Quel simbolo della storia che divide l'Italia - La Repubblica

MARTEDÌ 11 AGOSTO 2009
■ 32
LIBRI
ILVO
DIAMANTI
Mappe
dell’Italia
politica.
Bianco,
rosso, verde,
azzurro e...
tricolore
Il Mulino
2009
Il male del
Nord. Lega,
localismo,
secessione
Donzelli
1996
ITO DE
ROLANDIS
Origine del
Tricolore. Da
Bologna a
Torino
capitale
d’Italia
Il Punto
1996
SYLVIE
BEDNAR
Bandiere.
Una
bandiera, un
paese, una
storia
L’Ippocampo
2008
GIGI DI FIORE
Controstoria
dell’unità
d’Italia
Rizzoli
2007
PAOLO
RUMIZ
La
secessione
leggera.
Dove nasce
la rabbia del
profondo
Nord
Feltrinelli
2001
Eppure sono belle sconosciute
le nostre bandiere
regionali, comunali
e rionali quando finiscono
in mano agli
sbandieratori che le agitano e come
giocolieri le fanno saltare e roteare,
le trasformano nei mille colori
dell’allegria popolare, nel palio
di Siena, nelle feste di strada. È
il momento magico in cui le piccole
bandiere del nativismo si
fanno banderuole e “girano” verso
la ricchezza del folclore. Ce ne
sono alcune che hanno una forte
storia, come quelle delle isole
maggiori o di Venezia, e ce ne sono
altre che hanno piccole storie
come la bandiera della Lombardia
per esempio che mai ha presunto
di sé perché era periferia di
altri imperi, ora della Spagna e ora
dell’Austria. Ebbene, la Lombardia
è diventata una grande regione
d’Italia, dell’Europa e del mondo
proprio perché non ha mai
perso tempo con la bandiera dell’appartenenza,
con i drappi che
riempiono i vuoti e surrogano la
vita, con il grido di chi non ha nulla.
E infatti la Lombardia non è famosa
per le sue bandiere ma per i
suoi uomini-bandiera, da Beccaria
a Cattaneo, da Manzoni a Gadda,
sino a Meazza, al pur piemontese
Rivera e a Facchetti, in un’Italia
che a sinistra è cresciuta con la
bandiera rossa e a destra con
quella nera. Pasolini scrisse un inno
alla bandiera rossa e non al tricolore,
abbandonato ai quadri futuristi
di Boccioni e di Carrà e alla
bolsa retorica della Patria con la P
maiuscola. E Longanesi e Montanelli
sognavano in versi un’altra
bandiera: «Ma il vento / il vento
che piega i cipressi / perché non
solleva, Gesù Maria / la vecchia
bandiera dell’Anarchia...».
«Maledetti liberali» diceva
Amedeo Nazzari nel ruolo del brigante
meridionale che calpestava
appunto il tricolore perché solo
nella finzione del Rinaldo in campo,
quella di Domenico Modugno,
la bandiera non mette al bando
i banditi, patrioti sui somari:
«Col bianco delle nevi delle Alpi /
col verde delle valli di Toscana, col
rosso dei tramonti siciliani...». E
ancora: «Col bianco dei capelli di
mia madre / col verde di due occhi
tanto belli / col rosso, rosso sangue
dei fratelli...».
Al contrario: nei panni del principe
romano, Vittorio Gassman
scaracchiava - «cispadano!» -
contro il tricolore che, come
un’insegna pubblicitaria, sventolava
e sventola sui palazzi delle
istituzioni e tanto più è presente
quanto meno si vede. Allo stadio,
invece, si vedono solo le bandiere,
e si gonfiano di aggressività per-
DIARIODI REPUBBLICA
BANDIERE
FRANCESCO MERLO
Ci sono quelle della politica e quelle delle feste popolari
Sono l’immagine di un’appartenenza: diventano motivo di scontro
se questa viene discussa. Come sta succedendo nel nostro Paese
Quel simbolo della storia
che divide l’Italia
Una stampa del periodo
della Grande Guerra: la
partenza dei soldati per
liberare Trento e Trieste
ché esigono almeno un gol, “il gol
della bandiera”, come nei territori
di guerra esigono almeno una
goccia di sangue.
