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4

orientarsi nella medina

Politecnico di Milano - Facoltà del Design

Laurea Specialistica in Comunicazione per la

Valorizzazione dei Beni Culturali

Anno Accademico 2004-2005

Tesi di Laurea - Luigi Farrauto

Relatore: Stefano Mandato

Correlatore: Luciano Perondi

Scritto con

TheMix, TheSans, TheSerif, disegnati da Lucas de Groot

Tahoma, disegnato da Matthew Carter


5

La ville se montre à qui la contemple dans son bel éclat et lui dit:

“Viens donc dans ce lieu où le charme demeure!”

Muhammad ibn Giubayr, Damas


Sommario

0

8 Premessa. 10 Introduzione.

Orientarsi nella medina.

definizione del

problema

L’orientamento all’interno

della medina.

6

orientarsi nella medina

1 Gli

arabi e la loro

scrittura

14 La parola e l’arte islamica.

16 Scrittura e architettura.

18 Moschea, duomo e tempio:

scritture a confronto. 22 Tra

immagine e testo: i calligrammi.

28 La scrittura come genesi

del mondo. 32 La tipografia

araba: intervista a Nadine

Chahine. 37 Bibliografia.

Importanza scrittura.

Pittogrammi o no?

2 La

rappresentazione

dello spazio

40 Orientarsi negli spazi

estesi: cenni sull’evoluzione

delle mappe. 44 La cartografia

Islamica: origini e diffusione.

50 Al-Idrisi e Piri Reis, ponti tra

culture. 54 La prima geografia

araba, le mappe-diagramma.

56 Al Farisi Istakhri: un

precursore di Harry Beck? 61

Bibliografia.

ricerca semantica ricerca sintattica

Relazioni tra elementi.

Geometria e schematizzazione.


3 Infodesign

e orientamento

spaziale

64 Da esploratori a turisti:

le mappe diventano cartine.

66 Wayfinding e mappe

cognitive. 70 I segnali ed il

bilinguismo: la questione dei

pittogrammi. 74 Analisi casi

notevoli di segnaletica urbana.

88 Segnaletiche nel mondo.

91 Bibliografia.

7

4 La

città vecchia di

Damasco

94 Analisi stato dell’arte: tipografia

spontanea, segni, colori.

116 Trasformazioni della città:

luce/ombra, giorno/notte,

“oggi/domani”. 122 Spazio

fisico e flussi. 126 Damasco dai

5 sensi. 131 Bibliografia.

analisi cognitiva localizzazione del

problema

No pittogrammi per segnali

bilingue: coerenza

comunicativa e “culturale”

Damasco: “intorno grafico”

5 Il

progetto della

segnaletica

134 Ricerca tipografica: scelta

carattere latino ed arabo. 138

La direzione. 141 Abbinamenti

cromatici. 145 Differenziare gli

elementi. 151 Studio su forma

e funzione. 164 Materiali ed

agganci. 167 L’esperienza del

segnale. 178 Ringraziamenti.

ELABORAZIONE DI UNA

SOLUZIONE


Premessa

8

orientarsi nella medina

UN INTERVENTO GRAFICO

volto alla valorizzazione di un bene culturale,

che sia questo un monumento, un museo o una città intera, non

può prescindere da un’attenta analisi di tutto ciò che è considerato

il suo “intorno”: dalle radici storico-politiche a quelle etnografiche,

sociali, culturali. Immaginari visivi e leggende; misteri.

Per poter progettare una segnaletica urbana, che migliori l’orientamento

all’interno di una città, è necessario prendere in considerazione

tutti quegli aspetti che hanno influenzato lo sviluppo

della città stessa, le sue caratteristiche, le sue passioni.

Dovendo pensare ad un sistema di segni per la città vecchia di

Damasco, capitale della Siria, risulta dunque fondamentale effettuare

delle considerazioni sulla distanza culturale che divide

il progettista dal luogo in cui effettuerà l’intervento. La cultura

islamica, le città medioevali, codici e alfabeti nascosti ai più, dunque,

come contesto da penetrare, interrogare, su cui poggiarsi

per cercare un’ispirazione, da cui sporgersi per prendere spunto.

La prima di queste considerazioni riguarda una delle caratteristiche

più rilevanti, nel mondo arabo, a livello artistico: il suo

carattere fortemente iconoclasta. L’arte grafica araba è nota

per la sua grande astrazione, contrapposta alla rappresentazione

prevalentemente figurativa dell’arte occidentale. Quelle

che nella Cappella Sistina sono storie intere dipinte attraverso

simbologie ed iconografie, nelle Moschee o nei palazzi islamici

sono frasi incastrate e arrotolate su loro stesse come una chiave

di violino, divenendo un arabesco, l’esaltazione delle geometrie

e delle lettere. Questa peculiarità ha successivamente caratterizzato

tutte le produzioni artistiche del mondo arabo, in cui

la componente tipografica ha sempre prevalso nettamente su

quella pittografica.

Alla luce di queste considerazioni, mi sono chiesto se fosse

corretto ipotizzare un sistema di segnaletica urbana privo di

pittogrammi, adattando, dunque, l’intervento di comunicazione

visiva al contesto iconoclasta in cui avrà luogo.

Sarà necessario, in queste condizioni, studiare tutti gli elementi

che possono comporre un segnale: oltre alle rappresentazioni


pittografiche, i colori, le forme, la tipografia. Elementi, questi,

non affatto secondari nella grammatica percettiva, e di uguale

importanza a livello cognitivo.

La ricchezza sensoriale offerta dalle città arabe, di cui la medina

di Damasco è un esempio significativo, apre orizzonti circa la

possibilità di associare ai segni valenze sinestetiche; può permettere

una mappatura degli elementi del “sistema città” costruita

attraverso le caratteristiche sensoriali del tessuto urbano.

Ma non solo. Il grande interesse, dimostrato dal mondo arabo,

nei confronti delle scienze matematiche e della geografia, ha

favorito la diffusione di una serie di tecniche di rappresentazione

dello spazio differenti ed innovative rispetto alle istruzioni tolemaiche

su cui si sono basate le tecniche cartografiche occidentali.

Un “intorno”, dunque, da cui trarre induzioni a livello progettuale,

che garantiscano al lavoro coerenza con il contesto.

9


Introduzione

10

orientarsi nella medina

ORIENTARSI È DIFFICILE. Necessita attenzione e pazienza, specie se

l’ambiente in cui ci si trova è un microcosmo in cui tutto pulsa e

cambia di forma in continuazione.

Le città islamiche mettono a dura prova ogni visitatore, per la loro

struttura che le fa assomigliare ad un labirinto fatto di case, colori,

odori. Ogni persona a cui capiti di interagire con una medina riceve

una serie di stimoli multiformi e multisensoriali non indifferente:

voci, suoni sconosciuti, segni.

Questo può portare allo smarrimento, specie se tali stimoli contengono

linguaggi da codificare o sottendono strutture culturali

da interpretare. Generalmente, nelle città ci si perde, e molte cose

della città ce le perdiamo. Talvolta risulta difficile prendere una

decisione per dirigersi verso un luogo in particolare, se il quantitativo

di stimoli o informazioni che la città emana è troppo elevato;

ancora peggio se c’è una barriera culturale che li cripta, rendendo

anonimo all’occhio inesperto qualcosa che porta un interesse, un

nome, una storia.

Le città arabe, per le loro caratteristiche urbanistiche e sociali,

sono un esempio di “sistema città” abbastanza particolare. La

struttura labirintica, unita alla ricchezza di simbologie e codici,

le rendono un luogo di difficile penetrazione: la città araba,

più di ogni altro tipo di città, per essere conosciuta deve essere

percorsa. La sua comprensione avviene per osservazione attenta,

ricostruendo mentalmente i percorsi effettuati. Ogni traguardo

cognitivo non esclude altre scoperte di aspetti e dettagli secondari,

elementi che erano passati in secondo piano o che si scoprono

interessanti. È un approfondimento continuo. La complessità della

forma urbana corrisponde alla complessità d’uso: in ogni medina

si incrociano traffici, commerci, artigianati. Lo spazio stradale

tende ad essere coperto per la presenza di teli o soffitti creati dagli

abitanti per generare zone d’ombra. Il risultato è un forte addensamento

del tessuto edilizio.

Vicoli ciechi, labirinti urbani.

A vederle da fuori, le città islamiche appaiono come un universo

formicolante, in continuo movimento e mutazione. Affascinanti


e rumorose; giunti al loro interno si mostrano ostili, fatte di pareti

apparentemente tutte uguali e vie che si incrociano tra loro come

in un ordito.

Tale struttura caratterizza tutt’ora molte città nel mondo. Dalla

Spagna arabeggiante fino alle grandi metropoli indiane, la medina

mette a dura prova l’orientamento spaziale di milioni di persone

che le visitano.

Si cercano punti di riferimento, segnali, si ritorna al punto di

partenza svariate volte prima di raggiungere una meta prefissata.

È opinione comune sostenere che per conoscere a fondo ogni città

occorra perdercisi dentro. Per trovare particolari inaspettati, punti

di vista differenti e sorprese culturali. Per familiarizzare con le

mura e gli scorci che piano piano diventano conosciuti e intimi, che

acquisiscono un nome ed una storia.

Da Marrakesh a Bombay, dunque, dedali urbani sfidano la pazienza

e la capacità di orientamento di tutti coloro che li percorrono. La

città vecchia è un’esperienza a sè stante, una sorta di prova del

nove a cui tutti coloro che vogliono conoscere a fondo il paese che

stanno visitando sono chiamati.

La letteratura è molto ricca di resoconti di “viaggi illustri” nelle

medine più lontane ed ingarbugliate: Mark Twain, così come

Edmondo de Amicis o Pasolini hanno raccontato le loro esperienze

nella città vecchia, fatte di smarrimenti nei luoghi e negli odori, nei

colori, nei suoni.

Descrivendole tutte come una sorta di viaggio nel viaggio, di parentesi

nella parentesi, di sogno nel sogno.

“In mezz’ora di cammino abbiamo fatto tanti giri che, disegnati, formerebbero uno dei più intricati

arabeschi dell’Alhambra [...]” Edmondo de Amicis, Marocco. F.lli Treves, 1989

11


13

Capitolo 1.

Gli arabi e la loro scrittura


orientarsi nella medina

Gli arabi e la loro scrittura

NEI PAESI ARABI LA SCRITTURA È DOVUNQUE. Talvolta geometrica e spigolosa

decora le architetture, oppure dinamica e accennata la

troviamo su insegne, cartelli, abiti, decorazioni. L’interesse e

l’attenzione che la cultura islamica ha riposto verso la scrittura

affondano le loro radici nella storia più antica, all’incirca

durante il terzo secolo d.C., quando in Mesopotamia si utilizzava

una lingua derivata all’aramaico per trascrivere le prime

bibbie nella chiesa orientale. Era ciò che sarebbe diventato il

siriaco, la cui più antica forma era conosciuta come Estrangelo

(dal greco, significa scrittura evangelica). Tale scrittura

si evolse in due alfabeti: il Nestoriano, utilizzato appunto dai

Nestoriani, una popolazione proveniente dalla Persia, ed il

Giacobita, conosciuto in seguito come siriaco, utilizzato in

Siria dai Cristiani Giacobiti che si erano stabiliti nella città di

Odessa (attualmente Urla, in Turchia).

L’alfabeto siriaco consisteva in 22 lettere lette da destra verso

sinistra. La particolarità e l’originalità di questo alfabeto consistevano

nell’abbondanza di legature, grazie alle quali la stessa

lettera può assumere differenti forme a seconda della propria

posizione all’interno della singola parola. Questa caratteristica

aiutò chiaramente nell’identificazione dei finali di parola, e

diede all’alfabeto una chiara enfasi orizzontale.

È proprio dal siriaco che naque e derivò la scrittura araba. Il

più antico esempio di una scrittura che possa essere definita

“arabica” si trova su una tomba a Nemara, nel deserto della

Siria. La tomba è datata all’anno 328, ma le iscrizioni furono

eseguite intorno al V o VI secolo. Si può cominciare a intravedere

quello che sarà l’alfabeto arabico: una grafia continua,

fatta di curve e picchi e di pochi stacchi, con molte lettere

simili distinte da punti e segni diacritici.

14

Cartelli di ogni tipo riempiono le città

arabe: segnaletiche, pubblicità, annunci.

Nella foto: Damasco.


1

L’alfabeto arabo vero e proprio esplose però solo nella seconda

metà del VII secolo con l’avvento dell’Islam.

L’esigenza di fissare per iscritto la rivelazione di Maometto e

tramandarne le parole con la massima precisione portò, subito

dopo la morte del Profeta (632 d.C.), alla necessità di sviluppare

quella scrittura che le tribù nomadi dell’Arabia centrale avevano

usato fino ad allora solo sporadicamente. Bisognava non solo

adattare con precisione l’alfabeto alla lingua araba, ma occorreva

anche sviluppare una notazione vocalica, affinché la lettura

dei versetti coranici potesse essere trasmessa senza ambiguità.

E già all’inizio dell’VIII secolo vennero sviluppati ulteriori diacritici

da porre sulle consonanti per indicarne le vocali o la loro

assenza. Altri diacritici vennero usati per indicare le declinazioni

dei sostantivi o le assimilazioni degli articoli. In questo modo,

per una pura esigenza religiosa, nacque l’alfabeto arabo.

Non a caso, infatti, il più antico documento in arabo pervenuto

fino a noi è proprio una copia del Corano.

Da questo momento in poi nei paesi arabi l’importanza della

scrittura, come esplicazione dei contenuti del Corano, e dunque

delle parole di Maometto, divenne preminente: richiese quasi

di comporre sotto una diretta ispirazione divina. Incominciò a

ricoprire le cupole ed i tamburi delle moschee, ponendosi come

guida per i fedeli. Divenne calligrafia, permettendo agli amanuensi

di sviluppare una vera e propria arte: arte sacra per eccellenza,

questa tecnica si sviluppò in differenti stili e modalità.

Si espanse nel secondo secolo dell’era islamica e divenne presto

la tecnica più preziosa. È l’arte islamica più nobile; in effetti è

una delle due “arti Coraniche”: insieme con la recitazione del

Libro Sacro; la calligrafia ricopre un ruolo particolare, essendo

strettamente connessa alla rivelazione coranica per due aspetti:

Un frammento di testo in Siriaco.

La sua chiara struttura orizzontale

anticipa quello che diventerà l’alfabeto

arabo.

15


16

orientarsi nella medina

Gli arabi e la loro scrittura

in primo luogo, la parola di Dio, che per i musulmani è il Corano,

rappresenta l’unica testimonianza della rivelazione divina, ricevuta

oralmente da Maometto, ma poi messa per iscritto e diffusa dai

suoi compagni; in secondo luogo questa rivelazione è definita dal

Corano stesso una “scrittura ben proporzionata”, “bella” e “insuperabile”,

custodita presso Dio su fogli immacolati.

