Da Bordiga a Gramsci - Storia del PCI - Forum Giovani di Sinistra ...
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Biblioteca di cultura storica
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Storia del Partito comunista italiano
I. Da Bordiga a Gramsci
In preparazione: II. Gli anni della clandestinità
Paolo Spriano
Storia del Partito comunista italiano
I. Da Bordiga a Gramsci
Giulio Einaudi editore
Copyright © 1967 Giulio Einaudi editore s.p. a., Torino Seconda edizione
Introduzione
Questo lavoro è stato reso possibile dal fatto che l'autore ha avuto accessibili alcune fonti
archivistiche essenziali, integrantisi l'una alle altre: le fonti dell'Archivio Centrale dello Stato,
quelle dell'archivio del Partito comunista italiano, in via di ordinamento definitivo, e, parzial
mente, quelle dell'Internazionale comunista, in primo luogo attraverso alcune importanti relazioni
di uno dei rappresentanti del Komintern in Italia, lo svizzero Jules Humbert - Droz.
È tale « apparato » di documentazione che ci ha indotti a tentare una ricostruzione storica che pur
presenta ancora innumerevoli difficoltà. L'importanza di quelle fonti diviene più evidente sol che
si rifletta ad una singolarità particolarmente propizia al ricercatore. Il Partito comu nista, in Italia
come negli altri paesi, sorge quale sezione nazionale di un movimento che ha il suo centro di
direzione e di propulsione a Mosca, presso l'Esecutivo dell'Internazionale, un movimento
fortemente cen tralizzato, retto da uno spirito di organizzazione e di disciplina tanto più forti ed
esigenti quanto più, nel quadro storico del primo dopoguerra in un'epoca in cui è « all'ordine del
giorno » la rivoluzione socialista in tutta Europa - , si intende reagire alla rilassatezza dei vincoli e
del ce mento ideologico della II Internazionale dalla cui crisi, dalle cui ceneri, nasce appunto, nel
marzo del 1919,laIII.
Di qui, l'intrecciarsi fittissimo di un carteggio dalla « periferia » al « centro ». Non vi è atto politico,
discussione interna, direttiva d'azione, episodio di lotta politica e sociale di cui sia protagonista o
partecipe il PCI in quegli anni, che non vengano raccolti, riferiti, illustrati, commen tati in un
documento inoltrato alla Centrale internazionale. Si aggiunga ancora che il movimento
rivoluzionario italiano (socialista, anarchico, comunista) sono sottoposti a una sorveglianza
strettissima da parte degli organi investigativi e repressivi dello Stato. Il PCI, sin dal suo primo
anno di vita, il 1921, si trova ad operare in una condizione di semilega lità imposta dai poteri
pubblici; e le restrizioni alla sua libertà d'organiz zazione divengono ovviamente più rigide e
pesanti con l'avvento del fa-
x Paolo Spriano
scismo, senza dire delle violenze squadristiche che si scatenano sulle sue sedi, i suoi giornali, i
suoi singoli dirigenti e militanti. Frequenti sono le perquisizioni e i sequestri di documenti ed è a
questa messe che oggi si può attingere. Si deve anche in questo caso avvertire che essa risulta più
cospicua che per altri movimenti politici « sovversivi » pur bersagliati, come il movimento
socialista, data la struttura organizzativa del PCI, fortemente centralizzata anch'essa, donde la
gran copia di circolari, di sposizioni, materiale propagandistico, verbali di riunioni, ecc. che viene
scambiata tra gli organi dirigenti e le federazioni provinciali, i segreta riati « interregionali », e i
vari uffici o sezioni di lavoro in cui è articolata la sua vita interna.
Naturalmente, tanto « materiale » allettante (che va, per altro, vaglia to non solo per appurarne
l'autenticità ma anche perché mittenti e de stinatari diversi implicano problemi di interpretazione
a volte complessi, come complessi sono i rapporti tra il centro e la periferia) contiene non pochi
pericoli per lo storico. Che sono in fondo i pericoli di non sapere distaccare lo sguardo dalle
vecchie carte e di non cogliere tutta l'area della realtà politica, sociale, umana, che un movimento
che involga mas se di popolo contiene. Sarà il lettore a giudicare in merito. Ad esso dob biamo
soltanto, e non come giustificazione a mende e limiti certo pre senti ma solo come avvertimento di
criterio metodico, segnalare che ci è sembrato compito preminente, in un certo senso preliminare,
quello di rintracciare e percorrere la via maestra dello sviluppo politico del PCI, dei dibattiti d'idee,
di posizioni contrastanti, di azione e di riflessione, che esso, nei suoi nuclei fondamentali e
decisivi, ha attraversato. La sto ria di un partito politico non può non essere in primo luogo storia
del suo, o dei suoi, gruppi dirigenti. E se ciò è vero in generale lo è tanto più per l'assunto di
questo lavoro, sia per il carattere intrinseco dei par titi comunisti sia perché un'opera di
illuminazione o, più semplicemente, di ripristino della verità dei fatti e del loro corso restava
ancora da fare. Ed essa non può non costituire la base di ogni interpretazione e ulteriore
riflessione.
Ci siamo valsi, naturalmente, oltre che dello spoglio della stampa del l'epoca, del ricordo personale
di alcuni dei protagonisti o dei testimoni superstiti che cogliamo qui l'occasione di ringraziare
tutti per la cortesia dimostrata. Un uso assai parco abbiamo fatto della memorialistica edita,
purtroppo in buona parte inficiata di elementi ora agiografici ora deni gratori, di esagerazioni e di
reticenze, collegati all'atmosfera e alle pas sioni di vicende e lotte e regole di un quarantennio
burrascoso. Purtrop po il lavoro di « storia locale », il solo che possa fornire ragguagli e testi
monianze non raggiungibili in un lavoro sintetico d'assieme, è ancora
Introduzione xi
scarso, e di ciò certo risente quest'ultimo che non può riprendere tutti i fili di una formazione
politica ramificatasi per tutto il paese e le cui vi cende minori è arduo seguire senza il corredo di
una investigazione spe cifica zona per zona, a volte villaggio per villaggio, officina per officina;
specie quando, come nel caso nostro, si tratta di un periodo in cui la guerra civile si spezzetta in
innumerevoli piccoli episodi di cui le carte non lasciano traccia.
Nondimeno abbiamo cercato, soprattutto per i vari momenti cruciali di questo periodo, dal
capitolo dedicato, per il 1921, agli «Arditi del popolo» a quello che concerne, per il 1922, «
L'Alleanza del lavoro », alle drammatiche vicende che contrassegnano, nel 1924- 25 lo sviluppo
della crisi succeduta al delitto Matteotti, di portare una serie di elementi informativi nuovi che
valgano a ricostruire pagine di storia scritte dalle masse popolari italiane, per lo più ignorate o
trascurate dalla storiografia attuale, e ad intendere meglio il loro nesso con lo sviluppo di un
partito politico che proprio in quelle masse getta le sue radici.
Il discorso sulle fonti internazionali è presto fatto. Finora non sono accessibili gli archivi della
Internazionale comunista né si dispone anco ra di una storia dell'organizzazione. Senonché, alcuni
documenti impor tanti redatti a Mosca si reperiscono all'archivio del PCI, per quanto con cerne il
1920- 21; e una parte notevole dei rapporti tra il Komintern e il PCI è consegnata nelle relazioni
dello Humbert - Droz, che assistette sia al congresso di Livorno del 1921 sia a quello di Roma del
1922 sia a quello di Lione del 1926 e che, come fu « l'occhio di Mosca » in Francia nel 1922- 23,
così lo fu in Italia nel 1924. Alcune di queste relazioni ab biamo potuto consultare per la cortesia
dell'autore e il lettore vedrà quanto esse siano illuminanti per motivare la condotta tattica del PCI
e le sue parole d'ordine, nonché i suoi rapporti con il PSI.
Ci siamo inoltre valsi di tutto l'abbondante materiale a stampa dell'In ternazionale comunista (dal
periodico interno « La Corresponda nce in ternationale » al « Bulletin » che durante i congressi del
Komintern si stampava a Mosca riproducendo gli stenogram mi dei vari interventi alla tribuna e
nelle commissioni, ad altri giornali nonché a numerosi opuscoli). Abbiamo costantemente scelto le
edizioni di questo materiale più accessibili al lettore italiano, traducendo i testi salvo i rari casi in
cui ci è parso essenziale riprodurre la stesura originale.
La periodizzazione scelta per questo primo volume va dagli anni della grande guerra,
particolarmente il 1917, in cui le origini del PCI si rico noscono più nettamente col sorgere di una
« nuova sinistra » all'interno del movimento socialista, sino al III congresso del PCI, tenuto a Lione
nel gennaio del 1926 e che ci è parso concludere tutta una fase di tra va-
XII Introduzione
glio e di formazione del gruppo dirigente e insieme gettare un primo pon te sulla fase successiva
che si aprirà con l'ingresso nella piena clandesti nità. Anche intemazionalmente, nel movimento
comunista, il 1926 apre una fase nuova, introduce ai decenni del periodo staliniano. Riuscire a
rendere l'immagine di una formazione politica che si esprime nella vita nazionale e
contemporaneame nte partecipa di un movimento internazio nale nello scorcio storico della grande
crisi rivoluzionaria europea, è stata la nostra cura maggiore.
P. S. Nota al primo volume
Nel licenziare queste pagine ci è gradito compito ringraziare quanti più da vicino ci hanno porto il
loro aiuto, prestato i loro consigli, messo a disposizione documenti essenziali.
Ringraziamo la giunta e il consiglio superiore degli Archivi, il sovrintendente dell'Archivio Centrale
dello Stato, professor Leopoldo Sandri, il dottor Costanzo Casucci e i funzionari tutti dell'Archivio
Centrale stesso, che ci hanno fornito indi cazioni preziose e facilitato il reperimento di fondi
archivistici molteplici.
Ringraziamo la direzione del Partito comunista italiano per averci consentito di consultare il suo
archivio in via di ordinamento e, in modo particolarissimo, il dottor Franco Ferri, segretario
generale dell'Istituto Gramsci presso cui l'archivio è depo sitato. Un grazie anche alla signora Elsa
Fubini che cura la pubblicazione degli scritti di Antonio Gramsci per l'aiuto fornitoci
nell'individuazione degli articoli di Gramsci degli anni 1923- 26 non ancora raccolti in volume e al
signor Cesare Colombo, ordi natore dell'archivio del PCI, per il quotidiano e fraterno ausilio
prestatoci.
Al professor Alfonso Leonetti, che ci ha messo generosamente a disposizione il suo ricco archivio
personale ed è stato largo di indicazioni e suggerimenti, va pure la nostra gratitudine. Desideriamo
del pari rinnovarla a M. Jules Humbert - Droz per la visione delle relazioni di cui s'è fatto cenno
nell'introduzione, nonché a quanti, innumerevoli, con un'informa zione, una lettera, un colloquio,
hanno chiarito questo o quel punto illuminandolo del loro vivo ricordo.
Storia del Partito comunista italiano
Da Bordiga a Gramsci
Capitolo primo
Bordiga, Gramsci e Serrati dalla guerra al dopoguerra
Il 18 novembre 1917, dopo pochi giorni da che i bolscevichi hanno preso il potere in Russia, si
incontrano a Firenze, in una riunione clande stina, una ventina di delegati delle più importanti
sezioni socialiste della penisola, esponenti di quella frazione che si chiama massimalista, anzi
«intransigente - rivoluzionaria», in omaggio alla rivendicazione del pro gramma massimo e del
metodo rivoluzionario per attuarlo. Il « massi mo » è la socializzazione dei mezzi di produzione e
di scambio, la rivo luzione significa abbattimento violento del regime borghese. Il richiamo ai
bolscevichi è presente anche nell'altra accezione corrente del termine « massimalista », che sta per
maggioritario, come si suole in quel tempo tradurre da noi la denominazione del partito di Lenin.
Si trovano qui, per la prima volta, in casa dell'avvocato socialista Ma rio Trozzi, sfuggendo alla
ricerca della polizia che ha l'ordine di impedire il convegno, due giovani che saranno i suscitatori,
poco più di tre anni dopo, del Partito comunista d'Italia. L'uno, Antonio Gramsci, allora
ventiseienne, proviene da Torino. L'altro, Amadeo Bordiga, di due anni più anziano, arriva da
Napoli. In quella casa di via dei Mille giungono alla spicciolata anche altri militanti che ritroveremo
nelle file comuniste: Bruno Fortichiari e Rita Maierotti, Nicola Bombacci, Ferdinando Garosi,
Giovanni Germanetto. Sono presenti, per la direzione del PSI, il suo vecchio segretario, Costantino
Lazzari, e Giacinto Menotti Serrati, di rettore dell'« Avanti! », che sarà l'antagonista nel dopoguerra
di Bor diga e di Gramsci.
I delegati poco sanno di quanto è successo a Pietroburgo in quei fa mosi dieci giorni che
sconvolsero il mondo. Passeranno mesi prima che si abbia la percezione esatta di ciò che ha
significato la rivoluzione d'ot tobre. Si è all'indomani della rotta di Caporetto, la censura militare
sui giornali è severissima. La presa del palazzo d'Inverno è descritta nei di spacci come una
sommossa d'avvinazzati. A Firenze non è forse all'ordi ne del giorno il problema di « fare come in
Russia », d'un'insurrezione popolare che metta fine alla guerra e insieme porti al potere le classi
la-
4 Capitolo primo
voratrici. È però sintomatico che i due giovani, secondo la testimonianza che ha lasciato un
partecipante alla riunione, prospettino già la soluzione estrema.
Bordiga - ha scritto Germanetto - analizzò la situazione in Italia. Constatò la disfatta sul fronte, la
disorganizzazione dello Stato italiano e terminò con queste parole: « Bisogna agire. Il proletariato
delle fabbriche è stanco. Ma è armato. Noi dobbiamo agire ». Gramsci era dello stesso parere.
Serrati, Lazzari e la maggioranza dei presenti si pronunciarono per il mantenimento della vecchia
tattica: non ade rire né sabotare la guerra '.
L'appuntamento rivoluzionario è rinviato alla fine del conflitto, ma, come ha lasciato scritto lo
stesso Bordiga,
da quel momento il gruppo dei più decisi, strettosi in quella riunione, si organizzò sempre meglio
e si delineò la piattaforma propria della sinistra italiana che non era la stessa cosa della vecchia
frazione intransigente ma molto di più2.
Quando la prima guerra mondiale era scoppiata, i socialisti italiani si erano nettamente
differenziati dall'atteggiamento che aveva caratterizza to le maggiori sezioni della II
Internazionale, quella francese e quella te desca in primo luogo. I socialisti dei paesi in guerra,
nella loro stragran de maggioranza, avevano votato i crediti militari, avevano sposato la causa
della guerra di nazioni, erano venuti meno all'impegno solenne preso nel congresso di Basilea del
1912, dove una mozione votata da più di cinquecento delegati (in rappresentanza di un milione di
associati) aveva dichiarato che sarebbe stato un delitto se i lavoratori di paesi di versi avessero
sparato gli uni sugli altri per accrescere i profitti dei capi talisti.
La II Internazionale - nata come centro organizzato nel 1889 - ave va segnato la propria fine
nell'agosto del 1914 proprio perché il suo solo vero cemento (non organizzativo ma ideale) dal
congresso di Stoccarda (1907) a quello di Basilea, era stata la lotta alla guerra, ed essa non era
riuscita a scongiurarla né a restarne fuori. Soltanto i serbi, i russi e pic cole minoranze altrove si
erano opposti ai crediti militari. Anche gli ita liani costituivano, però, un'eccezione. Le famose due
anime del nostro socialismo (quella riformistica, prevalsa in tutto il decennio giolittiano e quella
che, col corso degli anni, si chiama rivoluzionaria, intransigente, massimalistica, comunista,
avevano pur qualcosa in comune che, se co-
1 Giovanni germanetto, Souvenir! d'un perruquier, i" ed., Paris 1931, p. 113. La testimonian za
concernente Bordiga sparisce nelle successive edizioni del volume. Anche Gramsci ricorderà che a
quella riunione «Bordiga pose il problema della conquista del potere». Cfr. «Lo Stato operaio», a. li,
n. 7, 13 marco 1924, sunto di un intervento del 1} novembre 1922.
2 Per la testimonianza di Bordiga. Cfr. Storia della sinistra comunista, voi. I, Milano 1964, pp.
115- 16.
Bordiga, Gramsci e Serrati dalla guerra al dopoguerra 5
stituiva il loro limite, ne rappresentava anche un titolo di merito. Inca paci, e l'una e l'altra, di
mettere in atto un'iniziativa rivoluzionaria (sulle piazze, nella primavera del 1915,1 socialisti
erano stati battuti dai nazio nalisti) rassegnate alla impotenza di bloccare l'intervento, erano
nutrite tuttavia di una sincera passione umanitaria e antimilitarista, avevano fat to del rifiuto di
mischiarsi alle formazioni governative una questione di principio, avevano un bagaglio di
propaganda e di agitazione contro la guerra che si era sperimentato efficacemente tra le masse al
tempo del l'impresa di Libia; lo stesso « patriottismo di partito », così vivo in en trambe, le
preservò dalla confusione e dal crack della II Internazionale. Tanto è vero che gli italiani si
facevano tosto, nel 1914 e nel 1915, pro motori di quei contatti e di quegli incontri tra le
minoranze socialiste nazionali (e tra i partiti restati « puri ») disposte a concordare un'azione
comune per la pace, che approdarono a due conferenze internazionali te nutesi a Zimmerwald nel
settembre del 1915 e a Kienthal, sempre in Svizzera, nell'aprile del 1916 '. Di qui sorgeva l'impulso
a una nuova or ganizzazione mondiale del proletariato.
Lenin aveva lanciato la parola d'ordine della « trasformazione della guerra imperialistica in guerra
civile ». Il socialismo italiano aveva scelto invece la formula « né aderire né sabotare » come
simbolo del suo volon tario isolamento, del suo porsi da parte in attesa della fine della guerra. Ma,
come per l'Internazionale comunista si suole assumere quale data d'origine, quale embrione
costitutivo, la piccola « sinistra » che si forma e si riconosce a Zimmerwald (in cui mancano ancora
gli italiani) così, è la svolta della grande guerra a porre in luce, in una luce nuova, le forze
rivoluzionarie che si agitano nel nostro paese. E non solo in questo. La dimensione internazionale
è fondamentale. La nuova formazione poli tica ha, di nuovo, essenzialmente questa matrice: che è,
sin dalla sua ori gine, posta in un orizzonte più vasto di quello nazionale, che è figlia di una
rivoluzione che assume al suo sorgere proporzioni europee, anzi mondiali. Con molta efficacia,
Annie Kriegel ha scritto in proposito:
La crisi [nel 1917] è, in primo luogo, una crisi ideologica; o, per caratterizzarla più precisamente
che con questo aggettivo freddamente neutro, una crisi d'ideale. Succede che l'uomo, restato nel
corso di una vita più o meno felice, serenamente estraneo ai misteri della propria vita, si ponga
improvvisamente la questione del proprio destino quando si trovi da qualche disgrazia piombato
al fondo dell'infeli cità. Così è delle comunità: nella primavera del 1917, i popoli, di fronte alle loro
Cfr. Protocollo della conferenza socialista italo- svizzera dì Lugano (24 settembre 1914), a cura di
Aldo Romano, «Rivista storica del Socialismo», a. vi, n. 18, gennaio- aprile 1963, e Zimmer wld,
saggio e documenti sulla conferenza, a cura di L. A. Slepkov e Ja. G. Témkin, «Rinascita», a. , n. 46,
20 novembre 1965.
6 Capitolo primo
calamità, si pongono questioni che implicano opzioni umane irreversibili... La crisi non è soltanto
espressa dall'indiscutibile stanchezza della guerra, ma soprattutto dall'usura che gli avvenimenti
hanno fatto subire alle giustificazioni rispettive ap portate da ciascuno dei due campi; donde la
possibilità di sostituirvi obiettivi ine diti... E di qui anche l'importanza estrema dei fatti di Russia.
La rivoluzione di febbraio testimonia che il disgusto popolare della guerra deve « trasformarsi in
energia rivoluzionaria, in odio feroce contro il regime del massacro, contro il capi talismo ». La
guerra, spostarsi praticamente dal piano delle nazioni a quello delle classi '.
