia, la stima <strong>di</strong><br />
sé, l’identità (Il sé e l’altro).<br />
- Parlare, descrivere, raccontare, <strong>di</strong>alogare<br />
con i gran<strong>di</strong> e con i coetanei<br />
(fruizione e produzione <strong>di</strong> messaggi).<br />
- Controllare l’affettività e le emozioni<br />
in maniera adeguata all’età (corpo,<br />
movimento, salute).<br />
- Localizzare e collocare se stesso in<br />
situazioni spaziali (esplorare, conoscere,<br />
progettare).<br />
- Osservare il mondo che viene riconosciuto<br />
dai cristiani e da tanti uomini<br />
religiosi, dono <strong>di</strong> Dio creatore<br />
(OSA IRC).<br />
APPRENDIMENTO UNITARIO<br />
I bambini si orientano negli spazi<br />
della scuola e riferiscono con termini<br />
appropriati i bisogni <strong>di</strong> prima<br />
necessità.<br />
Angela Gionti<br />
PECUP (profilo educativo,<br />
culturale, professionale)<br />
«…superare lo smarrimento <strong>di</strong> fronte<br />
a ciò che cambia...».<br />
POF, (piano dell’offerta formativa)<br />
OGPF(obiettivo generale del<br />
processo formativo)<br />
«…accogliere il cambiamento <strong>di</strong> contesti<br />
e situazioni con l’entusiasmo<br />
della novità».<br />
OBIETTIVI FORMATIVI<br />
- Sapersi orientare negli spazi scolastici.<br />
- Saper comunicare, nel nuovo ambiente<br />
<strong>di</strong> scuola i bisogni primari<br />
ad adulti e coetanei.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
ATTIVITÀ DIDATTICA<br />
Giochi liberi e strutturali.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
OSSERVAZIONE<br />
L’osservazione spontanea, sistematica<br />
e partecipata darà modo <strong>di</strong> valutare<br />
l’appren<strong>di</strong>mento unitario e <strong>di</strong><br />
realizzare lavori <strong>di</strong> laboratorio per la<br />
documentazione..<br />
Gli obiettivi specifici <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento per l’insegnamento della religione<br />
cattolica, così come appaiono nelle “Raccomandazioni” emanate<br />
dal Servizio nazionale Irc della Cei, sono parte integrante delle In<strong>di</strong>cazioni<br />
nazionali per i piani <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o personalizzati, pertanto ad essi bisogna<br />
far riferimento per la stesura degli stessi. È un insegnamento dotato <strong>di</strong><br />
una propria specificità, emergente dagli Accor<strong>di</strong> Concordatari del 1984;<br />
esso presenta contenuti conformi alla dottrina della Chiesa cattolica; trova<br />
nel progetto educativo e <strong>di</strong>dattico della scuola la sua naturale collocazione,<br />
lascia ai destinatari <strong>di</strong> scegliere se avvalersene; è dotato <strong>di</strong> propri<br />
programmi, insegnanti e libri <strong>di</strong> testo. L’Irc, proprio perché si colloca<br />
nelle finalità della scuola deve guardare allo sviluppo psicologico, culturale<br />
e spirituale <strong>di</strong> ogni alunno e perciò è insegnamento che si confronta<br />
con l’esperienza personale dell’allievo, valorizzandone le preconoscenze;<br />
è inter<strong>di</strong>sciplinare perché si raccorda con tutti gli ambiti presenti nei piani<br />
<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o; si svolge all’insegna della relazionalità per il rapporto <strong>di</strong> costante<br />
<strong>di</strong>alogo tra docente e <strong>di</strong>scente; orienta altresì alla convivenza civile,<br />
raccordandosi alle <strong>di</strong>verse educazioni. Alla luce <strong>di</strong> quanto detto sono<br />
stati formulati gli obiettivi specifici <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento dell’Irc che rappresentano<br />
lo sforzo <strong>di</strong> mantenere una doppia fedeltà, alle finalità educative<br />
della scuola e al contesto confessionale 8 .<br />
8 Il testo integrale delle Raccomandazioni è reperibile nel sito della CEI:<br />
www.chiesacattolica.it/cei, sezione servizio nazionale per l’IRC.<br />
Angela Gionti<br />
97
98 Luigi Castiello<br />
CULTURA INDIVIDUALISTA E LIBERO AMORE.<br />
Considerazioni teologico-morali<br />
LUIGI CASTIELLO<br />
Per la maggioranza dei cristiani, non è forse nel matrimonio e dal<br />
matrimonio che si gioca la vocazione alla santità comune a tutti i battezzati?<br />
Non stupiamoci, pertanto, <strong>di</strong> tutte le contestazioni che si alzano<br />
contro esigenze che, in defiinitiva, non fanno che porre in evidenza come<br />
lo spirito della chiesa non sia lo spirito del mondo. Tuttavia, non basta<br />
prendere coscienza nella specificità dell’esistenza cristiana. Nella misura<br />
in cui la chiamata <strong>di</strong> Cristo si rivolge a tutti, è necessario domandarsi<br />
quali siano gli ostacoli che impe<strong>di</strong>scono a questa chiamata d’essere intesa.<br />
Questi ostacoli appartengono a <strong>di</strong>versi or<strong>di</strong>ni, ma quelli che riguardano<br />
la visione generale dell’uomo sono, senza dubbio, i più decisivi.<br />
1. La cultura ra<strong>di</strong>cal-liberale<br />
In questa prospettiva, esercita un’influenza determinante quella che<br />
viene chiamata l’ideologia liberale, nel senso filosofico dell’espressione,<br />
con l’idea <strong>di</strong> libertà che essa veicola. Essendo largamente <strong>di</strong>ffusa essa<br />
ha <strong>di</strong>verse ramificazioni, tra cui, spicca il pensiero <strong>di</strong> Sartre per il quale<br />
«l’esistenzialismo è un umanesimo». La critica <strong>di</strong> Sartre al concetto <strong>di</strong><br />
natura, che ha come punti <strong>di</strong> riferimento Descartes e Leibnitz, per quanto<br />
sia caricaturale, è certamente significativa. Infatti, egli assimila l’idea<br />
<strong>di</strong> natura al concetto <strong>di</strong> un obiettivo tecnico, nato dalla mente <strong>di</strong> un ingegnere.<br />
«Allorché non concepiamo un Dio creatore, questo Dio è per lo più paragonato<br />
a un artigiano supremo [...]. Dio fabbrica l’uomo servendosi <strong>di</strong> una tecnica<br />
determinata concezione, così come l’artigiano che fabbrica il tagliacarte secondo<br />
determinate caratteristiche tecniche. In tal modo l’uomo in<strong>di</strong>viduale realizza<br />
un certo concetto che è nell’intelletto <strong>di</strong> Dio» 1 .<br />
Quando nel XVIII secolo i filosofi soppressero l’idea <strong>di</strong> Dio, conservarono<br />
però l’idea che «l’essenza precede l’esistenza». «L’uomo pos-<br />
1 J.P. SARTRE, L’existentialisme est un humanisme, Paris 1946, 39 (L’esistenzialismo<br />
è un umanesimo, a cura <strong>di</strong> Paolo Corso, Milano 1970, 32).<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Luigi<br />
Castiello<br />
Ë<br />
docente <strong>di</strong><br />
<strong>Teologia</strong><br />
Morale
siede una natura umana: questa natura, cioè il concetto <strong>di</strong> uomo, si trova<br />
presso tutti gli uomini, il che significa che ogni uomo è un esempio particolare<br />
<strong>di</strong> un concetto universale, l’uomo [...]» 2 . Detto altrimenti, la natura,<br />
per Sartre, non designa ciò che, costituendo ciascun uomo, nella sua<br />
umanità, è il principio reale e <strong>di</strong>namico del suo libero agire, ma un’idea<br />
predeterminata del suo destino, il quale dovrebbe riprodurre un concetto,<br />
nel quale l’intera avventura della sua libertà verrebbe ad essere, per così<br />
<strong>di</strong>re, programmata in precedenza. Si comprende allora come Sartre, per<br />
affermare la realtà della libertà, sostenga che «l’esistenza precede l’essenza».<br />
Questa valorizzazione dell’esistenza, nel senso <strong>di</strong> esistenza della<br />
libertà, Sartre la ricollega all’ateismo. Infatti l’uomo «all’inizio non è<br />
nulla. Sarà in seguito, e sarà quale si sarà fatto. Così non c’è una natura<br />
umana, poiché non c’è un Dio che la concepisca. L’uomo è soltanto, non<br />
solo quale si concepisce, ma quale si vuole, e precisamente quale si concepisce<br />
dopo l’esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso l’esistenza.<br />
L’uomo non è altro che ciò che si fa» 3 .<br />
L’ateismo, posto come fondamento della libertà umana, va bene al <strong>di</strong><br />
là della critica <strong>di</strong> una certa idea della natura effettivamente criticabile.<br />
Noi abbiamo a che fare con una riven<strong>di</strong>cazione della libertà totale e assoluta,<br />
per cui la scelta libera e la deliberazione che la precede non hanno<br />
come obiettivo la risposta a una chiamata <strong>di</strong> Dio, fine ultimo della creatura,<br />
che invita la persona a raggiungerlo e a decidere del suo cammino<br />
verso <strong>di</strong> lui. Dal momento che la sua con<strong>di</strong>zione creaturale e l’esistenza<br />
<strong>di</strong> un Sommo Bene, verso il quale la libera volontà si orienterebbe da sé,<br />
sono percepite come negazioni delle sue prerogative, la libertà, in questa<br />
