Anno XXXIV n. 2 Marzo-Aprile 2011 - Ordine dei Medici Lecce
Anno XXXIV n. 2 Marzo-Aprile 2011 - Ordine dei Medici Lecce
Anno XXXIV n. 2 Marzo-Aprile 2011 - Ordine dei Medici Lecce
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<strong>Anno</strong> <strong>XXXIV</strong> n. 2<br />
<strong>Marzo</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2011</strong><br />
Sped. abb. post. 70% Filiale di <strong>Lecce</strong><br />
Contiene I.P.
Fiat lux<br />
E<br />
di Maurizio Muratore<br />
cco la lista delle cose che brillano (nel bene e<br />
nel male) nella sanità:<br />
• Politica sanitaria o sanità politica<br />
• curare: atto clinico o politico<br />
• lista d’attesa<br />
• l’equivoco delle lista d’attesa: arma di demagogia<br />
politica!<br />
• lista d’attesa: aumentare il lavoro e non il personale<br />
• le indagini richieste dal paziente e non dal medico<br />
• la criticità fra paziente richiedente e medico resistente<br />
• accanimento terapeutico: fra eticità laica e condizionamento<br />
ideologico-religioso<br />
• testamento biologico: libera autodeterminazione<br />
o legalitarismo statalista<br />
• medicina difensiva<br />
• avvocati incalzanti<br />
• vietato morire<br />
• il ticket<br />
• gli esenti ticket<br />
• visitare prima di prescrivere<br />
• i certificati medici<br />
• i falsi invalidi<br />
• lavorare sempre in emergenza<br />
• i centri di riabilitazione<br />
• diventare vecchi: una forma di classismo strisciante<br />
• per ogni cinque pensionati solo una sostituzione<br />
• il furto del tempo all’atto medico da parte della<br />
burocrazia<br />
• burocrazie: carte, firme, firme, carte; visitare…<br />
dopo se rimane tempo<br />
3<br />
• burocrazia: qualità formale o qualità sostanziale<br />
• curare è meglio che prevenire<br />
• medicina territoriale<br />
• medicina dispersiva versus medicina intensiva<br />
• un ospedale per ogni campanile o un ospedale<br />
campanile: qualità o quantità<br />
• un malato non è un posto letto<br />
• sanità privata… convenzionata<br />
• tetti di spesa<br />
• viaggi della speranza: responsabilità politica,<br />
mancanza di informazione o atavica sfiducia<br />
• viaggi della speranza: luogo comune malgrado<br />
le grandi professionalità locali<br />
• la qualità dell’accoglienza in ospedale: un valore<br />
aggiunto sempre trascurato<br />
• l’umiltà di riconoscere i propri limiti e demandare<br />
• la qualità dell’accoglienza: un valore aggiunto<br />
• diritto alla salute o diritto alle cure?<br />
• non importa il costo del farmaco se questo riesce<br />
a modificare la malattia<br />
• maggiori costi farmaceutici o risparmio in disabilità<br />
• malasanità riconosciuta<br />
• buona sanità misconosciuta<br />
• malasanità: è solo e sempre comportamento<br />
colposo del medico oppure carenze organizzative,<br />
strutturali e pressione lavorativa<br />
• promesse mai mantenute<br />
• speranza e fiducia mai perse<br />
• diritto alla salute: se ti ammali è colpa di qualcuno<br />
• che il signore non ci faccia mai ammalare<br />
…..
editoriale<br />
Fiat lux 3<br />
di Maurizio Muratore<br />
focus<br />
Scaldare il sangue<br />
per raggiungere il benessere<br />
di Maria Luisa Mastrogiovanni<br />
la parola ai colleghi<br />
L’emozione di fare “tecchiù” 12<br />
di Gino Peccarisi<br />
Le infezioni correlate ai cateteri venosi 16<br />
di Mario Vigneri<br />
RIVISTA UFFICIALE DELL’ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI ED ODONTOIATRI DELLA PROVINCIA DI LECCE<br />
Direzione e Redazione c/o <strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Medici</strong> - via Nazario Sauro, 31 <strong>Lecce</strong> - www.ordinemedicilecce.it - info@ordinemedicilecce.it<br />
<strong>Marzo</strong>-<strong>Aprile</strong> <strong>2011</strong><br />
anno <strong>XXXIV</strong><br />
Direttore Responsabile<br />
Maurizio Muratore<br />
Direttore Editoriale<br />
Luigi Peccarisi<br />
Editing e coordinamento redazionale<br />
Maria Luisa Mastrogiovanni<br />
Comitato di Redazione e Comitato Scientifico<br />
Tutti i componenti il Consiglio Direttivo,<br />
la Commissione per gli iscritti all’albo degli Odontoiatri e il Collegio <strong>dei</strong> Revisori <strong>dei</strong> Conti<br />
Concessionaria di pubblicità<br />
Nerò comunicazione - Casarano<br />
Per informazioni Dr. Mario Maffei - 393 9801141<br />
L’immagine di copertina è di Mel Ramos<br />
la parola ai colleghi<br />
33 Qui Cina<br />
di Antonio Antonaci<br />
40 Riflessioni sulla valutazione medico-legale<br />
nel settore dell’invalidità civile<br />
di Beniamino De Giorgi<br />
9 51 Imponderabili certezze degli ordini<br />
comunichiamo che<br />
Stampa:<br />
Stab. grafico della CARRA EDITRICE - Casarano (Le) - Aut. Trib. <strong>Lecce</strong> N. 3262<br />
Il termine di consegna degli articoli per il prossimo numero è il 15 maggio<br />
57<br />
di servizio<br />
di Luigi Cosentino<br />
54 Rischio cancerogeno.<br />
Gli obblighi <strong>dei</strong> datori di lavoro<br />
a cura di G. De Filippis, A. De Giorgi
Scaldare il sangue<br />
per raggiungere il benessere<br />
LA RESPIRAZIONE, IL MOVIMENTO, L’OSSERVAZIONE. LO YOGA AIUTA A DISTENDERE<br />
I MUSCOLI PER RITROVARE L’ARMONIA CON SE STESSI<br />
di Maria Luisa Mastrogiovanni<br />
115 iscritti, di cui solo il 10% del territorio. Il resto proviene da altre città italiane, europee<br />
ma anche da oltre oceano (Usa, Canada, Giappone, Brasile, Russia...). Sono i numeri<br />
dell’associazione di yoga YIS (Yoga In Salento), nata a Zollino nel 2007, presso il centro<br />
Samadhi (termine che significa “benessere”). L’unica accreditata nel Salento per l’insegnamento<br />
dell’Ashtanga Vinyasa yoga. Il centro è gestito da Francesca Maniglio, 40 anni, laureata in<br />
Filosofia all’Università Cattolica di Milano. Che pratica yoga dal 1998, ovvero da quando si<br />
è avvicinata alla disciplina, negli anni in cui si trovava a New York. Nel 2006, è stata in India<br />
a Mysore a studiarla alla fonte. Così, nel corso degli anni ha perfezionato la sua pratica e il<br />
suo insegnamento attraverso la frequenza di workshop intensivi sotto la guida <strong>dei</strong> più<br />
importanti maestri, completando nel 2010 il corso triennale di insegnante di yoga presso la<br />
scuola Aybo di Bologna riconosciuta da Uisp Coni.<br />
L’associazione di yoga YIS è nata a Zollino<br />
nel 2007 e conta 115 iscritti, di cui solo il 10%<br />
del territorio. E’ l’unica nel Salento ad essere<br />
accreditata all’insegnamento dell’Ashtanga<br />
Vinyasa yoga<br />
C<br />
ome si spiega un centro del<br />
genere nel territorio leccese?<br />
Dice una citazione sul sito<br />
dell’associazione: “Non chiedere ciò<br />
di cui il mondo ha bisogno, chiediti<br />
piuttosto che cosa fa cantare il tuo<br />
cuore e fallo, perchè ciò di cui il mondo<br />
ha bisogno sono persone il cui cuore<br />
canti”. La dott.ssa Maniglio, spiega<br />
che la motivazione su cui si fonda<br />
l’intera attività dell’associazione è il<br />
9<br />
piacere che si prova nell’“essere circondati<br />
da persone vibranti che cercano<br />
le stesse cose che cerchiamo noi”.<br />
“Nel nostro centro – aggiunge - condividiamo<br />
con gli altri ciò che fa cantare<br />
il nostro cuore e mettiamo a disposizione<br />
molti strumenti per star bene e<br />
per riconnettersi con se stessi, con la<br />
natura e con gli altri. Nessuno libera<br />
nessuno, nessuno libera l’altro, ci si<br />
libera insieme.
focus<br />
Nutriamo, pratichiamo e promuoviamo<br />
il vivere consapevole, la cura, il<br />
benessere del corpo e la crescita spirituale.<br />
Attraverso la pratica dello yoga<br />
purifichiamo, rafforziamo, perfezioniamo<br />
e celebriamo il nostro corpo, il tempio<br />
che ci ospita”.<br />
Ed ecco a che cosa serve la struttura:<br />
a purificare, a rafforzare ed a<br />
celebrare il corpo.<br />
Dott.ssa Maniglio, quali servizi<br />
offre il suo centro?<br />
“Offre corsi giornalieri di Ashtanga<br />
Vinyasa Yoga, una forma di yoga dinamico<br />
antichissima praticata in tutte le<br />
grandi città del mondo il cui maestro<br />
di riferimento è Sri Pattabhi Jois. Ma<br />
anche tante altre discipline come lo yin<br />
yoga, una forma di ginnastica dolce<br />
che lavora sui legamenti, lo yoga nidra,<br />
una forma di rilassamento profondo,<br />
varie forme di yoga per bambini e per<br />
la terza età; Kung-Fu e Tai Chi Chuan<br />
e molte altre prestazioni come massaggi<br />
shiatzu, e thailandese, trattamenti e<br />
massaggi ayurvedici, osteopatici, di<br />
riflessologia plantare e consulenze nutrizionali.<br />
Dal prossimo luglio il centro<br />
Samadhi che ospita l’associazione YIS<br />
si trasformerà in agriturismo biologico<br />
dotato di un ristorante di cucina naturale,<br />
con specialità vegetariane, vegane<br />
e crudiste.<br />
Inoltre stiamo ottimizzando i servizi<br />
Nell’ashtanga vinyasa yoga con una pratica<br />
di un’ora e mezza si usano tutti i muscoli<br />
del corpo, si respira a pieni polmoni.<br />
È una meditazione in movimento<br />
per i periodi non estivi, incrementando<br />
gli spazi wellness e rendendo le sale<br />
yoga particolarmente confortevoli attraverso<br />
la realizzazione di pannelli<br />
radianti a pavimento, rigorosamente in<br />
parquet. Stiamo realizzando una ludoteca<br />
per chi desidera usufruire delle<br />
attività del centro senza dover lasciare<br />
i bambini a casa, ma portandoli in<br />
un’oasi di verde, con personale qualificato,<br />
stanze e giochi all’aperto dedicati<br />
all’infanzia”.<br />
Come risponde il territorio?<br />
“Fino ad oggi non abbiamo fatto<br />
molta pubblicità sul territorio, anche<br />
perché il nostro centro ha iniziato le<br />
sue attività con un’organizzazione prevalentemente<br />
estiva; ma alla luce della<br />
trasformazione che ho anticipato e con<br />
due insegnanti certificati che lavorano<br />
tutto l’anno nel centro, abbiamo intenzione<br />
di potenziare il nostro lavoro sul<br />
territorio.<br />
Alcuni leccesi lamentano la distanza,<br />
ma Zollino é raggiungibile in appena<br />
10 minuti d’auto da <strong>Lecce</strong>. In generale<br />
lo yoga ed in particolare l’ashtanga<br />
10<br />
non é ancora conosciuto nel territorio<br />
salentino, che dimostra curiosità ma<br />
poca conoscenza (e molta improvvisazione)<br />
di questa disciplina. Siamo<br />
l’unico centro in Salento accreditato<br />
all’insegnamento dell’Ashtanga Vinyasa<br />
yoga. Gli insegnanti che ospitiamo<br />
d’estate sono tutti top teachers, famosi<br />
a livello internazionale”.<br />
Come è arrivata ad aprire un centro<br />
yoga?<br />
“Desideriamo un mondo migliore.<br />
La vera trasformazione incomincia da<br />
dentro. Per perfezionarci occorre conoscerci.<br />
La presenza internazionale<br />
di yogi (praticanti yoga di sesso maschile)<br />
e yogini (praticanti yoga di sesso<br />
femminile), contribuisce a rendere ancora<br />
più speciale Samadhi”.<br />
In una società che va veloce,<br />
come quella in cui viviamo, lo yoga<br />
sembra la disciplina da praticare ad<br />
ogni costo. Quali sono gli effettivi<br />
benefici sulla salute fisica? E su<br />
quella psichica?<br />
“Lo yoga è una disciplina antichissima<br />
che in questo momento sta ri-
scuotendo particolare successo nelle<br />
grandi città perché i benefici della pratica<br />
rispondono a quelle che sono le<br />
carenze della nostra quotidianità.<br />
Nell’ashtanga vinyasa yoga con una<br />
pratica di un’ora e mezza si usano tutti<br />
i muscoli del corpo, si respira a pieni<br />
polmoni. È una meditazione in movimento,<br />
muoviamo il corpo e mettiamo<br />
a riposo la mente attraverso la cessazione<br />
<strong>dei</strong> pensieri che ci ossessionano<br />
durante il giorno. Si ottiene un benessere<br />
psicofisico unico, é una pratica<br />
potentissima, con solo un’ora e mezza<br />
di pratica quotidiana. ‘Vinyasa’ significa<br />
respirare e sistema di movimento. Lo<br />
scopo del vinyasa è la pulizia interna.<br />
Respirando pienamente (cosa che non<br />
facciamo quasi mai nella vita normale)<br />
e muovendoci congiuntamente mentre<br />
svolgiamo un’asana (una postura) rendiamo<br />
il sangue caldo. Il calore sviluppato<br />
con l’ashtanga yoga pulisce il<br />
sangue e lo rende sottile, così da poter<br />
circolare liberamente. La combinazione<br />
delle asana con movimento e respiro<br />
fa circolare liberamente il sangue intorno<br />
alle articolazioni, portando via i dolori<br />
dal corpo.<br />
Il sudore è un importante prodotto<br />
del vinyasa, perché è solamente attraverso<br />
il sudore che la malattia lascia il<br />
corpo e avviene la purificazione”.<br />
Si sono riscontrati effetti<br />
“concreti” dal punto di vista medico?<br />
Quali?<br />
“Tristhana é la base dell’ashtanga<br />
yoga. In sanscrito significa ‘i tre posti<br />
di attenzione o azione’, ovvero postura,<br />
sistema di respiro, posto dove guardare.<br />
Sono elementi molto importanti nella<br />
pratica dello yoga e coprono tre livelli<br />
di purificazione: il corpo, il sistema<br />
nervoso e la mente. ‘Asana’, le posture,<br />
rafforzano e donando flessibilità e tonicità<br />
al corpo. ‘Eechaka e puraka’ (letteralmente<br />
‘inspiro ed espiro’) significa<br />
inspirare ed espirare in maniera continua,<br />
della stessa durata e della stessa<br />
intensità; ciò permette una purificazione<br />
del sistema nervoso. ‘Drishti’ è il posto<br />
dove guardi durante l’asana. I drishti<br />
sono nove: il naso, la zona tra le sopracciglia,<br />
l’ombelico, il pollice, le mani,<br />
i piedi, su, verso il lato destro e verso<br />
il lato sinistro. E’ una sorta di ginnastica<br />
per gli occhi, che purifica e stabilizza<br />
il funzionamento della mente”.<br />
Quali sono le patologie curabili<br />
con lo yoga?<br />
“I sei veleni: kama, krodha, moha,<br />
lobha, matsarya, and mada. Ovvero:<br />
desiderio, rabbia, illusione, avidità,<br />
ingordigia, invidia e accidia. Quando<br />
la pratica dello yoga è sostenuta e<br />
ininterrotta con grande diligenza e dedizione<br />
per un lungo periodo di tempo,<br />
il Gaetano calore da Castrignanò esso generato brucia via<br />
questi veleni, e la luce della nostra<br />
natura interiore brilla dinanzi a noi”.<br />
A quali persone consiglierebbe<br />
maggiormente di praticare yoga?<br />
“Dal punto di vista fisico e mentale<br />
i benefici sono tantissimi e per tutte le<br />
età, per cui lo consiglierei a tutti coloro<br />
che vogliono farsi del bene”.<br />
Come si differenziano, a seconda<br />
dell’età, dello stile di vita, delle patologie,<br />
<strong>dei</strong> bisogni, le attività da<br />
svolgere?<br />
“Le patologie vanno trattate in lezioni<br />
individuali; nelle nostre classi abbiamo<br />
praticanti dai nove ai 70 anni”.<br />
La pratica “sportiva-medica” è<br />
associata ad una particolare alimentazione?<br />
11<br />
“Praticando lo yoga in maniera costante<br />
e regolare si impara a conoscere<br />
in primis il proprio corpo e, a seconda<br />
di quello che si mangia, si sperimenta<br />
quali sono gli alimenti che ci danno<br />
energia, leggerezza e flessibilità e quali<br />
ci appesantiscono e ci rendono rigidi<br />
e pigri”.<br />
Quali sono i principi cardine di<br />
questa disciplina?<br />
“Il saggio Patanjali, identificò otto<br />
(ashto) stadi (anga) attraverso cui lo<br />
yogi può gradualmente raggiungere il<br />
Samadhi, ovvero il benesere: yama,<br />
astinenze; niyama, osservanze verso<br />
se stessi; asana, posizioni fisiche; pranayama,<br />
controllo del Prana, del soffio<br />
vitale, respirazione; pratyahara, ritrazione<br />
dai sensi, dai loro oggetti; dharana:<br />
concentrazione; dhyana, meditazione;<br />
samadhi: stato di beatitudine, unione<br />
del meditante con l’oggetto della<br />
meditazione”.<br />
Che cosa ha insegnato a lei?<br />
“Don’t think, just practice: non pensare,<br />
semplicemente fa’ la tua pratica.<br />
Stare nel qui e ora, al meglio che posso,<br />
con tutto il mio essere”.<br />
Quale insegnamento/consiglio<br />
lei sente di dare agli altri?<br />
“Do your practice and all is coming:<br />
fa’ la tua pratica e tutto arriva”.