Ma ci sono bandiere generose
che pretendono di avvolgere il
mondo e bandiere spaventate che
vogliono mettere in fuga il mondo
o, meglio ancora, vogliono fuggire
dal mondo. Sempre le bandiere
sono strumenti mobili che segnalano
valori fissi, affidano al
vento astrofisico, ma anche a
quello della storia e della geografia,
i loro presunti assoluti: il tricolore
della civilisation française e il
leone rampante della tribù di Abbiategrasso.
L’Union Jack della
SILLABARIO
BANDIERE
I valori
Affidano al vento della storia
i loro presunti assoluti:
l’Union Jack della democrazia
parlamentare, le stelle e
strisce della frontiera
americana, il verde della
prepotenza della Jihad
Curva sud
Per gli ultrà di calcio il
bianco, rosso e verde contano
di meno del biancoazzurro
o del rosanero. E tuttavia il
patriottismo rimane un valore
sportivo, come dimostrano
gli sventolii allo stadio
democrazia parlamentare, le stelle
e le strisce dell’individuo della
frontiera americana e la bandiera
verde della prepotenza etnico-religiosa
della Jihad. E c’è la grandezza
della mezzaluna turca dell’Eurasia
che mette insieme Ettore
e Achille, ma c’è anche la bandiera
degli ammutinati contro la
propria bandiera: la bandiera antibandiera
col teschio dei pirati.
Da un lato la grettezza del viso tripode
del microinsularismo presuntuoso
della Sicilia e dall’altro
la dolcezza italiana del tricolore al
vento, con la sua arte da cucciolo:
l’arte dell’eternità.
La nostra bandiera nazionale
GIOSUÈ CARDUCCI
Sii benedetta! benedetta nell’immacolata origine,
benedetta nelle via di prove e di sventure per
cui immacolata ancora procedesti, benedetta
nella battaglia e nella vittoria, ora e sempre, nei secoli!
Non rampare di aquile e leoni, non sormontare di belve
rapaci, nel santo vessillo; ma i colori della nostra primavera
e del nostro paese, dal Cenisio all’Etna; le nevi
delle Alpi, l’aprile delle valli, le fiamme dei vulcani.
E subito quei colori parlarono alle anime generose e
gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la
patria sta e sì augusta; il bianco, la fede serena alle idee
che fanno divina l’anima nella costanza dei savi; il verde,
la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene
nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione ed il
sangue dei martiri e degli eroi. E subito il popolo cantò
alla sua bandiera ch’ella era la più bella di tutte e che
sempre voleva lei e con lei la libertà.
consegna al vento le cupole e i battisteri,
le colline toscane e i paesaggi
sinuosi, e il mondo del Papa
certo, ma anche di un Gesù raffinatissimo,
bambino mite e colto,
un Cristo tricolore accomodante
che, la mano sul mento e il gomito
sul ginocchio, si adatta alla prigione
della terra dove è dolce naufragare.
Al contrario, le nostre bandiere
regionali, strappate alla gioia del
folclore, espongono il chiuso e la
paura, l’astio e l’insicurezza dell’appartenenza
organica e tribale,
la piccola patria anteposta alla patria,
la terra della madre (la matria)
alla terra del padre (la patria),
il club alla Nazionale. Per gli ultrà
del calcio il tricolore conta meno
del biancoazzurro o del rosanero
e i tifosi della curva sud sono gli ultimi
alfieri rumorosi del luogo
d’origine contrapposto al luogo
d’arrivo. E tuttavia il patriottismo
rimane un valore sportivo, come
dimostrano le bandiere nazionali
sventolate dai tifosi che, a differenza
di Bossi, non diventano italiani
contro l’Italia, e sono meno
ultrà di lui perché non gridano che
«è meglio buttare il tricolore nel
cesso», a riprova che la stucchevole
guerra per i simboli regionali
che la Lega vuole nella Costituzione
malamente copre la povertà
della cultura politica che ci governa
per disfare l’Italia.
Eppure proprio le bandiere
della politica furono la concentrazione
espressiva di un progetto
e di un pezzo di Storia. La falce dei
campi e il martello delle officine
erano la dittatura del proletariato.
