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Anno XXXIV n. 2 Marzo-Aprile 2011 - Ordine dei Medici Lecce

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<strong>Anno</strong> <strong>XXXIV</strong> n. 2<br />

<strong>Marzo</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2011</strong><br />

Sped. abb. post. 70% Filiale di <strong>Lecce</strong><br />

Contiene I.P.


Fiat lux<br />

E<br />

di Maurizio Muratore<br />

cco la lista delle cose che brillano (nel bene e<br />

nel male) nella sanità:<br />

• Politica sanitaria o sanità politica<br />

• curare: atto clinico o politico<br />

• lista d’attesa<br />

• l’equivoco delle lista d’attesa: arma di demagogia<br />

politica!<br />

• lista d’attesa: aumentare il lavoro e non il personale<br />

• le indagini richieste dal paziente e non dal medico<br />

• la criticità fra paziente richiedente e medico resistente<br />

• accanimento terapeutico: fra eticità laica e condizionamento<br />

ideologico-religioso<br />

• testamento biologico: libera autodeterminazione<br />

o legalitarismo statalista<br />

• medicina difensiva<br />

• avvocati incalzanti<br />

• vietato morire<br />

• il ticket<br />

• gli esenti ticket<br />

• visitare prima di prescrivere<br />

• i certificati medici<br />

• i falsi invalidi<br />

• lavorare sempre in emergenza<br />

• i centri di riabilitazione<br />

• diventare vecchi: una forma di classismo strisciante<br />

• per ogni cinque pensionati solo una sostituzione<br />

• il furto del tempo all’atto medico da parte della<br />

burocrazia<br />

• burocrazie: carte, firme, firme, carte; visitare…<br />

dopo se rimane tempo<br />

3<br />

• burocrazia: qualità formale o qualità sostanziale<br />

• curare è meglio che prevenire<br />

• medicina territoriale<br />

• medicina dispersiva versus medicina intensiva<br />

• un ospedale per ogni campanile o un ospedale<br />

campanile: qualità o quantità<br />

• un malato non è un posto letto<br />

• sanità privata… convenzionata<br />

• tetti di spesa<br />

• viaggi della speranza: responsabilità politica,<br />

mancanza di informazione o atavica sfiducia<br />

• viaggi della speranza: luogo comune malgrado<br />

le grandi professionalità locali<br />

• la qualità dell’accoglienza in ospedale: un valore<br />

aggiunto sempre trascurato<br />

• l’umiltà di riconoscere i propri limiti e demandare<br />

• la qualità dell’accoglienza: un valore aggiunto<br />

• diritto alla salute o diritto alle cure?<br />

• non importa il costo del farmaco se questo riesce<br />

a modificare la malattia<br />

• maggiori costi farmaceutici o risparmio in disabilità<br />

• malasanità riconosciuta<br />

• buona sanità misconosciuta<br />

• malasanità: è solo e sempre comportamento<br />

colposo del medico oppure carenze organizzative,<br />

strutturali e pressione lavorativa<br />

• promesse mai mantenute<br />

• speranza e fiducia mai perse<br />

• diritto alla salute: se ti ammali è colpa di qualcuno<br />

• che il signore non ci faccia mai ammalare<br />

…..


editoriale<br />

Fiat lux 3<br />

di Maurizio Muratore<br />

focus<br />

Scaldare il sangue<br />

per raggiungere il benessere<br />

di Maria Luisa Mastrogiovanni<br />

la parola ai colleghi<br />

L’emozione di fare “tecchiù” 12<br />

di Gino Peccarisi<br />

Le infezioni correlate ai cateteri venosi 16<br />

di Mario Vigneri<br />

RIVISTA UFFICIALE DELL’ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI ED ODONTOIATRI DELLA PROVINCIA DI LECCE<br />

Direzione e Redazione c/o <strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Medici</strong> - via Nazario Sauro, 31 <strong>Lecce</strong> - www.ordinemedicilecce.it - info@ordinemedicilecce.it<br />

<strong>Marzo</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2011</strong><br />

anno <strong>XXXIV</strong><br />

Direttore Responsabile<br />

Maurizio Muratore<br />

Direttore Editoriale<br />

Luigi Peccarisi<br />

Editing e coordinamento redazionale<br />

Maria Luisa Mastrogiovanni<br />

Comitato di Redazione e Comitato Scientifico<br />

Tutti i componenti il Consiglio Direttivo,<br />

la Commissione per gli iscritti all’albo degli Odontoiatri e il Collegio <strong>dei</strong> Revisori <strong>dei</strong> Conti<br />

Concessionaria di pubblicità<br />

Nerò comunicazione - Casarano<br />

Per informazioni Dr. Mario Maffei - 393 9801141<br />

L’immagine di copertina è di Mel Ramos<br />

la parola ai colleghi<br />

33 Qui Cina<br />

di Antonio Antonaci<br />

40 Riflessioni sulla valutazione medico-legale<br />

nel settore dell’invalidità civile<br />

di Beniamino De Giorgi<br />

9 51 Imponderabili certezze degli ordini<br />

comunichiamo che<br />

Stampa:<br />

Stab. grafico della CARRA EDITRICE - Casarano (Le) - Aut. Trib. <strong>Lecce</strong> N. 3262<br />

Il termine di consegna degli articoli per il prossimo numero è il 15 maggio<br />

57<br />

di servizio<br />

di Luigi Cosentino<br />

54 Rischio cancerogeno.<br />

Gli obblighi <strong>dei</strong> datori di lavoro<br />

a cura di G. De Filippis, A. De Giorgi


Scaldare il sangue<br />

per raggiungere il benessere<br />

LA RESPIRAZIONE, IL MOVIMENTO, L’OSSERVAZIONE. LO YOGA AIUTA A DISTENDERE<br />

I MUSCOLI PER RITROVARE L’ARMONIA CON SE STESSI<br />

di Maria Luisa Mastrogiovanni<br />

115 iscritti, di cui solo il 10% del territorio. Il resto proviene da altre città italiane, europee<br />

ma anche da oltre oceano (Usa, Canada, Giappone, Brasile, Russia...). Sono i numeri<br />

dell’associazione di yoga YIS (Yoga In Salento), nata a Zollino nel 2007, presso il centro<br />

Samadhi (termine che significa “benessere”). L’unica accreditata nel Salento per l’insegnamento<br />

dell’Ashtanga Vinyasa yoga. Il centro è gestito da Francesca Maniglio, 40 anni, laureata in<br />

Filosofia all’Università Cattolica di Milano. Che pratica yoga dal 1998, ovvero da quando si<br />

è avvicinata alla disciplina, negli anni in cui si trovava a New York. Nel 2006, è stata in India<br />

a Mysore a studiarla alla fonte. Così, nel corso degli anni ha perfezionato la sua pratica e il<br />

suo insegnamento attraverso la frequenza di workshop intensivi sotto la guida <strong>dei</strong> più<br />

importanti maestri, completando nel 2010 il corso triennale di insegnante di yoga presso la<br />

scuola Aybo di Bologna riconosciuta da Uisp Coni.<br />

L’associazione di yoga YIS è nata a Zollino<br />

nel 2007 e conta 115 iscritti, di cui solo il 10%<br />

del territorio. E’ l’unica nel Salento ad essere<br />

accreditata all’insegnamento dell’Ashtanga<br />

Vinyasa yoga<br />

C<br />

ome si spiega un centro del<br />

genere nel territorio leccese?<br />

Dice una citazione sul sito<br />

dell’associazione: “Non chiedere ciò<br />

di cui il mondo ha bisogno, chiediti<br />

piuttosto che cosa fa cantare il tuo<br />

cuore e fallo, perchè ciò di cui il mondo<br />

ha bisogno sono persone il cui cuore<br />

canti”. La dott.ssa Maniglio, spiega<br />

che la motivazione su cui si fonda<br />

l’intera attività dell’associazione è il<br />

9<br />

piacere che si prova nell’“essere circondati<br />

da persone vibranti che cercano<br />

le stesse cose che cerchiamo noi”.<br />

“Nel nostro centro – aggiunge - condividiamo<br />

con gli altri ciò che fa cantare<br />

il nostro cuore e mettiamo a disposizione<br />

molti strumenti per star bene e<br />

per riconnettersi con se stessi, con la<br />

natura e con gli altri. Nessuno libera<br />

nessuno, nessuno libera l’altro, ci si<br />

libera insieme.


focus<br />

Nutriamo, pratichiamo e promuoviamo<br />

il vivere consapevole, la cura, il<br />

benessere del corpo e la crescita spirituale.<br />

Attraverso la pratica dello yoga<br />

purifichiamo, rafforziamo, perfezioniamo<br />

e celebriamo il nostro corpo, il tempio<br />

che ci ospita”.<br />

Ed ecco a che cosa serve la struttura:<br />

a purificare, a rafforzare ed a<br />

celebrare il corpo.<br />

Dott.ssa Maniglio, quali servizi<br />

offre il suo centro?<br />

“Offre corsi giornalieri di Ashtanga<br />

Vinyasa Yoga, una forma di yoga dinamico<br />

antichissima praticata in tutte le<br />

grandi città del mondo il cui maestro<br />

di riferimento è Sri Pattabhi Jois. Ma<br />

anche tante altre discipline come lo yin<br />

yoga, una forma di ginnastica dolce<br />

che lavora sui legamenti, lo yoga nidra,<br />

una forma di rilassamento profondo,<br />

varie forme di yoga per bambini e per<br />

la terza età; Kung-Fu e Tai Chi Chuan<br />

e molte altre prestazioni come massaggi<br />

shiatzu, e thailandese, trattamenti e<br />

massaggi ayurvedici, osteopatici, di<br />

riflessologia plantare e consulenze nutrizionali.<br />

Dal prossimo luglio il centro<br />

Samadhi che ospita l’associazione YIS<br />

si trasformerà in agriturismo biologico<br />

dotato di un ristorante di cucina naturale,<br />

con specialità vegetariane, vegane<br />

e crudiste.<br />

Inoltre stiamo ottimizzando i servizi<br />

Nell’ashtanga vinyasa yoga con una pratica<br />

di un’ora e mezza si usano tutti i muscoli<br />

del corpo, si respira a pieni polmoni.<br />

È una meditazione in movimento<br />

per i periodi non estivi, incrementando<br />

gli spazi wellness e rendendo le sale<br />

yoga particolarmente confortevoli attraverso<br />

la realizzazione di pannelli<br />

radianti a pavimento, rigorosamente in<br />

parquet. Stiamo realizzando una ludoteca<br />

per chi desidera usufruire delle<br />

attività del centro senza dover lasciare<br />

i bambini a casa, ma portandoli in<br />

un’oasi di verde, con personale qualificato,<br />

stanze e giochi all’aperto dedicati<br />

all’infanzia”.<br />

Come risponde il territorio?<br />

“Fino ad oggi non abbiamo fatto<br />

molta pubblicità sul territorio, anche<br />

perché il nostro centro ha iniziato le<br />

sue attività con un’organizzazione prevalentemente<br />

estiva; ma alla luce della<br />

trasformazione che ho anticipato e con<br />

due insegnanti certificati che lavorano<br />

tutto l’anno nel centro, abbiamo intenzione<br />

di potenziare il nostro lavoro sul<br />

territorio.<br />

Alcuni leccesi lamentano la distanza,<br />

ma Zollino é raggiungibile in appena<br />

10 minuti d’auto da <strong>Lecce</strong>. In generale<br />

lo yoga ed in particolare l’ashtanga<br />

10<br />

non é ancora conosciuto nel territorio<br />

salentino, che dimostra curiosità ma<br />

poca conoscenza (e molta improvvisazione)<br />

di questa disciplina. Siamo<br />

l’unico centro in Salento accreditato<br />

all’insegnamento dell’Ashtanga Vinyasa<br />

yoga. Gli insegnanti che ospitiamo<br />

d’estate sono tutti top teachers, famosi<br />

a livello internazionale”.<br />

Come è arrivata ad aprire un centro<br />

yoga?<br />

“Desideriamo un mondo migliore.<br />

La vera trasformazione incomincia da<br />

dentro. Per perfezionarci occorre conoscerci.<br />

La presenza internazionale<br />

di yogi (praticanti yoga di sesso maschile)<br />

e yogini (praticanti yoga di sesso<br />

femminile), contribuisce a rendere ancora<br />

più speciale Samadhi”.<br />

In una società che va veloce,<br />

come quella in cui viviamo, lo yoga<br />

sembra la disciplina da praticare ad<br />

ogni costo. Quali sono gli effettivi<br />

benefici sulla salute fisica? E su<br />

quella psichica?<br />

“Lo yoga è una disciplina antichissima<br />

che in questo momento sta ri-


scuotendo particolare successo nelle<br />

grandi città perché i benefici della pratica<br />

rispondono a quelle che sono le<br />

carenze della nostra quotidianità.<br />

Nell’ashtanga vinyasa yoga con una<br />

pratica di un’ora e mezza si usano tutti<br />

i muscoli del corpo, si respira a pieni<br />

polmoni. È una meditazione in movimento,<br />

muoviamo il corpo e mettiamo<br />

a riposo la mente attraverso la cessazione<br />

<strong>dei</strong> pensieri che ci ossessionano<br />

durante il giorno. Si ottiene un benessere<br />

psicofisico unico, é una pratica<br />

potentissima, con solo un’ora e mezza<br />

di pratica quotidiana. ‘Vinyasa’ significa<br />

respirare e sistema di movimento. Lo<br />

scopo del vinyasa è la pulizia interna.<br />

Respirando pienamente (cosa che non<br />

facciamo quasi mai nella vita normale)<br />

e muovendoci congiuntamente mentre<br />

svolgiamo un’asana (una postura) rendiamo<br />

il sangue caldo. Il calore sviluppato<br />

con l’ashtanga yoga pulisce il<br />

sangue e lo rende sottile, così da poter<br />

circolare liberamente. La combinazione<br />

delle asana con movimento e respiro<br />

fa circolare liberamente il sangue intorno<br />

alle articolazioni, portando via i dolori<br />

dal corpo.<br />

Il sudore è un importante prodotto<br />

del vinyasa, perché è solamente attraverso<br />

il sudore che la malattia lascia il<br />

corpo e avviene la purificazione”.<br />

Si sono riscontrati effetti<br />

“concreti” dal punto di vista medico?<br />

Quali?<br />

“Tristhana é la base dell’ashtanga<br />

yoga. In sanscrito significa ‘i tre posti<br />

di attenzione o azione’, ovvero postura,<br />

sistema di respiro, posto dove guardare.<br />

Sono elementi molto importanti nella<br />

pratica dello yoga e coprono tre livelli<br />

di purificazione: il corpo, il sistema<br />

nervoso e la mente. ‘Asana’, le posture,<br />

rafforzano e donando flessibilità e tonicità<br />

al corpo. ‘Eechaka e puraka’ (letteralmente<br />

‘inspiro ed espiro’) significa<br />

inspirare ed espirare in maniera continua,<br />

della stessa durata e della stessa<br />

intensità; ciò permette una purificazione<br />

del sistema nervoso. ‘Drishti’ è il posto<br />

dove guardi durante l’asana. I drishti<br />

sono nove: il naso, la zona tra le sopracciglia,<br />

l’ombelico, il pollice, le mani,<br />

i piedi, su, verso il lato destro e verso<br />

il lato sinistro. E’ una sorta di ginnastica<br />

per gli occhi, che purifica e stabilizza<br />

il funzionamento della mente”.<br />

Quali sono le patologie curabili<br />

con lo yoga?<br />

“I sei veleni: kama, krodha, moha,<br />

lobha, matsarya, and mada. Ovvero:<br />

desiderio, rabbia, illusione, avidità,<br />

ingordigia, invidia e accidia. Quando<br />

la pratica dello yoga è sostenuta e<br />

ininterrotta con grande diligenza e dedizione<br />

per un lungo periodo di tempo,<br />

il Gaetano calore da Castrignanò esso generato brucia via<br />

questi veleni, e la luce della nostra<br />

natura interiore brilla dinanzi a noi”.<br />

A quali persone consiglierebbe<br />

maggiormente di praticare yoga?<br />

“Dal punto di vista fisico e mentale<br />

i benefici sono tantissimi e per tutte le<br />

età, per cui lo consiglierei a tutti coloro<br />

che vogliono farsi del bene”.<br />

Come si differenziano, a seconda<br />

dell’età, dello stile di vita, delle patologie,<br />

<strong>dei</strong> bisogni, le attività da<br />

svolgere?<br />

“Le patologie vanno trattate in lezioni<br />

individuali; nelle nostre classi abbiamo<br />

praticanti dai nove ai 70 anni”.<br />

La pratica “sportiva-medica” è<br />

associata ad una particolare alimentazione?<br />

11<br />

“Praticando lo yoga in maniera costante<br />

e regolare si impara a conoscere<br />

in primis il proprio corpo e, a seconda<br />

di quello che si mangia, si sperimenta<br />

quali sono gli alimenti che ci danno<br />

energia, leggerezza e flessibilità e quali<br />

ci appesantiscono e ci rendono rigidi<br />

e pigri”.<br />

Quali sono i principi cardine di<br />

questa disciplina?<br />

“Il saggio Patanjali, identificò otto<br />

(ashto) stadi (anga) attraverso cui lo<br />

yogi può gradualmente raggiungere il<br />

Samadhi, ovvero il benesere: yama,<br />

astinenze; niyama, osservanze verso<br />

se stessi; asana, posizioni fisiche; pranayama,<br />

controllo del Prana, del soffio<br />

vitale, respirazione; pratyahara, ritrazione<br />

dai sensi, dai loro oggetti; dharana:<br />

concentrazione; dhyana, meditazione;<br />

samadhi: stato di beatitudine, unione<br />

del meditante con l’oggetto della<br />

meditazione”.<br />

Che cosa ha insegnato a lei?<br />

“Don’t think, just practice: non pensare,<br />

semplicemente fa’ la tua pratica.<br />

Stare nel qui e ora, al meglio che posso,<br />

con tutto il mio essere”.<br />

Quale insegnamento/consiglio<br />

lei sente di dare agli altri?<br />

“Do your practice and all is coming:<br />

fa’ la tua pratica e tutto arriva”.