la parola ai colleghi<br />
L’emozione di fare “tecchiù”<br />
MEDICI PROTAGONISTI AL POLITEAMA GRECO DI LECCE<br />
N<br />
on sembrava possibile riuscire a emozionarsi,<br />
rimanere in balia di quelle sensazioni che per<br />
tutta la serata hanno rappresentato il collante che ha<br />
tenuto unita l’intera platea del Politeama Greco di<br />
<strong>Lecce</strong>, stracolmo in ogni ordine di posti.<br />
Viviamo un momento storico in cui sono soffocate<br />
nel sangue le ribellioni <strong>dei</strong> popoli in lotta per la democrazia<br />
e la libertà. Il genocidio in atto fa ritornare alla<br />
mente l’orrore vissuto nei primi anni del Novecento.<br />
Si pensava che nulla di simile sarebbe mai potuto<br />
accadere eppure nell’Africa settentrionale le ribellioni<br />
contro le dittature sono stroncate sul nascere. La vita<br />
umana sembra perdere la propria dignità.<br />
12<br />
di Gino Peccarisi<br />
La serata del 26 febbraio<br />
ha contribuito alle spese sostenute<br />
per l’assistenza ai malati oncologici<br />
testimoniando come solidarietà,<br />
umanità, impegno civile, tutela<br />
della vita e della salute siano<br />
capisaldi nell’attività <strong>dei</strong> medici<br />
I medici per scelta di vita si ergono da sempre a<br />
baluardo della sofferenza. Contro il male, il dolore e<br />
le malattie, che si abbattono senza producibilità e che<br />
Qui e nelle foto successive, alcuni momenti della serata di beneficienza “tecchiù”
non scelgono gli obiettivi da colpire, si sviluppa quella<br />
solidarietà tesa all’organizzazione di ampie frange di<br />
volontariato in camice bianco. Tutti insieme a rappresentare<br />
una fratellanza che possa alleviare gli strazi,<br />
sconfiggere la malattia, o, in molti casi, lenire i danni<br />
che da questa derivano in modo dirompente.<br />
La serata del 26 febbraio ha voluto ricalcare sulle<br />
scene del Politeama di <strong>Lecce</strong> la solidarietà che giornalmente<br />
va in onda sul palcoscenico della vita. <strong>Medici</strong><br />
che nella quotidianità svolgono il loro lavoro con<br />
irreprensibile impegno per la tutela <strong>dei</strong> loro pazienti,<br />
cimentandosi in vesti meno convenzionali, hanno<br />
cantato, recitato, interpretato ruoli artistici per contribuire,<br />
con uno spettacolo a pagamento, alla raccolta<br />
di fondi a favore di un’associazione che sul territorio<br />
provvede alla cura <strong>dei</strong> malati oncologici.<br />
Un impegno non primo né ultimo in ordine di<br />
tempo perché altre iniziative lo avevano preceduto<br />
e molte altre ne seguiranno per il nobile fine della<br />
beneficienza. La sorpresa non poteva sicuramente<br />
essere rappresentata dall’impegno profuso nello<br />
svolgere la nostra nobile arte, quanto dalla profes-<br />
13<br />
L’impegno profuso dai colleghi<br />
che si sono esibiti non era cosa<br />
dubbia. Ma la vera sorpresa è stata<br />
constatare come tra medici-artisti<br />
ed artisti di professione<br />
non si notasse quasi la differenza<br />
sionalità dimostrata cimentandosi in ruoli non abituali.<br />
Giovanna nei panni d’irreprensibile cantante, Ennio<br />
impeccabile sassofonista, Serena ed Elio abili presentatori,<br />
Tanja famosa cantante gospel, Damiano e Fulvio<br />
cabarettisti, rodati gruppi musicali, virtuosismi svelati<br />
con la semplicità di chi è un genio per grazia ricevuta.<br />
Tutti a garantire uno spettacolo che ha tenuto incollati<br />
alle poltrone di un teatro che raramente, a tarda sera<br />
si svuota dell’intera folla che ne ha caratterizzato l’inizio.<br />
Artisti veri come Ioselito e altri improvvisati non hanno<br />
fatto notare la differenza perché il denominatore comune<br />
della solidarietà è stato il protagonista assoluto<br />
della serata.
la parola ai colleghi<br />
Quando una canzone, scritta e ideata per partecipare<br />
la presenza di una popolazione, in stato vegetativo,<br />
legata alle macchine per essere tenuta in vita, è stata<br />
interpretata accompagnandosi con una chitarra scordata,<br />
nessuno ci ha fatto caso. Dominante era l’essenza<br />
che teneva legate fra loro persone equiparate alle<br />
piante ma che, diversamente da queste, devono<br />
essere aiutate a mantenere la propria dignità fino al<br />
trapasso definitivo verso l’ignoto. Tutti ci siamo sentiti<br />
trasportati nel mondo dell’incoscienza per incontrare<br />
i “comanauti”, quei pazienti in coma, nel loro viaggio<br />
tortuoso e incerto per una via difficilmente modificabile<br />
dalle manovre mediche messe in atto per condizionarne<br />
un destino. Il risveglio o il sonno definitivo di una vita<br />
che si perde rappresenta una nostra nuova sconfitta.<br />
La serata dal titolo “Tecchiù”, a significare un grazie<br />
preventivo a tutti quelli che, con la loro partecipazione,<br />
erano consapevoli di collaborare a una giusta causa,<br />
ha contribuito alle spese sostenute per l’assistenza ai<br />
malati oncologici, ma, soprattutto ha testimoniato<br />
come solidarietà, umanità, impegno civile, tutela della<br />
vita e della salute siano capisaldi nell’attività <strong>dei</strong> medici.<br />
Nel rispetto della libertà e dignità della persona umana<br />
con spirito di abnegazione e sacrificio siamo da sempre<br />
in trincea nella lotta contro quel nemico che fino a<br />
poco tempo fa era ritenuto invincibile. Il rapporto<br />
medico-paziente è stato il protagonista sul palcoscenico<br />
per esaltare quella comunione che giornalmente dà<br />
valore al vivere in camice bianco.<br />
Al calare del sipario è prevalsa la soddisfazione per<br />
aver trascorso una serata diversa, all’insegna del<br />
divertimento finalizzato alla solidarietà. Dal mattino<br />
successivo nuovamente nei nostri ambulatori o in<br />
corsia pronti ad affrontare le sfide quotidiane su diversi<br />
fronti. Ora impegnati a formulare diagnosi, ora a<br />
prescrivere terapie che riportano allo status quo, altre<br />
volte, in caso di malattie a prognosi infausta, pervenute<br />
alla fase terminale, pronti a mettere in atto comportamenti<br />
che servano a risparmiare inutili sofferenze. Noi<br />
medici, protesi alla ricerca di trattamenti appropriati<br />
per tutelare la qualità della vita e la dignità della persona.<br />
Costantemente al lavoro, senza soste, se non per<br />
ripensare un altro spettacolo per rappresentare il frivolo,<br />
alienandosi dal vissuto in cui gioie e pene caratterizzano<br />
il nostro essere uomini.
la parola ai colleghi<br />
Introduzione<br />
di Mario Vigneri*<br />
Le infezioni correlate ai cateteri venosi<br />
(CRBSI)<br />
UN ARGOMENTO SPESSO SOTTOVALUTATO: LA PROBLEMATICA DELLE INFEZIONI<br />
CATETERE CORRELATE NELLA PRATICA CLINICA QUOTIDIANA<br />
Le infezioni correlate all’utilizzo <strong>dei</strong> cateteri venosi<br />
(CRBSI) rappresentano ancora oggi una delle complicanze<br />
più frequenti che riguardano il paziente ospedaliero.<br />
Attenersi ai suggerimenti delle più importanti linee<br />
guida (L.G.) internazionali non vuol dire accettare<br />
passivamente ciò che viene suggerito da altri, tralasciando<br />
quella che è l’esperienza personale o del<br />
reparto di appartenenza, ma integrare quest’ultima<br />
con quella che è l’esperienza derivante dagli studi e<br />
dall’ esperienza delle varie società internazionali.<br />
Le linee guida contengono suggerimenti che riguardano<br />
sia la fase dell’impianto <strong>dei</strong> cateteri, e quindi il<br />
medico impiantatore, ma anche la gestione degli stessi,<br />
e quindi tutto il personale infermieristico.<br />
Quanto di seguito verrà esposto non vuole essere<br />
un’esposizione dettagliata delle infezioni correlate<br />
all’utilizzo <strong>dei</strong> cateteri venosi. Lasciamo ai microbiologi<br />
ed agli infettivologi il compito di occuparsi delle infezioni<br />
<strong>dei</strong> cateteri, nell’ambito più vasto delle infezioni nosocomiali<br />
e del loro trattamento.<br />
Qui si vuole soltanto mettere a punto e chiarire<br />
quella che è la problematica delle infezioni catetere<br />
correlate nella pratica clinica quotidiana. Si vuole<br />
soltanto rivisitare un argomento che viene spesso<br />
16<br />
Sackett D.L. : La medicina basata<br />
sulle evidenze “è il processo<br />
della ricerca, della valutazione<br />
e dell’uso sistematici <strong>dei</strong> risultati<br />
della ricerca contemporanea<br />
come base per le decisioni cliniche”<br />
sottovalutato. “Prendere la vena” ad un paziente è la<br />
prima cosa che si fa all’atto del ricovero, perché<br />
altrimenti la terapia infusionale è praticamente impossibile,<br />
ma poi l’accesso venoso viene dimenticato e<br />
spesso addirittura non più gestito, sino alla sua perdita<br />
per sopravvenute complicanze (tromboflebitiche,<br />
infettive, ecc.). Si vuole in pratica risvegliare l’attenzione<br />
ed il riguardo per questo presidio, sia esso a breve o<br />
lungo termine, rivedendo quelle norme di comportamento<br />
che devono accompagnare l’accesso venoso,<br />
dalla fase dell’impianto sino alla dimissione ed, a volte,<br />
anche dopo la dimissione, in casa di cura, o al domicilio<br />
del paziente.<br />
Le infezioni catetere correlate<br />
Tra i dispositivi ad impianto temporaneo i cateteri
venosi rappresentano sicuramente quelli più comunemente<br />
impiegati in ambito clinico dal momento che è<br />
stato calcolato che si ricorre al loro impianto nel 30<br />
– 50% <strong>dei</strong> pazienti ospedalizzati.<br />
Si stima che ogni anno, in Italia (dati riferiti al 2001),<br />
circa il 5-8% <strong>dei</strong> pazienti ricoverati, per un totale di<br />
450.000-700.000,contrae un’infezione ospedaliera.<br />
Se si ritiene, come sostiene il Center for Disease<br />
Control and Prevention (CDC) di Atlanta che il 30%<br />
delle infezioni nosocomiali è evitabile, ogni anno<br />
sarebbe possibile prevenire circa 135.000- 210.000<br />
infezioni ospedaliere.<br />
L’impiego <strong>dei</strong> cateteri venosi centrali (CVC) a breve<br />
termine e di cateteri per emodialisi è divenuto di routine<br />
in ogni Terapia Intensiva moderna.<br />
Negli ultimi decenni poi è cresciuto l’impiego <strong>dei</strong><br />
CVC a lungo termine, tunnellizabili con cuffia di ancoraggio<br />
o collegati a un port e <strong>dei</strong> PICC (Peripherally<br />
Inserted Central Catheter) per infusione di chemioterapici,<br />
nutrizione parenterale, plasmaferesi e per il<br />
trattamento dialitico a breve o lungo termine. E’ in<br />
notevole incremento l’utilizzo per la normale terapia<br />
infusionale, in pazienti in cui si prevede che questa<br />
debba durare per più di 7-10 giorni, di cateteri centrali<br />
tipo picc o periferici tipo “Midline”a seconda del tipo<br />
di terapia infusionale.<br />
Tuttavia, nonostante gli enormi progressi sia<br />
nell’utilizzo di nuovi materiali che nelle procedure<br />
operative per l’impianto di tali dispositivi, la maggiore<br />
complicanza clinica è ancora oggi rappresentata dalla<br />
comparsa di processi infettivi. Infatti, la presenza stessa<br />
di un corpo estraneo nell’organismo di per sé, riducendo<br />
le difese naturali dell’ospite, rappresenta un<br />
substrato ideale per la colonizzazione e proliferazione<br />
microbica (infezione da corpo estraneo). Contaminazioni<br />
anche minime di specie microbiche opportuniste<br />
possono avviare il processo infettivo, passando attraverso<br />
le fasi dell’adesione, prima reversibile e poi<br />
irreversibile, alla superficie del dispositivo, per poi<br />
colonizzarlo con produzione di esopolisaccaridi, dando<br />
luogo alla formazione di un biofilm microbico.<br />
17<br />
Le linee guida CDC di Atlanta 2002<br />
per la prevenzione delle infezioni<br />
elaborate da un gruppo di lavoro<br />
multidisciplinare. Lo scopo: fornire<br />
raccomandazioni basate<br />
su evidenze scientifiche<br />
Negli USA ogni anno vengono inseriti circa 5 milioni<br />
di CVC short-term e 500.000 CVC long-term, che<br />
oggi costituiscono la causa più frequente di batteriemie<br />
nosocomiali. Il rischio di batteriemia CVC-correlata,<br />
CRBSI (“catheter related blood stream infection”),<br />
può variare con l’esperienza dell’impiantatore, il grado<br />
di osservanza delle misure di asepsi, il sito e la durata<br />
del cateterismo, il rapporto n. infermieri/n. pazienti (in<br />
particolare nelle terapie intensive), ma anche con il<br />
tipo di UTI, essendo il rischio più elevato in quelle<br />
pediatriche (neonati sottopeso) e per ustionati, e con<br />
il tipo di presidio impiegato ed il materiale con cui<br />
questo è costruito. In una recente revisione di 200<br />
studi prospettici, l’incidenza di CRBSI per 1000 giorni<br />
catetere è risultata più elevata per i CVC a breve
classificata sulla base<br />
delle evidenze scientifiche disponibili,<br />
del razionale teorico,<br />
dell’applicabilità e dell’impatto<br />
economico<br />
termine (dialisi, terapie intensive) rispetto ai CVC a<br />
medio e lungo termine (Hickman-Groshong , PICC,<br />
Port). Queste infezioni comportano un prolungamento<br />
<strong>dei</strong> tempi medi di degenza, un elevato incremento del<br />
costi assistenziali ed una mortalità variabile dallo 0 al<br />
30% in rapporto alla severità della patologia di base<br />
e soprattutto al patogeno o ai patogeni coinvolti (gram<br />
positivi, gram negativi, funghi). I quattro gruppi di<br />
microorganismi maggiormente in causa, sono più<br />
spesso: con i CVC short-term, stafilococchi coagulasinegativi<br />
(S. Epidermidis), S. Aureus, Candida e bacilli<br />
gram- intestinali; con i long-term, i port ed i PICC,<br />
stafilococchi coagulasi-negativi, enterococchi, S.<br />
la parola ai colleghi Ogni raccomandazione è stata<br />
18<br />
Aureus e Pseudomonas aeruginosa , klebsiella pneumoniae,<br />
candida.<br />
Linee guida per la prevenzione<br />
della infezioni associate a dispositivi<br />
vascolari<br />
Le linee guida CDC di Atlanta 2002 (Center for<br />
Disease Control and prevention) per la prevenzione<br />
delle infezioni associate a presidi intravascolari, che<br />
sostituiscono le precedenti pubblicate nel 1996, sono<br />
state elaborate da un gruppo di lavoro multidisciplinare<br />
e derivano da una grandissima quantità di esperienze<br />
plurispecialistiche e multidisciplinari. Esse sono state<br />
preparate da società scientifiche internazionali ed<br />
associazioni professionali.<br />
Hanno lo scopo di fornire raccomandazioni basate<br />
sulle evidenze scientifiche nel campo della prevenzione<br />
delle infezioni associate a cateteri intravascolari.<br />
Ciascuna raccomandazione è stata classificata<br />
sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, del<br />
razionale teorico, dell’applicabilità e dell’impatto economico.<br />
In queste L.G. le raccomandazioni sono raggruppate<br />
in categorie:<br />
Categoria I A: Misure fortemente raccomandate<br />
per l’ implementazione (utilizzo) e fortemente supportate<br />
da studi sperimentali, studi clinici o studi epidemiologici<br />
ben disegnati;<br />
Categoria I B: Misure fortemente raccomandate<br />
per l’ implementazione e supportate da alcuni studi<br />
sperimentali, clinici o epidemiologici e da un forte<br />
razionale teorico;<br />
Categoria I C: Misure richieste da regolamenti,<br />
leggi o standard statali o federali;<br />
Categorie II: Misure suggerite per l’ implementazione<br />
e supportate da studi clinici o epidemiologici<br />
suggestivi o da un razionale teorico;<br />
Tema irrisolto: Tema per il quale le evidenze sono<br />
insufficienti o non esiste alcun consenso riguardo l’<br />
efficacia.