Queste parole hanno impresso alla calligrafia araba un impeto

paragonabile alle forze che nel mondo occidentale hanno generato

le arti sacre e profane, della pittura, della scultura e della musica.

Misticismo a parte, l’importanza della geometria nella costruzione

delle lettere arabe è evidente, ma le regole che governano il

disegno dei caratteri oltrepassano la mera geometria, inglobando

principi di armona, di leggibilità.

L’arte calligrafica non è un fatto universale: molti popoli la trascurano,

per altri, invece, è un’arte sublime… Nel caso della lingua araba,

deriva da un’invenzione grafica elaborata lentamente, prima

e dopo la comparsa dell’Islam e che si riallaccia a una trascrizione

laboriosa e rispettosa del Corano.

Parallelamente alla calligrafia, anche la miniatura trova il suo

spazio tra le creazioni artistiche: nasce qui e deve il suo splendore


Kufi arcaico. Tomba di Mevlana, Konya,

Turchia. L’arte calligrafica turca raggiunse

livelli molto apprezzabili: ne è testimonianza

la sua elevata e diffusa presenza

nell’architettura.

1

all’arte della Persia, dove si è ispirata, per i suoi primi modelli, alle

pitture murali. Da qui, poi, si è diffusa in Turchia, in Iraq e in Siria:

nel resto del mondo arabo il suo impiego è limitato.

L’arabesco, invece, è diffuso in tutto il mondo musulmano. Ispirandosi

all’architettura, ha fatto del libro il suo luogo d’elezione. La

miniaturizzazione dei disegni floreali e geometrici, la maneggevolezza

del calamo che li traccia, la possibilità di aggiungere il colore,

oltre allo stile creativo dei calligrafi, hanno dato all’arte araba

grande eclettismo. Nei disegni decorativi i particolari si ripetono,

come gli elementi architettonici di certe moschee. È interessante

notare come in tutte queste tecniche rappresentative i nomi di

Allah e Maometto, o un termine che li riguarda, ritornano come

un leitmotiv.

Sono queste le premesse per piegare come la scrittura, calligrafica

e non, abbia assunto importanza primaria nelle tecniche artistiche

sviluppate nella penisola arabica, fino a raggiungere una

denotazione fortemente iconoclasta.

Questa deriva di astrattismo, a differenza di quanto si pensi, non è

esplicitamente sostenuta da una versetto del Corano: nonostante

tutto, la raffigurazione umana non ha avuto mai un grande spazio

nell’arte araba. Nessuna sura difatti proibisce esplicitamente rappresentazioni

iconiche, ma pare che i fuqaha, (una sorta di ‘garanti

del diritto’) e gli ortodossi abbiano modificato il senso allegorico

del Corano per imporre meglio leggi e divieti.

Nei confronti dell’architettura, invece, la scrittura riveste un

doppio ruolo. Da una parte, si proietta dal libro all’edificio, al

monumento. Orna le moschee, i palazzi, le scuole, le tombe, ogni

luogo che segnali la presenza divina. Dall’altra parte, la calligrafia

“architettonica” diventa una vera iconografia del libro. Riempie i

manoscritti del corano e i testi di preghiere con un insieme di motivi;

sono rappresentate persino le orme dei passi del profeta, ma

non esiste alcuna raffigurazione del viso in queste icone dalla costruzione

semplice. Vi è qui un richiamo genealogico che risveglia

l’anima del credente a una meditazione su tutto ciò che è sacro.

Un aspetto particolarmente significativo dell’architettura arabomusulmana

consiste, quindi, nell’uso della scrittura come importante

elemento di decorazione, nella gran parte dei monumenti

eretti dagli inizi dell’islam ai nostri giorni. Le raffinate combinazioni

con l’arabesco floreale e le volute geometriche le consentono

una varietà di composizioni con giochi di luce e ombra che valoriz-

17


Modena, Duomo. Facciata.

Wiligelmo, prima lastra con storie della

Genesi.

18

zano la finezza dei colori e delle forme.

La forte malleabilità delle lettere arabe, il movimento ritmico delle

composizioni, l’armonia dei segni conferiscono energia ed eleganza

a tutto l’edificio. Capitelli, volte, pilastri, muri, porte e finestre

sono ravvivati da calligrafie incise, dipinte o scolpite.

Questa serie di riflessioni sull’evoluzione del rapporto di una cultura

con la propria scrittura mi ha ricordato un altro tipo di scrittura,

meno lineare e frutto di un diverso percorso storico: gli affreschi

che ornano le chiese o i templi orientali.

Come è emerso dalle precedenti analisi, è un dato di fatto che tutto

ciò che riguarda “l’immaginifico” non abbia mai avuto grande

spazio nella storia dell’arte Islamica, per motivazioni intrinseche

alla religione e alla cultura locale in genere. A tutto questo, però, si

può contrapporre la rappresentazione prevalentemente figurativa

dell’arte occidentale, o all’universo iconico dell’Induismo.

Se, ad esempio, nelle chiese e nei palazzi del mondo cristiano la

figura umana, divina e non, compare molto spesso -a volte con una

fondamentale valenza fisiognomica-, dall’altro lato del Mediterraneo

ciò che si racconta in maniera iconica negli affreschi diventa

frase e geometria, incastri di lettere e motivi ripetuti uno accanto

all’altro.

Si pensi al duomo di modena. Costruito attorno al XII secolo, si può

considerare un’opera d’arte dal valore unico ed eccezionale. Si tratta,

difatti, di un vero e proprio libro di pietra. Portali, frontoni, capitelli,

sono tutti ricoperti di bassorilievi scolpiti minuziosamente,

che quasi come una serie di fotogrammi in successione, descrivono

le vicende della Genesi in maniera ineccepibile, tanto che sono

stati considerati una sorta di bibbia pauperorum: chiunque poteva

essere in grado di comprendere ciò che era -ed è tuttora- raccontato

attraverso la pietra.


Per quanto riguarda l’efficacia del messaggio, è chiaro che codici

grafici di questo tipo la favoriscono nettamente, se si paragonano

le scritture geometrizzate degli arabeschi alle sculture. Le prime

avranno una diffusione meno “universale” ma più incontrovertibile:

come già accennato, la parola del Corano è qualcosa su cui “non

ci sono dubbi, una guida per i timorati” (Corano, Surah Al-Baqara,

La Giovenca, 2); niente, dunque, è esposto al rischio di una difficile

interpretazione, o persino di una diversa lettura da parte del

credente.

Dall’altra estremità di questa visione c’è il “caos iconografico”

dell’induismo. La religione induista possiede una iconografia

religiosa molto vasta, rappresentata da una miriade di dei adorati

dai fedeli. Pare che le divinità siano qualche milione, e per ognuna

di esse possono trovarsi iconografie diverse, incarnazioni differenti.

Inoltre, gli elementi raffigurati assieme alla divinità comprendono

i colori, ma anche le posizioni assunte, o il numero di arti, lo

sguardo, tutti hanno una funzione ed un significato ben preciso:

raccontano storie, rivelano caratteristiche, doti, meccanismi. La

spiritualità Induista è un percorso interiore: si venera un dio per

elevarsi di stato, si medita per raggiungere il nirvana, quasi come a

giustificare la difficile interpretazione dei numerosissimi segni.

Prese in esame tre concezioni di rappresentazione del divino molto

diverse tra loro, ma che conservano le peculiarità “locali” tramite

una grammatica percettiva coerente con quella che è la storia del

luogo, il suo sviluppo, la sua società.

19


Kathmandu, Nepal. Preghiere tibetane

scolpite un una parete del tempio di

Swayambhunath,

Meknès, Marocco. Gli arabeschi nel Mausoleo

di Moulay Ismail.

L’ingresso del Taj Mahal, Agra, India.

Iscrizioni del Corano decorano le pareti

della porta d’accesso al mausoleo.

21

Shiva, Ganesh e Parvati nelle rappresentazioni

classiche. Sono le divinità più

diffuse e rappresentate in India.


Manoscritto marocchino. Esegesi del

Corano di Al-Thalabi Abu Ishaq Ahmed

bih Mohamed. Le lettere sono circondate

da un sottile bordo colorato per

accentuare il contrasto e aumentare la

leggibilità del testo. XIX secolo.

22

Generalmente, dunque, l’Islam si può dire avverso alla rappresentazione

delle forme viventi, ma nel reame della calligrafia

alcune variazioni e concessioni diventarono possibili. Il Kufico,

la scrittura utilizzata per il Corano, cominciò a comporre una

serie di iconografie non figurative, come decorazioni utilizzate

nei titoli di pagina, o per marcare l’inizio di un capitolo o la

separazione dei versi.

Le lettere, difatti, potevano inglobare e generare forme ornamentali:

intrecciate, piegate, animate; i caratteri, nel loro

insieme, possono assumere la forma di animali, teste umane

o figure astratte (Safadi, 1978); nonostante questa pratica non

fosse ben vista dalla frangia più ortodossa dell’Islam, intere

frasi o preghiere diventavano una sorta di icona. Specialmente

la basmala (la formula sacra “nel nome di Allah clemente e

misericordioso”, che è largamente utilizzata prima dell’inizio

di ogni capitolo del Corano), è composta sotto varie forme

grafiche: particolari animali, uccelli (che bevono dalla fontana

delle consocenze coraniche), elementi architettonici (come una

moschea, ad esempio), o addirittura lampade (la luce divina che

fuoriesce dal Corano).

È questa, dunque, la pratica più vicina all’iconografia presente

nel mondo islamico. Le parole restano al centro del discorso

grafico, sono forma e funzione, testo e contesto. Le basmala

geomorfe sono opere diffusissime tra i calligrafi islamici, forse

in quanto unico espediente che richiami testo e immagine, e

allo stesso tempo si faccia voce di un messaggio condiviso da

tutto il mondo islamico. La funzione di queste grafiche rimane,

però, puramente decorativa, un divertissement artistico.

Ma gli arabi non sono stati, naturalmente, i soli ad apprezzare


Una scrittura geomorfa: le parole

della basmala formano il contorno di

una lampada.

1

questa tecnica: i calligrammi sono presenti anche in altre culture

e lingue. L’ebraico non ha, come l’arabo, una significativa tradizione

calligrafica, ma possiede una simile avversione alla rappresentazione

del vivente. Ha sviluppato un metodo attraverso il

quale le note del testo masoretico (la versione ebraica della Bibbia

ufficialmente in uso fra gli ebrei) può essere scritto sotto varie

forme (draghi, animali, uccelli, piante, figure bibliche), così come

può apparire in fondo al foglio o ai suoi margini, o addirittura può

riempire un’intera pagina della Bibbia ed essere modellata in una

particolare immagine iconica collegata al pensiero ebraico.

I manoscritti medioevali, invece, includono una grande quantità di

espedienti iconografici. Questi appaiono come ornamento all’interno

del testo, nelle pagine variopinte, o possono essere un mezzo

per dare preminenza e distinzione a tutte le iniziali di testo.

La modificazione -e la modellazione- delle iniziali di frase, i capolettera,

una caratteristica essenziale e peculiare della calligrafia

occidentale, ha persino sopravvissuto all’invenzione della stampa

nel XV secolo. I capolettera, infatti, possono essere un semplice

disegno in bianco e nero composto da una sola linea; oppure contenere

motivi astratti, religiosi; o persino plasmare mostri immaginari,

forme architettoniche. Ma possono rappresentare anche

esseri umani o intere vicende, ritratti di personaggi biblici o storici.

I capolettera si pongono come una vera e propria introduzione al

testo, lo anticipano in chiave visiva, ne disegnano l’intorno, l’atmosfera.

Dopo il XV secolo, invece, gli elementi iconografici sono diventati

uno strumento di propaganda di una particolare bottega o dello

stile di un maestro, che con questi esibiva una speciale arte o un

virtuosismo del calamo, per riuscire a vendere le copie dei libri ed

23


Memorie della propositura di Santo

Stefano di Prato, 1764. Capolettera raffigurante

la lapidazione di S. Stefano

Prato, Archivio di Stato, Patrimonio ecclesiastico,

1257, tomo 1, c. 1

24

orientarsi nella medina

Gli arabi e la loro scrittura

attirare studenti in bottega. Dai paesi arabi fino all’estremo

oriente l’arte della calligrafia ha prodotto numerosissime opere

che, partendo da visioni differenti -religiose o meno- della

scrittura, ha portato a risultati di livello grafico molto alto.

Un’ulteriore svolta nell’impatto iconografico della scrittura

è dato dai calligrammi, immagini di parole, in cui la forma

dell’immagine è determinata da un testo vero e proprio. Il termine

“calligramma” è stato usato per la prima volta da Guillaume

Apollinaire (1880-1918), per descrivere i propri lavori.

Si tratta di disegni composti attraverso i caratteri più svariati

della scrittura a mano, a cui si alternano caratteri a stampa,

col risultato di riempire il foglio di parole o intere frasi, che,

nel loro insieme, danno vita a dei grossolani disegni.

La tradizione vuole, comunque, che per trovare i primi calligrammi

occorra tornare indietro fino al IV secolo a.C., periodo

durante il quale il poeta greco Simia scrisse varie poesie in

diverse forme iconografiche.

L’Europa cristiana continuò questa tradizione: si pensi alle

preghiere scritte sotto forma di croce; in tempi recenti i calligrammi

sono stati “rispolverati” da una serie di poeti moderni,

da Dylan Thomas a Lewis Carroll.


Il pleut, poesia-calligramma di Guillaume

Apollinaire. 1916

Lewis Carroll, un calligramma tratto

da Alice’s Adventures in Wonderland,

1865.

Maghribi policromo, tratto dal libro

Dakhira della setta religiosa Charquawa

Marocco

1

25


26

orientarsi nella medina

Gli arabi e la loro scrittura


1

27

Esempi di basmala geomorfa


Particolare di una tavola, con iscrizioni

in kufi maghribi tratte dal Corano.

28

orientarsi nella medina

Gli arabi e la loro scrittura

Per spiegare in maniera esaustiva il rapporto che la cultura

islamica ha instaurato con la scrittura, ritengo importante citare

alcune teorie, un misto di leggenda e tradizione, che vedono tale

pratica al centro di un discorso sulla genesi del mondo. Si tratta

di teorie che risalgono all’origine di tutte le cose, in quella fetta

di storia, in quel segmento temporale che intere popolazioni

hanno cercato di svelare, di appropriarsene, di capire. Per iniziare

con gli Egiziani, interpreti di un sistema di scrittura molto particolare:

erano convinti che i loro geroglifici fossero la porta sacra

attraverso la quale accedere ai segreti dell’universo. Pensavano

che le parole e le immagini potessero creare immortalità; di conseguenza

i geroglifici, immagine-testo, possedevano vita eterna

e poteri magici.