Nella croce della Libertas c’era la
tradizione cattolica, antistatalista
e solidarista. Nei fasci di combattimento
c’era il corporativismo
lanciato contro lo straniero e contro
la democrazia parlamentare...
Oggi che le bandiere hanno ceduto
il posto a griffe “creative”, asini
e ramoscelli che non rimandano
più a nulla, ci unisce solo il tricolore,
anche se ciascuno vi vede
sventolare una sua Italia personale.
Tutti infatti siamo cresciuti venerando
altri feticci, noi delle generazioni
dei senza bandiera: le
prime edizioni in lingua originale
del Manifesto, le tombe di Marx e
di Jimi Hendrix, la scrivania di Togliatti,
le foto dei militanti italiani
accanto a Mao, il ciclostile, l’eskimo,
il cappello dei Beatles, le pile
di libri non letti... Il tricolore è tutto
questo ed è altro ancora sino ai
feticci che un giorno furono inconfessabili,
ai western e a Totò,
alle canzoni di Battisti, ai pornofumetti
di Isabella, alla minigonna
che ancora sul nostro ponte
sventola. È il ponte dove tutte le
bandiere del mondo sono bianche.
Gli autori
IL SILLABARIO di Giosuè Carducci si intitola
“Per il tricolore” ed è parte del discorso
che il poeta tenne a Reggio Emilia il 7
gennaio 1897, primo centenario della nascita
del tricolore. Lucio Villari, tra gli altri
suoi libri, ha curato il volume Il Risorgimento
(Repubblica-l’Espresso).
I Diari online
TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica,
comprensivi delle fotografie e dei
testi completi, sono consultabili su Internet
in formato Pdf all’indirizzo web
www.repubblica.it. I lettori potranno
accedervi direttamente dalla home page
del sito, cliccando al menu “Supplementi”.
Repubblica Nazionale

Carlo Azeglio Ciampi
Il tricolore non è solo insegna di Stato. È un
vessillo di libertà, di una libertà conquistata
da un popolo che si riconosce unito
REGNO D’ITALIA
Il tricolore con il simbolo di Casa
Savoia diventa la bandiera ufficiale
il 14 marzo 1861 (qui sotto); nella
foto sopra, un soldato della Prima
guerra mondiale ritratto con la
bandiera e la sua famiglia
Festa delle Forze armate, 4 nov. 2001
REPUBBLICA CISPADANA
Il 7 gennaio 1797, il
Parlamento di Reggio
Emilia adotta come
bandiera il tricolore a tre
fasce orizzontali
Le tappe
Pier Paolo Pasolini
E, su tutto, lo sventolio, l’umile, pigro
sventolio delle bandiere rosse. Dio! Belle
bandiere degli anni Quaranta!
“Le belle bandiere”, 1962
IL REGNO D’ITALIA
Il tricolore a tre fasce
verticali, con lo stemma di
Casa Savoia, diventa la
bandiera dell’unità d’Italia il
14 marzo 1861
Un emblema rivoluzionario alla base della Nazione
COME È NATO
IL TRICOLORE
LUCIO VILLARI
Il tricolore è nato per importanti, precise ragioni storiche
e politiche che riguardano le origini e i fondamenti
ideali della nazione italiana. Per trasformarlo
in uno straccio a colori per i bagni dei leghisti occorrerebbero
opposte ragioni storiche e politiche, altrettanto
importanti e precise. Non sembra che questa
condizione ci sia e dunque la nostra bandiera può tranquillamente
sventolare dove vuole.
Il tricolore è stato scelto come emblema rivoluzionario,
repubblicano e unitario dai deputati delle città di
Modena e Reggio Emilia, ribellatisi al loro Duca, e da
quelli delle Legazioni pontificie riuniti in parlamento a
Reggio Emilia nel dicembre 1796, otto mesi dopo l’arrivo
di “Bonaparte liberatore”. Il 7 gennaio 1797 questo
parlamento proclamò la Repubblica Cispadana e
adottò come bandiera il tricolore in tre bande orizzontali.
L’altro tricolore di riferimento era quello francese, ma
quello “italiano” sostituì il blu con il verde per richiamare
il colore dei vasti campi della Val Padana. Dunque,
la bandiera ha origini padane ma la sua storia successiva
è la metafora del Risorgimento dell’Italia.