Esempi di raccomandazioni e relative categorie:<br />
Catetere intravascolare periferico.<br />
Modalità di medicazione del sito<br />
di inserzione<br />
1) Cambiare la medicazione se staccata, bagnata<br />
o sporca (IB)<br />
2) Cambiare le medicazioni almeno una volta alla<br />
settimana (II)<br />
3) Non applicare di routine antimicrobici o antisettici<br />
sottoforma di creme o pomate sul sito di inserimento<br />
<strong>dei</strong> cateteri (IA)<br />
4) In caso di contatto con l’acqua (es. doccia)<br />
proteggere il sito di inserzione del catetere con una<br />
protezione impermeabile (II).<br />
Porre attenzione al punto 1: “cambiare” la medicazione<br />
e non “aggiungere” cerotto su cerotto,<br />
come in figura 2!<br />
Le linee guida, tuttavia, dovrebbero migliorare il<br />
giudizio clinico e non certo sostituirlo. Esse non sono<br />
una legge a cui attenersi ciecamente, ma, in parole<br />
povere, suggeriscono come si comporterebbe la<br />
maggior parte degli studiosi in quel particolare caso<br />
clinico o circostanza. Senza l’abilità clinica di ognuno<br />
di noi la pratica rischia di essere soggiogata e dominata<br />
dall’evidenza esterna; senza le migliori evidenze cliniche<br />
disponibili la pratica rischia di essere superficiale e<br />
rapidamente superata. Ne deriva che la conoscenza<br />
delle linee guida è senz’altro un aiuto a comportarsi<br />
correttamente. Non è invece corretto il comportamento<br />
secondo cui “abbiamo sempre fatto così e ci è andata<br />
sempre bene, perché dobbiamo cambiare i nostri<br />
convincimenti e le nostre abitudini?” O ancora:<br />
“abbiamo sempre utilizzato la succlavia, perché dobbiamo<br />
perdere tempo con l’ecografo?”<br />
Ma quanti pnx abbiamo fatto; quante volte non<br />
siamo riusciti a “prendere” la succlavia alla cieca,<br />
perché magari ci sono delle anomalie che non possiamo<br />
vedere; quanti pazienti hanno problemi coagulativi,<br />
19<br />
Queste infezioni comportano<br />
un prolungamento <strong>dei</strong> tempi medi<br />
di degenza, un elevato incremento<br />
del costi assistenziali<br />
ed una mortalità variabile dallo 0<br />
al 30% in rapporto alla severità<br />
della patologia di base e soprattutto<br />
al patogeno o ai patogeni coinvolti<br />
per cui è consigliabile, perché meno pericoloso, il<br />
posizionamento del catetere in giugulare o in altra<br />
vena, ma con tecnica eco guidata?<br />
In epoca in cui le L.G. vengono sempre più tenute<br />
in considerazione (anche dal punto di vista legale) non<br />
è più permesso fare una cosa come la “sappiamo<br />
fare”, ma farla invece come la “si deve fare”.<br />
In un reparto abbiamo trovato questa considerazione<br />
del Machiavelli che ci piace riportare:<br />
“Non c’è niente di più difficile, di più pericoloso
Negli USA ogni anno vengono<br />
inseriti circa 5 milioni di CVC<br />
short-term e 500.000 CVC<br />
long-term, che oggi costituiscono<br />
la causa più frequente di batteriemie<br />
nosocomiali<br />
un nuovo ordine di cose, perché l’innovatore ha<br />
per nemici tutti coloro che si trovano bene nella<br />
situazione precedente e blandi sostenitori in tutti<br />
coloro che potrebbero fare bene nel nuovo.<br />
Questa resistenza deriva…in parte dalla paura<br />
degli uomini che non credono prontamente nelle<br />
cose nuove fino a quando non ne divengono<br />
esperti”.<br />
Linee guida di riferimento<br />
Le CDC di Atlanta 2002 non sono le uniche linee<br />
guida di riferimento. Quello che segue è un elenco<br />
delle più autorevoli raccomandazioni e linee guida<br />
internazionali che non riguardano solo le infezioni.<br />
la parola ai colleghi o di più incerto che assumere la responsabilità di<br />
20<br />
• Raccomandazioni AVA<br />
• Linee guida ASPEN 2001<br />
• Linee guida NICE per la prevenzione delle infezioni<br />
2002<br />
• Linee guida SINPE 2002?2003<br />
• Standards RCN 2005<br />
• Standards INS 2006<br />
• Linee guida BCSH 2006<br />
• Linee guida EPIC 2007<br />
• Linee guida SHEA/IDSA 2008<br />
• Linee guida ESPEN 2009<br />
• Linee guida Ist. Sup. Sanità<br />
• Raccomandazioni GAVeCeLT<br />
<strong>Medici</strong>na basata sulle evidenze<br />
Da Wikipedia: “Evidence based medicine (EBM)<br />
significa medicina basata sull’evidenza”.<br />
È un concetto in lingua inglese che, tradotto in<br />
italiano, privo di ulteriore aggettivazione, non trova<br />
giustificazione d’essere: la medicina in quanto tale è<br />
da sempre basata sull’evidenza clinica. Tale concetto<br />
in realtà è relativo alla letteratura scientifica e vuole<br />
significare che è possibile basare le proprie decisioni,<br />
diagnostiche e terapeutiche, sulla valutazione critica<br />
<strong>dei</strong> risultati reperibili dalla letteratura scientifica. Secondo<br />
la definizione di Sackett D.L. et al.<br />
“è il processo della ricerca, della valutazione e<br />
dell’uso sistematici <strong>dei</strong> risultati della ricerca contemporanea<br />
come base per le decisioni cliniche”.<br />
Si fonda sul principio della valutazione <strong>dei</strong> migliori<br />
risultati della ricerca disponibili in quel preciso momento<br />
di ricerca scientifica. In pratica ciò significa che ciò<br />
che interessa specificatamente la EBM non è semplicemente<br />
ciò che deriva da ricerche, bensì prevalentemente<br />
da Studi clinici (Clinical Trials) controllati e lineeguida<br />
di pratica clinica; dati quindi ottenuti mediante<br />
una valutazione critica degli studi esistenti.<br />
Campi di applicazione dell’EBM sono le linee guida,<br />
i protocolli e procedure aziendali, le consensus conferences<br />
(un metodo di definizione delle raccomandazioni
per la pratica clinica, che sono il risultato di periodici<br />
incontri tra esperti della materia).<br />
Evidence based nursing (EBN)<br />
Evidence based nursing (nursing basato sulle evidenze)<br />
= metodologia destinata a rivoluzionare, o<br />
meglio a rifondare su basi meno empiriche, i comportamenti<br />
assistenziali dell’infermiere professionale, che<br />
dovranno far riferimento sempre di più a protocolli e<br />
linee guida.<br />
Quello che di seguito verrà esposto è l’espressione<br />
delle suddette linee guida, delle esperienze <strong>dei</strong> maggiori<br />
centri italiani e non, oltre che della personale esperienza<br />
del sottoscritto.<br />
Rischio infettivo<br />
Vengono presi in considerazione i cateteri venosi<br />
ad inserimento periferico (picc e midline) ed i cateteri<br />
venosi ad inserimento centrale (cvc a breve, medio e<br />
lungo termine). La maggiore complicanza associata<br />
all’uso <strong>dei</strong> dispositivi medici impiantabili, e in particolare<br />
ai cateteri venosi centrali, è rappresentata<br />
dall’insorgenza, anche a tempi brevissimi dalla loro<br />
inserzione, di infezioni ad essi associate, con conseguente<br />
fallimento dell’impianto e necessità di rimozione<br />
del dispositivo. Tale rischio è molto elevato, non solo<br />
nei pazienti immunocompromessi ma anche in quelli<br />
immunocompetenti, poiché la sola presenza del<br />
dispositivo artificiale può provocare un abbassamento<br />
delle difese naturali dell’ospite, con conseguente<br />
aumento del rischio di sviluppare flebiti, setticemie e<br />
in casi particolari endocarditi batteriche.<br />
L’attraversamento della barriera cutanea fornisce<br />
una via diretta di invasione per batteri e funghi. Le<br />
infezioni correlate ai cateteri possono verificarsi:<br />
a) per colonizzazione della cute del paziente da<br />
parte di un batterio opportunista residente o transiente;<br />
b) migrazione dell’agente patogeno nel tratto<br />
sottocutaneo in coincidenza del sito di inserzione del<br />
catetere;<br />
21<br />
c) colonizzazione microbica della punta del catetere.<br />
d) contaminazione del lume del catetere a causa<br />
dell’impiego di fluidi contaminati o di contaminazione<br />
delle linee infusionali da parte del personale che<br />
gestisce i cateteri.<br />
La contaminazione <strong>dei</strong> cateteri<br />
Fermo restando che i cateteri a breve termine, che<br />
in genere vengono impiantati nelle terapie intensive e<br />
che non sono né tunnellizzati, né intascati, si infettano<br />
più facilmente rispetto a questi ultimi, le infezioni degli<br />
accessi venosi si distinguono in:<br />
1) infezioni locali<br />
• Infezioni dell’emergenza cutanea<br />
• Infezioni della tasca<br />
• Infezioni del tunnel<br />
2) infezioni sistemiche
Anche nella gestione<br />
della medicazione è necessario<br />
utilizzare sempre una tecnica<br />
asettica, e “non touch”. Non toccare<br />
il catetere con le mani nude,<br />
indossare guanti sterili ed adoperare<br />
solo materiale sterile<br />
Le possibili vie di accesso degli agenti microbici<br />
all’intermo <strong>dei</strong> cateteri vascolari sono:<br />
• migrazione <strong>dei</strong> microrganismi dalla cute al sito di<br />
inserzione del catetere (via extraluminale);<br />
• migrazione dal punto di raccordo tra catetere e<br />
set di infusione (via intraluminale);<br />
• contaminazione del liquido di infusione al momento<br />
dell’allestimento (contaminazione intrinseca) o durante<br />
l’uso <strong>dei</strong> preparati e la manipolazione del catetere<br />
(contaminazione estrinseca);<br />
• migrazione di germi provenienti da siti lontani di<br />
infezione per via ematogena;<br />
• possibile contaminazione delle soluzioni antisettiche.<br />
la parola ai colleghiFonti di infezione<br />
22<br />
In linea di massima:<br />
Per i cateteri periferici a breve termine, la principale<br />
causa di infezione è rappresentata dalla colonizzazione<br />
della punta del catetere da parte di microrganismi<br />
migrati dal sito di inserzione alla punta stessa. Ciò è<br />
più difficile che avvenga per i port o per i cvc dotati<br />
di cuffia di ancoraggio sottocutaneo (se non nelle<br />
primissime giornate dopo l’impianto).<br />
Per i cateteri intravascolari a lungo termine la<br />
contaminazione del raccordo del catetere o della<br />
camera del port contribuisce sostanzialmente alla<br />
colonizzazione intraluminale. Tuttavia l’ingresso <strong>dei</strong><br />
microrganismi può avvenire in ogni punto della linea<br />
infusionale.<br />
C’è da dire che una buona parte delle rimozioni<br />
<strong>dei</strong> cvc ritenuti infetti avvengono in maniera non<br />
giustificata, essendo il focolaio sepsigeno non sicuramente<br />
identificabile con il cvc, per cui sarebbe necessaria<br />
una diagnosi pre rimozione più accurata possibile<br />
e non una diagnosi post rimozione, basata sull’esame<br />
culturale della punta del catetere.<br />
Una volta, tuttavia, che viene diagnosticata correttamente<br />
l’infezione del catetere, essa è difficilmente<br />
eradicabile con un’antibioticoterapia sistemica, anche<br />
se effettuata con farmaci mirati sulla base<br />
dell’emocultura. Ciò perché i batteri tendono a formare<br />
un “biofilm” costituito da organismi imbrigliati in una<br />
matrice formata da acqua ed uno slime polimerico<br />
extracellulare (polisaccaridi, proteine ed acidi nucleici).<br />
Il micro ambiente del biofilm è ad alta osmolarità e<br />
povero di elementi nutritivi. Per tale motivo i batteri<br />
rallentano il loro metabolismo, entrando in una sorta<br />
di quiescenza.<br />
Il biofilm batterico è resistente all’azione di antibiotici.<br />
Un tentativo può esser fatto, ma solo in alcuni tipi<br />
di infezioni, e per quelle localizzare all’interno del lume,<br />
con l’“Antibiotic Lock Terapy”.<br />
E’ una tecnica, derivante dall’”Heparin Lock<br />
Tecnique”, messa a punto alla fine degli anni ’80, sulla<br />
base proprio della difficoltà di eradicare i microrganismi<br />
presenti nel biofilm.
Essa viene effettuata con soluzioni contenenti<br />
antibiotici (di solito da 1 a 5 mg/ml) e 50 – 100 unità<br />
di eparina o soluzione fisiologica. Un volume sufficiente<br />
a riempire lo spazio morto del catetere viene somministrato<br />
e come “tappato” dentro il lume per un<br />
periodo di circa 12 ore, periodo in cui non deve<br />
essere utilizzato. La durata del lock è variabile da<br />
una a due settimane.<br />
Risk Management<br />
• Scelta appropriata dell’accesso<br />
• Appropriato protocollo di impianto<br />
– Operatore esperto<br />
– Ecoguida, sempre e comunque<br />
• Appropriato protocollo di gestione<br />
– Prevenzione delle complicanze tardive<br />
Prevenzione delle infezioni degli accessi<br />
venosi<br />
La prevenzione delle infezioni <strong>dei</strong> cateteri venosi si<br />
deve effettuare nelle varie fasi della “vita” del catetere:<br />
1. al momento della indicazione e della scelta<br />
del presidio;<br />
2. al momento della inserzione;<br />
3. durante la procedura della medicazione;<br />
4. durante la gestione della linea infusionale;<br />
5. al momento della dimissione.<br />
1) Al momento della indicazione e della scelta<br />
del presidio<br />
Al momento della indicazione e della scelta del<br />
presidio si dovrà tener conto delle seguenti raccomandazioni:<br />
posizionare un accesso venoso solo se indicato<br />
e posizionare il giusto presidio necessario per quel<br />
paziente. E’ inutile infatti posizionare un cvc in un<br />
paziente “senza vene” che deve essere sottoposto<br />
ad intervento chirurgico. Posizioneremo un catetere<br />
periferico con tecnica eco guidata. Rimuovere l’accesso<br />
venoso quando non più indispensabile; scegliere il<br />
23<br />
Niccolò Machiavelli: “Non c’è niente<br />
di più difficile, di più pericoloso<br />
o di più incerto che assumere<br />
la responsabilità di un nuovo ordine<br />
di cose, perché l’innovatore<br />
ha per nemici tutti coloro<br />
che si trovano bene nella situazione<br />
precedente”<br />
giusto device sulla base delle indicazioni del tipo di<br />
catetere (accesso periferico vs. accesso centrale,<br />
midline vs picc vs. cvc, tunnellizzati vs. non tunnellizzati<br />
vs. port) e del materiale con cui è costruito il catetere<br />
(poliuretano vs. silicone; numero di lumi e quantità di<br />
connessioni della linea infusionale). Ancora: scegliere<br />
con cura il sito di inserzione (mano vs polso vs avambraccio<br />
e, per quanto riguarda i picc ed i midline,<br />
avambraccio vs. metà braccio, dove troveremo le<br />
vene brachiali o la vena basilica). Per i cvc, collo vs.<br />
regione sottoclaveare vs inguine. Ancora: non posizionare<br />
un port in una zona già sottoposta (anche molti<br />
anni prima!) a radioterapia (fig.1: <strong>dei</strong>scenza della ferita<br />
chirurgica).<br />
Fig. 1.
che vengono posizionati<br />
nelle terapie intensive in situazioni<br />
di emergenza, ideale sarebbe avere<br />
un team dedicato<br />
2) Al momento della inserzione del presidio<br />
Utilizzare sempre una tecnica asettica. Utilizzare le<br />
massime protezioni di barriera (berretto, mascherina<br />
e guanti sterili, camice sterile ed ampio campo sterile),<br />
come per tutti gli interventi chirurgici. Utilizzare, dove<br />
reperibile, clorexidina al 2% in soluzione alcolica (1°<br />
scelta) o iodiopovidone (2° scelta) e non altri disinfettanti<br />
cutanei non riscontrabili in nessuna linea guida. Utilizzare<br />
clorexidina al 2% in soluzione acquosa se si tratta<br />
di cateteri in poliuretano (sensibile all’alcol) come i cvc<br />
a breve termine utilizzati spesso nelle terapie intensive.<br />
Non utilizzare pomate antisettiche (che eliminano i<br />
germi sensibili, ma lasciano nel sito di inserzione gli<br />
altri germi resistenti liberi di proliferare sotto il pabulum<br />
costituito dalla pomata). Utilizzare, dove possibile la<br />
tecnica ecoguidata che evita punture ripetute della<br />
cute, nel tentativo di cercare la vena alla cieca. Bandire,<br />
la parola ai colleghi Potremmo dire che, eccetto i cvc<br />
24<br />
se non in rari casi nel neonato, la tecnica chirurgica<br />
(maggior rischio di infezione e di fenomeni trombo<br />
flebitici a carico della vena “sacrificata”, maggior<br />
traumatismo tissutale, non costo-efficacia). Non utilizzare<br />
profilassi antibiotica (non esistono evidenze che<br />
la profilassi antibiotica riduca il tasso di infezioni, ma<br />
anzi provoca spesso antibiotico resistenze ed aumenta<br />
il rischio di effetti collaterali). Utilizzare sistemi di fissaggio<br />
“sutureless” (non punti di sutura, ma sistemi di fissaggio<br />
tipo StatLock, o similari tipo Hub-Guard). Utilizzare la<br />
prima medicazione, quella che si applica dopo<br />
l’impianto, solo per le prime 24 ore e sostituirla poi<br />
con una medicazione trasparente, che andrà sostituita<br />
ogni 7-10 giorni circa.<br />
Qual è l’ambiente più adatto per l’inserimento<br />
<strong>dei</strong> cvc?<br />
Per il posizionamento di cvc sia a breve che lungo<br />
termine sono indispensabili alcuni requisiti ambientali<br />
e procedurali che oltre a rendere la manovra a rischio<br />
minore possibile per il paziente, implicano problematiche<br />
medico legali rilevanti.<br />
La necessità dell’utilizzo di ambienti particolari<br />
come la sala operatoria è attualmente criticabile in<br />
termini di costo efficacia ma anche di reale vantaggio<br />
per il paziente che deve sottoporsi alla manovra.<br />
Se da un lato sono irrinunciabili alcune regole di<br />
asepsi rigorosa durante l’impianto, dall’altra può essere<br />
intuitivo che esse non si realizzano esclusivamente in<br />
sala operatoria; d’altronde il solo ambiente non può<br />
essere riportato a garanzia del risultato.<br />
Diverse sono le opzioni alternative alla sala operatoria<br />
per la scelta dell’ambiente in cui le manovre<br />
procedurali di impianto vengono realizzate, passando<br />
dalla tecnica bedside (letto del paziente) alla sala<br />
angiologica, alla sala operatoria dedicata solo alle<br />
procedure di inserimento <strong>dei</strong> cvc o anche ad un<br />
ambiente simil-ambulatoriale dedicato esclusivamente<br />
a queste procedure.<br />
E’ intuibile che l’ambiente dedicato, dove l’unica<br />
attività è rappresentata dall’impianto <strong>dei</strong> cateteri venosi,<br />
è senz’altro da preferire ad una sala operatoria dove
si effettuano numerosi interventi, di varia tipologia<br />
(spesso chirurgia addominale!) e dove spesso hanno<br />
accesso pazienti settici. Il posizionare accessi venosi<br />
nei locali di una terapia intensiva, dove notoriamente<br />
esistono germi selezionati e resistenti, in pazienti esterni,<br />
cioè ricoverati in altri reparti e che in questi reparti poi<br />
devono ritornare, non necessita di particolari commenti.<br />
Si sa infatti che le Uti rappresentano un substrato assai<br />
fertile per lo sviluppo e l’attecchimento sia di germi<br />
patogeni, sia di germi opportunisti. Ciò a causa della<br />
procedure eseguite in urgenza-emergenza in cui spesso<br />
è difficile rispettare anche le più comuni regole di<br />
antisepsi, ma anche per l’utilizzo di farmaci che deprimono<br />
il sistema immunitario, che porta alla selezione<br />
locale di microorganismi resistenti agli antibiotici o<br />
anche a causa di procedure di medicazione di ferite<br />
infette. Tutto ciò è anche in relazione alla durata della<br />
degenza e soprattutto all’elevata invasività delle procedure<br />
diagnostico terapeutiche, il cui impiego diviene<br />
sempre più frequente con l’aumentare della criticità<br />
del paziente. Tuttavia, fatta eccezione per le UtiI,<br />
possiamo dire che, per quanto riguarda i cvc il cui<br />
posizionamento venga richiesto da altri reparti (Unità<br />
Operative diverse, day hospital, pronto soccorso, ecc),<br />
qualsiasi ambiente va bene, purché questo sia bonificabile<br />
e soprattutto dedicato a questo tipo di interventi.<br />
E’ necessario quindi utilizzare supporti tecnici che<br />
riducano da una parte i rischi intrinseci alla procedura<br />
e dall’altra siano costo efficaci sulla base del numero<br />
di procedure eseguite, migliorare la performance degli<br />
operatori coinvolti mediante la selezione di personale<br />
medico e infermieristico dedicato, assicurare loro<br />
un continuo aggiornamento, garantire un monitoraggio<br />
durante le manovre, poter contare sull’eventuale<br />
disponibilità di figure specialistiche peculiari per la<br />
gestione di eventuali complicanze anche rare (radiologia,<br />
cardiologia, rianimazione).<br />
Intendiamo quindi ribadire che più che una sala<br />
(operatoria o angiologica o radiologica) è indispensabile<br />
che si tratti di un ambiente dedicato, dove siano<br />
dedicati gli operatori, i percorsi, i protocolli, e le risorse.<br />
25<br />
In definitiva, l’ambulatorio adeguatamente attrezzato<br />
dal punto di vista organizzativo e strutturale (team<br />
dedicato) rappresenta la soluzione dotata del migliore<br />
rapporto rischio/efficacia.<br />
La scelta del modello organizzativo ambulatoriale<br />
richiede necessariamente l’adozione di protocolli per<br />
la gestione degli imprevisti-insuccessi e delle complicanze.<br />
E’ fondamentale tuttavia prevedere:<br />
• nursing continuo del personale infermieristico<br />
con stesura <strong>dei</strong> protocolli comportamentali;<br />
• aggiornamento del personale medico nelle strutture<br />
di competenza;<br />
• corretta informazione e supporto logistico al<br />
paziente ed all’ambiente familiare-abitativo.<br />
Non sembri eccessivamente pedante soffermarsi<br />
a discutere così a lungo ed in maniera così particolareggiata<br />
su questi presidi medici che purtroppo sono<br />
spesso considerati degli “accessori” nel trattamento<br />
terapeutico del paziente all’interno dell’ospedale:<br />
“prendiamo una vena ed incominciamo a fare la<br />
terapia”. Dopo di ciò, la manutenzione dell’accesso<br />
viene spesso dimenticata, sino a che non compaiano<br />
segni di flebite, se non di infezione. Allora si cambia<br />
il sito al braccio, poi ancora un altro sito… e poi alle
del patrimonio venoso. Una corretta scelta del tipo di<br />
presidio venoso, fatta in tempo utile, al momento del<br />
ricovero, ed una corretta manutenzione della medicazione,<br />
scongiurano tutte le complicanze su descritte.<br />
In parole povere, non è sufficiente imparare a posizionare<br />
un dispositivo venoso (sia esso ago cannula,<br />
picc o midline), ma è prioritario imparare a gestire tale<br />
presidio. Serve a poco saper posizionare un picc, se<br />
poi dopo tre giorni, a causa di cattiva gestione, questo<br />
deve essere rimosso.<br />
L’accesso venoso è soltanto un aspetto delle<br />
prestazioni che vengono erogate al paziente durante<br />
il ricovero. Esso è un presidio fondamentale ed irrinunciabile<br />
per la terapia, ma, allo stesso tempo, è fonte<br />
di numerose complicanze, tra cui anche quelle infettive,<br />
che possono, quando non compromettere la vita del<br />
paziente, comunque ritardare la dimissione ed aggravare<br />
i costi del ricovero di quel paziente.<br />
3) Durante la procedura per la medicazione<br />
Anche nella gestione della medicazione è necessario<br />
utilizzare sempre una tecnica asettica, e “non touch”.<br />
Non toccare il catetere con le mani nude, indossare<br />
guanti sterili ed adoperare solo materiale sterile.<br />
L’utilizzo <strong>dei</strong> guanti sterili non esime dall’obbligo di<br />
lavarsi le mani. Alternativamente, si può ricorre ad<br />
appositi detergenti liquidi o in gel esistenti in commercio,<br />
raccomandati quelli a base di clorexidina, che offrono<br />
buona praticità d’impiego (qualche secondo<br />
d’applicazione anche senza l’uso del lavandino) oltre<br />
a realizzare soddisfacenti condizioni di asepsi. Non<br />
utilizzare solventi (es. etere) che possano danneggiare<br />
i cateteri in silicone ed aumentare il rischio di allergie<br />
per alterazioni del film idrolipidico. Utilizzare clorexidina<br />
al 2% (EPIC 2007) per la disinfezione della cute e del<br />
catetere. Sostituire la prima medicazione dopo 24 ore<br />
con medicazione trasparente semipermeabile. Utilizzare,<br />
ove possibile i feltretti a rilascio controllato di<br />
clorexidina (“biopatch”). Utilizzare sistemi di fissaggio<br />
sutureless. Sostituire periodicamente il sistema di<br />
la parola ai colleghi vene degli arti inferiori, e così via, sino ad esaurimento<br />
26<br />
fissaggio posizionato al posto <strong>dei</strong> punti di ancoraggio.<br />
Con queste ultime precauzioni si può cambiare la<br />
medicazione una volta a settimana invece che ogni<br />
24 ore (come avviene per le medicazioni tradizionali),<br />
anche perché si può monitorare visivamente il sito di<br />
inserzione. Non utilizzare alcun tipo di pomata antibiotica<br />
anche in presenza di exit site infetto. Per questa<br />
evenienza è permesso solo l’uso di pomate antisettiche.<br />
La figura 2 e 3 sono esempi di cattiva gestione<br />
della medicazione (medicazione staccata, sangue<br />
nella linea infusionale, che porterà all’occlusione del<br />
catetere; scarsa igiene della medicazione). La figura<br />
4 è invece un esempio di corretta scelta <strong>dei</strong> presidi<br />
utilizzati per la medicazione e di corretta gestione.<br />
Fig. 2.<br />
Fig. 3.