visione atea, è intesa come assoluta autodeterminazione, che può partire<br />
solo dal nulla. Il ricorso al nulla funge da negazione <strong>di</strong> queste negazioni <strong>di</strong><br />
una libertà che riven<strong>di</strong>ca per sé un’autonomia propriamente <strong>di</strong>vina. Tuttavia,<br />
la libertà sartriana non porta a una esaltazione romantica <strong>di</strong> Prometeo.<br />
È significativo il fatto che Sartre, dopo aver liquidato la natura,<br />
introduce l’idea <strong>di</strong> “con<strong>di</strong>zione umana”. «È impossibile trovare in ciascun<br />
uomo un’essenza universale che sarebbe la natura umana, esiste però<br />
una universalità umana <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zione». Con<strong>di</strong>zione intesa come «tutti i<br />
limiti a priori che definiscono la situazione fondamentale dell’uomo nell’universo».<br />
Ci sono, anzitutto, situazioni storiche che variano. Ma ciò<br />
che qui non varia per lui è la necessità d’essere nel mondo, d’esservi per<br />
2 Ibid., 19-20 [33-34].<br />
3 Ibid., 22 [35].<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Luigi Castiello<br />
99
100<br />
lavorare, d’esservi in mezzo ad altri, d’esservi mortale. Tali limiti «si incontrano<br />
dappertutto e sono dappertutto riconoscibili»: è questo il loro<br />
“lato oggettivo”. Ma dal momento che sono “vissuti”, essi sono pure<br />
soggettivi. Infatti, essi «non sono nulla se l’uomo non li vive, cioè se non<br />
si determina liberamente nella propria esistenza in relazione ad essi. E,<br />
benché i progetti possano essere <strong>di</strong>versi, almeno, nessuno, potrà riuscirmi<br />
del tutto estraneo, perché essi si presentano tutti come un tentativo <strong>di</strong><br />
superare quei limiti, o per rimuoverli, o per negarli, o per adattarvisi. Di<br />
conseguenza, ogni progetto, per quanto in<strong>di</strong>viduale che sia, ha un valore<br />
universale» 4 .<br />
Sartre fa, dunque, rientrare dalla finestra ciò che ha cacciato dalla<br />
porta? Per nulla. Ma la “con<strong>di</strong>zione umana” designa ciò che precisamente<br />
“con<strong>di</strong>ziona”, vale a <strong>di</strong>re limita una libertà che <strong>di</strong> per se stessa si<br />
vorrebbe assoluta. Tra la riven<strong>di</strong>cazione fondamentale della libertà e la<br />
con<strong>di</strong>zione umana c’è conflitto e tensione.<br />
2. Il contrattualismo<br />
Sartre ha espresso con chiarezza la concezione della libertà caratteristica<br />
del liberalismo filosofico. Questa definizione <strong>di</strong> Michael Bakunin<br />
ne riassume la sostanza: «La libertà è il <strong>di</strong>ritto assoluto <strong>di</strong> ogni uomo o<br />
donna maggiorenni, <strong>di</strong> aver come unico arbitro dei propri atti la propria<br />
coscienza e la propria ragione. È altresì il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> determinare tali atti<br />
unicamente in forza della propria volontà e, <strong>di</strong> conseguenza, <strong>di</strong> essere<br />
responsabili solamente nei confronti <strong>di</strong> se stessi prima, e poi, nei confronti<br />
con la società <strong>di</strong> cui essi fanno parte, ma solo nella misura in cui si<br />
acconsente liberamente a farvi parte» 5 .<br />
Una simile concezione della libertà era destinata ad avere profonde<br />
ripercussioni nella filosofia politica. Essa presiede già alle teorie del contratto,<br />
<strong>di</strong> cui il contratto sociale <strong>di</strong> Jean-Jacques Rousseau fornisce l’esempio<br />
più significativo. Infatti, quale può essere il significato della vita sociale<br />
per una libertà che trova il suo compimento in una sorta <strong>di</strong><br />
autocompiacimento se non essenzialmente una con<strong>di</strong>zione limitatrice,<br />
nell’accezione in cui la sente Sartre? Rousseau è chiaro: il patto sociale<br />
4 Ibid., 67-69 [70-72].<br />
5 Il testo si trova nel Cathèchisme révolutionnaire del 1865, citato da D. GUÉRIN, Ni<br />
Dieu ni Maítre, Antologie de l’Anarchisme, Paris 1976, I, 183-184. Lo stesso Nietzsche<br />
conosce la formula anarchica «Né Dio, né Padrone?». Questa si trova nel Così parlò<br />
Zaratrusta (Le tre metamorfosi).<br />
Luigi Castiello<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
è una forma d’associazione secondo la quale ciascuno, unendosi a tutti,<br />
non obbe<strong>di</strong>sce tuttavia che a se stesso e resta così libero come prima.<br />
Questo principio è presente già nell’opera <strong>di</strong> Rousseau, ma non se ne<br />
traggono ancora tutte le conseguenze, in quanto la legge naturale continua<br />
a far sentire la sua voce nella coscienza dell’in<strong>di</strong>viduo. Ma era nella<br />
logica <strong>di</strong> questa problematica che si giungesse ad eliminare l’idea <strong>di</strong> natura,<br />
per attribuire alle “sole libertà” il compito <strong>di</strong> fondare integralmente il<br />
contratto.<br />
Un contratto che <strong>di</strong>pende totalmente e unicamente dalle libertà contraenti:<br />
l’idea, applicata anzitutto alla società politica, doveva inevitabilmente<br />
essere applicata ad altri tipi <strong>di</strong> società, e in particolare alla “società<br />
coniugale”. Nel testo citato, Bakunin scriverà: «Abolizione non della famiglia<br />
naturale, ma della famiglia legale, fondata sul <strong>di</strong>ritto civile e sulla<br />
proprietà. Il matrimonio religioso e civile è sostituito dal matrimonio libero.<br />
Due in<strong>di</strong>vidui maggiorenni e <strong>di</strong> sesso <strong>di</strong>fferente hanno il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> unirsi<br />
e <strong>di</strong> separarsi secondo la loro volontà, i loro reciproci interessi e i<br />
bisogni del loro cuore, senza che la società abbia il <strong>di</strong>ritto o d’impe<strong>di</strong>re la<br />
loro unione o <strong>di</strong> tenerli loro malgrado uniti» 6 .<br />
Dal momento che si è abolito il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> successione, e la società<br />
assicura l’educazione dei figli, le ragioni per cui si sosteneva «la consacrazione<br />
politica e civile della irrevocabilità del matrimonio» vengono a<br />
cadere. Di conseguenza, «l’unione tra i due sessi deve essere restituita<br />
alla sua piena libertà, che qui, come ovunque e sempre, è la con<strong>di</strong>tio<br />
sine qua non dell’autentica moralità. Nel libero matrimonio, l’uomo e la<br />
donna dovrebbero godere in egual misura <strong>di</strong> un’assoluta libertà» 7 .<br />
Queste affermazioni, che sembravano sovversive quando furono scritte,<br />
esprimono molto bene ciò che molti pensano oggi. L’ideologia in<strong>di</strong>vidualista,<br />
largamente <strong>di</strong>ffusa, tocca anche alcuni cristiani. In quanto ideologia<br />
fondata spesso sul potere economico del più forte e autosufficiente,<br />
promossa e sostenuta me<strong>di</strong>aticamente da una vera e propria cospirazione<br />
a raggio planetario, <strong>di</strong> matrice materialista e utilitarista, essa non è<br />
me<strong>di</strong>ata da un’adeguata riflessione filosofica e sapienziale e, mitizzando<br />
gli appetiti più <strong>di</strong>fficilmente controllabili in una sempre più <strong>di</strong>ffusa pseudocultura<br />
consumistica, <strong>di</strong>stoglie la coscienza dalla ricerca dei significati e<br />
dei valori più autentici, indebolendone le capacità critiche e <strong>di</strong> sviluppo.<br />
Questa concezione porta a legittimare le relazioni extraconiugali,<br />
6 Ibid., 203.<br />
7 Ibid., 204.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Luigi Castiello<br />
101
102<br />
prematrimoniali, in nome d’una cultura ben organizzata che <strong>di</strong>stoglie dagli<br />
interrogativi e impe<strong>di</strong>sce la ricerca <strong>di</strong> quei valori perenni e universali<br />
insiti nella natura e preposti a una integrale e <strong>di</strong>gnitosa realizzazione umana<br />
e sociale. Ne consegue che, quando i cristiani vogliono con una certa<br />
dsinvoltura eliminare il termine e il concetto <strong>di</strong> natura, non si accorgono<br />
<strong>di</strong> lasciarsi irretire, a loro insaputa, da una visione e soluzione che, vista<br />
nella sua logica più intima e rigorosa, porta necessariamente a un ateismo<br />
pratico, deresponsabilizzante, aperto a nuove forme palesi o subdole<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne morale e civile, dalle più svariate conseguenze 8 . Ma lo specifico<br />
<strong>di</strong> un’ideologia è quello d’occultare i propri fondamenti e <strong>di</strong> costringere<br />
a vivere e a pensare in modo superficiale (pensiero debole, coscienza<br />
immobile o assopita). Il liberalismo filosofico è una delle ideologie<br />
