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tutti i diritti riservati © I <strong>sognatori</strong><br />
vietata la riproduzione totale o parziale dell'Opera
Alessandro Pedrazzi Alex Visani<br />
ILLUSIONI SVELATE<br />
L’altro volto del cinema dell’orrore
INDICE<br />
Introduzione 5<br />
So bad it’s good (Alex Visani) 11<br />
Only the brave (Alessandro Pedrazzi) 51<br />
Altre visioni 133<br />
Intervista a Luigi Cozzi 169<br />
Glossario 177
INTRODUZIONE<br />
L’horror, forse, è il genere cinematografico maggiormente<br />
composito, considerata la mole di sottocategorie che lo caratterizza.<br />
Spesso ci si affida alla commistione di generi per<br />
fare un po’ di chiarezza a livello terminologico, d’altronde è<br />
impossibile confondere un horror fantascientifico come “La<br />
Cosa” con una commedia horror in stile “Un Lupo Mannaro<br />
Americano a Londra”. In altre occasioni è presente un elemento<br />
caratterizzante vero e proprio, quali ad esempio nudi<br />
e/o sadismo (penso ai recenti torture porn, per quanto si<br />
tratti di roba rimasticata). Ci sono poi gli slasher, gli zombimovie,<br />
i gialli/thrilling sovrannaturali, i film splatter e così<br />
via.<br />
Insomma, un gran macello.<br />
Rimane tuttavia un elemento spesso ignorato – o comunque<br />
sottovalutato – dalla critica: il fine.<br />
Non tutte le pellicole horror, infatti, si pongono come obiettivo<br />
principale quello di spaventare lo spettatore. A volte si<br />
intende disgustarlo (è questo il compito dei film splatter,<br />
innanzitutto), altre volte scioccarlo (penso agli shockumentary<br />
in stile “Man Behind the Sun”) o farlo sentire a<br />
disagio (i disturbanti rape and revenge, fra i quali “L’Ultima<br />
Casa a Sinistra” spicca ancora oggi per notorietà), altre volte<br />
divertirlo, ricorrendo a un consapevole umorismo (“Shaun<br />
of the Dead” è il primo titolo che mi sovviene).<br />
In questo libro parleremo invece di una sottocategoria particolare<br />
e circoscritta del cinema horror. Non rientra in un<br />
genere specifico, e nel momento in cui si pone un obiettivo<br />
– terrorizzare lo spettatore – finisce regolarmente e tragicamente<br />
per mancarlo. Più che alla grande. Per quanto possa<br />
suonare paradossale, è proprio questa discrasia tra “obiettivo”<br />
e “risultato” che ha permesso ai film citati nel presente<br />
volume di guadagnarsi un posto al sole.<br />
7
Anche qui occorre operare dei distinguo, perché sono tante<br />
le pellicole che vorrebbero spaventare senza però riuscirci.<br />
Tra queste, alcune si limitano a intrattenere senza suscitare<br />
tuttavia particolari sussulti. Poi ci sono le pellicole che –<br />
semplicemente – annoiano. E infine ci sono i film horror che<br />
vorrebbero incutere timore o quanto meno creare in alcuni<br />
frangenti un’atmosfera di vera tensione, ma che ottengono<br />
l’effetto contrario: far ridere e/o sorridere.<br />
Il raggiungimento di un obiettivo diverso e antitetico rispetto<br />
a quello originario, in qualunque altro genere cinematografico<br />
condurrebbe il fruitore a maledire il regista e la sua progenie.<br />
O magari a premere il tasto STOP del lettore dopo venti<br />
minuti e anche meno. Un ridicolo film di tensione, invece,<br />
cattura subito e rimane impresso nella memoria in proporzione<br />
al numero di risate che riesce a strapparci. Perché? Essenzialmente<br />
per l’involontarietà. In fin dei conti, un clown<br />
che scivola di proposito su una buccia di banana non è divertente<br />
quanto una sofisticata signora che, a sua insaputa,<br />
sorride mostrando del cibo infilato tra i denti.<br />
Se un film non fa paura, almeno faccia ridere.<br />
La critica colta e blasè, incline a fare di tutta l’erba un fascio,<br />
infila questi film in un solo, grande calderone: quello<br />
del cinema trash. Ebbene, le cose non stanno esattamente<br />
così. Ci sono infatti pellicole – brutte e stravaganti quanto si<br />
vuole – che nascono col preciso scopo di sfoggiare la propria<br />
bruttezza, o la penuria di mezzi con cui vengono realizzate.<br />
Film che non si prendono sul serio fin dall’inizio,<br />
insomma. In questa sede va citata l’opera omnia della <strong>casa</strong><br />
di produzione americana “Troma”, portabandiera del trash<br />
più anarchico e iconoclastico. Si tratta però di un trash<br />
consapevole, che poca o nessuna attinenza ha coi film dei<br />
quali parleremo in questa sede.<br />
C’è un altro tipo di trash consapevole, sul quale però non<br />
vale la pena soffermarsi troppo. È un trash furbo, realizzato<br />
da gente furba per gabbare spettatori poco furbi. Un trash<br />
costruito a tavolino ma fasullo nello spirito. Mi riferisco a<br />
8
quei film che risultano brutti e ridicoli perché qualcuno –<br />
dall’alto – ha voluto che uscissero in quel modo.<br />
Oggi il trash tira, è una discreta fonte di reddito, normale<br />
che qualcuno tenti di capitalizzare. Qualcuno abbocca pure,<br />
ma non molti. Anche per questo genere di pellicole non ci<br />
sarà spazio nel volume che stringete fra le mani. La prima<br />
esclusione è di tipo teorico, la seconda di tipo “etico” – per<br />
così dire.<br />
Poi ci sono le estromissioni sofferte. Schematizzando, sono<br />
stati omessi i film nei quali:<br />
- l’elemento horror è accessorio, e viene posto in secondo o<br />
terzo piano rispetto a quello fantascientifico (“Latitudine Zero”,<br />
“Spaceman Contro i Vampiri dello Spazio”, “Gappa”),<br />
avventuroso (“1990: I Guerrieri del Bronx”, “Non Aprite<br />
Quella Tomba”), action (“Hellbound – All’Inferno e Ritorno”),<br />
fantasy (“The Barbarians”, “Jungle Virgin Force”),<br />
erotico (“Gorotica”, “Hardgore”, “Orgasmo Esotico”) e così<br />
via;<br />
- l’umorismo presente in uno o più elementi del film lascia<br />
intendere che il regista non si è preso molto sul serio (penso<br />
agli zombi flatulenti di “Spookies”);<br />
- la qualità media del film non conduce al sorriso, ma a un<br />
giudizio di merito negativo. Come già detto, un film horror<br />
che non riesce a strapparci una sola risata, e men che meno<br />