la parola ai colleghi<br />

L’emozione di fare “tecchiù”<br />

MEDICI PROTAGONISTI AL POLITEAMA GRECO DI LECCE<br />

N<br />

on sembrava possibile riuscire a emozionarsi,<br />

rimanere in balia di quelle sensazioni che per<br />

tutta la serata hanno rappresentato il collante che ha<br />

tenuto unita l’intera platea del Politeama Greco di<br />

<strong>Lecce</strong>, stracolmo in ogni ordine di posti.<br />

Viviamo un momento storico in cui sono soffocate<br />

nel sangue le ribellioni <strong>dei</strong> popoli in lotta per la democrazia<br />

e la libertà. Il genocidio in atto fa ritornare alla<br />

mente l’orrore vissuto nei primi anni del Novecento.<br />

Si pensava che nulla di simile sarebbe mai potuto<br />

accadere eppure nell’Africa settentrionale le ribellioni<br />

contro le dittature sono stroncate sul nascere. La vita<br />

umana sembra perdere la propria dignità.<br />

12<br />

di Gino Peccarisi<br />

La serata del 26 febbraio<br />

ha contribuito alle spese sostenute<br />

per l’assistenza ai malati oncologici<br />

testimoniando come solidarietà,<br />

umanità, impegno civile, tutela<br />

della vita e della salute siano<br />

capisaldi nell’attività <strong>dei</strong> medici<br />

I medici per scelta di vita si ergono da sempre a<br />

baluardo della sofferenza. Contro il male, il dolore e<br />

le malattie, che si abbattono senza producibilità e che<br />

Qui e nelle foto successive, alcuni momenti della serata di beneficienza “tecchiù”


non scelgono gli obiettivi da colpire, si sviluppa quella<br />

solidarietà tesa all’organizzazione di ampie frange di<br />

volontariato in camice bianco. Tutti insieme a rappresentare<br />

una fratellanza che possa alleviare gli strazi,<br />

sconfiggere la malattia, o, in molti casi, lenire i danni<br />

che da questa derivano in modo dirompente.<br />

La serata del 26 febbraio ha voluto ricalcare sulle<br />

scene del Politeama di <strong>Lecce</strong> la solidarietà che giornalmente<br />

va in onda sul palcoscenico della vita. <strong>Medici</strong><br />

che nella quotidianità svolgono il loro lavoro con<br />

irreprensibile impegno per la tutela <strong>dei</strong> loro pazienti,<br />

cimentandosi in vesti meno convenzionali, hanno<br />

cantato, recitato, interpretato ruoli artistici per contribuire,<br />

con uno spettacolo a pagamento, alla raccolta<br />

di fondi a favore di un’associazione che sul territorio<br />

provvede alla cura <strong>dei</strong> malati oncologici.<br />

Un impegno non primo né ultimo in ordine di<br />

tempo perché altre iniziative lo avevano preceduto<br />

e molte altre ne seguiranno per il nobile fine della<br />

beneficienza. La sorpresa non poteva sicuramente<br />

essere rappresentata dall’impegno profuso nello<br />

svolgere la nostra nobile arte, quanto dalla profes-<br />

13<br />

L’impegno profuso dai colleghi<br />

che si sono esibiti non era cosa<br />

dubbia. Ma la vera sorpresa è stata<br />

constatare come tra medici-artisti<br />

ed artisti di professione<br />

non si notasse quasi la differenza<br />

sionalità dimostrata cimentandosi in ruoli non abituali.<br />

Giovanna nei panni d’irreprensibile cantante, Ennio<br />

impeccabile sassofonista, Serena ed Elio abili presentatori,<br />

Tanja famosa cantante gospel, Damiano e Fulvio<br />

cabarettisti, rodati gruppi musicali, virtuosismi svelati<br />

con la semplicità di chi è un genio per grazia ricevuta.<br />

Tutti a garantire uno spettacolo che ha tenuto incollati<br />

alle poltrone di un teatro che raramente, a tarda sera<br />

si svuota dell’intera folla che ne ha caratterizzato l’inizio.<br />

Artisti veri come Ioselito e altri improvvisati non hanno<br />

fatto notare la differenza perché il denominatore comune<br />

della solidarietà è stato il protagonista assoluto<br />

della serata.


la parola ai colleghi<br />

Quando una canzone, scritta e ideata per partecipare<br />

la presenza di una popolazione, in stato vegetativo,<br />

legata alle macchine per essere tenuta in vita, è stata<br />

interpretata accompagnandosi con una chitarra scordata,<br />

nessuno ci ha fatto caso. Dominante era l’essenza<br />

che teneva legate fra loro persone equiparate alle<br />

piante ma che, diversamente da queste, devono<br />

essere aiutate a mantenere la propria dignità fino al<br />

trapasso definitivo verso l’ignoto. Tutti ci siamo sentiti<br />

trasportati nel mondo dell’incoscienza per incontrare<br />

i “comanauti”, quei pazienti in coma, nel loro viaggio<br />

tortuoso e incerto per una via difficilmente modificabile<br />

dalle manovre mediche messe in atto per condizionarne<br />

un destino. Il risveglio o il sonno definitivo di una vita<br />

che si perde rappresenta una nostra nuova sconfitta.<br />

La serata dal titolo “Tecchiù”, a significare un grazie<br />

preventivo a tutti quelli che, con la loro partecipazione,<br />

erano consapevoli di collaborare a una giusta causa,<br />

ha contribuito alle spese sostenute per l’assistenza ai<br />

malati oncologici, ma, soprattutto ha testimoniato<br />

come solidarietà, umanità, impegno civile, tutela della<br />

vita e della salute siano capisaldi nell’attività <strong>dei</strong> medici.<br />

Nel rispetto della libertà e dignità della persona umana<br />

con spirito di abnegazione e sacrificio siamo da sempre<br />

in trincea nella lotta contro quel nemico che fino a<br />

poco tempo fa era ritenuto invincibile. Il rapporto<br />

medico-paziente è stato il protagonista sul palcoscenico<br />

per esaltare quella comunione che giornalmente dà<br />

valore al vivere in camice bianco.<br />

Al calare del sipario è prevalsa la soddisfazione per<br />

aver trascorso una serata diversa, all’insegna del<br />

divertimento finalizzato alla solidarietà. Dal mattino<br />

successivo nuovamente nei nostri ambulatori o in<br />

corsia pronti ad affrontare le sfide quotidiane su diversi<br />

fronti. Ora impegnati a formulare diagnosi, ora a<br />

prescrivere terapie che riportano allo status quo, altre<br />

volte, in caso di malattie a prognosi infausta, pervenute<br />

alla fase terminale, pronti a mettere in atto comportamenti<br />

che servano a risparmiare inutili sofferenze. Noi<br />

medici, protesi alla ricerca di trattamenti appropriati<br />

per tutelare la qualità della vita e la dignità della persona.<br />

Costantemente al lavoro, senza soste, se non per<br />

ripensare un altro spettacolo per rappresentare il frivolo,<br />

alienandosi dal vissuto in cui gioie e pene caratterizzano<br />

il nostro essere uomini.


la parola ai colleghi<br />

Introduzione<br />

di Mario Vigneri*<br />

Le infezioni correlate ai cateteri venosi<br />

(CRBSI)<br />

UN ARGOMENTO SPESSO SOTTOVALUTATO: LA PROBLEMATICA DELLE INFEZIONI<br />

CATETERE CORRELATE NELLA PRATICA CLINICA QUOTIDIANA<br />

Le infezioni correlate all’utilizzo <strong>dei</strong> cateteri venosi<br />

(CRBSI) rappresentano ancora oggi una delle complicanze<br />

più frequenti che riguardano il paziente ospedaliero.<br />

Attenersi ai suggerimenti delle più importanti linee<br />

guida (L.G.) internazionali non vuol dire accettare<br />

passivamente ciò che viene suggerito da altri, tralasciando<br />

quella che è l’esperienza personale o del<br />

reparto di appartenenza, ma integrare quest’ultima<br />

con quella che è l’esperienza derivante dagli studi e<br />

dall’ esperienza delle varie società internazionali.<br />

Le linee guida contengono suggerimenti che riguardano<br />

sia la fase dell’impianto <strong>dei</strong> cateteri, e quindi il<br />

medico impiantatore, ma anche la gestione degli stessi,<br />

e quindi tutto il personale infermieristico.<br />

Quanto di seguito verrà esposto non vuole essere<br />

un’esposizione dettagliata delle infezioni correlate<br />

all’utilizzo <strong>dei</strong> cateteri venosi. Lasciamo ai microbiologi<br />

ed agli infettivologi il compito di occuparsi delle infezioni<br />

<strong>dei</strong> cateteri, nell’ambito più vasto delle infezioni nosocomiali<br />

e del loro trattamento.<br />

Qui si vuole soltanto mettere a punto e chiarire<br />

quella che è la problematica delle infezioni catetere<br />

correlate nella pratica clinica quotidiana. Si vuole<br />

soltanto rivisitare un argomento che viene spesso<br />

16<br />

Sackett D.L. : La medicina basata<br />

sulle evidenze “è il processo<br />

della ricerca, della valutazione<br />

e dell’uso sistematici <strong>dei</strong> risultati<br />

della ricerca contemporanea<br />

come base per le decisioni cliniche”<br />

sottovalutato. “Prendere la vena” ad un paziente è la<br />

prima cosa che si fa all’atto del ricovero, perché<br />

altrimenti la terapia infusionale è praticamente impossibile,<br />

ma poi l’accesso venoso viene dimenticato e<br />

spesso addirittura non più gestito, sino alla sua perdita<br />

per sopravvenute complicanze (tromboflebitiche,<br />

infettive, ecc.). Si vuole in pratica risvegliare l’attenzione<br />

ed il riguardo per questo presidio, sia esso a breve o<br />

lungo termine, rivedendo quelle norme di comportamento<br />

che devono accompagnare l’accesso venoso,<br />

dalla fase dell’impianto sino alla dimissione ed, a volte,<br />

anche dopo la dimissione, in casa di cura, o al domicilio<br />

del paziente.<br />

Le infezioni catetere correlate<br />

Tra i dispositivi ad impianto temporaneo i cateteri


venosi rappresentano sicuramente quelli più comunemente<br />

impiegati in ambito clinico dal momento che è<br />

stato calcolato che si ricorre al loro impianto nel 30<br />

– 50% <strong>dei</strong> pazienti ospedalizzati.<br />

Si stima che ogni anno, in Italia (dati riferiti al 2001),<br />

circa il 5-8% <strong>dei</strong> pazienti ricoverati, per un totale di<br />

450.000-700.000,contrae un’infezione ospedaliera.<br />

Se si ritiene, come sostiene il Center for Disease<br />

Control and Prevention (CDC) di Atlanta che il 30%<br />

delle infezioni nosocomiali è evitabile, ogni anno<br />

sarebbe possibile prevenire circa 135.000- 210.000<br />

infezioni ospedaliere.<br />

L’impiego <strong>dei</strong> cateteri venosi centrali (CVC) a breve<br />

termine e di cateteri per emodialisi è divenuto di routine<br />

in ogni Terapia Intensiva moderna.<br />

Negli ultimi decenni poi è cresciuto l’impiego <strong>dei</strong><br />

CVC a lungo termine, tunnellizabili con cuffia di ancoraggio<br />

o collegati a un port e <strong>dei</strong> PICC (Peripherally<br />

Inserted Central Catheter) per infusione di chemioterapici,<br />

nutrizione parenterale, plasmaferesi e per il<br />

trattamento dialitico a breve o lungo termine. E’ in<br />

notevole incremento l’utilizzo per la normale terapia<br />

infusionale, in pazienti in cui si prevede che questa<br />

debba durare per più di 7-10 giorni, di cateteri centrali<br />

tipo picc o periferici tipo “Midline”a seconda del tipo<br />

di terapia infusionale.<br />

Tuttavia, nonostante gli enormi progressi sia<br />

nell’utilizzo di nuovi materiali che nelle procedure<br />

operative per l’impianto di tali dispositivi, la maggiore<br />

complicanza clinica è ancora oggi rappresentata dalla<br />

comparsa di processi infettivi. Infatti, la presenza stessa<br />

di un corpo estraneo nell’organismo di per sé, riducendo<br />

le difese naturali dell’ospite, rappresenta un<br />

substrato ideale per la colonizzazione e proliferazione<br />

microbica (infezione da corpo estraneo). Contaminazioni<br />

anche minime di specie microbiche opportuniste<br />

possono avviare il processo infettivo, passando attraverso<br />

le fasi dell’adesione, prima reversibile e poi<br />

irreversibile, alla superficie del dispositivo, per poi<br />

colonizzarlo con produzione di esopolisaccaridi, dando<br />

luogo alla formazione di un biofilm microbico.<br />

17<br />

Le linee guida CDC di Atlanta 2002<br />

per la prevenzione delle infezioni<br />

elaborate da un gruppo di lavoro<br />

multidisciplinare. Lo scopo: fornire<br />

raccomandazioni basate<br />

su evidenze scientifiche<br />

Negli USA ogni anno vengono inseriti circa 5 milioni<br />

di CVC short-term e 500.000 CVC long-term, che<br />

oggi costituiscono la causa più frequente di batteriemie<br />

nosocomiali. Il rischio di batteriemia CVC-correlata,<br />

CRBSI (“catheter related blood stream infection”),<br />

può variare con l’esperienza dell’impiantatore, il grado<br />

di osservanza delle misure di asepsi, il sito e la durata<br />

del cateterismo, il rapporto n. infermieri/n. pazienti (in<br />

particolare nelle terapie intensive), ma anche con il<br />

tipo di UTI, essendo il rischio più elevato in quelle<br />

pediatriche (neonati sottopeso) e per ustionati, e con<br />

il tipo di presidio impiegato ed il materiale con cui<br />

questo è costruito. In una recente revisione di 200<br />

studi prospettici, l’incidenza di CRBSI per 1000 giorni<br />

catetere è risultata più elevata per i CVC a breve


classificata sulla base<br />

delle evidenze scientifiche disponibili,<br />

del razionale teorico,<br />

dell’applicabilità e dell’impatto<br />

economico<br />

termine (dialisi, terapie intensive) rispetto ai CVC a<br />

medio e lungo termine (Hickman-Groshong , PICC,<br />

Port). Queste infezioni comportano un prolungamento<br />

<strong>dei</strong> tempi medi di degenza, un elevato incremento del<br />

costi assistenziali ed una mortalità variabile dallo 0 al<br />

30% in rapporto alla severità della patologia di base<br />

e soprattutto al patogeno o ai patogeni coinvolti (gram<br />

positivi, gram negativi, funghi). I quattro gruppi di<br />

microorganismi maggiormente in causa, sono più<br />

spesso: con i CVC short-term, stafilococchi coagulasinegativi<br />

(S. Epidermidis), S. Aureus, Candida e bacilli<br />

gram- intestinali; con i long-term, i port ed i PICC,<br />

stafilococchi coagulasi-negativi, enterococchi, S.<br />

la parola ai colleghi Ogni raccomandazione è stata<br />

18<br />

Aureus e Pseudomonas aeruginosa , klebsiella pneumoniae,<br />

candida.<br />

Linee guida per la prevenzione<br />

della infezioni associate a dispositivi<br />

vascolari<br />

Le linee guida CDC di Atlanta 2002 (Center for<br />

Disease Control and prevention) per la prevenzione<br />

delle infezioni associate a presidi intravascolari, che<br />

sostituiscono le precedenti pubblicate nel 1996, sono<br />

state elaborate da un gruppo di lavoro multidisciplinare<br />

e derivano da una grandissima quantità di esperienze<br />

plurispecialistiche e multidisciplinari. Esse sono state<br />

preparate da società scientifiche internazionali ed<br />

associazioni professionali.<br />

Hanno lo scopo di fornire raccomandazioni basate<br />

sulle evidenze scientifiche nel campo della prevenzione<br />

delle infezioni associate a cateteri intravascolari.<br />

Ciascuna raccomandazione è stata classificata<br />

sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, del<br />

razionale teorico, dell’applicabilità e dell’impatto economico.<br />

In queste L.G. le raccomandazioni sono raggruppate<br />

in categorie:<br />

Categoria I A: Misure fortemente raccomandate<br />

per l’ implementazione (utilizzo) e fortemente supportate<br />

da studi sperimentali, studi clinici o studi epidemiologici<br />

ben disegnati;<br />

Categoria I B: Misure fortemente raccomandate<br />

per l’ implementazione e supportate da alcuni studi<br />

sperimentali, clinici o epidemiologici e da un forte<br />

razionale teorico;<br />

Categoria I C: Misure richieste da regolamenti,<br />

leggi o standard statali o federali;<br />

Categorie II: Misure suggerite per l’ implementazione<br />

e supportate da studi clinici o epidemiologici<br />

suggestivi o da un razionale teorico;<br />

Tema irrisolto: Tema per il quale le evidenze sono<br />

insufficienti o non esiste alcun consenso riguardo l’<br />

efficacia.


Esempi di raccomandazioni e relative categorie:<br />

Catetere intravascolare periferico.<br />

Modalità di medicazione del sito<br />

di inserzione<br />

1) Cambiare la medicazione se staccata, bagnata<br />

o sporca (IB)<br />

2) Cambiare le medicazioni almeno una volta alla<br />

settimana (II)<br />

3) Non applicare di routine antimicrobici o antisettici<br />

sottoforma di creme o pomate sul sito di inserimento<br />

<strong>dei</strong> cateteri (IA)<br />

4) In caso di contatto con l’acqua (es. doccia)<br />

proteggere il sito di inserzione del catetere con una<br />

protezione impermeabile (II).<br />

Porre attenzione al punto 1: “cambiare” la medicazione<br />

e non “aggiungere” cerotto su cerotto,<br />

come in figura 2!<br />

Le linee guida, tuttavia, dovrebbero migliorare il<br />

giudizio clinico e non certo sostituirlo. Esse non sono<br />

una legge a cui attenersi ciecamente, ma, in parole<br />

povere, suggeriscono come si comporterebbe la<br />

maggior parte degli studiosi in quel particolare caso<br />

clinico o circostanza. Senza l’abilità clinica di ognuno<br />

di noi la pratica rischia di essere soggiogata e dominata<br />

dall’evidenza esterna; senza le migliori evidenze cliniche<br />

disponibili la pratica rischia di essere superficiale e<br />

rapidamente superata. Ne deriva che la conoscenza<br />

delle linee guida è senz’altro un aiuto a comportarsi<br />

correttamente. Non è invece corretto il comportamento<br />

secondo cui “abbiamo sempre fatto così e ci è andata<br />

sempre bene, perché dobbiamo cambiare i nostri<br />

convincimenti e le nostre abitudini?” O ancora:<br />

“abbiamo sempre utilizzato la succlavia, perché dobbiamo<br />

perdere tempo con l’ecografo?”<br />

Ma quanti pnx abbiamo fatto; quante volte non<br />

siamo riusciti a “prendere” la succlavia alla cieca,<br />

perché magari ci sono delle anomalie che non possiamo<br />

vedere; quanti pazienti hanno problemi coagulativi,<br />

19<br />

Queste infezioni comportano<br />

un prolungamento <strong>dei</strong> tempi medi<br />

di degenza, un elevato incremento<br />

del costi assistenziali<br />

ed una mortalità variabile dallo 0<br />

al 30% in rapporto alla severità<br />

della patologia di base e soprattutto<br />

al patogeno o ai patogeni coinvolti<br />

per cui è consigliabile, perché meno pericoloso, il<br />

posizionamento del catetere in giugulare o in altra<br />

vena, ma con tecnica eco guidata?<br />

In epoca in cui le L.G. vengono sempre più tenute<br />

in considerazione (anche dal punto di vista legale) non<br />

è più permesso fare una cosa come la “sappiamo<br />

fare”, ma farla invece come la “si deve fare”.<br />

In un reparto abbiamo trovato questa considerazione<br />

del Machiavelli che ci piace riportare:<br />

“Non c’è niente di più difficile, di più pericoloso


Negli USA ogni anno vengono<br />

inseriti circa 5 milioni di CVC<br />

short-term e 500.000 CVC<br />

long-term, che oggi costituiscono<br />

la causa più frequente di batteriemie<br />

nosocomiali<br />

un nuovo ordine di cose, perché l’innovatore ha<br />

per nemici tutti coloro che si trovano bene nella<br />

situazione precedente e blandi sostenitori in tutti<br />

coloro che potrebbero fare bene nel nuovo.<br />

Questa resistenza deriva…in parte dalla paura<br />

degli uomini che non credono prontamente nelle<br />

cose nuove fino a quando non ne divengono<br />

esperti”.<br />

Linee guida di riferimento<br />

Le CDC di Atlanta 2002 non sono le uniche linee<br />

guida di riferimento. Quello che segue è un elenco<br />

delle più autorevoli raccomandazioni e linee guida<br />

internazionali che non riguardano solo le infezioni.<br />

la parola ai colleghi o di più incerto che assumere la responsabilità di<br />

20<br />

• Raccomandazioni AVA<br />

• Linee guida ASPEN 2001<br />

• Linee guida NICE per la prevenzione delle infezioni<br />

2002<br />

• Linee guida SINPE 2002?2003<br />

• Standards RCN 2005<br />

• Standards INS 2006<br />

• Linee guida BCSH 2006<br />

• Linee guida EPIC 2007<br />

• Linee guida SHEA/IDSA 2008<br />

• Linee guida ESPEN 2009<br />

• Linee guida Ist. Sup. Sanità<br />

• Raccomandazioni GAVeCeLT<br />

<strong>Medici</strong>na basata sulle evidenze<br />

Da Wikipedia: “Evidence based medicine (EBM)<br />

significa medicina basata sull’evidenza”.<br />

È un concetto in lingua inglese che, tradotto in<br />

italiano, privo di ulteriore aggettivazione, non trova<br />

giustificazione d’essere: la medicina in quanto tale è<br />

da sempre basata sull’evidenza clinica. Tale concetto<br />

in realtà è relativo alla letteratura scientifica e vuole<br />

significare che è possibile basare le proprie decisioni,<br />

diagnostiche e terapeutiche, sulla valutazione critica<br />

<strong>dei</strong> risultati reperibili dalla letteratura scientifica. Secondo<br />