I Sumeri, invece, erano soliti imprimere i loro testi in tavolette

di argilla, non solamente per la sua grande diffusione nell’area

della Mesopotamia, ma anche perché scrivere sull’argilla significava

mettere in atto il mito della creazione. Credevano, infatti,

che l’argilla fosse all’origine della vita, dato che l’uomo era stato

creato con una manciata di suolo.

Abu al-Abbas Ahmed al-Buni (? – 1225) sosteneva che l’origine

delle lettere sorgesse da una luce che irradiava dalla penna che

scrive il Grande Destino sulla tavola custodita. Egli affermava

che Allah ordinò di registrare su tale tavola gli atti di tutte le

creature fino all’ultimo giudizio. Dopo aver errato nel cosmo,

un punto di luce si è trasformato in Alif e poi, da questa lettera,


Il punto, simbolo di unità, diventa linea:

dalla sua rotazione nasce il cerchio, e con

esso l’armonia di tutte le lettere.

Hamza

Alif

La proporzione delle lettere.

1

sarebbero sorte tutte le altre. Secondo molte tradizioni antiche,

infatti, il mondo della scrittura è una metafora della vita; i suoi

elementi sono le creature e i suoi libri il mondo. Nella tradizione

islamica le lettere sono al centro della storia della creazione.

All’inizio Dio creò un punto di luce, come una hamza, un piccolo

suono consonantico rappresentato da un segno stretto posto

sopra l’Alif, non considerato una lettera ma un segno di vocalizzazione.

Mentre Dio guardava questo segno, il punto cominciò

a gocciolare, diventando inchiostro, e la lettera Alif era formata.

l’alif appunto, prima lettera dell’alfabeto, è considerato come il

primo momento di creazione, quando un non-essere (la Hamza,

il punto, la luce) diventa essere (l’Alif, la linea, l’inchiostro)

nel flusso dei movimenti.

Tale principio del punto-linea, del non essere che diventa essere

può applicarsi anche ai numeri arabi, in cui il punto rappresenta

lo zero, mentre la linea rappresenta il numero uno.

Oltre ad essere considerata come l’inizio della vita, l’Alif diventa

anche l’asse del mondo. Attraverso i suoi infiniti movimenti rotazionali

attorno a se stessa, disegna il cerchio che regola la forma

e la proporzione di tutte le lettere di ogni alfabeto. Inoltre,

l’Alif, muovendosi dà forma all’intero alfabeto, collegando così

ancora una volta essere (la scrittura) con non-essere (l’idea).

Il cerchio è un altro concetto metafisico essenziale, una via

simbolica per esprimere la filosofia divina del Tawhid, la fede in

un unico Dio. Dunque, attraverso questi tre elementi (il punto,

29


Sopra, l’’ingresso della Moschea Blu di

Istanbul. La scrittura domina l’accesso,

ponendosi come guida per il fedele.

Sotto, un cartello della Croce Rossa ad

Hama.

30

orientarsi nella medina

Gli arabi e la loro scrittura

la linea ed il cerchio, ed i principi strutturali che governano le

interrelazioni), l’intero mondo delle arti islamiche era unificato.

La calligrafia, come abbiamo detto, assume quindi lo status di

arte spirituale, attraverso la fusione di testo sacro ed estetica.

Altre varianti del mito ci raccontano che Allah creò gli angeli, secondo

il nome e il numero delle lettere, perché lo glorificassero

con la recitazione perpetua del corano. Allah disse loro: “Lodatemi!

sono Allah e non vi è altro allah all’infuori di me”. Le lettere

si inginocchiarono con umiltà, e la prima a fare questo gesto fu

la lettera Alif. Allah le disse: “Ti sei inginocchiata umilmente per

glorificare la mia Maestà. Ti nomino prima lettera del mio Nome

e dell’alfabeto”. Esiste anche il mito dell’origine adamitica della

scrittura. Secondo un mito ricorrente nei testi arabi, difatti, Adamo

scrisse dei libri trecento anni prima della sua morte. Dopo il

diluvio, ogni popolo scoprì il libro che gli era destinato.

Infine, un’altra tradizione più folkloristica racconta che sei re

di Madyan, in Pakistan, avrebbero costituito con i loro nomi le

lettere dell’alfabeto arabo. Effettivamente, questi nomi immaginari

formano l’abjàd, procedimento mnemotecnico che fissa

l’ordine dell’alfabeto arabo.

Abbiamo visto come la scrittura, materializzazione della Parola,

mirabile limbo tra essere e non essere, ma anche forte strumento

di diffusione di una cultura, giochi un ruolo fondamentale

nell’immaginario visivo e non dei paesi arabi, e goda di una

considerazione molto maggiore che in occidente. Alla luce di

queste analisi, ritengo che la tipografia sarà lo strumento da

privilegiare nella progettazione di un sistema di segni per

Damasco.

È evidente che, al di là di ogni giudizio sull’iconoclastia islamica,

tutto il mondo della scrittura abbia nei paesi arabi un universo

di segni e tradizioni in cui ruotare: un bagaglio semiotico non indifferente

ed importante, un percorso storico comunque avviato

e che proseguirà su questa direttrice. Indubbiamente si può

notare, all’interno delle società arabe, una tendenza occidentalista,

una contaminazione di linguaggi e metodi, dal Marocco all’Arabia

Saudita, (proprio come l’ondata orientaleggiante che ci

ha caratterizzato negli ultimi periodi), che però non cancellano

o annullano il lungo elenco di tradizioni e riti che le popolazioni

arabe portano con loro, e che le hanno rese quello che appaiono

ai nostri occhi: uno scrigno di costumi e usanze millenarie.


Un’edicola a Damasco. L’editoria araba

ha subito paracchio l’influenza della

calligrafia, specie per i titoli.

1

31

Com’è fatta questa scrittura araba, che tanto ha influenzato la

cultura islamica? Si tratta di un alfabeto composto da 28 lettere,

che si scrivono da destra verso sinistra. Come già detto, l’arabo

deriva dal siriaco, e da tale lingua ha ereditato l’evidente orizzontalità

dei segni. Speciali legature, inoltre, possono spezzare

questo andamento unendo le lettere verticalmente, per esigneze

calligrafiche o di rapidità di scrittura.

Se per le scritture latine la differenza sostanziale è tra caratteri

graziati e senza grazie, nelle scritture arabe le due categorie

sono il kufi ed il corsivo. Il kufi è basato su una costruzione geometrica

della lettera, con una linea di base sottile. Sono molto

monumentali, utilizzati anche come carattere da schermo.

Spesso li vediamo usati come decorazione nell’architettura o

per i titoli nella stampa. Hanno una grande varietà di forme e

dettagli. Il corsivo, invece, è basato sulla calligrafia manuale,

fluida e dinamica. Viene utilizzato generalmente per i testi.

Questa prima suddivisione può fornire dettagli utili all’applicazione

cosciente di un carattere: ma quali sono gli elementi

formali che ne modificano la percezione? Nell’ottica di progettare

una segnaletica bilingue, è necessario tenere in considerazione

che esistono di sicuro delle differenze a livello percettivo

tra come potremmo “vedere” un carattere arabo noi, abituati

alle scritture latine, e come potrebbero vederlo delle persone di

lingua araba. È difficile fare una stima delle proprietà colte da

un’utenza linguisticamente molto diversa. Lo stesso dicasi, poi,

per lo sforzo cognitivo richiesto per l’interpretazione di un’icona

o di un pittogramma da parte di persone di lingua e cultura differenti.

Entrano in gioco livelli di pertinenza e universi cognitivi

molto eterogenei per poter garantire un’univoca interpretazione

(ma di questo parlerò più accuratamente più avanti).

Per approfondire questa ricerca ho parlato con Nadine Chahine,

una delle più importanti Type Designer che lavora nella zona del

Medio Oriente, esperta in tipografia araba e di bilinguismo nei

segnali. Riporto l’articolo in lingua originale, per preservare le

nomenclature.


Esempi di font arabe derivanti dalla

tradizione calligrafica

32

orientarsi nella medina

Gli arabi e la loro scrittura

how does the calligraphic

tradition influence

type-designers in

drawing them?

The calligraphic tradition

represents the starting point

of reference for typography

by present various writing

styles that can be translated

typographically into different

type styles. Each calligraphic

style has its own structure,

axis, ductus and internal logic.

A type designer does not need

to imitate calligraphic styles

but he/she needs to understand

the basic structure of

how letter forms are drawn,

where the thicks and thins fall,

and what parts are essential

to the character structure and

which are not. This knowledge

is crucial to the design, even if

the end product appears very

geometrical and bears no reference

to the writing tool.

is that possible to classify

a group of arabic typefaces

according to their

properties (as for latin

typefaces serif or sans serif,

egyptians...)? do they

match the traditional

calligraphic styles?

So far, the most convenient

way to classify arabic is to

refer to the calligraphic model

they are based upon. So, we

can talk about Thuluth, Kufi,

Naskh etc... However, when it

comes to Naskh, we have several

different types. There is

the Simplified Naskh (as in Linotype’s

Yakout), the traditional,

and the fully calligraphic

(as in MS Arabic Typesetting).

The development of Arabic

was quite different from Latin,

and serifs do not exist in Arabic,

so the terms serif and sans

serif would not work. However,

we can describe typefaces

as modulated vs monolinear.

what does it change

among those groups, in

a perceptive way? which

typefaces can be considered

as “elegant”? which

others “informal”? which

more modern? which


more legible? and what

about the types for

texts or titles? and for

signage? are the monolinear

faces seen as

modern?

That’s a subjective perception

and might vary across

the large Arabic world.

Personally, I find the elegant

ones to be the typefaces

that have a strongly calligraphic

flavour. I find Kufi

styles the most modern

looking when they have

no decorations on them.

Informal would depend on

design elements and not

just the calligraphic style. As

for text and titles, the rule

of thumb is that Naskh are

more suited for text, and

Kufi for titles, but you will

find exceptions to the rule

very easily.

which are the main

differences between the

typography of arabic

country using arabic

script and the one

1

of non arabic country

using arabic script?

I find that there is more

typographic freedom within

the Arab world that outside

of it. There is a perception, or

maybe that’s just how I see

it, that Westerners are more

focused on fully calligraphic

styles for Arabic typefaces,

and so they are unaware that

we need other typefaces to

suit our daily life. Calligraphic

styles are great but you can’t

set a dictionary in 5 pts size

with that.

how has been faced the

problem of vertical ligatures

in typography?

Opentype provides us with

GSUB (glyph substitution)

lookups that can exchange

a string of characters by a

pre-designed ligature. That

means that there is a large

number of ligatures to be

designed, and I’m not a fan

of that. In my Naskh style

typeface, I kept only horizontal

stacking and so I have no

33

La libertà grafica dell’arabo: allungamenti

strutturali, sopra, e legature,

sotto.

tagia

ta-gia


Esempi di arabeschi geometrici utilizzati

come pattern nelle moschee, nei

palazzi, nelle case.

34

orientarsi nella medina

Gli arabi e la loro scrittura

ligatures except the Lam-Alef.

I find that simpler to read and

clearer.

bilinguism: which are

the most useful rules in

using latin and arabic

types together? and for

a specific purpose, such

as choosing an arabic

typeface for a bilingual

sign system?

The weight, color, optical size

and rhythm need to match.

It’s not about terminal

treatment like serifs, but the

internal logic of both.

the arabesque: a decoration

or an exaltation of

typography?

Arabesque has always been

about decoration and it thrives

as an art on its own, different

from both calligraphy

and typography. In terms of

maturity, Arabesque is more

mature and established than

Arabic typography.

in every islamic city we can

find writing everywhere.

its importance has cultural

roots; we know that

islamic world is considered

as iconoclastic. Is that the

reason of the omnipresence

of writing?

Yes. Calligraphy developed in

such a strong fashion because of

the wish to emphasize the word

of God and as an immediate

need because no other form

of decoration was allowed.

Calligraphy and Arabesque

became the standard vocabulary

of artistic endeavors as one

can see in architecture, textiles,

ceramics, metal work etc. The

roots for Arabic calligraphy are

very strong. Arabic typography,

on the other hand, is still in

its infancy. I find the relation

between them to be like 2

brothers. Calligraphy is the older

and more mature one, and it

can guide its younger brother,

but should not dominate him,

or suppress him. The two must

lead separate paths, so that both

can grow and flourish.


Scrittura e arabeschi ricoprono le città

arabe in maniera molto fitta. Nelle

immagini, Damasco.

1

35


orientarsi nella medina

Gli arabi e la loro scrittura

36


Bibliografia capitolo 1

John D. Berry , language culture type, international type

design in the age of unicode - Association Typographique

International - Graphis

Huda Smitshuijzen AbiFarès, arabic typography - a comprehensive

sourcebook –Saqi Books

Abdelkébir Khatibi Mohamed Sijelmassi, l’arte calligrafica

dell’islam – Avallardi

Florindo Fusaro, la città islamica, Laterza 1984

Giovanni Lussu, la lettera uccide Storie di grafica Stampa

Alternativa & Graffiti 1999

Paolo Santarcangeli, il libro dei labirinti, Sperling & Kupfer

Editori, Milano 1984

Alessandro Bausani, l’islam, Garzanti 1987

Keith Critchlow, islamic patterns, an analitical and cosmological

approach - Foreword by Seyyed Hossein Nasr, Thames

and Hudson 1976

Dario Fo, il tempio degli uomini liberi. Il Duomo di Modena,

Franco Cosimo Panini 2004

37


39

Capitolo 2.

La rappresentazione dello spazio


40

orientarsi nella medina

La rappresentazione dello spazio

LA CARTOGRAFIA PUÒ ESSERE INTESA come una risposta dell’uomo all’esigenza di

orientarsi nei grandi spazi. Non a caso risulta essere la prima

espressione geografica che gli antichi hanno realizzato e che

sia giunta fino a noi: i primi reperti archeologici pervenuti dalle

civiltà del Medio Oriente sono abbozzi cartografici eseguiti su

tavolette di argilla, che rappresentano i territori conosciuti dai

popoli abitanti in quell’area geografica.

Il primo mappamondo che ci è pervenuto è Babilonese, esattamente

dalla città di Uruk, attualmente nell’Iraq meridionale; e

rappresenta la terra in un cerchio circondato d’acqua. Per quanto

riguarda gli egiziani, invece, ci risulta che stilassero mappe

catastali per delimitare le proprietà.

Anche i popoli preistorici hanno testimoniato di essere in grado

di rappresentare il territorio conosciuto e frequentato. Dalla Val

Camonica fino ai poli, nomadi ed esquimesi, così come Indiani

d’America o Polinesiani, hanno lasciato testimoniaze di raffigurazioni

dello spazio fisico, anche in chiave molto particolare,

come le carte nautiche polinesiane, costruite con listelle di

bambù e conchiglie, che segnano le rotte e le isole.