un solo brivido, è – in ultima analisi – un film mediocre (con<br />
le varie sfumature di grigio).<br />
Tutto questo per replicare subito a coloro che, leggendo il<br />
libro, dovessero esclamare: ma come, hanno citato questo<br />
film e non quell’altro!<br />
Una filmografia completa e del tutto esaustiva comporterebbe<br />
la realizzazione di un’enciclopedia, non quella di un<br />
volume, ragion per cui in molti casi si è resa necessaria l’introduzione<br />
di uno o più criteri di scelta. Ci è parso insensato, ad<br />
esempio, citare tutti i film di un medesimo regista. Elencare<br />
9
ogni bruttura girata da un DeCoteau, per fare un nome,<br />
avrebbe comportato uno spreco di carta non indifferente: i<br />
difetti son sempre quelli, storie e attori pure, quindi perché<br />
dilungarsi nello studio della saga di “Stirpe di Sangue”<br />
quando basta il solo “Killer Bash” per rendere bene l’idea?<br />
Stesso discorso per le trashate contemporanee che vedono<br />
due mostri scontrarsi e il “Vs.” nel titolo: c’è bisogno davvero<br />
di elencarle tutte? E gli infimi lavori di case di produzione<br />
vecchie (Empire/Full Moon) e nuove (Nu Image, Asylum)?<br />
Per non parlare delle centinaia di opere indipendenti<br />
girate da videomaker sconosciuti.<br />
Si tratta di norme razionali ma non infallibili, dopotutto<br />
anche in “Illusioni svelate” alcune scelte sono state dettate<br />
dal cuore (non scordatelo). Forse perché l’intero libro risponde<br />
a un sentimento di grande affetto nei riguardi delle<br />
pellicole che ha la presunzione di commentare, finanche con<br />
un pizzico di sarcasmo.<br />
La grande verità è questa: quando si assiste – spesso con<br />
occhi increduli – a un certo genere di film, è naturale lasciarsi<br />
trasportare dall’ilarità. Non è colpa nostra se quell’attore<br />
non sa recitare, se quel ciak è comparso nell’inquadratura o<br />
se il filo che regge quel pipistrello è perfettamente visibile.<br />
Qui entra in scena la seconda, grande verità: le risate scattano<br />
nel momento in cui il regista, lo sceneggiatore o chi per<br />
loro falliscono nel proprio intento. Perché sanno benissimo<br />
che quell’attore non sa recitare, che quel ciak non doveva<br />
comparire nell’inquadratura e che il filo del pipistrello doveva<br />
restare nascosto.<br />
In qualche modo il fan si macchia di questa colpa: godere<br />
del fallimento altrui, che di per sé non è un bell’atteggiamento.<br />
Se il vostro datore di lavoro vi licenziasse in tronco,<br />
dubito che esultereste nel vedere i colleghi ridere a crepapelle.<br />
Forse che il fan medio di questi horror stravaganti sia<br />
un mostro peggiore di quelli esibiti dal regista?<br />
Macchè. Il fan vero, piuttosto che perdere tempo dietro ai<br />
sensi di colpa o smarrirsi in certe elucubrazioni, preferisce<br />
10
conferire lo status di “cult” a queste pellicole e consigliarne<br />
la visione, con un entusiasmo pari (se non superiore) a<br />
quello che mostrerebbe nei riguardi di un film bello e spaventoso.<br />
E ne parla ovunque: nei blog, nei siti, nei forum,<br />
nelle fanzine.<br />
O magari in un libro scritto a quattro mani da due tra i<br />
principali esperti di cinema weird e trash presenti nella rete<br />
internet: Alex Visani e Alessandro Pedrazzi.<br />
In “Illusioni svelate”, il primo ha ripercorso la genesi, gli<br />
sviluppi e le caratteristiche di questo genere di film, operando<br />
i doverosi distinguo e calando ogni pellicola nel suo<br />
contesto storico-sociale. Il secondo ha accentuato l’analisi di<br />
alcuni lavori e ne ha introdotti altri di pari passo. Troverete<br />
dei titoli che si ripetono, e tuttavia approfonditi solamente in<br />
una delle due sezioni.<br />
D’altronde, chiunque affronti l’esegesi dei migliori film di<br />
genere dovrà pur citare perle del calibro di “Paganini Horror”,<br />
“Malabimba”, “Plan 9 from Outer Space” o “La Rabbia dei<br />
Morti Viventi”.<br />
La terza sezione, infine, si prefigge lo scopo di ampliare lo<br />
sguardo e indagare – più o meno brevemente – altre pellicole<br />
degne di menzione, spesso provenienti dalle filmografie<br />
di Paesi lontani quali il Messico, Hong Kong, la Turchia, le<br />
Filippine, il Sudafrica o il Brasile.<br />
Dopotutto la capacità di ridere, spaventarsi o ridere per uno<br />
spavento mancato, è comune a tutti gli esseri umani. E in<br />
qualunque parte del mondo.<br />
Buona lettura,<br />
Aldo Moscatelli<br />
11
SO BAD IT’S GOOD<br />
di Alex Visani<br />
Non c’è nulla di più divertente di un brutto film horror.<br />
Il buon Tobe Hooper, regista dello stranoto “Non Aprite<br />
Quella Porta”, è l’autore della frase citata in apertura. E credo<br />
che riassuma appieno il senso del libro che vi apprestate<br />
a leggere.<br />
Sviscerare il concetto di “brutto film horror” non è affatto<br />
semplice, o almeno non lo è per come io lo intendo. Meglio<br />
raccontare un episodio che risale alla mia gioventù: avevo<br />
dodici anni e un bel giorno m’imbattei, girovagando in orario<br />
notturno su scalcinate televisioni private, in un film che<br />
sin dal titolo mi lasciò perplesso e incuriosito: “Monster<br />
Dog – Il Signore dei Cani”.<br />
Tengo a precisare che già all’epoca ero un avido appassionato<br />
di film horror, ma fino a quel giorno la mia cultura era<br />
legata principalmente a pellicole tratte dai bestseller di Stephen<br />
King o ai blasonati blockbuster. Fu quindi molto eccitante<br />
affrontare un film come “Monster Dog”, del quale sin<br />
lì avevo ignorato l’esistenza ma il cui rutilante titolo prometteva<br />
orrori e brividi a non finire. Ammetto che la storia<br />
mi lasciò piuttosto confuso, con un cantante rock (Alice<br />
Cooper) alle prese con un maniero spettrale, strani personaggi<br />
di contorno, un cane mostro e un uomo lupo. Non<br />
apprezzai particolarmente il film e – anzi – durante la visione<br />
mi ero ritrovato a ridacchiare nel bel mezzo di scene che<br />
avrebbero voluto essere spaventose. La recitazione degli<br />
attori e gli effetti speciali mi avevano lasciato interdetto, pur<br />
essendo all’epoca solamente un ragazzino.<br />
