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Un nuovo equlibrio per il Mediterraneo<br />
Il milione che ci deve unire, non dividere<br />
Antonio Suraci<br />
Un milione di persone, oggi<br />
in piazza in Egitto, divi‐<br />
dono e uniscono le sponde<br />
del Mediterraneo. Ci divide la<br />
paura di comprendere il fenomeno<br />
della rivolta che ha caratterizzato<br />
intere giornate in Tunisia, Algeria,<br />
Giordania, Yemen ed Egitto. Con<br />
titubante attenzione l´Occidente si<br />
è accostato alla rivolta temendo un<br />
effetto domino a danno dei propri<br />
interessi, pur sapendo che nulla<br />
poteva paragonare tale rivolta ad<br />
una rivoluzione islamica. L´Occi‐<br />
dente frena, non capendo che il<br />
senso delle contestazioni riguar‐<br />
dano non tanto l´economia, lo svi‐<br />
luppo e il lavoro, certamente non<br />
secondari, quanto la dignità di es‐<br />
sere uomini liberi anche all´interno<br />
di un sistema che trae origine da<br />
valori religiosi, pur laicizzati, in<br />
questa parte del Mediterraneo. La<br />
paura di avere tante cellule di al<br />
Quaeda pronte ad aggredirci ha<br />
fatto muovere le diplomazie occi‐<br />
dentali con il solito consueto atten‐<br />
dismo. Gli interessi di un<br />
continente hanno ancora prevari‐<br />
cato i sentimenti di libertà e demo‐<br />
crazia. Eppure quel milione di<br />
uomini, oggi, ci unisce in una ri‐<br />
chiesta assai più corposa che pre‐<br />
tende risposte certe, molto più<br />
concrete di quanto abbiano fatto le<br />
Cancellerie europee nel fronteg‐<br />
giare una crisi economica globale,<br />
non saputa anticipare e control‐<br />
lare. Unisce le due sponde del Me‐<br />
diterraneo il bisogno di una<br />
politica più aperta, più partecipa‐<br />
tiva e meno basata sui consolidati<br />
rapporti di una globalizzazione<br />
che rende meno liberi e più<br />
schiavi. La crisi del sud Mediterra‐<br />
neo è databile tanti anni or sono,<br />
solo la convenienza di non sbloc‐<br />
care situazioni apparentemente<br />
stabili ha portato l´Europa a ri‐<br />
chiudersi in se stessa e a governare<br />
i processi di fuga da queste terre<br />
penalizzando quanti richiedevano<br />
ospitalità. La chiusura delle fron‐<br />
tiere è stato un altro elemento di<br />
lievitazione, in questi ultimi tre<br />
anni, del malcontento poi sfociato<br />
nella rivolta. Ci unisce la gioventù,<br />
uomini diplomati o laureati, che<br />
vogliono avere la possibilità di<br />
confrontarsi apertamente con i<br />
loro coetanei europei, i quali, sep‐<br />
pur assai più protetti, non di meno<br />
vivono le stesse pulsioni dei loro<br />
amici algerini, tunisini o egiziani.<br />
Ci unisce la nascita, sempre sotto‐<br />
valutata, di una classe media che<br />
in queste terre è andata a disarti‐<br />
colare un sistema affacciandosi<br />
sulla scena economica nazionale,<br />
chiedendo una maggiore conside‐<br />
razione e una maggiore libertà per<br />
rappresentare il proprio trasver‐<br />
sale potere sociale. Quella nuova<br />
classe media che avanza non solo<br />
in queste terre, ma nella stessa<br />
Africa dove lo sviluppo economico<br />
ha fatto crescere una nuova classe<br />
di consumatori che richiede più<br />
stabilità di lavoro e di sviluppo. In<br />
Cina e in tutto il continente asiatico<br />
masse di cittadini chiedono le<br />
stesse cose.<br />
Necessitano risposte adeguate e<br />
non solo vertici in cui riscrivere re‐<br />
gole valide per gestire l´esistente.<br />
Risposte che coinvolgano gli inte‐<br />
ressi diffusi e sappiano riportarli a<br />
sintesi per superare definitiva‐<br />
mente quelle lotte etniche frutto di<br />
un neo‐colonialismo globalizzato,<br />
dannoso per gli stessi interessi di<br />
pace e di sviluppo dell´Occidente.<br />
Ci unisce, infine, l´esempio. L´Eu‐<br />
ropa dei popoli, ancora assai im‐<br />
matura sul piano politico, offre un<br />
esempio di convivenza civile,<br />
dopo secoli di orrendi massacri, e<br />
questa convivenza civile la si deve<br />
non tanto a pochi illuminati legi‐