Fig. 4.<br />
4) Durante la gestione della linea infusionale<br />
Tecnica asettica e “non touch”. Sostituire gli aghi<br />
cannula ogni 96 ore (3–4 giorni). Non sostituire periodicamente,<br />
se non in caso di complicanze, picc,<br />
midline e cvc. Sostituire periodicamente le linee infusionali.<br />
Se possibile, utilizzare una linea separata per<br />
la NP. Utilizzare clorexidina 2% per la disinfezione del<br />
catetere e della linea infusionale.<br />
5) Al momento della dimissione<br />
Il paziente può essere trasferito dalla terapia intensiva<br />
in un altro reparto e da qui poi essere dimesso e<br />
mandato a casa o in un istituto di assistenza o un<br />
centro di riabilitazione, ecc. Anche fuori dall’ospedale<br />
il paziente può avere bisogno dell’accesso venoso<br />
per terapie infusionali continuative.<br />
Il paziente proveniente da una terapia intensiva non<br />
dovrebbe portare con sé in un’altra unità operativa,<br />
né a casa, il catetere che gli è stato posizionato durante<br />
la degenza il quel reparto. Primo perché germi selezionati<br />
provenienti dalla terapia intensiva, vengono<br />
trasferiti insieme al paziente presso l’Unità Operativa<br />
di destinazione, poi perché i cateteri a breve termine<br />
sono in poliuretano, materiale dove più facilmente<br />
attecchiscono i germi, e più suscettibile ad andare<br />
incontro a fatti trombotici. Queste evenienze sono più<br />
difficilmente gestibili fuori dall’ospedale.<br />
27<br />
Che cosa si dovrebbe fare allora?<br />
Al paziente proveniente dall’Uti dovrebbe venir<br />
rimosso il catetere in uso sino ad allora ed, in altra<br />
sede, gli si dovrebbe impiantare un cvc tunnellizzato,<br />
che è in silicone, più biocompatibile, o, a seconda<br />
delle esigenze, un picc o un catetere periferico tipo<br />
midline. Lo stesso si può fare al momento della dimissione.<br />
Il picc o il midline (a seconda del tipo di terapia<br />
da somministrare) sono spesso i cateteri di scelta per<br />
la terapia nei reparti di medicina o domiciliare.<br />
Tutto ciò, naturalmente, non può essere fatto dallo<br />
stesso personale del reparto di appartenenza, ma, lo<br />
ribadiamo, dovrebbe essere fatto da personale dedicato,<br />
da un team preposto alla valutazione <strong>dei</strong> singoli<br />
casi ed al posizionamento e gestione.<br />
E’ sempre più frequente in alcuni centri, ma sempre<br />
di più se ne sente la necessità in tutti gli altri, la<br />
creazione di staff dedicati ed appositamente addestrati<br />
per la gestione non solo intraospedaliera, ma anche<br />
domiciliare <strong>dei</strong> pazienti portatori di catetere venoso<br />
(terapia, cambio medicazioni, gestione e sostituzione<br />
delle linee infusionali, istruzioni da impartire al “care<br />
giver”, che spesso è un familiare, ecc…).<br />
Importanza del sito di emergenza<br />
Per la prevenzione delle infezioni, ma anche delle<br />
altre complicanze di cui qui non tratteremo, grande<br />
importanza riveste il sito di emergenza del catetere,<br />
che spesso è associato alla scelta della vena. Distinguiamo<br />
zone ad alto rischio infettivo e zone a basso<br />
rischio.<br />
Alto rischi infettivo: collo se approccio “blind” (alla<br />
cieca) della vena giugulare interna; inguine (con qualsiasi<br />
tipo di approccio). La figura 5 è un esempio di errato<br />
approccio venoso e di un’errata scelta del sito di<br />
inserzione. Qualsiasi manovra venga fatta in quella<br />
regione (es. posizionamento di casco per Cpap), ma<br />
anche la sola presenza <strong>dei</strong> capelli e, nell’uomo della<br />
barba, pone le basi per un’alta probabilità di infezione.<br />
La figura 6 è invece l’esempio di un’esatta scelta
la parola ai colleghi<br />
Fig. 5. Fig. 6.<br />
dell’approccio venoso (Vena anonima di destra con<br />
tecnica eco guidata).<br />
Infatti, sono a basso rischio infettivo: area sovraclaveare<br />
(approccio eco guidato alla vena anonima, postero-inferiore<br />
alla vena giugulare interna, alla succlavia.<br />
Area sottoclaveare: approccio “blind” o eco alla vena<br />
ascellare o alla vena succlavia. Quest’ultima, per definizione<br />
“sotto la clavicola” non è visibile ecograficamente<br />
se non per via sovraclaveare. Per via sottoclaveare è<br />
visibile la vena ascellare, prima che questa si continui<br />
con la vena succlavia. Pertanto la scelta della vena<br />
succlavia per via sottoclaveare è sì a basso rischio<br />
infettivo (per ciò che riguarda la gestione), ma è ad alto<br />
rischio per quel che riguarda le altre complicanze: pnx,<br />
rischio di “pinch-off”, mal funzionamenti, mal posizionamenti<br />
e così via. Ciò è vero sicuramente per quel<br />
che riguarda i cvc a medio e lungo termine.<br />
Una regola fondamentale è che l’“exit site”, o la<br />
sede della tasca del Port-A Cath, si trovi ad almeno<br />
20 cm dalla tracheotomia.<br />
In definitiva quindi:<br />
• non improvvisare;<br />
• prevedere un CVC-PICC team;<br />
28<br />
• prevedere protocolli aziendali (oppure ‘bundles’<br />
di comportamento):<br />
– per la indicazione;<br />
– per l’impianto;<br />
– per la gestione;<br />
• educazione:<br />
– specifica (impianto);<br />
– per tutti (indicazioni, gestione).<br />
Quello che segue è un ‘bundle’ GAVeCeLT – EVAN<br />
per minimizzare le complicanze legate alla inserzione<br />
degli accessi venosi centrali a lungo termine (sistemi<br />
totalmente impiantabili e cateteri tunnellizzati):<br />
1) venipuntura percutanea ecoguidata (preferibilmente<br />
mediante approccio sopraclaveare alla vena<br />
giugulare interna, alla vena anonima, o alla vena<br />
succlavia);<br />
2) controllo intraoperatorio della posizione della<br />
punta del catetere venoso centrale (preferibilmente<br />
mediante il metodo elettrocardiografico);<br />
3) tecnica asettica e massime protezioni di barriera<br />
durante l’impianto;<br />
4) prevenzione delle aritmie mediante gestione<br />
appropriata della guida metallica;
5) stabilizzazione <strong>dei</strong> cateteri tunnellizzati mediante<br />
posizionamento appropriato della cuffia e utilizzo,<br />
ovunque possibile, di sistemi di fissaggio ‘sutureless’;<br />
6) scelta appropriata del sito ove impiantare il<br />
‘reservoir’.<br />
Esistono anche bundles che riguardano la corretta<br />
manutenzione.<br />
Le misure adottate per ridurre il rischio di infezione<br />
associato alla terapia intravascolare dovrebbe portare<br />
ad un bilancio tra la salvaguardia del paziente e il<br />
costo dell’efficacia.<br />
E’ ormai fuor di dubbio che il rischio di infezioni si<br />
riduca quando siano osservate le indicazioni e le<br />
raccomandazioni sulle tecniche in asepsi da utilizzare.<br />
E’ facilmente dimostrabile che l’inserzione e il mantenimento<br />
di cateteri intravascolari da parte di personale<br />
inesperto può incrementare i rischi di colonizzazione<br />
del catetere.<br />
L’organizzazione in un team specializzato, che<br />
potremmo chiamare “CVC-PICC team” ha dimostrato<br />
essere efficace nel ridurre l’incidenza delle infezioni<br />
associate a catetere, le relative complicanze ed a<br />
ridurre i costi.<br />
Esperienza significa non solo essere in possesso<br />
dell’abilità nella fase di inserimento, cosa che moltissimi<br />
hanno, ma anche essere in grado di mettere in atto<br />
e quindi di conoscere, sulla base delle linee guida,<br />
tutti quegli accorgimenti, raccomandazioni e precauzioni<br />
che fanno sì che il catetere possa durare il più<br />
a lungo possibile.<br />
Potremmo dire che, eccetto i cvc che vengono<br />
posizionati nelle terapie intensive in situazioni di emergenza,<br />
ideale sarebbe avere un team dedicato, che<br />
si dedichi in maniera quasi esclusiva al posizionamento,<br />
alla gestione ed alla manutenzione <strong>dei</strong> cateteri venosi<br />
in senso lato. Il team costituisce, come già avviene in<br />
molti ospedali, un punto di riferimento per tutte le<br />
problematiche, e sono tante, che riguardano i cateteri<br />
venosi (dove per cateteri venosi si intendono tutti gli<br />
accessi venosi, dall’ago cannula al Port-A-Cat). Il team<br />
29<br />
è anche fondamentale nell’addestramento del personale<br />
medico (al posizionamento <strong>dei</strong> cateteri centrali)<br />
e del personale infermieristico (posizionamento <strong>dei</strong><br />
picc e midline e gestione <strong>dei</strong> cateteri), secondo le linee<br />
guida internazionali e non secondo l’esperienza personale<br />
di ognuno di noi.<br />
Ribadiamo quanto segue:<br />
Modello organizzativo “base”<br />
1. personale dedicato per impianto e gestione;<br />
2. protocollo per impianto;<br />
3. procedure di preparazione ed assistenza postimpianto<br />
compreso l’accesso a servizio di radiologia;<br />
4. protocollo di gestione delle eventuali complicanze,<br />
compreso l’accesso a personale rianimatorio;<br />
5. locale dedicato e sanificabile:<br />
– camici e teleria sterile;<br />
– strumenti sterili;<br />
– lampada scialitica;<br />
– cardiomonitor, sfigmomanometro e pulsossimetro/saturimetro;<br />
– ecografo;<br />
– carrello per emergenze;<br />
6. ambulatorio per visite e controlli:<br />
– protocollo gestione;
Le infezioni correlate ad alcune pratiche cliniche,<br />
tra cui il posizionamento <strong>dei</strong> cateteri venosi centrali e<br />
periferici ed all’assistenza e gestione <strong>dei</strong> dispositivi<br />
rappresentano un’importante complicanza di particolare<br />
rilevanza per quanto concerne la morbilità, mortalità<br />
e ospedalizzazione. Abbattere il rischio infettivo dipende<br />
dalla formazione/informazione degli operatori addetti,<br />
siano essi medici o infermieri, essendo a loro carico<br />
la maggior parte delle prestazioni erogate nelle varie<br />
unità operative, non solo nei reparti di terapia intensiva.<br />
Ricondurre costantemente, ed utilizzare, per quanto<br />
di nostra competenza, quanto viene proposto<br />
dall’attuale letteratura (linee guida) permette di avere<br />
una unità operativa sempre aggiornata ed efficiente.<br />
Si sente sempre di più la necessità di un servizio<br />
di riferimento per ciò che concerne il posizionamento<br />
e la gestione <strong>dei</strong> cateteri venosi (non solo centrali, ma<br />
anche periferici). E’ necessaria insomma la creazione<br />
la parola ai colleghi Conclusioni<br />
30<br />
del CVC-PICC TEAM, che non aumenta i costi a<br />
carico dell’Azienda, ma anzi li riduce evitando gli<br />
sprechi.<br />
In ogni reparto di ospedale, ogni giorno, esiste<br />
almeno un paziente “senza vene”, che ha cioè esaurito<br />
il suo patrimonio venoso (per pregressi ripetuti episodi<br />
trombo flebitici, chemioterapia o altre terapie con<br />
farmaci irritanti e lesivi per l’intima delle vene periferiche).<br />
Del cvc picc team devono fare parte medici ed<br />
infermieri prima di tutto motivati per questo tipo di<br />
lavoro, ma soprattutto dedicati a questo tipo di lavoro,<br />
almeno per buona parte del loro tempo e dotati del<br />
necessario “know how”. Il know how si acquisisce<br />
frequentando corsi di formazione e congressi (ogni<br />
anno se ne preparano in numero rilevante, del tipo<br />
“picc day” corsi GAVeCELT ecc.) e/o frequentando il<br />
cvc-picc team del proprio ospedale. Il referente del<br />
team deve dedicare una parte della sua attività alla<br />
formazione/informazione del personale medico ed<br />
infermieristico.<br />
Non sembri utopistica poi la creazione, almeno<br />
nell’ambito <strong>dei</strong> centri ospedalieri più complessi, di un<br />
“Comitato Infezioni Ospedaliere” (CIO), che, attraverso<br />
la collaborazione con i responsabili <strong>dei</strong> programmi di<br />
sorveglianza (medici ed infermieri), permetta una<br />
ridistribuzione sistematica della cultura ed esperienza<br />
in materia di rischio infettivo e permetta strategie di<br />
prevenzione e contenimento.<br />
Solo con la formazione continua e l’informazione<br />
rivolta al personale delle varie Unità Operative si<br />
possono raggiungere livelli di efficienza e si possono<br />
ridurre le complicanze dovute alla cattiva gestione<br />
degli accessi venosi e delle linee infusionali, tra cui le<br />
infezioni catetere correlate rappresentano solo un<br />
importante aspetto.<br />
Ci sono molte cose nuove ed innovative nel campo<br />
degli accessi vascolari. Ci sono le linee guida a cui in<br />
passato non si poneva attenzione; c’è il ricorso alla<br />
tecnica ecoguidata; ci sono i nuovi disinfettanti ed<br />
antisettici; ci sono alternative ai vecchi, ma ancora<br />
attuali CVC, ecc.
Quindi, vorremmo concludere questa discussione<br />
dicendo che se ci aprissimo a tutti questi nuovi concetti,<br />
non credendo di sapere ormai tutto ed evitando di<br />
rimanere ancorati soltanto alle nostre abitudini, probabilmente<br />
saremmo più disposti ad imparare ed a<br />
ritenere validi i processi innovativi.<br />
Socrate (Atene, 469 – 399 A.C.), paradossalmente,<br />
sosteneva la teoria del “sapere di non sapere”, cioè<br />
dell’ignoranza intesa come consapevolezza di una<br />
non conoscenza definitiva. Questa teoria è il movente<br />
fondamentale del desiderio di conoscere, e quindi di<br />
imparare. Egli, al contrario <strong>dei</strong> sofisti, che si ritenevano<br />
saggi, non si reputava un saccente, ma era animato<br />
da una grande sete di verità e di sapere. Quindi,<br />
prendendo le distanze da questi e con l’uso critico<br />
della ragione, rifiutava tutto ciò che gli veniva imposto<br />
per tradizione o per credenza religiosa. Con ciò intendiamo<br />
dire che la verità non sta nelle cose che si<br />
sanno fare perché cosi si sono sempre fatte, ma nel<br />
modo in cui esse andrebbero fatte.<br />
Noi non ci riteniamo <strong>dei</strong> sofisti e siamo convinti di<br />
aver ancora molto da imparare. Sappiamo di non<br />
sapere ed abbiamo ancora voglia di scoprire.<br />
* Unita Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione<br />
- Ospedale “Vito Fazzi” – <strong>Lecce</strong> - Direttore dott. R. Caione<br />
31<br />
Bibliografia<br />
Evidence-based <strong>Medici</strong>ne Working Group. Evidence-based<br />
<strong>Medici</strong>ne. A new approach to teaching the<br />
practice of medicine. JAMA 1992; 268: 2420-25.<br />
Gomez Luque AHuertas Simonet N., Viciana Ramos<br />
M.I. Moreno Palacios M., Hernandez Pardo P.E.;<br />
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catheters.<br />
Guyatt GH, Rennie D, eds. Users’ Guides to the<br />
Medical Literature. A Manual for Evidence-based<br />
<strong>Medici</strong>ne. AMA Press, 2002.<br />
Guidelines for preventing infection associated with<br />
the insertion and manteinance of central venous<br />
catheter; Journal of hospital infection; 2001.<br />
Healthcare- associated infection in Italy: annual<br />
pointprevalence surveys, 2002-2004. Infect Control<br />
Hosp Epidemiol 2009; 30: 659-665<br />
Lanini S, Jarvis WR, Nicastri E, et al, INFNOS Study<br />
Group (Gruppo Italiano per lo Studio delle Infezioni<br />
Noscomiali.<br />
Linee guida per la prevenzione delle infezioni Associate<br />
a catetere intravascolare” daMorbidity and Mortality<br />
Weekly Report, August 9,2002, Vol 51, No. RR-<br />
I O, e Vol 51, No. 32:711<br />
Moro ML, Gandin C, Bella A, et al. Indagine conoscitiva<br />
nazionale sulle attività di sorveglianza e controllo<br />
delle infezioni ospedaliere negli ospedali pubblici italiani.<br />
2001, pag. 70 Rapporti ISTISAN-01/4.<br />
Procedure di gestione infermieristica del catetere<br />
venoso centrale; centro di riferimento oncologico,<br />
Istituto Nazionale Tumori<br />
Sackett DL, Straus SE, Richardson WS, Rosenberg<br />
W, Haynes RB. Evidence-based <strong>Medici</strong>ne. How to<br />
practice and teach EBM. 2nd edition. London: Churchill<br />
Livingstone, 2000.<br />
www.cdc.gov<br />
www.GAVeCELT.org.<br />
www.vascular access.info<br />
www.wikipedia.org
Auguri<br />
di una Pasqua serena<br />
a tutti i colleghi<br />
e alle loro famiglie<br />
il presidente Luigi Pepe<br />
ed il Consiglio tutto
Qui Cina<br />
UN VIAGGIO DENTRO E FUORI L’ANIMA DI MEDICO<br />
V<br />
di Antonio Antonaci<br />
iaggio per trovare da qualche parte della Terra<br />
me stesso, nella gente che spero di incontrare,<br />
tra le strade di luoghi mai visti e diversi e che, a volte,<br />
sento più vicini alla mia anima di quelli in cui sono<br />
nato.<br />
E porto con me, sempre, la parte del mio mondo<br />
che più amo.<br />
Litigano e scalciano, scalciano dietro al suo sedile,<br />
dando fastidio, molto fastidio, chissà quanto appaiono<br />
stupidi al tassista i miei figli, quei due ragazzini bianchi,<br />
33<br />
La Cina ti accoglie, da subito,<br />
inglobandoti nella sua vita<br />
quotidiana, tra la sua gente,<br />
e ti annulla completamente,<br />
modificando le tue abitudini<br />
e il tuo stile di vita<br />
e mia moglie, che pur stando seduta dietro, in mezzo<br />
a loro, non riesce a frenarli; io sono davanti, a fianco<br />
a lui, e mi sento osservato, con la coda lunghissima<br />
<strong>dei</strong> suoi occhi a mandorla; ha il volto serioso, professionale,<br />
la giacca a quadri, il cravattino. Mi sento<br />
obbligato ad intervenire quanto prima. Mi giro, con un<br />
urlo e un ceffone, ristabilisco l’ordine e mi guadagno<br />
finalmente la sua stima; parte allora dal quel viso<br />
imbronciato e scarno un sorriso indimenticabile, per<br />
un terzo oro e argento, per un terzo niente, l’altro<br />
terzo intonato col cravattino, di una genuinità introvabile:<br />
benvenuti a Shanghai. Piove sempre a Shanghai, il<br />
sole non si vede mai, ma sembra quasi una pioggia<br />
finta, un effetto speciale messo lì ad arte per mantenere<br />
l’ambientazione <strong>dei</strong> film anni Quaranta in bianco e<br />
nero, quelli con attori come Humphray Bogart od<br />
Orson Welles tanto amati dagli occidentali. E anche<br />
il traffico, incredibilmente caotico, sembra fatto così
la parola ai colleghi<br />
In Cina tutto è grande e tutto<br />
“molto”, 1 miliardo e 300 milioni<br />
i cinesi, solo tre città: Pechino,<br />
Shianghai e Canton hanno, messe<br />
assieme, più abitanti dell’Italia;<br />
la sola area urbana di Pechino<br />
è più estesa di tutto il grande<br />
Salento<br />
apposta: autobus stracolmi, ondeggianti sugli ammortizzatori,<br />
sfrecciano suonando, fanno slalom tra i<br />
pedoni, milioni di pedoni; “stormi” di motociclisti<br />
volteggiano compatti tra un semaforo rosso e l’ altro;<br />
file interminabili di automobili soppiantano ormai risciò<br />
e biciclette: è la nuova Cina. La pioggia è smog, le<br />
oltre 4.000 industrie di Shanghai spostano 5 milioni<br />
di pendolari ogni giorno; in questa città più moderna<br />
e grande di New York, dal 1990 al 2000 sono stati<br />
costruiti circa 1900 grattacieli, con centinaia di piani,<br />
uno affianco all’altro, per una la densità della popolazione<br />
di circa 50 mila abitanti per km2. L’aeroporto,<br />
con i suoi tre terminal, può accogliere contemporaneamente<br />
fino a 600mila passeggeri; un treno lo collega<br />
alla città correndo a 420 km orari. E’ un altro mondo;<br />
34<br />
mi sembra di essere su un altro pianeta, tra alieni. Ne<br />
ho conferma dal fatto che tra tunnel subacquei luminescenti<br />
e ponti che si intrecciano coi grattacieli cerco<br />
di spiegare all’amico tassista dove devo andare, ma<br />
questi proprio non mi capisce. Non sa una virgola di<br />
inglese e sa leggere solo gli ideogrammi della sua<br />
lingua. E’ il contrasto che fotografa esattamente la<br />
Cina di oggi, in cui non capisci mai se sei avanti di<br />
cento anni o indietro di mille, in cui tra genitori e figli<br />
si apre un abisso culturale e sociale spaventoso che<br />
divide inesorabilmente le due generazioni; una situazione<br />
unica al mondo.<br />
Alla fine giungiamo ad “Expo Shanghai 2010”, la<br />
nostra meta. Piove a dirotto, come sempre, ma nessuno<br />
se ne cura, l’acqua sembra anche a noi che non<br />
bagni e poi è luglio, si può fare, andiamo in giro. L’expo<br />
ha un’estensione immensa (più di 5 km2) tanto che<br />
dentro ci si muove in metropolitana e autobus; ottantamila<br />
giovani studenti volontari, questi sì, tutti parlanti<br />
inglese, sono distribuiti e pronti ad aiutare il visitatore.<br />
L’organizzazione è spaventosa. Il giorno<br />
dell’inaugurazione hanno sparato <strong>dei</strong> razzi tra le nuvole<br />
per diradarle e “produrre” una giornata di sole. Decine<br />
di migliaia di persone sono in fila composta sotto la<br />
pioggia per entrare a visitare i padiglioni di tutte la<br />
nazioni del mondo tra cui quello italiano, uno <strong>dei</strong> più<br />
belli e raffinati, costruito con un cemento trasparente,<br />
frutto della nostra tecnologia, che consente di vedere<br />
attraverso i muri; sembra vetro quando l’interno si<br />
illumina con un effetto meraviglioso che lascia intravedere<br />
delle astine che si intrecciano: gli shanghai,<br />
appunto. Cerchiamo un’entrata secondaria, mostriamo<br />
il passaporto italiano e ci fanno entrare, evitando la<br />
fila; dentro fanno sfoggio la cultura, la storia, la scienza,<br />
le tradizioni, lo stile, i sapori del nostro Paese (su un<br />
totale di 73 milioni di visitatori e 246 espositori, 7<br />
milioni e 300mila persone hanno visitato il padiglione<br />
italiano nel corso della rassegna, da maggio ad ottobre<br />
2010). Riusciamo a vedere anche il padiglione <strong>dei</strong><br />
padroni di casa, megagalattico, impressionante; qui<br />
la fila raggiunge proporzioni bibliche e sono tutti cinesi.