Però mi ero divertito. E parecchio anche. Non so se per<br />
13
spirito goliardico, o per l’effetto-sorpresa che aveva giocato<br />
su di me il fatto di trovarmi dinanzi a un film potenzialmente<br />
spaventoso e in concreto piuttosto ridicolo. So con certezza,<br />
tuttavia, che quel film aveva fatto anche qualcos’altro, qualcosa<br />
che oggi non so ben definire: mi aveva intrattenuto piacevolmente,<br />
aveva spiazzato le mie certezze riuscendo a<br />
sorprendermi e divertirmi.<br />
Da quella notte, per me, si aprì una porta che in seguito<br />
avrei spalancato numerose volte, per addentrarmi curioso<br />
all’interno di un sottobosco di produzioni che i critici americani<br />
bonariamente definiscono so bad it’s good, ossia<br />
“talmente brutto da risultare bello”.<br />
Oggi, con oltre venti anni di esperienza e una caccia continua<br />
a queste pellicole, posso dire di aver capito alcuni dei<br />
meccanismi che le muovono e soprattutto posso candidamente<br />
ammettere di essere assuefatto alla loro libera e spregiudicata<br />
follia.<br />
Improbabili mostri, discinte donnine urlanti (dalla recitazione<br />
spesso più agghiacciante del film), sangue fucsia a fiumi,<br />
situazioni paradossali e improvvisazioni di vario genere:<br />
tutto questo è diventato il pane quotidiano con cui sfamo la<br />
mia voglia di cinema bizzarro e che, più di una volta, ha<br />
rallegrato le grigie giornate della mia vita.<br />
Una delle prime cose che ho imparato è che non bisogna<br />
usare in modo improprio l’appellativo “trash” per definire i<br />
film in questione. Oggi va di moda abusare del sopraccitato<br />
termine senza comprenderne a fondo l’origine. Ai suoi esordi<br />
il cinema trash fu un vero e proprio moto di protesta nei<br />
confronti del cinema hollywoodiano, messo in atto sul finire<br />
degli anni ‘60 da geniacci quali John Waters, Andy Wharol,<br />
Jack Smith, Paul Morrissey (tanto per citarne una manciata),<br />
i quali assemblarono con mezzi di fortuna le proprie opere e<br />
misero in scena un canovaccio di atrocità, situazioni deliranti<br />
e attori presi in prestito dalla strada per creare una<br />
“rottura” con il consueto modo di fare cinema, allestendo<br />
così una vera e propria protesta/provocazione nei confronti<br />
dello Star System americano.<br />
14
I film analizzati in questo libro non vanno confusi dunque<br />
con quelli che, in origine, venivano definiti film trash.<br />
Un’ulteriore distinzione va operata all’interno del genere<br />
cinematografico di riferimento. Se i lavori di Waters o Warhol<br />
rappresentano infatti un cinema “altro” rispetto all’horror,<br />
altre pellicole s’inscrivono all’interno del medesimo genere.<br />
Impossibile, al riguardo, non citare i film della Troma. Casa<br />
di produzione statunitense specializzata in pellicole horrorsplatter-fantasy<br />
demenziali (“The Toxic Avenger”, “Class of<br />
Nuke ‘em High”, “Tromeo and Juliet”, per citarne alcune),<br />
le opere della Troma possiedano elementi in comune con i<br />
film trattati nel presente volume ma si distinguono da essi<br />
per un motivo fondamentale: nascono col preciso intento di<br />
far ridere lo spettatore, attraverso il cattivo gusto e la comicità<br />
pecoreccia, che poi rappresentano i comun denominatori<br />
dell’opera omnia targata Troma. Qui e lì è possibile ravvisare<br />
anche messaggi di protesta (delle volte accessori e/o pretestuosi)<br />
contro il nucleare, la violenza sulle donne, l’abuso<br />
di droghe e via dicendo, ma la denuncia sociale rimane quasi<br />
sempre a pelo d’acqua e comunque soverchiata da sangue,<br />
frattaglie e gag comiche. Lo spirito iconoclasta e anarcoide<br />
di Lloyd Kaufman (mastermind della Troma assieme a Michael<br />
Herz), peraltro, rende molte pellicole tromiane più vicine<br />
all’insistita ricerca dello shock visivo caro a un John<br />
Waters piuttosto che alla pochezza delle produzioni –<br />
anch’esse trash, ma in modo diverso – di una Full Moon (ex<br />
Empire, <strong>casa</strong> di produzione fondata da Charles Band nel<br />
1983).<br />
I film trattati in questo volume invece, seppur in alcuni casi<br />
sposino il pensiero trash, spesso e volentieri non mirano ad<br />
alcuna forma di protesta, non seguono una precisa filosofia<br />
di pensiero, non si fanno alfieri di una consapevole rivoluzione<br />
cinematografica. Non possiedono ironia dissacratoria.<br />
Sono, semplicemente, realizzati nel modo sbagliato.<br />
Di base falliscono nel rispettare il dogma principale, ossia<br />
incutere paura, e ottengono per assurdo l’effetto contrario.<br />
15
Seppur vi siano esemplari mainstream (dei quali parlerò<br />
più avanti), c’è da dire che uno dei principali ingredienti<br />
rintracciabili in questo genere di film è il budget risicato,<br />
ancor più spesso risicatissimo, che esclude l’utilizzo di mezzi<br />
tecnici adeguati per assemblare un film decente. Poi si passa<br />
a sceneggiature approssimative in grado di concatenare eventi<br />
in modo improbabile ma che, indomite, non si tirano indietro<br />
nel proporre idee che nessun produttore sano di mente<br />
accetterebbe di finanziare. Vampire ninfomani? Televisori<br />
che sfornano zombi? Videoregistratori posseduti dal demonio?<br />
Mostri dall’aspetto più buffo che terrificante? Alieni<br />
arrapati? Squali di cartapesta? Lupi mannari che sfidano la<br />
camorra? Beh, troverete tutto questo e molto altro, all’interno<br />
di storie che non si reggono in piedi neanche a impalarle,<br />
infarcite di trovate discutibili e dal fiato corto e tempestate<br />
di dialoghi – essi sì – da brivido. Ovviamente questi dialoghi<br />
devono essere recitati da qualcuno, e qui entrano in scena gli<br />
attori: nomi quasi sempre sconosciuti al grande pubblico,<br />
lanciati e lasciati allo sbaraglio davanti alla macchina da<br />
presa. Gli esiti sono, come potrete immaginare, disastrosi: la<br />
recitazione appare talmente approssimativa da implementare<br />
ancor di più l’effetto comico involontario.<br />
Immaginate l’estemporanea apparizione di un mostro repellente.<br />
La macchina da presa inquadra in primo piano il<br />