la definizione di Sackett D.L. et al.<br />

“è il processo della ricerca, della valutazione e<br />

dell’uso sistematici <strong>dei</strong> risultati della ricerca contemporanea<br />

come base per le decisioni cliniche”.<br />

Si fonda sul principio della valutazione <strong>dei</strong> migliori<br />

risultati della ricerca disponibili in quel preciso momento<br />

di ricerca scientifica. In pratica ciò significa che ciò<br />

che interessa specificatamente la EBM non è semplicemente<br />

ciò che deriva da ricerche, bensì prevalentemente<br />

da Studi clinici (Clinical Trials) controllati e lineeguida<br />

di pratica clinica; dati quindi ottenuti mediante<br />

una valutazione critica degli studi esistenti.<br />

Campi di applicazione dell’EBM sono le linee guida,<br />

i protocolli e procedure aziendali, le consensus conferences<br />

(un metodo di definizione delle raccomandazioni


per la pratica clinica, che sono il risultato di periodici<br />

incontri tra esperti della materia).<br />

Evidence based nursing (EBN)<br />

Evidence based nursing (nursing basato sulle evidenze)<br />

= metodologia destinata a rivoluzionare, o<br />

meglio a rifondare su basi meno empiriche, i comportamenti<br />

assistenziali dell’infermiere professionale, che<br />

dovranno far riferimento sempre di più a protocolli e<br />

linee guida.<br />

Quello che di seguito verrà esposto è l’espressione<br />

delle suddette linee guida, delle esperienze <strong>dei</strong> maggiori<br />

centri italiani e non, oltre che della personale esperienza<br />

del sottoscritto.<br />

Rischio infettivo<br />

Vengono presi in considerazione i cateteri venosi<br />

ad inserimento periferico (picc e midline) ed i cateteri<br />

venosi ad inserimento centrale (cvc a breve, medio e<br />

lungo termine). La maggiore complicanza associata<br />

all’uso <strong>dei</strong> dispositivi medici impiantabili, e in particolare<br />

ai cateteri venosi centrali, è rappresentata<br />

dall’insorgenza, anche a tempi brevissimi dalla loro<br />

inserzione, di infezioni ad essi associate, con conseguente<br />

fallimento dell’impianto e necessità di rimozione<br />

del dispositivo. Tale rischio è molto elevato, non solo<br />

nei pazienti immunocompromessi ma anche in quelli<br />

immunocompetenti, poiché la sola presenza del<br />

dispositivo artificiale può provocare un abbassamento<br />

delle difese naturali dell’ospite, con conseguente<br />

aumento del rischio di sviluppare flebiti, setticemie e<br />

in casi particolari endocarditi batteriche.<br />

L’attraversamento della barriera cutanea fornisce<br />

una via diretta di invasione per batteri e funghi. Le<br />

infezioni correlate ai cateteri possono verificarsi:<br />

a) per colonizzazione della cute del paziente da<br />

parte di un batterio opportunista residente o transiente;<br />

b) migrazione dell’agente patogeno nel tratto<br />

sottocutaneo in coincidenza del sito di inserzione del<br />

catetere;<br />

21<br />

c) colonizzazione microbica della punta del catetere.<br />

d) contaminazione del lume del catetere a causa<br />

dell’impiego di fluidi contaminati o di contaminazione<br />

delle linee infusionali da parte del personale che<br />

gestisce i cateteri.<br />

La contaminazione <strong>dei</strong> cateteri<br />

Fermo restando che i cateteri a breve termine, che<br />

in genere vengono impiantati nelle terapie intensive e<br />

che non sono né tunnellizzati, né intascati, si infettano<br />

più facilmente rispetto a questi ultimi, le infezioni degli<br />

accessi venosi si distinguono in:<br />

1) infezioni locali<br />

• Infezioni dell’emergenza cutanea<br />

• Infezioni della tasca<br />

• Infezioni del tunnel<br />

2) infezioni sistemiche


Anche nella gestione<br />

della medicazione è necessario<br />

utilizzare sempre una tecnica<br />

asettica, e “non touch”. Non toccare<br />

il catetere con le mani nude,<br />

indossare guanti sterili ed adoperare<br />

solo materiale sterile<br />

Le possibili vie di accesso degli agenti microbici<br />

all’intermo <strong>dei</strong> cateteri vascolari sono:<br />

• migrazione <strong>dei</strong> microrganismi dalla cute al sito di<br />

inserzione del catetere (via extraluminale);<br />

• migrazione dal punto di raccordo tra catetere e<br />

set di infusione (via intraluminale);<br />

• contaminazione del liquido di infusione al momento<br />

dell’allestimento (contaminazione intrinseca) o durante<br />

l’uso <strong>dei</strong> preparati e la manipolazione del catetere<br />

(contaminazione estrinseca);<br />

• migrazione di germi provenienti da siti lontani di<br />

infezione per via ematogena;<br />

• possibile contaminazione delle soluzioni antisettiche.<br />

la parola ai colleghiFonti di infezione<br />

22<br />

In linea di massima:<br />

Per i cateteri periferici a breve termine, la principale<br />

causa di infezione è rappresentata dalla colonizzazione<br />

della punta del catetere da parte di microrganismi<br />

migrati dal sito di inserzione alla punta stessa. Ciò è<br />

più difficile che avvenga per i port o per i cvc dotati<br />

di cuffia di ancoraggio sottocutaneo (se non nelle<br />

primissime giornate dopo l’impianto).<br />

Per i cateteri intravascolari a lungo termine la<br />

contaminazione del raccordo del catetere o della<br />

camera del port contribuisce sostanzialmente alla<br />

colonizzazione intraluminale. Tuttavia l’ingresso <strong>dei</strong><br />

microrganismi può avvenire in ogni punto della linea<br />

infusionale.<br />

C’è da dire che una buona parte delle rimozioni<br />

<strong>dei</strong> cvc ritenuti infetti avvengono in maniera non<br />

giustificata, essendo il focolaio sepsigeno non sicuramente<br />

identificabile con il cvc, per cui sarebbe necessaria<br />

una diagnosi pre rimozione più accurata possibile<br />

e non una diagnosi post rimozione, basata sull’esame<br />

culturale della punta del catetere.<br />

Una volta, tuttavia, che viene diagnosticata correttamente<br />

l’infezione del catetere, essa è difficilmente<br />

eradicabile con un’antibioticoterapia sistemica, anche<br />

se effettuata con farmaci mirati sulla base<br />

dell’emocultura. Ciò perché i batteri tendono a formare<br />

un “biofilm” costituito da organismi imbrigliati in una<br />

matrice formata da acqua ed uno slime polimerico<br />

extracellulare (polisaccaridi, proteine ed acidi nucleici).<br />

Il micro ambiente del biofilm è ad alta osmolarità e<br />

povero di elementi nutritivi. Per tale motivo i batteri<br />

rallentano il loro metabolismo, entrando in una sorta<br />

di quiescenza.<br />

Il biofilm batterico è resistente all’azione di antibiotici.<br />

Un tentativo può esser fatto, ma solo in alcuni tipi<br />

di infezioni, e per quelle localizzare all’interno del lume,<br />

con l’“Antibiotic Lock Terapy”.<br />

E’ una tecnica, derivante dall’”Heparin Lock<br />

Tecnique”, messa a punto alla fine degli anni ’80, sulla<br />

base proprio della difficoltà di eradicare i microrganismi<br />

presenti nel biofilm.


Essa viene effettuata con soluzioni contenenti<br />

antibiotici (di solito da 1 a 5 mg/ml) e 50 – 100 unità<br />

di eparina o soluzione fisiologica. Un volume sufficiente<br />

a riempire lo spazio morto del catetere viene somministrato<br />

e come “tappato” dentro il lume per un<br />

periodo di circa 12 ore, periodo in cui non deve<br />

essere utilizzato. La durata del lock è variabile da<br />

una a due settimane.<br />

Risk Management<br />

• Scelta appropriata dell’accesso<br />

• Appropriato protocollo di impianto<br />

– Operatore esperto<br />

– Ecoguida, sempre e comunque<br />

• Appropriato protocollo di gestione<br />

– Prevenzione delle complicanze tardive<br />

Prevenzione delle infezioni degli accessi<br />

venosi<br />

La prevenzione delle infezioni <strong>dei</strong> cateteri venosi si<br />

deve effettuare nelle varie fasi della “vita” del catetere:<br />

1. al momento della indicazione e della scelta<br />

del presidio;<br />

2. al momento della inserzione;<br />

3. durante la procedura della medicazione;<br />

4. durante la gestione della linea infusionale;<br />

5. al momento della dimissione.<br />

1) Al momento della indicazione e della scelta<br />

del presidio<br />

Al momento della indicazione e della scelta del<br />

presidio si dovrà tener conto delle seguenti raccomandazioni:<br />

posizionare un accesso venoso solo se indicato<br />

e posizionare il giusto presidio necessario per quel<br />

paziente. E’ inutile infatti posizionare un cvc in un<br />

paziente “senza vene” che deve essere sottoposto<br />

ad intervento chirurgico. Posizioneremo un catetere<br />

periferico con tecnica eco guidata. Rimuovere l’accesso<br />

venoso quando non più indispensabile; scegliere il<br />

23<br />

Niccolò Machiavelli: “Non c’è niente<br />

di più difficile, di più pericoloso<br />

o di più incerto che assumere<br />

la responsabilità di un nuovo ordine<br />

di cose, perché l’innovatore<br />

ha per nemici tutti coloro<br />

che si trovano bene nella situazione<br />

precedente”<br />

giusto device sulla base delle indicazioni del tipo di<br />

catetere (accesso periferico vs. accesso centrale,<br />

midline vs picc vs. cvc, tunnellizzati vs. non tunnellizzati<br />

vs. port) e del materiale con cui è costruito il catetere<br />

(poliuretano vs. silicone; numero di lumi e quantità di<br />

connessioni della linea infusionale). Ancora: scegliere<br />

con cura il sito di inserzione (mano vs polso vs avambraccio<br />

e, per quanto riguarda i picc ed i midline,<br />

avambraccio vs. metà braccio, dove troveremo le<br />

vene brachiali o la vena basilica). Per i cvc, collo vs.<br />

regione sottoclaveare vs inguine. Ancora: non posizionare<br />

un port in una zona già sottoposta (anche molti<br />

anni prima!) a radioterapia (fig.1: <strong>dei</strong>scenza della ferita<br />

chirurgica).<br />

Fig. 1.


che vengono posizionati<br />

nelle terapie intensive in situazioni<br />

di emergenza, ideale sarebbe avere<br />

un team dedicato<br />

2) Al momento della inserzione del presidio<br />

Utilizzare sempre una tecnica asettica. Utilizzare le<br />

massime protezioni di barriera (berretto, mascherina<br />

e guanti sterili, camice sterile ed ampio campo sterile),<br />

come per tutti gli interventi chirurgici. Utilizzare, dove<br />

reperibile, clorexidina al 2% in soluzione alcolica (1°<br />

scelta) o iodiopovidone (2° scelta) e non altri disinfettanti<br />

cutanei non riscontrabili in nessuna linea guida. Utilizzare<br />

clorexidina al 2% in soluzione acquosa se si tratta<br />

di cateteri in poliuretano (sensibile all’alcol) come i cvc<br />

a breve termine utilizzati spesso nelle terapie intensive.<br />

Non utilizzare pomate antisettiche (che eliminano i<br />

germi sensibili, ma lasciano nel sito di inserzione gli<br />

altri germi resistenti liberi di proliferare sotto il pabulum<br />

costituito dalla pomata). Utilizzare, dove possibile la<br />

tecnica ecoguidata che evita punture ripetute della<br />

cute, nel tentativo di cercare la vena alla cieca. Bandire,<br />

la parola ai colleghi Potremmo dire che, eccetto i cvc<br />

24<br />

se non in rari casi nel neonato, la tecnica chirurgica<br />

(maggior rischio di infezione e di fenomeni trombo<br />

flebitici a carico della vena “sacrificata”, maggior<br />

traumatismo tissutale, non costo-efficacia). Non utilizzare<br />

profilassi antibiotica (non esistono evidenze che<br />

la profilassi antibiotica riduca il tasso di infezioni, ma<br />

anzi provoca spesso antibiotico resistenze ed aumenta<br />

il rischio di effetti collaterali). Utilizzare sistemi di fissaggio<br />

“sutureless” (non punti di sutura, ma sistemi di fissaggio<br />

tipo StatLock, o similari tipo Hub-Guard). Utilizzare la<br />

prima medicazione, quella che si applica dopo<br />

l’impianto, solo per le prime 24 ore e sostituirla poi<br />

con una medicazione trasparente, che andrà sostituita<br />

ogni 7-10 giorni circa.<br />

Qual è l’ambiente più adatto per l’inserimento<br />

<strong>dei</strong> cvc?<br />

Per il posizionamento di cvc sia a breve che lungo<br />

termine sono indispensabili alcuni requisiti ambientali<br />

e procedurali che oltre a rendere la manovra a rischio<br />

minore possibile per il paziente, implicano problematiche<br />

medico legali rilevanti.<br />

La necessità dell’utilizzo di ambienti particolari<br />

come la sala operatoria è attualmente criticabile in<br />

termini di costo efficacia ma anche di reale vantaggio<br />

per il paziente che deve sottoporsi alla manovra.<br />

Se da un lato sono irrinunciabili alcune regole di<br />

asepsi rigorosa durante l’impianto, dall’altra può essere<br />

intuitivo che esse non si realizzano esclusivamente in<br />

sala operatoria; d’altronde il solo ambiente non può<br />

essere riportato a garanzia del risultato.<br />

Diverse sono le opzioni alternative alla sala operatoria<br />

per la scelta dell’ambiente in cui le manovre<br />

procedurali di impianto vengono realizzate, passando<br />

dalla tecnica bedside (letto del paziente) alla sala<br />

angiologica, alla sala operatoria dedicata solo alle<br />

procedure di inserimento <strong>dei</strong> cvc o anche ad un<br />

ambiente simil-ambulatoriale dedicato esclusivamente<br />

a queste procedure.<br />

E’ intuibile che l’ambiente dedicato, dove l’unica<br />

attività è rappresentata dall’impianto <strong>dei</strong> cateteri venosi,<br />

è senz’altro da preferire ad una sala operatoria dove


si effettuano numerosi interventi, di varia tipologia<br />

(spesso chirurgia addominale!) e dove spesso hanno<br />

accesso pazienti settici. Il posizionare accessi venosi<br />

nei locali di una terapia intensiva, dove notoriamente<br />

esistono germi selezionati e resistenti, in pazienti esterni,<br />

cioè ricoverati in altri reparti e che in questi reparti poi<br />

devono ritornare, non necessita di particolari commenti.<br />

Si sa infatti che le Uti rappresentano un substrato assai<br />

fertile per lo sviluppo e l’attecchimento sia di germi<br />

patogeni, sia di germi opportunisti. Ciò a causa della<br />

procedure eseguite in urgenza-emergenza in cui spesso<br />

è difficile rispettare anche le più comuni regole di<br />

antisepsi, ma anche per l’utilizzo di farmaci che deprimono<br />

il sistema immunitario, che porta alla selezione<br />

locale di microorganismi resistenti agli antibiotici o<br />

anche a causa di procedure di medicazione di ferite<br />

infette. Tutto ciò è anche in relazione alla durata della<br />

degenza e soprattutto all’elevata invasività delle procedure<br />

diagnostico terapeutiche, il cui impiego diviene<br />

sempre più frequente con l’aumentare della criticità<br />

del paziente. Tuttavia, fatta eccezione per le UtiI,<br />

possiamo dire che, per quanto riguarda i cvc il cui<br />

posizionamento venga richiesto da altri reparti (Unità<br />

Operative diverse, day hospital, pronto soccorso, ecc),<br />

qualsiasi ambiente va bene, purché questo sia bonificabile<br />

e soprattutto dedicato a questo tipo di interventi.<br />

E’ necessario quindi utilizzare supporti tecnici che<br />

riducano da una parte i rischi intrinseci alla procedura<br />

e dall’altra siano costo efficaci sulla base del numero<br />

di procedure eseguite, migliorare la performance degli<br />

operatori coinvolti mediante la selezione di personale<br />

medico e infermieristico dedicato, assicurare loro<br />

un continuo aggiornamento, garantire un monitoraggio<br />

durante le manovre, poter contare sull’eventuale<br />

disponibilità di figure specialistiche peculiari per la<br />

gestione di eventuali complicanze anche rare (radiologia,<br />

cardiologia, rianimazione).<br />

Intendiamo quindi ribadire che più che una sala<br />

(operatoria o angiologica o radiologica) è indispensabile<br />

che si tratti di un ambiente dedicato, dove siano<br />

dedicati gli operatori, i percorsi, i protocolli, e le risorse.<br />

25<br />

In definitiva, l’ambulatorio adeguatamente attrezzato<br />

dal punto di vista organizzativo e strutturale (team<br />

dedicato) rappresenta la soluzione dotata del migliore<br />

rapporto rischio/efficacia.<br />

La scelta del modello organizzativo ambulatoriale<br />

richiede necessariamente l’adozione di protocolli per<br />

la gestione degli imprevisti-insuccessi e delle complicanze.<br />

E’ fondamentale tuttavia prevedere:<br />

• nursing continuo del personale infermieristico<br />

con stesura <strong>dei</strong> protocolli comportamentali;<br />

• aggiornamento del personale medico nelle strutture<br />

di competenza;<br />

• corretta informazione e supporto logistico al<br />

paziente ed all’ambiente familiare-abitativo.<br />

Non sembri eccessivamente pedante soffermarsi<br />

a discutere così a lungo ed in maniera così particolareggiata<br />

su questi presidi medici che purtroppo sono<br />

spesso considerati degli “accessori” nel trattamento<br />

terapeutico del paziente all’interno dell’ospedale:<br />

“prendiamo una vena ed incominciamo a fare la<br />

terapia”. Dopo di ciò, la manutenzione dell’accesso<br />

viene spesso dimenticata, sino a che non compaiano<br />

segni di flebite, se non di infezione. Allora si cambia<br />

il sito al braccio, poi ancora un altro sito… e poi alle


del patrimonio venoso. Una corretta scelta del tipo di<br />

presidio venoso, fatta in tempo utile, al momento del<br />

ricovero, ed una corretta manutenzione della medicazione,<br />

scongiurano tutte le complicanze su descritte.<br />

In parole povere, non è sufficiente imparare a posizionare<br />

un dispositivo venoso (sia esso ago cannula,<br />

picc o midline), ma è prioritario imparare a gestire tale<br />

presidio. Serve a poco saper posizionare un picc, se<br />

poi dopo tre giorni, a causa di cattiva gestione, questo<br />

deve essere rimosso.<br />

L’accesso venoso è soltanto un aspetto delle<br />

prestazioni che vengono erogate al paziente durante<br />

il ricovero. Esso è un presidio fondamentale ed irrinunciabile<br />

per la terapia, ma, allo stesso tempo, è fonte<br />

di numerose complicanze, tra cui anche quelle infettive,<br />

che possono, quando non compromettere la vita del<br />

paziente, comunque ritardare la dimissione ed aggravare<br />

i costi del ricovero di quel paziente.<br />

3) Durante la procedura per la medicazione<br />

Anche nella gestione della medicazione è necessario<br />

utilizzare sempre una tecnica asettica, e “non touch”.<br />

Non toccare il catetere con le mani nude, indossare<br />

guanti sterili ed adoperare solo materiale sterile.<br />

L’utilizzo <strong>dei</strong> guanti sterili non esime dall’obbligo di<br />

lavarsi le mani. Alternativamente, si può ricorre ad<br />

appositi detergenti liquidi o in gel esistenti in commercio,<br />

raccomandati quelli a base di clorexidina, che offrono<br />

buona praticità d’impiego (qualche secondo<br />

d’applicazione anche senza l’uso del lavandino) oltre<br />

a realizzare soddisfacenti condizioni di asepsi. Non<br />

utilizzare solventi (es. etere) che possano danneggiare<br />

i cateteri in silicone ed aumentare il rischio di allergie<br />

per alterazioni del film idrolipidico. Utilizzare clorexidina<br />

al 2% (EPIC 2007) per la disinfezione della cute e del<br />

catetere. Sostituire la prima medicazione dopo 24 ore<br />

con medicazione trasparente semipermeabile. Utilizzare,<br />

ove possibile i feltretti a rilascio controllato di<br />

clorexidina (“biopatch”). Utilizzare sistemi di fissaggio<br />

sutureless. Sostituire periodicamente il sistema di<br />

la parola ai colleghi vene degli arti inferiori, e così via, sino ad esaurimento<br />

26<br />

fissaggio posizionato al posto <strong>dei</strong> punti di ancoraggio.<br />

Con queste ultime precauzioni si può cambiare la<br />

medicazione una volta a settimana invece che ogni<br />

24 ore (come avviene per le medicazioni tradizionali),<br />

anche perché si può monitorare visivamente il sito di<br />

inserzione. Non utilizzare alcun tipo di pomata antibiotica<br />

anche in presenza di exit site infetto. Per questa<br />

evenienza è permesso solo l’uso di pomate antisettiche.<br />

La figura 2 e 3 sono esempi di cattiva gestione<br />

della medicazione (medicazione staccata, sangue<br />

nella linea infusionale, che porterà all’occlusione del<br />

catetere; scarsa igiene della medicazione). La figura<br />

4 è invece un esempio di corretta scelta <strong>dei</strong> presidi<br />

utilizzati per la medicazione e di corretta gestione.<br />

Fig. 2.<br />

Fig. 3.