È la guerra a dare al termine comunista, che circola insistente tra il 1917 e il 1918, la sua nuova
accezione. I bolscevichi stessi si cominciano a chiamare comunisti tra la rivoluzione di febbraio e
quella di ottobre. Lenin così ha proposto, nell'aprile, la distinzione dalla matrice sociali sta
generale:
Noi dobbiamo chiamarci partito comunista... Bisogna tener conto della situa zione oggettiva del
socialismo nel mondo intero. Essa non è più quella che era nel 1871- 1914, quando Marx ed Engels
si rassegnavano scientemente alla parola op portunista e falsa di « socialdemocrazia »... La
necessità oggettiva del capitalismo trasformatosi in imperialismo ha generato la guerra
imperialista. La guerra ha con dotto l'umanità intera sull'orlo del baratro, alla rovina di ogni
cultura, all'abbruti mento e alla morte di milioni di uomini, milioni senza numero. Non c'è via
d'usci ta, all'infuori della rivoluzione del proletariato. È tempo di gettare via la camicia sudicia, è
tempo di mettersi della biancheria pulita2.
La sinistra europea, con l'azione eroica di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg in Germania (che
sfidarono il carcere per affermare la loro opposizione alla guerra), con le minoranze sindacaliste e
rivoluzionarie operanti in Francia (Merrheim, Bourderon, Rosmer, Monatte), con sin gole figure
d'intellettuali nel movimento laburista inglese (basti citare Sylvia Pankhurst), con l'azione che
svolgono in patria o nell'emigrazione uomini come Lev Trockij (in Svizzera) o Karl Radek (tra i
socialisti po lacchi), o dirigenti rappresentativi del socialismo bulgaro, rumeno, scan dinavo,
austriaco, con la revisione ideologica affrontata in Olanda da Herman Gorter, e soprattutto con
un'opposizione popolare che si fa sen tire nel 1917 in tutti i paesi europei, dalla Germania alla
Francia, dalla Cecoslovacchia all'Austria, tende a formare attorno al movimento bol scevico,
attorno a Lenin, una coalizione di forze nuove, di radicale con trapposizione alla esperienza
socialdemocratica.
E di Lenin si parla anche in Italia. In aprile l'« Avanti! » lo difende dall'accusa largamente circolante
di essere un agente tedesco. Agli occhi
1 annie kriegel, Aux origines du communìsme francais, voi. I, Paris 1964, p. 155.
2 lenin, Progetto di piattaforma del partito del proletariato, Opere scelte, voi. II, Mosca 1948, P.
36.
Bordiga, Gramsci e Serrati dalla guerra al dopoguerra 7
dei socialisti Lenin è il simbolo del carattere proletario della rivoluzione che intanto ha rovesciato
l'odiata autocrazia zarista.
È permesso - troviamo scritto sull'« Avanti! » del 23 marzo - di supporre che è giunto il momento
in cui ai popoli governati, ingannati e massacrati, spetta pren dere nelle proprie mani le sorti della
pace e della guerra, sciogliendo senza la par tecipazione della diplomazia tutti gli intricati
problemi di nazionalità, di potenza, di equilibrio, per i quali da tre anni stanno combattendo? È
permesso di augurare la rivoluzione proletaria e socialista negli Imperi centrali, che porterebbe un
fie ro aiuto alla rivoluzione russa e ci libererebbe infine dell'angoscioso incubo della guerra1?
In Francia si registrano gravi episodi di ammutinamenti di truppe, in Cecoslovacchia scoppiano
moti popolari, ovunque i sintomi dell'in sofferenza si fanno più generali. Non è dunque un
fenomeno ristretto all'Italia.
Le masse popolari italiane hanno, semmai, questo di più caratteriz zato rispetto ad altri popoli
europei. Esse non hanno voluto mai la guer ra, non sono mai state conquistate ai suoi « ideali ». Il
passaggio da un'at titudine di rifiuto ancora largamente passivo, e spesso rassegnato, a una
protesta che tenda ad organizzarsi in modo eversivo contrapponendo una sua speranza, una sua
prospettiva, o, se si vuole un suo mito, a quel li del paese interventista o «intervenuto», è
anch'esso collocabile nell’« anno più lungo ».
Con ciò non s'intende riaprire la questione delle « responsabilità » di Caporetto che sono anzitutto
responsabilità della condotta militare e del le cattive condizioni dell'esercito italiano2. Si
preferisce, invece, attirare l'attenzione su un fenomeno essenziale che proprio ora pervade la cor
rente estrema e prende la sua denominazione letterale: quello del disfat tismo; il fatto, cioè, che
augurarsi la disfatta al fronte, la rovina della « propria borghesia », diventa uno dei tratti
discriminanti di una nuova sinistra anche se le manca l'altro connotato distintivo dei bolscevichi,
la coscienza di dover dirigere le grandi masse per trasformare la disfatta del paese in una guerra
civile.
È un processo che le carte di polizia consentono di seguire attraverso tutto il suo sviluppo,
robusto anche se contenuto e non rettilineo. Esso è favorito, si, dai disagi e dai lutti della guerra,
dalla stessa tolleranza del governo fino a Caporetto, ma più da fattori strutturali ed ideali che
È permesso dire?, «Avanti! », 23 marzo 1917.
Restano confermate, dalla ricca messe di studi successivi, le considerazioni che svolgeva Fede rico
Chabod in proposito: «Il problema... non si spiega, come da taluni si è preteso, con la propa ganda
socialista, ma con la cattiva situazione strategica dell'esercito italiano...» (L'Italia contem poranea
[1918- 1948], Torino 1961, p. 45).
8 Capitolo primo
stanno alla base della crisi che esploderà nell'immediato dopoguerra. In primo luogo, il crescere
impetuoso, per effetto della produzione bellica e dello sviluppo industriale del paese, del
proletariato urbano, concen trato nelle grandi città del Nord, sottoposto ad una grande tensione
per le dure condizioni di lavoro e sensibilissimo alla propaganda sovversiva che penetra nelle
fabbriche e nelle famiglie.
Il caso più sintomatico è quello di Torino che approda in agosto ad una vera sommossa popolare e
dove, da mesi e mesi, dirigenti espressi di rettamente dalla massa operaia, come i « rigidi »
Giovanni Boero, Fran cesco Barberis, Luigi Gilodi, Pietro Rabezzana, Maria Giudice, Elvira Zocca,
propagandisti semplici ed efficaci, seminano l'idea non soltanto di una protesta aperta contro «
pescecani » e profittatori di guerra, ma del la possibilità di abbreviare la guerra con uno sciopero
generale '. Ma è anche il caso di Milano dove il 1° maggio scoppiano moti popolari, di cui sono
protagoniste principali le donne lavoratrici, che provocano l'asten sione dal lavoro in parecchie
fabbriche. La tendenza intransigente è ca peggiata da Luigi Repossi, Bruno Fortichiari e Abigaille
Zanetta, e con quista la maggioranza della sezione socialista locale, nonostante la viva reazione di
Turati ''. Ma è Firenze, in questo periodo, la capitale dell'in transigentismo, attraverso l'azione del
direttore della «Difesa», Egidio Gennari, e la propaganda efficace di Ferdinando Garosi, a cui si
accosta no deputati e tribuni come Arturo Caroti di Livorno, Mario Trozzi di Sulmona, Luigi
Salvatori di Viareggio o Pio Carpitelli di Livorno.
Il processo di formazione di una frazione di estrema sinistra, che pare controlli nel 1917 un
centinaio di sezioni della penisola, segna, sempre nella primavera, un'importante affermazione di
principio fatta dalla se zione di Napoli che così suona:
I socialisti di ogni paese debbono consacrare i propri sforzi alla cessazione della guerra, incitando
il proletariato a rendersi cosciente della sua forza e a provocare con la sua azione intransigente di
classe l'immediata cessazione delle ostilità, ten tando di volgere la crisi al conseguimento degli
scopi rivoluzionari del socialismo... La sezione fa voti che il partito in ogni circostanza anziché
perdersi in ambiguità e incertezze, sappia compiere il suo dovere assumendo, con i suoi organi e i
suoi uomini, il compito di disciplinare e dirigere l'agitazione delle masse, ponendosi al
l'avanguardia del proletariato, sul terreno della lotta di massa contro il capitalismo e il militarismo
borghese 3.
1 Francesco Batberis, ad esempio, dichiarava nel maggio 1917: «Occorre che il proletariato ab bia
la forza di guidarsi da sé e di agire con ogni energia per abbreviare anche di un solo giorno la
guerra». Cfr. per questa parte, e in genere per l'andamento del movimento torinese, paolo
spriANO, Torino operaia nella grande guerra, Torino i960, p. 216 e passim.
2 Cfr. vari rapporti del prefetto di Milano, ACS, Min. Interno, Dir. gen. PS, A. g. e r. (1916 11)26),
1917, C. 1, b. 20.
3 Storia della sinistra comunista cit., p. 304.
Bordiga, Gramsci e Serrati dalla guerra al dopoguerra 9
Il collegamento dei vari gruppi di estrema, che ha anche carattere di intesa precongressuale (in
vista delle future assise che in questi anni non si possono tenere) approda dunque alla nascita
vera e propria di una fra zione, quella intransigente - rivoluzionaria, che ha luogo a Firenze con la
partecipazione dei rappresentanti di molte sezioni («una cinquanti na d'estremisti», per dirla
secondo la fonte prefettizia) il 24- 27 luglio 1917. La frazione lancia tosto un manifesto in cui
sostiene che il PSI deve sconfessare incertezze e collaborazionismi, ripudiare il concetto e il
sentimento di «patria borghese », adottare una tattica « strettamente e sinceramente
rivoluzionaria », aderendo ad eventuali moti popolari con la coscienza che « la violenza è
l'ostetrica di tutte le società gravide di vi ta futura » '.
Ma l'aspetto più interessante di questa trama semiclandestina di or ganizzazione prerivoluzionaria
è la partecipazione di gruppi giovanili in cui si trovano spesso insieme socialisti ed anarchici. È tra
i giovani che la rivoluzione russa ha l'eco maggiore.
Dalla trincea alla piazza - si legge sul foglio dei giovani socialisti, « Avanguar dia» — questo è il
motto. La verità è in marcia: essa discende inesorabilmente e vittoriosamente dalla Russia alla
Germania. I giovani socialisti italiani attendono2.
Il 24 maggio, Nicola Cilla invia clandestinamente, come segretario della FGSI, alla direzione del
partito e al gruppo parlamentare sociali sta, una « Memoria » in cui si chiede di « imporre alla CGL
un indirizzo nettamente classista; di profittare di tutte le occasioni favorevoli (pro cessi politici,
crisi parlamentari, provocazioni internazionali, ecc.) per proclamare lo sciopero generale e tenere
comizi la cui parola d'ordine sia la pace immediata e non la vittoria ».
Il 1917 è anche l'anno in cui la stretta degli avvenimenti e il dramma tico corso della guerra
mostrano come la vecchia maggioranza di sinistra, affermatasi nel PSI tra il 1912 e il 1915,
presenti tali differenziazioni al suo interno da rendere non soltanto problematica la parola
d'ordine di Lazzari di « non aderire né sabotare » ma inconciliabili i nuovi fermenti maturati tra i
nuovi disfattisti con la tradizionale natura del partito. An che l'internazionalismo è inteso in modo
diverso. Che cosa ha fatto in questi anni Oddino Morgari, con le sue iniziative di contatti
internazio nali, se non rincorrere il sogno di ricomporre le sparse, laceratissime, membra della
vecchia Internazionale? Ancor più emblematica è la rea-
Storia della sinistra comunista cit., p. 316.
Per la rivoluzione in Germania, «Avanguardia», a. xi, n. 487, 15 aprile 1917. Notizia della
«Memoria» in ACS, Min. Interno, Dir. gen. PS, A. g. e r. (1914- 18), A. j, b. 73. più ampiamente in
Storia della sinistra comunista cit., pp. 106- 7.
io Capitolo primo
zione del segretario del partito, Lazzari, alle sollecitazioni che gli vengo no dagli impazienti
compagni « rigidi » di Torino, o dai giovani al loro congresso (settembre 1917), per passare a
forme diverse di opposizione alla guerra. Lazzari oppone loro che i socialisti non possono essere
con tro la patria, che la tendenza sabotatrice non è socialista.
Negare il sentimento di patria - egli dice ai giovani che a malapena lo lasciano continuare - è
lottare contro una realtà della vita, perché è inutile contestare la pre ferenza che tutti abbiamo per
il luogo in cui siamo nati, per la lingua che parliamo, ecc. Negare la patria è andare anche a ritroso
della storia, perché anche i nostri più grandi precursori, come Carlo Pisacane, si sacrificarono per
la sua difesa... '.
Se questi 'sono i sentimenti del « centro » socialista, la destra mostra in questi frangenti una
tendenza ancora più spiccata ad affermare una posizione patriottica di solidarietà con la nazione
in guerra che si farà, come è noto, clamorosa dopo Caporetto, con le dichiarazioni di Turati e di
altri riformisti alla Camera. Che cosa pensasse Turati è stato effica cemente rivelato dalla sua
corrispondenza con Camillo Corradini. Basti no queste avvertenze sue all'amico giolittiano per
dare un quadro vivo di una situazione di lacerazione interna alle file socialiste che il dopo guerra
condurrà sino alle estreme conseguenze per il fatto stesso che im porrà le scelte più radicali,
opposte.
Si tratta di sapere - scrive Turati - se il governo è proprio deciso ad allearsi con gli elementi
estremisti e leninisti del Partito socialista e delle masse operaie, contro di noi che teniamo testa e
siamo i moderatori. Io pongo a te e all'onorevole Orlando la questione molto nettamente. Noi
siamo - lo sapete meglio di noi - in un periodo che si va facendo, per la stanchez za della guerra,
ogni giorno più difficile. Nelle masse socialiste la tendenza sabotatrice, che fin qui potemmo
contenere, con sufficiente fortuna, acquista vigore e decisione. Contro di essa - se non vi decidete
a ricorrere ad anni di guerra civile - non avete altra difesa che la tendenza conci liante e media,
rappresentata ad un dipresso dal Gruppo parlamentare 2.
Documento davvero lucidissimo e rivelatore. Non è a credere, con ciò, che la linea divisoria tra
moderatori e sobillatori sia sempre così mar cata, e sempre l'azione conseguente alle parole. Che,
l'equivoco dottri nario, la perorazione demagogica, l'incertezza sul da farsi, si riscontrano un po'
in tutti i settori, da quello estremo al folto della maggioranza massimalista, fino ai dirigenti
sindacali i quali, mentre proprio durante
1 «Avanguardia», a. xi, n. 507, 7 ottobre 1917. La lettera che Lazzari ha inviato ai rigidi tori nesi il
24 agosto 1917 svolge gli stessi concetti: «La dottrina internazionalista non ha affatto bisogno di
sacrificare il naturale sentimento di preferenza e di amore per il proprio paese» (cfr. Torino ope
raia nella grande guerra cit., pp. 222- 23).
2 La lettera porta la data del 14 agosto 1917. È stata pubblicata con altre da Gabriele de rosa in
Filippo Turati e il gruppo dirigente giolittiano, «Rivista storica del Socialismo», a. 1, n. 1- 2, gen
naio- giugno 1958,p. 113.
Bordiga, Gramsci e Serrati dalla guerra al dopoguerra n
la guerra esperimentano una politica di collaborazione (contrattata van taggiosamente) con lo
Stato e l'imprenditorato, abbondano anch'essi in dichiarazioni incendiarie. Il modo di fare la
rivoluzione sarà problema che sostanzialmente tutti i settori socialisti concepiranno alla vecchia
maniera deterministica, di « cogliere le occasioni » che lo sviluppo delle cose offrirà loro, anche se
c'è chi paventa tale sviluppo sin d'ora, chi lo paventerà nel 1919- 20, e chi si adopra invece ad
accelerarlo.
Ma le questioni di orientamento, l'atteggiamento dinanzi alla crisi ge nerale apertasi con la
rivoluzione russa, appaiono abbastanza nettamente configurati e non sarà un caso se quasi tutti i
nomi di « intransigenti » che siamo andati rammentando come protagonisti dell'agitazione dello
scorcio finale della guerra li ritroveremo nelle file comuniste.
Il convegno segreto della frazione da cui abbiamo preso le mosse po ne appunto all'ordine del
giorno un'accentuazione in senso rigido del «non aderire», prepara una piattaforma congressuale
per l'estrema si nistra e si scaglia contro la tendenza del gruppo parlamentare a « conce dere
tregua alla guerra borghese » '. Ma qual è il potere di cui possono disporre, per attuare le loro
decisioni, i convenuti che la polizia ricerca? Ancora molto scarso, e i mesi futuri ne orniranno la
dimostrazione mi gliore. L'interesse del convegno è prevalentemente sintomatico ed esso sarebbe
forse sfuggito all'attenzione storica se non fosse che qui, per la prima volta, s'incontrano le due
personalità destinate a dare a questa nuova sinistra il carattere e il vigore di un nuovo partito.
Torniamo dun que ad Amadeo Bordiga e ad Antonio Gramsci.
Bordiga era nato a Resina nel giugno del 1889. Figlio di un profes sore piemontese d'economia
rurale, insegnante alla scuola superiore d'a gricoltura di Portici e autore di studi sul Mezzogiorno,
era cresciuto nel l'ambiente intellettuale socialista napoletano ricco di fermenti di rivolta allo
stesso indirizzo riformistico e democratico- socialista della sezione lo cale. Sin da giovanissimo lo
distingueva una grande passione d'azione. È difficile ricostruire la sua formazione ideologica. Non
tocco dall'ideali smo crociano e da tutto un revisionismo che suonava reazione ai vecchi postulati
positivistici, il giovane Bordiga aveva certo letto e studiato i classici del marxismo ma con una
spiccata tendenza a cogliere nella teo ria quel complesso di norme fìsse che debbono presiedere al
moto di emancipazione proletaria, da operarsi con il più fermo proposito rivolu zionario senza
complicazioni intellettuali o troppi dubbi nell'azione.
Bordiga, scrittore prolisso e raziocinante, non rivelerà nessuna pro pensione alla discussione
culturale. Aveva fatto il suo apprendistato so-
Storia della sinistra comunista cit., p. 210.
12 Capitolo primo
cialista nel 1912 in un circolo autonomo napoletano intitolato a Carlo Marx ', che aveva anzi
fondato, e già si era distinto in quell'anno, al con gresso della Federazione dei giovani socialisti a
Bologna, in contraddit torio con un torinese, Angelo Tasca, per la veemenza con la quale aveva
ironizzato sul « culturismo » di molti compagni. « La necessità dello stu dio — aveva esclamato —
la proclama un congresso di maestri, non di so cialisti ».
Sin d'allora, da quando propugnava la necessità di « creare un movi mento di argine vivacemente
antiborghese »2 si riconosceva in lui quel l'ossessione di purezza, quell'accento così marcatamente
giacobino — ro bespierriano, è stato felicemente definito - che non rispondeva soltanto al
temperamento dell'uomo ma era una naturale reazione all'ambiente del socialismo napoletano,
propenso al trasformismo « bloccardo », alla corruzione clientelare, in cui il neofita entusiasta si
era imbattuto e scon trato 3. Elevare attorno al partito proletario un muro di precetti morali, di
regole d'azione, di principi ideologici che lo preservino e immunizzino da influenze, oscillazioni,
dubbi, tradimenti: è un tipico tratto bordi ghiano, che ritroveremo costantemente.
Non mancavano a quel giovane, di robustissima fibra fisica, né intra prendenza né ingegno. Sarà
proprio Gramsci che lascerà scritto che il carattere suo era « inflessibile e tenace fino all'assurdo »,
che « Amadeo, come capacità di lavoro vale [va] almeno tre »4. E l'omaggio dei compa gni, seguaci
o avversari di corrente, alla personalità vigorosa di Bordiga, al suo carattere aperto e cordiale,
all'ascendente naturale che egli posse deva, sarà frequente.