volto dell’attrice che, voltandosi, nota all’improvviso la presenza<br />
e le fattezze del mostro. Sta a lei trasmettere allo<br />
spettatore il senso di terrore che il regista vorrebbe infondere<br />
nella sequenza, l’angoscia del sapersi braccati da un essere<br />
che non ha nulla di umano, la paura che immobilizza mente<br />
e corpo in una morsa di puro sgomento.<br />
Ebbene: a meno che il ruolo della vittima non sia interpretato<br />
da una talentuosa interprete (quelle che in gergo vengono<br />
chiamate “scream queen”), con ogni probabilità tutto ciò<br />
che vedrete sarà una smorfia grottesca, alla quale nessuno<br />
crederà mai e che abbatterà impietosamente qualsiasi tentativo<br />
di conferire un minimo di pathos alla scena.<br />
16
Piuttosto che spaventarvi, insomma, il suo urlo di terrore vi<br />
farà ridere.<br />
Passiamo adesso al comparto tecnico. Assemblati spesso in<br />
tempi ristretti per i sopraccitati problemi di budget, girati<br />
talvolta backtoback con altre pellicole per sfruttare i medesimi<br />
set, troupe e attori, i film in questione palesano evidenti<br />
limiti nella messa in scena e nella cura estetica. Fotografia<br />
talvolta dozzinale, costumi orribili, riprese sfocate, traballanti<br />
e con riverberi di luce in camera, il tutto condito da effetti<br />
speciali caserecci che spesso danno il colpo di grazia agli<br />
horror in questione. Gli animatroni, il make-up, gli interventi<br />
in computer grafica (il cui acronimo è CG) sono lontani anni<br />
luce da ciò che “Il Signore degli Anelli” vi ha abituato a vedere.<br />
Qui i mostri sono spesso attori impacciati che indossano<br />
tute di gomma, il sangue ha tinte mai viste, le interiora<br />
non sono finte ma frutto di un saccheggio ai danni della macelleria<br />
all’angolo, gli zombi indossano mascheroni bislacchi<br />
in volto o, peggio ancora, una semplice passata di vernice<br />
bianca sulla faccia. E la computer grafica non è propriamente<br />
quella di “Matrix”.<br />
Infine, prima che il film sia pronto, si passa alla post-produzione<br />
per montare le varie sequenze e aggiungere musiche,<br />
suoni e altro. E anche qui sono dolori, perché sfido<br />
qualsiasi montatore a tirar fuori cose decenti da materiale assemblato<br />
con così tanta fatica. Perciò c’è la sagra degli errori<br />
di continuità, con attori che entrano da una porta e sbucano<br />
inspiegabilmente da quella al lato opposto, incongruenze<br />
visive a iosa, doppiaggi fuori sincrono, tagli e raccordi fatti<br />
con l’accetta. A commentare il tutto la musica che – quando<br />
non viene sgraffignata da altre pellicole – si risolve in deprimenti<br />
accompagnamenti al sintetizzatore, la qual cosa di<br />
certo non aiuta l’atmosfera a decollare.<br />
A capo di tutto questo c’è il regista.<br />
Povero disgraziato.<br />
Dalla posizione di spettatore in cui mi trovo, che poi è la<br />
stessa in cui vi trovate voi che leggete, è facile sparare a ze-<br />
17
o sul regista. È il capro espiatorio per eccellenza, e ammetto<br />
che – specie in passato – anch’io ne ho scritte di tutti i colori<br />
su questo o quel cineasta. Ciò nonostante, come ogni fan degli<br />
“horror brutti ma divertenti”, continuo a nutrire rispetto per<br />
chi ha realizzato questi film, nonostante i loro evidenti limiti.<br />
Questo perché al di là delle scarse capacità tecniche e/o<br />
narrative, i registi delle opere in questione sono dei <strong>sognatori</strong>.<br />
Per passione, per sfrontatezza o per motivi spudoratamente<br />
“alimentari”, si sono gettati (e molti di loro lo fanno tutt’ora)<br />
in imprese epiche, spesso fuori dalla loro portata, e hanno lasciato<br />
un segno nella storia del cinema. Piccolo o grande che<br />
sia, non importa: credo valga la pena ricordarlo a prescindere.<br />
Personaggi come Ed Wood, Andy Milligan, Ted V. Mikels, Jesus<br />
Franco, Fred Olen Ray (potrei proseguire, ma la lista è<br />
sterminata) hanno raccolto una manciata di spiccioli, qualche<br />
metro di pellicola e tanto coraggio (follia?) per inseguire e dar<br />
forma ai propri sogni – o incubi, a seconda del punto di vista.<br />
Chi sono questi <strong>sognatori</strong>? Qualcuno l’ho già citato, ma nel<br />
ripercorrere la storia dei principali horror entrati nella<br />
leggenda in base ai criteri già evidenziati, di sicuro ne citerò<br />
altri.<br />
continua...<br />
18
ONLY THE BRAVE<br />
di Alessandro Pedrazzi<br />
Pare che il miglior recensore sia sempre quello con il quale<br />
si concorda. Il che ovviamente è lusinghiero (anche per il recensore),<br />
perché se il critico al quale facciamo riferimento è<br />
uno che di film ne ha visti a bizzeffe e magari è pure noto,<br />
riteniamo implicitamente che anche noi ne capiamo un<br />
sacco. Leggere una recensione con la quale conveniamo è<br />
tranquillizzante, cosa che comunque è diversa da “giusta” o<br />
“migliore”. Capita, e capita spesso agli individui di mentalità<br />
aperta, di scoprire che altre persone abbiano idee diverse<br />
dalla propria, idee davvero originali. Sulle prime l’istinto è<br />
di rifiutare i nuovi modelli, poiché l’essere umano funziona<br />
secondo il principio di coerenza che lo porta a cercare cose e<br />
concetti che confermino il proprio modello di pensiero. Ma<br />
se ci si sforza un poco si riuscirà ad accettare il fatto che una<br />
recensione antipatica possa nascondere qui e lì piccole verità.<br />
In effetti, a ben riflettere, che necessità c’è di leggere una<br />
recensione che dice al cento per cento cose che avevamo già<br />
capito da soli? Di fatto, e questa cosa il lettore la capisce velocemente,<br />
quello che fa preferire un recensore a un altro<br />
non è tanto la percentuale d’intesa ma lo stile di scrittura,<br />
poiché la recensione è una forma di letteratura e ogni letteratura<br />
ha i propri scrittori. Il bravo recensore, quindi, prima di<br />
tutto è uno bravo intrattenitore letterario che, caso vuole,<br />
ama scrivere di cinema.<br />
So quanto sia difficile non prendersela a male quando<br />
qualcuno dà giudizi superficiali su un film al quale noi teniamo<br />