Fig. 4.<br />

4) Durante la gestione della linea infusionale<br />

Tecnica asettica e “non touch”. Sostituire gli aghi<br />

cannula ogni 96 ore (3–4 giorni). Non sostituire periodicamente,<br />

se non in caso di complicanze, picc,<br />

midline e cvc. Sostituire periodicamente le linee infusionali.<br />

Se possibile, utilizzare una linea separata per<br />

la NP. Utilizzare clorexidina 2% per la disinfezione del<br />

catetere e della linea infusionale.<br />

5) Al momento della dimissione<br />

Il paziente può essere trasferito dalla terapia intensiva<br />

in un altro reparto e da qui poi essere dimesso e<br />

mandato a casa o in un istituto di assistenza o un<br />

centro di riabilitazione, ecc. Anche fuori dall’ospedale<br />

il paziente può avere bisogno dell’accesso venoso<br />

per terapie infusionali continuative.<br />

Il paziente proveniente da una terapia intensiva non<br />

dovrebbe portare con sé in un’altra unità operativa,<br />

né a casa, il catetere che gli è stato posizionato durante<br />

la degenza il quel reparto. Primo perché germi selezionati<br />

provenienti dalla terapia intensiva, vengono<br />

trasferiti insieme al paziente presso l’Unità Operativa<br />

di destinazione, poi perché i cateteri a breve termine<br />

sono in poliuretano, materiale dove più facilmente<br />

attecchiscono i germi, e più suscettibile ad andare<br />

incontro a fatti trombotici. Queste evenienze sono più<br />

difficilmente gestibili fuori dall’ospedale.<br />

27<br />

Che cosa si dovrebbe fare allora?<br />

Al paziente proveniente dall’Uti dovrebbe venir<br />

rimosso il catetere in uso sino ad allora ed, in altra<br />

sede, gli si dovrebbe impiantare un cvc tunnellizzato,<br />

che è in silicone, più biocompatibile, o, a seconda<br />

delle esigenze, un picc o un catetere periferico tipo<br />

midline. Lo stesso si può fare al momento della dimissione.<br />

Il picc o il midline (a seconda del tipo di terapia<br />

da somministrare) sono spesso i cateteri di scelta per<br />

la terapia nei reparti di medicina o domiciliare.<br />

Tutto ciò, naturalmente, non può essere fatto dallo<br />

stesso personale del reparto di appartenenza, ma, lo<br />

ribadiamo, dovrebbe essere fatto da personale dedicato,<br />

da un team preposto alla valutazione <strong>dei</strong> singoli<br />

casi ed al posizionamento e gestione.<br />

E’ sempre più frequente in alcuni centri, ma sempre<br />

di più se ne sente la necessità in tutti gli altri, la<br />

creazione di staff dedicati ed appositamente addestrati<br />

per la gestione non solo intraospedaliera, ma anche<br />

domiciliare <strong>dei</strong> pazienti portatori di catetere venoso<br />

(terapia, cambio medicazioni, gestione e sostituzione<br />

delle linee infusionali, istruzioni da impartire al “care<br />

giver”, che spesso è un familiare, ecc…).<br />

Importanza del sito di emergenza<br />

Per la prevenzione delle infezioni, ma anche delle<br />

altre complicanze di cui qui non tratteremo, grande<br />

importanza riveste il sito di emergenza del catetere,<br />

che spesso è associato alla scelta della vena. Distinguiamo<br />

zone ad alto rischio infettivo e zone a basso<br />

rischio.<br />

Alto rischi infettivo: collo se approccio “blind” (alla<br />

cieca) della vena giugulare interna; inguine (con qualsiasi<br />

tipo di approccio). La figura 5 è un esempio di errato<br />

approccio venoso e di un’errata scelta del sito di<br />

inserzione. Qualsiasi manovra venga fatta in quella<br />

regione (es. posizionamento di casco per Cpap), ma<br />

anche la sola presenza <strong>dei</strong> capelli e, nell’uomo della<br />

barba, pone le basi per un’alta probabilità di infezione.<br />

La figura 6 è invece l’esempio di un’esatta scelta


la parola ai colleghi<br />

Fig. 5. Fig. 6.<br />

dell’approccio venoso (Vena anonima di destra con<br />

tecnica eco guidata).<br />

Infatti, sono a basso rischio infettivo: area sovraclaveare<br />

(approccio eco guidato alla vena anonima, postero-inferiore<br />

alla vena giugulare interna, alla succlavia.<br />

Area sottoclaveare: approccio “blind” o eco alla vena<br />

ascellare o alla vena succlavia. Quest’ultima, per definizione<br />

“sotto la clavicola” non è visibile ecograficamente<br />

se non per via sovraclaveare. Per via sottoclaveare è<br />

visibile la vena ascellare, prima che questa si continui<br />

con la vena succlavia. Pertanto la scelta della vena<br />

succlavia per via sottoclaveare è sì a basso rischio<br />

infettivo (per ciò che riguarda la gestione), ma è ad alto<br />

rischio per quel che riguarda le altre complicanze: pnx,<br />

rischio di “pinch-off”, mal funzionamenti, mal posizionamenti<br />

e così via. Ciò è vero sicuramente per quel<br />

che riguarda i cvc a medio e lungo termine.<br />

Una regola fondamentale è che l’“exit site”, o la<br />

sede della tasca del Port-A Cath, si trovi ad almeno<br />

20 cm dalla tracheotomia.<br />

In definitiva quindi:<br />

• non improvvisare;<br />

• prevedere un CVC-PICC team;<br />

28<br />

• prevedere protocolli aziendali (oppure ‘bundles’<br />

di comportamento):<br />

– per la indicazione;<br />

– per l’impianto;<br />

– per la gestione;<br />

• educazione:<br />

– specifica (impianto);<br />

– per tutti (indicazioni, gestione).<br />

Quello che segue è un ‘bundle’ GAVeCeLT – EVAN<br />

per minimizzare le complicanze legate alla inserzione<br />

degli accessi venosi centrali a lungo termine (sistemi<br />

totalmente impiantabili e cateteri tunnellizzati):<br />

1) venipuntura percutanea ecoguidata (preferibilmente<br />

mediante approccio sopraclaveare alla vena<br />

giugulare interna, alla vena anonima, o alla vena<br />

succlavia);<br />

2) controllo intraoperatorio della posizione della<br />

punta del catetere venoso centrale (preferibilmente<br />

mediante il metodo elettrocardiografico);<br />

3) tecnica asettica e massime protezioni di barriera<br />

durante l’impianto;<br />

4) prevenzione delle aritmie mediante gestione<br />

appropriata della guida metallica;


5) stabilizzazione <strong>dei</strong> cateteri tunnellizzati mediante<br />

posizionamento appropriato della cuffia e utilizzo,<br />

ovunque possibile, di sistemi di fissaggio ‘sutureless’;<br />

6) scelta appropriata del sito ove impiantare il<br />

‘reservoir’.<br />

Esistono anche bundles che riguardano la corretta<br />

manutenzione.<br />

Le misure adottate per ridurre il rischio di infezione<br />

associato alla terapia intravascolare dovrebbe portare<br />

ad un bilancio tra la salvaguardia del paziente e il<br />

costo dell’efficacia.<br />

E’ ormai fuor di dubbio che il rischio di infezioni si<br />

riduca quando siano osservate le indicazioni e le<br />

raccomandazioni sulle tecniche in asepsi da utilizzare.<br />

E’ facilmente dimostrabile che l’inserzione e il mantenimento<br />

di cateteri intravascolari da parte di personale<br />

inesperto può incrementare i rischi di colonizzazione<br />

del catetere.<br />

L’organizzazione in un team specializzato, che<br />

potremmo chiamare “CVC-PICC team” ha dimostrato<br />

essere efficace nel ridurre l’incidenza delle infezioni<br />

associate a catetere, le relative complicanze ed a<br />

ridurre i costi.<br />

Esperienza significa non solo essere in possesso<br />

dell’abilità nella fase di inserimento, cosa che moltissimi<br />

hanno, ma anche essere in grado di mettere in atto<br />

e quindi di conoscere, sulla base delle linee guida,<br />

tutti quegli accorgimenti, raccomandazioni e precauzioni<br />

che fanno sì che il catetere possa durare il più<br />

a lungo possibile.<br />

Potremmo dire che, eccetto i cvc che vengono<br />

posizionati nelle terapie intensive in situazioni di emergenza,<br />

ideale sarebbe avere un team dedicato, che<br />

si dedichi in maniera quasi esclusiva al posizionamento,<br />

alla gestione ed alla manutenzione <strong>dei</strong> cateteri venosi<br />

in senso lato. Il team costituisce, come già avviene in<br />

molti ospedali, un punto di riferimento per tutte le<br />

problematiche, e sono tante, che riguardano i cateteri<br />

venosi (dove per cateteri venosi si intendono tutti gli<br />

accessi venosi, dall’ago cannula al Port-A-Cat). Il team<br />

29<br />

è anche fondamentale nell’addestramento del personale<br />

medico (al posizionamento <strong>dei</strong> cateteri centrali)<br />

e del personale infermieristico (posizionamento <strong>dei</strong><br />

picc e midline e gestione <strong>dei</strong> cateteri), secondo le linee<br />

guida internazionali e non secondo l’esperienza personale<br />

di ognuno di noi.<br />

Ribadiamo quanto segue:<br />

Modello organizzativo “base”<br />

1. personale dedicato per impianto e gestione;<br />

2. protocollo per impianto;<br />

3. procedure di preparazione ed assistenza postimpianto<br />

compreso l’accesso a servizio di radiologia;<br />

4. protocollo di gestione delle eventuali complicanze,<br />

compreso l’accesso a personale rianimatorio;<br />

5. locale dedicato e sanificabile:<br />

– camici e teleria sterile;<br />

– strumenti sterili;<br />

– lampada scialitica;<br />

– cardiomonitor, sfigmomanometro e pulsossimetro/saturimetro;<br />

– ecografo;<br />

– carrello per emergenze;<br />

6. ambulatorio per visite e controlli:<br />

– protocollo gestione;


Le infezioni correlate ad alcune pratiche cliniche,<br />

tra cui il posizionamento <strong>dei</strong> cateteri venosi centrali e<br />

periferici ed all’assistenza e gestione <strong>dei</strong> dispositivi<br />

rappresentano un’importante complicanza di particolare<br />

rilevanza per quanto concerne la morbilità, mortalità<br />

e ospedalizzazione. Abbattere il rischio infettivo dipende<br />

dalla formazione/informazione degli operatori addetti,<br />

siano essi medici o infermieri, essendo a loro carico<br />

la maggior parte delle prestazioni erogate nelle varie<br />

unità operative, non solo nei reparti di terapia intensiva.<br />

Ricondurre costantemente, ed utilizzare, per quanto<br />

di nostra competenza, quanto viene proposto<br />

dall’attuale letteratura (linee guida) permette di avere<br />

una unità operativa sempre aggiornata ed efficiente.<br />

Si sente sempre di più la necessità di un servizio<br />

di riferimento per ciò che concerne il posizionamento<br />

e la gestione <strong>dei</strong> cateteri venosi (non solo centrali, ma<br />

anche periferici). E’ necessaria insomma la creazione<br />

la parola ai colleghi Conclusioni<br />

30<br />

del CVC-PICC TEAM, che non aumenta i costi a<br />

carico dell’Azienda, ma anzi li riduce evitando gli<br />

sprechi.<br />

In ogni reparto di ospedale, ogni giorno, esiste<br />

almeno un paziente “senza vene”, che ha cioè esaurito<br />

il suo patrimonio venoso (per pregressi ripetuti episodi<br />

trombo flebitici, chemioterapia o altre terapie con<br />

farmaci irritanti e lesivi per l’intima delle vene periferiche).<br />

Del cvc picc team devono fare parte medici ed<br />

infermieri prima di tutto motivati per questo tipo di<br />

lavoro, ma soprattutto dedicati a questo tipo di lavoro,<br />

almeno per buona parte del loro tempo e dotati del<br />

necessario “know how”. Il know how si acquisisce<br />

frequentando corsi di formazione e congressi (ogni<br />

anno se ne preparano in numero rilevante, del tipo<br />

“picc day” corsi GAVeCELT ecc.) e/o frequentando il<br />

cvc-picc team del proprio ospedale. Il referente del<br />

team deve dedicare una parte della sua attività alla<br />

formazione/informazione del personale medico ed<br />

infermieristico.<br />

Non sembri utopistica poi la creazione, almeno<br />

nell’ambito <strong>dei</strong> centri ospedalieri più complessi, di un<br />

“Comitato Infezioni Ospedaliere” (CIO), che, attraverso<br />

la collaborazione con i responsabili <strong>dei</strong> programmi di<br />

sorveglianza (medici ed infermieri), permetta una<br />

ridistribuzione sistematica della cultura ed esperienza<br />

in materia di rischio infettivo e permetta strategie di<br />

prevenzione e contenimento.<br />

Solo con la formazione continua e l’informazione<br />

rivolta al personale delle varie Unità Operative si<br />

possono raggiungere livelli di efficienza e si possono<br />

ridurre le complicanze dovute alla cattiva gestione<br />

degli accessi venosi e delle linee infusionali, tra cui le<br />

infezioni catetere correlate rappresentano solo un<br />

importante aspetto.<br />

Ci sono molte cose nuove ed innovative nel campo<br />

degli accessi vascolari. Ci sono le linee guida a cui in<br />

passato non si poneva attenzione; c’è il ricorso alla<br />

tecnica ecoguidata; ci sono i nuovi disinfettanti ed<br />

antisettici; ci sono alternative ai vecchi, ma ancora<br />

attuali CVC, ecc.


Quindi, vorremmo concludere questa discussione<br />

dicendo che se ci aprissimo a tutti questi nuovi concetti,<br />

non credendo di sapere ormai tutto ed evitando di<br />

rimanere ancorati soltanto alle nostre abitudini, probabilmente<br />

saremmo più disposti ad imparare ed a<br />

ritenere validi i processi innovativi.<br />

Socrate (Atene, 469 – 399 A.C.), paradossalmente,<br />

sosteneva la teoria del “sapere di non sapere”, cioè<br />

dell’ignoranza intesa come consapevolezza di una<br />

non conoscenza definitiva. Questa teoria è il movente<br />

fondamentale del desiderio di conoscere, e quindi di<br />

imparare. Egli, al contrario <strong>dei</strong> sofisti, che si ritenevano<br />

saggi, non si reputava un saccente, ma era animato<br />

da una grande sete di verità e di sapere. Quindi,<br />

prendendo le distanze da questi e con l’uso critico<br />

della ragione, rifiutava tutto ciò che gli veniva imposto<br />

per tradizione o per credenza religiosa. Con ciò intendiamo<br />

dire che la verità non sta nelle cose che si<br />

sanno fare perché cosi si sono sempre fatte, ma nel<br />

modo in cui esse andrebbero fatte.<br />

Noi non ci riteniamo <strong>dei</strong> sofisti e siamo convinti di<br />

aver ancora molto da imparare. Sappiamo di non<br />

sapere ed abbiamo ancora voglia di scoprire.<br />

* Unita Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione<br />

- Ospedale “Vito Fazzi” – <strong>Lecce</strong> - Direttore dott. R. Caione<br />

31<br />

Bibliografia<br />

Evidence-based <strong>Medici</strong>ne Working Group. Evidence-based<br />

<strong>Medici</strong>ne. A new approach to teaching the<br />

practice of medicine. JAMA 1992; 268: 2420-25.<br />

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Medical Literature. A Manual for Evidence-based<br />

<strong>Medici</strong>ne. AMA Press, 2002.<br />

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catheter; Journal of hospital infection; 2001.<br />

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pointprevalence surveys, 2002-2004. Infect Control<br />

Hosp Epidemiol 2009; 30: 659-665<br />

Lanini S, Jarvis WR, Nicastri E, et al, INFNOS Study<br />

Group (Gruppo Italiano per lo Studio delle Infezioni<br />

Noscomiali.<br />

Linee guida per la prevenzione delle infezioni Associate<br />

a catetere intravascolare” daMorbidity and Mortality<br />

Weekly Report, August 9,2002, Vol 51, No. RR-<br />

I O, e Vol 51, No. 32:711<br />

Moro ML, Gandin C, Bella A, et al. Indagine conoscitiva<br />

nazionale sulle attività di sorveglianza e controllo<br />

delle infezioni ospedaliere negli ospedali pubblici italiani.<br />

2001, pag. 70 Rapporti ISTISAN-01/4.<br />

Procedure di gestione infermieristica del catetere<br />

venoso centrale; centro di riferimento oncologico,<br />

Istituto Nazionale Tumori<br />

Sackett DL, Straus SE, Richardson WS, Rosenberg<br />

W, Haynes RB. Evidence-based <strong>Medici</strong>ne. How to<br />

practice and teach EBM. 2nd edition. London: Churchill<br />

Livingstone, 2000.<br />

www.cdc.gov<br />

www.GAVeCELT.org.<br />

www.vascular access.info<br />

www.wikipedia.org


Auguri<br />

di una Pasqua serena<br />

a tutti i colleghi<br />

e alle loro famiglie<br />

il presidente Luigi Pepe<br />

ed il Consiglio tutto


Qui Cina<br />

UN VIAGGIO DENTRO E FUORI L’ANIMA DI MEDICO<br />

V<br />

di Antonio Antonaci<br />

iaggio per trovare da qualche parte della Terra<br />

me stesso, nella gente che spero di incontrare,<br />

tra le strade di luoghi mai visti e diversi e che, a volte,<br />

sento più vicini alla mia anima di quelli in cui sono<br />

nato.<br />

E porto con me, sempre, la parte del mio mondo<br />

che più amo.<br />

Litigano e scalciano, scalciano dietro al suo sedile,<br />

dando fastidio, molto fastidio, chissà quanto appaiono<br />

stupidi al tassista i miei figli, quei due ragazzini bianchi,<br />

33<br />

La Cina ti accoglie, da subito,<br />

inglobandoti nella sua vita<br />

quotidiana, tra la sua gente,<br />

e ti annulla completamente,<br />

modificando le tue abitudini<br />

e il tuo stile di vita<br />

e mia moglie, che pur stando seduta dietro, in mezzo<br />

a loro, non riesce a frenarli; io sono davanti, a fianco<br />

a lui, e mi sento osservato, con la coda lunghissima<br />

<strong>dei</strong> suoi occhi a mandorla; ha il volto serioso, professionale,<br />