Laureatosi in ingegneria, assistente di meccanica agraria a Portici, il giovane socialista napoletano
era intervenuto ripetutamente sulle colon ne dell'* Avanti! » tra l'agosto del 1914 e il gennaio del
1915, nella di scussione sull'atteggiamento del partito dinanzi alla guerra, esprimendo la
posizione indubbiamente più vicina a quella manifestata da Lenin, so prattutto nell'analisi della
natura del conflitto («Se andiamo verso la barbarie militare è perché tutta la civiltà borghese -
democratica ha pre-
1 Vi è, in proposito, una testimonianza del prefetto di Napoli dell'epoca. Secondo un suo rap
porto del 27 marzo 1913, al ministero dell'Interno, «alcuni membri della sezione socialista napole
tana, con a capo il noto Bordiga» si staccarono dalla federazione locale del partito e fondarono il
circolo rivoluzionario Carlo Marx all'inizio del 1912. I primi soci erano quindici (ACS, Min. In terno,
Dir. gen. PS, A. g. e r., 190} sg, G 1, Associazioni).
2 Cfr., sul dibattito Tasca- Bordiga, Torino operaia nella grande guerra cit., pp. 36- 37, nonché
GAETANO arfé, Il movimento giovanile socialista, Milano 1966, pp. 118- 47.
3 Cfr. sull'ambiente napoletano e sulla formazione di Bordiga: Raffaele colapietra, Napoli tra
dopoguerra e fascismo, Milano 1962, passim; aldo romano, Antonio Gramsci tra la guerra e la rivo
luzione, «Rivista storica del Socialismo», a. 1, n. 4, ottobre - dicembre 19J8.
4 Da una lettera a Mauro Scoccimarro e a Palmiro Togliatti del 1° marzo 1924, pubblicata in
palmiro togliatti, La formazione del gruppo dirigente del PCI nel 1923- 24, Roma 1962, p. 228.
Bordiga, Gramsci e Serrati dalla guerra al dopoguerra 13
parato questa soluzione delle sue intime contraddizioni » ') ma anche per il fatto di aver osato
predicare il dovere del partito di « indebolire, se guitando senza scrupoli la sua azione specifica, la
nazione alla quale ap partiene» 2, di proclamarsi partito dell'aperta discordia civile.
Bordiga si afferma come uomo di punta tra gli intransigenti in tutto il tormentato periodo che
corre tra lo scoppio della guerra mondiale e l'intervento italiano, reagendo fortemente ad ogni
propensione senti mentale e democratica, ad ogni « preconcetto nazionale e di scrupoli pa triottici
», come scriveva, ancora sull'« Avanti! », il 23 maggio del 1915 - un giorno prima dell'entrata in
guerra - auspicando « la nuova Inter nazionale dei lavoratori ».
Se la prima «base» di Bordiga e dei suoi amici napoletani (citiamo subito, tra gli altri, il calabrese
Francesco Misiano che ritroveremo in una posizione di concordici discors nel dopoguerra) si forma
tra i ferro vieri, i postelegrafonici, gli impiegati, che essi organizzano sindacalmen te, è alla parola
scritta, alla penetrazione nazionale nel partito e tra i giovani che il « bordighismo » affiderà il suo
sviluppo, come vedremo. E già nel febbraio del 1917, alla conferenza socialista di Roma, Bordiga
ha contato i crescenti consensi alla propria critica verso le debolezze conci liatrici della direzione:
14 000 voti contro 17 000 affluiti alla mozione d'appoggio alla linea «centrista» sostenuta da
Lazzari. Bordiga dirige anche in questo periodo l’« Avanguardia » (dal settembre 1917), il setti
manale sul quale dal 1912 egli conduceva le sue battaglie politico- ideo logiche, la sua polemica
antiriformista.
Assai diverso è il caso di Antonio Gramsci, per origini, formazione culturale, iniziazione politica.
Se Bordiga era « intelletto quanto altri mai raziocinante e scheletricamente geometrico »3, Gramsci
rivelava giova nissimo una preparazione filosofica e letteraria, una forma mentis nutri tasi alla
dialettica hegeliana che avrebbero fatto del suo stesso « garzo nato » politico qualcosa di più
complesso. Sono state largamente rintrac ciate l'influenza crociana, il richiamo « concretistico »
salveminiano nella formazione giovanile di Gramsci e, con esse, quella riscoperta di Marx
attraverso lo studio della filosofia classica tedesca, quell'ardore missio nario, quella tensione etica,
che facevano di lui e dei suoi coetanei e ami ci, presso l'Università torinese, negli anni
dell'anteguerra, i pionieri di un nuovo modo di essere socialisti. Esso si identificava con tutto ciò
che un ideale moderno, laico, un saper vivere « senza religione » offriva ai «giovani pensosi».
Amadeo bordiga, Al nostro posto, «Avanti! », 14 agosto 1914.
Ibid.
Raffaele colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo cit., p. 30, nota 55.
14 Capitolo primo
Gramsci era venuto nel 1911 a Torino, dalla Sardegna (era nato ad Ales nel gennaio del 1891),
figlio di un modesto impiegato, dopo un'a dolescenza segnata profondamente dai disagi materiali,
da una salute malferma, da un corpo deforme. Sensibilissimo all'amicizia, generoso ma anche
chiuso ed appartato, di una riservatezza così radicata che lo in durrà sempre a non apparire in
primo piano, quel ragazzo sardo, pur de stinato a divenire un dirigente eccezionale, formava
l'esatta antitesi del tipo di « capo » tradizionale nelle file socialiste, del tribuno che arringa va le
folle, del personaggio popolarissimo.
Aveva una voce così bassa che mal s'addiceva ai comizi. Preferiva ascoltare che non parlare, e
parlare a tu per tu col compagno o con l'ope raio che non intervenire a una tribuna; badava a
suscitare e a convincere piuttosto che a proclamare e a comandare. Non aveva neppure il tempe
ramento dell'apostolo: l'ironia, il sarcasmo, il gusto della precisione lo gica e del lavoro ben fatto,
si accompagnavano agli slanci di una passione e di una volontà che il naturale « pessimismo
dell'intelligenza » non of fuscava. Era tenace ma gli amici gli rimproveravano anche una certa
inerzia, provocata però più spesso da gravi crisi nervose.
Si può fissare intorno al 19io, mentre studiava al liceo di Cagliari ', il suo primo accostarsi al
movimento socialista, sia attraverso la lettura di un periodico culturale « rivoluzionario » come « Il
Viandante » di To maso Monicelli, sia attraverso un contatto con la Camera del lavoro del luogo.
Ma non è tanto una lettura o una frequentazione a segnare quel l'inizio quanto un moto di
solidarietà umana, un'attenzione alle condi zioni di vita del popolo che ritroveremo in tutta la
personalità di Grani sci socialista e che, al passaggio dalla arretrata società sarda all'atmosfera
della Torino operaia delle grandi battaglie sindacali del 1912- 13, impe gnate dagli operai
dell'automobile, si esprimerà in un'adesione piena.
Bisogna però attendere alcuni anni perché l'adesione divenga milizia. Dall'autunno del 1914 data -
è vero - la sua collaborazione, saltuaria, al settimanale torinese del partito « Il Grido del Popolo
» (e dal 1913 la sua iscrizione alla sezione socialista locale)2. L'esordio è singolare. In un ar ticolo
del 31 ottobre 1914 Gramsci prende posizione nel dibattito sul l'atteggiamento dei socialisti
italiani perorando - sulla scia della tesi di Mussolini, direttore dell'« Avanti! » - il passaggio dalla
neutralità asso-
1 Su tutto il periodo «sardo», sull'infanzia, l'adolescenza, la prima formazione ideale, cfr. la ricca
informazione che fornisce Giuseppe fiori, Vita di Antonio Gramsci, Bari 1966, pp. 9- 104.
2 La testimonianza più precisa in merito è di Battista Santhià: « Durante, o subito dopo il lungo
sciopero metallurgico del 1913, Gramsci chiede l'iscrizione al partito socialista; Tasca firma la do
manda. Causa la lunga procedura per l'ammissione al partito la tessera a Gramsci non è stata
conse gnata che alla fine del 1913 ». Citata da alfonso leonetti, in Lettere di Valmiro Togliatti e
note sul movimento operaio, «Il Ponte», a. xxn, n. 8- 9, 30 settembre 1966, p. 107J.
Bordiga, Gramsci e Serrati dalla guerra al dopoguerra 15
luta alla neutralità attiva ed operante. Poi tace per più di un anno, tor mentato di dubbi. Lo scritto
alimenterà nel dopoguerra la leggenda di un Gramsci interventista e nel fuoco delle polemiche
interne qualcuno dirà che egli era andato in guerra volontario tra gli arditi! C'era andato invece il
fratello Mario. (Una prova di più di quanto poco fosse conosciu to di persona Gramsci fuori della
cerchia ristretta degli amici torinesi). Quell'articolo - dove non si sospettava l'approdo a cui
sarebbe giunto il suo ispiratore - testimoniava, più semplicemente, dell'ascendente che avevano
esercitato su Gramsci, come su tanti giovani socialisti, la perso nalità di Mussolini, la sua polemica
antiriformistica, gli echi sorelliani che vi si incontravano. Un primo contatto diretto con Mussolini
non avrà però seguito.
È nel 1915- 16, e non senza pause di sosta e di silenzio dovute oltre che agli studi intensi a
soprassalti di malattie e a depressioni fisiche e psichiche (di cui è un angosciato ricordo nelle
lettere della maturità) che Antonio Gramsci si impegna nella attività di partito e chiarisce in senso
rigoroso quell'iniziale stimolo a reagire all'attesismo ufficiale, al culto del beato isolamento.
Gramsci diviene cronista della pagina torine se dell'« Avanti! », annotatore di costume, critico
teatrale, tiene qualche conferenza sui temi più vari di cultura generale (da Ibsen alla rivoluzio ne
francese, da Romain Rolland all'emancipazione femminile) nei circoli socialisti della « barriera »
operaia della città, redige un numero unico, « La città futura » che è la migliore testimonianza del
suo socialismo gio vanile, carico di passione partigiana, di idealismo, di entusiasmo volon taristico.
La rivolta popolare dell'agosto del 1917, con le barricate, la lotta per le strade - dove caddero più
di cinquanta operai - costituisce un mo mento di rapida maturazione nella biografia politica del
solitario stu dente sardo, sancisce il vero incontro appassionato con il movimento reale dei
lavoratori sotto il cui segno andrà tutto il decennio successivo della sua vita di militante
rivoluzionario.
Appena la sommossa è sedata da una dura repressione la voce di Gramsci, provvisoriamente
segretario della sezione, e direttore del « Grido del Popolo », risuona di vibrazioni nervose, già in
polemica tra sparente coi padri della « Critica sociale », col loro contrapporre l'evol versi graduale
della società ai pericoli del socialismo «barricadiero». Claudio Treves aveva, appunto, lamentato «
l'errore » della sommossa torinese. E Gramsci, alle prese con la censura, così riusciva a replicare:
Noi ci sentiamo solidali con questo nuovo immenso pullulare di forze giovanili e non ne
rinnegheremo quelli che i filistei chiamano errori e gioiamo del senso gagliardo della vita che ne
promana... Il proletariato non vuole predicatori di esterio-
16 Capitolo primo
rità, freddi alchimisti di parole: vuole comprensione, intelligenza e simpatia piena d'amore '.
Bordiga si rivelava sull'« Avanti! » dinanzi alla scelta ideale e pratica che poneva la guerra; Gramsci
ha in sorte di esprimere il primo commen to dell'« Avanti! » (ormai censuratissimo) al grande fatto
nuovo della ri voluzione d'ottobre. Egli intitola l'articolo La rivoluzione contro il « Ca pitale». Sono
contro il Capitale di Marx i bolscevichi in quanto - argo menta Gramsci - essi superano nei fatti
l'interpretazione meccanica, de terministica, del marxismo propria della tradizione
socialdemocratica (che un'altra volta definirà la teoria dell'inerzia del proletariato), conte stano,
col loro atto vittorioso, la credenza che esista
una fatale necessità che in Russia si formi una borghesia, si inizi un'era capitalistica prima che il
proletariato po[ssa] neppure pensare alla riscossa, alle sue rivendica zioni di classe, alla sua
rivoluzione2.
Fiducia nella storia scritta dagli uomini, fiducia nei fatti, più forti del le ideologie. Il giovane che va
a Firenze poche settimane dopo a incontra re Bordiga già sente in quella riunione gravare su di sé
l'accusa di nu trire tendenze bergsoniane, la sua esaltazione della spontaneità, il porre l'accento
sulla volontà, sono sospetti ora come quando si esprimeranno in una posizione dottrinale più
articolata. Eppure il « volontarista » è uno dei pochi, nel 1917, tra i socialisti italiani, a non
pronosticare alla rivoluzione russa la sorte tragica della Comune parigina.
Per una curiosa ironia, l'uomo che fa conoscere al di là dell'ambito locale le due voci più nuove del
socialismo intransigente, Giacinto Me notti Serrati, diventerà il bersaglio principale del loro fuoco
incrociato nel 1920- 22, l'oggetto di una polemica non di rado meschina sul piano personale.
Serrati è della generazione precedente, ma non del socialismo paludato dei professori. È un self
made man, il cui tirocinio4 ricorda in una certa misura quello di Mussolini che egli nel 1914 ha
sostituito alla direzione dell'« Avanti! », senza farne rimpiangere lo spirito battagliero. Ma mentre
il transfuga pareva essere passato per caso attraverso il socia lismo Serrati è l'uomo dell'unità,
sente come intimamente suo, fino a vi verne con intensa drammaticità tutto il travaglio, il
patrimonio ideale del partito, delle sue varie componenti, la forza di una tradizione, lo spi rito di
bandiera.
Forse è un « patriottismo » tanto più vissuto in quanto si è alimenta -
1 Analogie e metafore, non firmato, «Il Grido del Popolo», a. xxu, n. 688, ij ottobre 1917.
2 Antonio gramsci, ha rivoluzione contro il «Capitale», «Avanti! », 24 novembre 1917.
3 Ne farà cenno lo stesso Gramsci nella nota dal carcere, La favola del castoro, Passato e Presen
te, Torino 1951, p. 59.
4 Cfr. renzo de felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino 1965, pp. 38- 40.
Bordiga, Gramsci e Serrati dalla guerra al dopoguerra 17
to in un lungo esilio. Nato ad Oneglia nel 1872, militante sin da giova nissimo, giù volte arrestato e
incarcerato da Crispi, G. M. Serrati era riparato per sfuggire ad una condanna, prima a Marsiglia
dove aveva fat to lo scaricatore nel porto, poi nel Madagascar, come operaio, quindi a New York,
nel 1902, direttore del giornale « Il Proletario » per gli emi grati socialisti italiani, e, di qui, in
Svizzera. A Losanna l'avevano eletto segretario della sezione locale del PSI; passato nel Canton
Ticino aveva assunto la direzione dell'* Avvenire del Lavoratore », della tendenza più rigida, fino al
suo ritorno in patria, nel 1912.
Serrati direttore dell'« Avanti! » diventa rapidamente uno dei più prestigiosi dirigenti, forse il più
popolare al tempo della guerra, in patria e tra i socialisti internazionalisti. È lui che, giocando una
vera beffa alla censura, riesce a pubblicare il manifesto della conferenza di Zimmer wald, fa
conoscere e amare ai lettori uomini come Karl Liebknecht e Franz Mehring, Lenin e Trockij,
Romain Rolland, Rosa Luxemburg, Klara Zetkin; a Kienthal è il solo della delegazione italiana ad
appoggia re la proposta di Lenin di abbandonare la II Internazionale e di costi tuirne una III. È un
polemista (uno « scampolista ») arguto, puntiglioso, anche se non caustico. Non reca idee originali,
no. Il suo marxismo non ha di leninista se non la simpatia romantica per il rivoluzionario, e l'idea
della necessità della rivoluzione, che, per il resto, Turati è ancora il pri mo ispiratore e venerato
maestro (anche se il direttore dell'« Avanti! » non risparmia rimbrotti alle sue dichiarazioni
patriottiche). La matrice positivistica è la stessa, anzi essa si presenta col socialista ligure « intran
sigente » in una versione più rozza, di primitivo razionalismo.
Quando Serrati viene arrestato nel maggio del 1918 sotto l'imputa zione di « tradimento indiretto
» per aver preso parte (cosa non esatta) ai fatti di Torino del 1917, manda ali'«Avanti! » dal carcere
- firmando col numero 48, quello della sua cella - alcuni scritti in cui riprende la po lemica con le
« tentazioni » di Turati. Ma dinanzi ai giudici militari, al processo in cui sarà condannato a tre anni
e mezzo di reclusione - scon terà la pena fino al marzo del 1919 - si difende citando una famosa
frase turatiana, durante la reazione del 1898:
Potete fare di me quello che volete ma la medaglia di Carlo Marx non me la strappate. «... Ho avuto
tutto ciò che può sperare un modesto milite che ha una sola qualità: la fede»'.
Bordiga, Gramsci, Serrati. I protagonisti della futura lotta interna al partito non esauriscono il
quadro della fase di trapasso tra il semiclande -
Crr. Autodifese di militanti operai e democratici italiani davanti ai Tribunali, Milano 1958, PP. 136-
37.
18 Capitolo primo
stino moto di resistenza socialista durante la guerra e l'esplodere della crisi rivoluzionaria
all'indomani stesso della fine del conflitto. Ma le li nee di tendenza essenziali, i motivi dei
contrasti di quell'indomani, sono presenti. Semmai, si tratterà di vederli decantati, dopo il
momento di ge nerale fervore entusiastico (Bordiga fonda « Il Soviet » sin dal dicembre 1918,
Gramsci « L'Ordine nuovo » nel maggio 1919). Al XV congresso nazionale del PSI che si tiene a
Roma, in condizioni precarie (anche il se gretario del partito Lazzari è in carcere) sullo scorcio
finale della guerra, nel settembre del 1918, il massimalismo è trionfante, e il gruppo parla
mentare, imputato di collaborazionismo, è l'oggetto principale dei suoi strali polemici.
Gli occhi di tutti sono però rivolti al di là della frontiera: alle grandi battaglie che decideranno la
sorte degli Imperi Centrali, alla Russia do ve, dopo la pace di Brest- Litovsk, si è costituita la
Repubblica sovietica e socialista. Il PSI non intende confondersi con i partiti socialisti dei paesi
alleati. Al congresso di Roma del settembre 1918 grandi applausi accol gono il messaggio di Lenin
ai « socialisti intransigenti di tutti i paesi » e la direzione uscita dall'assise invoca riunioni
internazionali cui parteci pino « tutti i socialisti che si impegnano a rompere ogni tregua con le
clas si dominanti».
Il congresso, in questa vigilia della fine della guerra, già respira l'aria dell'attesa rivoluzionaria.
Tutti cominciano a proclamarsi tali, ad esclu sione, e neppure netta, della minoranza riformista; ha
inizio, a vero dire, un momento in cui il processo di distinzione della « nuova sinistra » si
stempera - anche se non si annulla - in un massimalismo generico che accomuna per ora i Repossi
e i Gennari, entrati nella nuova direzione, con uomini molto meno estremisti come Velia, Lazzari e
Serrati. Così, la frazione intransigente - rivoluzionaria conquista con la sua mozione più del 70% dei
suffragi (il partito conta circa 20 000 iscritti). La piattafor ma politica, o meglio l'insieme di
speranze, aspettative, entusiasmi, che si affacciano, è ben rappresentato da questo passo:
Tentare ogni sforzo per impedire l'opera di soffocamento della rivoluzione russa e di ogni azione
che eventualmente potesse muovere (in altro Stato) alla con quista rivoluzionaria del potere col
programma della pace immediata e della espro priazione capitalistica. Così, nell'ambito nazionale,
il Partito sarà pronto ad appro fittare di ogni causa di debolezza delle classi dominanti a
risvegliare, irrobustire e guidare le forze proletarie '.
Il nome di Lenin esce dalla leggenda per divenire un richiamo poli tico costante, anche se la sua
azione è poco conosciuta e la sua opera teo-
1 Cfr. Il PSI nei suoi congressi, voi. Ili, a cura di Franco Pedone, Milano 1963, pp. 41- 43.
Bordiga, Gramsci e Serrati dalla guerra al dopoguerra 19
rica ancor meno. Sul « Grido del Popolo » che il giovane direttore ha tra sformato, per dirla con le
parole di Piero Gobetti, in « una rivista di pen siero e di cultura » ', lo studio e l'esaltazione
dell'esperienza russa, l'ana lisi degli istituti rivoluzionari che ivi si sono affermati, divengono il leit
motiv. Il bolscevismo — afferma Gramsci — è un fenomeno storico di im mensa portata, non è
opera di utopisti ma di avanguardie consapevoli e di masse che si muovono sulla via giusta, l'unica
strada giusta2. La « rap presentanza diretta dei produttori » già avvince il futuro teorico dei
Consigli di fabbrica. Gramsci commenta in questi termini il congresso di Roma:
Il trionfo della nostra frazione non deve illuderci e indurci a rallentare la no stra opera di cultura e
di educazione. Esso, anzi, ci crea responsabilità maggiori3.
pierò gobetti, Storia dei comunisti torinesi scritta da un liberale, Scritti politici, Torino 1960,
p. 283.