tantissimo, oppure quando incensa una pellicola che<br />
noi vorremmo dare alle fiamme. In rete le risse si sprecano,<br />
un film qualsiasi diventa in molti (troppi) forum, e in alcune<br />
20
ecensioni di commentatori biliosi, l’occasione per scatenare<br />
dei demenziali litigi che esulano dall’analisi del film e<br />
approdano a scambi di battute ben poco shakespeariani. E<br />
del film che aveva innescato il litigio alla fine non parla più<br />
nessuno. Ma vale davvero la pena litigare per una cosa del<br />
genere? Si spera davvero di convincere una persona aggredendola?<br />
Lo scambio dialettico è un’ottima cosa perché ci<br />
permette di capire le ragioni di chi abbiamo davanti, il quale,<br />
magari, ha notato lati di un film che ci erano sfuggiti.<br />
Con un po’ di umiltà potremmo scoprire che nessuno ha ragione<br />
in assoluto ma che molti hanno le loro ragioni. E se<br />
così non fosse non avrebbe alcun senso l’esistenza di una<br />
molteplicità di recensori (me compreso), poiché esisterebbe<br />
solo un’interpretazione corretta e quindi basterebbe eleggere<br />
un solo recensore che promana da Dio e dice sempre cose<br />
esatte. La critica cinematografica è – e dovrebbe essere intesa<br />
– come uno scambio di idee fra chi ha visto un po’ più di<br />
film ma ha mantenuto una sana dose d’umiltà, e chi di film<br />
ne ha visti meno e dovrebbe conoscere il valore del rispetto,<br />
perché il cinema è sentimento ma anche storia e non tutte le<br />
competenze possono essere improvvisate. È un atteggiamento<br />
molto arrogante credere di capire tutto di un film solamente<br />
per averlo guardato con i propri occhi. I film hanno<br />
una storia che va al di là di quella raccontata sullo schermo.<br />
Essi possiedono una meta-storia fatta di ciò che sta dietro: la<br />
realizzazione, le idee, le persone. Ciò che noi vediamo, e<br />
che dura circa due ore, è il risultato di giorni, settimane, mesi<br />
di lavoro. Non voglio dire che per ogni film che si guarda<br />
occorra compiere degli studi e degli approfondimenti, ma ci<br />
sono film che meritano un’attenzione che deve andare,<br />
seppur un minimo, al di là della durata del film stesso. Non<br />
tutto nella vita è d’immediata comprensione e così è il cinema.<br />
Ad esempio, non si può dare nessun giudizio su un film<br />
se non si tiene conto del periodo storico in cui è stato prodotto.<br />
Non si può pensare di guardare i film e di giudicarli<br />
da un punto fisso con un unico metro di giudizio a-storico,<br />
21
che in genere è la propria reazione emotiva alla pellicola. Se<br />
guardate un film horror del ‘70 e notate che il sangue ha un<br />
colore rosso fiammante inverosimile e che gli effetti speciali<br />
non sono uguali a quelli che avete appena visto al cinema in<br />
un film prodotto nel 2011 tramite computer grafica, oppure<br />
che guardando un film comico degli anni ‘30 non ridete per<br />
nulla, o anche che “La Guerra dei Mondi” (1953) è fantascienza<br />
fatta male perché le astronavi non volano veloci come<br />
la Millennium Falcon... beh, siete davvero fuori strada.<br />
Al di là dell’ottica a-storica con la quale molte persone giudicano<br />
un film, in linea generale sono due i macro-atteggiamenti<br />
da evitare.<br />
Il primo: mai cadere nella trappola di coloro che vogliono<br />
farvi credere che il cinema sia degno di essere visto solo se<br />
“d’impegno”, d’essai, arthouse. Queste persone vi racconteranno<br />
di quanto sia bello il “Decalogo” di Kieślowski (che<br />
in effetti è bello) ma vi guarderanno con infinita pietà se direte<br />
di aver apprezzato “Predator” con Schwarzy (film<br />
anch’esso pregevole). “Americanate!” vi sentirete rispondere.<br />
I fratelli Taviani, Antonioni, Chaplin, il cinema indipendente...<br />
dite queste parole ed essi avranno un orgasmo! Queste<br />
persone ritengono che solamente le opere più incomprensibili,<br />
quelle più legnose, quelle di una certa corrente politica,<br />
rappresentino in pieno il concetto di cinema. Tali persone temono<br />
sopra ogni cosa di sembrare stupide e quindi si bevono<br />
i film più astrusi pisciando panegirici con la speranza di<br />
apparire colti, profondi e non superficiali. Li vedrete sforzarsi<br />
nella ricerca di doppifondi culturali e, se non ne troveranno,<br />
ne creeranno loro in bella posta, forzando contenuti e<br />
concetti. Ma “inintelligibile” non è sinonimo di “intellettuale”.<br />
Solitamente poi – cosa peggiore – questa gente ha visto<br />
pochi film, sempre del solito genere e soprattutto si è lasciata<br />
istruire per bene su cosa debba essere colto e su quale<br />
cineasta debba essere considerato un artista. E pretendono di<br />
imboccarvi nello stesso modo. Per loro l’horror è un cinema<br />
di secondo ordine: a parte “Shining” di Kubrick, of course.<br />
22
Secondo punto: mai cadere nella trappola di coloro che vogliono<br />
farvi credere che il cinema “d’impegno”, d’essai,<br />
arthouse, sia un cinema da evitare. Nella vita ognuno fa ciò<br />
che vuole, ovvio, ma sappiate che rinunciando aprioristicamente<br />
alla visione di certe pellicole perderete parecchie<br />
emozioni ed esperienze. Non è vero che i vecchi film, quelli<br />
in bianco e nero ad esempio, siano tutti noiosi e banali, non<br />
è vero che andare a vedere Antonioni, i fratelli Taviani e<br />
Chaplin sia palloso. I film di una volta e quelli più impegnati<br />
sono spessissimo la colonna vertebrale sulla quale si<br />
regge tutto il cinema e vi stupirebbe sapere quanti dei moderni<br />
ed “originali” film siano debitori verso i più vecchi.<br />
È scontato che non si nasca esperti. Occorre leggere ciò<br />
che altri, prima di voi, sono arrivati a capire su una determinata<br />
opera. Dopo esserci informati a dovere, abbiamo il diritto<br />
di pensarla diversamente. Il cinema è un fenomeno artistico<br />
e come tale permette una fruizione e una comprensione<br />
relative alla soggettività. Se un film vi ha fatto paura, e una<br />
recensione sostiene che il film è una buffonata, rimane il<br />
fatto che quel tale film vi ha fatto paura. Allo stesso modo,<br />