la giacca a quadri, il cravattino. Mi sento<br />

obbligato ad intervenire quanto prima. Mi giro, con un<br />

urlo e un ceffone, ristabilisco l’ordine e mi guadagno<br />

finalmente la sua stima; parte allora dal quel viso<br />

imbronciato e scarno un sorriso indimenticabile, per<br />

un terzo oro e argento, per un terzo niente, l’altro<br />

terzo intonato col cravattino, di una genuinità introvabile:<br />

benvenuti a Shanghai. Piove sempre a Shanghai, il<br />

sole non si vede mai, ma sembra quasi una pioggia<br />

finta, un effetto speciale messo lì ad arte per mantenere<br />

l’ambientazione <strong>dei</strong> film anni Quaranta in bianco e<br />

nero, quelli con attori come Humphray Bogart od<br />

Orson Welles tanto amati dagli occidentali. E anche<br />

il traffico, incredibilmente caotico, sembra fatto così


la parola ai colleghi<br />

In Cina tutto è grande e tutto<br />

“molto”, 1 miliardo e 300 milioni<br />

i cinesi, solo tre città: Pechino,<br />

Shianghai e Canton hanno, messe<br />

assieme, più abitanti dell’Italia;<br />

la sola area urbana di Pechino<br />

è più estesa di tutto il grande<br />

Salento<br />

apposta: autobus stracolmi, ondeggianti sugli ammortizzatori,<br />

sfrecciano suonando, fanno slalom tra i<br />

pedoni, milioni di pedoni; “stormi” di motociclisti<br />

volteggiano compatti tra un semaforo rosso e l’ altro;<br />

file interminabili di automobili soppiantano ormai risciò<br />

e biciclette: è la nuova Cina. La pioggia è smog, le<br />

oltre 4.000 industrie di Shanghai spostano 5 milioni<br />

di pendolari ogni giorno; in questa città più moderna<br />

e grande di New York, dal 1990 al 2000 sono stati<br />

costruiti circa 1900 grattacieli, con centinaia di piani,<br />

uno affianco all’altro, per una la densità della popolazione<br />

di circa 50 mila abitanti per km2. L’aeroporto,<br />

con i suoi tre terminal, può accogliere contemporaneamente<br />

fino a 600mila passeggeri; un treno lo collega<br />

alla città correndo a 420 km orari. E’ un altro mondo;<br />

34<br />

mi sembra di essere su un altro pianeta, tra alieni. Ne<br />

ho conferma dal fatto che tra tunnel subacquei luminescenti<br />

e ponti che si intrecciano coi grattacieli cerco<br />

di spiegare all’amico tassista dove devo andare, ma<br />

questi proprio non mi capisce. Non sa una virgola di<br />

inglese e sa leggere solo gli ideogrammi della sua<br />

lingua. E’ il contrasto che fotografa esattamente la<br />

Cina di oggi, in cui non capisci mai se sei avanti di<br />

cento anni o indietro di mille, in cui tra genitori e figli<br />

si apre un abisso culturale e sociale spaventoso che<br />

divide inesorabilmente le due generazioni; una situazione<br />

unica al mondo.<br />

Alla fine giungiamo ad “Expo Shanghai 2010”, la<br />

nostra meta. Piove a dirotto, come sempre, ma nessuno<br />

se ne cura, l’acqua sembra anche a noi che non<br />

bagni e poi è luglio, si può fare, andiamo in giro. L’expo<br />

ha un’estensione immensa (più di 5 km2) tanto che<br />

dentro ci si muove in metropolitana e autobus; ottantamila<br />

giovani studenti volontari, questi sì, tutti parlanti<br />

inglese, sono distribuiti e pronti ad aiutare il visitatore.<br />

L’organizzazione è spaventosa. Il giorno<br />

dell’inaugurazione hanno sparato <strong>dei</strong> razzi tra le nuvole<br />

per diradarle e “produrre” una giornata di sole. Decine<br />

di migliaia di persone sono in fila composta sotto la<br />

pioggia per entrare a visitare i padiglioni di tutte la<br />

nazioni del mondo tra cui quello italiano, uno <strong>dei</strong> più<br />

belli e raffinati, costruito con un cemento trasparente,<br />

frutto della nostra tecnologia, che consente di vedere<br />

attraverso i muri; sembra vetro quando l’interno si<br />

illumina con un effetto meraviglioso che lascia intravedere<br />

delle astine che si intrecciano: gli shanghai,<br />

appunto. Cerchiamo un’entrata secondaria, mostriamo<br />

il passaporto italiano e ci fanno entrare, evitando la<br />

fila; dentro fanno sfoggio la cultura, la storia, la scienza,<br />

le tradizioni, lo stile, i sapori del nostro Paese (su un<br />

totale di 73 milioni di visitatori e 246 espositori, 7<br />

milioni e 300mila persone hanno visitato il padiglione<br />

italiano nel corso della rassegna, da maggio ad ottobre<br />

2010). Riusciamo a vedere anche il padiglione <strong>dei</strong><br />

padroni di casa, megagalattico, impressionante; qui<br />

la fila raggiunge proporzioni bibliche e sono tutti cinesi.


Mi avvicino coi bambini all’ingresso e ci provo: “Excuse<br />

me, we are from Italy….”. Italy, parola magica: spostata<br />

la transenna l’addetto fa entrare me e famiglia in un<br />

batter d’occhio. E le persone che erano là in fila da<br />

ore? Mi aspettavo un linciaggio, invece tirano fuori le<br />

macchinette fotografiche e cominciano a fotografarci<br />

festanti! Noi non ci meravigliamo più ormai, siamo in<br />

Cina da una settimana ed è da quando siamo arrivati<br />

che tutti ci fotografano, ci toccano, ci danno pacche<br />

sulle spalle, accarezzano insistentemente i nostri<br />

bambini e li mettono accanto ai propri per fotografarli.<br />

Solo chi è stato in questo meraviglioso e lontano<br />

Paese può capire la sensazione che si prova. La Cina<br />

ti accoglie, da subito, inglobandoti nella sua vita<br />

quotidiana, tra la sua gente, e ti annulla completamente,<br />

modificando le tue abitudini e il tuo stile di vita. Sembra<br />

quasi prendersi gioco di te e delle tue paure facendoti<br />

roteare senza tregua tra una infinità di colori, sapori,<br />

suoni, profumi, sensazioni, sentimenti, emozioni, in<br />

una sorta di strana ipnosi che dura dall’inizio alla fine<br />

del viaggio. Sempre tra milioni di persone, in ogni ora<br />

del giorno e della notte, ti ritrovi ad essere uno come<br />

loro, tra loro, vicino a loro, senza sconti né zone<br />

franche, fino a comprenderne, o quasi, l’esistenza.<br />

Se poi sei medico, e guardi il mondo con gli occhi del<br />

medico, scopri in ogni uomo e donna che incontri i<br />

segni nascosti di una grandezza sofferta, che per<br />

migliaia di anni ha forgiato corpo e psiche; perfetto è<br />

allora il medico per un viaggio in Cina, per la dimestichezza<br />

che ha nel trattare, senza pregiudizio alcuno,<br />

di cose che hanno a che fare col corpo e con l’anima.<br />

E, dagli occhi di chiunque gli passi accanto, dall’“analisi”<br />

di quei sorrisi sinceri e mai negati, scoprirà, il medico,<br />

davvero, che nobiltà e dignità umana vivono nel profondo<br />

del cuore e nulla hanno a che fare con l’aspetto<br />

esteriore.<br />

A Pechino avevamo una guida locale, una donna,<br />

Li Ha, il suo nome, dolcissima, e minuta, ovviamente.<br />

Li Ha è riuscita ad imparare l’italiano in sei mesi ad un<br />

corso organizzato dal suo Governo, non è mai stata<br />

in Italia; spera nel turismo italiano in Cina poiché vi ha<br />

35<br />

Quando vengo a sapere che i medici<br />

in Cina sono stressati, stanchi<br />

e nervosi, mi sento a casa. Lavorano<br />

moltissimo con turni massacranti,<br />

visitano ogni giorno file interminabili<br />

di pazienti<br />

investito tutto ed è l’unica sua speranza di lavoro.<br />

Mentre passeggiamo in piazza Tian’anmen, Li Ha ci<br />

racconta, con un candore e una dignità impressionanti,<br />

la sua difficile vita. Quando era piccola, negli anni 70,<br />

la sua famiglia per sfamarsi era talvolta costretta a<br />

mangiare foglie bollite degli alberi di acacia <strong>dei</strong> viali di<br />

Pechino; il padre con 60 yuan al mese (8 euro) doveva<br />

mantenere lei, il fratello, la moglie e la nonna. Poi un<br />

giorno è stata data in sposa ad un uomo, anche lui<br />

di Pechino, e si è trasferita nella casa del marito dove,<br />

come da uso e costume cinese, si è dovuta porre al<br />

servizio della suocera soddisfacendo ogni sorta di<br />

richiesta (tra cui lavarle i piedi ogni giorno). Quando<br />

però ha dato un figlio maschio al marito, questi ha<br />

voluto premiarla “affrancandola” e lei ha potuto finalmente<br />

pensare alla sua vita. Una vita che Li Ha oggi<br />

ama e che considera bella e fortunata: d’altronde, non


la parola ai colleghi<br />

poteva essere diversamente, mi spiega, essendo nata<br />

nel 1964, l’anno del Drago, simbolo del successo.<br />

Piazza Tian’anmen, con i suoi 44 ettari di superficie,<br />

è la più grande del mondo; oggi è una piazza pacifica<br />

che brulica di gente, ma parlare con Li Ha, porta alla<br />

mia mente l’immagine di quel ragazzo che nel 1989,<br />

camicia bianca, la giacca in una mano e una busta di<br />

plastica nell’altra, qui fermò i carri armati; chissà se<br />

ha mai saputo che col suo gesto eroico ha contribuito<br />

a cambiare il mondo. Con una busta di plastica in<br />

mano e la giacca nell’altra… come coloro che sbarcano<br />

oggi in Italia.<br />

Dalla piazza, attraversando una grande porta su<br />

cui campeggia l’immagine di Mao Zedong, si accede<br />

alla Città Proibita, il palazzo dove un tempo risiedeva<br />

l’imperatore. La Città Proibita, cento ettari di palazzo,<br />

piazzali e parco al centro di Pechino, è così chiamata<br />

poiché, nella Cina imperiale, era punito con la morte<br />

chi vi accedeva senza permesso; oggi è aperta al<br />

36<br />

pubblico e milioni di cinesi vengono da ogni parte per<br />

visitarla. In Cina tutto è grande e tutto “molto”, 1<br />

miliardo e 300 milioni i cinesi, solo tre città: Pechino<br />

(19 milioni), Shianghai (20 milioni) e Canton (33 milioni)<br />

hanno, messe assieme, più abitanti dell’Italia; la sola<br />

area urbana di Pechino è più estesa di tutto il grande<br />

Salento: immaginiamo, partendo da Taranto di andare<br />

a Brindisi e da qui a Leuca sempre passando per la<br />

città. Appena fuori Pechino si incontra la Grande<br />

Muraglia che per 6400 kilometri corre ininterrotta e<br />

imponente sulle montagne e nelle pianure, visibile ad<br />

occhio nudo dallo spazio, fu posta nell’antichità per<br />

difendere le provincie cinesi dall’invasione <strong>dei</strong> mongoli.<br />

Per costruirla furono impiegate un milione di persone,<br />

molte delle quali perirono per la fatica e gli stenti<br />

durante i lavori e si narra che i corpi furono sepolti tra<br />

i mattoni a sostegno della muraglia stessa. Strana è<br />

la millenaria storia dell’uomo in Cina, poiché, più che<br />

altrove, ha visto sempre imporre gli interessi delle


masse su quelle del singolo, per cui, per quanto<br />

paradossale possa apparire, a parità di vicende, i due<br />

destini sono stati molto differenti: una straordinaria<br />

grandezza del popolo e la miserevole condizione del<br />

singolo; un contrasto fortissimo, estremo, che riesce<br />

a segnarti indelebilmente e che è la caratteristica<br />

principale di questa terra. Succede anche, però, che<br />

il destino di un singolo trionfi per la grandiosità del suo<br />

popolo. E’ la storia del contadino che, nel marzo del<br />

1974, nei pressi di Xi’an, antica città imperiale sede<br />

della dinastia Qin (221-206 a.C.), scopre per caso,<br />

scavando un pozzo, la più incredibile delle meraviglie:<br />

l’esercito di terracotta. Oltre settemila statue di soldati<br />

e cavalli, ritratto esatto di ciascuno di essi, seppelliti<br />

assieme all’imperatore Shi Huangdi, con il compito di<br />

difenderlo dai nemici nell’aldilà!<br />

Quel contadino, oggi, è una delle persone più ricche<br />

e famose della Cina.<br />

Nel tempio buddista di Yonghegong (Palazzo<br />

dell’eterna armonia), i cinesi vogliono ritrovare la propria<br />

religiosità, tanto inibita nel periodo comunista più<br />

repressivo; oggi, specialmente i giovani, mi spiega Li<br />

Ha, sentono il bisogno della fede e del contatto con<br />

Dio; quante cose, senza riserve, mi racconta Li Ha in<br />

queste giornate afose in giro per la Cina. Parla a me<br />

e a mia moglie, incantandoci, ed e’ incredibile, si<br />

preoccupa anche di non perdere mai di vista, tra i<br />

fumi d’incenso e le folle di fedeli, i miei ragazzi: vagano<br />

liberamente tra le statue del Budda e i draghi di marmo,<br />

37<br />

In Cina chi non lavora<br />

non ha assistenza sanitaria.<br />

Il cittadino può scegliere<br />

tra la medicina tradizionale cinese<br />

o quella occidentale. La tradizionale<br />

viene preferita poiché è opinione<br />

comune che guarisca meglio,<br />

anche se più lentamente<br />

e, tra laghetti e aiuole, rischiano di perdersi inseguendo<br />

un monaco tibetano per fotografarlo mentre parla con<br />

l’iPhone! Ormai Li Ha è “zia Li Ha” e “One world one<br />

dream”, lo slogan delle olimpiadi del 2008, rimasto<br />

un po’ ovunque, ricorda che su questa Terra siamo<br />

tutti inequivocabilmente “una famiglia”. Quando poi<br />

vengo a sapere che i medici in Cina sono stressati,<br />

stanchi e nervosi, mi sento veramente a casa! Lavorano<br />

moltissimo con turni massacranti, visitano ogni giorno<br />

file interminabili di pazienti: immaginate voi che cosa<br />

può essere qui una sala d’aspetto! La medicina di<br />

famiglia e la medicina del territorio, intesa come da<br />

noi, non esiste e l’assistenza sanitaria è esclusivamente<br />

ospedaliera; per andare dal medico bisogna recarsi


la parola ai colleghi<br />

in ospedale. Il sistema sanitario prevede da parte del<br />

cittadino una compartecipazione alla spesa variabile<br />

a seconda del lavoro che svolge e alla provincia in cui<br />

abita. Chi non lavora non ha assistenza sanitaria. Il<br />

cittadino può scegliere tra la medicina tradizionale<br />

cinese o quella occidentale. Li Ha mi dice che la<br />

medicina tradizionale cinese viene preferita poiché qui<br />

è opinione comune che guarisca meglio, ma ci vuole<br />

troppo tempo; quella occidentale si considera “solo<br />

più rapida” e di questi tempi conviene. Nell’anno<br />

dell’H1N1 nelle scuole veniva distribuito un infuso che<br />

rafforzava le difese immunitarie. La Cina vanta un<br />

primato: le prime donne dottore, la prima risalirebbe<br />

38<br />

addirittura al tempo della dinastia Han (25-220 d.c.).<br />

La figura del medico donna si rendeva necessaria<br />

poiché era impensabile che un uomo potesse avvicinarsi<br />

ad una donna per visitarla. Le case di riposo non<br />

esistono: nella Cina di oggi in giro per la città si vedono<br />

solo giovani donne e giovani uomini, gli anziani in<br />

genere sono nelle campagne oppure li puoi trovare<br />

ogni mattina nei parchi dove si riuniscono a migliaia<br />

per cantare in coro, portare con se le gabbie degli<br />

uccellini, giocare a carte e ad altri strani giochi di<br />

società; trasmettono una serenità impagabile, soprattutto<br />

quando li vedi eseguire il Taiji Quan (l’arte marziale<br />

dai lenti movimenti armonici ed equilibrati) o scrivere<br />

con l’acqua ideogrammi sui mattoni per terra ed<br />

aspettare che si dissolvano al sole.<br />

E con loro, i contadini giardinieri <strong>dei</strong> roseti posti<br />

nello spartitraffico delle autostrade, il sorriso delle<br />

giovani filatrici nella fabbrica della seta, il carismatico<br />

venditore di perle, le cameriere silenziose <strong>dei</strong> ristoranti,<br />

i musici e le danzatrici del teatro di Xi’an, i decoratori<br />

di vasi, i soldatini timidissimi posti a guardia di ogni<br />

cosa, il guidatore di risciò malato di cuore che consegna<br />

il ventaglio ai clienti perché gli facciano vento durante<br />

la corsa e tutta la gente che discreta si avvicina per<br />

venderti qualcosa ad ogni angolo di strada, rimarranno<br />

sempre nel mio cuore.<br />

Tutto questo mi ricorda l’amore che si sprigiona<br />

per gli altri quando si onora il grande privilegio di fare<br />

il medico.