L'opera di Lenin, non firmato, «Il Grido del Popolo», a. xxiii, n. 738, 14 settembre 1918. Dopo il
congresso, non firmato, «Il Grido del Popolo», a. xxiii, n. 738, 14 settembre 1918.
Capitolo secondo
La fondazione della III Internazionale e il PSI
La rivoluzione operaia pare divampare all'indomani stesso della resa degli Imperi Centrali,
dall'Oriente europeo in Occidente. È già in atto in Germania, « il paese più avanzato del mondo »
dirà Lenin, e ha assun to il potere in Ungheria.
La fondazione della III Internazionale, dell'Internazionale comunista - affer ma Lenin all'indomani
della conferenza in cui essa nasce - è la vigilia della repub blica internazionale dei soviet, della
vittoria internazionale del comunismo '.
La nuova Internazionale cava le proprie premesse dalla critica leni niana alla II («una buca delle
lettere»), dalla denuncia dei suoi capi, del fallimento mostrato in occasione e durante la guerra. I
lavoratori ri voluzionari dovranno sbarazzarsi di simili dirigenti opportunisti, e non soltanto dei «
socialsciovinisti », considerati avversari diretti di classe, «borghesi nel movimento operaio», ma di
quei « socialpacifisti», esi tanti, fautori di una unità socialista che appare a Lenin l'equivoco mag
giore da dissipare: i Kautsky, i Longuet, i MacDonald, i Grimm, i Tu rati, i Modigliani, gli Adler, i
Martov.
È dalla scissione più netta, dalla lotta più aspra contro i menscevichi (i minoritari, divenuti
sinonimo di « socialriformisti ») che i bolscevichi sono giunti al potere, hanno conquistato a sé i
soviet operai, hanno mes so in moto il grande mondo contadino russo. E le analogie che, dal 1917,
essi vanno fissando sul piano internazionale partono tutte dalla propria esperienza vittoriosa,
maturata mediante una lotta politica e un'azio ne rivoluzionaria che non hanno riscontro nelle
altre socialdemocrazie d'Europa. Esse si sono sviluppate in un quindicennio attraverso varie tappe:
dal 1905 al 1917, dal febbraio all'ottobre, da Brest- Litovsk alla difesa del nuovo Stato contro gli
assalti delle truppe « bianche » e dei contingenti alleati che lo insidiano nel 1919, l'anno del
grande isolamen to della Russia.
1 Conquistato e registrato, «Pravda», 6 marzo 1919, in Vladimir il'ic lenin, Opere scelte, Roma
1965, p. 1215.
La fondazione della III Internazionale e il PSI 21
La rivoluzione in Europa dovrebbe dunque seguire lo stesso corso, obbedendo agli stessi principi
fondamentali. La dittatura del proletaria to in primo luogo, « necessaria per tutta la massa dei
lavoratori come unica difesa contro la dittatura della borghesia che ha portato alla guerra e
prepara nuove guerre », una dittatura che spezzi « la macchina dello Stato borghese », che schiacci
con violenza « l'opposizione degli sfrutta tori », e che porti con sé
non solo il mutamento delle forme e delle istituzioni della borghesia in generale ma precisamente
un mutamento tale che estenda come non mai l'utilizzazione di fatto della, democrazia da parte
degli oppressi del capitalismo1.
Perciò Lenin spia le forme di dittatura proletaria, i germi di potere sovietico che spuntano in
Germania con il Rate System (il sistema dei Consigli) oppure in Inghilterra con il movimento di
delegati d'officina, gli Shop- Stewards Commities, ed è convinto che con la vittoria « anche in uno
solo dei paesi più progrediti » avverrebbe una brusca svolta e la Russia cesserebbe di essere il
paese modello. La vittoria su scala interna zionale appare a tutto lo stato maggiore del partito
bolscevico la condi zione stessa perché la rivoluzione russa possa resistere. Trockij lo ha af
fermato sin dal dicembre del 1917 :
Se i popoli di Europa non si sollevano schiacciando l'imperialismo noi saremo schiacciati — ciò è
fuori di dubbio. O la rivoluzione russa susciterà il turbine della lotta in Occidente oppure i
capitalisti di tutti i paesi soffocheranno la nostra lotta2.
E Bucharin, al VII congresso del partito bolscevico, aggiungerà:
Noi dicevamo, e diciamo, che in definitiva tutto dipende dal fatto che la rivo luzione
internazionale vinca o non vinca. In definitiva, la rivoluzione internaziona le, e soltanto essa, è la
nostra salvezza 3.
È una condizione di cui non si dubita. Il quadro europeo suffraga lar gamente l'ottimismo. In
Ungheria il potere sovietico si afferma attraver so l'alleanza, anzi la fusione al governo, tra
comunisti e socialdemocra tici. In Germania - come vedremo - sorge alla fine di dicembre del
1918, dalla lega spartachista, il Partito comunista e l'insurrezione ope raia, lo stesso assassinio,
nel gennaio del 1919, di Karl Liebknecht e Ro sa Luxemburg, sono considerati a Mosca la prima
tappa dolorosa di un cammino del proletariato tedesco analogo a quello della Russia.
Nel gennaio del 1919, Lenin promuove l'invito « a tutti i partiti con-
' lenin, Tesi e rapporto sulla democrazìa borghese e sulla dittatura del proletariato, presentati " 4
marzo 1919, in L'Internazionale comunista, Roma 1950, p. ji. Vtoroj Vserossijikij S'ezd Sovetov
(1928), pp. 86- 87. Sed'mo) S'ezd Rossjskoj Kommunisticeskoj Partii (1923), pp. 34- 3.5.
22 Capitolo secondo
trari alla II Internazionale » a partecipare a un congresso a Mosca, o me glio a una conferenza, che
abbia per obiettivo la creazione di una terza «Associazione internazionale dei lavoratori». Se la 1°
di Marx, aveva gettato le fondamenta della lotta internazionale per il socialismo, e la II aveva
preparato il « terreno per una diffusione larga, di massa, del mo vimento, in un buon numero di
paesi », ed era poi naufragata nell'oppor tunismo con la guerra del 1914- 18, la III avrebbe
cominciato ad attuare la dittatura del proletariato, « subordinando - come specificava l'invito a 39
partiti o minoranze di essi - gli interessi del movimento di ciascun particolare paese agli interessi
della rivoluzione su scala internazionale ».
Il manifesto di convocazione, oltreché da Lenin e Trockij, è firmato dai partiti comunisti polacco,
ungherese, austriaco, lettone, finlandese, da Rakovskij a nome della Federazione socialdemocratica
rivoluzionaria balcanica e da Reinstein per il Socialist Labor Party americano. Il «cor done sanitario
» cinto attorno alla Russia sovietica impedisce a numerose rappresentanze di giungere a Mosca
dove il 7 di marzo è convocata l'a pertura della « conferenza internazionale comunista ».
Per ciò che concerne l'Italia, vi sono colorazioni romanzesche del pri mo contatto (ma non perciò
meno illuminanti di una realtà: che la estrema difficoltà e aleatorietà delle comunicazioni e dei
rapporti reciproci perdurerà ancora nel 1920, contribuendo non poco a creare barriere, in
comprensioni, equivoci).
Pare dunque, a quanto dirà Costantino Lazzari al XVI congresso del PSI, a Bologna, che i rapporti
diretti siano cominciati così:
Nel mese di marzo era arrivato in mio possesso, attraverso le scarpe di un po vero pellegrino che
veniva da Mosca l'invito ufficiale e originale che i compagni co munisti di Russia mandavano per la
costituzione della Terza Internazionale. Di questo invito noi avevamo prima sentito parlare e
qualche notizia era venuta attra verso la stampa estera; ma esattamente lo conoscevamo solo
attraverso le scarpe del povero pellegrino che era stato arrestato appena arrivato alla frontiera '.
In verità, qualcosa di più era trapelata. I giovani socialisti italiani, ad esempio, diffondevano nel
febbraio del 1919 una circolare in cui si pub blicava l'appello di Lenin, datato da Mosca (23
gennaio) per la « convo cazione della nuova Internazionale rivoluzionaria ». Al testo dell'appello
seguiva una fiera, entusiastica, postilla del segretario della Federazione giovanile socialista, Luigi
Polano, che sottolineava come l'invito fosse rivolto anche al PSI e alla « gioventù socialista
internazionale ».
L'atto con cui Lenin ci chiama a congresso - scriveva Polano - è il miglior de creto di abilitazione
morale e politica che poteva essere compilato per noi, guardie
1 Cfr. XVI Congresso dei PSI, resoconto stenografico, ed. «Avanti!», 1920, p. 38.
La fondazione della III Internazionale e il PSI 23
giovani del socialismo comunista internazionale!... Sicuri di interpretare la immen sa falange dei
giovani socialisti non solo d'Italia ma del mondo intero, rispondiamo all'appello di Nicola Lenin
con vibrato presente! Comunisti del mondo, giovani e adulti, a Congresso1!
Quasi negli stessi giorni, Oddino Morgari, che da un decennio è il « ministro degli Esteri » del PSI e
ha svolto una parte di primo piano nell'organizza zione della conferenza di Zimmerwald (pur
schierandosi, a quel tempo, contro la linea dei bolscevichi), manda a Lenin segretamente queste
righe, vergate su piccoli ritagli di carta:
Sono delegato ufficialmente dal partito socialista italiano per esprimere al bol scevismo la
solidarietà senza riserve, entusiasta e riconoscente del partito e del pro letariato cosciente
italiano... Mando il più caldo saluto ai compagni russi e al po tere sovietico. Spero di essere in
Russia tra breve2.
Morgari si mette in viaggio ma non riesce a raggiungere la Russia (si fermerà nell'Ungheria
sovietica). Né sarà il solo, come s'è detto. Tra i cinquanta delegati alla conferenza moscovita,
mancano praticamente, con gli italiani, i francesi, i belgi, gli inglesi, gli spagnoli. Altri rappre
sentanti non sono in grado di parlare a nome del proprio partito: solo di ciannove hanno voto
deliberativo3. La fondazione dell'Internazionale comunista è più formale che sostanziale. La
prevalenza russa, ancorché sia proclamata come provvisoria, è schiacciante. Zinov'ev e Radek (allo
ra imprigionato in Germania) sono eletti alla testa del nuovo organismo, che nasce ufficialmente il
4 marzo, con l'adesione di rappresentanti del l'Austria, dell'Ungheria, della Scandinavia, della
Svizzera, della Federa zione balcanica e l'astensione del rappresentante tedesco. Del resto, è
proprio dall'impronta bolscevica che la III Internazionale ricava il suo maggiore prestigio presso i
partiti socialisti dell'Occidente, o almeno la loro ala sinistra, e presso le masse che si ispirano
all'esempio sovietico. A queste è dedicato il maggiore sforzo di « educazione rivoluzionaria » che il
1° congresso si propone di compiere: chiarire l'importanza e la ne cessità dei soviet, lavorare per
la loro diffusione, mobilitarsi in difesa della rivoluzione russa assediata e assalita, costringere i
governi dell'In tesa ad abbandonare l'intervento nella guerra civile.
Copia della circolare a stampa intestata alla FGSI e datata Roma, 1} febbraio 1919, è trasmes sa dal
prefetto di Siena il 31 marzo 1919 al ministero dell'Interno per sapere se può essere oggetto di
denunzia all'autorità giudiziaria contenendo «eccitamenti alla rivolta armata» (ACS, Min In terno^,
Dir. gen. PS, A. g.er., 1919, C. 1, b. 8j).
Ne da notizia Lenin stesso in un discorso tenuto a Mosca il 17 aprile 1919. Due estratti della
lettera vengono pubblicati, tradotti in francese, da Angelica Balabanoff, in un suo messaggio «aux
camarades italiens», in «L'Internationale communiste», a. 1, n. 1, 1° maggio 1919.
Sui lavori della conferenza, sul carattere dell'intervento russo, cfr. Edward h. carr, La rivo luzione
bolscevica (1917- 1923), Torino 1964, pp. 911- 12.
Cfr. più avanti, p. 25.
24 Capitolo secondo
L'«ondata rossa» monta nella primavera: in aprile a Monaco, gli operai bavaresi proclamano la
repubblica sovietica; in Inghilterra il mo vimento laburista vede sorgere dal suo seno uno
schieramento operaio di sinistra, assai forte, su cui Lenin fonda grandi speranze, prospettando un
suo sviluppo tale che crei un dualismo di poteri effettivo nelle fabbri che. Addirittura « ultra
sinistre » appaiono correnti sindacali e politiche che si fanno luce.in Francia, in Olanda, in
Germania, anche se sono de stinate a rapida dissoluzione. Comunque, in Francia, si crea in maggio
un «Comité de la III Internationale» capeggiato da Loriot, Suvarin e Rosmer che preparerà
l'adesione della maggioranza del Partito socialista francese.
Tra maggio ed agosto, la situazione muta notevolmente. Crolla la Ba viera sovietica e, fatto assai
più grave, che occuperà l'attenzione e ali menterà i dibattiti di tutto il movimento comunista,
fallisce anche l'espe rimento della Repubblica sovietica ungherese sotto l'urto dell'esercito
rumeno. La fusione tra comunisti e socialdemocratici ha avuto rapida fine e al sabotaggio di questi
ultimi si imputa lo scacco: monito per tutti gli altri paesi, che rafforza nei bolscevichi la
convinzione che la rottura con la destra debba sempre precedere un tentativo di presa del potere.
L'autunno segna poi la crisi più grave per la Russia. Le truppe organiz zate dai generali « bianchi »
e armate dall'Intesa avanzano su tutti i fron ti, dalla Siberia (Kolcak) alle porte di Leningrado
(Judenic), sino in Ucraina e nella Russia centrale (Denikin) a trecento chilometri da Mo sca. I
contatti del centro della neonata Internazionale comunista con i partiti comunisti e socialisti
europei sono pressoché interrotti.
Che l'Internazionale non coordini affatto, nel 1919, l'attività dei suoi vari « reparti », che alcune
sconfitte siano già registrate, non significa che la crisi rivoluzionaria si vada risolvendo in senso
negativo né che il moto centripeto stia perciò rallentando. Già da allora sono due i paesi nei qua li
la prospettiva della presa del potere pare più vicina: la Germania e l'I talia. In Germania, nel
novembre del 1918, un forte movimento rivolu zionario operaio, partito da Kiel e dalle città
portuali, si era esteso all'e sercito, aveva raggiunto Berlino e portato al potere, attraverso il manda
to dell'assemblea dei Consigli degli operai e dei soldati sei commissari del popolo, socialisti del
partito maggioritario di Scheidemann, di tipica intonazione socialdemocratica, e del partito degli
indipendenti (USPD) che si collocava alla sua sinistra. Forte appariva il movimento comunista
raccolto attorno alla « Lega di Spartaco », capeggiato da Liebknecht e da Rosa Luxemburg, che
puntava a dare tutto il potere ai soviet mentre la ##
1 annie kriegel, Aux origines du cotnmunume jranqais cit., voi. II, pp. 575- 652.
La fondazione della III Internazionale e il PSI 25
socialdemocrazia tedesca chiedeva un'assemblea costituente e gli indi pendenti apparivano divisi:
una divisione che rifletteva lo stesso vario orientamento delle masse popolari della Germania dove
si contrappone vano una forte spinta rivoluzionaria e una non meno radicata tradizione di «
aristocrazia operaia ».
L'urto, il primo urto decisivo, avviene nel gennaio del 1919 quando un'insurrezione spartachista è
spenta nel sangue dalle forze governative comandate da Noske, un esponente dell'estrema destra
socialdemocra tica, e prima Liebknecht e poi Rosa Luxemburg vengono uccisi dalle truppe operanti
agli ordini del governo. L'assassinio resterà un simbolo della funzione controrivoluzionaria della
socialdemocrazia. Le sorti suc cessive della lotta per il potere in Germania (pur compromesse dal
crollo della Baviera sovietica e da un progressivo annientamento del potere po litico dei Consigli)
non sono però segnate con il fallimento della prima ondata rivoluzionaria. Il movimento operaio di
sinistra, sorretto anche da un fortissimo fronte sindacale (che raduna nelle sue file quasi nove
milioni di lavoratori) subisce piuttosto un ulteriore travaglio, con la ri nascita (nell'USPD) e il
rinvigorimento, di una grande corrente di oppo sizione al governo e la scissione del Partito
comunista tedesco - guidato ora da Paul Levi (KPD). Dalle sue file escono infatti quasi metà dei
mili tanti che danno vita a una formazione estremista, il Partito operaio co munista (KAPD), che è
ispirato da una intransigenza radicale nei con fronti di ogni tattica che miri a « compromettere »
l'avanguardia operaia rivoluzionaria.
La complessità politica del movimento socialista tedesco (dove le stesse ispirazioni teoriche del
KPD sono assai eterogenee) si era, d'al tronde, già rivelata al 1° congresso dell'Internazionale dove
il delegato spartachista Eberlein si era mostrato avverso alla sua costituzione, sulla base stessa
delle preoccupazioni espresse da Rosa Luxemburg di fronte a un'organizzazione internazionale
che si rivelasse prematura rispetto al movimento delle masse '. La situazione della Germania resta
comunque aperta a una ripresa rivoluzionaria nel primissimo dopoguerra.
Quanto all'Italia del 1919, la tensione sociale non è meno evidente.
Nel 1919 gli elementi della crisi di tutta la società italiana divengono tali che il paese pare
partecipare maggiormente della situazione dei paesi vinti che di quella dei paesi vincitori. Il
dissesto economico è gravissimo. La circolazione monetaria si accresce in sei mesi di quattro
miliardi di ##
Sull'atteggiamento dei delegati tedeschi al I congresso dell'Internazionale comunista cfr. B.
reinstein, Sur la vote du I Congrès de l'I. C, in Dix années de lutte pour la révolution mon diale,
Paris 1929, pp. 295- 98, e H. eberlein, ha fondation de l'I. C. et la Ligue Spartacus, ibid., Pp.
299.303.
26 Capitolo secondo
lire, la spirale dell'inflazione prende subito la sua ascesa, i cambi con le monete straniere salgono
rapidissimamente (il dollaro da 6,34 alla fine della guerra giunge a 13,07 nel 1919, la sterlina da
30,27 a 50,08) il de bito pubblico è ormai di 74 496 milioni di lire. E, ciò che è più grave, mentre
l'industria, sviluppatasi notevolmente durante la guerra, stenta ad operare una brusca
riconversione di un apparato divenuto elefantiaco e la produzione si abbassa in misura che varia
dal 20 sino al 40%, anche l'agricoltura è in crisi. Cala la produzione del frumento e quella del gra
noturco. Le importazioni di generi alimentari pesano per il 40% sullo sbilancio commerciale.
Tutti i ceti si trovano, per una ragione o per l'altra, in uno stato di insofferenza e di disagio,
premono con forza eversiva su uno Stato la cui « macchina » (per stare alla formula leniniana) è
gravemente inceppata. Il nuovo governo Nitti (giugno 1919), che tenta una restaurazione eco
nomica facendo leva su una riduzione dei consumi e su un incremento della produzione, ha una
base politica debolissima. L'irrequietezza di cir coli militari, gruppi economici, forze conservatrici
agrarie, diventa mi nacciosa. Il Partito popolare italiano, che si afferma nel 1919 partito di masse
rurali, in tutto il paese, non interviene certo come fattore d'equi librio. Gli scioperi rivendicativi
investono milioni di lavoratori.