Mi avvicino coi bambini all’ingresso e ci provo: “Excuse<br />
me, we are from Italy….”. Italy, parola magica: spostata<br />
la transenna l’addetto fa entrare me e famiglia in un<br />
batter d’occhio. E le persone che erano là in fila da<br />
ore? Mi aspettavo un linciaggio, invece tirano fuori le<br />
macchinette fotografiche e cominciano a fotografarci<br />
festanti! Noi non ci meravigliamo più ormai, siamo in<br />
Cina da una settimana ed è da quando siamo arrivati<br />
che tutti ci fotografano, ci toccano, ci danno pacche<br />
sulle spalle, accarezzano insistentemente i nostri<br />
bambini e li mettono accanto ai propri per fotografarli.<br />
Solo chi è stato in questo meraviglioso e lontano<br />
Paese può capire la sensazione che si prova. La Cina<br />
ti accoglie, da subito, inglobandoti nella sua vita<br />
quotidiana, tra la sua gente, e ti annulla completamente,<br />
modificando le tue abitudini e il tuo stile di vita. Sembra<br />
quasi prendersi gioco di te e delle tue paure facendoti<br />
roteare senza tregua tra una infinità di colori, sapori,<br />
suoni, profumi, sensazioni, sentimenti, emozioni, in<br />
una sorta di strana ipnosi che dura dall’inizio alla fine<br />
del viaggio. Sempre tra milioni di persone, in ogni ora<br />
del giorno e della notte, ti ritrovi ad essere uno come<br />
loro, tra loro, vicino a loro, senza sconti né zone<br />
franche, fino a comprenderne, o quasi, l’esistenza.<br />
Se poi sei medico, e guardi il mondo con gli occhi del<br />
medico, scopri in ogni uomo e donna che incontri i<br />
segni nascosti di una grandezza sofferta, che per<br />
migliaia di anni ha forgiato corpo e psiche; perfetto è<br />
allora il medico per un viaggio in Cina, per la dimestichezza<br />
che ha nel trattare, senza pregiudizio alcuno,<br />
di cose che hanno a che fare col corpo e con l’anima.<br />
E, dagli occhi di chiunque gli passi accanto, dall’“analisi”<br />
di quei sorrisi sinceri e mai negati, scoprirà, il medico,<br />
davvero, che nobiltà e dignità umana vivono nel profondo<br />
del cuore e nulla hanno a che fare con l’aspetto<br />
esteriore.<br />
A Pechino avevamo una guida locale, una donna,<br />
Li Ha, il suo nome, dolcissima, e minuta, ovviamente.<br />
Li Ha è riuscita ad imparare l’italiano in sei mesi ad un<br />
corso organizzato dal suo Governo, non è mai stata<br />
in Italia; spera nel turismo italiano in Cina poiché vi ha<br />
35<br />
Quando vengo a sapere che i medici<br />
in Cina sono stressati, stanchi<br />
e nervosi, mi sento a casa. Lavorano<br />
moltissimo con turni massacranti,<br />
visitano ogni giorno file interminabili<br />
di pazienti<br />
investito tutto ed è l’unica sua speranza di lavoro.<br />
Mentre passeggiamo in piazza Tian’anmen, Li Ha ci<br />
racconta, con un candore e una dignità impressionanti,<br />
la sua difficile vita. Quando era piccola, negli anni 70,<br />
la sua famiglia per sfamarsi era talvolta costretta a<br />
mangiare foglie bollite degli alberi di acacia <strong>dei</strong> viali di<br />
Pechino; il padre con 60 yuan al mese (8 euro) doveva<br />
mantenere lei, il fratello, la moglie e la nonna. Poi un<br />
giorno è stata data in sposa ad un uomo, anche lui<br />
di Pechino, e si è trasferita nella casa del marito dove,<br />
come da uso e costume cinese, si è dovuta porre al<br />
servizio della suocera soddisfacendo ogni sorta di<br />
richiesta (tra cui lavarle i piedi ogni giorno). Quando<br />
però ha dato un figlio maschio al marito, questi ha<br />
voluto premiarla “affrancandola” e lei ha potuto finalmente<br />
pensare alla sua vita. Una vita che Li Ha oggi<br />
ama e che considera bella e fortunata: d’altronde, non
la parola ai colleghi<br />
poteva essere diversamente, mi spiega, essendo nata<br />
nel 1964, l’anno del Drago, simbolo del successo.<br />
Piazza Tian’anmen, con i suoi 44 ettari di superficie,<br />
è la più grande del mondo; oggi è una piazza pacifica<br />
che brulica di gente, ma parlare con Li Ha, porta alla<br />
mia mente l’immagine di quel ragazzo che nel 1989,<br />
camicia bianca, la giacca in una mano e una busta di<br />
plastica nell’altra, qui fermò i carri armati; chissà se<br />
ha mai saputo che col suo gesto eroico ha contribuito<br />
a cambiare il mondo. Con una busta di plastica in<br />
mano e la giacca nell’altra… come coloro che sbarcano<br />
oggi in Italia.<br />
Dalla piazza, attraversando una grande porta su<br />
cui campeggia l’immagine di Mao Zedong, si accede<br />
alla Città Proibita, il palazzo dove un tempo risiedeva<br />
l’imperatore. La Città Proibita, cento ettari di palazzo,<br />
piazzali e parco al centro di Pechino, è così chiamata<br />
poiché, nella Cina imperiale, era punito con la morte<br />
chi vi accedeva senza permesso; oggi è aperta al<br />
36<br />
pubblico e milioni di cinesi vengono da ogni parte per<br />
visitarla. In Cina tutto è grande e tutto “molto”, 1<br />
miliardo e 300 milioni i cinesi, solo tre città: Pechino<br />
(19 milioni), Shianghai (20 milioni) e Canton (33 milioni)<br />
hanno, messe assieme, più abitanti dell’Italia; la sola<br />
area urbana di Pechino è più estesa di tutto il grande<br />
Salento: immaginiamo, partendo da Taranto di andare<br />
a Brindisi e da qui a Leuca sempre passando per la<br />
città. Appena fuori Pechino si incontra la Grande<br />
Muraglia che per 6400 kilometri corre ininterrotta e<br />
imponente sulle montagne e nelle pianure, visibile ad<br />
occhio nudo dallo spazio, fu posta nell’antichità per<br />
difendere le provincie cinesi dall’invasione <strong>dei</strong> mongoli.<br />
Per costruirla furono impiegate un milione di persone,<br />
molte delle quali perirono per la fatica e gli stenti<br />
durante i lavori e si narra che i corpi furono sepolti tra<br />
i mattoni a sostegno della muraglia stessa. Strana è<br />
la millenaria storia dell’uomo in Cina, poiché, più che<br />
altrove, ha visto sempre imporre gli interessi delle
masse su quelle del singolo, per cui, per quanto<br />
paradossale possa apparire, a parità di vicende, i due<br />
destini sono stati molto differenti: una straordinaria<br />
grandezza del popolo e la miserevole condizione del<br />
singolo; un contrasto fortissimo, estremo, che riesce<br />
a segnarti indelebilmente e che è la caratteristica<br />
principale di questa terra. Succede anche, però, che<br />
il destino di un singolo trionfi per la grandiosità del suo<br />
popolo. E’ la storia del contadino che, nel marzo del<br />
1974, nei pressi di Xi’an, antica città imperiale sede<br />
della dinastia Qin (221-206 a.C.), scopre per caso,<br />
scavando un pozzo, la più incredibile delle meraviglie:<br />
l’esercito di terracotta. Oltre settemila statue di soldati<br />
e cavalli, ritratto esatto di ciascuno di essi, seppelliti<br />
assieme all’imperatore Shi Huangdi, con il compito di<br />
difenderlo dai nemici nell’aldilà!<br />
Quel contadino, oggi, è una delle persone più ricche<br />
e famose della Cina.<br />
Nel tempio buddista di Yonghegong (Palazzo<br />
dell’eterna armonia), i cinesi vogliono ritrovare la propria<br />
religiosità, tanto inibita nel periodo comunista più<br />
repressivo; oggi, specialmente i giovani, mi spiega Li<br />
Ha, sentono il bisogno della fede e del contatto con<br />
Dio; quante cose, senza riserve, mi racconta Li Ha in<br />
queste giornate afose in giro per la Cina. Parla a me<br />
e a mia moglie, incantandoci, ed e’ incredibile, si<br />
preoccupa anche di non perdere mai di vista, tra i<br />
fumi d’incenso e le folle di fedeli, i miei ragazzi: vagano<br />
liberamente tra le statue del Budda e i draghi di marmo,<br />
37<br />
In Cina chi non lavora<br />
non ha assistenza sanitaria.<br />
Il cittadino può scegliere<br />
tra la medicina tradizionale cinese<br />
o quella occidentale. La tradizionale<br />
viene preferita poiché è opinione<br />
comune che guarisca meglio,<br />
anche se più lentamente<br />
e, tra laghetti e aiuole, rischiano di perdersi inseguendo<br />
un monaco tibetano per fotografarlo mentre parla con<br />
l’iPhone! Ormai Li Ha è “zia Li Ha” e “One world one<br />
dream”, lo slogan delle olimpiadi del 2008, rimasto<br />
un po’ ovunque, ricorda che su questa Terra siamo<br />
tutti inequivocabilmente “una famiglia”. Quando poi<br />
vengo a sapere che i medici in Cina sono stressati,<br />
stanchi e nervosi, mi sento veramente a casa! Lavorano<br />
moltissimo con turni massacranti, visitano ogni giorno<br />
file interminabili di pazienti: immaginate voi che cosa<br />
può essere qui una sala d’aspetto! La medicina di<br />
famiglia e la medicina del territorio, intesa come da<br />
noi, non esiste e l’assistenza sanitaria è esclusivamente<br />
ospedaliera; per andare dal medico bisogna recarsi
la parola ai colleghi<br />
in ospedale. Il sistema sanitario prevede da parte del<br />
cittadino una compartecipazione alla spesa variabile<br />
a seconda del lavoro che svolge e alla provincia in cui<br />
abita. Chi non lavora non ha assistenza sanitaria. Il<br />
cittadino può scegliere tra la medicina tradizionale<br />
cinese o quella occidentale. Li Ha mi dice che la<br />
medicina tradizionale cinese viene preferita poiché qui<br />
è opinione comune che guarisca meglio, ma ci vuole<br />
troppo tempo; quella occidentale si considera “solo<br />
più rapida” e di questi tempi conviene. Nell’anno<br />
dell’H1N1 nelle scuole veniva distribuito un infuso che<br />
rafforzava le difese immunitarie. La Cina vanta un<br />
primato: le prime donne dottore, la prima risalirebbe<br />
38<br />
addirittura al tempo della dinastia Han (25-220 d.c.).<br />
La figura del medico donna si rendeva necessaria<br />
poiché era impensabile che un uomo potesse avvicinarsi<br />
ad una donna per visitarla. Le case di riposo non<br />
esistono: nella Cina di oggi in giro per la città si vedono<br />
solo giovani donne e giovani uomini, gli anziani in<br />
genere sono nelle campagne oppure li puoi trovare<br />
ogni mattina nei parchi dove si riuniscono a migliaia<br />
per cantare in coro, portare con se le gabbie degli<br />
uccellini, giocare a carte e ad altri strani giochi di<br />
società; trasmettono una serenità impagabile, soprattutto<br />
quando li vedi eseguire il Taiji Quan (l’arte marziale<br />
dai lenti movimenti armonici ed equilibrati) o scrivere<br />
con l’acqua ideogrammi sui mattoni per terra ed<br />
aspettare che si dissolvano al sole.<br />
E con loro, i contadini giardinieri <strong>dei</strong> roseti posti<br />
nello spartitraffico delle autostrade, il sorriso delle<br />
giovani filatrici nella fabbrica della seta, il carismatico<br />
venditore di perle, le cameriere silenziose <strong>dei</strong> ristoranti,<br />
i musici e le danzatrici del teatro di Xi’an, i decoratori<br />
di vasi, i soldatini timidissimi posti a guardia di ogni<br />
cosa, il guidatore di risciò malato di cuore che consegna<br />
il ventaglio ai clienti perché gli facciano vento durante<br />
la corsa e tutta la gente che discreta si avvicina per<br />
venderti qualcosa ad ogni angolo di strada, rimarranno<br />
sempre nel mio cuore.<br />
Tutto questo mi ricorda l’amore che si sprigiona<br />
per gli altri quando si onora il grande privilegio di fare<br />
il medico.