la parola ai colleghi<br />

Riflessioni sulla valutazione medico-legale<br />

sul settore dell’invalidità civile<br />

VELOCE EXCURSUS STORICO SUL TEMA<br />

di Beniamiino De Giorgi*<br />

Il dato storico<br />

La normativa legislativa e la prassi giurisprudenziale<br />

per l’erogazione di contributi economici o di altre<br />

provvidenze a carattere sociale sembra essersi adeguata,<br />

negli anni, ad alternanti esigenze di carattere<br />

“politico”<br />

Ricordo che un tempo, nel contenzioso con l’Inps<br />

per l’invalidità lavorativa, il CTU doveva determinare<br />

se il lavoratore che aveva presentato richiesta di<br />

pensione di invalidità avesse avuto “all’epoca della<br />

fase amministrativa della domanda” i requisiti idonei<br />

per ottenerla.<br />

Evidentemente, in quel tempo, si riconosceva solo<br />

all’Istituto assicuratore, con sua diretta valutazione, il<br />

diritto-dovere di determinare chi avesse titolo ad<br />

ottenere le prestazioni previste dalla legge, e questa<br />

valutazione era sempre successiva ad una richiesta<br />

che, logicamente, seguiva sempre il manifestarsi della<br />

malattia ritenuta invalidante.<br />

Al giudice era riconosciuto il potere di tutelare il<br />

lavoratore nel suo diritto solo dopo che questo era<br />

stato disatteso dall’Inps.<br />

Successivamente al giudice (in buona sostanza al<br />

suo CTU) è stata data facoltà di riconoscere il beneficio<br />

richiesto anche per malattie insorte successivamente<br />

alla domanda, e questo ha portato a qualche difficoltà<br />

40<br />

Quando, in passato, è stato<br />

demandato alle Asl il compito<br />

di costituire le Commissioni<br />

per la valutazione delle invalidità,<br />

la selezione <strong>dei</strong> loro componenti<br />

è stata effettuata senza badare<br />

a riunire medici con professionalità<br />

diverse ma concorrenti<br />

nell’ottimizzare la definizione<br />

diagnostica e medico legale<br />

nell’interpretazione e nell’attuazione delle norme,<br />

perché le diverse professionalità <strong>dei</strong> CTU offrono una<br />

competenza minore di quella <strong>dei</strong> medici dell’Inps, tutti<br />

selezionati e specializzati in quella specifica attività .<br />

Quando, nell’ambito dell’Invalidità Civile, è stato<br />

demandato alle ASL il compito di costituire le Commissioni<br />

per indicare chi aveva diritto ai benefici previsti, la<br />

selezione <strong>dei</strong> loro componenti è stata effettuata senza<br />

perseguire l’obiettivo di formare gruppi di medici con<br />

professionalità diverse ma concorrenti nell’ottimizzare<br />

la definizione diagnostica e medico legale.<br />

Per l’invalidità civile, quindi, a differenza dell’invalidità<br />

Inps, neppure nella fase amministrativa è stata prevista


una specifica professionalità medica adeguata allo<br />

scopo.<br />

Tale situazione, a mio avviso, ha contribuito ad<br />

aumentare oltre il prevedibile le pensioni di invalidità,<br />

le indennità di accompagnamento e il relativo contenzioso<br />

giudiziario.<br />

Ciò deve essere avvenuto per diverse ragioni, ma<br />

limitandomi ad ipotizzarne solo alcune rilevo che:<br />

- la modulistica <strong>dei</strong> verbali di visita che era stata<br />

predisposta per le Commissioni non consentiva la<br />

possibilità di descrivere l’esame obiettivo, perché<br />

prevedeva solo:<br />

a) anamnesi<br />

b) documentazione prodotta<br />

c) documentazione richiesta.<br />

I componenti le Commissioni, quindi, potevano<br />

esprimere valutazioni medico legali unicamente ribadendo<br />

diagnosi formulate da altri su referti e certificati<br />

medici che implicitamente, ma di fatto, includevano<br />

valutazioni medico legali: non altrimenti, infatti, può<br />

essere considerato un certificato che oltre alla diagnosi<br />

esprime anche un giudizio di gravità.<br />

Ecco allora che, ad esempio, per mancanza di<br />

spazio idoneo, è potuto accadere che una diagnosi<br />

di diabete mellito scompensato (logicamente poi<br />

ricompensato con adeguata terapia) ha continuato<br />

ad essere “diabete scompensato” sul verbale della<br />

Commissione per l’invalidità civile, così come ha<br />

continuato ad essere “cardiopatia in III classe NYHA”<br />

una insufficienza cardiaca così certificata mesi o anni<br />

prima, poi curata e migliorata ma come tale non<br />

documentabile perché sul verbale della Commissione<br />

non era stato previsto lo spazio fisico per descriverne<br />

l’obiettività .<br />

E lo stesso può dirsi per “prove di funzionalità<br />

respiratoria” verificate e certificate come patologiche<br />

in occasione di episodi di riacutizzazione di bronchiti<br />

croniche e non più valutate alla risoluzione del quadro<br />

clinico, come pure per diagnosi di “grave depressione<br />

del tono dell’umore”, il più delle volte secondaria ad<br />

un qualche lutto subito e come tutti i lutti elaborato<br />

con il tempo.<br />

41<br />

Le abitudini del passato<br />

hanno ormai consolidato una prassi<br />

metodologica e comportamentale<br />

nell’ambito di valutazione<br />

dell’invalidità civile non proprio<br />

ortodossa<br />

Queste certificazioni - sostanzialmente corrette<br />

all’epoca e per gli scopi clinici per i quali erano state<br />

rilasciate - qualora la persona non otteneva quanto<br />

richiesto venivano esibite a sostegno delle ragioni del<br />

ricorso giudiziario, presentato perché “la Commissione<br />

ha disatteso di valutare o non ha riconosciuto malattie<br />

esplicitamente certificate da medici specialisti o da<br />

qualificate strutture pubbliche”.<br />

Poiché è impensabile che per un errore reiterato<br />

negli anni si sia privato il medico legale dal poter<br />

descrivere l’esame obiettivo, che è elemento ineludibile<br />

per ogni sua valutazione, non è fuor di luogo ipotizzare<br />

che quella modulistica sia stata così predisposta<br />

proprio con lo scopo “politico” di favorire<br />

l’elargizione <strong>dei</strong> benefici previsti per gli invalidi


nell’ambito dell’invalidità civile<br />

deve interpretare criticamente,<br />

alla luce della sua professionalità<br />

e conoscenza, il quadro clinico<br />

che gli viene proposto<br />

civili, avendo anche opportunamente delineato una<br />

obbligata metodologia di valutazione medico legale<br />

che, in buona sostanza, de-responsabilizzava sotto<br />

ogni profilo sia i medici certificanti che quelli delle<br />

Commissioni.<br />

I primi, infatti, certificavano quanto rilevato all’atto<br />

della loro visita ( la quale, se non altrimenti specificato,<br />

si intende abitualmente richiesta per finalità medicocurative)<br />

e i secondi si limitavano ad applicare le<br />

valutazioni “tabellari” alle malattie certificate non avendo<br />

alcuna possibilità di descrivere sul verbale di visita<br />

alcuna obiettività diversa da quella certificata nel<br />

passato.<br />

la parola ai colleghi Colui che è stato deputato a valutare<br />

42<br />

L’attualità<br />

La “politica” da qualche tempo sembra aver voluto<br />

porre riparo a quanto ella stessa aveva consentito per<br />

un lungo periodo, ed ecco allora che oggi:<br />

a) sulla modulistica <strong>dei</strong> nuovi verbali di visita delle<br />

Commissioni è previsto lo spazio per descrivere l’esame<br />

obiettivo;<br />

b) un eventuale ricorso giudiziario contro il parere<br />

delle Commissioni può essere presentato solo entro<br />

sei mesi dalla definizione della fase amministrativa<br />

della domanda, così eliminando la possibilità concessa<br />

nel passato di presentarlo anche molti anni dopo,<br />

possibilità che suggeriva agli invalidi di attendere<br />

l’avanzare della vecchiaia o l’aggravamento delle<br />

malattie prima di adire le vie legali;<br />

c) è presente nelle Commissioni di Asl un medico<br />

dell’Inps;<br />

d) vengono effettuate moltissime visite di revisione<br />

le quali, atteso che le patologie rilevanti per indennità<br />

di accompagnamento o a fini pensionistici devono<br />

essere croniche e con menomazioni permanenti, altro<br />

non sono se non un ulteriore controllo sulle valutazioni<br />

delle Commissioni successivo a quello che è già stato<br />

effettuato al tempo delle vacche grasse.<br />

Le abitudini del passato, però, hanno ormai<br />

consolidato una prassi metodologica e comportamentale<br />

nell’ambito di valutazione dell’invalidità<br />

civile che può essere definita quanto meno non<br />

proprio ortodossa e che oggi è estremamente<br />

difficile da modificare, anche perché nel corso degli<br />

anni si sono formati con quelle indebite usanze (sia<br />

chiaro, non regole ) molti medici “con l’hobby della<br />

medicina legale” - come amava dire il compianto dott.<br />

Giuseppe Cerfeda - i quali, non avendo potuto sviluppare<br />

una adeguata competenza specialistica per<br />

mancanza di una corretta metodologia di riferimento,<br />

talora vengono “disorientati” ad opera di agguerriti,<br />

variegati e organizzati professionisti operanti nel settore.<br />

E difficile sembra essere il ritorno ad una corretta<br />

prassi metodologica medico legale perché spesso:


a) Vengono rilasciati, accettati e considerati validi,<br />

test o certificati medici specialistici privi di esame<br />

obiettivo, talora con diagnosi formulate unicamente<br />

sulla base di quanto riferito dal paziente;<br />

b) Non viene adeguatamente rilevato il fatto che la<br />

malattia, un tempo certificata presente e grave, possa<br />

essere (come il più delle volte accade) guarita o<br />

migliorata.<br />

Poiché la descrizione di quanto il medico evidenzia<br />

è, e deve essere, requisito essenziale del suo certificato,<br />

ritengo che eventuali suoi “foglietti” privi dell’ esame<br />

obiettivo esprimono non già una diagnosi di certezza<br />

o di grande probabilità ma indicano solo un possibilità<br />

diagnostica tra le tante, una semplice “ipotesi”.<br />

E’ universalmente noto che ciò che è “possibile”<br />

non ha rilevanza significativa in medicina legale<br />

eppure molte volte, in questo ambito, indebitamente,<br />

ad una “ipotesi“ si riconosce dignità<br />

di diagnosi e certificazione di malattia!<br />

Tutto ciò porta ad una serie di problemi per una<br />

corretta gestione dell’istituto dell’invalidità che si<br />

manifestano, tra l’altro, nella non omogenea valutazione<br />

di uno stesso caso clinico ( per cui perseveranza nel<br />

contenzioso giudiziario) tra chi riconosce e chi non<br />

riconosce valore probatorio alla certificazione sanitaria<br />

esibita, ed anche in una certa difficoltà a ben delineare<br />

identità e ruolo <strong>dei</strong> vari professionisti di volta in volta<br />

chiamati in causa.<br />

Ad esempio, in presenza di una corposa documentazione<br />

specialistica che per quanto innanzi detto si<br />

può definire non ortodossa, molti si domandano se il<br />

CTU debba svolgere un ruolo di medico esperto nel<br />

settore oppure solo funzioni di “notaio-ragioniere”,<br />

avendo il compito di assegnare, a diagnosi formulate<br />

da altri, numeri (di codice) con i quali effettuare semplicissimi<br />

calcoli.<br />

Io sono tra coloro per i quali colui che è stato<br />

deputato a valutare nell’ambito dell’invalidità civile (il<br />

CTU o la Commissione, ad esempio) deve interpretare<br />

criticamente, alla luce della sua professionalità e<br />

conoscenza, il quadro clinico che gli viene proposto,<br />

43<br />

Una diversa valutazione,<br />

da parte del Ctu, di una corretta<br />

documentazione esibita all’atto<br />

della domanda, consentirebbe<br />

di riconoscere il diritto preteso<br />

fin dalla domanda stessa<br />

perché la certificazione sanitaria che gli viene prodotta<br />

è solo una, e non la più rilevante, delle tante componenti<br />

che concorrono nella formulazione del parere conclusivo.<br />

Infatti, se analizziamo i certificati compilati in maniera<br />

che ho ritenuto non adeguata, rileviamo che quanto<br />

in essi è scritto per finalità cliniche dal medico specialista,<br />

non impegna la sua responsabilità se successivamente,<br />

un altro medico, con finalità diverse, trasforma<br />

in “diagnosi” quello che era stato semplicemente<br />

indicato come un “parere”.<br />

Lo specialista, infatti, non avendo descritto alcun<br />

esame obiettivo ha semplicemente inteso formulare<br />

- al paziente che si è rivolto a lui o al medico che ha


la parola ai colleghi<br />

Commissioni ed Inps non possono<br />

essere considerate “parti”<br />

in un eventuale contenzioso,<br />

perché hanno come unico obiettivo<br />

il rispetto delle norme per cui quanto<br />

rilevato dai loro medici, fino a prova<br />

contraria, riveste valore di dato<br />

obiettivo<br />

richiesto la sua consulenza - un’ipotesi diagnostica<br />

sulla base di un corretto ragionamento scientifico,<br />

anche se articolato solo sull’anamnesi.<br />

Evidentemente, però, in ambito medico legale, ad<br />

una diagnosi formulata senza la descrizione dell’esame<br />

obiettivo deve essere riconosciuto valore estremamente<br />

ridotto rispetto ad ogni altra, da quella difforme, basata<br />

su elementi obiettivi.<br />

Un altro problema creato da siffatta pseudocertificazione<br />

sta nel fatto che essa non offre elementi<br />

in virtù <strong>dei</strong> quali altri siano messi in condizione di valutare<br />

se le conclusioni diagnostiche certificate possano essere<br />

44<br />

condivisibili, né consente di valutare se il quadro clinico<br />

ha subito modificazioni nel tempo: mancando l’obiettività<br />

di allora, infatti, non si può verificare se la situazione di<br />

oggi è la stessa, è migliorata, oppure è peggiorata<br />

rispetto a quella del passato.<br />

E questo è importante, perché una diversa valutazione,<br />

da parte del CTU, di una corretta documentazione<br />

esibita all’atto della domanda, consentirebbe di<br />

riconoscere il diritto preteso fin dal tempo della sua<br />

richiesta.<br />

Un discorso a parte merita il fatto che taluni attribuiscono<br />

o reclamano significatività diagnostica e<br />

valutativa a test che appositi studi scientifici hanno<br />

validato in ambiti e per scopi assolutamente diversi<br />

da quelli della medicina legale.<br />

Il riferimento è, per il loro frequente impiego, al<br />

MMSE, preso talora acriticamente come elemento<br />

determinante a sostegno della diagnosi di demenza<br />

e della sua gravità, nonché alla valutazione delle abilità<br />

funzionali ricavata dai punteggi delle ADL e IADL,<br />

anche se questi siano stati basati unicamente su dati<br />

anamnestici, con domande rivolte all’interessato (o<br />

alla persona che lo accompagna a visita) del tipo:<br />

“riesce a fare il bagno, ad alimentarsi, a vestirsi, a<br />

coricarsi, ad usare il telefono, ad usare mezzi pubblici<br />

di trasporto, ad adoperare correttamente il denaro, a<br />

prendere le medicine ………da solo”?<br />

Ma, di grazia, quale valore può essere attribuito<br />

alle risposte di chi ha richiesto indennità di accompagnamento<br />

o ha iniziato un procedimento legale proprio<br />

per dimostrare che non è più in grado di fare nulla<br />

proprio di ciò che gli viene domandato?<br />

Tutto questo, a mio avviso, dovrebbe essere modificato<br />

perché, quanto meno, produce incertezza.<br />

Orbene, considerando che una non corretta certificazione<br />

ed una non esaustiva compilazione <strong>dei</strong> verbali<br />

di visita rende difficoltoso il lavoro del CTU, ho pensato<br />

di presentare alla valutazione <strong>dei</strong> miei Colleghi, e di<br />

quanti altri possano averne curiosità o interesse, alcune<br />

osservazioni e, perché no, anche alcuni sommessi<br />

suggerimenti e proposte.


Osservazioni<br />

1) Per i compiti e le funzioni a loro riconosciute<br />

dalle leggi, ritengo che le Commissioni per l’invalidità<br />

civile e l’Inps hanno lo scopo, se in presenza di adeguati<br />

requisiti, di riconoscere (non di negare) il diritto ad<br />

usufruire <strong>dei</strong> benefici richiesti. Ne deriva che Commissioni<br />

ed Inps non possono essere considerate<br />

“parti” in un eventuale contenzioso, perché hanno<br />

come unico obiettivo il rispetto delle norme, e<br />

quanto rilevato dai loro medici, fino a prova contraria,<br />

riveste valore di dato obiettivo.<br />

Coerentemente e con la stessa logica, però ritengo<br />

che in mancanza di obiettività clinico-funzionale descritta<br />

sul verbale di visita dal collegio medico della<br />

Commissione, assume valore determinante, fino a<br />

prova contraria, l’obiettività descritta nella certificazione<br />

medica esibita da colui che chiede, a condizione che<br />

questa sia stata compilata e rilasciata con tutti i requisiti<br />

previsti dalle norme.<br />

Da un lato, quindi, sottolineo l’importanza, e oserei<br />

dire l’obbligo istituzionale, di descrivere l’esame obiettivo<br />

da parte delle Commissioni per l’invalidità civile, dall’altro<br />

attribuisco importanza determinate, per il suo buon<br />

esito, al certificato medico allegato alle richieste, perchè<br />

nell’ interesse specifico degli invalidi esso merita di<br />

essere compilato correttamente e con idonea professionalità<br />

e competenza .<br />

E questo, purtroppo, bisogna riconoscerlo, non<br />

sempre avviene.<br />

2) Penso che colui che chiede o successivamente<br />

ricorre in giudizio contro il parere della Commissione<br />

o dell’Inps, deve essere considerato “parte”, e di parte<br />

devono essere ritenute le certificazioni mediche che<br />

produce. A queste, però, deve essere riconosciuto<br />

valore probatorio quando – secondo le conoscenze<br />

scientifiche maggiormente condivise – appaiono coerenti<br />

con l’obiettività rilevata dal CTU e con l’abituale<br />

evoluzione delle malattie che descrivono.<br />

3) E’ censurabile il comportamento delle Commissioni<br />

per l’invalidità civile che non riconoscono valore<br />

45<br />

I certificati ed i referti medici allegati<br />

alle domande dovrebbero segnalare<br />

non le condizioni cliniche<br />

del passato bensì i problemi attuali,<br />

e solo se “attivi” in ordine al deficit<br />

di funzione che procurano<br />

a certificati rilasciati da medici liberi professionisti,<br />

perché dicono di dovere prendere in esame solo quelli<br />

“rilasciati da strutture pubbliche o convenzionate”.<br />

Non ho conoscenza di alcuna norma che limiti la<br />

validità di certificati rilasciati da liberi professionisti, e<br />

nello stesso tempo non credo che vi sia taluno che<br />

possa sentirsi legittimamente autorizzato ad emanare<br />

disposizioni limitative del diritto/dovere di ogni medico<br />

a far valere la sua certificazione a tutti gli effetti consentiti<br />

dalla legge.<br />

D’altra parte tale comportamento oltre che illegittimo<br />

appare del tutto illogico e incoerente, perchè ogni<br />

medico “di struttura pubblica” può operare anche in<br />

essa quale libero professionista.<br />

In proposito, invece, ricordo che vi è una disposizione<br />

ministeriale per la quale la valutazione medico


ilasciate da struttura pubblica ogni volta che le Commissioni<br />

siano chiamate ad esprimere un parere “di<br />

scienza” per il decesso dell’invalido. E di questa<br />

disposizione posso ipotizzarne la logica: poiché la<br />

prestazione rilasciata da struttura pubblica ha l’obbligo<br />

di registrazione, questa consente di documentare la<br />

data certa di compilazione dell’atto come precedente<br />

al decesso.<br />

Della serie: pensar male è peccato però….<br />

4) In occasione delle visite di revisione “a campione”,<br />

per confermare o meno le provvidenze che sono già<br />

state riconosciute agli invalidi, l’Inps richiede loro la<br />

documentazione sanitaria che, a conferma delle malattie<br />

lamentate, avevano esibito nel passato e per le<br />

quali hanno ottenuto i benefici richiesti.<br />

Questa, a meno che non sia un falso pretesto per<br />

nobili scopi, appare una pretesa vessatoria e comunque<br />

irragionevole perché non si può pretendere che persone<br />

il più delle volte anziane, invalide o non autonome<br />

negli atti quotidiani della vita abbiano avuto l’accortezza<br />

di conservare una documentazione sanitaria che ha<br />

già svolto il suo ruolo e che neppure le Commissioni<br />

per l’invalidità civile delle ASL hanno ritenuto di dover<br />

utilmente conservare perché non sono in grado di<br />

esibire a richiesta dell’Inps.<br />

la parola ai colleghi legale deve essere formulata sulla base di certificazioni<br />