Tutte queste descrizioni servivano ad indicare lo spazio in cui si

svolgeva la vita, indicavano percorsi da seguire o esprimevano

un possesso. Già nell’antica Grecia, però, si cominciò a rappresentare

lo spazio per fini prettamente culturali. Il mappamondo

dei Babilonesi, ad esempio, potrebbe avere influito sulle realizzazioni

cartografiche dei Greci: già nella carta di Anassimandro

di Mileto si intravede un’indubbia valenza culturale. Egli è considerato

colui che volle per primo costruire una carta del mondo

abitato (ecuméne).

La cartografia greca si sviluppò sulla base di intuizioni di

principi scientifici, come il tentativo di misurare i meridiani ed i

paralleli, o intuizioni di latitudine e longitudine. Principi, questi,

Nella pagina precedente: la mappa del

sudamerica realizzata da Piri Reis, oggetto

di mistero per i cartografi.

Un labirinto dell’India meridionale.


Una copia della tavola Peutingeriana,

che rappresentava tutte le terre dell’Impero

Romano dalla Penisola Iberica

al Mar Caspio.

2

che daranno forma all’opera di Claudio Tolomeo (90-162 d.C.),

considerato colui che stabilì il fondamento della geografia matematica

e della cartografia cosmografica antica. La sua opera,

un atlante di 27 carte, influenzò moltissimo il mondo arabo e,

attraverso questi ultimi, la cartografia dell’età moderna.

Dall’eredità cartografica e geografica greca i Romani accolsero

tutti quegli elementi che rispondevano ai loro interessi pratici:

a testimonianza di ciò ci è pervenuta la tabula peutingeriana,

copia di un originale forse risalente al IV secolo d.C., che rappresenta,

su una striscia lunga 6,80 metri e larga 34 centimetri, i

lineamenti delle terre dell’impero Romano, dalla penisola iberica

fino al Mar Caspio, con le indicazioni di strade, centri abitati, le

distanze fra essi, fiumi e monti.

Le rappresentazioni cartografiche, che si svilupparono nei secoli

dopo Cristo e che raffiguravano luoghi biblici e idee cosmografiche

desunte dalla Bibbia, sono caratterizzate dall’indicazioni di

Gerusalemme in posizione preminente rispetto al mondo abitato

e dall’orientamento ad oriente piuttosto che a settentrione.

Cartteristici dell’epoca medievale, periodo in cui non si attuarono

sostanziali progressi in cartografia, furono i mappamondi a T o

a ruota. In queste opere le terre conosciute venivano separate

da una T, indicante il Mediterraneo nel tratto verticale, il Tanais

(Don) ed il Nilo nei semitratti orizzontali sinistro e destro.

Nel periodo basso medievale e prerinascimentale le rappresentazioni

della terra erano corredate di figure, di vignette, di iscrizio-

41


Mappa a mosaico rappresentante i

luoghi citati nella bibbia, con le rispettive

didascalie in greco. Madaba, chiesa di

S.Giorgio, Giordania.

42

orientarsi nella medina

La rappresentazione dello spazio

ni, di elementi reali e leggendari (erano anche indicati, a volte, gli

antipodi, o le terre incognite).

Soltanto i mappamondi successivi alla scoperta dell’America e ad

altri viaggi poterono tenere conto delle nuove conoscenze. Parallelamente

l’invenzione della stampa e dell’incisione su legno e rame, i

progressi nella produzione di strumenti di misurazione contribuirono

alla fioritura di nuove carte generali e regionali, che formarono

gli atlanti.

In questo clima di fervore cartografico anche la nautica iniziò a

vedere nascere le prime carte, le carte marine o portolaniche, che

indicavano, mappavano le rotte oceaniche, traendo grandi vantaggi

dal perfezionamento della bussola e delle Rose dei venti.

Nelle carte nautiche inizia ad accennarsi la riproduzione in pianta

delle città, delle campagne e degli edifici, che riveste una notevole

importanza per gli studi storici, economici ed architettonici. Vedremo

come gli arabi puntarono molto su questo fattore descrittivo

delle carte, fornendo interessanti informazioni di vario tipo sulle

caratteristiche delle coste.

Nel XVIII secolo gli stati iniziarono ad intensificare la produzione di

cartografia per usi amministrativi e soprattutto militari. Ogni stato


Calligrafia maghribi, trattato di astrologia

del XII secolo.

cominciò ad elaborare una propria carta topografica: si trattava

soprattutto di carte topografiche che evidenziavano aspetti fisici

ed umani del territorio.

Prima dell’avvento dell’Islam, le conoscenze geografiche si limitavano,

dunque, ad alcune nozioni di cosmogonia ereditate da

babilonesi, iraniani, ebrei e cristiani. Alcune di queste tradizioni

esercitarono una grande influenza nella cartografia araba, come

ad esempio la tecnica di rappresentare il mondo sotto forma di

un volatile. Durante il VII secolo prese piede una geografia più

scientifica. Grazie anche alle espansioni islamiche verso l’Europa

e l’Asia, numerosissime opere indiane, greche e persiane vennero

raggruppate e tradotte sotto lo stimolo dei primi califfi Abbasidi.

L’influenza indiana si esercitò soprattutto sull’astronomia, mentre

le conoscenze iraniane si ritrovarono specialmente nella geografia

descrittiva e regionale, e dunque nella cartografia.

Ma nella geografia greca gli arabi trovarono un veritiero fondamento

scientifico, con la misurazione dell’arco meridiano e della

circonferenza della terra.

Alcuni scienziati arabi ripresero, invece, la nozione cosmogonica

iraniana, in base alla quale il mondo è diviso in sette kishwar, sette

43


Il Geographia di Tolomeo tradotto in

arabo. La passione per l’astronomia mista

all’indole di viaggiatori, permise agli arabi

di esportare tale testo.

44

orientarsi nella medina

La rappresentazione dello spazio

cerchi geografici identici, in cui il quarto rappresenta il centro

del mondo e dunque l’Iran o La Mecca. È posizionato al centro

dei sei altri cerchi disposti attorno ad esso. Le tradizioni persiane

influenzarono molto la geografia islamica, come testimonia, ad

esempio, l’uso di termini persiani in ambito marittimo.

L’assimilazione di questi apporti stranieri ed i progressi compiuti

nell’astronomia portarono ad una vera e propria rivoluzione

geografica. Tra l’813 e l’833, la prima grande mappa del mondo è

inviata a Bagdad dagli scienziati del Bayt al-Hikma, “La casa della

saggezza”. A partire dall’XI secolo si sviluppò proprio quello che

possiamo definire una letteratura geografica scritta in arabo.

Questa disciplina non è ancora concepita come una scienza ben

definita, ma ripartita in numerosi settori del sapere. Astronomi

o filosofi di questo periodo arricchirono persino la geografia con

delle ricerche teoriche.

La geografia “Degli itinerari e dei reami” descrive le strade ed i

paesi dell’impero islamico in maniera decisamente amministrativa.

Il suo carattere di erudizione fornisce alle mappe una grande

utilità per i funzionari, per gli eserciti o anche per gli esattori

fiscali. Intorno al X secolo due grandi scuole dominavano il

panorama cartografico: quella irachena e la scuola di al-Balkhi.

Gli iracheni descrissero accuratamente il sistema viabilistico,

la topografia, così come la geografia fisica, economica, umana

e matematica del mondo in generale; mentre le produzioni di

al-Balkhi si limitarono alla descrizione dei paesi dell’Islam, dipingendo

però ogni provincia in maniera dettagliata e originale.

Nel 920 produsse il Kitab taqwim al-buldan, il Libro della disposizione

dei paesi, in cui si divideva il mondo islamico non più in

kishwar, o in climi, ma appunto in province, la cui definizione

poggiava su di una base puramente territoriale. Disegnava una

mappa separata di ogni sezione e delle sue frontiere, fondata su

basi un po’ più scientifiche.

La sua opera sarà diffusa ed arricchita da alcuni scienziati

successivi, che espanderanno il campo di indagine e di descrizioni

geografiche, mettendo l’accento sulla veridicità delle fonti,

sull’informazione diretta.


Medina. BnF, Manoscritti.

2

Nel xii secolo la geografia araba è al suo apogeo. Tale scienza,

difatti, ha uno spazio particolare nella letteratura, integrando i

resoconti di viaggio, le descrizioni del mondo e le considerazioni

filosofiche. I geografi successivi a questo periodo utilizzeranno

unicamente informazioni “di seconda mano”: la geografia di al-

Idrisi, la più notevole, sarà la sola geografia araba a penetrare in

Europa nel rinascimento.

È nel XII e XIII secolo che cominciano ad apparire alcuni composizioni

destinate a un largo pubblico. Non riguardano unicamente

la geografia, ma anche la cosmologia, l’astronomia, o altre

materie simili. Anche la letteratura di viaggio conosce un grande

sviluppo, offrendo informazioni “attuali” sull’Africa del Nord e

sul Medio Oriente, come testimonia il celebre Rihla, “Il viaggio”, di

Ibn Battuta, considerato il Marco Polo dell’Islam, che in trent’anni

percorse centoventimila chilometri.

Sebbene la tradizione cartografica araba sia praticamente

sconosciuta ai più, posta in quel limbo della storia di passaggio

tra la geografia che intendiamo “moderna” e quella “antica”, si

può affermare, dunque, che giocò un ruolo fondamentale nella

storia e nell’evoluzione delle carte geografiche, sviluppando un

linguaggio molto innovativo e incredibilmente moderno.

Alla cartografia araba si deve il merito di avere rimesso in auge

alcune rappresentazioni che, con l’avvento del cristianesimo, si

stavano se non perdendo, trascurando. Oltre ad un revival culturale,

fatto di ripresa di antichi testi e teorie, quello che le popolazioni

arabe fecero è il porsi come tramite, ponte tra due culture

molto vicine, ma decisamente dissimili.

Sono, difatti, in lingua araba le versioni del Geographia di Tolomeo

che da Costantinopoli raggiunsero la corte di Firenze per

essere tradotte in latino nel XV secolo.

Attingendo a fonti classiche, dunque, cartografi del calibro di

al-Idrisi, fino ad arrivare a Piri Reis, hanno rappresentato uno stile

tipicamente arabo nelle mappe geografiche. Ma c’è un periodo,

andando a ritroso negli anni, in cui le produzioni di mappe non

risentivano affatto di tale influenza tolemaica.

45


1400 d.c.

1300 d.c.

1200 d.c.

1100 d.c.

1000 d.c.

900 d.c.

periodo

Piri Reis

Idrisi

Atlanti

Islamici

Ishtakhri

analisi

46

orientarsi nella medina

La rappresentazione dello spazio

Ritengo interessante, in questo ambito, ripercorrere a ritroso le

tappe della storia della cartografia islamica, partendo dunque

dalle vastissime produzioni rinascimentali fino ad arrivare a

quelle di età più antica, intorno al IX secolo d.C..

Per quanto riguarda le tecniche di rappresentazione dello spazio,

non si tratta, a mio avviso, di un percorso evolutivo, dato che

queste sono state fortemente influenzate dalle correnti “in

voga” nel periodo in questione, o dal luogo di realizzazione delle

stesse mappe, disegnate su commissione nelle corti dei signori

europei; erano, poi, collegate all’estro ed alla curiosità di naviganti

e viaggiatori.

Piuttosto che nella grande produzione di mappe dell’Europa

orientalista, nelle prime produzioni cartografiche dei paesi arabi

ho individuato una serie di particolarità che avrebbero potuto

spingere verso l’elaborazione di uno stile assolutamente inedito

all’epoca. Per risalire alle cause che hanno portato ad un’estesa

produzione di cartografia nei paesi islamici, occorre analizzare

le condizioni storico-culturali di questi popoli. In tale ambito le

popolazioni arabe rivestono un ruolo molto particolare: avendo

queste coltivato un notevole interesse per l’astronomia,

la geografia e la matematica, ebbero il grande merito di aver

mantenuto in vita la scienza classica, impedendo che il ricordo

di grandi conquiste scientifiche andasse perduto. L’importanza

della cartografia araba nella storia della geografia non si limita

però a questo. Le popolazioni arabe furono, infatti, anche il veicolo

per mezzo del quale, grazie alle loro esplorazioni, parte del

sapere classico ritornerà all’occidente, preparando la rinascita

della geografia nel basso medioevo. Tanti nuovi stili si andarono

formando con la fusione delle due esperienze; una contaminazione

che poi avrebbe portato alla cartografia moderna. I luoghi

più adatti a questo tipo di operazioni erano le grandi corti rinascimentali,

fatte di schiere di cartografi incaricati di redigere una

descrizione del mondo che si basasse su esperienze e osservazioni

dirette compiute con un gruppo di esploratori. Nel periodo

medievale la civiltà islamica iniziò ad espandersi. Traendo

spunto dalle culture vicine, vennero sviluppati ed approfonditi il

pensiero scientifico e quello religioso. La tradizione classica era

presa come punto di partenza per approfondimenti: tra le opere

classiche tradotte in lingua araba tra il VII e il X secolo vi è l’opera

di Tolomeo, autore fondamentale per il suo contributo all’astro-


Planisfero di al-Idrisi del 1154.

Orientato a sud, mostra l’Islam al centro

del mondo. Oxford, The Bodleian

Library

nomia, scienza importantissima per un popolo che, secondo quanto

scritto nel Corano, doveva in ogni momento saper individuare

la direzione della città santa della Mecca. In materia di cartografia

islamica, il fatto di dovere sempre essere in grado di riconoscere e

controllare lo spazio fisico ha di certo influenzato il modo di rappresentare

le quattro direzioni. Ha introdotto relazioni tra elementi,

sovrastrutture. In primis, l’orientamento delle mappe si sposta

dall’Est, da cui il mondo ha come centro la città di Gerusalemme,

al Sud, con l’Africa in primo piano, completamente circondata dal

mare. Questa visione trasla il mondo islamico al centro del mondo

conosciuto, e le città di Medina e Mecca diventano i fulcri di questa

nuova rappresentazione delle terre conosciute.

47


Aleppo

48

orientarsi nella medina

La rappresentazione dello spazio


2

49

Città siriane nei disegni dell’ottocento

Damasco


Mappa di Rodi, Cipro e Siria, tratta dal

“Libro di Ruggero”, di al-Idrisi.

50

orientarsi nella medina

La rappresentazione dello spazio

Quando, intorno all’XI secolo, gli arabi aprono i loro mercati

all’Europa del nord, la cartografia acquista un nuovo impulso.

Protagonista di questa rinascita è al-Idrisi. Nato in Marocco nel

1099, dopo aver compiuto gli studi a Cordoba visse per molti anni

nell’Africa settentrionale ed in Asia minore prima di giungere a

Palermo, dove ricevette dal mecenate normanno Riccardo II l’incarico

di raccogliere in un unico testo le notizie utili per produrre una

descrizione geografica del mondo allora conosciuto.