Quella che si chiamerà poi « mania scioperaria » ha due aspetti che non conviene però scordare:
d'un canto, le agitazioni salariali e contrat tuali ottengono un effetto concreto, poiché, nel mutato
rapporto di for ze, è attraverso di esse che numerose categorie riescono a salvaguardare, e, in
qualche caso, a migliorare il loro tenore di vita insidiato dall'aumen to dei prezzi, a raggiungere
conquiste normative cui da anni, da decenni a volte, aspiravano braccianti e metallurgici, ferrovieri
e tessili; dall'al tro, gli scioperi politici (sia il caso di un richiamo solidaristico di carat tere
internazionale, sia quello di una pressione in appoggio a posizioni espresse dal gruppo
parlamentare socialista o a manifestazioni promosse dalla direzione del partito) sono un altro
potente fattore associazionisti co, un segno di quanto incidano l'ascendente bolscevico e la
propaganda socialista.
I grandi, generali, motivi di attrazione del socialismo (la fine dello sfruttamento del lavoro
salariato, la collettivizzazione della terra, le fab briche agli operai, uno Stato non più oppressivo
ma diretto dal popolo per il popolo, un mondo senza guerre né soperchierie) sono quelli che con
la fine della guerra i socialisti vanno, per ogni piazza, agitando dinan zi alle masse. Non sono certo
motivi nuovi poiché la carica finalistica del socialismo italiano, la sua ispirazione
internazionalistica, ne animarono gli albori e poi via via si fecero più accese e forti. Ma è col potere
offrire,
La fondazione della III Internazionale e il PSI 27
finalmente, un « modello » reale, col poter mostrare il regno dell'Utopia già in via di realizzazione
in un paese, e a portata di mano in tutti i paesi più avanzati, che quella carica diventa esplosiva.
La predicazione socialista cava di qui la sua suggestione più profon da. Un partito rimasto, come
tale, organismo di esigue minoranze, con una scarsa circolazione di élites, con un quadro dirigente
che ha poca esperienza e scarsa preparazione teorica rivoluzionarie, vede ora affollate le sezioni
territoriali, i circoli operai, irrobustite le proprie file - da 24 000 « soci » nel 1918 a 87 580 nel
1919 - fiorenti le cooperative pro letarie di consumo e di produzione. L'« Avanti! » tira
quotidianamente più di trecentomila copie.
Esiste una letteratura ormai cospicua e pressoché unanime nel giudi zio (in un arco che va da
Salvemini sino a Gramsci passando per Nenni, Gobetti, Tasca) sull'« insufficienza rivoluzionaria »
del PSI nel primo do poguerra, sul « diciannovismo » caratterizzato dalla contraddizione via via
più stridente tra la fraseologia massimalistica e l'inerzia, l'indeci sione, la debolezza nell'azione.
Qui vorremmo semplicemente indicarne quei tratti essenziali che più contribuiranno a preparare
una sconfitta di proporzioni storiche del movimento e a provocare la scissione.
Il partito, nel 1919, fa soltanto della propaganda, accentuando nelle masse uno stato di
aspettazione messianica. È il primo ad essere sorpreso dall'ingresso sulla scena di queste stesse
masse che la sua struttura inter na e il suo bagaglio dottrinale non riescono a considerare e a
muovere co me protagoniste effettive di una marcia alla rivoluzione. Del tutto assen te è il
concetto leniniano di compiti e obiettivi transitori. I massimalisti, in particolare, si rivelano
prigionieri di un formulario ideologico, di un gusto bizantino per le discussioni di principio (l'uso
della violenza, l'in transigenza nei confronti del mondo borghese, la partecipazione o meno alle
elezioni) che esauriscono tutto il dibattito sulle prospettive '. Il rivo luzionarismo del partito è
fatto di una serie di « no », rifiuta ogni scelta tattica, si appaga nell'attesa del crollo immancabile e
prossimo della bor ghesia. Bisogna anche aggiungere che tale attesa è comune, nel 1919, a tutte le
correnti e i gruppi: la troviamo formulata, in termini più o meno apocalittici o evoluzionistici, in
Gramsci come in Treves, in Serrati co me in Bordiga. La « psicologia parassitaria » alimenta il mito
dello scio pero generale. Molti riformisti fanno dichiarazioni incendiarie, osanna no alla
rivoluzione russa non meno dei massimalisti.
La direzione del partito ha codificato, in un patto con la Confedera -
Cfr. le osservazioni complessive e il giudizio che formula sul massimalismo gaetano arfé, Sto na
del socialismo italiano (1892- 1926), Torino 196J, pp. 274- 86.
28 Capitolo secondo
zione del lavoro, una divisione di compiti secondo la quale gli scioperi politici verranno diretti
dalla prima, quelli economici dalla seconda. Ma dove sta la linea divisoria in una situazione nella
quale ogni agitazione sindacale si trasforma in un movimento di massa che assume non di rado
carattere di tumulti preinsurrezionali?
« La proclamazione dello sciopero generale — afferma la direzione nel marzo del 1919 - sarà fatta
appena il lavoro per l'organizzazione e coe sione delle forze proletarie e socialiste darà
affidamento per il suo pieno e completo successo ». Ma passeranno i moti, violenti, contro il
rincaro dei prezzi, tra la fine di giugno e l'inizio di luglio del 1919, passerà « l'oc casione »
dell'imponente sciopero di solidarietà con la Russia e l'Unghe ria sovietiche - che molti
attendevano veramente come l'inizio dell'in surrezione - senza che il dado sia tratto.
La verità è che il solo « governo operaio » efficiente è quello della Confederazione del lavoro,
saldamente in mano ai riformisti, che si muo ve su una linea più che gradualistica e respinge -
nell'azione - quella prospettiva insurrezionale che pure pare condividere a parole '. La CGL, del
resto, è anch'essa come, stordita dal proprio impetuoso sviluppo: 250 000 iscritti nel 1918, un
milione e mezzo nel 1919, due milioni nel 1920. I successi del movimento si riassumono nei
risultati elettorali: nel novembre del 1919, alle prime elezioni generali che avvengono col sistema
proporzionale, il Partito socialista raccoglie 1 834 000 voti e in via in Parlamento 156 deputati.
Che tensione vi sia nelle masse e che incertezza al vertice sarà mostrato ancora il 2 dicembre
1919, quando un'aggressione a parlamentari socialisti provoca uno spontaneo sciopero generale,
violentissimo, che si spegne nel nulla.
L'influenza del bolscevismo si esprime, invece, piuttosto che sul pia no tattico e strategico, su
quello del programma finalistico del partito. Al XVI congresso, di Bologna, dell'ottobre del 1919
(dove i delegati, per acclamazione, approvano la decisione presa sin dal 18 marzo dalla dire zione
di aderire alla Internazionale comunista) si modificano i presuppo sti teorici su cui il PSI si
fondava dal 1892.
In luogo di continuare a fidare nella possibilità di trasformare, a van taggio dei lavoratori, gli
istituti della democrazia borghese, la mozione presentata dai massimalisti (e approvata con il 65%
dei voti) propugna l'instaurazione di un « regime transitorio della dittatura di tutto il pro letariato
» ed oppone ai vecchi organi rappresentativi la creazione di « Consigli dei lavoratori, contadini e
soldati », di Soviet. ##
1 Alla vigilia dello sciopero generale del luglio 1919, l'onorevole D'Aragona, segretario della CGL,
dichiara in un'intervista, che «l'insurrezione è quasi inevitabile» («Avanti! », 3 luglio 1919).
La fondazione della III Internazionale e il PSI 29
La svolta storica è un equivoco che dalla tribuna congressuale le mi noranze di destra e di estrema
sinistra denunciano. A destra, Turati par la apertamente, a proposito della rivoluzione russa, d'una
infatuazione mitica che si è impadronita del partito. Egli non crede nelle virtù tauma turgiche della
violenza e ancor meno nel successo del bolscevismo, in Russia o altrove. L'uomo che contrappone
l'orda sovietica all'urbe occi dentale è a Bologna ora ironico ora allarmato per gli effetti del
massima lismo dominante e le illusioni che esso alimenta.
Noi allontaniamo - dice - dalla rivoluzione le stesse classi proletarie. Perché è chiaro che,
mantenendole nella aspettazione messianica del miracolo violento, nel quale non credete e per il
quale non lavorate se non a chiacchiere, voi le svogliate dal lavoro assiduo e pensoso di conquista
graduale che è la sola rivoluzione '.
Saranno soltanto i fatti, però, la crisi del 1920, a rendere più precise affinità e differenziazioni tra
riformisti e massimalisti. Allora la diffiden za e la preoccupazione dei primi sulle sorti di un
tentativo « soviettista » si tramuteranno in un lavoro preciso per scongiurarlo, nel pieno delle lotte
operaie, mentre l'atteggiamento (anche sincero) dei secondi di pro crastinare ogni occasione
rivoluzionaria li costringerà comunque a una prima scelta: o restare coi riformisti o passare coi
comunisti, che riceve ranno l'avallo e l'incoraggiamento, pressante, dell'Internazionale. Il par tito
va, per ora, unito alle elezioni, pur sostenendo che i suoi rappresen tanti entreranno a
Montecitorio soltanto per colpire al cuore il parlamen tarismo e accelerare l'agonia del sistema.
Bordiga, che ha già organizzato la sua frazione di estrema - il Comi tato centrale è tutto costituito
di napoletani - è convinto, non meno di Turati, dell'equivoco massimalista. E lo vuole sgomberare
proponendo una linea che impedisca le tergiversazioni « centriste » : dichiarare ogni azione
elettorale come inutile e dannosa.
Chiamare alle urne il proletariato — ha scritto sul «Soviet» del 16 giugno equivale senz'altro a
dichiarare che non vi è nessuna speranza di realizzare le aspi razioni rivoluzionarie e che la lotta
dovrà svolgersi necessariamente entro l'ordine borghese.
E, poi, chi va in Parlamento a rappresentare gli operai? « Vanno sol tanto avvocati, professori,
giornalisti, professionisti ». La commedia par lamentare è fonte di corruzione, di inganno, di
diseducazione per le mas se. Il partito esaurisce la sua funzione e le sue energie nei certami eletto
rali, in un'azione che gli stessi massimalisti considerano secondaria.
1 XVI Congresso del PSI cit., p. 57.
30 Capitolo secondo
La borghesia - insiste Bordiga sull'« Avanti! » del 29 settembre - per vivere deve fare del
riformismo. Per riuscirvi ha bisogno della partecipazione del proleta riato alla democrazia
parlamentare. La nostra astensione spezzerebbe di netto il gioco del governo attuale.
Le variazioni su questo tema sostanziale che Bordiga introduce per mesi e mesi insistono tutte su
una pregiudiziale di chiarezza e di purezza, di pedagogia rivoluzionaria e antidemocratica. Le
masse vanno educate alla coscienza di un'antitesi totale non scendendo a nessun compromesso
col sistema avverso, non fornendo nessuna legittimità alla rappresentati vità del potere borghese.
Non sono destinate a prevalere facilmente simili tesi nel tessuto di un partito che, nonostante la
fraseologia incendiaria, è nella sostanza - per dirla con Nenni - null'altro «che un grande
organismo, una grande macchina per le elezioni» '. Ma Bordiga si trascina appresso a Bologna 3417
voti sulla piattaforma astensionistica. E, ciò che più conterà per l'avvenire, prendendo la parola
alla tribuna per illustrare la propria mo zione introduce un elemento di differenziazione politica,
proprio in rap porto ai compiti nazionali e internazionali più immediati. Egli chiede che sia
dichiarata incompatibile la presenza nel partito di coloro che ripudia no il metodo della lotta
armata. E lo chiede in termini che diverranno un anno dopo quelli del Comitato esecutivo
dell'Internazionale comunista:
Quando si tratterà domani di fare la rivoluzione, quando saremo a questa svol ta della storia una
parte del partito si volgerà contro di noi e sarà questo un gran dissimo inconveniente... Noi
pretendiamo che il Congresso dica se chi nega la vio lenza per la conquista del potere può essere
cittadino del nostro partito2.
Quando Serrati interviene nel dibattito dice: « La responsabilità del la scissura noi non ce
l'assumiamo». Lo sentiamo ripetere, con accani mento, la stessa cosa a Bologna come l'anno dopo
a Mosca, e nel 1921 a Livorno. Serrati si dice certo che il periodo è rivoluzionario, ma i « comu
nisti puri » gli sembrano militi avventati della rivoluzione. Perché per dere il grosso dell'esercito
nelle battaglie decisive, perché rifiutare le competenze, il prestigio, le forze che posseggono un
D'Aragona o un Tu rati e che torneranno assai utili nella fase ricostruttiva? Il PSI che Ser rati
conosce e ama è quello: ed egli lo proclamerà: è l'« Italia evoluta» che si raccoglie nelle sezioni, nei
municipi rossi, nei sindacati, nelle coo perative. A Mosca, con il suo tipico sarcasmo, Zinov'ev dirà
che Serrati preferisce rischiare l'insuccesso della rivoluzione, tenendosi i controrivo luzionari in
casa, che la perdita del sindaco di Milano. Serrati è convinto ##
1 Pietro nenni, Il diciannovismo, Milano 1962, p. 58.
2 XVI Congresso del PSI cit., p. 72.
La fondazione della III Internazionale e il PSI 31
che la rivoluzione deve venire da sé: per lui i marxisti non hanno il com pito di fare la storia1.
Senonché, fissati questi punti, che tutti si riconducono a definire quella che abbiamo chiamato la «
insufficienza rivoluzionaria » del PSI, non ci si può limitare ad essi per chiarire la contraddizione
più clamoro sa: che l'inerzia delle dirigenze si palesa proprio nell'anno - 1919 - in cui più ampia
appare la crisi sociale ed esistono almeno due delle classi che condizioni elencate da Lenin per lo
scoppio della rivoluzione, la co scienza nelle grandi masse popolari dell'intollerabilità ulteriore
delle condizioni e dell'« ordine vecchio » in cui vivono, e lo sconcerto della classe dirigente
incapace di unificare la società che essa governa. Manca un partito come quello bolscevico, è vero.
Ma vi sono anche altri fattori nazionali e internazionali che non vanno scordati.
Il movimento operaio non ha una politica (e non ha neppure una presa determinante) verso gli
strati intermedi urbani e agricoli. Nelle campagne, si oscilla tra una programma zione estremistica
di socializza zione del suolo (per cui, ad esempio, esponenti della Federterra arrivano ad accusare
i bolscevichi di essere dei democratico- borghesi perché dan no la terra ai contadini) e
rivendicazioni corporative che concernono sol tanto i braccianti. Il Partito popolare rivela una
aderenza molto maggio re alle esigenze e ai bisogni articolati di tutto il mondo delle campagne
non proletario, e crea una prima frattura presto insanabile tra il movi mento operaio socialista e il
contadiname della piccola proprietà o mez zadrile2. Più profondo ancora è il distacco dagli strati
intermedi del la città.
La guerra ha scavato un solco tra i proletari « disfattisti » e la piccola borghesia. È dapprima un
urto psicologico, come è stato bene notato:
D'ora in poi, quando un contadino o un operaio dovrà pensare all'Italia, alla «patria», il suo
pensiero correrà spontaneamente alla sola Italia che egli avesse conosciuto, quella delle stellette e
delle trincee, dei sacrifici e delle umiliazioni. D'altra parte, nella mente e nel cuore del piccolo
borghese, dell'ufficiale di comple mento, il concetto di patria, sia pure con segno inverso, rimarrà
associato con quel lo di guerra, l'Italia è l'« Italia di Vittorio Veneto», celebrata con tutti gli orpelli
della retorica dannunziana. Si formano così due tipi di blocchi psicologici, si sa rebbe tentati di
dire di riflessi condizionati: per gli uni, essere italiani, essere pa- ##
1 Nell'articolo In vista del Congresso di Bologna, «Comunismo», a. 1, n. i, 1° ottobre 1919, G. M.
Serrati scrive: «Noi, marxisti, interpretiamo la storia, non la facciamo e ci rinnoviamo, nei tempi,
secondo la logica dei fatti e delle cose. Non attribuiamo né al principe né alla barricata la vir tii
trasformatrice. Crediamo che vi sia più sostanza rivoluzionaria nella trasformazione del mezzo
pro duttivo che in tutti i proclami astratti».
2 Cfr. le osservazioni e la documentazione che offre renato zangheri nell'introduzione a Lotte
agrarie in Italia (ha Federazione nazionale dei lavoratori della terra, 1901- 1926), Milano i960, pa
gine LXXXVII- XCII.
32 Capitolo secondo
trioti significa anche essere dannunziani, «interventisti», fautori della disciplina militare e
ammiratori del sistema gerarchico; per gli altri, essere democratici, rivo luzionari, essere
repubblicani significa anche, in maggiore o minore misura, essere rinunciatari, « caporettisti » '.
Ma è davvero impossibile impostare un altro terreno di scelte e altre discriminanti? Il
combattentismo, tutta l'irrequietezza dei reduci, anche degli « ufficiali di complemento », degli
Arditi, dei legionari fiumani, do vrà avere una resultante reazionaria? Le vicende del 1920- 22 non
mo streranno una « necessità » così radicale. Piuttosto, è il problema stesso della piccola
borghesia, di strati sociali intermedi importantissimi, che si porrà in un modo che il movimento
operaio non saprà risolvere, né esso ne avrà coscienza se non negativa. Impressionante, in
proposito è la po sizione di Gramsci. Questi ha intuito più di tutti la trasformazione dello Stato
italiano, il « paese di Pulcinella » che si disgrega trasformandosi in un coacervo di satrapie e di
proconsolati, in cui « gli autocrati si moltipli cano per generazione spontanea... semenzaio di
poteri autocratici ognu no dei quali opera per proprio conto, fa, disfa, accavalla e distrugge »2, ma
ha tradotto questa analisi semplicemente in un'invettiva. La piccola borghesia è vista come blocco
e si andrà addirittura ad una schematizza zione sociologica, che se avrà il vantaggio di porre
l'accento sul fenome no, lo intenderà come ineluttabile. Già nel 1919, la piccola borghesia è
ritenuta essenzialmente un ostacolo, un male gravissimo, una barriera che va semplicemente
abbattuta. Così si esprime appunto Gramsci:
[La piccola e media borghesia] è la barriera di umanità corrotta, dissoluta, pu trescente, con cui il
capitalismo difende il suo potere economico e politico, uma nità servile, abietta, umanità di sicari e
di lacchè, divenuta oggi la « serva padro na », che vuole prelevare sulla produzione taglie superiori
non solo alla massa di salario percepita dalla classe lavoratrice, ma alle stesse taglie prelevate dai
capitali sti: espellerla dal campo sociale, come si espelle una volata di locuste da un campo
semidistrutto, col ferro e col fuoco, significa alleggerire l'apparato nazionale di pro duzione e di
scambio da una plumbea bardatura che lo soffoca e gli impedisce di funzionare, significa
purificare l'ambiente sociale e trovarsi contro l'avversario spe cifico: la classe dei capitalisti
proprietari dei mezzi di produzione e scambio. La guerra ha messo in valore la piccola e media
borghesia... Senza che avessero una preparazione culturale e spirituale, decine e decine di migliaia
di individui furono fatti affluire dal fondo dei villaggi e delle borgate meridionali, dai retrobottega
de gli esercizi paterni, dai banchi invano scaldati delle scuole medie e superiori, dalle redazioni dei
giornali di ricatto, dalle rigatterie dei sobborghi cittadini, da tutti i ghetti dove marcisce e si
decompone la poltroneria, la vigliaccheria, la boria dei ##
1 giuliano procacci, Appunti in tema di crisi dello Stato liberale e di origini del fascismo, «Studi
storici», a. vi, n. 2, aprile- giugno 1965, pp. 236- 37.
2 Il paese di Pulcinella, non firmato, «Avanti!», ed. piemontese, 30 gennaio 1919.
La fondazione della III Internazionale e il PSI 33
frantumi e dei detriti sociali depositati da secoli di servilismo e di dominio dei preti sulla nazione
italiana; e fu loro dato uno stipendio da indispensabili e da insosti tuibili e fu loro affidato il
governo di masse di uomini, nelle fabbriche, nelle città, nelle caserme, nelle trincee del fronte '.
Bisognerà ricordarsi di questa analisi di Gramsci quando si affronterà il fenomeno dello
squadrismo, che nel 1919 ancora non esiste (anche se l'incendio dell'« Avanti! » in aprile, ad opera
degli Arditi del capitano Vecchi, ne è una manifestazione ante litteram da cui i fascisti trarranno
una buona lezione d'incoraggiamento). Ma la cosa essenziale è che il mo vimento operaio è lungi
dal saper e poter neutralizzare questi strati in termedi e tutto ciò che la loro disposizione significa
nella lotta delle clas si, nella stessa fisionomia dello Stato italiano uscito dalla guerra.