non esitate a ritenere emozionante un film che vi ha fatto<br />
commuovere, anche se c’è chi sostiene che il tale film sia un<br />
chick flick, una pellicola per svenevoli donnette. Certo, potete<br />
anche uniformarvi e, mentendo a voi stessi e agli altri,<br />
affermare di non aver provato paura o di non aver pianto...<br />
ma ne vale davvero la pena?<br />
Attenti però a giudicare solo in base alle vostre emozioni. Iniziate<br />
a dubitare del vostro giudizio se vi accorgete di mal digerire<br />
interi generi: è impossibile che tutti gli horror, tutti i film<br />
d’azione, tutti i film comici, per esempio, siano brutti o malfatti.<br />
È chiaro che esistono film che riescono a toccare le nostre<br />
corde più di altri ma non bisogna prescindere dall’importanza<br />
storica, dalla tecnica con la quale una pellicola è stata realizzata<br />
e così via.<br />
Per quanto riguarda il genere trattato in questo libro, nessuno<br />
pensi di poter sparare a zero sul cinema horror solo perchè<br />
23
itenuto un genere più leggero, meno passibile di riletture<br />
profonde e di concetti seriosi. Non relegate l’horror a un fenomeno<br />
adolescenziale o morboso, benché possa anche diventarlo<br />
(come moltissime altre cose, invero). Aver visto<br />
qualche film con Freddy, Jason e Michael non vuol dire conoscere<br />
l’universo del cinema “di paura”.<br />
Solo prescindendo dalla tensione che un film è in grado di<br />
instillare, e attraverso un approccio onnivoro e curioso, è<br />
possibile scoprire che c’è anche un cinema horror nato per<br />
far paura e che alla fine, nonostante i molteplici sforzi, ottiene<br />
l’effetto contrario. È un tipo di cinema che mantiene integra<br />
la sua dignità, proprio perché riesce a smuovere qualcosa<br />
dentro. A intrattenere. La risata è anch’essa un’emozione,<br />
l’altra faccia della medaglia – se vogliamo. Si ride per<br />
esorcizzare la paura, quando un film fa paura. Si ride per<br />
riempire il vuoto, quando la paura ha voltato le spalle al film<br />
ed è andata a farsi un giro. Delle volte queste pellicole annoiano,<br />
ma si riscattano all’improvviso grazie a una sequenza<br />
inverosimile, a un dialogo raffazzonato, a un effetto speciale<br />
che di speciale non ha nulla, se non la grossolanità. Ciò che<br />
vediamo acquisisce allora un senso, un suo senso. E finché un<br />
film è in grado di emozionare, vale sempre la pena parlarne.<br />
Coloro che invece hanno visto centinaia di film dell’orrore,<br />
non pensino che per loro “il mattino ha l’oro in bocca”, non<br />
credano di essere arrivati solo perché citano opere underground<br />
che gli altri non conoscono. Volate basso e se davvero amate<br />
il cinema, questo cinema, fate conoscere i film di cui parlate.<br />
È l’obiettivo che mi propongo di raggiungere nelle pagine<br />
che verranno. Parlerò di alcune tra le pellicole più disastrose<br />
e/o divertenti (o tutt’e due le cose) che io abbia mai visto nel<br />
mare magnum del cinema horror, nella speranza di fornire,<br />
in tal modo, il mio piccolo contributo alla causa.<br />
continua...<br />
24
ALTRE VISIONI<br />
In questa sezione troverete l’analisi (breve, a volte brevissima)<br />
di film che non sono stati citati nelle pagine precedenti<br />
per questioni di spazio, o che sono stati citati en passant.<br />
Si tratta di pellicole meritevoli di menzione, in alcuni<br />
casi già assurte allo status di cult. E che potrebbero essere<br />
oggetto – un giorno – di un secondo volume dedicato al cinema<br />
horror trash/weird.<br />
7 PER L’INFINITO CONTRO I MOSTRI SPAZIALI<br />
ANNO: 1970<br />
REGIA: Al Adamson<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: gli uomini-aragosta.<br />
Fantahorror bislacco un po’ su tutti i fronti (a partire dal titolo),<br />
che vede un gruppetto di scienziati alle prese con<br />
vampiri che schiavizzano uomini primitivi su un altro pianeta.<br />
Trash fin nelle ossa, il film ha la capacità di accecare<br />
letteralmente lo spettatore attraverso continui cambi di colore.<br />
Il filtro della fotografia non è mai stato usato così a<br />
sproposito.<br />
ALIEN ABDUCTION<br />
ANNO: 2005<br />
REGIA: Eric Forsberg<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: l’aspetto degli alieni, le scene<br />
di combattimento.<br />
Difficile stabilire quale titolo della <strong>casa</strong> di produzione Asylum<br />
sia il peggiore. “Alien Abduction” se la gioca, visto che<br />
lo squallore raggiunto dagli attori, dai dialoghi e dai movi<br />
26
menti di camera è di tutto rispetto. In teoria dovrebbe<br />
scimmiottare “Bagliori nel Buio” (di Robert Lieberman,<br />
1993), dal quale riprende il tema del rapimento alieno.<br />
AMOK TRAIN<br />
ANNO: 1989<br />
REGIA: Jeff Kwitny<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: i dialoghi, le scene girate nel<br />
villaggio slavo.<br />
Prodotto da quella vecchia volpe di Assonitis, è conosciuto<br />
con una sfilza di altri nomi (“The Train”, “Beyond the Door<br />
III”, “Evil Train” e chissà quanti altri). Molto sanguinoso, ma<br />
scadente nei dialoghi (a tratti allucinanti) e nella messinscena,<br />
basta dare un’occhiata alle facce degli attori che interpretano<br />
la popolazione locale. Alcuni lo considerano un discreto<br />
horror, giudizio generoso derivante forse dal fascino retrò<br />
tipico dei Bmovie splatter anni ‘80.<br />
LA BARA DEL VAMPIRO<br />
ANNO: 1972<br />
REGIA: John Hayes<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: i dialoghi (in particolare<br />
quando apre bocca il prof. Lockwood) e l’inespressività del<br />
giovane protagonista (l’attore William Smith).<br />
Film statunitense sui vampiri che – incredibile a dirsi, vista la<br />
qualità – riscosse un discreto successo anche da noi in Europa.<br />
Diverte nella prima parte, quando papàvampiro aggredisce<br />
la coppietta che amoreggia nel cimitero (va beh, anche<br />
in altri film il camposanto risveglia certi desideri, “Dellamorte<br />
Dellamore” di Michele Soavi docet), poi il plot del film si<br />
avvicina a quello dei manga horror/fantasy incentrati su faide<br />
e vendette tra mostri consanguinei. Gli attori e gli scambi<br />