dominanti del nostro tempo. Esso determina una maniera per così <strong>di</strong>re<br />
spontanea <strong>di</strong> accostarsi alle gran<strong>di</strong> questioni dell’esistenza e, dunque, alla<br />
stessa sfera più intima e totalizzante dell’uomo qual è quella affettivosessuale.<br />
3. Le relazioni prematrimoniali<br />
La teoria liberale del contratto porta a legittimare qualsiasi unione tra<br />
un uomo e una donna, come anche un’unione <strong>di</strong> tipo omosessuale, per la<br />
ragione che sono libertà contraenti, e non Dio autore della natura, a determinare<br />
l’essenza e il contenuto dell’unione. Qui non si tratta d’esaminare<br />
nella sua ampiezza il <strong>di</strong>ffondersi delle libere unioni o il fatto che,<br />
essendo più frequenti, tendono a <strong>di</strong>ventare un dato acquisito che attira<br />
l’attenzione, quanto piuttosto la giustificazione che se ne danno.<br />
Il punto <strong>di</strong> partenza può essere proprio l’irriducibilità esistente tra due<br />
dati <strong>di</strong> fatto: la coscienza ecclesiale ha giu<strong>di</strong>cato illeciti i rapporti<br />
prematrimoniali 9 ; l’o<strong>di</strong>erna prassi contrad<strong>di</strong>ce evidentemente questo insegnamento<br />
10 . Un tale conflitto <strong>di</strong> posizioni dà certo origine a perplessità<br />
e domande che non possono lasciare tranquilla la riflessione teologica. In<br />
8 Circa il rapporto tra nichilismo e <strong>di</strong>simpegno etico, il magistero <strong>di</strong> Giovanni Paolo<br />
II è abbastanza esplicito.<br />
9 Cf. F. BOCKLE - J. KÖHNE, Rapporti prematrimoniali, Brescia 1970; D. TETTAMANZI,<br />
Rapporti prematrimoniali e morale cristiana, Milano 1973.<br />
10 Non <strong>di</strong>sponiamo <strong>di</strong> dati recentissimi <strong>di</strong> percentuali relative alla pratica dei rapporti<br />
prematrimoniali, ma si possono vedere M. VIDAL, Morale dell’amore e sessualità, Assisi<br />
1976, 339-343; J. GAGNON, Trasformazioni del comportamento sessuale, in Concilium 3<br />
(1984) 34-36; G. ACQUAVIVA, Costume sessuale e cambiamento sociale in una società in<br />
transizione, Il caso italiano, 49-60.<br />
Luigi Castiello<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
questa situazione continua <strong>di</strong>venta anche necessario ridefinire i motivi<br />
che sostengono le verità enunciate dalla Chiesa cattolica. Inoltre, si pone<br />
anche il problema <strong>di</strong> sapere come la fede, nel contesto particolare del<br />
<strong>di</strong>scernimento relativo alla morale sessuale, si ponga come aiuto della<br />
ragione morale. Stando ad alcuni interventi del magistero, sembrerebbe<br />
ad<strong>di</strong>rittura «necessario riaffermare che ogni aspetto dell’educazione sessuale<br />
si ispira alla fede e attinge da essa e dalla grazia la forza in<strong>di</strong>spensabile»<br />
11 .<br />
3.1. Le cause del fenomeno e le presunte ragioni per la liceità<br />
Non è nostra intenzione investigare sulle cause del fenomeno nei suoi<br />
aspetti socio-ambientali (l’inurbamento, la promiscuità, la trasformazione<br />
della con<strong>di</strong>zione femminile, la precocità sessuale delle nuove generazioni,<br />
l’influsso dei mass-me<strong>di</strong>a ecc.); non basterebbe un libro. Accenniamo,<br />
invece, a una serie delle cause più a fondo – psicologiche, morali e<br />
religiose – che sono le più <strong>di</strong>rettamente responsabili del <strong>di</strong>ffondersi delle<br />
relazioni prematrimoniali. Esse sono: confusioni nell’insegnamento morale;<br />
l’ansia dei giovani lasciati in balia <strong>di</strong> se stessi; la spinta erotica; il<br />
piacere senza pentimento e senza rischio; lo sca<strong>di</strong>mento del valore della<br />
verginità; l’affievolimento del senso del peccato; la crisi del concetto<br />
tra<strong>di</strong>zionale del fidanzamento.<br />
Ma quali sono i motivi a cui, invece, si fa ricorso per giustificare tali<br />
comportamenti? Il confronto con le motivazioni a cui fa appello la proibizione<br />
dei rapporti prematrimoniali, per coglierne meglio la vali<strong>di</strong>tà e i limiti<br />
eventuali, renderà ancora più evidenti le istanze che sono autenticamente<br />
esigite dalla con<strong>di</strong>zione propria dell’amore nella <strong>di</strong>mensione del fidanzamento<br />
12 . Spesso si è convinti che i rapporti pre-matrimoniali non solo sono<br />
leciti, innocui, ma ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>ventano necessari perché ci sia una vera<br />
conoscenza reciproca tra i partners. Questo, si <strong>di</strong>ce, permetterebbe d’evitare<br />
sorprese dopo il matrimonio, dal momento che l’armonia sessuale è<br />
senz’altro una qualità in<strong>di</strong>spensabile per il buon andamento della vita coniugale.<br />
Senza questa esperienza non si può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> conoscere veramente il<br />
11 CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull’amore<br />
umano (1-11-1983): EV 5, 1717-1745.<br />
12 Per una breve sintesi <strong>di</strong> alcune impostazioni, Cfr C. CAFFARRA, Rapporti prematrimoniali:<br />
riflessioni teologico-morali, in Rapporti prematrimoniali e coscienza cristiana,<br />
Roma 1975, 361-375; R. RUFFINI, Il matrimonio cristiano tra fede e legge: linee per una<br />
teologia, in E. CAPPELLINI (ed.), Il matrimonio canonico in Italia, Brescia 1984, 7-42.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Luigi Castiello<br />
103
104<br />
proprio compagno o la propria compagna con cui si dovrà con<strong>di</strong>videre tutta<br />
la vita. L’istanza da recepire in questa motivazione è giusta: non <strong>di</strong>venta<br />
mai abbastanza la reciproca conoscenza dei fidanzati e ogni tentativo in tal<br />
senso è certamente apprezzabile e allarga la base <strong>di</strong> garanzie per una vita<br />
coniugale senza sorprese. Non<strong>di</strong>meno, occorre ricordare alcune caratteristiche<br />
proprie dell’atto sessuale, le quali pongono una serie ipoteca alla<br />
legittimità d’una conoscenza maggiore dei fidanzati.<br />
«Il rapporto sessuale, a causa della sua intensità e del coinvolgimento<br />
affettivo, cattura l’attenzione dei fidanzati, rischiando d’impe<strong>di</strong>re, alla fine,<br />
proprio quella conoscenza reciproca che si invocava come motivazione<br />
<strong>di</strong> fondo del rapporto sessuale. La fretta <strong>di</strong> conoscersi subito e fino in<br />
fondo è il modo peggiore <strong>di</strong> raggiungere lo scopo» 13 . Un amore stabile,<br />
contrad<strong>di</strong>stinto dalla pura generosità e da un proposito paziente <strong>di</strong><br />
maturazione non può essere irretito nelle maglie dell’egemonia della logica<br />
consumistica finalizzata al piacere imme<strong>di</strong>ato e a “tutti i costi”. Una<br />
seconda osservazione porta a esaminare la verità del presupposto stesso<br />
che s’invoca per legittimare l’esperienza sessuale prima del matrimonio.<br />
Infatti, secondo alcuni, tale esperienza garantirebbe una maggiore stabilità<br />
del matrimonio, evitando quelle crisi che potrebbero <strong>di</strong>pendere da un<br />
insod<strong>di</strong>sfacente rapporto sessuale. «In fondo è come se si riven<strong>di</strong>casse<br />
un rodaggio del matrimonio stesso, in particolare del rapporto sessuale,<br />
affinché si allarghi la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> partenza che dovrebbe favorire il<br />
successo dell’unione coniugale. Già il fatto che molte coppie si separano<br />
in momenti <strong>di</strong>versi della loro vita comune anche dopo anni <strong>di</strong> armonia<br />
sessuale, è suffciente per <strong>di</strong>mostrare la relatività del presupposto che<br />
dunque non è vero in modo assoluto. In realtà, l’armonia sessuale non si<br />
trova all’inizio del matrimonio, ma si costruisce e si affina sempre più con<br />
la reciproca conoscenza. In tal senso essa – che non è puro appren<strong>di</strong>mento<br />
<strong>di</strong> tecnica – non può darsi a un certo punto o a un certo periodo<br />
determinato, ma vive con la comunione <strong>di</strong> vita della coppia» 14 . L’ingenuo,<br />
se non presuntuoso e fallace ottimismo, teorizzato dai padri<br />
dell’utilitarismo (A. Smith, J.S. Mill), riecheggia anche nella vita <strong>di</strong> coppia,<br />
dove il sod<strong>di</strong>sfacimento reciproco dei bisogni sessuali, esclusivizzati<br />
e assolutizzati in una logica del made yourself, in<strong>di</strong>vidualista, dovrebbe<br />
garantire la consacrazione e il progresso automatico del benessere e<br />
dell’armonia <strong>di</strong> coppia.<br />
13 C. ZUCCARO, Morale sessuale, Bologna 1997, 177.<br />
14 Ibid..<br />
Luigi Castiello<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Ma la realtà, sesso contrad<strong>di</strong>ce il presupposto invocato secondo cui<br />