Nel 1799 la Repubblica Cispadana si estese alla Lombardia,
divenne Repubblica Cisalpina con capitale Mi-
Il Risorgimento
Fu il vessillo dei moderati di Cavour, sventolò
in Camp idoglio nella Repubblica romana di Mazzini,
lo impugnò il federalista Cattaneo durante le Cinque
giornate, sbarcò nel 1857 a Sapri con Pisacane
lano e mantenne il tricolore. Nel 1802 la Cisalpina fu trasformata
in Repubblica Italiana e con quella bandiera il
nome di Italia entra per la prima volta nel linguaggio istituzionale.
Grandi riforme politiche, legislative (il Codice
Napoleone, l’introduzione dl divorzio, la laicità delle
scuole, eccetera), amministrative ed economiche (lavori
pubblici, sviluppo dell’industria e del commercio) furono
compiute nella Repubblica Italiana e soprattutto
quando, nel l805, la Repubblica divenne Regno d’Italia.
Con il Regno il tricolore sventolò su un vasto territorio
della penisola poiché si estese nel Veneto, nell’Istria,
nella Dalmazia e nelle Marche che appartenevano alla
Chiesa. Nel l809 fu innalzato nel Trentino e vi rimase fino
al l814. Ci vorrà più di un secolo e la guerra del 1915-
18 perché tornasse in quella regione profondamente
italiana.
Nella Restaurazione (1815-1848) il tricolore scomparve
dall’Italia divisa in sette stati e gestita da governi
illiberali, dalla Chiesa o direttamente dall’Austria. Rimase
però intatto il suo significato storico e politico: divenne
il simbolo delle sette segrete, di tutte le insurrezioni
e di tutti movimenti liberali e democratici che infiammarono
per oltre trent’anni l’Italia, dal nord alla Sicilia.
Fu la bandiera dei moderati di Cavour e sventolò nel
Campidoglio nel 1849 durante la Repubblica romana di
Mazzini. Simbolo di patriottismo, di indipendenza nazionale,
di volontà unitaria, di libertà; monarchico e repubblicano,
il tricolore fu su tutte le barricate del l848, lo
impugnò il federalista Cattaneo nelle Cinque Giornate
di Milano, percorse tutte le guerre risorgimentali e fu
adottato dal regno di Sardegna nel 1848, dunque dal primo
Stato liberale italiano. Sbarcherà nel 1857 a Sapri
con Pisacane («... era una barca che andava a motore /e
batteva bandiera tricolore...») e Garibaldi con i Mille lo
porterà in Sicilia nel 1860.
Sarà confermato nel l86l come la bandiera presente e
futura dell’Italia unita; quindi anche dell’Italia di oggi.
Dove qualcuno dovrebbe se non altro rispettarne i duecentododici
anni di onorevole esistenza.
IL FASCISMO
Accanto alla retorica sulla
Patria, nelle sfilata del
regime compare un nuovo
vessillo, i fasci di
combattimento
LA COSTITUZIONE
Art. 12: “La bandiera della
Repubblica è il tricolore
italiano: verde, bianco e
rosso, a tre bande verticali
di eguali dimensioni”.
Norberto Bobbio
Tutti lottano per i propri interessi ed elevano
la bandiera dei principi. Tutti discutono
di principi, e lavorano per i propri interessi
“Tra due repubbliche”, 1996
OGGI
Fa discutere la recente
affermazione di Bossi:
«Lasciamo stare la
bandiera italiana. Penso
solo alla bandiera padana»
La sua radice indoeuropea significa apparire
L’IDENTITÀ
DI UN POPOLO
MARINO NIOLA
Icolori dell’identità, la forma dei sentimenti, le misure
di un’emozione condivisa. È la storia in un pezzo di
stoffa. In un messaggio da sbandierare.
Tra tutti i simboli inventati dall’uomo, pochi sono
simbolici quanto la bandiera. Che ricapitola in qualche
centimetro quadrato di tessuto l’intera vicenda di un popolo.
La ricorda ai suoi e la esibisce agli altri. Un atto di comunicazione
estremamente elementare e al tempo stesso
estremamente sofisticato. Perché usa il codice basico dei
colori e delle figure per significare una realtà complessa.