46<br />

D’altra parte, di fronte ad una verifica sulla legittimità<br />

del provvedimento di concessione di un beneficio, le<br />

parti sono due: chi ha ottenuto il beneficio e chi lo ha<br />

autorizzato. Ed allora sembra logico ritenere che tutte<br />

e due le parti siano tenute, nella stessa misura e<br />

responsabilità, a conservare ed esibire, se richiesta,<br />

la documentazione comprovante la liceità e/o la legittimità<br />

<strong>dei</strong> fatti.<br />

Inoltre, a conferma del comportamento quanto<br />

meno irragionevole dell’Inps verso gli invalidi, è il caso<br />

di sottolineare che questo Istituto, nel contenzioso<br />

giudiziario che riguarda suoi assicurati, non esibisce<br />

alle controparti che la richiedono la documentazione<br />

sanitaria sui casi in discussione.<br />

Come a dire: due pesi e due misure.<br />

Suggerimenti<br />

1) Poiché le ragioni per le quali una persona ritiene<br />

di non poter lavorare o di non poter vivere da sola non<br />

sono le malattie in quanto tali bensì tutti i sintomi e/o<br />

le difficoltà esistenziali che le malattie gli procurano,<br />

i certificati ed i referti medici allegati alle domande<br />

dovrebbero segnalare non le condizioni cliniche del<br />

passato bensì i problemi attuali, e solo se “attivi” in<br />

ordine al deficit di funzione che procurano.<br />

Questo per evitare, come spesso avviene, che<br />

siano documentate malattie altamente incidenti sulle<br />

capacità di lavoro o sull’autonomia personale in uno<br />

con corpose e inutili documentazioni di condizioni<br />

cliniche del tutto irrilevanti.<br />

In tal modo la scelta della certificazione esibita<br />

darebbe al medico, chiamato a valutare il caso, la<br />

sensazione di una persona che ha ben compreso le<br />

ragioni della sua richiesta e che per raggiungere il suo<br />

obiettivo segue un percorso chiaro e coerente;<br />

Non deve essere sottaciuto, infatti, che in molti<br />

casi appare di tutta evidenza che l’iter della richiesta<br />

del beneficio previsto dalla norma sia stato avviato<br />

non, come logicamente dovrebbe essere, per<br />

l’insorgenza di sintomi o menomazioni ( da cui conse-


guenti e logici accertamenti clinici e strumentali) bensì<br />

solo dopo avere eseguito accertamenti clinici e strumentali<br />

“a tappeto” che poi, se patologici, hanno<br />

indotto a lamentare i sintomi resi verosimili da quelli<br />

accertamenti.<br />

Questa abitudine è solo a danno degli invalidi che<br />

si vedono costretti a percorrere una via crucis diagnostico/certificativa<br />

spesso molto onerosa, a volte irrazionale,<br />

sempre inutile se valutata da un CTU competente.<br />

2) Il certificato medico introduttivo della domanda,<br />

a mio avviso:<br />

a) deve ind are solo quei sintomi ( e non altri) che<br />

rilevano nel ridurre le capacità lavorative o l’autonomia<br />

personale ;<br />

b) deve essere compilato correttamente, e senza<br />

esclusione alcuna deve comprendere: anamnesi,<br />

esame obiettivo, diagnosi, valutazione funzionale,<br />

valutazione prognostica;<br />

c) lo si dovrebbe associare solo a documentazioni<br />

clinico-strumentali che confermano quelle patologie<br />

le quali rendono certe o verosimilmente permanenti<br />

le menomazioni che di esse ne sono conseguenza;<br />

d) deve essere attentamente conservato insieme<br />

altra documentazione specialistica eventualmente<br />

esibita perché, se correttamente compilato e con<br />

l’indicazione esplicita del suo scopo, in caso di ricorso<br />

giudiziario o di visita di revisione, attesta il quadro<br />

clinico quale era all’epoca della presentazione della<br />

domanda;<br />

A mio avviso, esibendo siffatta certificazione<br />

l’invalido che abbia una malattia tra quelle esplicitamente<br />

indicate dal Ministero per l’esonero dai<br />

controlli può evitare di essere sottoposto a visite<br />

di revisione, anche se l’Asl non è in grado di produrre<br />

le documentazione che le viene richiesta dall’INPS.<br />

3) Le Commissione per l’invalidità civile devono<br />

avvertire l’obbligo di descrivere l’obiettività degli<br />

organi e/o apparati per i quali è stato lamentato<br />

o certificato un deficit di funzione: questo è necessario<br />

per pervenire ad una correttezza formale e<br />

47<br />

Il certificato medico deve essere<br />

considerato valutabile in ambito<br />

medico legale solo se possiede<br />

i requisiti “canonici” previsti,<br />

e tra questi ineludibili devono essere<br />

l’esame obiettivo e l’indicazione<br />

delle finalità per le quali<br />

il documento è stato richiesto<br />

e rilasciato<br />

sostanziale all’atto medico e per dare credibilità e<br />

connotazione di terzietà alla valutazione medico legale.<br />

Se, infatti, si può giustificare l’inadempienza del<br />

medico di medicina generale nella non corretta compilazione<br />

di un certificato con finalità medico legali,<br />

non trova giustificazione alcuna la mancata descrizione<br />

dell’esame obiettivo da parte di chi è stato deputato<br />

a quella funzione proprio perché ritenuto competente.<br />

Non descrivere l’obiettività clinica, se da un lato<br />

impedisce ogni successiva valutazione da parte di altri<br />

sul merito del proprio operato ( e non è buona cosa),<br />

dall’altro espone a legittima censura il giudizio medicolegale<br />

perché risulterebbe formulato in assenza di un<br />

elemento ineludibile per la formulazione della diagnosi<br />

( e questo è ancora peggio).<br />

Infatti, su quali basi dimostro di aver espresso il<br />

mio giudizio se non descrivo gli elementi che me lo<br />

hanno consentito? E come altri, successivamente,<br />

avendone titolo, possono valutare il mio operato se<br />

non hanno a disposizione gli elementi sui quali ho<br />

formulato la mia diagnosi? Ed infine, nell’ipotesi che<br />

la condizione clinica di oggi riconosca il diritto del<br />

richiedente a quanto precedentemente gli è stato<br />

negato, su quali elementi, altri, (i CTU, ad esempio)<br />

potrebbero determinare l’epoca da cui far decorrere<br />

l’acquisizione del beneficio richiesto?<br />

4) Come già correttamente l’Inps, anche le Commissioni<br />

Invalidi Civili devono acquisire e valutare tutte


non operano in strutture pubbliche, per evitare di<br />

incorrere in un comportamento censurabile perché<br />

non corretto, arrogante, illegittimo, irrazionale e illogico.<br />

5) Il certificato medico deve essere considerato<br />

valutabile in ambito medico legale solo se possiede i<br />

requisiti “canonici” previsti, e tra questi devono essere<br />

ineludibili l’esame obiettivo e l’indicazione delle finalità<br />

per le quali il documento è stato richiesto e rilasciato.<br />

6) Fino a quando non vi saranno test esplicitamente<br />

validati per finalità medico legali, per quanto riguarda<br />

la valutazione delle capacità cognitive e delle abilità<br />

nella vita quotidiana, ritengo che capacità cognitive e<br />

abilità debbano essere considerate documentate solo<br />

se obiettivate dal medico che le certifica.<br />

Percentuali di inabilità<br />

Il CTU, nei casi in cui la “tabella” prevede un range<br />

di percentuali di inabilità deve sempre indicare i motivi<br />

per i quali assegna alla malattia diagnosticata quel<br />

determinato punteggio.<br />

Se questo sarà fatto, se sarà attentamente valutata<br />

la documentazione esibita osservandone e segnalandone<br />

la coerenza (o meno) nella evoluzione delle<br />

malattie, e se sarà considerata l’incidenza di eventuali<br />

la parola ai colleghi le certificazioni esibite, comprese quelle di medici che<br />

48<br />

fattori coesistenti senza limitarsi ad ascrivere acriticamente<br />

una malattia ad un “codice” tabellare, allora<br />

sarà più difficile pervenire a valutazioni diverse per<br />

medesime patologie.<br />

Sul punto, noto che in sede di contenzioso giudiziario<br />

è costante la richiesta <strong>dei</strong> procuratori degli invalidi<br />

di reclamare che una malattia sia valutata con il<br />

massimo valore di inabilità per essa previsto dalla<br />

tabella di riferimento, mentre molti CTU tendono ad<br />

ascriverla o al valore massimo o al valore minimo per<br />

essa indicato. Questo equivale, nella sostanza, ad<br />

attribuire prefissate percentuali di inabilità anche a<br />

malattie nelle quali il quadro clinico-funzionale è modificabile<br />

dall’intervento terapeutico o dalla loro naturale<br />

evoluzione.<br />

Io ritengo che sia possibile attribuire percentuali<br />

di inabilità in misura fissa solo a condizioni cliniche<br />

che realizzano un deficit di funzione costante nel tempo<br />

(come è ad esempio per la perdita anatomica o funzionale<br />

di un arto o di un organo) mentre nei restanti<br />

casi, che sono la maggioranza, occorre tenere conto<br />

di diversi elementi che concorrono nel determinare<br />

l’incidenza di una malattia che per sua natura è soggetta<br />

a variazioni.<br />

Malattie “dinamiche”, ad esempio, possono essere<br />

considerate molte cardiopatie perché il più delle volte<br />

rispondono anche in misura altamente significativa al<br />

trattamento terapeutico e perché, di converso, possono<br />

essere progressive nella loro evoluzione peggiorativa.<br />

Orbene, se la malattia cardiaca può peggiorare o<br />

migliorare allora non la si può ascrivere oggi ad una


“classe NHYA” alla quale era stata ascritta ieri in<br />

occasione di una visita medica o di un ricovero ospedaliero.<br />

Invece, al tempo della valutazione che viene loro<br />

richiesta, son i CTU, i medici dell’Inps e della Commissione<br />

per l’invalidità civile i quali, sulla base dall’iter<br />

sanitario come documentato e in ragione delle loro<br />

conoscenze tecniche, hanno la possibilità sia di determinare<br />

la sua gravità che la sua certa o probabile<br />

non emendabilità, e in virtù di questi elementi possono<br />

attribuire percentuali di inabilità con motivazioni bene<br />

argomentate, esaustive e pertanto difficilmente confutabili.<br />

Con intenti chiarificatori faccio alcuni esempi, per<br />

quei pochi lettori non medici che avranno l’occasione<br />

di leggere queste mie riflessioni.<br />

a) Una miocardite acuta può realizzare uno scompenso<br />

cardiaco che viene certificato come cardiopatia<br />

in III-IV classe NYHA: eppure la miocardite acuta può<br />

guarire perfettamente senza alcun deficit di funzione.<br />

b) Un infarto acuto del miocardio comporta sempre<br />

una grave insufficienza cardiaca, ma nella fase di<br />

stabilizzazione della lesione il deficit funzionale deve<br />

essere valutato in ragione dell’entità della capacità<br />

contrattile residuata alla fase acuta e in base alla<br />

permanenza e all’entità del deficit coronarico (se non<br />

è stato emendato con intervento di rivascolarizzazione).<br />

c) Una cardiopatia ipertensiva, nel contesto di un<br />

più vasto quadro clinico, può perfino esordire con un<br />

grave scompenso cardio-circolatorio, ma con un<br />

trattamento terapeutico adeguato può non manifestare<br />

successivamente alcuna insufficienza cardiaca.<br />

Da questi pochi esempi credo si possa comprendere<br />

come la minore o maggiore gravità della malattia<br />

- che nell’ambito dell’invalidità civile deve essere<br />

valutata anche in ordine alla sua permanenza e non<br />

emendabilità - non può essere determinata da un<br />

singolo certificato medico perché, invece, deve essere<br />

stabilita in rapporto alla sua evoluzione (come documentata<br />

) nonché alla valutazione dell’incidenza di<br />

altre eventuali condizioni coesistenti: un ruolo significativo,<br />

ad esempio, è sostenuto dall’età del paziente,<br />

49<br />

dall’obesità, dalla presenza di alcune patologie endocrine<br />

o metaboliche.<br />

Se ci soffermiamo sulle malattie del cuore, vediamo<br />

che le più frequenti di queste sono elencate nella<br />

“tabella” ministeriale, indicativa delle percentuali di<br />

inabilità, con i codici compresi tra il 6441 e il 6448.<br />

Questi codici si riferiscono a “miocardiopatie –<br />

valvulopatie - coronaropatie con insufficienza cardiaca<br />

lieve – moderata – grave - gravissima”<br />

Dal fatto che la tabella in esame, nei suddetti codici,<br />

non riconoscere alcuna percentuale di inabilità per<br />

cardiopatie che siano senza insufficienza, si ha<br />

conferma che una sia pur minima percentuale di<br />

inabilità la si può attribuire solo in presenza di un<br />

deficit di funzione, se esistente.<br />

Ed allora, se è l’insufficienza che determina la<br />

percentuale di inabilità e non la malattia in quanto tale,<br />

ne deriva che solo dal grado dell’eventuale documentata<br />

permanente insufficienza si può ascrivere<br />

una cardiopatia alla I o alla II o alla III o alla IV<br />

classe NYHA .


la parola ai colleghi<br />

E che cosa è l’insufficienza cardiaca?<br />

Sempre per i non addetti ai lavori, ricordo che la<br />

definizione maggiormente condivisa la identifica in<br />

“una situazione fisiopatologia in cui una alterazione<br />

della funzione cardiaca è responsabile dell’incapacità<br />

del cuore a pompare sangue ad una velocità adeguata<br />

alle esigenze metaboliche <strong>dei</strong> tessuti”.<br />

E’ di tutta evidenza che tale definizione implicitamente<br />

afferma che, pur in presenza di situazioni<br />

fisio-patologiche, non sempre si realizza una condizione<br />

di insufficienza.<br />

Se ciò è possibile, e lo è, allora si deve riconoscere<br />

che alcune condizioni cardiache, specie quelle che si<br />

possono diagnosticare solo con l’ausilio di indagini<br />

strumentali ( eco-color-doppler, ad esempio) o alcuni<br />

fisiologici adattamenti del muscolo cardiaco a particolari<br />

impegni fisici (come l’ipertrofia che si realizza nel cuore<br />

d’atleta o in persone addette abitualmente a lavori<br />

pesanti) non determinano alcun deficit di funzione e<br />

quindi non comportano alcuna percentuale di inabilità.<br />

Queste “malattie”, che nella pratica cardiologia<br />

frequentemente si identificano nella lieve ipertrofia<br />

ventricolare sinistra, nella fibrosi valvolare con conseguente<br />

lieve insufficienza, nell’ipertensione arteriosa<br />

rilevata solo saltuariamente o in particolari situazioni<br />

come stress o malesseri vari, non incidono in alcun<br />

modo sulle capacità lavorative o sulla quotidianità<br />

della vita perché non comportano quella “insufficienza”<br />

che è condizione esplicitamente prevista per potere<br />

assumere dignità di malattie invalidanti.<br />

D’altronde, ogni medico che abbia insieme un po’<br />

di esperienza clinico/terapeutica e l’hobby della medicina<br />

legale (tra i quali mi includo), se non è ossessionato<br />

dal pensiero di dovere attribuire ad ogni<br />

“malattia” un “numero” di codice elencato su una<br />

tabella , può tranquillamente convenire sul fatto che<br />

una ipertrofia ventricolare sinistra in chi ha svolto per<br />

lungo tempo lavori pesanti, o una sclerosi <strong>dei</strong> lembi<br />

valvolari (pressocchè abituale nell’età avanzata), o una<br />

ipertensione arteriosa senza retinopatia ipertensiva<br />

e/o rilevata solo occasionalmente, sono aspetti clinici<br />

50<br />

para-fisiologici che non producono alcuna insufficienza<br />

cardiaca e pertanto non sono ascrivibili ad alcun<br />

“codice”.<br />

Conclusioni<br />

Sono stato indotto ad esporre alcune riflessioni<br />

sulla valutazione medico legale nel settore dell’invalidità<br />

civile perché ritengo sia utile e di attualità uno scambio<br />

di opinioni sull’argomento con i Colleghi medici che<br />

possano averne interesse .<br />

Nel mio ormai lungo (ahimé) percorso professionale<br />

ho sempre privilegiato il confronto delle idee rispetto<br />

alle certezze per cui, in questo modesto impegno di<br />

scrittura, ho colto una favorevole occasione per continuare<br />

e possibilmente estendere a più persone<br />

l’abituale esercizio dialettico che tra l’altro, come ben<br />

sapete, sembra essere utilissimo per invecchiare il più<br />

tardi possibile.<br />

Esprimo gratitudine a Salento Medico perchè mi<br />

ha dato la possibilità di pubblicare il mio pensiero e<br />

riterrò di aver raggiunto un grande risultato se anche<br />

uno solo <strong>dei</strong> suoi lettori vi avrà trovato ulteriore stimolo<br />

per continuare ad approfondire le sue conoscenze in<br />

questo settore delle medicina.<br />

Beniamino De Giorgi - Geriatra -<br />

Via Gentile n.37 – <strong>Lecce</strong> -<br />

Tel. 338.4540614<br />

mail : degiorgibeniamino@ virgilio. it.


