<strong>GIANFRANCO</strong> <strong>GIORNI</strong> SCULTURE 4 Bimbo che esulta, 2000 - bronzo - cm. 83 x 49 x 16
Il piacere della forma Attilio Brilli Viaggio all’Acqua viola. L’artista vive sempre in un mondo a se stante. Per Gianfranco Giorni, anche l’atelier dove lavora appartiene a questa geografia immaginaria. Provate a cercare il luogo dove impasta le crete e fonde i suoi bronzi: si chia- ma L’acqua viola. Basta pronunciare queste parole per perderete subito l’orientamento. E’ inutile che lui, l’ar- tista, cerchi di convincermi dicendo che il posto dove abita e dov’è il suo studio era un tempo solcato da una rete di canali che adducevano acqua ai mulini, e che un qualche riflesso d’alba o tramonto, chissà, o un qual- che rilascio della pianta colorante del guado, potrebbero avere suggerito l’inconsueto appellativo. Per me il nome continua ad alitare a mezz’aria come una libellula e quindi m’affido ai più prosaici cartelli stradali. Ai piedi di Anghiari, questi m’invitano ad imboccare la strada per Caprese Michelangelo (un augurio non da poco) e, dopo nemmeno un mezzo miglio - unità di misura per viaggiatori, non per turisti - a svoltare sulla destra verso Viaio, là dove s’incrociano, si direbbe, tutte le vie. Quello dove sorge lo studio artistico di Giorni è un angolo incantato della Valtiberina. Inquadrato da mezza costa, subito dopo essersi lasciati alle spalle il bastione anghiarese, quell’intatto spicchio vallivo conserva un singola- re nitore. Mi sono chiesto tante volte da dove scaturisse la sottile familiarità di quell’appartato angolo di mondo, se dalla sua luminosità cristallina o dalla mancanza di manufatti recenti, finché, dopo essermi ricordato come già nel Battesimo di Piero della Francesca lo stradone d’Anghiari solcasse la rorida valle, ho riannodato le fila delle associazioni. E’ la vecchia storia, sempre valida, dell’arte che ci insegna a scoprire la natura e il paesaggio. Giungere all’Acqua viola è come planare in un fondale pierfrancescano, dunque. Il solo viaggio allo studio dell’artista è, già di per sé, ampiamente remunerativo. Ed è un buon viatico per quello che ci aspetta e che ci accingiamo a scoprire. Qualsiasi altra opera che non avesse saputo intrattenere un colloquio con i canoni armonici di questa limpida arcadia sarebbe qui una stonatura. Ma non costituiscono note stonate i bambini di bronzo, le musicanti laccate, gli animali di creta che costellano, in simulato, indolente abbandono, la corte, i muretti e le prode dei campi. Agli occhi del visitatore appaiono anzi come non potranno mai essere altrove, opere che, vestendosi di spazio e di luce, sembrano stirare le membra e assaporare per la prima volta l’auto- nomia della propria esistenza. I bronzi non hanno messa la pelle che conferiscono loro le intemperie e si pre- sentano ancora con i lacerti candidi della camicia di refrattario, i gessi indugiano nella frescura del bagnoma- ria, le terrecotte sfidano imperterrite l’abbronzatura più feroce. Un giardino di delizie, quello che attende il visitatore all’Acqua viola, e un giardino di magiche metamorfosi. Senza per altro riferirsi al momento supre- mo della creazione che, specie con le colate del bronzo, assume, per chi abbia l’occasione di assistervi, un fascino negromantico e antico. <strong>GIANFRANCO</strong> <strong>GIORNI</strong> SCULTURE 5