Il cartografo produce tra il 1154 e il 1192 due opere che presentano

una notevole raccolta di documenti, alcuni molto complessi, altri

più ridotti per dimensioni e numero di toponimi. In tutti viene

adottata la distinzione in zone climatiche già presente in Tolomeo

e il criterio per cui l’orientamento è determinato dal sud posto in

alto. La sua opera è praticamente unica nel suo genere. Si servì di

materiale esistente arabo ed europeo e lo rimodellò a suo modo.

Il risultato fu un atlante che descrive in maniera molto codificata

i paesi, le loro città principali, tutte le strade e le frontiere. Mari,

fiumi e montagne commentati da al-Idrisi seguendo un itinerario

proprio come una guida. E le informazioni che fornisce, di varia

natura, offrono nozioni di geografia, naturalmente, ma anche di


La suddivisione in zone climatiche proposta

da Tolomeo e ripresa da Idrisi

51

tipo economico-commericale, storico, religioso.

I documenti, nel loro complesso, appaiono notevolmente

deformati, forse perché tutti gli elementi nuovi e originali che

si potevano desumere dalle carte arabe itinerarie sono ricondotti

nello schema classico antico, mentre la loro lettura è resa

difficile per l’uso della scrittura araba. Per quest’ultimo motivo

non è sempre possibile riconoscere la localizzazione di tutte le

città riportate nel disegno, anche se il testo è molto prezioso, in

quanto fornisce indicazioni precise sulle strade e sulle distanze

tra le singole località.

Ancora una volta, dunque, la scrittura si pone come elemento

fondamentale, sebbene in questo caso abbia una funzione prettamente

esplicativa, ma che di certo aggiunge all’immagine un

valore e chiavi interpretative difficilmente evincibili.

I materiali che al-Idrisi ci lasciò rappresentano il massimo delle

conoscenze geografiche possedute fino ad allora dagli Arabi. La

sua opera, “La delizia di colui che desidera viaggiare”, dalla forma

finale di una piastra d’argento delle dimensioni di 3,5 x 1,5 metri

è da considerare uno dei maggiori ingegni della cartografia

medievale. Purtroppo, nel 1160 questa piastra cadde nelle mani


Alcune delle tavole di Piri Reis. Si riconosce,

dall’alto, Otranto, Alessandria,

Granada e la Sicilia.

52

orientarsi nella medina

La rappresentazione dello spazio

di una moltitudine di fanatici che la distrussero. Nel 1154, pochi

mesi prima della morte di re Ruggero il manoscritto dell’opera

di Idrisi in latino ed arabo fu completato, assieme alla mappa

rettangolare, che constava di 70 fogli, e assieme a una piccola

mappa mundi. Al-Idrisi chiamò questo libro Kitab Rudjar, il Libro

di Ruggero, e l’insieme delle mappe Tabula Rogeriana.

Le opere di Idrisi sono di eccezionale qualità in confronto a opere

similari dello stesso periodo, per la ricchezza dei dettagli, ma

principalmente per il metodo scientifico che vi era impiegato.

Naturalmente le sue descrizioni di certe regioni, (ad esempio i

paesi del Mar Baltico), non sono precise, ma mostrano comunque

i suoi sforzi di interrogazione dei viaggiatori che avevano

visitato quelle regioni.

Purtroppo i contemporanei (specialmente cristiani-europei) di

Idrisi mostrarono un incredibile disinteresse per la sua opera,

evitando di tradurla in latino.

La prima traduzione dell’opera di Idrisi si ebbe a Roma solo nel

1619, e in una forma molto abbreviata.

Secondo alcuni autori arabi, Idrisi compose nel 1161 un testo più

dettagliato ed una mappa per il figlio di Ruggero, Guglielmo II.

Tale opera portava il titolo “I giardini dell’umanità e del divertimento

dell’anima”. Malgrado questa seconda opera non ci sia

pervenuta, una versione abbreviata, dal titolo “I giardini della

gioia” (1192) è sopravvissuta. Consiste di 73 mappe, sotto forma

di Atlante ed è ora nota come “Il piccolo Idrisi”. Manoscritti di

questa versione sono preservati in molte biblioteche: a Parigi,

Oxford, Leningrado, Costantinopoli e al Cairo.

Occorre comunque sottolineare che, pur in possesso di un’ingente

mole di nuove informazioni e di elementi originali della

cultura araba, al-Idrisi risente ancora del carisma culturale di

Tolomeo e, nel tentativo di costringere il nuovo materiale nello

schema classico, produce raffigurazioni spesso deformate e di

difficile lettura. Le mappe zonali europee produssero difatti varie

imitazioni tra i cartografi arabi: si hanno dei cerchi la cui parte

inferiore è suddivisa in zone climatiche, in ciascuna delle quali

si ha una lista di paesi. Si ebbero anche mappe che si limitava-


Disegni e schizzi di Piri Reis, XV secolo.

2

no ad indicare le zone climatiche e semplicemente con i disegni

di alcuni animali o piante. Ibn-Said produsse tre versioni della

stessa mappa, una indicante solo le zone climatiche, un’altra con i

confini di continenti e oceani, e finalmente una mappa del mondo

senza zone.

Una delle prime “mappe mondiali”, se non la prima in assoluto,

che mostrava anche le Americhe, è sicuramente il Kitab-i Bahriye,

“Il libro del mare”: la carta redatta nel XVI secolo da Piri Reis.

Questo pirata turco, appassionato di cartografia, pare fosse venuto

in possesso delle mappe che Cristoforo Colombo aveva utilizzato

per raggiungere il nuovo continente, e le avesse integrate ad

altre prodotte durante le sue peregrinazioni nei mari.

La prima cosa che emerge osservando la sua produzione è la

minuziosa ed accurata descrizione di tutti i dettagli delle linee

costiere, delle spiagge, delle correnti, di baie, stretti e bassifondi

del mondo conosciuto. Si tratta di una serie di carte che, accostate,

formano un grande atlante, che stupisce per la ricchezza dei

contenuti. Oltre ad informazioni testuali sui luoghi, nella grande

mappa sono contenute anche informazioni sulle popolazioni, su

flora e fauna, o di tipo commerciale, oltre che relative alla navigazione.

Questa mappa del mondo di Piri Reis è anche oggetto di

mistero: mostra le linee costiere, oltre che dell’Africa occidentale,

del Nord America (Colombo non scoprì le coste nordamericane,

ma solo i Caraibi) e del Sud America (queste ultime non ancora

completamente riportate sulle carte all’epoca ed erano trascorsi

solo 21 anni dalle esplorazioni colombiane), dove erano raffigurati

luoghi non ancora conosciuti all’epoca di Piri Reis, come la Terra

del Fuoco e le isole Falkland (queste ultime scoperte solo nel

1592 dall’inglese John Davis, ma riportate sulla carta alla giusta

latitudine).

Al di là del mistero, la vastissima opera di Piri Reis rappresenta

un interessante tassello nella storia della cartografia, e a livello

tecnico-espressivo non si distaccano parecchio dallo stile europeo

che poi porterà alla definizione delle mappe moderne.

53


Carta dell’Egitto secondo Tousi

Salmâni, tratto da ‘Adjâyeb almakhlouqât

(Meravlglie della creazione).

Il Mediterraneo secondo al-Ishtakhri.

Si notano le città affiancate l’una

all’altra, e le isole, cerchi perfetti.

2

Senza dubbio, la fase più interessante ed originale della cartografia

araba è caratterizzata da collezioni di mappe distinte che

accompagnano trattati geografici. Si tratta di opere precedenti

a quelle di Piri Reis e al-Idrisi, che non mostrano ancora alcuna

traccia di cartografia europea: risultano schematiche, artistiche

e ingegnose.

Sono costruite magistralmente, e gli itinerari delle strade non

indicano le distanze. A causa dei caratteri di uniformità di questa

classe di mappe, esse sono state dette gli Atlanti islamici. Un atlante

di questo tipo, generalmente consiste di una collezione di 21

mappe: una mappa del mondo, tre carte nautiche (il Mediterraneo,

il Golfo Persico e il Caspio) e 17 mappe di separati paesi islamici,

con un testo di contenuto standard.

Si è a conoscenza di quattro autori che inclusero delle mappe nei

loro trattati geografici. Questi furono Abu Zaid al-Balkhi (920), al-

Ishtakhri (934), Ibn Haukal (980) e al-Muqaddasi (985).

Alla prima visione, tali carte si rivelano ostili ad una facile interpretazione.

Quale regola generale, i primi cartografi arabi redigevano

le coste con molta stilizzazione, non preoccupandosi dell’aderenza

alla realtà.

Queste mappe si possono pensare, dunque come dei particolari

diagrammi, degli schemi che volutamente non rappresentano la

realtà geografica nella sua mera accezione topografica, ma che

mostrano le relazioni tra le varie città o gli stati, piuttosto che la

loro posizione reale.

55


La mappa della Siria per al-Ishtakhri. Ogni

città è disposta in modo da mettere in

evidenza le relazioni con le vicine.

56

orientarsi nella medina

La rappresentazione dello spazio

Uno dei massimi esponenti di questa corrente fu al-Ishtakhri.

La sua produzione, nonostante ciò che ci è arrivato sia in parte

incompleto o di difficile consultazione, ci appare incredibilmente

moderna: come detto, la dimensione geografica trova forma

nella geometria dei rapporti tra gli oggetti. Il bacino del Mediterraneo,

per esempio, vede le città tutte allineate tra loro, con

un segmento che le unisce ad indicare oltre le strade, il legame

che esiste tra esse. Ognuna è posta a distanza regolare dalle

altre, dato che la loro effettiva posizione nel nord Africa è quasi

secondaria. Ciò che conta è, appunto, la funzione della città in

relazione alle sue “vicine”. Ecco, dunque, che le isole -ma anche

le città- diventano dei cerchi perfetti, di dimensione crescente

in rapporto all’importanza del centro abitato (si può notare, tra

tanti, il cerchio rappresentante il Cairo o la Mecca); fiumi e addirittura

mari perdono la loro morfologia per diventare segmenti o

geometrie perfette.

È, questo, un modo per ridurre la complessità della rappresentazione

del mondo attraverso la stilizzazione dei meccanismi

di relazione tra gli elementi. Una sorta di compromesso tra

leggibilità della mappa e la comprensione della stessa, ma che,

una volta individuata la chiave di lettura, rende molto espliciti

i meccanismi che sottendono alla sua realizzazione. E pertanto

diviene di facile, ma, soprattutto, di pratica leggibilità.

Se si pensa al lavoro di Harry Beck per la mappa della metropolitana

di Londra, possiamo notare con facilità come le due visioni,

a mille anni di distanza una dall’altra, in realtà si somiglino

molto per la medesima tendenza a rendere un diagramma ciò

che normalmente si esplica con le classiche coordinate geografiche.

Se da una parte Harry Beck ha deciso di annullare, o

quantomeno limitare, l’importanza dei rapporti spaziali tra le

fermate della metropolitana, questo rendere lineare la relazione

tra esse ne ha messo in risalto la caratteristica fondamentale: la

posizione di ogni fermata in rapporto con quella precedente e

successiva. Che poi sono le “uniche” informazioni utili a chi debba

attraversare la città: una visione panoramica sulle possibilità

offerte dal sistema delle linee della metropolitana, che permetta

all’utente di prendere una decisione.

Lo stesso vale per al-Ishtakhri. Le sue mappe, difatti, rendono

bene l’idea dei legami che intercorrono tra ogni elemento che le

costituisce, considerando anche il possibile fruitore del tempo,


La prima mappa della metropolitana di

Londra, Harry Beck, 1932

2

interessato piuttosto che a una localizzazione delle città o dei

porti precisa e corrispondente univocamente alla realtà, a tutta

una serie di rapporti che tra questi intercorrono. Scambi, pellegrinaggi,

“distanze commerciali”.

Gli argomenti che ho esaminato mi inducono a pensare, dunque,

che al-Ishtakhri possa essere considerato quasi un precursore di

Harry Beck: se non nelle produzioni finali -anche se sotto certi

aspetti ci si avvicina molto-, nell’analisi e nelle premesse teoriche

applicate alle sue produzioni.

Il suo approccio razionalistico, che denota le produzioni artistiche,

architettoniche e grafiche, e la tendenza al minimalismo

nonché la passione per le geometrie, la linearità e la scrittura,

hanno posto le premesse per l’analisi e lo sviluppo di tecniche di

rappresentazione fresche e inconsuete nell’XI secolo.

57


orientarsi nella medina

La rappresentazione dello spazio

58

Al-Istakhrî, un frammento del

Masâlik al-mamâlik (Libro delle

rotte e dei reami). X secolo. Traduzione

persiana. Copiato in India

nella fine del XV secolo.

Uno dei primi bozzetti di Harry Beck

per la metropolitana di Londra, 1931


acino

Le relazioni tra elementi nelle due mappe

città

fermate

2

relazioni con l’ambiente

59

relazioni con l’ambiente

fiume

affluenti

relazioni tra fermate

relazioni tra città

fiume


orientarsi nella medina

La rappresentazione dello spazio

60


Bibliografia capitolo 2

John Rennie Short, the world through maps: a history

of cartography, Firefly, Oxford 2003

André Miquel, l’islam et sa civilization, Armand Colin,

1968

Didier Cariou, la méditerranée au xiie siècle, PUF, coll.

“Que Sais-Je”, 1997

Alessandro Schiavi, vademecum cartografico, Vita e

Pensiero 1991

BnF, la géographie d’îdrisî, Paris 2003

61


63

Capitolo 3.

Infodesign e orientamento spaziale


64

orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

OLTRE ALLA PROGETTAZIONE DI MAPPE di intere regioni o di continenti, anche la

descrizione delle città, attraverso cartine geografiche, si è andata

sviluppando nelle grandi metropoli di tutto il mondo.

In particolare, con la diffusione capillare di mezzi pubblici, stazioni

e ferrovie, è diventato necessario trovare una tecnica adatta

alla fruizione degli stessi.

Si tratta di una pratica piuttosto recente, che riceve dalla metà

del novecento una grande attenzione. Oltre alla già citata mappa

della metropolitana, oltre a nuove mappe di orari dei treni, iniziano

a comparire, sostenute dalla diffusione su ampia scala del

turismo, numerose cartine di città, progettate ad hoc per avere

una rappresentazione “aerea” del luogo, che possa permettere di

distinguere le strade se si volesse raggiungere un posto in particolare.

Dunque, delle mappe create per orientarsi all’interno

delle città, da dentro.

