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Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura

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minea ritirata al termine di quelle due parole che dicevano<br />

e non dicevano.<br />

E <strong>Mesina</strong>? Per arrivare, arriva. Ma con enorme ritardo.<br />

Si viene a sapere che di buon mattino, non appena<br />

gli avevano riferito che una muta di giornalisti lo<br />

stava aspettando al varco, ha telefonato a suo fratello<br />

Ballore per chiedergli aiuto: «Vieni a prendermi».<br />

Spera (e sbaglia) di poter evitare la stampa e trattare in<br />

condizioni privilegiate il ventaglio di esclusive che lo<br />

aspetta.<br />

Le cose gli vanno male a metà. Indimenticabile comunque<br />

l’immagine che offre quando l’ultimo cancello<br />

automatico lampeggia e si apre lentamente per lasciarlo<br />

passare. Tra lui e il mondo c’è a quel punto solo una cancellata<br />

immensa, stretta, robusta, ostile. Braccia appesantite<br />

da tre buste di plastica (il bagaglio di undici anni<br />

in galera), Graziano appare in tutta la sua fragilità. Resta<br />

immobile, per pochi secondi, guarda disorientato e<br />

scosso le truppe assatanate che lo aspettano al di qua<br />

<strong>del</strong>le sbarre. Ha la faccia stanca, gli occhi velati da un<br />

istante di commozione (ma lui dirà che è colpa <strong>del</strong> raffreddore),<br />

la tensione e la solennità dei grandi momenti.<br />

Non sposta un muscolo, statuario come una preda che<br />

ha fiutato l’aria e aspetta l’attimo <strong>del</strong>la fuga.<br />

La primula rossa <strong>del</strong> Supramonte, adesso, è quasi un<br />

vecchio acciaccato dagli anni, un <strong>signor</strong>e che ha bisogno<br />

di riposare, muoversi con calma. Papalina grigia,<br />

giacca a vento e jeans, potrebbe essere confuso per un<br />

qualunque pensionato se non fosse per quella zavorra<br />

colorata che raccoglie tutte le sue cose, il corredo: un<br />

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po’ di vestiario, libri, lettere, il curriculum giudiziario.<br />

Stringe le mani di una decina d’agenti, prima di affacciarsi<br />

timidamente all’esterno sognando di raggiungere<br />

la macchina di Ballore prima che quegli altri, telecamere<br />

e notes, sferrino l’attacco. «Graziano, Grazianooo...».<br />

Dalle retrovie qualcuno lancia un urlo. E lui si<br />

blocca, posa le buste per terra e aspetta che il primo incursore<br />

riesca a placcarlo. «Bentornato». <strong>Lo</strong> salutano<br />

un vecchio amico, il nipote, un parente-giornalista. Baci<br />

e abbracci, pochi secondi che tuttavia bastano a tutti gli<br />

altri per andare all’arrembaggio.<br />

Parte una raffica di domande, più o meno scontate.<br />

Cosa prova, cosa farà, come ha dormito l’ultima notte<br />

in cella, cosa ha detto a quelli che restano, chi gli piacerebbe<br />

ringraziare, vuole fare un appello agli italiani.<br />

<strong>Mesina</strong> risponde a monosillabi, costringendosi perfino<br />

a sorridere. Ma di un sorriso stretto, di circostanza.<br />

Non ne ha affatto voglia di ridere, lo stress sembra<br />

paralizzarlo. La voce di Ballore, che preme vanamente<br />

per fare manovra e andar via, affiora quando un cronista<br />

chiede quale sarà la prossima meta: «Destinazione<br />

segreta».<br />

Segreta? Con molta fatica e dopo molte insistenze,<br />

Graziano riesce a infilarsi in macchina, fendere la folla<br />

e allontanarsi. I più selvaggi <strong>del</strong>la muta lo tampinano,<br />

quasi fossero la scorta. Confidano che lungo strada tanta<br />

cocciutaggine venga premiata. E invece no. Ballore<br />

vola, si fa per dire, verso Crescentino e intanto interroga<br />

il fratello per rompere un silenzio fastidioso. Ma<br />

Graziano non ha voglia di parlare. Un nebbione da manuale<br />

gli chiude l’orizzonte <strong>del</strong> mondo che ha soltanto<br />

immaginato per tanti, lunghissimi anni: pioppi, frutteti,<br />

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