Lola Italiana - Teatro Out Off
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teatro che è essenzialmente celebrazione, in<br />
cui non ci sono spettatori ma partecipanti e<br />
gli attori sono officianti di una sorta di rito.<br />
Con questa immagine del teatro/chiesa siamo<br />
entrati nel pieno della conferenza. Per<br />
Testori, infatti, quello di Strehler o di Ronconi<br />
non è teatro vero, è piuttosto decorazione,<br />
un'attività esclusivamente estetica e<br />
quindi non sufficientemente fondata. Che<br />
cos'è il teatro vero, allora? Lo scrittore usa<br />
due immagini. Il suo primo ricordo di infanzia,<br />
in un paese dov'era in villeggiatura,<br />
quello di un uomo arrestato e ammanettato<br />
fra due carabinieri che gli disse qualche cosa<br />
che forse non sentì o non ricorda: una bocca<br />
aperta per salutare o forse per bestemmiare.<br />
E poi la Figura stampata sul cartoncino di<br />
invito, un quadro di Francis Bacon dove si<br />
vede solo una macchia di sangue su un pavimento<br />
sgombro. Ecco, quella traccia di sangue,<br />
"quel lacerto di essere umano", la testa<br />
decapitata di Giovanni Battista, insomma il<br />
corpo umano nella sua fragilità, è per Testori<br />
il senso della parola teatrale».<br />
Ugo Volli<br />
da "la Repubblica", 13 gennaio 1988<br />
«(…) L'altra sera, per il primo dei tre incontri<br />
all'<strong>Out</strong> <strong>Off</strong>, seduto dietro un piccolo tavolo,<br />
dove fissava attentamente l'immagine di<br />
Francis Bacon, un particolare di Blood on<br />
the Floor, che fa da cartoncino di presentazione,<br />
Testori interpretando quel grumo di<br />
sangue, ne faceva sentire non solo il dramma,<br />
ma anche lo sconcerto, perché proprio<br />
dal sangue bisogna partire per arrivare alla<br />
parola, soprattutto a quella del palcoscenico.<br />
Non si tratta di un rito iniziatico, ma<br />
purificatorio, dato che la parola teatrale ha<br />
bisogno di rinascere, di far sentire sul palcoscenico<br />
nudo, simile ad un altare, la<br />
forza della comunicazione e non la debolez-<br />
za del nulla, di restituire sacralità all'uomo<br />
che l'ha persa. Non può sottoporsi, però, a<br />
spoliazioni di comodo: la sua nudità deve<br />
possedere la forza della materia, che è poi<br />
quella del corpo, fatto di anima e di sangue.<br />
Il sangue potrebbe essere anche l'immagine<br />
del nostro tempo, un'immagine di violenza,<br />
di sopraffazione: la parola deve essere violenta,<br />
ma non violentare, deve concedersi<br />
nella sua assenza originaria per pervenire<br />
ad un'estensione cosmica, senza trucco,<br />
senza abbellimento, senza furore estetico,<br />
ma col suo suono della propria libertà (…)».<br />
Andrea Bisicchia<br />
da "Avvenire", 13 gennaio 1988<br />
«(…) Un uomo, seduto a un tavolino in una<br />
stanza spoglia, mette a nudo la propria esperienza<br />
e attraverso di essa interroga i presenti.<br />
È già un esempio di un teatro che non<br />
concede margini per imbellettamenti e<br />
distrazioni, limitandosi all'essenziale: una<br />
parola, un corpo. È forse questa anche l'idea<br />
di teatro che Testori sente in questo momento<br />
il più congeniale per illustrare le sue intuizioni<br />
su un teatro necessario, in un percorso<br />
appassionato e polemico (contro il "teatro<br />
degli arredatori", categoria in cui rientrano<br />
anche Ronconi e Strehler, e contro la mediazione<br />
delle traduzioni che mortificano la<br />
forza e la violenza poetica dell'originale),<br />
ricollegandosi spesso alla propria memoria<br />
personale, intima, a volte volutamente fuori<br />
dai canoni, a volte strabordante di autentico<br />
pathos. (…) Una drammaturgia vissuta con<br />
tutta la forza, la disperazione, la scomoda<br />
autenticità di quel grumo informe che è la<br />
vita per fare della scena il luogo in cui è possibile<br />
"riconoscere la propria catena per ritrovare<br />
la propria libertà"».<br />
Oliviero Ponte di Pino<br />
da "l’Unità", 24 gennaio 1988<br />
Giovanni Testori<br />
1987.1988