Ma la questione dell’orientamento spaziale è complessa e coinvolge

ogni persona in maniera soggettiva. Nel momento in cui si

è proiettati all’interno della città, intesa come sistema denso, ci si

accorge come in alcuni casi le cartine non aiutino molto, dato che

non proiettano in un rapporto 1:1 con l’ambiente: si è distratti da

stimoli esterni diversi, le distanze assumono connotazioni imprevedibili

o i punti di riferimento che si erano stabiliti crollano.

In questo caso, non solo nelle città, ma in tutti quei luoghi in cui

è necessario fare una scelta su un percorso da intraprendere, si è

cercato di venire incontro al senso di smarrimento dell’utente

con sistemi di segnaletica di vario tipo. Totem o cartelli sulle

pareti, segnali nel pavimento o stand informativi.

Negli uffici pubblici, così come nei musei, nelle autostrade o negli

ospedali, la “grafica di pubblica utilità” ha cercato di indirizzare le

persone verso delle scelte consapevoli.

Nell’altra pagina, la mppa della metropolitana

di Tokyo

Gli orari del tram di Alessandria, Egitto.


La mappa della metropolitana di

Pechino.

3

Ugualmente nelle città si è cercato di mettere i visitatori nelle

condizioni di potersi orientare in qualunque momento, verso

qualunque direzione. O almeno lo si è tentato. la questione della

segnaletica, infatti, è sempre passata in secondo piano e molte

volte è stata trascurata dagli architetti in fase progettuale.

Solo negli anni recenti gli elevati problemi di circolazione e il

relativo senso di disorientamento delle persone che sono dentro il

sistema stanno cominciando ad essere considerati.

In una città, qualunque sia il nostro percorso “navigando” al suo

interno, ognuno di noi ha sempre in mente una meta, raggiunta la

quale occorre talvolta ritornare al punto di partenza, modificare il

percorso o cercarne di nuovi.

Se però raggiungiamo un luogo non familiare, ci troviamo di fronte

ad un problema di interazione molto complesso. Se la circolazione

riguarda un macro-movimento di persone, il “wayfinding” e

l’orientamento spaziale si riferiscono a come l’utente raggiunge

una destinazione e come si situa nello spazio.

Wayfinding è il termine generico più utilizzato nella letteratura di

settore per indicare un processo percettivo, cognitivo e comportamentale

coinvolto nel raggiungere una destinazione.

Il totale disorientamento e la sensazione di essersi persi possono

essere un’esperienza shoccante e portare a severe reazioni

emozionali (Zimring, 1982; Carpman et al., 1986). Alcune di queste

reazioni, se razionalmente valutate, possono apparire delle esagerazioni,

ma evocano sentimenti di ansietà ed insicurezza, colpendo

l’autostima.

Anche l’accessibilità è collegata al wayfinding, dato che pare che

molte persone evitino di ritornare nei luoghi in cui hanno avuto

esperienze di smarrimento: in ogni caso diventa difficile l’approfondimento

che si può effettuare nei riguardi della città.

65


orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

Nella letteratura della psicologia, la nozione di “wayfinding” è

preceduta da quella di “orientamento spaziale”, che si riferisce

all’abilità mentale di ogni individuo di immaginare o rappresentare

fisicamente lo spazio e situarsi all’interno di questa

rappresentazione. Il concetto psicologico associato a questa

rappresentazione è la “mappa cognitiva”: nei primi anni 70

i ricercatori hanno esplorato le caratteristiche delle mappe

cognitive e le varie determinanti psicologiche, sociali, culturali

e fisiche. I risultati denotavano l’esistenza di due fondamentali

tipi di mappe cognitive : il primo tipo di mappa era strutturato in

maniera lineare e sequenziale, in riferimento ad una persona che

si muoveva nello spazio: mappa “egocentrica”.

Il secondo era basato sulle caratteristiche organizzative dello

spazio, senza riferimenti al movimento o alla posizione delle

persone.

Sotto questo punto di vista, il wayfinding può essere considerato

come un problem solving con una particolarità: opera nello spazio

e richiede informazioni spaziali, la natura dei quali, densa e

soprattutto mutevole, necessita di tempo e di tentativi.

Il wayfinding, visto in termini di problem solving spaziale, dunque,

comprende le definizioni di orentamento, ma considera le

mappe cognitive come una fonte di informazione da combinare

o parzialmente rimpiazzare con altri mezzi di informazione necessari

al raggiungimento di una decisione. Mezzi, questi, che

66


Casablanca: un segnale indica “qualcosa”

in arabo. La mancanza di traduzione

impedisce all’utente non-arabo di

coglierne il messaggio.

Un segnale nei pressi dell’oasi di

Farafra, Egitto. Una questione di

orientamento?

67

possono diventare lineari ed efficenti grazie ad un buon intervento

di design. Come ad esempio la segnaletica urbana.

Il sentimento di disorientamento e di smarrimento, dunque, è la

conseguenza della mancanza di una mappa cognitiva, o del non

essere in grado di sviluppare un piano decisionale per raggiungere

un posto.

Le teorie sulle mappe cognitive hanno raggiunto negli ultimi venti

anni una grande popolarità, fino a spingere alla progettazione di

artefatti in grado di venirle incontro.

Due interventi caratterizzano il wayfinding design: innanzitutto,

l’individuazione di un problema con l’organizzazione spaziale

delle entità funzionali; e poi lo sviluppo di un ambiente comunicativo,

che fornisca le informazioni di cui l’utente ha bisogno per

risolvere il problema.

Le domande fondamentali da porsi nel progettare un sistema di

supporto grafico possono essere “Che informazione deve essere

fornita?”, “Dove deve essere posta l’informazione?” o anche “Sotto

che forma deve essere rappresentata?” (Passini, 1998).

Per rispondere a queste domande, ritengo opportuno ripercorrere

le ricerche che in questo ambito sono state effettuate da numerosi

psicologi cognitivi e progettisti ricercatori, in questi ultimi anni.

Ricerche, queste, che hanno quasi condotto alla formulazione di

norme e regole tecniche fondate su prove empiriche, studi comportamentali

da usare come paradigma da seguire.

Nel posizionare i segnali di direzione, ad esempio, Boersema (1989)

sostiene che il tempo di esplorazione ed i movimenti degli occhi

aumentavano con l’aumentare di segnali introdotti nel campo

visivo. La maggior parte dei segnali sono nel reame degli edifici

pubblici, che implicano una densità di persone e funzioni.

Ma anche le persone sono complesse. Mentre cercano la loro


68

orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

strada possono essere avvolte dai pensieri, possono prepararsi

mentalmente ad un incontro, possono stare chiacchierando o

essere esposti a stress e preoccupazioni. Le persone non trascurano

i propri problemi e pensieri solo perchè stanno cercando di

orientarsi!

I processi informativi devono operare in una specifica direzione,

per essere efficienti. La durata del tempo di fissazione di un segnale

è di circa due decimi di secondo (Adachi and Araki, 1989).

La psicologia cognitiva ci insegna, inoltre, che le informazioni

ottenute in uno sguardo sono inizialmente conservate nella

memoria breve (Neisser, 1967); se l’informazione è assimilata,

deve poi essere trasferita nella memoria a lungo termine.

Questa operazione avviene se il numero delle unità di informazione

è piccolo: esperimenti con la lettura della segnaletica

hanno dimostrato che i segnali direzionali che contengano

più di tre o quattro informazioni non possono essere compresi

in un solo sguardo. Le persone generalmente si fermano e

cominciano a leggere i segnali, in maniera sequenziale come se

fosse un libro: questa lettura non solo richiede più tempo, ma è

considerata dall’utente una spaccatura nel “normale” processo

informativo. I segnali che appaiono troppo complicati, infatti,

dovrebbero semplicemente essere ignorati: è evidente come i

messagi espliciti ed immediati siano più “naturali”.

Le ricerche sulla memoria hanno dimostrato anche come la


Otto Neurath (1882-1945), pittogrammi

indicanti un processo produttivo

attraverso il sistema ISOTYPE.

3

ricognizione sia più efficiente del richiamo (Shepard, 1967), e che

le immagini siano più facili da riconoscere. Per quanto riguarda la

posizione dei segnali nel tessuto urbano, una serie di analisi sulla

leggibilità dei segnali condotti da Passini e Aarthur (1992) hanno

portato alla definizione delle caratteristiche della posizione dei

cartelli: tra 1,20 a 1,60 m. per la lettura da vicino; tra i 2,20 e 3,00

m. per la lettura dalla lunga distanza.

Ma la leggibilità del segnale risponde anche a criteri di pertinenza:

è stato argomentato come, anche dopo essere stato esposto solo

una volta ad un’informazione con una specifica forma, l’utente è

in grado di identificare altri elementi di wayfinding simili molto

prima di poterne leggere il contenuto (Passini, 1984). Insomma,

basta vederne uno per essere catapultati in un intorno cognitivo

specifico, e i successivi segnali assumono grande pertinenza tanto

da essere notati con facilità e rapidità (cfr. Dan Sperber, 1999).

La coerenza nel design di un segnale, ad esempio l’uso del colore o

degli elementi grafici, riduce le possibilità di generare un sovraccarico

di informazioni: non è solo importante che la gente sappia che

cosa cercare, ma anche dove cercare informazioni per orientarsi.

Ne emerge che, una volta assimilata una forma, diventa abbastanza

semplice associarne di simili. Ma che cosa succede se l’immagine

è ambigua o non immediatamente riconoscibile? In questo

ambito il lavoro di Otto Neurath per ISOTYPE (International System

of Typographic Picture Education) dimostra come sia possibile codificare

un linguaggio internazionalmente riconoscibile. È, il suo,

forse il primo approccio alla grafica in termini di information design:

l’obiettivo delle sue ricerche era il rendere fruibili informazioni

di tipo quantitativo ad un maggior numero di persone possibile.

69


Segnale bilingue nell’aeroporto di

Tokyo

70

orientarsi nella medina

Con l’aumento dei viaggi e dei commerci, è avvenuto un crescente

bisogno di comunicare con persone che non conoscono la

lingua del posto in cui si trovano.

L’uso della simbologia è una delle maniere più popolari per

cercare di venire incontro a queste esigenze: l’intento è quello di

fornire una informazione accuratamente e velocemente senza

utilizzare le parole.

Paragonati ai messaggi scritti, i simboli hanno una serie di

vantaggi. Possono essere identificati velocemente e dalla lunga

distanza, in manierà più diretta e anche in condizioni climatiche

avverse (Ells and Dewar, 1979). Non solo: possono essere comprese

da chi non capisce la lingua del paese in cui appaiono e

possono essere letti con più rapidità. Inoltre, le loro caratteristiche

morfologiche gli conferiscono una capacità di rappresentare

le informazioni in una forma spaziale molto condensata.

È importante però esaminare i processi psicologici coinvolti nella

ricognizione e nella comprensione dei pittogrammi. I pittogrammi

astratti producono inferenze a livello concettuale, mentre

quelli concreti evocano specifici oggetti o elementi.

Le esperienze culturali, unite al contesto, possono giocare un

ruolo importante nella comprensione dei simboli.

Kolers (1969) sottolinea come i sistemi di scrittura siano costituiti

da elementi e dalle loro combinazioni. Nell’alfabeto, le lettere

sono gli elementi e le parole le loro combinazioni. Ma le lettere

possono essere considerate anche come una combinazione di

linee e curve. Esistono quindi differenti livelli di analisi.

A differenza del linguaggio verbale, la costruzione di combinazioni

visive non è basata su regole. Risulta difficoltoso comprendere

perché le persone interpretino una combinazione di

elementi grafici in un certo modo, né quali siano i meccanismi in


Il segnale “stop” gioca sulla sua riconoscibilità

a livello internazionale:

non è necessaria la traduzione.

Segnali stradali bilingue con linguaggio

iconico a Casablanca

Un’indicazione bilingue a Damasco

71


Alcuni pittogrammi realizzati da Otl

Aicher per le olimpiadi di Monaco del

1960.

72

orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

base ai quali scatta la riconoscibilità.

Ai simboli sono anche associati una serie di problemi: alcuni di

essi sono troppo piccoli per essere visti da lontano, altri sono

eccessivamente dettagliati. Alcuni sono troppo simili tra loro,

portando non solo alla confusione tra simboli, ma anche alla

non comprensione dell’informazione.

Parte del problema può essere dovuto ad una mancanza di

regole semantiche e sintattiche simili a quelle dei linguaggi

verbali, che dunque si affidano alla capacità del progettista

di evincere elementi semantici e sintattici chiari e non ambigui.

Come già anticipato, Otto Neurath con ISOTYPE può

rappresentare un esempio molto ben riuscito di creazione di

un “linguaggio internazionale per immagini”. Da ISOTYPE sono

derivati numerosi sistemi di rappresentazione, oggi ampiamente

utilizzati, dai quotidiani ai giornali; per l’orientamento negli

edifici (musei, ospedali, aeroporti...) nella segnaletica stradale e

dei trasporti, fino alle icone dei nostri computer.

Un linguaggio avviato da Neurath, dunque, e ripreso come

riferimento da numerosi progettisti: si pensi ai pittogrammi

realizzati da Otl Aicher per le Olimpiadi di Monaco del 1970,

sono un esempio di sviluppo e implemento di questo nuovo

“vocabolario pittografico”, caratterizzato da tratti semplici

come linee e punti, ma combinate in un insieme estremamente

ordinato e coerente.

Tutte queste considerazioni sui pittogrammi, però, si prestano

benissimo alla rappresentazione di azioni o funzioni paradossalmente

già note all’utenza. Entra, infatti, in gioco il criterio

di ricognizione accennato sopra: sempre per questioni di

pertinenza, è facile associare il concetto di aeroporto vedendo

un’immagine pittografica di un aereo, per citare un esempio.


3

Come ci si comporta se del luogo o della funzione rappresentati

nel pittogramma non si ha un’immagine o addirittura un’idea

ben chiara e precisa?

Sto pensando, naturalmente, alle possibili indicazioni da porre

nella segnaletica per Damasco. Per chi non avesse in mente che

cosa siano determinati elementi del sistema, un pittogramma

potrebbe rischiare di essere confuso per qualcosa d’altro: nelle

città islamiche esistono molti elementi di difficile penetrazione,

riconoscimento; proprio per questo possono esistere dei luoghi

o delle funzioni non aprioristicamente noti all’utente. Penso

all’hammam, ai caravanserragli, alle cittadelle, o ancora alle porte

o alle scuole coraniche. Per questi elementi ritengo parimente

esplicative, a livello comunicativo, le sole indicazioni scritte, che

giocano, questa volta, sul richiamo piuttosto che sulla ricognizione.

Questo perché, in condizioni di “confusione culturale”, è sufficiente

identificare un luogo con le atmosfere che può evocare,

e rimanere anche nell’incertezza, piuttosto che essere guidati da

un’interpretazione fittizia o fuorviante di un luogo.