è necessario conoscere prima del matrimonio come “la cosa” andrà<br />
dopo. Infatti, l’esperienza sessuale prematrimoniale <strong>di</strong> per sé non è,<br />
anzi, non dovrebbe essere, quella che sarà ripetuta dopo il matrimonio.<br />
Anche sotto il profilo psicologico, qualcuno fa notare come si dovrebbe<br />
evitare un’attività sessuale <strong>di</strong> routine 15 . Essendo la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vita<br />
profondamente <strong>di</strong>versa da quella coniugale, la natura del rapporto<br />
prematrimoniale, <strong>di</strong> per sé, è ancora precaria, fluttuante, più immaginativa<br />
che realista, parziale, occasionale, protettiva, rispetto alla seconda<br />
che è già definita, stabile, impegnativa, responsabilizzante, completa,<br />
matura 16 .<br />
In linea con l’in<strong>di</strong>vidualismo e il soggettivismo vi è un’altra concezione,<br />
anch’essa molto <strong>di</strong>ffusa, in base alla quale i rapporti<br />
prematrimoniali sarebbero leciti nella loro <strong>di</strong>mensione esclusivamente<br />
privata, a rescindere da ogni rilevanza sociale. La questione si pone in<br />
questi termini: «Che cosa aggiunge il matrimonio alla nostra ferma e<br />
decisa volontà <strong>di</strong> sposarci?»; «Forse che un contratto o una cerimonia<br />
sono più importanti dell’impegno che noi ci siamo assunti?»; «Perché il<br />
nostro amore deve <strong>di</strong>pendere ed essere con<strong>di</strong>zionato da un contratto<br />
giuri<strong>di</strong>co?». Anche in questo caso ci troviamo <strong>di</strong> fronte a istanze positive<br />
che devono essere considerate. Questa <strong>di</strong>mensione interpersonale,<br />
e la decisione d’impegnarsi in un atto così importante, riguarda i protagonisti<br />
in prima persona, cioè i fidanzati che liberamente lo decidono.<br />
Non<strong>di</strong>meno, a livello d’opinione, si è <strong>di</strong> fatto equivocato, e alla fine si è<br />
confusa la “<strong>di</strong>mensione interpersonale” con quella “in<strong>di</strong>viduale”, sfociando<br />
in una visione privata del matrimonio e degli atti che sono propri,<br />
compreso quello sessuale.<br />
Se la società s’interessa da sempre al matrimonio – si pensi alle<br />
<strong>di</strong>verse legislazioni in proposito – e non ai legami <strong>di</strong> semplice amicizia,<br />
questo non è senza motivo. Certo, come nell’amicizia, i partners si<br />
scelgono, dopo <strong>di</strong> che si è soggetti a responsabilità <strong>di</strong> coscienza per<br />
15 Sulla reale necessità <strong>di</strong> “inventare” sempre fa capo il rapporto sessuale con la forza<br />
dell’amore e il dovere <strong>di</strong> farsi altro da sé per il bene dell’altro e non solo per un bisogno<br />
personale, Cfr G. DACQUINO, Vivere il piacere, Torino 1988, 182-186.<br />
16 «Il rapporto sessuale per “provare” un’altra persona è, nel senso più profondo e<br />
nella sua esperienza psicologica, qualcosa <strong>di</strong> altamente <strong>di</strong>verso dall’atto coniugale quale<br />
espressione <strong>di</strong> totale appartenenza reciproca. Sperimentare questa auto-donazione usando<br />
l’altro “per prova”, non ha più senso che voler sperimentare la morte con un lungo<br />
sonno»: (B. HÄRING, Liberi e fedeli in Cristo. II. La verità vi farà liberi, Roma 1980, 670).<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Luigi Castiello<br />
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106<br />
quanto concerne la sincerità e la lealtà; ma a <strong>di</strong>fferenza dei coniugi, gli<br />
amici non sono soggetti al <strong>di</strong>ritto e alle leggi 17 . In fondo, l’intenzione e<br />
la scelta matrimoniale sono esclusive della libertà personale, ma la loro<br />
attuazione pratica è una realtà che sorpassa le volontà dei contraenti,<br />
perché produce una mo<strong>di</strong>ficazione dei rapporti sociali che richiedono<br />
stabilità, quin<strong>di</strong> fedeltà e reciproco impegno. D’altronde, il fidanzamento<br />
ha un carattere progettuale, o si ferma a un semplice passatempo <strong>di</strong><br />
giochi erotici <strong>di</strong> un’amicizia eterosessuale privata? Cosa sarebbe della<br />
società se tutti vivessero così? Giovanni Paolo II, consapevole dell’atmosfera<br />
che si è andata creando, nelle sue ultime encicliche giunge a<br />
denunciare i limiti, gli abusi e i pericoli <strong>di</strong> questa “cultura del privato”: il<br />
venir meno <strong>di</strong> un nobile e civile senso <strong>di</strong> solidarietà all’interno della<br />
società; il mito dell’in<strong>di</strong>vidualismo e l’apoteosi del soggettivismo<br />
contrad<strong>di</strong>stinti da punte “selvatiche” in cui regna la legge del più furbo<br />
e del più forte. Per questo motivo, il consenso dei nuben<strong>di</strong>, che sta alla<br />
base del matrimonio (matrimonium facit partium consensus), ha un<br />
valore che va al <strong>di</strong> là del solo aspetto cerimoniale o fiscale perché<br />
entra, per sua natura nel cuore stesso della società che lo accoglie, lo<br />
riconosce e lo testimonia in forma pubblica 18 .<br />
3.2. Le ragioni dell’illiceità<br />
Nel presentare le motivazioni in base alle quali giustificare l’attuale<br />
posizione della Chiesa riguardo all’illiceità dei rapporti prematrimoniali,<br />
pren<strong>di</strong>amo in esame una serie <strong>di</strong> motivazioni che non sembrano possedere<br />
sempre una vera forza probante 19 .<br />
17 Cfr, per esempio, la Costituzione Italiana, art. 9; inoltre l’intervento della SANTA<br />
SEDE, Carta dei <strong>di</strong>ritti della famiglia (24-11-1983), soprattutto il Preambolo A; riguardo<br />
al rapporto tra famiglia e società, si consideri Famiglia aperta nella Chiesa e nella società,<br />
Milano 1972; Famiglia e società, Vicenza 1985; infine, P. DONATI, La famiglia nella<br />
società relazionale. Nuove reti e nuove regole, Cinisello Balsamo (Milano) 1986; J.M.<br />
DE TORRE, Person, family and State, Manila 1991; L. LORENZETTI (ed.), La famiglia,<br />
prima e dopo, Bologna 1993; G. CAMPANINI, Realtà e problemi della famiglia contemporanea.<br />
Compen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sociologia della famiglia, Cinisello Balsamo, 1989.<br />
18 Cfr CIC 1057 § 2. Sul rinnovamento della morale cattolica e il contributo <strong>di</strong><br />
Giovanni Paolo II, Cfr l’articolo e i riman<strong>di</strong> bibliografici <strong>di</strong> R. RUSSO, Il Vaticano II e il<br />
rinnovamento della morale cattolica. Un approccio in chiave ontologica, in Aspenas 50<br />
(2/4 2003) 205-228. Si consideri pure GIOVANNI PAOLO II, Alzatevi, an<strong>di</strong>amo!, traduzione<br />
<strong>di</strong> Z.J. BRZOZOWSKA, Città del Vaticano - Milano 2004.<br />
19 Lo stu<strong>di</strong>o che fa da punto <strong>di</strong> riferimento sulla storia delle argomentazioni morali a<br />
partire soprattutto da sant’Alfonso è quello <strong>di</strong> B. SCHLEGELBERGER, Rapporti sessuali<br />
prima e fuori del matrimonio, Roma 1973.<br />
Luigi Castiello<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Una prima argomentazione è basata sulla “paura del figlio” o, quanto<br />
meno, sulla “volontà <strong>di</strong> escluderlo”. La prima prospettiva è abbondantemente<br />
superata dalle nuove tecniche contraccettive. Inoltre, nell’impostazione<br />
tra<strong>di</strong>zionale, la sessualità è stata giu<strong>di</strong>cata sempre in base alla<br />
sua “teleologia procreativa” intesa sia in senso materiale che formale,<br />
per cui, vissuta durante il fidanzamento senza apertura alla vita, sarebbe<br />
illecita. Ciò si giustificherebbe, invece, nel matrimonio, dove la coppia<br />
può regolare la propria felicità <strong>di</strong>stanziando responsabilmente le nascite<br />
e impedendo nuovi concepimenti20 .<br />
Una seconda motivazione, abbastanza <strong>di</strong>ffusa, ma scarsamente efficace<br />
sotto il profilo argomentativo, consiste nel legare l’illiceità dei rapporti<br />
prematrimoniali al pericolo <strong>di</strong> destabilizzazione e <strong>di</strong> corruzione che<br />
potrebbe derivarne per la società. In fondo si tratta <strong>di</strong> vedere “nel bene<br />
comune” uno dei criteri <strong>di</strong> moralità in questo caso specifico dei rapporti<br />
prematrimoniali: renderli leciti, infatti, significherebbe aprire la strada a<br />
gravi <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni morali.<br />
In genere, le motivazioni psicologiche che rendono illeciti tali rapporti<br />
si possono annoverare tra le seguenti:<br />
– La sessualità umana non è quella animale.<br />
– Il sesso dell’uomo si trova nel cervello più che negli ormoni.<br />
– Fuori del contesto sociale i rapporti prematrimoniali sono privi <strong>di</strong><br />
significato.<br />