Quell'esercito che offre segni di irrequietezza al suo vertice, quel na zionalismo che potrebbe
diventare la bandiera di una sovversione reazio naria magari ispirata dal duca d'Aosta, l'impresa di
D'Annunzio a Fiu me, che rivela quali tentazioni di un colpo di Stato militare serpeggino a destra,
non trovano a sinistra una risposta. Può darsi che anche qui ci siano responsabilità del Partito
socialista, che non sa infatti rivolgere una parola ai soldati né lavorare nelle loro file. Ma non va
scordato che il proletariato industriale non ha dinanzi un esercito nelle condizioni che esistevano
nella Russia del 1917 e del 1918. Non è un'armata in rotta ma un esercito in pace e in via di
progressiva smobilitazione, con masse di candidati alla disoccupazione e di reduci contadini a cui
il governo promette la terra e che sono organizzati o dai popolari o da gruppi poli tici
democratico- borghesi di ex combattenti, specie nel Sud.
Un problema a sé, che però tenderà ad avere una grande importanza nei periodi di crisi più acuta,
è l'assoluta inettitudine tecnica, spirituale e materiale, del campo operaio a darsi una sua
organizzazione militare che corrisponda, almeno in parte, al gran parlare che si fa di presa vio
lenta del potere. Centralmente — su questo tutte le fonti sono concordi il partito non fa nulla. I
capi socialisti sono inesperti e alieni dall'impo stazione di una forza armata. Mancano anche, al
movimento, i quadri ca paci di dirigere un'eventuale insurrezione. (Al contrario di ciò che acca drà
al fascismo). Qualche esperienza locale, anarchica e socialista (a To rino, ad esempio, le Guardie
rosse si formano già nel 1919) non è né in coraggiata né, tantomeno, coordinata dalle dirigenze.
L'assenza di ogni strutturazione militare del movimento sarà clamorosamente rivelata al tempo
dell'occupazione delle fabbriche e ancor più nel momento in cui ##
1 Gli avvenimenti del 2- 3 dicembre, non firmato, «L'Ordine nuovo», a. 1, n. 29, 6- 13 dicembre
1919-
34 Capitolo secondo
vi sarà una vera e propria guerra civile, nel 1921- 22. Esiste, sul tema, una riflessione di parte
comunista che costituisce una testimonianza pre ziosa di una situazione e di uno stato d'animo:
In ogni momento nel quale avvenimenti esterni causavano emozioni violente (eccidi, inizio di moti
in qualche regione) le masse non avevano idea netta di ciò che si dovesse fare, non avevano
nessuna ossatura sulla quale appoggiare l'azione. Da qui la necessità di ammassarsi per intendersi,
per cercare i capi, per ricevere pa role d'ordine. Attraverso i soldati, per l'abbondanza di materiali
bellici mal custo diti, per l'affrettata liquidazione dei residui di guerra, il proletariato individual
mente s'armava. Ma l'efficienza di tale armamento non era organica. Il muniziona mento minimo,
insufficiente. Il sorgere di elementi tecnici, sia come uomini che criteri di direzione, era
manchevole e lento, ostacolato dalla remissività stessa colla quale la borghesia sembrava accettare
il suo destino di morente. Perciò non si va lorizzavano capi militari '.
Si torna così alla cosiddetta psicologia parassitaria. Che è certo defini zione esatta. Senonché,
anche in questo caso, il quadro presenta sfuma ture, luci ed ombre, che non possono non essere
colte se si vuole inten dere la stessa dinamica della sconfitta della « occasione rivoluzionaria » del
primo dopoguerra. Il 1919, ad esempio, si caratterizza per un alter narsi continuo di alti e bassi
nel processo della generale crisi europea, che ha i suoi effetti molteplici anche in Italia. La
mancanza di un collega mento diretto tra il centro della III Internazionale e le sue sezioni appe na
costituite fa si che un indirizzo comune, una conoscenza reciproca, uno sviluppo selettivo delle
forze rivoluzionarie, siano inesistenti. In Russia si sta difendendo drammaticamente la
rivoluzione, altrove si ha la convinzione che la situazione delle classi dirigenti si aggravi sempre
più ma senza che suoni l'ora di una nuova ondata generale di assalto al potere.
Che il tempo volga a favore della rivoluzione è convinzione larga mente dominante negli ambienti
socialisti, e gli stessi bolscevichi riten gono che, in Italia ad esempio, convenga attendere un
ulteriore momen to più propizio2. E non si scordi, inoltre, che lo stato di mobilitazione, ##
1 Si tratta di un documento caduto nelle mani della polizia nel 1923, di cui è ignoto l'estensore,
tra le carte sequestrate al PCI; in forma rapida e scheletrica vi sono stesi appunti su La guerra
civile 1919- 1922. Conservato in copia presso l'Archivio Centrale dello Stato, è stato reperito e
pubblicato da Renzo de felice, con quel titolo, in «Rivista storica del Socialismo», a. ix, n. 27,
gennaio- aprile 1966.
2 Tra tutti importante è l'avvertimento che Lenin stesso rivolge a Serrati in una lettera datata
Mosca, 29 ottobre 1919, e che suona così: «In rapporto con la situazione internazionale dell'Italia,
compiti molto difficili stanno davanti al proletariato italiano. Può darsi che l'Inghilterra e la
Francia, con l'appoggio della borghesia italiana, tenteranno di spingere il proletariato verso una
insurrezione prematura per schiacciarlo più facilmente. Ma non riusciranno nei loro piani.
L'eccellente lavoro dei comunisti italiani è sicura garanzia che essi riusciranno a conquistare al
comunismo tutto il proleta riato industriale e agricolo ed anche i piccoli proprietari; allora, se il
momento dell'azione sarà scelto bene relativamente alla situazione internazionale, la vittoria della
dittatura del proletariato sarà defi-
La fondazione della III Internazionale e il PSI 35
anche se artificioso e facilone, in cui la propaganda e l'agitazione socia liste tengono le masse,
costituisce comunque, per la pressione che eser cita sul governo, un aiuto prezioso alla
rivoluzione russa sconsigliando decisamente la tentazione di entrare in una coalizione armata per
« spe gnerla nella culla».
Se il rilievo è stato spesso fatto a proposito della classe operaia fran cese o inglese e del peso che
essa ha avuto nell'indebolire e nel contri buire a far fallire l'intervento degli eserciti dell'Intesa in
Russia e nell'E stremo Oriente, esso vale a maggior ragione per la classe operaia italiana. La sua
partecipazione allo sciopero di solidarietà in difesa delle repub bliche sovietiche se non è stato il
preludio dell'insurrezione non è certo stato vano, né scevro di forza ammonitrice.
Sono quest'insieme di dati di fatto e di considerazioni a illuminare anche il fenomeno, che nel
1919, marcatissimo, del rifluire in un massi malismo generico di quella stessa « nuova sinistra »
che nel 1917 pareva già aver costituito un suo terreno di distinzione e di raggruppa mento ri
spetto al vecchio intransigentismo dei Lazzari e dei Serrati. Da una par te, ora, tutti partecipano
delle stesse speranze e delle stesse illusioni, im mersi nel tumultuoso procedere del proselitismo,
degli scioperi rivendi cativi e dimostrativi, delle campagne parlamentari e di stampa a propo sito
della condotta della guerra (la battaglia elettorale dell'« Avanti! » si fonda in buona parte sulle
risultanze dell'inchiesta su Caporetto) ', dal l'altra, i gruppi più autenticamente comunisti danno
l'impressione di la vorare per una scadenza più lontana puntando su un'opera di « costru zione »
che proceda con l'incalzare di una situazione che pare lungi dal mutare la sua linea di tendenza.
Guardando da vicino due di questi gruppi, quelli fondamentali, del « Soviet » a Napoli e dell'«
Ordine nuovo » a Torino, vedremo come en trambi si muovano avendo ciascuno al centro dei
propri interessi uno de gli aspetti essenziali della « costruzione » di cui si diceva. « Il Soviet »
batterà sullo strumento del partito, « L'Ordine nuovo » su quello di un'organizzazione nuova,
sovietica, del proletariato urbano.
L'Italia ha, all'epoca, quattro milioni di operai industriali, quattro milioni di salariati agricoli e altri
quattro milioni di contadini. Fare del proletariato urbano l'arma decisiva è in fondo la
preoccupazione comune di Bordiga e di Gramsci, ciascuno dei quali tende a risolverla in modo di-
##
nitiva» (lenin, Sul movimento operaio italiano, Roma 1962, p. 163). Serrati risponderà che la tat
tica socialista sarà: «Né colpi di mano, né soverchie lentezze». Cfr. Una lettera inedita di Serrati a
Lenin, «Rinascita», a. xxiv, n. 5, 3 febbraio 1967.
1 Cfr. l'analisi che di questa campagna giornalistica conduce aldo giobbio nel saggio sull'« Avan
ti!», in Dopoguerra e fascismo, Bari 1965, pp. 630- 33.
36 Capitolo secondo
verso. È anche vero che ci si accorgerà anni dopo dell'unilateralità degli sforzi e degli indirizzi di
entrambi, e del tempo irrimediabilmente perduto. Ma la situazione del 1919- 20 è appunto
determinata da queste pro fonde antinomie.
Capitolo terzo
« Il Soviet » e i giovani
All'autunno del 1919 risalgono tre singolari concomitanze. Esse ci consentono di cogliere quel
primo intrecciarsi di fili che costituirà, nella trama di una sinistra comunista in Italia, un
collegamento più diretto con la III Internazionale. A Torino si presenta, nell'ottobre, a Gramsci, un
giovane straniero, già studente in Italia dal 1911; si fa chiamare Chiarini e chiede di vedere come
sia organizzato il locale circolo studen tesco socialista. Nato in Polonia nel 1881, il suo vero nome
è Cain Hal ler, 1, ed egli diventerà nel 1920- 21 un rappresentante dell'Internazio nale comunista
presso il Partito comunista italiano. Ad avviarlo sulla strada di quell'impegno è un altro russo,
giunto da poco nel nostro paese, a Milano. È un bolscevico, emigrato prima in America per sfuggire
a un arresto, poi, nel 1917, segretario della Duma cittadina di Vladivo stok, nel 1918 a Mosca. Nel
1919, con una missione di inviato dell'In ternazionale, raggiunge l'Italia dove aveva moglie e figlia.
Si chiama Nikolaj Markovic Ljubarskij e si fa chiamare Carlo Niccolini A lui si deve
l'incoraggiamento, e l'aiuto più solido, alla fondazione, il 1° ottobre, del la rivista bimensile «
Comunismo » che dirige Serrati, e che porta come sottotitolo « Rivista della III Internazionale », di
cui pubblica i docu menti più importanti, oltre a scritti, frequenti, di Lenin, Trockij, Bucha rin,
Lunacarskij, Radek, Varga, Klara Zetkin, con una grande ricchezza di tematica, inserendosi in tutto
il dibattito nazionale ed internazionale.
Da Napoli, intanto, nello stesso torno di tempo — non si scordi che nulla vi è di ufficiale nella «
rappresentatività » di Niccolini o di altri in viati dell'Internazionale comunista - Bordiga cerca, per
parte sua e del ##
1 Su Chiarini e su questo primo contatto cfr. una lettera di Gramsci a Umberto Terracini da
Vienna, il 27 marzo 1924 in palmiro togliatti, La formazione ecc. cit., p. 260, nonché le precisa
zioni fornite da A. Leonetti in una lettera a «Rinascita», a. xx, n. 27, 6 luglio 1963, e renzo de fe
lice, Studi e problemi attorno alla figura di Antonio Gramsci, «Clio», a. 1, n. 3, novembre 1965, P.
45.
2 Dobbiamo questa testimonianza a Vasilij Antonov, che fu per vari anni corrispondente dal
l'Italia dell'agenzia di stampa sovietica Rosta (oggi Tass) e assistette anche al processo del
Tribunale speciale contro Gramsci. «Niccolini» tornò in Urss nel 1921. Fu mandato dapprima come
ambascia tore sovietico in Mongolia, lavorò anche nell'Istituto di agricoltura. Fu espulso poi dal
PC(b), de portato in Siberia; fu probabilmente vittima della repressione staliniana.
38 Capitolo terzo
suo gruppo, di mettersi in contatto con l'Internazionale comunista, ri volgendosi direttamente a
Mosca, piuttosto che a un « segretariato occi dentale » situatosi ad Amsterdam, ma che avrà stenta
e brevissima vita. La frazione comunista astensionista del PSI, costituitasi ufficialmente1 dopo il
congresso di Bologna del PSI, attorno al « Soviet » di Bordiga (nel primo suo Comitato centrale si
annoverano Roberto Fobert, segre tario della sezione napoletana del PSI, Ludovico Tarsia, un
medico- chi rurgo che collabora assiduamente al giornale, Antonio Pisacane e Tom maso
Boraccetti) è ansiosa di sottoporre al parere del « Comitato di Mo sca » la propria piattaforma
politica. Tra le carte sequestrate dalla poli zia italiana si è rinvenuta copia della lettera, firmata
personalmente da Amadeo Bordiga, in Napoli, il 10 novembre 1919, che è la prima diretta alla III
Internazionale. Nel testo, si riflette la sostanza più rilevante del l'atteggiamento della frazione: la
precisa volontà di operare una scissio ne interna al PSI per giungere alla « costituzione di un
partito puramen te comunista ». Si illustrano le ragioni della posizione astensionistica col
l'esigenza di « troncare ogni contatto col sistema democratico nell'attua le periodo rivoluzionario
», di non logorare le forze socialiste in una bat taglia elettorale che non può se non dare più forza
ai riformisti e al com promesso con la borghesia, e si aggiunge:
Oggi noi ci prefiggiamo di lavorare alla costituzione di un partito veramente comunista e per ciò
lavora la nostra Frazione nel seno del PSI. Ci auguriamo che i primi eventi parlamentari
condurranno verso di noi molti compagni in modo da realizzare la scissione dai
socialdemocratici2.
Ma la lettera è più interessante per un altro punto essenziale: che in essa Bordiga rivendica
implicitamente alla propria frazione, attraverso una polemica rivolta non solo contro i riformisti
del gruppo parlamenta re o i massimalisti incerti e unitari della direzione, bensì contro le altre
forze socialiste di estrema sinistra, il merito di costituire l'unico raggrup pamento veramente
comunista:
Occorre notare - vi si legge — che noi non siamo in rapporti di collaborazione coi movimenti fuori
del partito: anarchici e sindacalisti, perché seguono principii non comunisti e contrari alla
dittatura proletaria; anzi, essi accusano noi di essere più autoritari e centralizzatori degli altri
massimalisti del partito. È necessario in Italia un complesso lavoro di chiarificazione del
programma e della tattica comuni sta a cui noi dedicheremo tutte le nostre forze. Se non si riesce
ad organizzare un partito che si occupi unicamente e sistematicamente della propaganda e
prepara zione comunista nel proletariato la rivoluzione potrà risolversi in una sconfitta. ##
1 Il primo documento della frazione risale al « Programma della frazione comunista » elaborato in
una riunione tenuta a Roma il 6 luglio 1919 (cfr. «Il Soviet», a. 11, n. 29, 13 luglio 1919).
2 ACS, Min. Interno, Dir. gen. PS, A. g. e r., 1921, K. i, b. 89.
« Il Soviet » e i giovani 39
Sull'opera tattica, e specie in merito alla costituzione dei Soviet, ci pare che si stanno
commettendo errori anche da nostri amici, col pericolo che tutto si limiti ad una modificazione
riformistica dei sindacati di mestiere. Si lavora infatti alla costituzione di comitati d'officina, come
a Torino, riunendo poi tutti i commissari di una data industria che prendono la direzione del
sindacato professionale col no minarne il comitato esecutivo. Si resta così fuori dalle funzioni
politiche dei Con sigli operai a cui occorrerebbe preparare il proletariato - pur essendo, secondo
noi il problema più importante quello di organizzare un potente partito di classe (co munista) che
prepari la conquista insurrezionale del potere dalle mani del governo borghese.
La lettera anticipa dunque già le linee del dissenso dal gruppo torine se, che seguiremo, ma nella
tradizionale autopresenta zione dinanzi alla III Internazionale, nel classico « Chi siamo e cosa
vogliamo » c'è qualco sa di più. Si vuol sapere infatti che cosa pensa Mosca:
a) sull'elezionismo parlamentare e comunale
b) sulla scissione del partito italiano
e) sul problema tattico della costituzione dei Soviet in regime bor ghese e sui limiti di tale azione.
Bordiga attende da un appoggio alle tesi della frazione un'investitura particolare per promuovere
quella scissione cui è già indotto? In ogni caso, da una successiva lettera, questa dell'11 gennaio
1920, sempre da Napoli, sempre di Bordiga ', apprendiamo che non è giunta risposta al primo
messaggio - le lettere sono subito intercettate dalla polizia - e quanto divenga ansiosa l'istanza di
uno scambio di idee, di una delucida zione. La frazione vuole precisare che non ha nulla a che fare
con le po sizioni della sinistra tedesca che darà vita al KAPD, si propone di susci tare « Soviet
municipali elettivi » (che non conterrebbero in sé i pericoli riformistici dei Consigli di fabbrica), ma
soprattutto invia una sorta di avvertimento al centro moscovita dell'Internazionale comunista:
Secondo ogni probabilità, se finora siamo rimasti nel PSI disciplinati alla sua tattica, tra poco
tempo e prima forse delle elezioni comunali che avranno luogo in luglio2 la nostra frazione si
separerà dal partito che vuole tenere nel suo seno molti anticomunisti, per costituire il Partito
comunista italiano il cui primo atto sarà quello di mandare la sua adesione alla Internazionale
comunista.
Questi messaggi mostrano la indiscutibile primogenitura del gruppo bordighiano nel suscitare il
nuovo partito, non dicono ancora quanto stia ##
1 Anche di questa lettera abbiamo trovato copia alla fonte di polizia indicata per la prima. Il testo
della seconda però (a differenza di quello della precedente) era già stato reperito a Mosca da
Giuseppe Berti che Io pubblicò nel suo scritto 11 gruppo del «Soviet» nella formazione del PCI, in «
Lo Stato operaio », a. viii, n. 12, dicembre 1934, ora nell'antologia omonima citata, voi. II, pp. 274
277-
2 Saranno rinviate a novembre.
40 Capitolo terzo
per ampliarsi la sua influenza. Essa non ha affatto una caratteristica re gionale, o meridionale,
anche se è a Napoli che affonda le sue radici e le prime posizioni politiche di intransigenza
(attraverso gli scritti di Bordi ga, o di Alfonso Leonetti o di Ruggero Grieco) le troviamo sulle
colonne del foglio napoletano « Il Socialista » (1914- 15). È più giusto, semmai come già abbiamo
cercato di analizzare - parlare di generazione come di scriminante, e meglio ancora, insistere su
una battaglia politica che con quista e raggruppa tutte quelle minoranze di sinistra, operaie e
giovanili, che nelle varie sezioni della penisola più sono impegnate, per le stesse vi cissitudini
locali del movimento, contro « l'opportunismo » dei gruppi dirigenti, da anni.
Ciò spiega come il bordighismo faccia proseliti: tra gli operai e i so cialisti torinesi che si
costituirono durante la guerra nella frazione dei « rigidi » (Boero, Parodi, Gilodi, Rabezzana)
contro i vecchi « notabili » riformisti della sezione o gli esponenti sindacali più « destri » (Buozzi,
Colombino, Guarnieri); tra i massimalisti milanesi più intransigenti (Re possi, Fortichiari, Venegoni
e altri) in aspra lotta contro l'egemonia tura tiana; tra i gruppi di estrema sinistra ad Arezzo e a
Firenze, che, colla « Difesa », hanno costituito durante la guerra uno degli organi di punta nella
campagna di opposizione al conflitto; nelle Puglie dove si raccoglie in parte l'eredità del
sindacalismo rivoluzionario.
È una serie di posizioni, stati d'animo, esperienze politiche a cui Bor diga da un elemento
connettivo che egli stesso riassumerà, riflettendovi in sede storiografica, in cinque punti, tutti «
antirevisionistici » '. Il tono dottrinale e propagandistico del bordighismo punta, con estrema linea
rità e semplicità, sulla restaurazione del marxismo ortodosso, nel deter minismo economico più
rigido, e con martellante monotonia sul punto cruciale della creazione di un nuovo partito.