di battute tengono desta l’attenzione del trashseeker, comunque.<br />
27
BLACK ROSES<br />
ANNO: 1988<br />
REGIA: John Fasano<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: lo scontro tra il professore e il<br />
capo dei demoni, nel finale.<br />
Dopo aver sfornato “Rock ‘n’Roll Nightmare”, Fasano ci riprova<br />
con questa pellicola che vede una band di metallari<br />
coatti (il cui nome farebbe pensare agli allora famosissimi<br />
Guns N’ Roses) guidata da un emissario del diavolo. Girato<br />
male e interpretato peggio. Della partita è anche il mitico<br />
batterista Carmine Appice.<br />
BLOODBEAT<br />
ANNO: 1985<br />
REGIA: Fabrice A. Zaphiratos<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: le apparizioni del samurai.<br />
Cosa ci faccia un samurai nel Wisconsin non è dato sapere,<br />
visto che tutto il film appare reticente. Tentiamo un’interpretazione:<br />
visto che una ragazza ha degli orgasmi irrefrenabili<br />
quando appare il samurai, l’assassino del film potrebbe<br />
rappresentare quello che il poltergeist di “Entity” rappresentava<br />
per Carla Moran e suo figlio. Il prodotto di una sessualità<br />
anormale, insomma. Va beh. Da segnalare gli effetti<br />
di luce, fra i più camp mai visti in ambito horror.<br />
BLOOD SHACK<br />
ANNO: 1971<br />
REGIA: Wolfgang Schmidt (Ray Dennis Steckler)<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: la messinscena poveristica, la<br />
regia e gli interpreti.<br />
Pellicola scalcinata che narra di una divinità indiana (in<br />
calzamaglia) che uccide un po’ di gente. Messa su alla bell’e<br />
meglio dallo stesso regista di “The Incredibly Strange Creatures<br />
Who Stopped Living and Became MixedUp Zombies”.<br />
Chi ha visto quel film sa già cosa aspettarsi.<br />
28
BLOOD TRACKS – SENTIERI DI SANGUE<br />
ANNO: 1985<br />
REGIA: Mike Jackson<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: l’imperizia di regista e attori.<br />
Come si fa a non inserire in questo libro un film che parte<br />
con una valanga causata da un gruppo metal (esteticamente<br />
dei Tokyo Hotel ante litteram) che sta girando un videoclip<br />
in montagna? Incrocio tra gli horror rockmovie tipici degli<br />
Eighties e le pellicole con gli hillbillies assassini, fa parte di<br />
quella lunga lista di film che dipinge i metallari come dei<br />
perfetti idioti erotomani. Ma “This is Spinal Tap” è un’altra<br />
cosa.<br />
BLOODY PSYCHO<br />
ANNO: 1989<br />
REGIA: Leandro Lucchetti<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: il dialogo tra il barbone e il<br />
pranoterapeuta, nell’incipit; le faccette di Peter Hintz; la scena<br />
della tazza da tè scagliata sul pavimento.<br />
Non il peggiore horror italiano come vuole qualcuno, e<br />
neanche il peggior episodio della serie “Lucio Fulci presenta”<br />
(lì è sfida aperta tra “Massacre” e “Hansel e Gretel”).<br />
I motivi di interesse però sussistono, a partire da una<br />
recitazione a dir poco approssimativa per arrivare ai dialoghi<br />
grevi. Tutta la trama, inoltre, non pare avere un gran<br />
senso. Peccato, perché l’omicidio nel lavatoio è interessante.<br />
THE BOXER’S OMEN<br />
ANNO: 1983<br />
REGIA: Kuei Chi Hung<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: l’attacco dei pipistrelli che<br />
fuoriescono dai teschi dei coccodrilli.<br />
Se il Messico incrociava horror e wrestling, giustamente a<br />
Hong Kong incrociavano horror e Thai Boxe. Il film in questione<br />
non è per stomaci deboli, dal momento che i personaggi<br />
mangiano e vomitano di tutto. Mostra però una certa<br />
29
cura (come quasi tutti i film orientali) nella fotografia e<br />
nelle scenografie. Weird più che ridicolmente brutto, però<br />
c’è da ridere.<br />
THE BRAINIAC<br />
ANNO: 1962<br />
REGIA: Chano Urueta<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: ovviamente le fattezze del<br />
mostro, in pratica un tizio con una maschera di gomma sul<br />
volto (dotata però di lingua chilometrica) e guanti artigliati<br />
che paiono le chele del dottor Zoidberg di “Futurama”.<br />
Noto anche col titolo originale di “El barón del terror”, narra<br />
la storia di un tale (il Barone del titolo) che compie un salto<br />
temporale di trecento anni per vendicarsi di chi, durante<br />
l’Inquisizione, lo condannò al rogo come eretico. Impedibili<br />
le trasformazioni del protagonista e il finale, con lo scontro<br />
fra mostro e polizia.<br />
BREEDERS<br />
ANNO: 1986<br />
REGIA: Tim Kincaid<br />
UN MOTIVO PER RIDERE: l’ingloriosa fine del mostro,<br />
abbattuto da una semplice randellata.<br />
A Kincaid va la riconoscenza di tutti gli appassionati, visto<br />
che ci ha fornito – a metà anni ‘80 – fulgidi esempi di fantascienza<br />
caciarona e scombinata. Qui siamo nella media (la<br />
sua media, per intenderci), ragion per cui la visione di “Breeders”<br />
è fortemente consigliata. Kincaid lavora adesso nel<br />
campo del pornogay, ambito nel quale sta riscuotendo<br />
grande successo, tanto da essere entrato nella “Gay Hall Of<br />
Fame”.<br />
continua...<br />
30
INTERVISTA A LUIGI COZZI<br />
Qui di seguito trovate un’intervista a Luigi Cozzi, regista,<br />
aiuto-regista, sceneggiatore, effettista e scrittore noto per le<br />
collaborazioni con Dario Argento (“Quattro Mosche di<br />
Velluto Grigio” in primis) e per diversi film girati negli anni<br />
‘70 e ‘80.<br />
Dai fan del cinema di genere, però, il nome di Luigi Cozzi<br />
viene inevitabilmente associato a “Paganini Horror”. Se con<br />
buona ragione o meno, lo lasciamo stabilire a lui. In effetti<br />
questa intervista ha anche lo scopo di dare voce a chi – nei<br />
saggi sul cinema – raramente ha la possibilità di replicare.<br />
Ovviamente “Illusioni svelate” non è un atto di accusa, bensì<br />
un omaggio a un certo tipo di cinema horror. Ci è parso interessante,<br />
tuttavia, confrontare il giudizio (spesso implacabile)<br />
dello spettatore medio con quello di chi conosce tutti i retroscena<br />
relativi alla produzione di un film.<br />
L’intervista è stata raccolta da Alex Visani nel settembre di<br />