– La totale donazione sessuale richiede lo spazio <strong>di</strong> un legame matrimoniale.<br />
– Solo dopo il matrimonio si sa se erano autentici rapporti<br />
prematrimoniali.<br />
– Le cose più importanti della vita non si possono fare per prova.<br />
– In genere il “rodaggio” avviene dopo aver stipulato un contratto.<br />
– L’esperienza è incompleta se i soggetti si sperimentano solo in alcuni<br />
ambiti.<br />
– L’arte <strong>di</strong> amare e la sua verifica esigono tempi <strong>di</strong> conoscenza e <strong>di</strong><br />
maturazione.<br />
– L’amore autentica e trasfigura ciò che lo precede.<br />
20 Sappiamo che per seri motivi è lecito il ricorso ai ritmi naturali per <strong>di</strong>stanziare le<br />
nascite. Cfr PAOLO VI, Lettera Enciclica Humane vitae (25-7-1968), n. 16: EV 3, 602.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Luigi Castiello<br />
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108<br />
Dal punto <strong>di</strong> vista morale e religioso s’adducono i seguenti motivi per<br />
arginare il relativo permissivismo:<br />
– Ogni attività umana nel corpo e col corpo è <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne squisitamente<br />
morale.<br />
– La Sacra Scrittura ne parla, se non in forma manualistica, in modo<br />
sempre più <strong>di</strong>stinto, al <strong>di</strong> là dei limiti storico-culturali, in chiave storicosalvifica.<br />
– Esempio <strong>di</strong> vita cristiana è “camminare nell’amore” come Cristo ci<br />
ha amato.<br />
– «Non sapete che i vostri corpi sono membra <strong>di</strong> Cristo?» (1 Cor 15).<br />
– L’amore autentico ha in sé una naturale <strong>di</strong>mensione religiosa fatta<br />
<strong>di</strong> gratuità, misericor<strong>di</strong>a e fedeltà secondo il modello trinitario.<br />
– L’amore che ama la purezza è il più profondo e sublime.<br />
L’amore e la maturità umana sono, dunque, il centro e il punto nevralgico<br />
del problema. Occorre, cioè, fare più chiarezza tra la <strong>di</strong>mensione<br />
sociale della sessualità e quella interpersonale. Si tratta <strong>di</strong> richiamare la<br />
peculiarità propria dell’amore vissuto nella stagione del fidanzamento che<br />
consiste nella sua “intrinseca precarietà”, che si presenta ad essere attuata<br />
e realizzata nella comunione <strong>di</strong> vita propria del matrimonio. Allora,<br />
la nuova <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> vita coniugale, se è autentica, se è totale donazione<br />
e comunione piena, comporta la necessità che i due abbiano escluso<br />
per il futuro qualunque possibilità d’una decisione <strong>di</strong>versa da quella che<br />
adesso hanno compiuto. «Soltanto quando c’è il dovere <strong>di</strong> amare allora<br />
soltanto l’amore è garantito per sempre contro ogni alterazione; eternamente<br />
liberato in beata in<strong>di</strong>pendenza; assicurato in eterna beatitu<strong>di</strong>ne<br />
contro ogni <strong>di</strong>sperazione» 21 . Il senso <strong>di</strong> queste parole è il seguente: «L’uomo<br />
che ama, più ama intensamente, più percepisce con angoscia il pericolo<br />
che corre questo suo amore, pericolo che non viene da altri che da<br />
lui stesso; egli sa bene infatti <strong>di</strong> essere volubile e che donami, ahimé,<br />
potrebbe già stancarsi, e non amare più. E poiché adesso che è nell’amore<br />
vede con chiarezza quale per<strong>di</strong>ta irreparabile questo comporterebbe,<br />
ecco che si premunisce “legandosi” all’amore con la legge e ancorando<br />
in tal modo il suo atto d’amore, che avviene nel tempo, all’eternità» 22 . Il<br />
21 S. KIERKEGAARD, Gli atti dell’amore, a cura <strong>di</strong> C. Fabro, Milano 1983, 177-178.<br />
22 R. CANTALAMESSA, La vita nella signoria <strong>di</strong> Cristo, Milano 1990, 181.<br />
Luigi Castiello<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
fidanzamento è terminato solo quando quell’attesa d’una definizione e <strong>di</strong><br />
un compimento, inserita nella <strong>di</strong>mensione precaria che gli è propria, ha<br />
ricevuto una risposta nell’evento kairologico del matrimonio.<br />
Il <strong>di</strong>scorso, quin<strong>di</strong>, tende a mostrare come solo nel matrimonio, garantito<br />
in quanto istituzione <strong>di</strong>stinta dal semplice fidanzamento, si riscontrano<br />
le caratteristiche <strong>di</strong> quell’amore maturo e responsabile che rende cre<strong>di</strong>bile<br />
e autentico il gesto sessuale 23 . Non si può, comunque, chiudere il<br />
tema senza accennare anche all’aspetto propriamente teologico della<br />
<strong>di</strong>mensione sociale dell’amore. Il matrimonio, infatti, in quanto sacramento<br />
<strong>di</strong>venta segno efficace dell’unione e dell’amore <strong>di</strong> Cristo con la<br />
Chiesa. Perciò, la celebrazione sacramentale non è una semplice cerimonia<br />
o un puro atto giuri<strong>di</strong>co, ma una reale partecipazione a quell’amore<br />
cristocentrico in assenza del quale il gesto sessuale resterebbe puro<br />
istinto cieco, sentimento vago e chiuso, privo <strong>di</strong> senso e <strong>di</strong> valori costruttivi.<br />
In conclusione, accanto a queste ragioni che rendono ancora <strong>di</strong>scutibile<br />
legittimare i rapporti sessuali prima del matrimonio, vorremmo ancora<br />
una volta ricordare la necessità che i fidanzati sentono come esigenza<br />
d’amore nell’esprimere il loro <strong>di</strong>alogo interpersonale attraverso la ricerca<br />
<strong>di</strong> gesti d’affetto, d’intesa, <strong>di</strong> mutuo aiuto e <strong>di</strong> progettualità autenticamente<br />
espressivi della loro con<strong>di</strong>zione. L’amore e il <strong>di</strong>alogo che li fanno<br />
crescere insieme non hanno il carattere d’un’evasione, <strong>di</strong> un gioco o<br />
d’una chiusura deresponsabilizzante, ma acquista un senso carico <strong>di</strong> coscienza<br />
e speranza se è animato dallo spirito cristiano.<br />
23 Cfr M. VIDAL, I rapporti prematrimoniali, Assisi 1973, 361; G. PIANA, Orientamenti<br />
<strong>di</strong> etica sessuale, in T. GOFFI - G. PIANA (edd.), Corso <strong>di</strong> Morale. II. Diakonia (Etica<br />
della persona), Brescia 1983, 339-346.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Luigi Castiello<br />
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110<br />
Istituto Superiore<br />
<strong>di</strong> Scienze Religiose<br />
“Duns Scoto” - <strong>Nola</strong><br />
Enchiri<strong>di</strong>on <strong>Nola</strong>num<br />
Vol. 1<br />
Testi e Documenti della Chiesa <strong>di</strong> <strong>Nola</strong><br />
collana <strong>di</strong>retta da<br />
GIOVANNI SANTANIELLO<br />
I Sino<strong>di</strong> Diocesani del ‘900<br />
a cura <strong>di</strong><br />
GIOVANNI SANTANIELLO<br />
introduzione <strong>di</strong><br />
ANDREA RUGGIERO<br />
Per richiedere questa pubblicazione rivolgersi alla:<br />
SEGRETERIA DELL’ISTITUTO “DUNS SCOTO”<br />
Telefax 081.823.13.48<br />
e-mail: issr@chiesa<strong>di</strong>nola.it<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
note e interventi<br />
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B I A N CA<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
NOTE DI BIOETICA DELLA SPERIMENTAZIONE *<br />
1. Per “intro-durre”<br />
GIUSEPPE GIULIANO<br />
Con il termine “bioetica” – termine composto: “bìos”(vita) ed<br />
“éthos”(etica, morale) – in<strong>di</strong>chiamo quella branca della riflessione morale<br />
che si occupa della vita umana, della sua integrità e della sua qualità,<br />
e dunque della prassi tecnico-scientifica inerente alla vita dell’uomo; la<br />
vita dal suo germinare al suo naturale concludersi.<br />
Il termine “sperimentazione”, usato in ambito biome<strong>di</strong>co, sta ad in<strong>di</strong>care<br />
i proce<strong>di</strong>menti che sottopongono a verifica sostanze e/o meto<strong>di</strong>che<br />
nuove o <strong>di</strong> cui non si conoscono appieno le conseguenze.<br />
Tra i vari tipi <strong>di</strong> sperimentazione, quella sull’uomo assume particolare<br />
rilevanza sia a livello biotecnico, sia a livello antropologico-morale.<br />
Di tale sperimentazione le scienze me<strong>di</strong>che non possono fare a meno,<br />
nella prospettiva della sempre maggiore necessità <strong>di</strong> affinare e perfezionare<br />
i mezzi a vantaggio della vita umana e della salute complessiva<br />
dell’uomo.<br />
Una tale necessità non giustifica però alcuna riduzione a “materiale<br />
biologico” dell’uomo concreto coinvolto nella sperimentazione; l’uomo è<br />
e rimane, fin dall’inizio della sua esistenza, cioè dall’atto del concepimento,<br />
sostanzialmente fine <strong>di</strong> ogni attività e mai può essere degradato a<br />
mero strumento o usato come mezzo <strong>di</strong> alcun fine, fosse anche il pur<br />