Vi è, sul « Soviet », una certa dialettica di posizioni introdottavi nel 1920 da Francesco Misiano2, il
quale sostiene si l'espulsione dei riformi sti ma combatte la piattaforma astensionista. E vi è anche
un'apertura internazionale, sintomatica, rivolta al movimento tedesco o a quei grup- ##
1 Nella sua Storia della sinistra comunista cit., a p. 178 i punti risultano i seguenti: 1) affer
mazione delle basi teoriche del marxismo; 2) identificazione dei programmi dell'Internazionale co
munista con i canoni marxisti e «non risultato nuovo e originale della rivoluzione russa»; 3) neces
sità di una spietata selezione e scissione dagli elementi revisionistici e socialdemocratici; 4)
polemica contro la demagogia massimalistica; 5) polemica contro l'anarco - sindacalismo.
2 Francesco Misiano, provenendo da Napoli, fu arrestato a Torino, dove dirigeva la sezione del
Sindacato ferrovieri, nel 1915 per la sua partecipazione ai moti contro la guerra, condannato, poi
scarcerato e fuggito in Svizzera per non rispondere alla chiamata alle armi. Nel 1918 parti per la
Russia e di qui andò in Germania dove prese parte ai moti rivoluzionari del 1918- 19 e venne impri
gionato per dieci mesi. Per le sue posizioni sul «Soviet» cfr, l'articolo Scissioni e purificazione, a.
ni, n. 6, 16 febbraio 1920.
« Il Soviet » e i giovani 41
pi e personalità della sinistra in Occidente (la Pankhurst, Anton Panne kock, Herman Gorter,
Marino Bodenman) che rivelano affinità ideali e politiche con gli astensionisti italiani. Senonché è il
PSI il bersaglio di una instancabile e ininterrotta polemica che viene trasferita dalle colon ne del «
Soviet » ai dibattiti del Consiglio nazionale del partito nell'apri le del 1920, esprimendosi in
precise tesi teorico- politiche ', sino alla con vocazione, a Firenze, per l'8 maggio, di una
conferenza che non raggruppa più soltanto gli astensionisti bensì vari esponenti anziani e giovani
dell'opposizione di sinistra nel PSI. Ad essa diviene sensibile l'Interna zionale comunista,
inviandovi un messaggio e un rappresentante, pro prio Carlo Niccolini, che sostiene l'unità di
queste forze e le invita a non precipitare i tempi della scissione2. Vi parteciperà, come osservatore,
an che Gramsci, e ne riparleremo.
A sfogliare le sei od otto pagine del « Soviet » del 1920 (che porta sotto la testata l'indicazione «
Organo della frazione comunista astensio nista del PSI »), le troviamo, dalla prima all'ultima,
impegnate in saggi, articoli, note, dedicati tutti ai temi della « linea » programmatica, alle va rie
posizioni delle correnti del movimento. Qui la vocazione dottrinale del gruppo è davvero
pienamente manifesta. E i punti che si fissano e ri battono sono sempre quelli:
Lo scopo storico dei comunisti è la formazione del partito politico di classe e la lotta per la
conquista rivoluzionaria del potere 3.
In che cosa è « soviettista » la frazione che ha tutta la diffidenza pos sibile verso i « Consigli di
fabbrica » e che, sin d'ora, è in polemica aperta con « L'Ordine nuovo » sul tema? In un disegno
generale di contrappo sizione di principio, degli istituti proletari alla democrazia parlamenta re:
Bordiga perora « i consigli operai di città e di distretto rurale diretta mente eletti dalle masse »4.
Non si scende a un discorso più articolato, sul come farli nascere, non si parla della fabbrica, del
luogo di produzione, che, dal contesto stesso dell'impostazione generale, si ricava il richiamo
esplicito al finalismo, al ##
1 Le Tesi della Frazione Comunista Astensionista del PSI, nel «Soviet» del 6 e del 27 giugno 1920.
2 L'atteggiamento dell'Internazionale comunista è racchiuso nelle frasi seguenti del messaggio del
«segretariato occidentale», che viene letto alla conferenza fiorentina: «alla vostra frazione, cari
compagni, rimane il compito di rimanere nel seno del partito socialista, come forza di
opposizione, di critica, di controllo, finché gli avvenimenti prossimi dissiperanno le vostre piccole
divergenze, come l'astensionismo, e riuniranno tutte le forze sane, rigidamente comuniste e
rivoluzionarie del prole tariato italiano nel partito comunista che guiderà il proletariato alla
conquista del potere». Cfr. Giuseppe berti, Il gruppo del «Soviet» nella formazione del PCI cit., pp.
272- 73.
3 amadeo BOEDIGA, Gli scopi dei comunisti, «Il Soviet», a. ili, n. 8, 29 febbraio 1920.
4 id., Per la costituzione dei consigli operai in Italia, «Il Soviet», a. in, n. 1, 4 gennaio 1920.
42 Capitolo terzo
punto primo della teorizzazione bordighiana: ciò che conta è la presa del potere. Lo si veda da
questa enunciazione delle tesi della frazione:
I consigli operai sorgono nel momento dell'insurrezione politica, ma possono anche sorgere in un
momento storico in cui il potere della borghesia attraversi una grave crisi... Il problema
rivoluzionario non consiste nella creazione formale dei Consigli bensì nel passaggio del potere
politico nelle loro mani... Noi non puntiamo a conquiste parziali1.
Fisso lo sguardo su quella meta, il giornale non si occupa né poco né punto della situazione
politica od economica generale; i richiami all'at tualità sono scarsissimi e sempre in funzione della
lotta interna al par tito. Anche l'azione per dare vita, in qualche modo, ai Consigli munici pali,
urbani o di villaggio, è inesistente, e forse proprio per questo l'os sessione astensionistica rivela
una insufficienza che facilmente potranno denunciare, con Gramsci e Misiano in Italia, anche
Lenin, cui è nota l'impostazione del « Soviet » in questi mesi in cui sta mettendo a punto
l'opuscolo su L'estremismo, malattia infantile del comunismo2. Alfonso Leonetti così sintetizzava
la sterilità politica della posizione astensioni sta dissociata da un contesto di partito e di istituti
che la trasformasse in suscitatrice d'azione:
Nel 1919- 20, se fosse esistito un vero partito rivoluzionario la parola d'ordine dell'astensione
avrebbe potuto diventare, in un determinato momento, il segnale della lotta per la creazione del
potere dei Consigli3.
Bordiga non ignora che l'astensionismo lo differenzia dall'impostazio ne bolscevica, ma egli si
considera non perciò meno ortodosso, anzi, dal punto di vista della teoria marxista, egli tende a
sottolineare nel lenini smo non un momento nuovo di elaborazione - che è l'accento tipico che vi
pone invece Gramsci - ma la sua derivazione diretta dal marxismo; perciò egli nega che il
bolscevismo possa essere altro « se non il richiamo al più rigido e severo marxismo». Ogni
parvenza di intellettualismo, di tematica culturale, è bandita. In proposito, si ospita di G. Lukàcs
un ar ticolo, consentaneo, in cui si sostiene che gli intellettuali tradizionali vanno considerati come
controrivoluzionari:
Con tutti questi elementi non si può evitare la lotta. Una volta vinti essi servi ranno alla
rivoluzione più e meglio che non cercando di attirarli con concessioni. 5 ##
1 he tesi sui Consigli operai, «lì Soviet», a. Ili, n. n, 11 aprile 1920.
2 Cfr., per i richiami espliciti a Bordiga contenuti nell'Estremismo, lenin, Opere scelte, voi. II,
Mosca 1948, pp. 583 sgg.
3 alfonso leonetti, Perché non ci asteniamo, «Lo Stato operaio», a. 11, n. 3,13 febbraio 1924.
4 Lenin e l'astensionismo, non firmato, « Il Soviet», a. in, n. 4, 1° febbraio 1920.
5 G. lukàcs, Problemi della tattica comunista, «Il Soviet», a. m, n. ij, 23 maggio 1920.
« Il Soviet » e i giovani 43
La baldanza della frazione, il suo rigore logico formale, si rivelano nella mozione che conclude il
convegno di Firenze, laddove si arriva a proclamare irregolare l'adesione del PSI alla III
Internazionale, si vo gliono consacrare tutte le energie alla costituzione in Italia di un partito
comunista e suscitare la frazione astensionistica mondiale nel seno del l'Internazionale comunista.
Evidentemente soltanto per i consigli tattici di prudenza che vengono dal rappresentante
dell'Internazionale al con vegno ci si acconcia ad aspettare di fare il primo passo scissionistico, pre
cisando che sarà però necessario « convocare, dopo il Congresso dell'In ternazionale comunista un
Congresso - costituente del PCI». (E a Mo sca, su ciò, gli daranno ragione).
Il fascino che esercita la posizione della frazione sui giovani è enor me. Essa vi dedica molta
attenzione politica e organizzativa2, ma la sua influenza è prima di tutto ideale, morale,
sentimentale. Tutte le energie nuove del partito, impazienti, combattive, ansiose veramente di «
fare co me in Russia », simpatizzano con le idee del « Soviet » che i giovani asten sionisti
propagano nei circoli, nelle sezioni, nei giornaletti locali, e intro ducono sempre più largamente
sull'organo della Federazione, « Avan guardia» (attraverso gli scritti di Nicola Cilla, di Berti, di
Modugno, di Luigi Longo, di Capitta, di Mengarelli e di altri). Secondino Tranquilli, un giovane
intellettuale abruzzese (nato a Pescina nel 1900) viene eletto alla direzione d'« Avanguardia » nel
gennaio del 1920, al congresso della gioventù socialista che registra un grande sviluppo
dell'organizzazione (6500 iscritti nel 1918, 35 000 nel 1919, 55 313 nel 1920, di cui quasi i due
terzi nel Nord e in Emilia- Romagna). Egli potrà vantarsi a ragione, l'anno appresso, della funzione
assolta dal giornale:
Noi abbiamo avuto l'alto compito di svegliare e precedere l'ala sinistra del PSI nella chiarificazione
della tattica e dei programmi. Dopo la baldoria elettorale 3 il no stro giornale iniziò una forte
propaganda antiparlamentare combattendo con acca nimento ogni residuo democratico nella
mente dei giovani... .
I giovani, in un certo senso, sono più che astensionisti. Iniziano una campagna con questa parola
d'ordine: « Compagni deputati, via dal Par lamento! », sin dai primi mesi del 1920. Se ne fa
promotore il segretario ##
1 «Il Soviet», a. in, n. 14, 16 maggio 1920.
2 Cfr. Giuseppe berti, Il VII Congresso della FGSI, «Il Soviet», a. in, n. 1, 4 gennaio 1920. Si
ricordino anche i legami personali di Bordiga, già direttore di «Avanguardia», con la Federazione
giovanile.
3 Novembre 1919.
* Dal'intervento di S. Tranquilli all'VIII congresso della FGSI del 27 gennaio 1921, che se gna il
passaggio dell'organizza zione al Partito comunista («Avanguardia», a. xv, n. 6- 7, febbraio 1921).
44 Capitolo terzo
nazionale, l'impiegato sardo Luigi Polano (nato a Sassari nel 1897) che già inneggiava
all'Internazionale comunista all'inizio del 1919. La carica antidemocratica del gruppo bordighiano
si salda con l'aspirazione rivolu zionaria di questi giovani, che spesso sono giovanissimi, operai,
impiega ti, studenti, tutti espressi da un ambiente popolare.
Basti citare, tra i più attivi, Edoardo D'Onofrio (nato nel 1901 a Ro ma, figlio di un maniscalco di
Porta Pia, attivissimo già durante la guer ra, quando forma il circolo Liebknecht, e subisce un
arresto), Vittorio Vidali (del 1900, studente triestino, figlio di un metallurgico di Muggia), Gastone
Sozzi (del 1903, studente, figlio di un fornaio di Cesena), Luigi Longo (nato a Fubine
nell'Alessandrino, nel 1900, da contadini poi trasferitisi a Torino, dove egli frequenta il
Politecnico), Giuseppe Berti (napoletano, del 1902, cresciuto nell'ambiente socialista della cit tà,
proprio l'ambiente bordighiano, organizzatore a Palermo di studen ti rivoluzionari) e ancora lo
studente biellese Pietro Secchia (del 1903), Arturo Colombi (manovale e minatore: classe 1900),
Giuseppe Dozza (operaio bolognese: classe 1901 ), Renato Bitossi, Antonio Roasio, Fran cesco
Leone, Giuseppe Alberganti, Domenico Ciuf oli, Vittorio Bardini, o i giovani Veneti come Mauro
Scoccimarro (del 1895, che ha fatto la guerra come ufficiale degli alpini), Pietro Tresso (di Schio,
tessitore, già attivissimo nell'anteguerra, fondatore di un circolo giovanile), lo studen te Riccardo
Ravagnan, o ancora Duccio Guermandi, Carlo Lombardi e Ferruccio Ghinaglia, del Pavese, i giovani
operai Paolo Ravazzoli, di Stradella, Giordano Pratolongo e Giorgio Frausin di Muggia, il braccian
te modenese Alfeo Corazzoli, e Leonida Roncagli e Ilio Bosi emiliani, e lo studente siciliano
Pompeo Colajanni, il biellese Paolo Silvati, il varesi no Giovanni Grilli; della stessa leva giovanile
sono altri militanti come Armando Fedeli, di Perugia (1898), Egisto Cappellini, di Urbino (1896),
Giulio Cerreti, segretario della federazione giovanile fiorentina, Cicalini di Imola, Bibolotti, Turchi,
Egle Gualdi, Gaetano Chiarini, Athos Bu gliari di Genova, Capitta sardo, Mengarelli romano, Ceriana
alessan drino, Lampredi fiorentino.
La loro caratterizzazione comune è stata efficacemente espressa nei ri cordi di uno di loro:
Siamo cresciuti — ha detto Luigi Amadesi (classe 1904), che diverrà poi uno dei segretari della
gioventù comunista - in ambienti già socialisti; poi è venuta la rivo luzione sovietica che ha
suggestionato profondamente i giovani. Avevamo compre so proprio dall'esempio sovietico che
era possibile farla finita, che era possibile fare la rivoluzione. Non vi è paragone che consenta di
far comprendere la potenza del mito della rivoluzione sovietica sulle nostre coscienze di allora.
Tutto questo ci ha come ispirato ed aperto la mente: una via c'era, una soluzione c'era... Allora la
que stione si poneva sul piano della conquista del potere. Noi guardavamo al parlamen -
« Il Soviet » e i giovani 45
tarismo come ad una espressione marcia della corruzione borghese. La sola via che avevamo
dinanzi era l'azione rivoluzionaria '.
Un tratto interessante, che emerge dal giornale dei giovani, è dato dalla circolazione, in mezzo a
questa nuova generazione dei motivi tipici del « Soviet », con quelli della rivista torinese dell'«
Ordine nuovo » e del movimento dei Consigli di fabbrica: temi su cui « Avanguardia » di scute
ampiamente2, che introducono i giovani socialisti di Torino più le gati agli ordinovisti (come gli
operai Mario Montagnana e Paolo Robotti o il giornalista Alfonso Leonetti trasferitosi dalle Puglie a
Torino) ma che la stessa direzione del settimanale fa suoi, appoggiando anche, spesso in contrasto
con tutti gli altri organi del partito, quel fermento rinnova tore e quelle lotte partiti dalla città
dell'automobile: la seconda grande componente all'origine del PCd'I.
L'impazienza dei giovani astensionisti è tale che, nell'estate del 1920 essi decidono di promuovere
un'azione affinchè la FGSI si tramuti subito in Federazione giovanile comunista
ritirando la sua adesione al Partito Socialista Italiano fino a quando esso non avrà abbandonato le
sue esitazioni procedendo alla eliminazione dei non comunisti e co stituendosi in Partito
comunista aderendo strettamente alla Terza Internazionale 3. ##
1 La testimonianza di Luigi Amadesi è stata raccolta da felice chilanti in Gastone Sozzi, Roma
1955, P. 43-
2 Si vedano, in particolare, i numeri 19 (16 maggio), 22 (6 giugno), 34 (12 settembre), 36 (26
settembre) del 1920 di «Avanguardia».
3 Da una circolare firmata « Il Comitato provvisorio della Federazione Giovanile Comunista
Astensionista» (ACS, Min. Interno, Dir. gen. PS, A. g. e. r., 1920, C. 1, b. 57).
Capitolo quarto
« L'Ordine nuovo » nel 1919 - 20 e la « scissione d'aprile»
Il Partito comunista d'Italia non nasce dunque dall'« Ordine nuo vo ». La stessa omogeneità del
gruppo viene incrinata più d'una volta nel processo di formazione del partito. Ma i giovani che
fondano, il 1° mag gio 1919, a Torino, la « rassegna di cultura socialista » e le danno quel nome
programmatico arrecheranno esperienze, idee, quadri intellettuali ed operai che, a mano a mano,
acquisteranno maggiore rilevanza, fino a divenire prevalenti, pur perdendo molti dei caratteri
iniziali. Il nucleo « ordinovista » originario è costituito da Antonio Gramsci, Angelo Ta sca,
Umberto Terracini e Palmiro Togliatti, i fondatori della rivista. E con loro sono giornalisti, operai,
studenti, impiegati, da Alfonso Leonet ti ad Ottavio Pastore, da Giuseppe Amoretti a Mario
Montagnana, che si sperimentano all'edizione piemontese dell'« Avanti! » fondata nel 1918;
l'elenco dei « torinesi » - di nascita o d'adozione - è ricco di altri nomi che ritroveremo spesso in
queste pagine.
Basti citare, per il gruppo intellettuale che più assiduamente parteci pa della vita della rivista,
Attilio Carena, Pietro Borghi, Andrea Viglon go, Felice Platone, Mario Stragiotti, Piero Sraffa, Arturo
Iacchia, e, per i militanti operai, Antonio Oberti, Paolo Robotti, Vincenzo Bianco, Gio vanni Casale,
Teresa Noce, Rita Montagnana, Battista Santhià, Leopol do Cavallo, Enea Matta, Giuseppe Pianezza,
Umberto Massola, Arturo Bendini, Mario Bavassano, Giorgio Carretto, Carlo Chiappo, Luigi Gras si,
e i giovanissimi Luigi Capriolo e Celeste Negarville. Tra le donne che diverranno militanti
comuniste, oltre a quelle già citate, vanno ricordate Teresa Recchia, Rina Piccolato, Felicita Ferrerò;
e fa spicco sin d'allo ra Camilla Ravera, una giovane maestra nativa di Acqui, che diverrà il quadro
femminile più preparato e più capace che avrà il Partito comu nista.
Altri dirigenti, giovani ed anziani, verranno dalle file dei « rigidi » o degli « astensionisti » torinesi
che largamente partecipano delle stesse iniziative, dallo studente Luigi Longo a operai come
Giovanni Boero e Luigi Gilodi, o impiegati come Pietro Rabezzana, già segretario della se-
« L'Ordine nuovo » nel 1919- 20 e la « scissione d'aprile » 47
zione torinese del PSI, per non dire d'un respiro ancora più vasto di in fluenze e consensi, che
racchiude sindacalisti libertari e anarchici come Pietro Ferrerò e Maurizio Garino o socialisti più a
destra, come Giovan ni Roveda che proviene da Mortara. Molti altri piemontesi, o calabresi o
siciliani, o liguri o veneti, potranno essere, del resto, più avanti annove rati tra gli uomini educati
dal gruppo ordinovista e dalla rivista.
Corre da quel primo dopoguerra l'appellativo di Torino « Pietrogra do d'Italia ». La città non è più
rossa di alcune altre. Ma è la più indu striale e la più operaia d'Italia, ha un proletariato omogeneo,
qualificato professionalmente, agguerrito. La lotta di classe conosce poche media zioni (« non
abbiamo riformistucci tra i piedi », dirà Gramsci) e non si esprime soltanto nelle officine o sulle
piazze. Tra il centro liberale e bor ghese e i sobborghi, la periferia socialista, c'è una spaccatura
che riflette, con le condizioni sociali diverse, due modi di vivere, due mondi ideali contrapposti.