la parola ai colleghi<br />
Riflessioni sulla valutazione medico-legale<br />
sul settore dell’invalidità civile<br />
VELOCE EXCURSUS STORICO SUL TEMA<br />
di Beniamiino De Giorgi*<br />
Il dato storico<br />
La normativa legislativa e la prassi giurisprudenziale<br />
per l’erogazione di contributi economici o di altre<br />
provvidenze a carattere sociale sembra essersi adeguata,<br />
negli anni, ad alternanti esigenze di carattere<br />
“politico”<br />
Ricordo che un tempo, nel contenzioso con l’Inps<br />
per l’invalidità lavorativa, il CTU doveva determinare<br />
se il lavoratore che aveva presentato richiesta di<br />
pensione di invalidità avesse avuto “all’epoca della<br />
fase amministrativa della domanda” i requisiti idonei<br />
per ottenerla.<br />
Evidentemente, in quel tempo, si riconosceva solo<br />
all’Istituto assicuratore, con sua diretta valutazione, il<br />
diritto-dovere di determinare chi avesse titolo ad<br />
ottenere le prestazioni previste dalla legge, e questa<br />
valutazione era sempre successiva ad una richiesta<br />
che, logicamente, seguiva sempre il manifestarsi della<br />
malattia ritenuta invalidante.<br />
Al giudice era riconosciuto il potere di tutelare il<br />
lavoratore nel suo diritto solo dopo che questo era<br />
stato disatteso dall’Inps.<br />
Successivamente al giudice (in buona sostanza al<br />
suo CTU) è stata data facoltà di riconoscere il beneficio<br />
richiesto anche per malattie insorte successivamente<br />
alla domanda, e questo ha portato a qualche difficoltà<br />
40<br />
Quando, in passato, è stato<br />
demandato alle Asl il compito<br />
di costituire le Commissioni<br />
per la valutazione delle invalidità,<br />
la selezione <strong>dei</strong> loro componenti<br />
è stata effettuata senza badare<br />
a riunire medici con professionalità<br />
diverse ma concorrenti<br />
nell’ottimizzare la definizione<br />
diagnostica e medico legale<br />
nell’interpretazione e nell’attuazione delle norme,<br />
perché le diverse professionalità <strong>dei</strong> CTU offrono una<br />
competenza minore di quella <strong>dei</strong> medici dell’Inps, tutti<br />
selezionati e specializzati in quella specifica attività .<br />
Quando, nell’ambito dell’Invalidità Civile, è stato<br />
demandato alle ASL il compito di costituire le Commissioni<br />
per indicare chi aveva diritto ai benefici previsti, la<br />
selezione <strong>dei</strong> loro componenti è stata effettuata senza<br />
perseguire l’obiettivo di formare gruppi di medici con<br />
professionalità diverse ma concorrenti nell’ottimizzare<br />
la definizione diagnostica e medico legale.<br />
Per l’invalidità civile, quindi, a differenza dell’invalidità<br />
Inps, neppure nella fase amministrativa è stata prevista
una specifica professionalità medica adeguata allo<br />
scopo.<br />
Tale situazione, a mio avviso, ha contribuito ad<br />
aumentare oltre il prevedibile le pensioni di invalidità,<br />
le indennità di accompagnamento e il relativo contenzioso<br />
giudiziario.<br />
Ciò deve essere avvenuto per diverse ragioni, ma<br />
limitandomi ad ipotizzarne solo alcune rilevo che:<br />
- la modulistica <strong>dei</strong> verbali di visita che era stata<br />
predisposta per le Commissioni non consentiva la<br />
possibilità di descrivere l’esame obiettivo, perché<br />
prevedeva solo:<br />
a) anamnesi<br />
b) documentazione prodotta<br />
c) documentazione richiesta.<br />
I componenti le Commissioni, quindi, potevano<br />
esprimere valutazioni medico legali unicamente ribadendo<br />
diagnosi formulate da altri su referti e certificati<br />
medici che implicitamente, ma di fatto, includevano<br />
valutazioni medico legali: non altrimenti, infatti, può<br />
essere considerato un certificato che oltre alla diagnosi<br />
esprime anche un giudizio di gravità.<br />
Ecco allora che, ad esempio, per mancanza di<br />
spazio idoneo, è potuto accadere che una diagnosi<br />
di diabete mellito scompensato (logicamente poi<br />
ricompensato con adeguata terapia) ha continuato<br />
ad essere “diabete scompensato” sul verbale della<br />
Commissione per l’invalidità civile, così come ha<br />
continuato ad essere “cardiopatia in III classe NYHA”<br />
una insufficienza cardiaca così certificata mesi o anni<br />
prima, poi curata e migliorata ma come tale non<br />
documentabile perché sul verbale della Commissione<br />
non era stato previsto lo spazio fisico per descriverne<br />
l’obiettività .<br />
E lo stesso può dirsi per “prove di funzionalità<br />
respiratoria” verificate e certificate come patologiche<br />
in occasione di episodi di riacutizzazione di bronchiti<br />
croniche e non più valutate alla risoluzione del quadro<br />
clinico, come pure per diagnosi di “grave depressione<br />
del tono dell’umore”, il più delle volte secondaria ad<br />
un qualche lutto subito e come tutti i lutti elaborato<br />
con il tempo.<br />
41<br />
Le abitudini del passato<br />
hanno ormai consolidato una prassi<br />
metodologica e comportamentale<br />
nell’ambito di valutazione<br />
dell’invalidità civile non proprio<br />
ortodossa<br />
Queste certificazioni - sostanzialmente corrette<br />
all’epoca e per gli scopi clinici per i quali erano state<br />
rilasciate - qualora la persona non otteneva quanto<br />
richiesto venivano esibite a sostegno delle ragioni del<br />
ricorso giudiziario, presentato perché “la Commissione<br />
ha disatteso di valutare o non ha riconosciuto malattie<br />
esplicitamente certificate da medici specialisti o da<br />
qualificate strutture pubbliche”.<br />
Poiché è impensabile che per un errore reiterato<br />
negli anni si sia privato il medico legale dal poter<br />
descrivere l’esame obiettivo, che è elemento ineludibile<br />
per ogni sua valutazione, non è fuor di luogo ipotizzare<br />
che quella modulistica sia stata così predisposta<br />
proprio con lo scopo “politico” di favorire<br />
l’elargizione <strong>dei</strong> benefici previsti per gli invalidi
nell’ambito dell’invalidità civile<br />
deve interpretare criticamente,<br />
alla luce della sua professionalità<br />
e conoscenza, il quadro clinico<br />
che gli viene proposto<br />
civili, avendo anche opportunamente delineato una<br />
obbligata metodologia di valutazione medico legale<br />
che, in buona sostanza, de-responsabilizzava sotto<br />
ogni profilo sia i medici certificanti che quelli delle<br />
Commissioni.<br />
I primi, infatti, certificavano quanto rilevato all’atto<br />
della loro visita ( la quale, se non altrimenti specificato,<br />
si intende abitualmente richiesta per finalità medicocurative)<br />
e i secondi si limitavano ad applicare le<br />
valutazioni “tabellari” alle malattie certificate non avendo<br />
alcuna possibilità di descrivere sul verbale di visita<br />
alcuna obiettività diversa da quella certificata nel<br />
passato.<br />
la parola ai colleghi Colui che è stato deputato a valutare<br />
42<br />
L’attualità<br />
La “politica” da qualche tempo sembra aver voluto<br />
porre riparo a quanto ella stessa aveva consentito per<br />
un lungo periodo, ed ecco allora che oggi:<br />
a) sulla modulistica <strong>dei</strong> nuovi verbali di visita delle<br />
Commissioni è previsto lo spazio per descrivere l’esame<br />
obiettivo;<br />
b) un eventuale ricorso giudiziario contro il parere<br />
delle Commissioni può essere presentato solo entro<br />
sei mesi dalla definizione della fase amministrativa<br />
della domanda, così eliminando la possibilità concessa<br />
nel passato di presentarlo anche molti anni dopo,<br />
possibilità che suggeriva agli invalidi di attendere<br />
l’avanzare della vecchiaia o l’aggravamento delle<br />
malattie prima di adire le vie legali;<br />
c) è presente nelle Commissioni di Asl un medico<br />
dell’Inps;<br />
d) vengono effettuate moltissime visite di revisione<br />
le quali, atteso che le patologie rilevanti per indennità<br />
di accompagnamento o a fini pensionistici devono<br />
essere croniche e con menomazioni permanenti, altro<br />
non sono se non un ulteriore controllo sulle valutazioni<br />
delle Commissioni successivo a quello che è già stato<br />
effettuato al tempo delle vacche grasse.<br />
Le abitudini del passato, però, hanno ormai<br />
consolidato una prassi metodologica e comportamentale<br />
nell’ambito di valutazione dell’invalidità<br />
civile che può essere definita quanto meno non<br />
proprio ortodossa e che oggi è estremamente<br />
difficile da modificare, anche perché nel corso degli<br />
anni si sono formati con quelle indebite usanze (sia<br />
chiaro, non regole ) molti medici “con l’hobby della<br />
medicina legale” - come amava dire il compianto dott.<br />
Giuseppe Cerfeda - i quali, non avendo potuto sviluppare<br />
una adeguata competenza specialistica per<br />
mancanza di una corretta metodologia di riferimento,<br />
talora vengono “disorientati” ad opera di agguerriti,<br />
variegati e organizzati professionisti operanti nel settore.<br />
E difficile sembra essere il ritorno ad una corretta<br />
prassi metodologica medico legale perché spesso:
a) Vengono rilasciati, accettati e considerati validi,<br />
test o certificati medici specialistici privi di esame<br />
obiettivo, talora con diagnosi formulate unicamente<br />
sulla base di quanto riferito dal paziente;<br />
b) Non viene adeguatamente rilevato il fatto che la<br />
malattia, un tempo certificata presente e grave, possa<br />
essere (come il più delle volte accade) guarita o<br />
migliorata.<br />
Poiché la descrizione di quanto il medico evidenzia<br />
è, e deve essere, requisito essenziale del suo certificato,<br />
ritengo che eventuali suoi “foglietti” privi dell’ esame<br />
obiettivo esprimono non già una diagnosi di certezza<br />
o di grande probabilità ma indicano solo un possibilità<br />
diagnostica tra le tante, una semplice “ipotesi”.<br />
E’ universalmente noto che ciò che è “possibile”<br />
non ha rilevanza significativa in medicina legale<br />
eppure molte volte, in questo ambito, indebitamente,<br />
ad una “ipotesi“ si riconosce dignità<br />
di diagnosi e certificazione di malattia!<br />
Tutto ciò porta ad una serie di problemi per una<br />
corretta gestione dell’istituto dell’invalidità che si<br />
manifestano, tra l’altro, nella non omogenea valutazione<br />
di uno stesso caso clinico ( per cui perseveranza nel<br />
contenzioso giudiziario) tra chi riconosce e chi non<br />
riconosce valore probatorio alla certificazione sanitaria<br />
esibita, ed anche in una certa difficoltà a ben delineare<br />
identità e ruolo <strong>dei</strong> vari professionisti di volta in volta<br />
chiamati in causa.<br />
Ad esempio, in presenza di una corposa documentazione<br />
specialistica che per quanto innanzi detto si<br />
può definire non ortodossa, molti si domandano se il<br />
CTU debba svolgere un ruolo di medico esperto nel<br />
settore oppure solo funzioni di “notaio-ragioniere”,<br />
avendo il compito di assegnare, a diagnosi formulate<br />
da altri, numeri (di codice) con i quali effettuare semplicissimi<br />
calcoli.<br />
Io sono tra coloro per i quali colui che è stato<br />
deputato a valutare nell’ambito dell’invalidità civile (il<br />
CTU o la Commissione, ad esempio) deve interpretare<br />
criticamente, alla luce della sua professionalità e<br />
conoscenza, il quadro clinico che gli viene proposto,<br />
43<br />
Una diversa valutazione,<br />
da parte del Ctu, di una corretta<br />
documentazione esibita all’atto<br />
della domanda, consentirebbe<br />
di riconoscere il diritto preteso<br />
fin dalla domanda stessa<br />
perché la certificazione sanitaria che gli viene prodotta<br />
è solo una, e non la più rilevante, delle tante componenti<br />
che concorrono nella formulazione del parere conclusivo.<br />
Infatti, se analizziamo i certificati compilati in maniera<br />
che ho ritenuto non adeguata, rileviamo che quanto<br />
in essi è scritto per finalità cliniche dal medico specialista,<br />
non impegna la sua responsabilità se successivamente,<br />
un altro medico, con finalità diverse, trasforma<br />
in “diagnosi” quello che era stato semplicemente<br />
indicato come un “parere”.<br />
Lo specialista, infatti, non avendo descritto alcun<br />
esame obiettivo ha semplicemente inteso formulare<br />
- al paziente che si è rivolto a lui o al medico che ha
la parola ai colleghi<br />
Commissioni ed Inps non possono<br />
essere considerate “parti”<br />
in un eventuale contenzioso,<br />
perché hanno come unico obiettivo<br />
il rispetto delle norme per cui quanto<br />
rilevato dai loro medici, fino a prova<br />
contraria, riveste valore di dato<br />
obiettivo<br />
richiesto la sua consulenza - un’ipotesi diagnostica<br />
sulla base di un corretto ragionamento scientifico,<br />
anche se articolato solo sull’anamnesi.<br />
Evidentemente, però, in ambito medico legale, ad<br />
una diagnosi formulata senza la descrizione dell’esame<br />
obiettivo deve essere riconosciuto valore estremamente<br />
ridotto rispetto ad ogni altra, da quella difforme, basata<br />
su elementi obiettivi.<br />
Un altro problema creato da siffatta pseudocertificazione<br />
sta nel fatto che essa non offre elementi<br />
in virtù <strong>dei</strong> quali altri siano messi in condizione di valutare<br />
se le conclusioni diagnostiche certificate possano essere<br />
44<br />
condivisibili, né consente di valutare se il quadro clinico<br />
ha subito modificazioni nel tempo: mancando l’obiettività<br />
di allora, infatti, non si può verificare se la situazione di<br />
oggi è la stessa, è migliorata, oppure è peggiorata<br />
rispetto a quella del passato.<br />
E questo è importante, perché una diversa valutazione,<br />
da parte del CTU, di una corretta documentazione<br />
esibita all’atto della domanda, consentirebbe di<br />
riconoscere il diritto preteso fin dal tempo della sua<br />
richiesta.<br />
Un discorso a parte merita il fatto che taluni attribuiscono<br />
o reclamano significatività diagnostica e<br />
valutativa a test che appositi studi scientifici hanno<br />
validato in ambiti e per scopi assolutamente diversi<br />
da quelli della medicina legale.<br />
Il riferimento è, per il loro frequente impiego, al<br />
MMSE, preso talora acriticamente come elemento<br />
determinante a sostegno della diagnosi di demenza<br />
e della sua gravità, nonché alla valutazione delle abilità<br />
funzionali ricavata dai punteggi delle ADL e IADL,<br />
anche se questi siano stati basati unicamente su dati<br />
anamnestici, con domande rivolte all’interessato (o<br />
alla persona che lo accompagna a visita) del tipo:<br />
“riesce a fare il bagno, ad alimentarsi, a vestirsi, a<br />
coricarsi, ad usare il telefono, ad usare mezzi pubblici<br />
di trasporto, ad adoperare correttamente il denaro, a<br />
prendere le medicine ………da solo”?<br />
Ma, di grazia, quale valore può essere attribuito<br />
alle risposte di chi ha richiesto indennità di accompagnamento<br />
o ha iniziato un procedimento legale proprio<br />
per dimostrare che non è più in grado di fare nulla<br />
proprio di ciò che gli viene domandato?<br />
Tutto questo, a mio avviso, dovrebbe essere modificato<br />
perché, quanto meno, produce incertezza.<br />
Orbene, considerando che una non corretta certificazione<br />
ed una non esaustiva compilazione <strong>dei</strong> verbali<br />
di visita rende difficoltoso il lavoro del CTU, ho pensato<br />
di presentare alla valutazione <strong>dei</strong> miei Colleghi, e di<br />
quanti altri possano averne curiosità o interesse, alcune<br />
osservazioni e, perché no, anche alcuni sommessi<br />
suggerimenti e proposte.
Osservazioni<br />
1) Per i compiti e le funzioni a loro riconosciute<br />
dalle leggi, ritengo che le Commissioni per l’invalidità<br />
civile e l’Inps hanno lo scopo, se in presenza di adeguati<br />
requisiti, di riconoscere (non di negare) il diritto ad<br />
usufruire <strong>dei</strong> benefici richiesti. Ne deriva che Commissioni<br />
ed Inps non possono essere considerate<br />
“parti” in un eventuale contenzioso, perché hanno<br />
come unico obiettivo il rispetto delle norme, e<br />
quanto rilevato dai loro medici, fino a prova contraria,<br />
riveste valore di dato obiettivo.<br />
Coerentemente e con la stessa logica, però ritengo<br />
che in mancanza di obiettività clinico-funzionale descritta<br />
sul verbale di visita dal collegio medico della<br />
Commissione, assume valore determinante, fino a<br />
prova contraria, l’obiettività descritta nella certificazione<br />
medica esibita da colui che chiede, a condizione che<br />
questa sia stata compilata e rilasciata con tutti i requisiti<br />
previsti dalle norme.<br />
Da un lato, quindi, sottolineo l’importanza, e oserei<br />
dire l’obbligo istituzionale, di descrivere l’esame obiettivo<br />
da parte delle Commissioni per l’invalidità civile, dall’altro<br />
attribuisco importanza determinate, per il suo buon<br />
esito, al certificato medico allegato alle richieste, perchè<br />
nell’ interesse specifico degli invalidi esso merita di<br />
essere compilato correttamente e con idonea professionalità<br />
e competenza .<br />
E questo, purtroppo, bisogna riconoscerlo, non<br />
sempre avviene.<br />
2) Penso che colui che chiede o successivamente<br />
ricorre in giudizio contro il parere della Commissione<br />
o dell’Inps, deve essere considerato “parte”, e di parte<br />
devono essere ritenute le certificazioni mediche che<br />
produce. A queste, però, deve essere riconosciuto<br />
valore probatorio quando – secondo le conoscenze<br />
scientifiche maggiormente condivise – appaiono coerenti<br />
con l’obiettività rilevata dal CTU e con l’abituale<br />
evoluzione delle malattie che descrivono.<br />
3) E’ censurabile il comportamento delle Commissioni<br />
per l’invalidità civile che non riconoscono valore<br />
45<br />
I certificati ed i referti medici allegati<br />
alle domande dovrebbero segnalare<br />
non le condizioni cliniche<br />
del passato bensì i problemi attuali,<br />
e solo se “attivi” in ordine al deficit<br />
di funzione che procurano<br />
a certificati rilasciati da medici liberi professionisti,<br />
perché dicono di dovere prendere in esame solo quelli<br />
“rilasciati da strutture pubbliche o convenzionate”.<br />
Non ho conoscenza di alcuna norma che limiti la<br />
validità di certificati rilasciati da liberi professionisti, e<br />
nello stesso tempo non credo che vi sia taluno che<br />
possa sentirsi legittimamente autorizzato ad emanare<br />