nobile fine del progresso dell’ umanità.<br />
L’ uomo – ogni uomo e solo perché uomo! – possiede in modo unico<br />
ed irripetibile una propria identità che non consente alcuna riduzione a<br />
«cosa scambiabile con altro» e/o ad utilizzo puramente funzionale.<br />
Le scienze tecnico-empiriche, poi, prendono in considerazione le strutture<br />
umane o “segmenti” <strong>di</strong> esse, e non la globale e costitutiva originalità<br />
<strong>di</strong> ogni persona: ogni proce<strong>di</strong>mento scientifico tende infatti – per sua<br />
intrinseca prassi metodologica – a restringere il campo della propria indagine<br />
per limitare l’interesse ad un “tratto” ben determinato dell’intera<br />
realtà umana.<br />
* Consulente ecclesiastico della Sezione <strong>di</strong>ocesana dei Me<strong>di</strong>ci Cattolici e docente <strong>di</strong><br />
teologia morale.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong> Giuseppe Giuliano<br />
Giuseppe<br />
Giuliano<br />
Ë<br />
docente <strong>di</strong><br />
<strong>Teologia</strong><br />
Morale<br />
113
114<br />
Ora, questa realtà va sempre tenuta presente nella sua articolata<br />
globalità per la valutazione sul da farsi, e a tale globalità va, comunque e<br />
sempre, rapportato ogni intervento settoriale.<br />
Con i progressi biologici, farmacologici e chirurgici il campo della<br />
sperimentazione si è esteso enormemente, tanto che non esiste oggi “azienda”<br />
ospedaliera che, in almeno alcuni dei suoi reparti, non desideri partecipare,<br />
in qualche modo, alla prassi sperimentale; anzi la stessa me<strong>di</strong>cina <strong>di</strong><br />
base è spesso coinvolta in questa prassi più <strong>di</strong> quanto non appaia.<br />
La biologia molecolare e la biochimica, poi, hanno raggiunto le fibre<br />
primor<strong>di</strong>ali della vita e ciò comporta anche la possibilità tutt’altro che<br />
ipotetica <strong>di</strong> conoscere e “mappare” i processi naturali fondamentali dell’essere<br />
vivente umano. Tali possibilità ingenerano paure irrazionali o<br />
entusiasmi irresponsabili, due atteggiamenti altrettanto dannosi; mentre<br />
invece una seria e responsabile riflessione etica urge come decisamente<br />
necessaria.<br />
Anche perché, in questo ambito <strong>di</strong> ricerca, il <strong>di</strong>vario tra mezzi <strong>di</strong>agnostici<br />
e rime<strong>di</strong> terapeutici aumenta in modo vertiginoso. A lungo andare – alcuni<br />
si chiedono – a che serve un sapere circa il patrimonio genetico<br />
umano che non porta contemporaneamente alla conoscenza dei rime<strong>di</strong><br />
per curare eventuali anomalie e malattie? Le possibilità <strong>di</strong> “variare”<br />
tale patrimonio sono davvero attuate in nome del benessere dell’uomo?<br />
In cosa consiste questo “bene-essere”?<br />
Le gran<strong>di</strong> possibilità della ricerca scientifica portano, poi, ad un sempre<br />
ulteriore sviluppo della ricerca stessa; per cui la tentazione a che il<br />
“sapere” si trasformi in “potere” si offre in modo seducente; così come<br />
allarmante si presenta l’uso – meglio sarebbe <strong>di</strong>re “abuso” – del potere<br />
scientifico quando è attuato a sostanziale svantaggio dell’uomo più in<strong>di</strong>feso<br />
e meno tutelato.<br />
Di qui la nota etica che raggiunge ogni conoscenza nuova; e cioè se<br />
un “nuovo sapere” serve l’uomo oppure lo asservisce a personaggi senza<br />
scrupoli, e/o ad oligarchie economiche e/o politiche, e/o a potentati<br />
ristretti ed occulti.<br />
Le presenti considerazioni non intendono affatto negare le positive<br />
acquisizioni della prassi sperimentale in vista del miglioramento della salute<br />
e della qualità della vita dell’uomo, <strong>di</strong> tutto l’uomo e <strong>di</strong> tutti gli uomini.<br />
Ma lo stato attuale dei proce<strong>di</strong>menti sperimentali solleva non pochi<br />
problemi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne antropologico e notevoli interrogativi etici che vogliamo<br />
almeno evidenziare per evitare una <strong>di</strong>sinformata e manchevole <strong>di</strong>strazione<br />
su interventi che quoti<strong>di</strong>anamente mettono in gioco l’esistenza<br />
Giuseppe Giuliano<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
<strong>di</strong>gnitosa dell’uomo alle ra<strong>di</strong>ci della sua propria esistenza terrena, nella<br />
sua origine, nella sua vivibilità e nel suo concludersi.<br />
Perché «non si possono desumere i criteri <strong>di</strong> orientamento dalla semplice<br />
efficienza tecnica, dall’utilità che possono arrecare ad alcuni a danno<br />
<strong>di</strong> altri o, peggio ancora, dalle ideologie dominanti. Pertanto la scienza e<br />
la tecnica richiedono, per il loro stesso intrinseco significato, il rispetto<br />
incon<strong>di</strong>zionato dei criteri fondamentali della moralità (...). La scienza<br />
senza la coscienza ad altro non può portare che alla rovina dell’uomo» 1 .<br />
2. La sperimentazione me<strong>di</strong>ca.<br />
Accostiamo il tema della sperimentazione me<strong>di</strong>ca da due punti <strong>di</strong><br />
vista <strong>di</strong>versi e complementari, cioè dal punto <strong>di</strong> vista della persona malata<br />
e poi da quello della persona sana.<br />
L’elemento etico che caratterizza la sperimentazione sull’uomo è<br />
rappresentato dalla percentuale <strong>di</strong> rischio che il fatto sperimentale porta<br />
inevitabilmente con sé; sopratutto nel passaggio dalla sperimentazione<br />
su animali a quella umana.<br />
Un tale passaggio, accertatane la necessità, risulta inevitabile e decisivo<br />
perché la prova in campo animale offre certamente elementi utili in<br />
base alle analogie tra la biologia animale e quella umana; ma si tratta pur<br />
sempre <strong>di</strong> analogie più o meno marcate, non esiste infatti animale che<br />
ripeta in modo identico, e neppure simile, le reazioni umane all’impiego<br />
<strong>di</strong> sostanze e/o <strong>di</strong> tecnologie.<br />
Ogni cosa nuova va sperimentata e l’uomo ha nel suo simile il miglior<br />
modello sperimentale; attraverso la sperimentazione su se stesso l’uomo<br />
è riuscito infatti a sopravvivere, a cambiare in meglio la propria vita, a<br />
progre<strong>di</strong>re 2 .<br />
La sperimentazione su persone ammalate – nate e non ancora nate –<br />
prevede, sostanzialmente, alcune tappe <strong>di</strong> svolgimento ormai standar<strong>di</strong>zzate.<br />
Viene innanzitutto <strong>di</strong>chiarato che un trattamento oppure una nuova<br />
tecnica è in fase <strong>di</strong> osservazione nella prospettiva dell’interesse<br />
terapeutico <strong>di</strong> una certa tipologia <strong>di</strong> malattie. Ciò richiede dunque la espli-<br />
1 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Il rispetto della vita umana nascente<br />
e la <strong>di</strong>gnità della procreazione, Istruzione Donum vitae (= DV) del 22.II.1987, Introduzione/2<br />
in EV 10/1158-1159.<br />
2 Cfr G. PIERALLINI, «La scienza sfida il futuro con il coraggio <strong>di</strong> sperimentare», in<br />
Corriere me<strong>di</strong>co, 23/VIII (1983), 3.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Giuseppe Giuliano<br />
115
116<br />
cita in<strong>di</strong>cazione della/e patologia/e per cui un determinato intervento può<br />
essere utile.<br />
Si passa poi allo stu<strong>di</strong>o delle modalità <strong>di</strong> una ben precisa applicazione,<br />
con l’attenta considerazione della percentuale minima <strong>di</strong> effetti collaterali<br />
indesiderati. A queste tappe segue l’impiego su un numero sufficientemente<br />
ampio <strong>di</strong> “casi” simili e, dopo un certo tempo, si compie un bilancio<br />
sugli effetti terapeutici ottenuti e su quelli collaterali verificatisi.<br />
La fase sperimentale si conclude favorevolmente quando il trattamento<br />
e/o la tecnica applicati giungono ad un sod<strong>di</strong>sfacente grado <strong>di</strong><br />
affidabilità e quando gli effetti collaterali indesiderati risultano essere<br />
statisticamente irrilevanti.<br />
Va da sé che durante lo svolgimento sperimentale occorre tenere<br />
sotto controllo l’andamento del proce<strong>di</strong>mento onde interromperlo prontamente<br />
se si presentasse pericoloso o gravemente rischioso per la salute<br />
e la vita dell’ammalato sottoposto a sperimentazione.<br />
Oltre alla sperimentazione su ammalati, la storia della me<strong>di</strong>cina ci<br />
informa circa una prassi, iniziata sin dall’inizio del XIX secolo, della<br />
sperimentazione su persone sane: si va da E. Valli che all’inizio dell’Ottocento<br />
si iniettò, a titolo sperimentale, il vaiolo e la peste per giungere ai<br />
giorni nostri, in cui persone sane, non esclusi gli stessi ricercatori, si<br />