Il problema principale con i pittogrammi è che non sempre il loro

significato è ovvio per l’utente: è un errore credere che possano

essere utilizzati per trasmettere un’informazione a persone di

tutte le nazionalità. Molti oggetti differiscono persino tra i loro simili

presenti in altre culture, o addirittura al’interno della stessa.

Un esperimento eseguito da Olmstead dimostra che esistono differenze

tra due gruppi culturali, americani e cinesi, nella ricognizione

di simboli per le strutture sanitarie. Non solo le persone che

si sono sottoposte al test non riconoscevano lo stesso numero di

simboli, ma tra quelli riconosciuti c’erano discordanze.

È ovvio che un’uniformità sia del design che dei simboli è desiderabile.

Ciò nonostante, l’uniformità non è che una carenza di uno

dei due elementi. Ci sono, naturalmente, chiari e rigidi esempi di

standard di design in certi campi, ma non si può pensare ad un

linguaggio internazionale unificato (Dewar, 1999).

“Pictograms can never fully replace alphabetics languages nor they are a magic road

to international communication”

(Kolers, 1969)

73


74

orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

IL PANORAMA DELLE SEGNALETICHE URBANE

di molte città mostra una certa

varietà nella scelta dei supporti, della forma o della posizione, in

merito ai sistemi di segni adottati per permettere l’orientamento

spaziale.

Esistono città che offrono esempi interessanti di segnaletiche,

che ho ritenuto opportuno analizzare per poterle classificare

in base ad alcuni parametri: una volta mappate, si può creare

uno strumento di analisi molto efficiente che possa permettere

di individuare i punti nevralgici di ogni segnale, o potenziarne

alcuni in fase progettuale.

Ho deciso di utilizzare dei parametri, dunque, per assegnare -in

maniera personale ed arbitraria- alcuni valori per ogni elemento

costituente la segnaletica.

Dalla tipografia ai pittogrammi, ma anche la forma, la componente

cromatica o l’indicazione della direzione, nonché l’armonia

con l’ambiente in cui è introdotta.

Nell’attribuzione dei valori , per ogni parametro di ciascuna

segnaletica presa in esame, ho considerato il contenuto di innovazione

dal punto di vista della grafica.

Ne consegue che aree più estese in termini di superficie apparterranno

a segnaletiche più innovative, sperimentali.

Per quanto riguarda i parametri, ho effettuato una distinzione

tra quelli che si basano sulla suggestione e quelli che fanno

dell’oggettiva indicazione la chiave di lettura.

Dunque, l’equilibrio tra queste due parti, nella superficie,

determina l’armonia tra i due fattori, molto differenti tra loro

ma in ugual misura importanti. Combinati, tali fattori portano

ad una maggiore leggibilità del segnale nonché ad un livello di

soddisfazione e di immersione nell’ambiente-città più forte e

consapevole da parte dell’utente.


forma

ambiente

colori

elementi additivi

3

connotazione

75

denotazione

suggestione percezione

1 2 3 4 5

elementi primari

direzione

ricerca grafica

pittogrammi

tipografia


forma

ambiente

colori

orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

76

direzione

pittogrammi

tipografia


3

77

Fes, Marocco

La segnaletica della città vecchia di Fes presenta un buon contenuto

di design: è un progetto coraggioso e sicuramente innovativo.

La superficie occupata nella mappatura, abbastanza estesa, è indice

di questo fattore. Generalmente, invece, c’è poco equilibrio tra

suggestione e indicazione: questo a causa dei pittogrammi eccessivamente

grandi e descrittivi che annullano quasi la componente

tipografica. La forma particolare, invece, favorisce il facile riconoscimento

del segnale.


forma

ambiente

colori

orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

78

direzione

pittogrammi

tipografia


3

La segnaletica di Aleppo, seconda città della Siria, non presenta

particolari contenuti stilistici, ma dal punto di vista dell’efficacia

del messaggio si può dire che funzioni. Per questo la zona delimitata

nella mappa è uniforme, ma non ricopre una superficie molto

grande per via della bassa caratterizzazione del segnale. Non c’è un

adeguato rapporto con l’ambiente circostante, ma solo la necessità

di fornire un’indicazione. Inoltre il contenuto pittografico può

ingannare o avere molteplici interpretazioni.

79

Aleppo, Siria


forma

ambiente

colori

orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

80

direzione

pittogrammi

tipografia


3

81

Venezia,Italia

La proposta effettuata dagli studenti dell’Università di Venezia in

occasione di “Viverevenezia3” è un ottimo esempio di equilibrio tra

suggestione e chiarezza nell’informazione, ma allo stesso tempo

un tentativo di creare un linguaggio grafico elegante e moderno.

La ricerca tipografica rientra in un’ottica di ripresa della tradizione

locale, di conseguenza il lavoro ottiene grande armonia con la città,

la sua storia, le sue tradizioni.


forma

ambiente

colori

orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

82

direzione

pittogrammi

tipografia


3

83

Lione, Francia

La segnaletica di Ruedi Baur per Lione è un lavoro molto elegante,

che punta sull’evocazione, da parte delle immagini di “ambienti

cittadini”, che sostituisce il pittogramma per dare maggiore valenza

all’esperienza nella città, piuttosto che alla funzionalità di un richiamo

più pragmatico. Dunque la componente informativa cede il

passo a quella del richiamo, dei colori, dell’immaginazione, riuscendo

a relazionarsi armonicamente con il paesaggio.


forma

ambiente

colori

orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

84

direzione

pittogrammi

tipografia


3

Bristol, Inghilterra

La segnaletica di Bristol fa parte di un ampio lavoro sulla città: dai

punti informativi alle strisce tipografiche che indicano una strada

raccontando una storia. Il successo di tale segnaletica è dato dalla

sua declinazione in differenti formati e supporti, che si approccia

con l’utenza in maniera molto amicale e diretta. Nella mappatura

si nota un certo equilibrio tra le componenti sintattiche, che mette

in risalto lo studio approfondito effettuato nella progettazione dei

segnali.

85


forma

ambiente

colori

orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

direzione

armonia leggibilità

86

espressività

pittogrammi

tipografia


3

La sovrapposizione delle superfici di mappatura mette in evidenza

la varietà del panorama delle segnletiche che ho analizzato: ognuna

ha il suo punto di forza ben identificato, così come delle lacune

su certi elementi. Dividendo il piano in tre superfici, rappresentanti

“armonia”, “leggibilità” ed “espressività”, è possibile analizzare

i progetti di sengnaletica in termini sovrastrutturali, oltre che

tecnici. Dunque, si ossserva in questo modo la tendenza general

di progetto, che può portare a privilegiare le componenti emotive,

così come quelle più prettamente strutturali o pragmatiche.

87


messico

costarica

tailandia

finlandia

canada

egitto

australia


francia

comunità europea

ecuador

russia

territori palestinesi

taiwan

india

cina

3

89

polinesia

singapore

Segnali dal mondo


orientarsi nella medina

Infodesign e orientamento spaziale

90


Bibliografia capitolo 3

AA. VV. visual information for everyday use, design

and research perspective, Harm Zwaga, Theo Boersema

Henriette Hoonhout Eds, Taylor & Francis, London 1998

Ruedi Baur, lyon, système d’orientation pour la ville et

son agglomeration, Jean Michel Place, Paris 2001

Rosemary Sassoon, signs, symbols and icons: pre-history

to the computer age, Albertine Gaur, Intellect 1997

Edward R. Tufte, envisioning information, Graphic Press

LLC, Chesire – Connecticut 1990

Ino Chiesi, dizionario iconografico, Rizzoli, Milano 2000

Ellen Lupton, thinking with type, Princeton Architectural

Press, New York 2004

Dan Sperber, il contagio delle idee, teoria naturalistica

della cultura, Feltrinelli, Milano 1999

91


93

Capitolo 4.

La città vecchia di Damasco


94

orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

LA CITTÀ VECCHIA DI DAMASCO

è uno scrigno di immagini e colori forti. La sua composizione

eterogenea, un misto di culture e radici differenti, le

conferisce caratteristiche visive molto particolari. Questo anche

grazie al fatto che la città ha subito le influenze di diverse culture:

Damasco è la città dai mille nomi: Sham, Dimashqa, Damas...

Partendo da un’analisi dell’identità visiva della città, si possono

porre le premesse per la progettazione di un sistema di segnaletica

urbana.

Creando uno strumento attraverso il quale la città possa essere

analizzata ed assimilata nei suoi particolari più nascosti. Una

guida, dunque, all’immaginario damasceno e a tutto ciò che

possa richiamare graficamente alla città.

Una mappatura grafica, insomma, che renda la città vecchia

fruibile ad un utente che non la conosca, premessa fondamentale

per avere un’immagine più esaustiva della medina, della sua

vita, dei rapporti tra i suoi elementi.

Damascus’ old city is a box of images and strong colours.

Its heterogeneous composition, a mixture of different roots and

culture, grants to the city particular visual features.

Damascus has been influenced by different cultures among

the history, it’s the city of thousand names: Sham al-Balad,

Dimashqa, Damas...

Starting from an analysis of visual identity of the city, we can

state the design of a new system of signs. Creating a tool through

which we should analyse and familiarize with its hidden

details.

A guide to Damascus’ imaginary and to everything should

lead us to the idea of “graphic” inside the city. A graphic

mapping that should make the old city enjoyable and usable

for a user who doesn’t know it. A basic preamble to obtain a

complete imagine of the medina, of its life, and of the relations

beetween its elements.


orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

96


4

La freccia è uno dei segni più ricorrenti nel panorama grafico

urbano della medina. Nelle pareti della città vecchia compaiono

decine di segnali di bar, caffè, ristoranti, rendendo complesso il

tessuto visivo con colori accesi, forme dinamiche, alfabeti inaccessibili.

La freccia appare quasi sempre, con forme e derivazioni

diverse. Talvolta contiene un testo, altre è parte di esso: la sua

struttura si fonde con quella dei caratteri arabi, “uscendo” dalle

parole quasi una “meta-legatura”.

Arrow is one of the recurring sign into graphic urban panorama

in the medina. On the old city walls, there’s plenty of

bar, café, restaurant signs, which make the visual round very

complex, with alight colours, dynamic forms, incomprehensible

alphabets. Arrow appears almost everytimes, with different

shapes and derivations. Sometimes it contains a text, others

it’s a part of it: arrows structure melts with type’s one, coming

out from word as a “meta-ligature”.

97


4

La scrittura è la caratteristica visiva

che più salta all’occhio nel

disordine semiotico delle città

islamiche. In una società fondata

sulla Parola, la valenza che

assume ogni tipo di calligrafia è

ben superiore a quella di molti

altri luoghi nel mondo.

Sono molto particolari le tecniche

utilizzate per far risaltare le

parole, ben distanti dal nostro

concetto di “sottolineatura”:

cerchiato, ombreggiato o allungato,

l’alfabeto arabo si presta

molto ad un utilizzo che ne modifichi

l’immagine in funzione

dello scopo.

Writing is the visual peculiarity

wich emerges from semiotic

disorder of Islamic cities. In a

society based on Words, value

of calligraphy is greater than in

others country of the world.

Very peculiar are techniques

used to make some words

come out of the text, very

different from our concept of

“underline”: circled, shaded or

extended, arabic alphabet is

very good at beeing used modifying

its shape according to its

purpose.

99


orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

102


Miniaturisations of floreal

and geometrics designs, like

rose windows and stars, are

the most frequent decorative

element in the Islamic architecture,

and in Damascene

ones in particular.

They appears widely on a lot

of houses or palace of the

old city; they can be considered

the “leitmotiv” which

characterizes architectonic

environment of the medina.

So, Damascus “visual frame”

is actually influenced by

grometrisation of nature and

of its shapes.

4

Le miniaturizzazioni di disegni

floreali e geometrici, rosoni

e stelle, fino ad arrivare agli

arabeschi, sono l’elemento

decorativo più frequente

nelle architetture Islamiche

e Damascene in particolare.

Presenti abbondantemente in

ogni casa o palazzo della città

vecchia, queste peculiari decorazioni

sono il “leitmotiv” che

scandisce l’ambiente architettonico

della medina.

La “cornice visiva” della città,

dunque, subisce parecchio

l’influenza della geometrizzazione

della natura e delle sue

forme.

103


orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

Kefiah

104


As well as most of the Middle

East cities, Damascus is very

colourful: the composition of

urban cloth, with the suq alternated

to cult places, offers

to visitor a great shapes and

colours show.

Textiles, spices, arabesques,

mosques, palaces: everything,

into muslim cities, has a

peculiar and shining colour.

From kefiah to saffron,

cromatic explosi0n of the medina

will make all the visitors

curious and astonished while

crossing Damascus lanes.

105

Come la gran parte delle città

del Medioriente, Damasco è

coloratissima: la composizione

del tessuto urbano, con i suq

che si alternano ai luoghi di

culto, offre al visitatore uno

spettacolo di forme e colori

non indifferente.

Tessuti, spezie, arabeschi,

mochee, palazzi: tutto, nelle

città islamiche, ha un suo

colore ben definito, acceso e

particolare. Dalle kefiah allo

zafferano, l’esplosione cromatica

della medina non può non

incuriosire ed affascinare chi

ne percorre i vicoli.


Mattina

106


107

Pomeriggio

Città vecchia: immagini di muri e

superfici diversamente illuminati.


orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

108

Scorci sulle mura della città e sulle tradizionali

case damascene, che di notte

assumono colori molto particolari.


4

Durante il giorno sono i colori della terra e dei mattoni a risplendere.

Si accendono e confondono in giochi di luci ed ombre: le strette

vie della città vecchia impediscono il perfetto passaggio dei raggi

del sole.

La notte ricopre la città vecchia di nuove tinte, sfumature, scorci.

Le caratteristiche case damascene, dalle righe orizzontali, vivono

del bagliore proveniente dai vicoli. La medina di notte veste i colori

e le atmosfere del Medioevo, ed ogni sera, cambiando d’abito, si

mostra in maniera differente.

During the day, hearth and bricks colours are glittering.

They light up and get mixed up into light-shadow games: narrow

alleys prevent the sunbeams from lighting the whole city.

During night the old city is covered by new dyes and shades.

Typical old Damascene houses, horizontal-lined, are illuminated

by flashing coming through the lanes. In the nighttime the medina

wears atmosphere and colours of the Middle Ages, and every

night, changing its clothes, shows itself in a different way.

109

sera


Un palazzo all’interno della medina,

sul quale si creano due distinte zone in

luce e in umbra.

orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

110


4

111

luci / ombre


Alcune persone davanti alla

Moschea degli Omayyadi

orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

112


4

113


orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

114


115


Alcune boccette di profumo in una

bancarella del Suq al-Hamidiyya

orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

ore 12

116

ore 14


4

ore 16 ore 18

117

Uno specifico luogo può cambiare di

forma, colori e dimensione anche durante

la stessa settimana: si nota come il Suq si

trasformi di coninuo.


orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

La strada che porta all’ingresso del Suq Al-Hamidiyya.