disposizioni limitative del diritto/dovere di ogni medico<br />
a far valere la sua certificazione a tutti gli effetti consentiti<br />
dalla legge.<br />
D’altra parte tale comportamento oltre che illegittimo<br />
appare del tutto illogico e incoerente, perchè ogni<br />
medico “di struttura pubblica” può operare anche in<br />
essa quale libero professionista.<br />
In proposito, invece, ricordo che vi è una disposizione<br />
ministeriale per la quale la valutazione medico
ilasciate da struttura pubblica ogni volta che le Commissioni<br />
siano chiamate ad esprimere un parere “di<br />
scienza” per il decesso dell’invalido. E di questa<br />
disposizione posso ipotizzarne la logica: poiché la<br />
prestazione rilasciata da struttura pubblica ha l’obbligo<br />
di registrazione, questa consente di documentare la<br />
data certa di compilazione dell’atto come precedente<br />
al decesso.<br />
Della serie: pensar male è peccato però….<br />
4) In occasione delle visite di revisione “a campione”,<br />
per confermare o meno le provvidenze che sono già<br />
state riconosciute agli invalidi, l’Inps richiede loro la<br />
documentazione sanitaria che, a conferma delle malattie<br />
lamentate, avevano esibito nel passato e per le<br />
quali hanno ottenuto i benefici richiesti.<br />
Questa, a meno che non sia un falso pretesto per<br />
nobili scopi, appare una pretesa vessatoria e comunque<br />
irragionevole perché non si può pretendere che persone<br />
il più delle volte anziane, invalide o non autonome<br />
negli atti quotidiani della vita abbiano avuto l’accortezza<br />
di conservare una documentazione sanitaria che ha<br />
già svolto il suo ruolo e che neppure le Commissioni<br />
per l’invalidità civile delle ASL hanno ritenuto di dover<br />
utilmente conservare perché non sono in grado di<br />
esibire a richiesta dell’Inps.<br />
la parola ai colleghi legale deve essere formulata sulla base di certificazioni<br />
46<br />
D’altra parte, di fronte ad una verifica sulla legittimità<br />
del provvedimento di concessione di un beneficio, le<br />
parti sono due: chi ha ottenuto il beneficio e chi lo ha<br />
autorizzato. Ed allora sembra logico ritenere che tutte<br />
e due le parti siano tenute, nella stessa misura e<br />
responsabilità, a conservare ed esibire, se richiesta,<br />
la documentazione comprovante la liceità e/o la legittimità<br />
<strong>dei</strong> fatti.<br />
Inoltre, a conferma del comportamento quanto<br />
meno irragionevole dell’Inps verso gli invalidi, è il caso<br />
di sottolineare che questo Istituto, nel contenzioso<br />
giudiziario che riguarda suoi assicurati, non esibisce<br />
alle controparti che la richiedono la documentazione<br />
sanitaria sui casi in discussione.<br />
Come a dire: due pesi e due misure.<br />
Suggerimenti<br />
1) Poiché le ragioni per le quali una persona ritiene<br />
di non poter lavorare o di non poter vivere da sola non<br />
sono le malattie in quanto tali bensì tutti i sintomi e/o<br />
le difficoltà esistenziali che le malattie gli procurano,<br />
i certificati ed i referti medici allegati alle domande<br />
dovrebbero segnalare non le condizioni cliniche del<br />
passato bensì i problemi attuali, e solo se “attivi” in<br />
ordine al deficit di funzione che procurano.<br />
Questo per evitare, come spesso avviene, che<br />
siano documentate malattie altamente incidenti sulle<br />
capacità di lavoro o sull’autonomia personale in uno<br />
con corpose e inutili documentazioni di condizioni<br />
cliniche del tutto irrilevanti.<br />
In tal modo la scelta della certificazione esibita<br />
darebbe al medico, chiamato a valutare il caso, la<br />
sensazione di una persona che ha ben compreso le<br />
ragioni della sua richiesta e che per raggiungere il suo<br />
obiettivo segue un percorso chiaro e coerente;<br />
Non deve essere sottaciuto, infatti, che in molti<br />
casi appare di tutta evidenza che l’iter della richiesta<br />
del beneficio previsto dalla norma sia stato avviato<br />
non, come logicamente dovrebbe essere, per<br />
l’insorgenza di sintomi o menomazioni ( da cui conse-
guenti e logici accertamenti clinici e strumentali) bensì<br />
solo dopo avere eseguito accertamenti clinici e strumentali<br />
“a tappeto” che poi, se patologici, hanno<br />
indotto a lamentare i sintomi resi verosimili da quelli<br />
accertamenti.<br />
Questa abitudine è solo a danno degli invalidi che<br />
si vedono costretti a percorrere una via crucis diagnostico/certificativa<br />
spesso molto onerosa, a volte irrazionale,<br />
sempre inutile se valutata da un CTU competente.<br />
2) Il certificato medico introduttivo della domanda,<br />
a mio avviso:<br />
a) deve ind are solo quei sintomi ( e non altri) che<br />
rilevano nel ridurre le capacità lavorative o l’autonomia<br />
personale ;<br />
b) deve essere compilato correttamente, e senza<br />
esclusione alcuna deve comprendere: anamnesi,<br />
esame obiettivo, diagnosi, valutazione funzionale,<br />
valutazione prognostica;<br />
c) lo si dovrebbe associare solo a documentazioni<br />
clinico-strumentali che confermano quelle patologie<br />
le quali rendono certe o verosimilmente permanenti<br />
le menomazioni che di esse ne sono conseguenza;<br />
d) deve essere attentamente conservato insieme<br />
altra documentazione specialistica eventualmente<br />
esibita perché, se correttamente compilato e con<br />
l’indicazione esplicita del suo scopo, in caso di ricorso<br />
giudiziario o di visita di revisione, attesta il quadro<br />
clinico quale era all’epoca della presentazione della<br />
domanda;<br />
A mio avviso, esibendo siffatta certificazione<br />
l’invalido che abbia una malattia tra quelle esplicitamente<br />
indicate dal Ministero per l’esonero dai<br />
controlli può evitare di essere sottoposto a visite<br />
di revisione, anche se l’Asl non è in grado di produrre<br />
le documentazione che le viene richiesta dall’INPS.<br />
3) Le Commissione per l’invalidità civile devono<br />
avvertire l’obbligo di descrivere l’obiettività degli<br />
organi e/o apparati per i quali è stato lamentato<br />
o certificato un deficit di funzione: questo è necessario<br />
per pervenire ad una correttezza formale e<br />
47<br />
Il certificato medico deve essere<br />
considerato valutabile in ambito<br />
medico legale solo se possiede<br />
i requisiti “canonici” previsti,<br />
e tra questi ineludibili devono essere<br />
l’esame obiettivo e l’indicazione<br />
delle finalità per le quali<br />
il documento è stato richiesto<br />
e rilasciato<br />
sostanziale all’atto medico e per dare credibilità e<br />
connotazione di terzietà alla valutazione medico legale.<br />
Se, infatti, si può giustificare l’inadempienza del<br />
medico di medicina generale nella non corretta compilazione<br />
di un certificato con finalità medico legali,<br />
non trova giustificazione alcuna la mancata descrizione<br />
dell’esame obiettivo da parte di chi è stato deputato<br />
a quella funzione proprio perché ritenuto competente.<br />
Non descrivere l’obiettività clinica, se da un lato<br />
impedisce ogni successiva valutazione da parte di altri<br />
sul merito del proprio operato ( e non è buona cosa),<br />
dall’altro espone a legittima censura il giudizio medicolegale<br />
perché risulterebbe formulato in assenza di un<br />
elemento ineludibile per la formulazione della diagnosi<br />
( e questo è ancora peggio).<br />
Infatti, su quali basi dimostro di aver espresso il<br />
mio giudizio se non descrivo gli elementi che me lo<br />
hanno consentito? E come altri, successivamente,<br />
avendone titolo, possono valutare il mio operato se<br />
non hanno a disposizione gli elementi sui quali ho<br />
formulato la mia diagnosi? Ed infine, nell’ipotesi che<br />
la condizione clinica di oggi riconosca il diritto del<br />
richiedente a quanto precedentemente gli è stato<br />
negato, su quali elementi, altri, (i CTU, ad esempio)<br />
potrebbero determinare l’epoca da cui far decorrere<br />
l’acquisizione del beneficio richiesto?<br />
4) Come già correttamente l’Inps, anche le Commissioni<br />
Invalidi Civili devono acquisire e valutare tutte
non operano in strutture pubbliche, per evitare di<br />
incorrere in un comportamento censurabile perché<br />
non corretto, arrogante, illegittimo, irrazionale e illogico.<br />
5) Il certificato medico deve essere considerato<br />
valutabile in ambito medico legale solo se possiede i<br />
requisiti “canonici” previsti, e tra questi devono essere<br />
ineludibili l’esame obiettivo e l’indicazione delle finalità<br />
per le quali il documento è stato richiesto e rilasciato.<br />
6) Fino a quando non vi saranno test esplicitamente<br />
validati per finalità medico legali, per quanto riguarda<br />
la valutazione delle capacità cognitive e delle abilità<br />
nella vita quotidiana, ritengo che capacità cognitive e<br />
abilità debbano essere considerate documentate solo<br />
se obiettivate dal medico che le certifica.<br />
Percentuali di inabilità<br />
Il CTU, nei casi in cui la “tabella” prevede un range<br />
di percentuali di inabilità deve sempre indicare i motivi<br />
per i quali assegna alla malattia diagnosticata quel<br />
determinato punteggio.<br />
Se questo sarà fatto, se sarà attentamente valutata<br />
la documentazione esibita osservandone e segnalandone<br />
la coerenza (o meno) nella evoluzione delle<br />
malattie, e se sarà considerata l’incidenza di eventuali<br />
la parola ai colleghi le certificazioni esibite, comprese quelle di medici che<br />
48<br />
fattori coesistenti senza limitarsi ad ascrivere acriticamente<br />
una malattia ad un “codice” tabellare, allora<br />
sarà più difficile pervenire a valutazioni diverse per<br />
medesime patologie.<br />
Sul punto, noto che in sede di contenzioso giudiziario<br />
è costante la richiesta <strong>dei</strong> procuratori degli invalidi<br />
di reclamare che una malattia sia valutata con il<br />
massimo valore di inabilità per essa previsto dalla<br />
tabella di riferimento, mentre molti CTU tendono ad<br />
ascriverla o al valore massimo o al valore minimo per<br />
essa indicato. Questo equivale, nella sostanza, ad<br />
attribuire prefissate percentuali di inabilità anche a<br />
malattie nelle quali il quadro clinico-funzionale è modificabile<br />
dall’intervento terapeutico o dalla loro naturale<br />
evoluzione.<br />
Io ritengo che sia possibile attribuire percentuali<br />
di inabilità in misura fissa solo a condizioni cliniche<br />
che realizzano un deficit di funzione costante nel tempo<br />
(come è ad esempio per la perdita anatomica o funzionale<br />
di un arto o di un organo) mentre nei restanti<br />
casi, che sono la maggioranza, occorre tenere conto<br />
di diversi elementi che concorrono nel determinare<br />
l’incidenza di una malattia che per sua natura è soggetta<br />
a variazioni.<br />
Malattie “dinamiche”, ad esempio, possono essere<br />
considerate molte cardiopatie perché il più delle volte<br />
rispondono anche in misura altamente significativa al<br />
trattamento terapeutico e perché, di converso, possono<br />
essere progressive nella loro evoluzione peggiorativa.<br />
Orbene, se la malattia cardiaca può peggiorare o<br />
migliorare allora non la si può ascrivere oggi ad una
“classe NHYA” alla quale era stata ascritta ieri in<br />
occasione di una visita medica o di un ricovero ospedaliero.<br />
Invece, al tempo della valutazione che viene loro<br />
richiesta, son i CTU, i medici dell’Inps e della Commissione<br />
per l’invalidità civile i quali, sulla base dall’iter<br />
sanitario come documentato e in ragione delle loro<br />
conoscenze tecniche, hanno la possibilità sia di determinare<br />
la sua gravità che la sua certa o probabile<br />
non emendabilità, e in virtù di questi elementi possono<br />
attribuire percentuali di inabilità con motivazioni bene<br />
argomentate, esaustive e pertanto difficilmente confutabili.<br />
Con intenti chiarificatori faccio alcuni esempi, per<br />
quei pochi lettori non medici che avranno l’occasione<br />
di leggere queste mie riflessioni.<br />
a) Una miocardite acuta può realizzare uno scompenso<br />
cardiaco che viene certificato come cardiopatia<br />
in III-IV classe NYHA: eppure la miocardite acuta può<br />
guarire perfettamente senza alcun deficit di funzione.<br />
b) Un infarto acuto del miocardio comporta sempre<br />
una grave insufficienza cardiaca, ma nella fase di<br />
stabilizzazione della lesione il deficit funzionale deve<br />
essere valutato in ragione dell’entità della capacità<br />
contrattile residuata alla fase acuta e in base alla<br />
permanenza e all’entità del deficit coronarico (se non<br />
è stato emendato con intervento di rivascolarizzazione).<br />
c) Una cardiopatia ipertensiva, nel contesto di un<br />
più vasto quadro clinico, può perfino esordire con un<br />
grave scompenso cardio-circolatorio, ma con un<br />
trattamento terapeutico adeguato può non manifestare<br />
successivamente alcuna insufficienza cardiaca.<br />
Da questi pochi esempi credo si possa comprendere<br />
come la minore o maggiore gravità della malattia<br />
- che nell’ambito dell’invalidità civile deve essere<br />
valutata anche in ordine alla sua permanenza e non<br />
emendabilità - non può essere determinata da un<br />
singolo certificato medico perché, invece, deve essere<br />
stabilita in rapporto alla sua evoluzione (come documentata<br />
) nonché alla valutazione dell’incidenza di<br />
altre eventuali condizioni coesistenti: un ruolo significativo,<br />
ad esempio, è sostenuto dall’età del paziente,<br />
49<br />
dall’obesità, dalla presenza di alcune patologie endocrine<br />
o metaboliche.<br />
Se ci soffermiamo sulle malattie del cuore, vediamo<br />
che le più frequenti di queste sono elencate nella<br />
“tabella” ministeriale, indicativa delle percentuali di<br />
inabilità, con i codici compresi tra il 6441 e il 6448.<br />
Questi codici si riferiscono a “miocardiopatie –<br />
valvulopatie - coronaropatie con insufficienza cardiaca<br />
lieve – moderata – grave - gravissima”<br />
Dal fatto che la tabella in esame, nei suddetti codici,<br />
non riconoscere alcuna percentuale di inabilità per<br />
cardiopatie che siano senza insufficienza, si ha<br />
conferma che una sia pur minima percentuale di<br />
inabilità la si può attribuire solo in presenza di un<br />
deficit di funzione, se esistente.<br />
Ed allora, se è l’insufficienza che determina la<br />
percentuale di inabilità e non la malattia in quanto tale,<br />
ne deriva che solo dal grado dell’eventuale documentata<br />
permanente insufficienza si può ascrivere<br />
una cardiopatia alla I o alla II o alla III o alla IV<br />
classe NYHA .
la parola ai colleghi<br />
E che cosa è l’insufficienza cardiaca?<br />
Sempre per i non addetti ai lavori, ricordo che la<br />
definizione maggiormente condivisa la identifica in<br />
“una situazione fisiopatologia in cui una alterazione<br />
della funzione cardiaca è responsabile dell’incapacità<br />
del cuore a pompare sangue ad una velocità adeguata<br />
alle esigenze metaboliche <strong>dei</strong> tessuti”.<br />
E’ di tutta evidenza che tale definizione implicitamente<br />
afferma che, pur in presenza di situazioni<br />
fisio-patologiche, non sempre si realizza una condizione<br />
di insufficienza.<br />
Se ciò è possibile, e lo è, allora si deve riconoscere<br />
che alcune condizioni cardiache, specie quelle che si<br />
possono diagnosticare solo con l’ausilio di indagini<br />
strumentali ( eco-color-doppler, ad esempio) o alcuni<br />
fisiologici adattamenti del muscolo cardiaco a particolari<br />
impegni fisici (come l’ipertrofia che si realizza nel cuore<br />
d’atleta o in persone addette abitualmente a lavori<br />
pesanti) non determinano alcun deficit di funzione e<br />
quindi non comportano alcuna percentuale di inabilità.<br />
Queste “malattie”, che nella pratica cardiologia<br />
frequentemente si identificano nella lieve ipertrofia<br />
ventricolare sinistra, nella fibrosi valvolare con conseguente<br />
lieve insufficienza, nell’ipertensione arteriosa<br />
rilevata solo saltuariamente o in particolari situazioni<br />
come stress o malesseri vari, non incidono in alcun<br />
modo sulle capacità lavorative o sulla quotidianità<br />
della vita perché non comportano quella “insufficienza”<br />
che è condizione esplicitamente prevista per potere<br />
assumere dignità di malattie invalidanti.<br />
D’altronde, ogni medico che abbia insieme un po’<br />
di esperienza clinico/terapeutica e l’hobby della medicina<br />
legale (tra i quali mi includo), se non è ossessionato<br />
dal pensiero di dovere attribuire ad ogni<br />
“malattia” un “numero” di codice elencato su una<br />
tabella , può tranquillamente convenire sul fatto che<br />
una ipertrofia ventricolare sinistra in chi ha svolto per<br />
lungo tempo lavori pesanti, o una sclerosi <strong>dei</strong> lembi<br />
valvolari (pressocchè abituale nell’età avanzata), o una<br />
ipertensione arteriosa senza retinopatia ipertensiva<br />
e/o rilevata solo occasionalmente, sono aspetti clinici<br />
50<br />
para-fisiologici che non producono alcuna insufficienza<br />
cardiaca e pertanto non sono ascrivibili ad alcun<br />
“codice”.<br />
Conclusioni<br />
Sono stato indotto ad esporre alcune riflessioni<br />
sulla valutazione medico legale nel settore dell’invalidità<br />
civile perché ritengo sia utile e di attualità uno scambio<br />
di opinioni sull’argomento con i Colleghi medici che<br />
possano averne interesse .<br />
Nel mio ormai lungo (ahimé) percorso professionale<br />
ho sempre privilegiato il confronto delle idee rispetto<br />
alle certezze per cui, in questo modesto impegno di<br />
scrittura, ho colto una favorevole occasione per continuare<br />
e possibilmente estendere a più persone<br />
l’abituale esercizio dialettico che tra l’altro, come ben<br />
sapete, sembra essere utilissimo per invecchiare il più<br />
tardi possibile.<br />
Esprimo gratitudine a Salento Medico perchè mi<br />
ha dato la possibilità di pubblicare il mio pensiero e<br />
riterrò di aver raggiunto un grande risultato se anche<br />
uno solo <strong>dei</strong> suoi lettori vi avrà trovato ulteriore stimolo<br />
per continuare ad approfondire le sue conoscenze in<br />
questo settore delle medicina.<br />
Beniamino De Giorgi - Geriatra -<br />
Via Gentile n.37 – <strong>Lecce</strong> -<br />
Tel. 338.4540614<br />
mail : degiorgibeniamino@ virgilio. it.