rendono <strong>di</strong>sponibili come soggetti da sottoporre a ricerca 3 .<br />
3. Considerazioni etiche<br />
La sperimentazione sull’uomo è il frutto <strong>di</strong> quell’“istinto intellettivo”<br />
che spinge continuamente a ricercare; si tratta <strong>di</strong> quel legittimo desiderio<br />
tipicamente umano a conoscere per cogliere energie <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> sopravvivenza<br />
contro le varie forme <strong>di</strong> minaccia, <strong>di</strong> dolore, <strong>di</strong> malattia, <strong>di</strong> morte.<br />
In tale prospettiva, la fascia percentuale <strong>di</strong> rischio, che la sperimentazione<br />
porta con sé quando passa dagli stu<strong>di</strong> preparatori all’applicazione<br />
sull’uomo, non può che essere considerata nella sua inevitabilità: negando<br />
infatti la possibilità <strong>di</strong> rischio, si nega la stessa possibilità della<br />
ricerca sperimentale.<br />
Naturalmente, tale inevitabile rischiosità non deve né può essere così<br />
alta da coinvolgere e menomare i beni/valori essenziali dell’uomo, come<br />
la vita, la generazione umana, la funzionalità degli organi vitali, le capacità<br />
intellettive e volitive, le convinzioni religiose e morali.<br />
3 Cfr G. PERICO, Problemi <strong>di</strong> etica sanitaria , Milano 1985, 84-85.<br />
Giuseppe Giuliano<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
Ciò significa che qualunque sia il grado <strong>di</strong> importanza della sperimentazione,<br />
essa resta sempre soggetta al primato della persona umana<br />
e della sua vita, nonché della sua integrità sostanziale: da nessun punto <strong>di</strong><br />
vista infatti l’uomo risulta essere titolare <strong>di</strong> un dominio assoluto su se<br />
stesso e/o sul suo simile, sulla vita e sulla integrità delle fondamentali<br />
capacità umane.<br />
«La <strong>di</strong>gnità umana, i <strong>di</strong>ritti umani e le libertà fondamentali devono<br />
essere pienamente rispettate. Gli interessi e il benessere dell’in<strong>di</strong>viduo<br />
dovrebbero prevalere sull’interesse esclusivo della scienza o della società»<br />
4 .<br />
Tale principio etico sta anche a fondamento dell’in<strong>di</strong>spensabile consenso<br />
chiesto e ottenuto da chi viene sottoposto a sperimentazione; si<br />
tratta del cosiddetto “consenso informato”, cioè <strong>di</strong> quel consenso dato in<br />
base a reali e chiare informazioni ricevute circa le sostanze e/o le procedure<br />
che si intendono applicare a titolo sperimentale, non esclusi ovviamente<br />
i rischi – reali e/o ipotetici, <strong>di</strong>retti e/o in<strong>di</strong>retti, imme<strong>di</strong>ati e/o a<br />
lunga scadenza – a cui si va incontro con il processo <strong>di</strong> sperimentazione.<br />
«La ricerca scientifica dovrebbe essere condotta soltanto con il consenso<br />
preventivo, libero, esplicito e informato della persona coinvolta.<br />
Le informazioni dovrebbero essere adeguare e fornite in forma comprensibile,<br />
e dovrebbero includere le modalità <strong>di</strong> revoca del consenso» 5 .<br />
Ci sono casi – la maggioranza dei casi <strong>di</strong> sperimentazione – in cui si<br />
vuole far coincidere l’intento terapeutico con quello dell’accertamento<br />
dell’efficacia <strong>di</strong> nuove sostanze e/o <strong>di</strong> nuove meto<strong>di</strong>che <strong>di</strong> intervento. Si<br />
tratta della “sperimentazione terapeutica”: il terapeuta, dopo il ricorso a<br />
farmaci o a trattamenti già in uso abituale, in assenza <strong>di</strong> alternative adeguate,<br />
ricorre a sostanze e/o a tecniche nuove che, pur non essendo<br />
ancora pienamente affidabili, risultano però già in una fase <strong>di</strong> avanzata<br />
sperimentazione.<br />
Una tale prassi trova giustificazione etica nel principio del “maggior<br />
interesse del malato”; alla luce, naturalmente, della intangibilità sostanziale<br />
e della non-totale <strong>di</strong>sponibilità della persona ammalata.<br />
Ciò detto, si possono così sintetizzare le in<strong>di</strong>cazioni morali per una<br />
corretta sperimentazione terapeutica.<br />
4 UNESCO, Dichiarazione universale sulla bioetica e i <strong>di</strong>ritti umani (= Dichiarazione),<br />
10.X.2005, art. 3 in Orizzonte me<strong>di</strong>co 1 (<strong>2006</strong>) 9.<br />
L’uso dei verbi al con<strong>di</strong>zionale, presente già nel testo originale in inglese, è dovuto<br />
al fatto che la Dichiarazione si rivolge agli Stati in modo non obbligatorio.<br />
5 Dichiarazione, artt. 6, 9.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Giuseppe Giuliano<br />
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1) L’intervento sperimentale deve essere or<strong>di</strong>nato principalmente<br />
alla cura dell’ammalato.<br />
2) Il malato deve poter dare liberamente il suo consenso in base ad<br />
informazioni reali e a lui, il più possibile, chiare.<br />
3) Nei casi “<strong>di</strong>sperati”, cioè <strong>di</strong> inabilità del malato in situazioni <strong>di</strong><br />
particolare urgenza e gravità, si può presupporre il consenso sempre<br />
nella linea del “maggior interesse” dell’ammalato stesso.<br />
4) Mai si può approfittare dell’ignoranza, della buona fede, della<br />
prostrazione o comunque dell’incapacità del malato.<br />
5) E meno che mai si può procedere ad irresponsabili applicazioni in<br />
nome <strong>di</strong> un malinteso “interesse scientifico supremo” e/o <strong>di</strong> una smodata<br />
ambizione <strong>di</strong> successo da parte dei ricercatori.<br />
Anche la sperimentazione su persone sane va soggetta alle in<strong>di</strong>cazioni<br />
normative appena esposte, con particolare attenzione alla «volontaria<br />
ed informata <strong>di</strong>sponibilità» <strong>di</strong> chi si rende <strong>di</strong>sponibile al proce<strong>di</strong>mento<br />
sperimentale e alla sufficiente certezza <strong>di</strong> poter mantenere sotto<br />
controllo tale proce<strong>di</strong>mento in tutte le sue fasi; fatta salva – comunque<br />
e sempre – la fondamentale in<strong>di</strong>sponibilità dell’uomo circa la vita<br />
e le funzioni vitali e personali, sue ed anche delle future generazioni<br />
dell’umanità.<br />
Tali in<strong>di</strong>cazioni hanno valore pure nel caso in cui il ricercatore decidesse<br />
<strong>di</strong> sottoporre se stesso a sperimentazione; anche per lui vale l’imperativo<br />
etico circa l’inviolabilità della vita e l’integrità funzionale della<br />
sua persona.<br />
Una casistica tutt’altro che spora<strong>di</strong>ca riguarda la sperimentazione su<br />
persona non nata.<br />
Quanto finora detto va applicato in questi casi con maggiore attenzione:<br />
gli embrioni e i feti umani non sono “materia” <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>sporre con<br />
<strong>di</strong>sinvoltura, essi sono portatori <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> vita personale, che, pur essendo<br />
in fase iniziale, non è per questo meno tutelabile.<br />
L’intervento terapeutico, anche sperimentale, sulla vita umana non<br />
nata esige almeno la certezza morale <strong>di</strong> non arrecare ulteriore danno<br />
alla vita prenatale e all’integrità dell’embrione e/o del feto, né a quella<br />
della madre.<br />
È strettamente necessario comunque che i genitori – madre e padre<br />
– accor<strong>di</strong>no il loro consenso libero ed informato a che si intervenga in<br />
modo principalmente curativo 6 .<br />
6 Cf. DV I/4 in EV10/1185-1190.<br />
Giuseppe Giuliano<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
4. A mo’ <strong>di</strong> conclusione<br />
È molto naturale che quelli che sono coinvolti nel campo della<br />
sperimentazione, specialmente coloro che ne sono all’avanguar<strong>di</strong>a, siano<br />
appassionati delle loro ricerche e sod<strong>di</strong>sfatti dei loro successi.<br />
Perché non dovremmo sostenere la loro passione e con<strong>di</strong>videre la<br />
loro sod<strong>di</strong>sfazione?<br />
Una partecipazione però che vorremmo non intaccata dalla paura e<br />
dalla <strong>di</strong>ffidenza, ma nutrita <strong>di</strong> speranza, <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> fiducia in chi<br />
porta innanzi il progresso dell’umanità e fa del bene all’uomo – ad ogni<br />
uomo, piccolo o grande, nato o non ancora nato – nelle quoti<strong>di</strong>ane conquiste<br />
biome<strong>di</strong>che e negli impensati e vasti campi della ricerca scientifica.<br />
Anche loro rendono lode al Creatore quando sono animati dall’umiltà<br />
dell’intelligenza che cerca, dalla volontà nell’impegno dei giorni e degli<br />
anni, dalla passione nella pazienza che “tenta e ritenta”, dal coraggio<br />