Venerdì e Sabato.

118


119


orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

120

1572


4

121

2005


Spazio fisico e flussi

cittadella

suq al-hamidiyya

La città vecchia di Damasco in un disegno

del 1572 ed in una foto del 2005,

dal Monte Qassioum

orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

moschea

degli omayyadi

azem palace

straight street

Nella città vecchia tutto cambia

in continuazione. Dal giorno alla

notte, tra luci ed ombre, la forma

della medina si adatta alle

funzioni che in essa si svolgono.

Dai mercati alle moschee, nel

corso della giornata varie zone

della città si alternano il primato

di “più rumorose”, o “più

trafficate”, “più variopinte”.

Tutto all’interno delle mura

di cinta, che ne contengono le

mutazioni, gli sbalzi d’umore, i

traffici.

122

hammam

quartiere

ebraico

bab touma

street

quartiere

cristiano


Accessi alla città vecchia

Flussi maggiori di persone

4

123


Flusso di persone

Basso

Alto

orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

Questa mappa illustra le zone

di maggiore densità all’interno

delle mura. Laddove si incrociano

vita spirituale e commerciale,

lo spazio fisico tende

ad inspessirsi, si creano zone

maggiormente percorse da

cittadini e turisti.

In tali zone “critiche” sarà necessario

intervenire per diluire

la densità di stimoli e percorsi.

124


poli di attrazione

4

Moschea degli

Omayyadi

Straight Street

Suq al-Hamidiyya Azem Palace

La Moschea degli Omayyadi,

unita al Suq al-Hamidiyya e al

Palazzo Azem, sono i tre poli di

attrazione della città vecchia.

Straight Street è da considerarsi

il canale principale degli spostamenti

tra i poli: taglia trasversalmente

la medina, generando

due “semipiani urbani” distinti.

125


orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

DAMASCO: I 5 SENSI CHE SI FONDONO

Durante una passeggiata

nella città vecchia il visitatore

si vedrà avvolto ed arrotolato

da parecchi stimoli di origine

differente. Suoni, odori, colori,

segni e scorci lo catapulteranno

in un’atmosfera tipicamente

arabeggiante e suggestiva,

quasi un tuffo nel passato, nelle

tradizioni, nell’autenticità.

126


127


orientarsi nella medina

128


129


orientarsi nella medina

La città vecchia di Damasco

130


Bibliografia capitolo 4

Brigid Keenan, Tim Beddow, damascus: hidden treasures

of the old city, Thames & Hudson; 2001

Antonino Pellitteri, damasco dal profumo soave, Sellerio

Editore Palermo 2004

Terry Carter, Lara Dunston, Andrew Humphreys, siria, Lonely

Planet, 2004

AA. VV., siria e giordania, Meridiani, Domus 2002

131


133

Capitolo 5.

Il progetto della segnaletica


SCELTA DEI CARATTERI

B Yekan Book 200

Carattere in scala 1:1

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

134


5

پ ﭗ ﭘ ﭙ ﺕ ﺖ ﺗ ﺘ ﺏ ﺐ ﺑ ﺒ ﺎ ﺍ

ﺙ ﺚ ﺛ ﺜ ﺝ ﺞ ﺟ ﺠ ﺡ ﺢ ﺣ ﺤ ﺥ ﺦ ﺧ ﺨ ﺩ ﺪ ﺫ ﺬ ﺭ

ﺮ ﺯ ﺰ ﺱ ﺲ ﺳ ﺴ ﺵ ﺶ ﺷ ﺸ ﺹ ﺺ ﺻ ﺼ

ﺽ ﺾ ﺿ ﻀ ﻁ ﻂ ﻃ ﻄ ﻅ ﻆ ﻇ ﻈ ﻉ ﻊ ﻋ ﻌ ﻍ ﻎ ﻏ ﻐ

ﻑ ﻒ ﻓ ﻔ ﻕ ﻖ ﻗ ﻘ ﻙ ﻚ ﻛ ﻜ ﻝ ﻞ ﻟ ﻠ ﻡ ﻢ ﻣ ﻤ

ﻥ ﻦ ﻧ ﻨ ﻭ ﻮ ﻩ ﻪ ﻪ ﻫ ﻬ ﺓ ﺔ ﻱ ﻲ ﻳ ﻴ ﻻ ﻼ ﻯ ﻰ ﺁ ﺂ

1 2 3 4 5 6 7 8 9 0 ﺃ ﺄ ﺅ ﺆ ﺇ ﺈ ﺉ ﺊ ﺋ ﺌ

Per la scelta dei caratteri da

utilizzare per le indicazioni

della segnaletica, ho cercato

un accostamento tipografico

arabo-latino che potesse

risultare contrastante ma allo

stesso tempo armonico.

Per questo ho scelto il carattere

ITC Officina Serif

per le informazioni in lingua

inglese, mentre il B Yekan

Regular per quelle in arabo.

Ho fissato a 160 pt il corpo del

carattere latino, 200 pt quello

arabo.

135

B Yekan Book

Il carattere B Yekan è un

carattere molto geometrico.

La sua chiarezza gli conferisce

una buona leggibilità dalla

distanza.


A B C D E F G H

I J K L M N O P Q R S T U

V W X Y Z a b c d e f g h i

j k l m n o p q r s t u v w

x y z 1 2 3 4 5 6 7 8 9 0

ITC Officina Serif Book

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

Disegnato da Erik Spiekermann,

l’Officina è nato come

carattere per la corrispondenza

da ufficio. È stato uno dei

primi caratteri squadrati, e

la sua forma aperta lo rende

efficace e leggibile per le

segnaletiche.

136


5

137

ITC Officina Serif 160

Carattere in scala 1:1


INDICARE LA DIREZIONE

legatura con la freccia

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

L’alfabeto arabo si presta molto

alla modifica della sua struttura

morfologica. Tale libertà espressiva,

fondata sulla linearità

dell’arabo, ma anche sulla sua

possibile verticalità, permette

di intervenire sulla direzione. La

freccia, dunque, come elemento

intrinseco al testo, una sua

appendice, un suo prolungamento.

138

legatura dell’arabo

y


5

ade Mosque

139

Tipografia in scala 1:2


6 cm.

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

Possibili forme e combinazioni

delle frecce da unire al testo.

140


SCELTA DEI COLORI

5

Per il colore principale del cartello

ho scelto il blu: è un colore

che trasmette sicurezza e affidabilità;

dà un’idea di fermezza

e spezza la monocromia delle

mura damascene. Inoltre non

si identifica con una religione

in particolare, come potrebbe

avvenire col verde, colore

panarabico, ad esempio. Questo

nello spirito di convivenza e

contaminazione delle religioni

all’interno della Città Vecchia:

utilizzando un colore più “neutro”

il segnale non si presta ad

interpretazioni ingannevoli. Per

gli elementi secondari, invece,

ho scelto l’azzurro, mentre il

bianco come colore da affiancare

al blu.

141


orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

142

C M Y K

R G B

R A L

P A N T O N E

1 0 0 6 2 0 2 6

0 6 8 1 3 7

5 0 1 0

2 7 0 7


5

C M Y K

R G B

R A L

P A N T O N E

143

2 5 1 0 0 0

1 9 9 2 1 7 2 3 9

5 0 2 4

2 9 1


orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

144


DIFFERENZIARE GLI ELEMENTI

5

La scelta di non utilizzare i

pittogrammi per differenziare

gli elementi del sistema

mi ha portato a trovare una

maniera per identificare ogni

elemento attraverso un suo

pattern grafico costituente:

gli arabeschi, fratelli della

tipografia, ricoprono la città in

ogni sua parte. Derivano dalla

passione per la geometria e

sono una normale e logica

evoluzione delle rappresentazioni

grafiche dei paesi arabi.

Chiunque visiti una città araba,

infatti, non può evitare di

notarli. Per questo ho cercato

di sintetizzare gli arabeschi

più rappresentativi di ogni elemento

della città, per renderli

simbolo dell’elemento stesso.

Luoghi di culto

Palazzi e scuole

Suq e mercati

Svago

Porte d’accesso

145

Gli arabeschi collegati ad

ogni elemento della città

giocano sulla simbologia, non

sull’iconografia. Non si tratta,

dunque, di somiglianza coi

luoghi che devono rappresentare,

ma di richiamo, evocazione.


orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

146


Interni di numerosi luoghi damasceni:

moschee, chiese, palazzi rinascimentali,

ristoranti. Si nota come l’arabesco sia il

leitmotiv grafico.

5

147


Luoghi di culto

Le moschee e le chiese sono

uno scrigno di arabeschi. Le

loro geometrie le ricoprono

quasi totalmente e offrono

un’ampia varietà di forme e

colori.

Palazzi e scuole

Nei palazzi damasceni, ampiamente

decorati, i frontoni

delle porte presentano

arabeschi simili tra loro molto

suggestivi.

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

148


5

149

Suq e mercati

I mercati ed i suq coperti sono

un arabesco tridimensionale,

dato il loro fitto intreccio

all’interno della città.

Svago

Gli hammam ed i ristoranti

colpiscono per le loro vetrate

e le loro pareti scintillanti e

colorate. Di conseguenza le

decorazioni al loro interno

appaiono molto eleganti.


Porte d’accesso

È tramite otto porte che si accede

alla città vecchia. Alcune

di queste sono ancora ricoperte

di antiche decorazioni.

Gli arabeschi individuati

creano dei pattern iscritti in

una circonferenza di raggio

6,5 cm.

r. 6,5

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

150

Scala 1 : 1


SCELTA DELLA FORMA

x

5

2x

Nella parte bianca è contenuto

il nome in inglese del

luogo, mentre in quella blu

sono racchiuse le informazioni

in arabo e la direzione da

seguire. Sulla destra è riservato

uno spazio per l’arabesco

distintivo del luogo indicato.

151

Colore principale, Blu

Bianco


Indicazione in Arabo

Indicazione in Inglese

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

Suq al-Hamidiyya

La distribuzione dei colori

nello spazio del segnale vuole

evocare le “strisce damascene”,

le famose decorazioni che

ricoprono numerosi edifici nella

città vecchia.

152

Spazio per arabeschi


5

Suq al-Hamidiyya

Indicatore di una direzione

Suq al-Hamidiyya

153

Segnale di ingresso nei luoghi

Arabesco che indica la

categoria: Suq e mercati.

scala 1 : 10


TIPOLOGIE DI SEGNALI

Omayyade Mosque

Omayyade Mosque

Luoghi di culto

Azem Palace

Azem Palace

Palazzi- scuole

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

154

Hammam Nur ad-Din

Hammam Nur ad-Din

Svago

Bab Touma

Bab Touma

Porte d’accesso-uscita


155


36

TAVOLE ESECUTIVE

1 10

25

4,5 6,5

11 14

1

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

r. 3

6 51

156


78

80

5

157

5

r. 2

13 5

1


25

17

7

1

3 5 7,5

9,5

1

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

3 39

158

58

60


3

13

5

159

2

1

Pagina precedente:

Segnale di indicazione direzione,

da posizionare su mura e

su supporti metallici.

ITC Officina Serif Book 160 per le scritte

in inglese; B Yekan Regular Book 200

per le scritte in arabo.

Segnale di ingresso ad un determinato

luogo. Di dimensione

inferiore all’altro segnale, si

pone in prossimità del luogo

che indica.

ITC Officina Serif Book 140 per le scritte

in inglese; B Yekan Regular Book 160per

le scritte in arabo.

Misure in centimetri

Scala 1 : 3


zem Pa


lace


CONTESTUALIZZAZIONE

220 36

160 25

81

162

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica


5

163

200 72


MATERIALI E AGGANCI

Il materiale che ho scelto per i

segnali è l’alluminio, materiale

resistente alle variazioni

climatiche, leggero ed

economico.

Per gli agganci dei cartelli

ai supporti tubolari sono

previste due fascette fissate

e tenute strette con due viti.

Per i cartelli da fissare alla

parete, invece, si utilizzeranno

dei normali tasselli.

Le scritte e gli arabeschi dei

segnali, invece, saranno verniciate

con colori per alluminio.

orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

164

parete

preesistente

gommino

tassello in acciaio


5

Possibili agganci del segnale ai

supporti

165


orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

166


5

167

L’ESPERIENZA DEL SEGNALE

Ci sono diversi modi per interagire

con la segnaletica. Tutto

dipende dalla visibilità offerta

dalla città stessa: a volte i cartelli

appaiono all’improvviso,

altre sporgono nascosti dalle

prospettive, ed occorre avvicinarsi

per interpretarli.

E una volta riconosciuto il primo,

una volta fatta esperienza

del sistema di segni, risulterà

più facile riconoscerne gli altri

in giro per la città, per ragioni

di pertinenza (cfr. cap. 3).


orientarsi nella medina

Il progetto della segnaletica

168

4

3

2


QUANDO LA CITTÀ NASCONDE: AVVICINARSI AL SEGNALE

1

1

2

3

4

5

169

Omayyade Mosque

Omayyade Mosque

Omayyade Mosque

Omayyade Mosque

Il tessuto urbano della città

vecchia rende ogni strada e

parete di difficile perlustrazione:

il segnale stesso, posto sul

muro, diventa perfettamente

visibile solo avvicinandosi

abbastanza. Di conseguenza,

man mano che si cammina

per i vicoli inizialmente si è

attirati dal cartello (1), successivamente

si percepiscono le

informazioni scritte (2) e la

direzione (3). Infine, una volta

arrivati nei suoi paraggi, quando

i giochi prospettici della città

lo rendono perfettamente

visibile, si fa la vera esperienza

del segnale (4), entrando in

affinità con le sue simbologie,

con le sue forme.


171


orientarsi nella medina

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orientarsi nella medina

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Milano, luglio 2005


Grazie a:

orientarsi nella medina

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luciano perondi per avermi insegnato che la scrittura è vista

prima di essere sentita; stefano mandato per il supporto, la

guida e per le intuizioni sempre pertinenti; giovanni lussu per

la spinta iniziale; beshr al-berry per aver trasformato questa

tesi in un progetto; maher azem per le traduzioni; antonio

pe per le consulenze orientalistiche; jim siebold per le mappe;

nadine chahine per l’intervista; narcisiva per i consigli;

panda per le svettorializzazioni e non solo; marco ferrari per

la consulenza fotografica e non solo; la raisa per gli agganci

damasceni; valentina camerini per quell’istanbul-damasco;

andrea montagnoli per le foto nipponiche; villalta rudh

perché insieme coloreremo il cielo.

Grazie anche alla mia famiglia, che ha sopportato me e le mie

scorribande mediorientali.

Dedico questo progetto a dax

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