Imponderabili certezze degli ordini di servizio<br />
RIFLESSIONI DI UN DIRETTORE MEDICO DI OSPEDALE<br />
di Luigi Cosentino<br />
L<br />
a prima volta che ho sentito pronunciare la frase<br />
“Ti faccio un ordine di servizio!” è stata quando<br />
il mio direttore medico aveva deciso di obbligare un<br />
cardiologo a coprire un turno lasciato vacante da una<br />
collega che, grazie a intercessioni superiori, era stata<br />
autorizzata (e sponsorizzata) a partecipare a un congresso<br />
internazionale nella splendida location di Parigi.<br />
A nulla erano valse le efficaci argomentazioni del<br />
cardiologo sui turni da lui già fatti, sull’attività assistenziale<br />
in reparto e in ambulatorio che l’avrebbero impegnato<br />
in quei giorni, sulla regola non scritta che obbliga<br />
ogni professionista a garantire comunque (con scambi,<br />
sostituzioni, cortesie) la copertura di un suo turno in<br />
caso di assenza per congressi.<br />
Il mio direttore era stato irremovibile, seppure parco<br />
di motivazioni nel merito della sua decisione, dal<br />
momento che, dal suo punto di vista, il semplice fatto<br />
di averglielo chiesto costituiva di per sé una ragione<br />
più che sufficiente e legittima perché lui accettasse.<br />
Cosicché davanti al rifiuto, garbatamente motivato,<br />
opposto dal cardiologo, il direttore aveva deciso di<br />
ricorrere, prima nei toni verbali e poi nelle decisioni<br />
formali, al “principio di autorità” e di relazione gerarchica.<br />
Così fece predisporre un ordine di servizio, lo firmò<br />
con ostentata determinazione e lo fece notificare al<br />
povero cardiologo. E il problema venne rapidamente<br />
risolto. Almeno così pareva.<br />
Rimasi impressionato da tanta forza e inflessibilità<br />
51<br />
In ospedale gli ordini di servizio,<br />
salvo rare eccezioni,<br />
non determinano necessariamente<br />
i comportamenti e, quindi,<br />
permanendo in essi una evidente<br />
componente di imprevedibilità,<br />
non possono garantire<br />
i risultati attesi<br />
che apparivano discendere da una magnifica chiarezza<br />
di idee sui ruoli, sulle dinamiche relazionali e sugli<br />
strumenti decisionali da adoperare nell’ambito della<br />
organizzazione ospedaliera. E mi chiesi quanto tempo<br />
sarebbe occorso, se mai ci fossi riuscito, per acquisire<br />
una tale esperienza e facilità di azione.<br />
Ci sono voluti dieci anni prima che mi rendessi<br />
conto dell’assurdità del comportamento del mio direttore<br />
e soprattutto della pochezza culturale <strong>dei</strong> suoi<br />
comportamenti e della sua “lettura e interpretazione”<br />
dell’organizzazione-ospedale.<br />
In verità, qualche minimo dubbio sulla rassicurante<br />
efficacia di quella “decisione gerarchica” mi era venuto<br />
dopo due giorni, quando il cardiologo abbandonò il<br />
servizio, con tanto di referto di Pronto Soccorso,
la parola ai colleghi<br />
perché colto da “Sindrome vertiginosa. Crisi ipertensiva<br />
da probabile stress” proprio la mattina del giorno in<br />
cui avrebbe dovuto coprire il turno di notte, come da<br />
disposizione n. 1803 del direttore medico.<br />
Così il cardiologo rimase a casa per venti giorni e<br />
i turni da coprire diventarono quattro.<br />
Il mio dubbio era centrato su questa semplice<br />
osservazione: “Ma se la decisione del direttore sembrava<br />
essere così esemplare e incisiva come mai il<br />
risultato finale era stato un significativo peggioramento<br />
del problema?”.<br />
E tuttavia l’espressività risolutiva di quella frase “ti<br />
faccio un ordine di servizio!” mi aveva annebbiato gli<br />
occhi e il cervello. Avrei continuato, per dieci anni, a<br />
compulsare la letteratura e rincorrere i direttori esperti<br />
per cercare di scoprire i segreti di alcune parole chiave<br />
che avrebbero certamente guidato e resa efficace la<br />
mia azione direzionale: livelli gerarchici, linea di comando,<br />
via gerarchica, ruoli. Ma soprattutto tre concetti<br />
mi sembravano meritare una ricerca appassionata e<br />
continua: prescrizioni, regole, norme. Erano diventati<br />
ormai il mio Sacro Graal.<br />
La gerarchia, le regole, le norme quali strumenti<br />
privilegiati e decisivi per guidare e determinare i comportamenti<br />
delle persone nell’organizzazione - ospedale.<br />
Quando il Dott. Fulvio Forino, in una stanzetta<br />
dell’Università la Sapienza mi mostrò un bicchiere di<br />
acqua pieno a metà e mi chiese “E’ mezzo pieno o<br />
è mezzo vuoto?” e poi aggiunse, davanti al mio silenzio,<br />
“E’ mezzo pieno e mezzo vuoto,” si squarciò un<br />
orizzonte prima imbarazzante e ben presto affascinante<br />
che mi avrebbe costretto a fare i conti con nuovi<br />
concetti: complessità, sistemi complessi, pensiero<br />
sistemico, visione olistica.<br />
E nello specifico del mondo sanitario: organizzazioni<br />
complesse, direzione <strong>dei</strong> sistemi complessi, apprendimento<br />
organizzativo. Erano appunto passati dieci<br />
anni. Oggi ne sono trascorsi altri dieci e credo di<br />
essere giunto alla seguente conclusione: “In ospedale<br />
gli ordini di servizio, salvo rare eccezioni, non determi-<br />
52<br />
Le regole “non sono altro<br />
che la conclusione sempre<br />
provvisoria, precaria e problematica<br />
di una prova di forza”<br />
nano necessariamente i comportamenti e, quindi,<br />
permanendo in essi una evidente componente di<br />
imprevedibilità, non possono garantire i risultati attesi”.<br />
Detto in altri termini, nel governo di un’organizzazione<br />
complessa come l’ospedale è fuorviante e<br />
aleatorio “chiedere certezze”alle disposizioni di servizio<br />
(che solo in specifiche situazioni e non dunque di per<br />
sé stesse, possono avere senso e produrre efficacia)<br />
ma occorre che le strutture formali di una organizzazione<br />
siano” interrelate e si influenzino” con le<br />
strutture informali (N. Nohria, 1994) e dunque bisogna<br />
imparare a “convivere con l’incertezza” orientando<br />
l’organizzazione sulla base di altri costrutti (contesti<br />
formativi, comunità di pratica, sensemaking) e con<br />
differenti strumenti operativi (governo clinico, team,<br />
integrazione multidisciplinare).<br />
La conclusione possibile è che le mie attuali mappe<br />
cognitive sono profondamente cambiate e, forse, solo<br />
pochi residui elementi di “retorica gerarchica” novecentesca<br />
sono rimasti impigliati negli “schemi di rete”<br />
delle relazioni informali tra nodi e agenti che si sforzano<br />
di guidare il tentativo di meglio comprendere e assecondare<br />
la cultura organizzativa del terzo millennio.<br />
Il tempo è maturo allora per cercare di rispondere<br />
a una domanda cruciale: “le norme, le regole ovvero<br />
le prescrizioni o regolamentazioni determinano effettivamente<br />
i comportamenti organizzativi”?<br />
E più precisamente: “la regola intesa come manifestazione<br />
della volontà da parte dell’autorità di far sì<br />
che un soggetto si comporti in un determinato modo<br />
(aspetto prescrittivo) è in grado di determinare il<br />
comportamento previsto”?<br />
La concezione meccanicistica dell’organizzazione
Chi si ostina a considerare<br />
l’organizzazione come una macchina<br />
che funziona secondo regole<br />
che sono progettabili e modificabili<br />
da un “progettista conduttore”<br />
esperto e razionale agisce<br />
in un contesto culturale della prima<br />
metà del Novecento<br />
(Taylor, 1911; Weber 1922) fondata sul paradigma<br />
giuridico-formale del modello burocratico ritiene che<br />
le persone e le organizzazioni si comportino secondo<br />
quanto previsto dalle norme. Tale concezione è fondata<br />
sul costrutto dell’homo juridicus che è “spinto” dalle<br />
forze inerziali delle norme stesse (J. Elster, 1989) e<br />
quindi, al cambiare delle norme, conformemente e<br />
conseguentemente, cambia il comportamento<br />
dell’homo juridicus. E’ sufficiente adottare e/o modificare<br />
le norme e i regolamenti per ottenere i comportamenti<br />
“disegnati e auspicati dai progettisti” (costrutto<br />
razionale: modello ottimale , one best way).<br />
Tale costrutto non tiene però conto della “intrinseca<br />
equivocità della norma” (K. Weick, 1995) che deve<br />
essere “interpretata” dagli attori organizzativi e ignora<br />
inoltre che “nel tempo una regola formale può essere<br />
cambiata o semplicemente accantonata e non resa<br />
esecutiva” (D.C. North, 1990).<br />
L’evidenza empirica ha ormai ampiamente dimostrato<br />
la distanza (e spesso la discrepanza) tra “fatti”<br />
(comportamenti, pratiche reali) e “norme” (regole,<br />
prescrizioni) e che le regole dovendo essere interpretate<br />
possono dare origine a comportamenti differenti da<br />
quelli attesi (M.Catino, 2001). Le regole, quindi, “non<br />
sono altro che la conclusione sempre provvisoria,<br />
precaria e problematica di una prova di forza” (negoziazione<br />
tra attori organizzativi) (E. Friedberg 1991).<br />
Ciò è particolarmente vero nelle organizzazioni<br />
loose coupling ossia a legami laschi (come sono le<br />
53<br />
organizzazioni sanitarie) che consentono margini di<br />
discrezionalità nell’adattamento reciproco (Weick,<br />
1995) tra gli attori organizzativi (direttori medici, dirigenti<br />
medici, infermieri professionali, tecnici, ecc.).<br />
In conclusione sembrano esservi sufficienti dati di<br />
evidenza per affermare che la concezione giuridicoformale<br />
dell’organizzazione è fallita e culturalmente<br />
superata e che dunque, le regole formali non determinano<br />
i comportamenti organizzativi.<br />
Chi si ostina a considerare l’organizzazione come<br />
una macchina che funziona secondo regole che sono<br />
progettabili e modificabili da un “progettista conduttore”<br />
esperto e razionale agisce in un contesto culturale della<br />
prima metà del Novecento e, impedito da un malefico<br />
“velo cognitivo” (M.Catino 2001), non riesce a vedere<br />
l’evoluzione recente della teoria organizzativa e acquisire<br />
una adeguata conoscenza delle organizzazioni complesse,<br />
entrando finalmente nel terzo millennio.<br />
Se oggi provassi a prospettare al mio ex direttore<br />
medico che un’organizzazione sanitaria (come<br />
l’ospedale) è un tipico esempio di “sistema complesso<br />
adattativo” caratterizzato da “un insieme di agenti<br />
individuali dotati di una libertà d’azione sufficiente a<br />
renderli non del tutto prevedibili e le cui azioni sono<br />
interconnesse in modo tale che l’azione di un agente<br />
cambi il contesto per gli altri agenti” (P.Plsek, 2001)<br />
e se tentassi di dirgli che con l’organizzazione bisogna<br />
dialogare cercando di orientarla verso obiettivi chiari<br />
e condivisi rinunciando a una rigida e prevaricante<br />
logica di pianificazione e controllo e di autorità formale,<br />
sono sicuro che mi risponderebbe: ”Queste sono<br />
solo…sciocchezze e invece ti ricordo che per comandare<br />
bisogna conoscere le leggi e i regolamenti, dare<br />
corretta esecuzione agli adempimenti previsti e soprattutto…avere<br />
gli attributi!”.<br />
Pronto a metterlo per iscritto, magari con una<br />
apposita disposizione di servizio, nel caso la mia<br />
espressione dovesse mostrare perplessità o, peggio,<br />
disaccordo.<br />
Direttore Medico del P.O. di Copertino-Nardò<br />
ASL di <strong>Lecce</strong>
la parola ai colleghi<br />
Rischio cancerogeno.<br />
Gli obblighi <strong>dei</strong> datori di lavoro<br />
a cura di Giovanni De Filippis ed Antonio De Giorgi*<br />
S<br />
ostituire, appena sia tecnicamente possibile, le<br />
sostanze cancerogene e mutagene utilizzate nelle<br />
attività lavorative con altre che non comportino tale<br />
rischio. E’ l’obbligo imposto ai datori di lavoro dal<br />
decreto legislativo 81/08, il cosiddetto Testo Unico in<br />
materia di igiene e sicurezza del lavoro.<br />
Solo qualora le procedure di sostituzione non<br />
possano essere attuate, il datore di lavoro deve ridurre<br />
il livello di esposizione <strong>dei</strong> lavoratori al più basso valore<br />
possibile e comunque l’esposizione non deve superare<br />
il valore limite dell’agente stabilito dalla stessa norma.<br />
A tal fine il datore di lavoro deve effettuare una<br />
analitica valutazione del rischio, che, se presente,<br />
impone di sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria<br />
preventiva e periodica.<br />
La valutazione del rischio parte da un primo semplice<br />
gradino che è quello di consultare le schede di sicurezza<br />
<strong>dei</strong> prodotti utilizzati contraddistinti dalle frasi R 45<br />
(“Può provocare il cancro”); R 49 (“Può provocare il<br />
cancro per inalazione”) ed R 46 (“Può provocare<br />
alterazioni genetiche ereditarie”).<br />
Attualmente le predette frasi sono anche indicate,<br />
nella fase in corso di implementazione del REACH<br />
(Registration Evaluation Authorization of CHemicals)/<br />
CLP (Classification, Labelling and Packaging) come<br />
Frasi H (indicazione di pericolo): H350 (“Può provocare<br />
il cancro”); H340 (“Può provocare alterazioni<br />
genetiche”).<br />
54<br />
I lavoratori esposti a rischio devono<br />
essere iscritti in un apposito registro<br />
contente l’attività svolta, l’agente<br />
cancerogeno utilizzato e, se noto,<br />
il valore dell’esposizione<br />
a tale agente<br />
Anche nel caso del rischio cancerogeno e mutageno<br />
valore strategico per ogni obiettivo di prevenzione<br />
assume l’obbligo del datore di lavoro di fornire ai<br />
lavoratori una adeguata “informazione e formazione”<br />
sui rischi connessi all’utilizzo o alla presenza di sostanze<br />
chimiche all’interno dell’azienda, nonché sulle opportune<br />
misure igieniche da adottare (art. 239).<br />
Sarebbe un grave errore pensare che il rischio<br />
cancerogeno e mutageno appartiene ad industrie e<br />
laboratori sofisticati, infatti ad esempio esso interessa<br />
anche gli addetti alla erogazione di benzina ed i<br />
lavoratori del comparto legno che utilizzano legni duri.<br />
Inoltre i lavoratori esposti a rischio devono essere<br />
iscritti in un apposito registro nel quale, a cura del<br />
medico competente, per ciascuno di essi deve essere<br />
riportata l’attività svolta, l’agente cancerogeno o<br />
mutageno utilizzato e, ove noto, il valore<br />
dell’esposizione a tale agente.
Il datore di lavoro deve anche consegnare una<br />
copia del registro all’Inail ex Ispesl ed all’organo di<br />
vigilanza competente per territorio, ossia allo Spesal<br />
della Asl, comunicando loro ogni tre anni, e comunque<br />
ogni qualvolta i medesimi ne facciano richiesta, le<br />
variazioni intervenute.<br />
Si deve evidenziare la grande importanza di questo<br />
strumento di registrazione che si colloca alla fine di<br />
un processo di valutazione <strong>dei</strong> rischi e di attuazione<br />
di misure prevenzionali cui è chiamato l’imprenditore<br />
e non di un semplice adempimento burocratico.<br />
Inoltre i registri degli esposti consentono di costituire<br />
una banca dati utilizzabile a scopo epidemiologico ma<br />
anche assicurativo nel senso che facilita il riconoscimento<br />
del nesso causale in caso di denunce di neoplasie<br />
come malattie professionali.<br />
Si rammenta infine che il mancato invio allo Spesal<br />
della Asl della copia del registro comporta una sanzione<br />
amministrativa pecuniaria, prevista dall’art. 262 lettera<br />
d) del Decreto 81/08, che varia da 500 a 1.800 euro.<br />
Ecco i primi adempimenti che ogni datore di lavoro<br />
interessato deve attuare:<br />
55<br />
Il rischio cancerogeno e mutageno<br />
non appartiene solo ad industrie<br />
e laboratori sofisticati, ma interessa<br />
anche gli addetti alla erogazione<br />
di benzina ed i lavoratori<br />
del comparto legno che utilizzano<br />
legni duri<br />
– l’istituzione del registro. Andava effettuata entro<br />
il 3 aprile 2008. Nb: Non è obbligatorio acquistare<br />
necessariamente un modello commercializzato, in<br />
quanto il registro può essere creato direttamente in<br />
azienda utilizzando lo schema proposto nel D.M.<br />
12/07/2007 n. 155; non deve essere sottoposto ad<br />
alcuna vidimazione;<br />
– la compilazione dello stesso ed il suo aggiornamento,<br />
con l’inserimento di dati riguardanti l’azienda<br />
e i singoli lavoratori esposti. Vanno effettuati in collaborazione<br />
con il medico competente;<br />
– l’invio di copia del registro a Spesal e Ispesl. Il<br />
registro, siglato dal medico competente, (D.M.<br />
155/2007, art. 2, comma 3) deve essere inviato dal<br />
datore di lavoro in busta chiusa all’Istituto Superiore<br />
per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ex Ispesl)<br />
ed all’Organo di Vigilanza competente per territorio<br />
entro 30 giorni dalla sua istituzione. I modelli devono<br />
essere inviati in busta chiusa con dicitura “Registro<br />
Esposti Agenti Cancerogeni (D.Lgs 81/2008 - D.M.<br />
155/2007)”, ai seguenti indirizzi: Dipartimento di Prevenzione<br />
ASL <strong>Lecce</strong> - SPeSAL, v.le Don Minzoni, 8<br />
– 73100 <strong>Lecce</strong>: ISPESL - Dipartimento <strong>Medici</strong>na del<br />
Lavoro, Via Fontana Candida, 1 - 00040,Monte Porzio<br />
Catone (RM).<br />
I modelli di tenuta del registro sono stati definiti dal<br />
D.M. 12/07/2007 n. 155 e sono reperibili all’indirizzo<br />
web http://www.ispesl.it/dml/leo/cancerogeni.asp
la parola ai colleghi<br />
In basso, la tabella contenente l’elenco <strong>dei</strong> legni<br />
duri.<br />
GENERE E SPECIE NOME COMUNE INGLESE<br />
Hardwood<br />
*Servizio di Prevenzione e Sicurezza<br />
negli Ambienti di Lavoro – Area Nord<br />
NOME COMUNE ITALIANO<br />
Essenze legni duri<br />
Acer Maple Acero<br />
Alnus Alder Olmo<br />
Betula irch Betulla<br />
Carya Hickory<br />
Carpinus Hornbeam, white beech Carpino o Faggio bianco<br />
Castanea Chestnut Castagno<br />
Fagus Beech Faggio<br />
Fraxinus Ash Frassino<br />
Juglans Walnut Noce<br />
Platanus Sycamore Platano americano<br />
Populus Aspen, poplar Pioppo<br />
Prunus Cherry Ciliegio<br />
Salix Willow Salice<br />
Quercus Oak Quercia<br />
Tilia Lime, Basswood Tiglio<br />
Ulmus Elm Olmo<br />
Tropical Hardwood Essenze legni duri tropicali<br />
Agathis australis Kauri pine Pino kauri<br />
Chlorophora excelsa Iroko Iroko<br />
Dacrydium cupressinum Rimu, red pine Pino rosso<br />
Dalbergia Palisander Palissandro<br />
Dalbergia nigra Brazilian rosewood Palissandro brasiliano<br />
Diospyros Ebony Ebano<br />
Khaya African mahogany Mogano Africano<br />
Mansonia Mansonia, bete Mansonia<br />
Ochroma Balsa Balsa<br />
Palaquium hexandrum Nyatoh Nyatoh<br />
Pericopsis elata Afrormosia Afrormosia<br />
Shorea Meranti Meranti<br />
Tectona grandis Teak Teak<br />
Tratto da: LINEE GUIDA SULL’APPLICAZION DEL TITOLO VII D.LGS. 626/94 RELATIVE ALLE LAVORAZIONI CHE ESPONGONO<br />
A POLVERI DI LEGNO DURO<br />
56
Federspev.<br />
Anche Pepe tra i soci<br />
E’ stata una riunione un po’ speciale, quella che ha<br />
avuto luogo lo scorso 10 aprile presso l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />
medici. Oltre ai punti all’ordine del giorno (relazione<br />
del presidente; approvazione bilancio consuntivo 2010<br />
e preventivo <strong>2011</strong>; relazione del revisore <strong>dei</strong> conti e<br />
consegna della medaglia ricordo ai medici che nel corso<br />
dell’anno <strong>2011</strong> matureranno il diritto alla pensione<br />
Enpam), i presenti hanno dato il benvenuto, tra i nuovi<br />
soci, al festeggiatissimo presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> medici<br />
della Provincia Luigi Pepe, neopensionato. Pepe ha<br />
ringraziato ed ha promesso di attivarsi in ogni modo<br />
per incrementare le adesioni. Ha inoltre acconsentito<br />
volentieri ad apporre nella sede dell’<strong>Ordine</strong> una targa<br />
commemorativa <strong>dei</strong> 150 anni dell’Unità Nazionale,<br />
appositamente fatta confezionare a cura della sede<br />
provinciale Federspev, su suggerimento del Dott. Mario<br />
Aguglia, revisore <strong>dei</strong> conti, che ha poi relazionato sui<br />
bilanci presentati dal tesoriere ritenendoli approvabili.<br />
Non sono mancati da parte <strong>dei</strong> nuovi iscritti suggerimenti<br />
per incrementare la vita associativa della Federazione<br />
e, a conclusione, è stato servito un aperitivo di benvenuto<br />
con lo scambio di auguri per Pasqua.
SALENTO MEDICO SI RINNOVA<br />
Grazie alla collaborazione tra Carra Editrice e Dinamica Scarl, la rivista ufficiale dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Medici</strong> della provincia<br />
di <strong>Lecce</strong>, da quasi trent’anni un punto di riferimento per la categoria, propone ai suoi lettori alcune novità:<br />
- un maggior numero di pagine,<br />
- il miglioramento di veste grafica,<br />
- la periodicità bimestrale (il giorno 15, a mesi alterni),<br />
- l’aumento delle copie stampate,<br />
- una più capillare distribuzione,<br />
- l’introduzione di alcuni articoli di taglio divulgativo.<br />
A fronte di tante innovazioni, il tariffario per le inserzioni pubblicitarie subirà un lieve ritocco.<br />
Questi i costi per singola uscita:<br />
• mezza pagina: € 230 + Iva<br />
• pagina intera: € 400 + Iva<br />
• seconda/terza di copertina: € 550 + Iva<br />
• quarta di copertina: € 700 + Iva<br />
Sono previsti sconti significativi nel caso di contratti annuali. Dai prezzi sono esclusi: esecutivi bozzetti, fotolito,<br />
fotografie, che verranno forniti dal committente o fatturati a parte, al costo, se eseguiti a parte.<br />
Concessionaria di pubblicità: Dinamica Scarl – piazza Diaz 5 Casarano - tel/fax 0833 599238.<br />
Responsabile: dr. Mario Maffei (339 6562204)<br />
Liberatoria<br />
Copie<br />
Per motivi tecnici non possono essere<br />
forniti estratti <strong>dei</strong> lavori pubblicati.<br />
Saranno inviate copie del Bollettino,<br />
fino ad un massimo di 30,<br />
agli Autori che ne faranno espressa<br />
richiesta al momento dell’invio <strong>dei</strong><br />
lavori. Gli Autori dovranno far pervenire<br />
alla Direzione fotocopia della<br />
ricevuta del versamento su: Iban:<br />
IT22 A010 1004 1971 0000 0301<br />
010 presso Banco di Napoli Spa-<br />
<strong>Lecce</strong>, intestato a “<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> <strong>Medici</strong><br />
della Provincia di <strong>Lecce</strong>” pari<br />
al numero delle copie richieste per<br />
l’importo dovuto, tenuto conto che<br />
il costo di una copia è di € 2,60.<br />
Foto e profilo<br />
Gli autori, a corredo dell’articolo, devono<br />
inviare anche una propria foto a colori<br />
insieme ad un breve profilo professionale.<br />
L’invio degli articoli vale come tacita liberatoria per eventuali tagli nel testo e/o modifiche nella titolazione proposta qualora il comitato di redazione e il<br />
direttore responsabile della rivista Salento Medico (ai sensi della legge 47/48 sulla stampa) lo ritenessero necessario a fini redazionali.<br />
Il termine di consegna degli articoli per il prossimo numero è il 15 maggio<br />
Gli articoli vanno firmati con nome e cognome per esteso
L’ESAME DEL PASSO COMPUTERIZZATO<br />
CON IL SISTEMA INNOVATIVO<br />
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