Fatta di eventi e sentimenti, scelte e svolte, passioni e decisioni,
vittorie e sconfitte, unioni e secessioni.
Insomma la bandiera è a tutti gli effetti un messaggio,
una comunicazione pubblica. Una parola muta scelta dalla
storia. Lo dice il termine stesso che deriva dalla radice indoeuropea
bha- che significa apparire, mostrare, divulgare
- da cui si formano vocaboli come i nostri bando, banda,
bandire. E come labaro, che era il vessillo degli imperatori
romani, padre di tutti i nostri stendardi, civili e religiosi, militari
e sportivi. Segno ad altissima definizione, la bandiera
è la prima forma di comunicazione a banda larga. Quella
che raggiunge tutti alla massima velocità di trasmissione
e di ricezione. Ai confini del digitale. Colore e controcolore,
figura e controfigura, campo e controcampo. Croce
Il messaggio
In qualche centimetro quadrato c’è l’intera vicenda di un
paese. Un atto di comunicazione estremamente elementare
e al tempo stesso sofisticato, perché usa il codice
basico dei colori per significare una realtà complessa
contro mezzaluna, rosso contro nero, righe orizzontali
contro righe verticali. Non possono esistere due bandiere
uguali. Con l’eccezione del bianco. Quando sul ponte
sventola il neutro per antonomasia, allora è il vuoto della
comunicazione, è la resa del proprio segnale interrotto.
Se quello delle bandiere è un linguaggio tutti possono
usarlo per dire, ma anche per contraddire. Non a caso le
contese politiche, le guerre e persino le competizioni sportive
hanno spesso il loro climax simbolico in gesti come
conquistare la bandiera nemica, strapparla, calpestarla,
ammainarla, rimpiazzarla. E bruciarla. La più radicale delle
azioni dimostrative. Perché esprime una messa in discussione
totale di tutto ciò che la bandiera rappresenta. È
quel che facevano le rockstar negli anni della contestazione.
Primo fra tutti Jimi Hendrix che sul palco di Woodstock
dissacrò la bandiera straziando l’inno americano - The
Star Spangled Banner, corpo e voce degli States - con la sua
lancinante Fender Stratocaster.
Chi dà alle fiamme la bandiera, propria o dell’altro, si appella
in qualche modo alla libertà di parola. Non a caso il
Senato americano ha respinto di recente una proposta di
legge che intendeva vietare la “profanazione fisica” della
bandiera a stelle e strisce, perché bruciare l’emblema della
nazione è assimilabile a un discorso e dunque considerato
come una manifestazione estrema di quella libertà di
parola che il Primo emendamento della Costituzione garantisce
a tutti i cittadini.
La bandiera esprime dunque la storia di un’identità ma
riflette anche le sue trasformazioni. Basti pensare a quel
lungo processo di grafica politica che sta dietro la nascita
del nostro tricolore. Ma per la stessa ragione la bandiera
può significare anche la dissoluzione progressiva di un’identità.
La sua segmentazione. La sua regionalizzazione.
L’emergere di nuove appartenenze. E spesso quel quadrato
di stoffa è troppo piccolo per poter contenere tanti messaggi
contrastanti. Nasce anche da questo la tentazione di
moltiplicare le bandiere. Una tentazione rischiosa perché
mai come in questi casi moltiplicare significa dividere. Come
diceva Enzo Biagi la democrazia è fragile e a piantarci
sopra troppe bandiere si sgretola.
LIBRI
■ 33
GUIDO
PASSALACQUA
Il vento della
Padania
Mondadori
2009
AA. VV.
Il tricolore.
Tutti gli
uomini sono
fratelli
Diabasis
1996
LUCIANO
VANDELLI
Il governo
locale
il Mulino
2005
TANIA
GROPPI
Il federalismo
Laterza
2004
ALTIERO
SPINELLI
La rivoluzione
federalista
il Mulino
1996
LUCIO
VILLARI
(a cura di)
Il
Risorgimento
Repubblical’Espresso
2009
FRANCO
DELLA
PERUTA
L’Italia del
Risorgimento
Franco
Angeli
1997
MASSIMO L.
SALVADORI
L’Italia divisa
Donzelli
2007
Repubblica Nazionale