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Superstizioni<br />
USi e cOStUMi 1 – Manie, scaramanzie, riti propiziatori in attesa del processo<br />
Carcere - Tribunale<br />
andata e ritorno<br />
c ’è<br />
una frase che accoglie<br />
sempre un detenuto al ritorno<br />
dal tribunale, se la<br />
condanna è equa: “Hai visto?<br />
... Cosa ti avevo detto?… Avevo<br />
ragione o no?”. Parecchi compagni, appena<br />
saputa la pena, felici del risultato<br />
si alternano a complimentarsi, a battere<br />
la mano sulle spalle, ad abbracciarti<br />
e naturalmente c’è sempre uno di loro<br />
che tutto borioso, ti si rivolge cercando<br />
una conferma sulla sua previsione: “è<br />
vero o non è vero che ieri ti ho detto<br />
che sarebbe andata a finire così?”.<br />
Anch’io, come tutti, ho avuto i miei<br />
preveggenti, i vari maghi Otelma che<br />
col pendolino hanno cercato di indovinare<br />
la condanna, e a essere sinceri<br />
20 carte<strong>Bollate</strong><br />
un paio di loro l’hanno azzeccata<br />
in pieno, forse perché hanno una<br />
lunga esperienza carceraria alle<br />
spalle e sanno più o meno come<br />
la pensano i giudici. Ma come la<br />
pensano veramente i giudici?<br />
Non posso dare una definizione<br />
esatta del personaggio, è tutto<br />
soggettivo, ognuno agisce in<br />
modo differente, fatto sta che il<br />
USi e cOStUMi 2 – Lanciarsi un soldo dietro alle spalle per non tornare<br />
Un’eredità molto particolare<br />
duilio Ponti aveva scontato undici<br />
anni e tre mesi, un conto<br />
salato per quella rapina all’ufficio<br />
postale di Rozzano. Una<br />
condanna che, dopo il primo grado,<br />
era stata confermata anche dalla Corte<br />
d’Appello. “La crudeltà della banda di<br />
cui il Ponti era a capo – aveva recitato<br />
con veemenza il pubblico ministero –<br />
ha seminato per tre anni il terrore in<br />
provincia. Ora di fronte a questo ennesimo,<br />
efferato crimine in cui i mitra<br />
sono tornati a tuonare e due persone<br />
sono rimaste ferite, chiedo che sia lui,<br />
il capo di quest’organizzazione, a pagare<br />
il prezzo più alto”.<br />
Duilio aveva ascoltato in silenzio seduto<br />
all’interno della grande gabbia insieme<br />
ai due complici. Per loro le pene erano<br />
state minori. Gli avvocati erano riusciti<br />
a dimostrare che erano suoi succubi,<br />
burattini manovrati senza scrupolo da<br />
una mente perversa.<br />
Così alla fine si era rassegnato, cercando<br />
in sé il perdono e qualcosa che somigliasse<br />
alla capacità della redenzione.<br />
Aveva lasciato che i giorni scorressero<br />
uno dopo l’alto, rinchiuso in una cella<br />
reo sa che il suo futuro è nelle mani<br />
di perfetti sconosciuti che non sanno<br />
minimamente chi sei e assolutamente<br />
niente del tuo vissuto, a parte il<br />
reato che hai commesso e quello che<br />
evidenzia la Procura. Questo influisce<br />
negativamente sul detenuto e<br />
nel periodo precedente al processo<br />
di San Vittore con Elia, all’ergastolo<br />
per una strage compiuta in una cascina<br />
subito dopo la fine della guerra che gli<br />
raccontava di una vita trascorsa dietro<br />
le sbarre. Ormai vicino ai settanta Elia<br />
gli aveva raccontato ciò che ricordava<br />
del mondo di fuori, Duilio sorrise quando<br />
gli chiese cosa fosse quella televisione<br />
di cui tanto sentiva parlare. Quando<br />
era entrato in carcere, vent’anni prima,<br />
nel ‘53, c’era solo la radio, ancora l’unica<br />
compagnia nelle lunghe giornate in<br />
cella. Ora che il debito con la giustizia<br />
era stato saldato, Duilio attendeva il<br />
gran giorno della liberazione. Fu una<br />
mattina di novembre che la guardia<br />
sulla porta della cella con un sacco in<br />
mano, gli gridò «Ponti. Liberante! Prepara<br />
le tue cose!» .<br />
Non ci volle molto a infilare le sue poche<br />
cose nel sacco. Ripiegò la coperta e<br />
le lenzuola “ricordati della moneta” gli<br />
disse Elia abbracciandolo. “Grazie per<br />
questi anni passati insieme. Ti scriverò<br />
presto”. Elia lo guardò dritto negli occhi<br />
“vai riprenditi la tua libertà”. Duilio afferrò<br />
il fagotto e accompagnato da una<br />
guardia si incamminò verso l’uscita.<br />
La storia della moneta si tramandava<br />
da un carcerato all’altro, i più dicevano<br />
funzionasse davvero: al momento della<br />
liberazione ci si doveva gettare alle<br />
spalle una moneta che avrebbe funzionato<br />
da talismano contro la possibilità<br />
di ritornare dentro: “Così avrai pagato<br />
il tuo soggiorno e sarai libero del tutto”<br />
aveva spiegato Elia.<br />
“Aspetta qui” gli intimò l’appuntato “ti<br />
faccio consegnare i tuoi soldi e i tuoi<br />
affetti personali”. Affetti personali, un<br />
lapsus forse. Ma Duilio a quella vocale<br />
sbagliata aveva dato più peso del dovuto.<br />
Dei soldi alla fine gli interessava<br />
poco, piuttosto chi gli avrebbe restituito<br />
i suoi affetti? Li avrebbe ritrovati dopo<br />
tutto quel tempo? Gli anni avevano diluito<br />
i contatti col mondo esterno fin<br />
quasi ad annullarli.<br />
La porta dopo qualche minuto si aprì,<br />
perentorio rimbombò un “avanti”, dietro<br />
alla scrivania un brigadiere stava<br />
estraendo da una grossa busta gialla<br />
un portafogli, una catenina d’oro e un<br />
moschettone di metallo da cui pendevano<br />
cinque chiavi.<br />
“Riconosce queste cose come sue?”,