della conquista <strong>di</strong> sempre nuove mete a vantaggio dell’umanità <strong>di</strong> oggi e<br />
<strong>di</strong> domani.<br />
Anche loro, a titolo tutto speciale, si uniscono al coro, composto dalle<br />
fatiche e dalle speranze che le creature umane innalzano al Dio “trevolte-santo”,<br />
il datore <strong>di</strong> ogni bene, il facitore <strong>di</strong> ogni vita e la vera fonte<br />
<strong>di</strong> ogni perenne verità.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
Giuseppe Giuliano<br />
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COME NASCE IL “PROCESSO DI BOLOGNA” *<br />
Negli ultimi decenni è gradualmente aumentata, a livello <strong>di</strong> istituzioni<br />
internazionali, la consapevolezza che, mentre le trasformazioni in campo<br />
economico e socio-culturale segnano profondamente il futuro della<br />
società, occorre investire maggiormente nell’istruzione e nella formazione<br />
superiore.<br />
Questa prospettiva è particolarmente evidente nei Rapporti decennali<br />
dell’UNESCO, nelle Risoluzioni del Consiglio d’Europa, in materia <strong>di</strong><br />
educazione e <strong>di</strong> cultura, e in molti pronunciamenti dell’Unione Europea.<br />
Nel contesto <strong>di</strong> questi orientamenti, i Ministri dell’Istruzione Superiore<br />
<strong>di</strong> alcuni paesi (Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia) lanciarono<br />
l’appello per la creazione <strong>di</strong> un sistema europeo <strong>di</strong> formazione superiore.<br />
L’appello fu subito recepito ed i rappresentanti <strong>di</strong> 29 paesi europei,<br />
nel 1999, sottoscrissero a Bologna - la città che vide nascere la<br />
prima università nella storia occidentale - una Dichiarazione comune <strong>di</strong><br />
intenti. L’obiettivo principale che, in essa, tutti i membri aderenti si sono<br />
impegnati a realizzare è quello <strong>di</strong> costruire lo “Spazio Europeo <strong>di</strong> Istruzione<br />
Superiore” (EHEA).<br />
Dunque, con il termine “Processo <strong>di</strong> Bologna” si intende il cammino<br />
comune che <strong>di</strong>versi paesi europei hanno intrapreso nel 1999 per raggiungere,<br />
entro il 2010, lo scopo sopra in<strong>di</strong>cato.<br />
Questa decisione non va considerata, comunque, come un fatto isolato<br />
e improvviso; è piuttosto un punto <strong>di</strong> arrivo preparato nel corso degli<br />
anni precedenti attraverso altre tappe importanti che richiamo brevemente.<br />
- Anzitutto, nel settembre del 1988, i Rettori delle università europee,<br />
riuniti a Bologna in occasione del IX Centenario della nascita della prima<br />
università, avevano firmato la Magna Charta Universitatum. In<br />
essa erano già emersi alcuni principi successivamente recepiti nella Dichiarazione<br />
del 1999. Vi si trova affermato, ad esempio, che l’avvenire<br />
dell’umanità <strong>di</strong>pende in larga misura dallo sviluppo culturale, scientifico<br />
e tecnico che si svolge nei centri <strong>di</strong> cultura, <strong>di</strong> sapere e <strong>di</strong> ricerca; viene<br />
riba<strong>di</strong>to, inoltre, il principio per il quale l’università - depositaria della<br />
tra<strong>di</strong>zione dell’umanesimo europeo - con l’impegno <strong>di</strong> raggiungere il<br />
sapere universale, ignora ogni frontiera geografica o politica e ritiene<br />
necessaria la conoscenza reciproca e l’interazione delle culture.<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong>
- Il secondo fatto <strong>di</strong> grande rilevanza, sul quale si fonda la Dichiarazione<br />
<strong>di</strong> Bologna, è la “Convenzione <strong>di</strong> Lisbona” approvata l’11 aprile<br />
1997. In essa vengono fissati i principi e le modalità per il riconoscimento<br />
dei titoli, delle qualifiche e dei certificati relativi all’insegnamento superiore<br />
nell’area europea, per facilitare la mobilità accademica tra i <strong>di</strong>versi<br />
paesi.<br />
Sulla base <strong>di</strong> questi principi, la Convenzione vuole, pertanto, facilitare<br />
ai citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> ciascuno Stato contraente l’accesso alle risorse dell’educazione<br />
degli altri Stati.<br />
- Imme<strong>di</strong>atamente dopo la Dichiarazione <strong>di</strong> Bologna, a livello <strong>di</strong> Unione<br />
Europea, si è svolta la convocazione straor<strong>di</strong>naria del Consiglio Europeo<br />
<strong>di</strong> Lisbona del 2000, dove si sono prese importanti decisioni finalizzate a<br />
rilanciare le politiche della formazione. Con l’approvazione del piano <strong>di</strong><br />
lavoro chiamato: Verso un’Europa dell’innovazione e dei saperi, i<br />
Capi <strong>di</strong> Stato e <strong>di</strong> Governo hanno formulato per l’Unione l’obiettivo strategico<br />
politico-economico da realizzarsi entro il 2010, in piena convergenza<br />
con gli scopi della Dichiarazione <strong>di</strong> Bologna.<br />
Oggi, al “Processo <strong>di</strong> Bologna” aderiscono 45 paesi europei; inoltre,<br />
in esso sono coinvolte molte altre istituzioni e organizzazioni internazionali,<br />
tra cui: l’UNESCO/CEPES, il Consiglio d’Europa, l’Unione Europea.<br />
2. Gli obiettivi del “Processo <strong>di</strong> Bologna”<br />
I principali obiettivi specifici, fissati dalla Dichiarazione <strong>di</strong> Bologna, si<br />
possono così riassumere:<br />
- l’adozione <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong> titoli accademici <strong>di</strong> facile lettura e comparazione<br />
(attraverso lo strumento chiamato “Supplemento al Diploma”)<br />
per promuovere l’impiegabilità europea e la competitività del sistema <strong>di</strong><br />
istruzione superiore europeo in rapporto con il resto del mondo;<br />
- l’adozione <strong>di</strong> un sistema accademico a due cicli (in seguito si è<br />
aggiunto anche il terzo ciclo, per la ricerca);<br />
- l’introduzione <strong>di</strong> un nuovo sistema <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>ti (ECTS) che favorisca<br />
la mobilità degli studenti fra i <strong>di</strong>versi paesi europei e <strong>di</strong> tutto il mondo;<br />
- la promozione della mobilità per studenti, insegnanti, ricercatori,<br />
personale amministrativo con il riconoscimento e la valutazione del periodo<br />
passato in Europa in ambito <strong>di</strong> ricerca, insegnamento-aggiornamento,<br />
senza pregiu<strong>di</strong>zio dei <strong>di</strong>ritti già acquisiti;<br />
<strong>Teologia</strong> e <strong>Vita</strong> 8 - <strong>Marzo</strong> <strong>2006</strong><br />
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- la promozione della cooperazione europea nel controllo <strong>di</strong> qualità,<br />
con particolare attenzione allo sviluppo <strong>di</strong> criteri e meto<strong>di</strong> confrontabili;<br />
L’esito finale più significativo <strong>di</strong> questo percorso consisterà nel riconoscimento<br />
reciproco dei titoli accademici, conseguiti nei sistemi universitari<br />
dei <strong>di</strong>versi paesi che aderiscono alla Dichiarazione.<br />
3. Gli strumenti per attuare il “Processo”<br />
Il “Processo <strong>di</strong> Bologna” viene portato avanti attraverso tre strumenti:<br />
a) i vertici dei Ministri dell’Istruzione Superiore dei paesi membri,<br />
che vengono convocati ogni due anni; b) i seminari <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o su temi<br />
specifici, inerenti il Processo, promossi dai vari paesi; c) il lavoro <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>namento<br />
generale affidato alla segreteria del “Bologna Follow up<br />
Group”.<br />
La Santa Sede ha aderito al “Processo” in occasione del vertice dei<br />
Ministri, tenuto a Berlino nel 2003.<br />
Da allora, la Congregazione per l’Educazione Cattolica segue le <strong>di</strong>verse<br />
tappe del cammino intrapreso insieme agli altri paesi, con l’aiuto <strong>di</strong><br />
una “Commissione” appositamente creata, la quale accompagna le Facoltà<br />
ecclesiastiche presenti in Europa nell’attuare i relativi orientamenti.<br />
Si coglie, infatti, in tutto questo una provvidenziale opportunità <strong>di</strong> riflessione<br />
e <strong>di</strong> messa a punto della qualità dell’insegnamento e della ricerca<br />
che viene svolta nelle Facoltà ecclesiastiche, nonché la possibilità<br />
<strong>di</strong> dare alle istituzioni civili una testimonianza <strong>di</strong> chiara serietà scientifica<br />
sul piano accademico e culturale.<br />
* In www.vatican.va. Intervento <strong>di</strong> Mons. Vincenzo Zani alla Conferenza Stampa<br />
<strong>di</strong> presentazione del seminario <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sul Bologna Process (30.3.<strong>2006</strong>)<br />
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