quest’anno, gli autori delle differenti domande sono stati<br />
specificati tra parentesi.<br />
Approfittiamo dell’occasione per ringraziare Luigi Cozzi,<br />
persona gentile, disponibile e dotata di un invidiabile sense of<br />
humour.<br />
L’editore (A. M.) e gli autori (A. P. e A. V.)<br />
1. Regista, sceneggiatore, effettista, produttore. Un’esperienza<br />
a 360° in quella che viene definita “la fabbrica dei<br />
sogni”, cioè il cinema. Tuttavia questa definizione è relativa<br />
più che altro al risultato finito. Cos’è in effetti il cinema visto<br />
da dentro? (A. P.)<br />
Qualcosa di diverso. Qualcosa che peraltro cambia coi tempi.<br />
Oggi in Italia il cinema non esiste più. C’è la fiction, che pe-<br />
32
ò è un’altra cosa. Tutto è terminato alla fine degli anni ‘80.<br />
In precedenza c’erano tanti produttori, tanto mercato, tanto<br />
pubblico. Serviva un’idea e poi occorreva farla circolare.<br />
Delle volta bastava guardare gli incassi dei film altrui e scovare<br />
un titolo. Racconto un aneddoto: io avevo visto “Alien”<br />
a New York. Torno qua in Italia e Valenti (Ugo Valenti, produttore<br />
di “Contamination”, N.d.R.) mi confida: “servirebbe<br />
un film di fantascienza, però deve costare poco perché abbiamo<br />
pochi soldi”. Io gli propongo: “facciamo Alien Arriva<br />
sulla Terra”, e lui dice: “Cazzo che idea!”. Fa realizzare<br />
subito un manifesto col mostro e mi chiede un soggetto.<br />
Scrivo una paginetta e al MIFED (mercato internazionale<br />
dei film) si riuniscono i produttori di tutto il mondo. Valenti<br />
va su e torna coi contratti. Mi dice: “abbiamo i contratti, ora<br />
bisogna scrivere la sceneggiatura”. Era un altro mondo,<br />
capisci? Oggi la locandina è l’ultima cosa che viene fatta,<br />
invece allora era l’unica cosa che esisteva, assieme a un<br />
soggetto scritto su una paginetta e tradotto in inglese. Altri<br />
tempi.<br />
2. Gli anni ‘70 e gli anni ‘80 hanno rappresentato il periodo<br />
più fertile per la produzione di pellicole a basso costo, al<br />
di là della loro effettiva riuscita. Che ricordo ha di quel periodo?<br />
(A. M.)<br />
Oddio, a basso costo non direi, perché quei film costavano.<br />
Io sostengo spesso di aver fatto film con pochi soldi, ma<br />
intendo dire che i soldi erano pochi per poter realizzare un<br />
film di spessore. Certe volte me ne davano tanti, ma si trattava<br />
comunque di cifre insufficienti a realizzare quello che il<br />
copione prevedeva. Erano a basso costo rispetto alle produzioni<br />
che c’erano all’epoca, ma “Paganini Horror” ad esempio<br />
fu realizzato con un budget di un miliardo di lire. Considerato<br />
il tempo che è trascorso, parliamo di 1,5 o 2 milioni di<br />
euro odierni, e oggi non si fanno film con questo budget. Il<br />
problema è che allora quelle cifre le recuperavi, oggi non<br />
33
più. Il mercato è cambiato. Per i DVD non ti danno niente,<br />
tanto tutti se li scaricano gratis. I canali televisivi sono interessati<br />
ad altro, i film horror non li comprano, e se li comprano<br />
li trasmettono da mezzanotte in poi, quando non c’è<br />
pubblicità. E senza pubblicità… guadagno zero.<br />
3. Non le è mai tornata la voglia di rimettersi in gioco come<br />
regista, magari approfittando (come già Bruno Mattei)<br />
dell’avvento della tecnologia digitale? (A. M.)<br />
Per Mattei è stato più semplice perché lui girava a modo<br />
suo. Io sono stato costretto a vedere un solo film di Mattei, i<br />
produttori dicevano che il girato faceva schifo e che bisognava<br />
rimetterci mano. Chiesero a me di occuparmene. Il film<br />
era “I Magnifici Sette Gladiatori”, e in effetti faceva schifo.<br />
Quel film l’aveva fatto con un mucchio di soldi e nonostante<br />
questo... D’altronde Mattei era un bravo montatore, non un<br />
regista. Comunque col digitale ho già lavorato tantissimo,<br />
ho sempre sostenuto che avrebbe spazzato via le vecchie<br />
tecniche. Il problema è: che cosa realizzi oggi? Fare qualcosa<br />
tanto per non restare con le mani in mano non ha senso. I<br />
problemi distributivi si rivelerebbero enormi e il film spacciato<br />
in partenza. Magari con un buon soggetto… che poi è quello<br />
che manca oggi. Tutti fanno film ma di soggetti interessanti<br />
non ce n’è.<br />
4. Le secca essere ricordato spesso come il regista di “Paganini<br />
Horror” piuttosto che per un solido e convincente<br />
thrilling come “L’Assassino è Costretto a Uccidere Ancora”?<br />
(A. M.)<br />
Io ritengo che un bravo regista deve sapersi muovere fra<br />
più generi. In Italia vengo ricordato come il regista di quel<br />
film – dai fan di genere – perché di horror ho girato solo<br />
quello. A parte “Black Cat”, che però non ha avuto distribuzione.<br />
In verità il mio più grande successo in Italia è stato<br />
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“Dedicato a una Stella”, che arrivò primo in classifica. Il secondo<br />
maggiore incasso l’ho avuto con “Starcrash”, che però<br />
piace agli appassionati di fantascienza. “Contamination”<br />
è già una fantascienza diversa, mischiata con l’horror.<br />
“L’Assassino è Costretto a Uccidere Ancora” è di genere<br />
giallo. E al fan del giallo importa poco la mia produzione<br />
fantascientifica. Del genere sentimentale poi gliene frega<br />
anche meno. Sono fasce di pubblico diverse. Per esempio in<br />
Francia vengo invitato per parlare di “Starcrash”, lì lo adorano.<br />
In Giappone mi chiamano per il “Godzilla” colorizzato,<br />
altrove per “Contamination” o per “Hercules” che ho fatto<br />
con Lou Ferrigno. Questa suddivisione mi fa piacere, significa<br />
che ho lasciato un segno in più generi.<br />
5. Ma cosa ne pensa oggi di “Paganini Horror”? (A. V.)<br />
continua...<br />
35
2011 I <strong>sognatori</strong>, Lecce<br />
ISBN 978-88-95068-16-9<br />
Per contattare la <strong>casa</strong> <strong>editrice</strong> I <strong>sognatori</strong>,<br />
consultare il sito internet:<br />
www.<strong>casa</strong>dei<strong>sognatori</strong>.com<br />
e il blog:<br />
<strong>casa</strong>dei<strong>sognatori</strong>.splinder.com<br />
In copertina: disegno di Francesca Santamaria