Imponderabili certezze degli ordini di servizio<br />

RIFLESSIONI DI UN DIRETTORE MEDICO DI OSPEDALE<br />

di Luigi Cosentino<br />

L<br />

a prima volta che ho sentito pronunciare la frase<br />

“Ti faccio un ordine di servizio!” è stata quando<br />

il mio direttore medico aveva deciso di obbligare un<br />

cardiologo a coprire un turno lasciato vacante da una<br />

collega che, grazie a intercessioni superiori, era stata<br />

autorizzata (e sponsorizzata) a partecipare a un congresso<br />

internazionale nella splendida location di Parigi.<br />

A nulla erano valse le efficaci argomentazioni del<br />

cardiologo sui turni da lui già fatti, sull’attività assistenziale<br />

in reparto e in ambulatorio che l’avrebbero impegnato<br />

in quei giorni, sulla regola non scritta che obbliga<br />

ogni professionista a garantire comunque (con scambi,<br />

sostituzioni, cortesie) la copertura di un suo turno in<br />

caso di assenza per congressi.<br />

Il mio direttore era stato irremovibile, seppure parco<br />

di motivazioni nel merito della sua decisione, dal<br />

momento che, dal suo punto di vista, il semplice fatto<br />

di averglielo chiesto costituiva di per sé una ragione<br />

più che sufficiente e legittima perché lui accettasse.<br />

Cosicché davanti al rifiuto, garbatamente motivato,<br />

opposto dal cardiologo, il direttore aveva deciso di<br />

ricorrere, prima nei toni verbali e poi nelle decisioni<br />

formali, al “principio di autorità” e di relazione gerarchica.<br />

Così fece predisporre un ordine di servizio, lo firmò<br />

con ostentata determinazione e lo fece notificare al<br />

povero cardiologo. E il problema venne rapidamente<br />

risolto. Almeno così pareva.<br />

Rimasi impressionato da tanta forza e inflessibilità<br />

51<br />

In ospedale gli ordini di servizio,<br />

salvo rare eccezioni,<br />

non determinano necessariamente<br />

i comportamenti e, quindi,<br />

permanendo in essi una evidente<br />

componente di imprevedibilità,<br />

non possono garantire<br />

i risultati attesi<br />

che apparivano discendere da una magnifica chiarezza<br />

di idee sui ruoli, sulle dinamiche relazionali e sugli<br />

strumenti decisionali da adoperare nell’ambito della<br />

organizzazione ospedaliera. E mi chiesi quanto tempo<br />

sarebbe occorso, se mai ci fossi riuscito, per acquisire<br />

una tale esperienza e facilità di azione.<br />

Ci sono voluti dieci anni prima che mi rendessi<br />

conto dell’assurdità del comportamento del mio direttore<br />

e soprattutto della pochezza culturale <strong>dei</strong> suoi<br />

comportamenti e della sua “lettura e interpretazione”<br />

dell’organizzazione-ospedale.<br />

In verità, qualche minimo dubbio sulla rassicurante<br />

efficacia di quella “decisione gerarchica” mi era venuto<br />

dopo due giorni, quando il cardiologo abbandonò il<br />

servizio, con tanto di referto di Pronto Soccorso,


la parola ai colleghi<br />

perché colto da “Sindrome vertiginosa. Crisi ipertensiva<br />

da probabile stress” proprio la mattina del giorno in<br />

cui avrebbe dovuto coprire il turno di notte, come da<br />

disposizione n. 1803 del direttore medico.<br />

Così il cardiologo rimase a casa per venti giorni e<br />

i turni da coprire diventarono quattro.<br />

Il mio dubbio era centrato su questa semplice<br />

osservazione: “Ma se la decisione del direttore sembrava<br />

essere così esemplare e incisiva come mai il<br />

risultato finale era stato un significativo peggioramento<br />

del problema?”.<br />

E tuttavia l’espressività risolutiva di quella frase “ti<br />

faccio un ordine di servizio!” mi aveva annebbiato gli<br />

occhi e il cervello. Avrei continuato, per dieci anni, a<br />

compulsare la letteratura e rincorrere i direttori esperti<br />

per cercare di scoprire i segreti di alcune parole chiave<br />

che avrebbero certamente guidato e resa efficace la<br />

mia azione direzionale: livelli gerarchici, linea di comando,<br />

via gerarchica, ruoli. Ma soprattutto tre concetti<br />

mi sembravano meritare una ricerca appassionata e<br />

continua: prescrizioni, regole, norme. Erano diventati<br />

ormai il mio Sacro Graal.<br />

La gerarchia, le regole, le norme quali strumenti<br />

privilegiati e decisivi per guidare e determinare i comportamenti<br />

delle persone nell’organizzazione - ospedale.<br />

Quando il Dott. Fulvio Forino, in una stanzetta<br />

dell’Università la Sapienza mi mostrò un bicchiere di<br />

acqua pieno a metà e mi chiese “E’ mezzo pieno o<br />

è mezzo vuoto?” e poi aggiunse, davanti al mio silenzio,<br />

“E’ mezzo pieno e mezzo vuoto,” si squarciò un<br />

orizzonte prima imbarazzante e ben presto affascinante<br />

che mi avrebbe costretto a fare i conti con nuovi<br />

concetti: complessità, sistemi complessi, pensiero<br />

sistemico, visione olistica.<br />

E nello specifico del mondo sanitario: organizzazioni<br />

complesse, direzione <strong>dei</strong> sistemi complessi, apprendimento<br />

organizzativo. Erano appunto passati dieci<br />

anni. Oggi ne sono trascorsi altri dieci e credo di<br />

essere giunto alla seguente conclusione: “In ospedale<br />

gli ordini di servizio, salvo rare eccezioni, non determi-<br />

52<br />

Le regole “non sono altro<br />

che la conclusione sempre<br />

provvisoria, precaria e problematica<br />

di una prova di forza”<br />

nano necessariamente i comportamenti e, quindi,<br />

permanendo in essi una evidente componente di<br />

imprevedibilità, non possono garantire i risultati attesi”.<br />

Detto in altri termini, nel governo di un’organizzazione<br />

complessa come l’ospedale è fuorviante e<br />

aleatorio “chiedere certezze”alle disposizioni di servizio<br />

(che solo in specifiche situazioni e non dunque di per<br />

sé stesse, possono avere senso e produrre efficacia)<br />

ma occorre che le strutture formali di una organizzazione<br />

siano” interrelate e si influenzino” con le<br />

strutture informali (N. Nohria, 1994) e dunque bisogna<br />

imparare a “convivere con l’incertezza” orientando<br />

l’organizzazione sulla base di altri costrutti (contesti<br />

formativi, comunità di pratica, sensemaking) e con<br />

differenti strumenti operativi (governo clinico, team,<br />

integrazione multidisciplinare).<br />

La conclusione possibile è che le mie attuali mappe<br />

cognitive sono profondamente cambiate e, forse, solo<br />

pochi residui elementi di “retorica gerarchica” novecentesca<br />

sono rimasti impigliati negli “schemi di rete”<br />

delle relazioni informali tra nodi e agenti che si sforzano<br />

di guidare il tentativo di meglio comprendere e assecondare<br />

la cultura organizzativa del terzo millennio.<br />

Il tempo è maturo allora per cercare di rispondere<br />

a una domanda cruciale: “le norme, le regole ovvero<br />

le prescrizioni o regolamentazioni determinano effettivamente<br />

i comportamenti organizzativi”?<br />

E più precisamente: “la regola intesa come manifestazione<br />

della volontà da parte dell’autorità di far sì<br />

che un soggetto si comporti in un determinato modo<br />

(aspetto prescrittivo) è in grado di determinare il<br />

comportamento previsto”?<br />

La concezione meccanicistica dell’organizzazione


Chi si ostina a considerare<br />

l’organizzazione come una macchina<br />

che funziona secondo regole<br />

che sono progettabili e modificabili<br />

da un “progettista conduttore”<br />

esperto e razionale agisce<br />

in un contesto culturale della prima<br />

metà del Novecento<br />

(Taylor, 1911; Weber 1922) fondata sul paradigma<br />

giuridico-formale del modello burocratico ritiene che<br />

le persone e le organizzazioni si comportino secondo<br />

quanto previsto dalle norme. Tale concezione è fondata<br />

sul costrutto dell’homo juridicus che è “spinto” dalle<br />

forze inerziali delle norme stesse (J. Elster, 1989) e<br />

quindi, al cambiare delle norme, conformemente e<br />

conseguentemente, cambia il comportamento<br />

dell’homo juridicus. E’ sufficiente adottare e/o modificare<br />

le norme e i regolamenti per ottenere i comportamenti<br />

“disegnati e auspicati dai progettisti” (costrutto<br />

razionale: modello ottimale , one best way).<br />

Tale costrutto non tiene però conto della “intrinseca<br />

equivocità della norma” (K. Weick, 1995) che deve<br />

essere “interpretata” dagli attori organizzativi e ignora<br />

inoltre che “nel tempo una regola formale può essere<br />

cambiata o semplicemente accantonata e non resa<br />

esecutiva” (D.C. North, 1990).<br />

L’evidenza empirica ha ormai ampiamente dimostrato<br />

la distanza (e spesso la discrepanza) tra “fatti”<br />

(comportamenti, pratiche reali) e “norme” (regole,<br />

prescrizioni) e che le regole dovendo essere interpretate<br />

possono dare origine a comportamenti differenti da<br />

quelli attesi (M.Catino, 2001). Le regole, quindi, “non<br />

sono altro che la conclusione sempre provvisoria,<br />

precaria e problematica di una prova di forza” (negoziazione<br />

tra attori organizzativi) (E. Friedberg 1991).<br />

Ciò è particolarmente vero nelle organizzazioni<br />

loose coupling ossia a legami laschi (come sono le<br />

53<br />

organizzazioni sanitarie) che consentono margini di<br />

discrezionalità nell’adattamento reciproco (Weick,<br />

1995) tra gli attori organizzativi (direttori medici, dirigenti<br />

medici, infermieri professionali, tecnici, ecc.).<br />

In conclusione sembrano esservi sufficienti dati di<br />

evidenza per affermare che la concezione giuridicoformale<br />

dell’organizzazione è fallita e culturalmente<br />

superata e che dunque, le regole formali non determinano<br />

i comportamenti organizzativi.<br />

Chi si ostina a considerare l’organizzazione come<br />

una macchina che funziona secondo regole che sono<br />

progettabili e modificabili da un “progettista conduttore”<br />

esperto e razionale agisce in un contesto culturale della<br />

prima metà del Novecento e, impedito da un malefico<br />

“velo cognitivo” (M.Catino 2001), non riesce a vedere<br />

l’evoluzione recente della teoria organizzativa e acquisire<br />

una adeguata conoscenza delle organizzazioni complesse,<br />

entrando finalmente nel terzo millennio.<br />

Se oggi provassi a prospettare al mio ex direttore<br />

medico che un’organizzazione sanitaria (come<br />

l’ospedale) è un tipico esempio di “sistema complesso<br />

adattativo” caratterizzato da “un insieme di agenti<br />

individuali dotati di una libertà d’azione sufficiente a<br />

renderli non del tutto prevedibili e le cui azioni sono<br />

interconnesse in modo tale che l’azione di un agente<br />

cambi il contesto per gli altri agenti” (P.Plsek, 2001)<br />

e se tentassi di dirgli che con l’organizzazione bisogna<br />

dialogare cercando di orientarla verso obiettivi chiari<br />

e condivisi rinunciando a una rigida e prevaricante<br />

logica di pianificazione e controllo e di autorità formale,<br />

sono sicuro che mi risponderebbe: ”Queste sono<br />

solo…sciocchezze e invece ti ricordo che per comandare<br />

bisogna conoscere le leggi e i regolamenti, dare<br />

corretta esecuzione agli adempimenti previsti e soprattutto…avere<br />

gli attributi!”.<br />

Pronto a metterlo per iscritto, magari con una<br />

apposita disposizione di servizio, nel caso la mia<br />

espressione dovesse mostrare perplessità o, peggio,<br />

disaccordo.<br />

Direttore Medico del P.O. di Copertino-Nardò<br />

ASL di <strong>Lecce</strong>


la parola ai colleghi<br />

Rischio cancerogeno.<br />

Gli obblighi <strong>dei</strong> datori di lavoro<br />

a cura di Giovanni De Filippis ed Antonio De Giorgi*<br />

S<br />

ostituire, appena sia tecnicamente possibile, le<br />

sostanze cancerogene e mutagene utilizzate nelle<br />

attività lavorative con altre che non comportino tale<br />

rischio. E’ l’obbligo imposto ai datori di lavoro dal<br />

decreto legislativo 81/08, il cosiddetto Testo Unico in<br />

materia di igiene e sicurezza del lavoro.<br />

Solo qualora le procedure di sostituzione non<br />

possano essere attuate, il datore di lavoro deve ridurre<br />

il livello di esposizione <strong>dei</strong> lavoratori al più basso valore<br />

possibile e comunque l’esposizione non deve superare<br />

il valore limite dell’agente stabilito dalla stessa norma.<br />

A tal fine il datore di lavoro deve effettuare una<br />

analitica valutazione del rischio, che, se presente,<br />

impone di sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria<br />

preventiva e periodica.<br />

La valutazione del rischio parte da un primo semplice<br />

gradino che è quello di consultare le schede di sicurezza<br />

<strong>dei</strong> prodotti utilizzati contraddistinti dalle frasi R 45<br />

(“Può provocare il cancro”); R 49 (“Può provocare il<br />

cancro per inalazione”) ed R 46 (“Può provocare<br />

alterazioni genetiche ereditarie”).<br />

Attualmente le predette frasi sono anche indicate,<br />

nella fase in corso di implementazione del REACH<br />

(Registration Evaluation Authorization of CHemicals)/<br />

CLP (Classification, Labelling and Packaging) come<br />

Frasi H (indicazione di pericolo): H350 (“Può provocare<br />

il cancro”); H340 (“Può provocare alterazioni<br />

genetiche”).<br />

54<br />

I lavoratori esposti a rischio devono<br />

essere iscritti in un apposito registro<br />

contente l’attività svolta, l’agente<br />

cancerogeno utilizzato e, se noto,<br />

il valore dell’esposizione<br />

a tale agente<br />

Anche nel caso del rischio cancerogeno e mutageno<br />

valore strategico per ogni obiettivo di prevenzione<br />

assume l’obbligo del datore di lavoro di fornire ai<br />

lavoratori una adeguata “informazione e formazione”<br />

sui rischi connessi all’utilizzo o alla presenza di sostanze<br />

chimiche all’interno dell’azienda, nonché sulle opportune<br />

misure igieniche da adottare (art. 239).<br />

Sarebbe un grave errore pensare che il rischio<br />

cancerogeno e mutageno appartiene ad industrie e<br />

laboratori sofisticati, infatti ad esempio esso interessa<br />

anche gli addetti alla erogazione di benzina ed i<br />

lavoratori del comparto legno che utilizzano legni duri.<br />

Inoltre i lavoratori esposti a rischio devono essere<br />

iscritti in un apposito registro nel quale, a cura del<br />

medico competente, per ciascuno di essi deve essere<br />

riportata l’attività svolta, l’agente cancerogeno o<br />

mutageno utilizzato e, ove noto, il valore<br />

dell’esposizione a tale agente.


Il datore di lavoro deve anche consegnare una<br />

copia del registro all’Inail ex Ispesl ed all’organo di<br />

vigilanza competente per territorio, ossia allo Spesal<br />

della Asl, comunicando loro ogni tre anni, e comunque<br />

ogni qualvolta i medesimi ne facciano richiesta, le<br />

variazioni intervenute.<br />

Si deve evidenziare la grande importanza di questo<br />

strumento di registrazione che si colloca alla fine di<br />

un processo di valutazione <strong>dei</strong> rischi e di attuazione<br />

di misure prevenzionali cui è chiamato l’imprenditore<br />

e non di un semplice adempimento burocratico.<br />

Inoltre i registri degli esposti consentono di costituire<br />

una banca dati utilizzabile a scopo epidemiologico ma<br />

anche assicurativo nel senso che facilita il riconoscimento<br />

del nesso causale in caso di denunce di neoplasie<br />

come malattie professionali.<br />

Si rammenta infine che il mancato invio allo Spesal<br />

della Asl della copia del registro comporta una sanzione<br />

amministrativa pecuniaria, prevista dall’art. 262 lettera<br />

d) del Decreto 81/08, che varia da 500 a 1.800 euro.<br />

Ecco i primi adempimenti che ogni datore di lavoro<br />

interessato deve attuare:<br />

55<br />

Il rischio cancerogeno e mutageno<br />

non appartiene solo ad industrie<br />

e laboratori sofisticati, ma interessa<br />

anche gli addetti alla erogazione<br />

di benzina ed i lavoratori<br />

del comparto legno che utilizzano<br />

legni duri<br />

– l’istituzione del registro. Andava effettuata entro<br />

il 3 aprile 2008. Nb: Non è obbligatorio acquistare<br />

necessariamente un modello commercializzato, in<br />

quanto il registro può essere creato direttamente in<br />

azienda utilizzando lo schema proposto nel D.M.<br />

12/07/2007 n. 155; non deve essere sottoposto ad<br />

alcuna vidimazione;<br />

– la compilazione dello stesso ed il suo aggiornamento,<br />

con l’inserimento di dati riguardanti l’azienda<br />

e i singoli lavoratori esposti. Vanno effettuati in collaborazione<br />

con il medico competente;<br />

– l’invio di copia del registro a Spesal e Ispesl. Il<br />

registro, siglato dal medico competente, (D.M.<br />

155/2007, art. 2, comma 3) deve essere inviato dal<br />

datore di lavoro in busta chiusa all’Istituto Superiore<br />

per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ex Ispesl)<br />

ed all’Organo di Vigilanza competente per territorio<br />

entro 30 giorni dalla sua istituzione. I modelli devono<br />

essere inviati in busta chiusa con dicitura “Registro<br />

Esposti Agenti Cancerogeni (D.Lgs 81/2008 - D.M.<br />

155/2007)”, ai seguenti indirizzi: Dipartimento di Prevenzione<br />

ASL <strong>Lecce</strong> - SPeSAL, v.le Don Minzoni, 8<br />

– 73100 <strong>Lecce</strong>: ISPESL - Dipartimento <strong>Medici</strong>na del<br />

Lavoro, Via Fontana Candida, 1 - 00040,Monte Porzio<br />

Catone (RM).<br />

I modelli di tenuta del registro sono stati definiti dal<br />

D.M. 12/07/2007 n. 155 e sono reperibili all’indirizzo<br />

web http://www.ispesl.it/dml/leo/cancerogeni.asp


la parola ai colleghi<br />

In basso, la tabella contenente l’elenco <strong>dei</strong> legni<br />

duri.<br />

GENERE E SPECIE NOME COMUNE INGLESE<br />

Hardwood<br />

*Servizio di Prevenzione e Sicurezza<br />

negli Ambienti di Lavoro – Area Nord<br />

NOME COMUNE ITALIANO<br />

Essenze legni duri<br />

Acer Maple Acero<br />

Alnus Alder Olmo<br />

Betula irch Betulla<br />

Carya Hickory<br />

Carpinus Hornbeam, white beech Carpino o Faggio bianco<br />

Castanea Chestnut Castagno<br />

Fagus Beech Faggio<br />

Fraxinus Ash Frassino<br />

Juglans Walnut Noce<br />

Platanus Sycamore Platano americano<br />

Populus Aspen, poplar Pioppo<br />

Prunus Cherry Ciliegio<br />

Salix Willow Salice<br />

Quercus Oak Quercia<br />

Tilia Lime, Basswood Tiglio<br />

Ulmus Elm Olmo<br />

Tropical Hardwood Essenze legni duri tropicali<br />

Agathis australis Kauri pine Pino kauri<br />

Chlorophora excelsa Iroko Iroko<br />

Dacrydium cupressinum Rimu, red pine Pino rosso<br />

Dalbergia Palisander Palissandro<br />

Dalbergia nigra Brazilian rosewood Palissandro brasiliano<br />

Diospyros Ebony Ebano<br />

Khaya African mahogany Mogano Africano<br />

Mansonia Mansonia, bete Mansonia<br />

Ochroma Balsa Balsa<br />

Palaquium hexandrum Nyatoh Nyatoh<br />

Pericopsis elata Afrormosia Afrormosia<br />

Shorea Meranti Meranti<br />

Tectona grandis Teak Teak<br />

Tratto da: LINEE GUIDA SULL’APPLICAZION DEL TITOLO VII D.LGS. 626/94 RELATIVE ALLE LAVORAZIONI CHE ESPONGONO<br />

A POLVERI DI LEGNO DURO<br />

56


Federspev.<br />

Anche Pepe tra i soci<br />

E’ stata una riunione un po’ speciale, quella che ha<br />

avuto luogo lo scorso 10 aprile presso l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />

medici. Oltre ai punti all’ordine del giorno (relazione<br />

del presidente; approvazione bilancio consuntivo 2010<br />

e preventivo <strong>2011</strong>; relazione del revisore <strong>dei</strong> conti e<br />

consegna della medaglia ricordo ai medici che nel corso<br />

dell’anno <strong>2011</strong> matureranno il diritto alla pensione<br />

Enpam), i presenti hanno dato il benvenuto, tra i nuovi<br />

soci, al festeggiatissimo presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> medici<br />

della Provincia Luigi Pepe, neopensionato. Pepe ha<br />

ringraziato ed ha promesso di attivarsi in ogni modo<br />

per incrementare le adesioni. Ha inoltre acconsentito<br />

volentieri ad apporre nella sede dell’<strong>Ordine</strong> una targa<br />

commemorativa <strong>dei</strong> 150 anni dell’Unità Nazionale,<br />

appositamente fatta confezionare a cura della sede<br />

provinciale Federspev, su suggerimento del Dott. Mario<br />

Aguglia, revisore <strong>dei</strong> conti, che ha poi relazionato sui<br />

bilanci presentati dal tesoriere ritenendoli approvabili.<br />

Non sono mancati da parte <strong>dei</strong> nuovi iscritti suggerimenti<br />

per incrementare la vita associativa della Federazione<br />

e, a conclusione, è stato servito un aperitivo di benvenuto<br />

con lo scambio di auguri per Pasqua.


SALENTO MEDICO SI RINNOVA<br />

Grazie alla collaborazione tra Carra Editrice e Dinamica Scarl, la rivista ufficiale dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Medici</strong> della provincia<br />

di <strong>Lecce</strong>, da quasi trent’anni un punto di riferimento per la categoria, propone ai suoi lettori alcune novità:<br />

- un maggior numero di pagine,<br />

- il miglioramento di veste grafica,<br />

- la periodicità bimestrale (il giorno 15, a mesi alterni),<br />

- l’aumento delle copie stampate,<br />

- una più capillare distribuzione,<br />

- l’introduzione di alcuni articoli di taglio divulgativo.<br />

A fronte di tante innovazioni, il tariffario per le inserzioni pubblicitarie subirà un lieve ritocco.<br />

Questi i costi per singola uscita:<br />

• mezza pagina: € 230 + Iva<br />

• pagina intera: € 400 + Iva<br />

• seconda/terza di copertina: € 550 + Iva<br />

• quarta di copertina: € 700 + Iva<br />

Sono previsti sconti significativi nel caso di contratti annuali. Dai prezzi sono esclusi: esecutivi bozzetti, fotolito,<br />

fotografie, che verranno forniti dal committente o fatturati a parte, al costo, se eseguiti a parte.<br />

Concessionaria di pubblicità: Dinamica Scarl – piazza Diaz 5 Casarano - tel/fax 0833 599238.<br />

Responsabile: dr. Mario Maffei (339 6562204)<br />

Liberatoria<br />

Copie<br />

Per motivi tecnici non possono essere<br />

forniti estratti <strong>dei</strong> lavori pubblicati.<br />

Saranno inviate copie del Bollettino,<br />

fino ad un massimo di 30,<br />

agli Autori che ne faranno espressa<br />

richiesta al momento dell’invio <strong>dei</strong><br />

lavori. Gli Autori dovranno far pervenire<br />

alla Direzione fotocopia della<br />

ricevuta del versamento su: Iban:<br />

IT22 A010 1004 1971 0000 0301<br />

010 presso Banco di Napoli Spa-<br />

<strong>Lecce</strong>, intestato a “<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Medici</strong><br />

della Provincia di <strong>Lecce</strong>” pari<br />

al numero delle copie richieste per<br />

l’importo dovuto, tenuto conto che<br />

il costo di una copia è di € 2,60.<br />

Foto e profilo<br />

Gli autori, a corredo dell’articolo, devono<br />

inviare anche una propria foto a colori<br />

insieme ad un breve profilo professionale.<br />

L’invio degli articoli vale come tacita liberatoria per eventuali tagli nel testo e/o modifiche nella titolazione proposta qualora il comitato di redazione e il<br />

direttore responsabile della rivista Salento Medico (ai sensi della legge 47/48 sulla stampa) lo ritenessero necessario a fini redazionali.<br />

Il termine di consegna degli articoli per il prossimo numero è il 15 maggio<br />

Gli articoli vanno firmati con nome e cognome per esteso


L’ESAME DEL PASSO COMPUTERIZZATO<br />

CON IL SISTEMA INNOVATIVO<br />

TREADMILL

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