Gli operai presso cui « vanno a scuola » gli ordino visti han no combattività e tradizioni che li
situano con naturalezza all'avanguar dia di tutta la classe: termini come « esperienza di massa », o
« dittatura proletaria » non sono accademiche esercitazioni di intellettuali per loro. E si può non
meno distintamente avvertire qui un moralismo, persino un puritanesimo, nella nuova
generazione sorta nel fuoco della sommossa del 1917, che spiega come attecchisca a Torino e non
altrove una rivista così intrisa di « culturismo », così « difficile », aristocratica nel linguaggio e nel
costume, come « L'Ordine nuovo » (e perché il mondo operaio af fascini tanto un ragazzo come
Piero Gobetti). Non a caso è qui che si parla di trapiantare fenomeni come quello del « Proletkult »
russo, è qui che gli anarchici si differenziano dagli altri, e i bordighiani stessi (se non numerosi,
assai influenti) sono permeati della mentalità gramsciana.
Togliatti affermò che « L'Ordine nuovo » era nato all'Università di Torino. È aspetto non
secondario, che si richiama alla preparazione cul turale dei tre o quattro giovani, usciti da quelle
aule, che gli diedero vita, al rilievo della loro personalità individuale. Accanto a quella, dominante,
di Antonio Gramsci, la figura di Palmiro Togliatti - il suo amico più in timo - si va segnalando in
un primo tempo per la spiccata preparazione umanistica e per uno spirito polemico (« caustico »
lo definirà Gobetti) che dalla « battaglia delle idee » si riverserà presto nel vivo del dibattito
politico- teorico suscitato dalla rivista.
Togliatti è nato a Genova, nel 1893, di famiglia piccolo- borghese (il padre era economo nei
Convitti nazionali, la madre insegnante, entrambi della provincia torinese), ha fatto anch'egli il
liceo in Sardegna, a Sassari, è giunto, con Gramsci, a Torino nel 1911, si è laureato in giurispruden
za, con una tesi di economia politica (discussa da Luigi Einaudi). Ha pre-
48 Capitolo quarto
stato servizio militare prima come volontario, in organizzazioni sanitarie perché giudicato inabile
alle prime visite, poi nel 1916- 17 come allievo ufficiale degli alpini. Ammalatosi e congedato, è
assunto nel 1919 alla re dazione torinese dell'« Avanti! » come cronista sindacale ed è alle prime
esperienze nell'ambiente operaio. La sua adesione alla gioventù sociali sta data dal 1914, in verità,
e il contatto con Gramsci è proseguito du rante la guerra (Togliatti invia qualche articolo nel 1917
al « Grido del Popolo », rivendicando il liberismo come indirizzo economico sociali sta) ma egli è
certo stato di quei giovani studenti che all'atto dell'inter vento si sono mostrati sensibili al
richiamo patriottico, si sono allontana ti dalla posizione socialista e anche a lui, come a Gramsci,
nelle polemi che interne del dopoguerra, si rimprovereranno l'interventismo e il « vo lontariato ».
Degli altri due, mentre Angelo Tasca, laureato in lettere, figlio di un operaio astigiano (è nato a
Moretta nel 1892) è il più noto nel partito, tra i fondatori della gioventù socialista a Torino nel
1907, e quello che altresì conserva - anche nel tono della sua predicazione socialista - i le gami
più solidi con la generazione precedente e colla tradizione sindacale inauguratasi nel 1911- 13,
Umberto Terracini (nato a Genova nel 1895) è entrato nel movimento giovanissimo nel 1911. È già
segretario della Federazione giovanile socialista piemontese nel 1916. Laureatosi in giuri
sprudenza, farà per primo parte delle dirigenze nazionali del partito (nel 1920 verrà cooptato
nella direzione). È forte oratore, ragionatore sotti le, polemista durissimo. La sua funzione si
esplica piuttosto a fianco del la rivista che nella sua elaborazione redazionale. Terracini e Tasca
non hanno mai avuto tentazioni interventiste.
« L'Ordine nuovo » non si differenzierebbe però da altre riviste socia liste se non fosse per la «
idea- forza » che fa penetrare dall'estate del 1919 nelle officine torinesi: il movimento dei Consigli
di fabbrica, attra verso la trasformazione delle vecchie Commissioni interne in organismi che siano
emanazione spontanea della « massa che si governa da sé » nel suo « territorio nazionale »: il
luogo di lavoro, l'unità produttiva. Il Con siglio di fabbrica è formato dai commissari di reparto
eletti da tutti i la voratori, sia da quelli organizzati dal sindacato che dai « disorganizzati »; ha tra i
suoi compiti quello di impadronirsi del meccanismo dell'azienda per prepararsi a dirigerla; nella
prospettiva che gli assegnano i suoi susci tatori è una forma di soviet, un « potere proletario »
conquistato nell'in timo del processo produttivo, la prima cellula del futuro Stato dei Con sigli.
Non si può dire che tale costruzione ideale penetri nella coscienza di tutti gli operai ma il nuovo
istituto si sviluppa anche dall'esperienza e dalla volontà dei lavoratori torinesi. I Consigli di
fabbrica vengono di-
##
« L'Ordine nuovo » nel 1919- 20 e la « scissione d'aprile » 49
scussi nelle assemblee delle officine, sono eletti, funzionano, creano nei grandi complessi
industriali — che racchiudono 150 000 lavoratori — una situazione di dualismo di poteri che
provocherà ben presto i conflitti più radicali tra industriali e operai. L'idea, partita da Gramsci,
può racchiu dersi in una formula, teorica e politica insieme: il moto proletario verso la rivoluzione
si deve esprimere in forme proprie, dare vita a proprie istituzioni. L'ispirazione leninista è tutta
nella convinzione che la lotta per un ordine nuovo, la lotta per spezzare la « macchina dello Stato
bor ghese », si inizia cominciando a costruire, prima della presa del potere, gli ingranaggi di una
macchina statale nuova, e che i proletari d'officina debbono esserne gli artefici, come produttori.
Gramsci stesso lo dirà con chiarezza:
La posizione dell'* Ordine Nuovo» consisteva essenzialmente in ciò: 1) nel l'aver saputo tradurre in
linguaggio storico italiano i principali postulati della dot trina e della tattica dell'Internazionale
Comunista; negli anni 1919- 20 ciò ha volu to dire la parola d'ordine dei Consigli di fabbrica e del
controllo della produzione, cioè l'organizzazione di massa di tutti i produttori per
l'espropriazione degli espro priatori, per la sostituzione del proletariato alla borghesia nel governo
dell'indu stria e quindi, necessariamente, dello Stato; 2) nell'aver sostenuto, in seno al Par tito
socialista, che allora voleva dire la maggioranza del proletariato, il programma integrale
dell'Internazionale Comunista e non solo una qualche sua parte '.
La collezione del giornale mostra - a differenza di ciò che avviene per « Il Soviet » — che non vi è
numero nel quale non si vadano raccogliendo tesi, indicazioni, documenti sul movimento
internazionale dei Consigli: dal rapporto di Lenin al II congresso dell'Internazionale comunista —
già qui rammentato - alla conferenza di Bela Kun dinanzi agli operai unghe resi (nella quale si
precisa l'importanza che i sindacati si trasformino per abbracciare la totalità degli operai d'una
stessa industria), dalle precisa zioni del comunista svizzero Jules Humbert - Droz sulla natura del
movi mento soviettista come movimento di massa alle programma zioni enun ciate in un convegno
tenuto dal segretariato per l'Occidente europeo (« formare organi quali i Commissari di reparto, i
Consigli di fabbrica, i Consigli economici dei lavoratori » ), dalle citazioni di Gyorgy Lukàcs a
quelle di G. Zinov'ev.
«L'Ordine nuovo» vive e si sviluppa in una singolare antinomia. Il suo orizzonte è quello del
movimento suscitato dall'Internazionale piut tosto che quello italiano; il suo interesse per le lotte
interne al PSI (e anche per la situazione politica nazionale) è secondario, fino a divenire una causa
di isolamento, via via più grave. Gramsci, più ancora dei suoi ##
Antonio gramsci, il nostro programma, «L'Ordine nuovo», serie III, a. 1, n. 3- 4, 1- 15 aprile 1924.
50 Capitolo quarto
amici, è assente dalla battaglia precongressuale nel 1919, non nasconde neppure il suo fastidio per
le diatribe tra elezionisti ed astensionisti. A Bologna il gruppo si confonde nello schieramento
massimalistico che trionfa al congresso. Dopo le elezioni generali di novembre e il grande
successo socialista, che fa del suo gruppo parlamentare un arbitro della situazione, Gramsci teme
che i problemi contingenti di tattica politica, lo stesso maggiore peso che i deputati vengono ad
avere nel partito, sof fochino una preparazione che ponga davvero come protagoniste le masse
operaie, e quelle dei contadini poveri, ora organizzate dal Partito popola re e dagli ex combattenti,
ma destinate (così come Kerenskij lavorò invo lontariamente per Lenin) ad entrare nel grande
fiume della rivoluzione socialista. Così almeno pensa Gramsci nel 1919. Lo stesso problema di un
armamento di questo esercito è considerato da lui secondario: le armi si troveranno là dove vi
sono.
Tra l'autunno del 1919 e la primavera del 1920 il movimento dei Consigli cresce in un modo
impetuoso — ma soltanto a Torino —, conqui sta le organizzazioni sindacali locali e provoca
polemiche sempre più aspre. Le posizioni dell'«Ordine nuovo» sono osteggiate dai riformisti della
Confederazione come nuova forma di anarco- sindacalismo, Serrati considera un'aberrazione porre
sullo stesso piano gli operai iscritti al par tito e al sindacato e i non organizzati, Bordiga
rimprovera di sottovaluta re il problema dei problemi, la conquista del potere politico centrale e
teme - come abbiamo visto - che i Consigli operai, perdurando il regime capitalistico, si
trasformino in un organo corporativo, di « arrampica mento riformista». A tutti è ostico quel
gruppetto di intellettuali che vogliono dare lezioni di rivoluzionarismo a destra e a manca, e
possono combinare grossi guai. Ma più interessante della polemica (a cui gli ordi novisti replicano
tenacemente soprattutto esaltando il momento politi co, comunista, del movimento consiliare) è la
realtà in cui si viene presto a collocare.
Lo sforzo costruttivo del movimento, in meno di un anno, è stato in tenso. Nella stessa avversione
di quasi tutti i dirigenti nazionali socialisti è il segno migliore della sua originalità, apportatavi
essenzialmente da Gramsci, con un carattere antisettario che è forse il connotato più nuo vo.
Gramsci non ha, in verità, nessuna propensione per l'anarchismo e « L'Ordine nuovo » affronta per
tempo il tema generale della distinzione dalle idee libertarie, ma nel gruppo, nel movimento, nelle
organizzazioni di fabbrica ispirate ad esso, gli anarchici hanno la loro collocazione, col laborano,
così come tutti i lavoratori che si impegnino nello sforzo rivo luzionario comune. Quello che
Turati, come Serrati del resto, rimprove ra a Gramsci e ai torinesi, al congresso di Bologna, « il voto
atomistico
« L'Ordine nuovo » nel 1919- 20 e la « scissione d'aprile » 51
dei disorganizzati e degli stessi krumiri », è il titolo maggiore di merito, la sanzione del carattere
autenticamente proletario del movimento, quel lo che anche all'estero lo segnala come degno di
particolare attenzione; e dell'« Ordine nuovo » parlano Sylvia Pankhurst, Jacques Mesnil, Ros mer e
Monatte, Henri Barbusse '.
Questa mentalità, attenta in primo luogo alle dimensioni di massa di un fronte rivoluzionario, si
riscontra anche nei contatti che Gramsci cer ca sempre di prendere anche al di fuori del
movimento socialista, ad esempio tra i soldati, come è il caso, ora, dell'azione personale che svolge
tra quelli della brigata Sassari, quasi tutti pastori e contadini sardi, tra sferita a Torino nel 1919 in
servizio di ordine pubblico (e così sarà nel 1921 con ex legionari fiumani).
La situazione va mutando nel 1920, anche se non subisce una svolta radicale, tale che annulli le
spinte precedenti. Ma il segno contrario al l'ondata rossa è ormai marcato. Lo Stato non appare
più, come nel 1919, in balia delle forze sociali ed economiche più dissolvitrici della sua auto rità.
Vi è una riorganizzazione dell'apparato « coercitivo » e di quello bu rocratico, mentre nulla più di
una perorazione generica sovversiva scalfi sce le forze armate (i cui capi, semmai, si sono situati
all'estrema destra del potere). Le occupazioni di terre incolte da parte dei braccianti - che
riguardano 27 000 ettari2 - raramente sono dirette dalle organizzazioni sindacali di classe, più
spesso da popolari ed ex combattenti, nel Mezzo giorno. La situazione economica, che non è di per
sé migliorata nell'insie me (gravissimo resta lo sbilancio finanziario, e difficile si fa per certi set
tori l'approvvigionamento di materie prime) registra, però, una certa ri presa produttiva. E il
mondo imprenditoriale da, per la prima volta, se gni vigorosi di organizzazione, di iniziativa
politica, di baldanza, si pone come forza a sé sull'arena dello Stato.
La conferenza nazionale della Confederazione generale dell'industria, nel marzo del 1920, «
afferma la necessità che la borghesia del lavoro at tinga in se stessa e nella convinzione della
utilità della sua funzione e del la sua organizzazione il mezzo per un'energica azione contro
deviazioni e illusioni »3. E se i combattenti ora smobilitati non trovano nel Partito socialista una
guida, la piccola borghesia già cerca altrove una risoluzione alla propria irrequietezza. È passato il
tempo in cui (come durante i tu multi popolari per il caroviveri) i commercianti recavano alle
Camere del lavoro le chiavi dei loro magazzini e da parte di quel « potere » si poteva ##
Cfr. le informazioni e le indicazioni che fornisce Sergio caprioglio presentando alcuni Scritti sul
fascismo di Antonio Gramsci, «Il Corpo», a. 1, n. 3, gennaio 1966, pp. 218- 24. Alberto caracciolo,
Le occupazioni delle terre in Italia, Roma s. d., p. 33. Cfr. «Il Corriere della Sera», 9 marzo 1920.
52 Capitolo quarto
imporre drasticamente una riduzione del cinquanta per cento dei prezzi delle derrate alimentari.
La controffensiva del mondo imprenditoriale si rivela appieno a To rino, comincia dalla città più
contesa.
Stamane - telegrafa il 20 marzo il prefetto Taddei al ministro degli Interni - si sono presentati a
me Fon. Olivetti, il commendatore De Benedetti, presidente di questa Lega industriale, e il
commendator Agnelli, significandomi che negli stabili menti industriali l'indisciplina e le continue
esorbitanti pretese degli operai sono giunte a tale punto che gli industriali sono decisi a ricorrere
entro brevissimo tempo al provvedimento della serrata generale '.
Il proposito è attuato presto. Al primo caso d'indisciplina operaia la Commissione interna delle
Industrie Metallurgiche ha arrestato motu proprio d'un'ora le lancette dell'orologio dello
stabilimento per prote stare contro il ripristino dell'ora legale, eredità della guerra - è commina to
il licenziamento di tre membri della stessa Commissione. Gli operai entrano in sciopero in
quell'officina. Il 29 marzo l'AMMA (l'associazio ne degli industriali metalmeccanici) proclama la
serrata, la forza pubbli ca presidia le fabbriche. « Per imporre la fine dello stato caotico delle
officine », gli imprenditori presentano uno schema di procedura per gli organismi operai che ne
limita rigorosamente le funzioni. La posta in gio co diventa lo stesso riconoscimento delle
Commissioni interne, dei modi della loro elezione, del loro effettivo potere nell'officina. Gli uomini
del l'* Ordine nuovo », i dirigenti sindacali a loro uniti, che guidano la FIOM a Torino, non possono
rifiutare questa battaglia di principio.
Si susseguono così quasi venti giorni di astensione dal lavoro dei me tallurgici, mentre qualche
trattativa non produce alcun risultato. Nel frattempo, la città operaia è isolata dal resto della
penisola e vari contin genti di truppe (quasi 50 000 soldati) affluiscono a Torino. Si tenterà al lora
di allargare la lotta, la si collegherà con uno sciopero di braccianti in Piemonte; il « Comitato
d'agitazione » proclama lo sciopero generale per tutte le categorie, dai tipografi ai ferrovieri, dai
dipendenti comu nali ai tramvieri, dai maestri di scuola fino alle lavoranti sarte: si tratta
complessivamente di 500000 lavoratori piemontesi, a partire dal 15 aprile.
Ciò da un'idea della potenza d'urto, della compattezza, della acutezza che presenta qui la lotta
operaia, tanto più in quanto impegnatasi su una questione così schiettamente politica come il
controllo sulla produzione. Ed anche del seguito che il movimento suscitato dall'« Ordine nuovo »
ha raccolto in pochi mesi. I suoi uomini lo ricorderanno come il culmine
1 ACS, Min. Interno, Dir. gen. PS, A. g. e r.t 1920, C. 2, b. 50.
« L'Ordine nuovo » nel 1919- 20 e la « scissione d'aprile » 53
della loro « azione di massa », come lo scontro di classe più tipico, più avanzato. Ma la sua
particolarità risiede anche nel fatto che gli antagoni sti (gli imprenditori, la forza dello Stato)
hanno coscienza del valore na zionale della contesa, mentre il fronte proletario è ristretto ad un
ambito regionale. La Confederazione del lavoro si è già dichiarata nettamente contro lo sciopero e
pone ora la questione in termini di mancata discipli na, frena e trattiene le organizzazioni
sindacali - in particolare quelle di Genova, già decise ad intervenire - dall'associarsi alla battaglia
dei tori nesi. L'atteggiamento della direzione del PSI non è differente. Essa spo sta il convegno
nazionale del partito, già convocato a Torino per il 20- 21 aprile, a Milano. Gramsci annoterà in
modo sferzante:
Una città in preda allo sciopero generale sembrava poco adatta come teatro di discussioni
socialiste... mentre la massa operaia difendeva a Torino coraggiosamen te i Consigli di fabbrica, la
prima organizzazione basata sulla democrazia operaia, a Milano si chiacchierava intorno a
progetti e metodi teorici per la formazione di Consigli come forma di potere politico da
conquistare del proletariato; si discuteva sul modo di sistemare le conquiste non avvenute e si
abbandonava il proletariato torinese al suo destino... '.
Il punto è essenziale per capire uno dei momenti cruciali del dopo guerra, che lo stesso Gramsci
definirà « la scissione d'aprile » e che anti cipa, per molti aspetti, le contraddizioni che
esploderanno in settembre con l'occupazione delle fabbriche da parte degli operai metallurgici di
tutta Italia. Il Consiglio nazionale di Milano pare anch'esso doversi oc cupare del caso
d'indisciplina dei compagni torinesi. Questi non solo hanno accettato la prova di forza localmente
ma hanno cercato di allarga re il movimento altrove mandando propri emissari in Piemonte, in
Lom bardia, in Liguria, cercando un accordo con gli anarchici, anche con il vecchio Malatesta,
rientrato in Italia! In verità, la materia del contende re è la prospettiva concreta della rivoluzione
partendo dai fatti torinesi. A Milano si recano Umberto Terracini e Angelo Tasca. Sin dalla prima
giornata del convegno così si è espresso Terracini:
I compagni di Torino, in ossequio a tutte le deliberazioni di Bologna e dei no stri convegni, hanno
cercato di creare là una situazione rivoluzionaria. Essi si trova no veramente in uno stato di fatto
che giunge all'esasperazione della situazione ri voluzionaria, ed è presso ad una situazione
insurrezionale. Essi da quattro giorni stanno segnando il passo; hanno un desiderio solo e per mia
bocca lo manifestano: che il Consiglio nazionale deliberi un programma d'azione di vera ed
immediata at- ##
Da Il movimento torinese dei Consigli di fabbrica, rapporto inviato nel luglio 1920 al Comi tato
esecutivo dell'Internazionale comunista, pubblicato per la prima volta nell'« Internazionale co
munista»- , a. 1, n. 14, novembre 1920.
54 Capitolo quarto
tuazione, perché il proletariato torinese sente che di fronte alla classe industriale di Torino la sua
azione deve essere immediata e non può essere procrastinata '.
Ma la reazione del Consiglio è totalmente negativa, e non solo da par te dei riformisti i quali
pongono ormai, come Modigliani, il problema in termini opposti: bisogna superare la crisi
cercando di andare al governo e di collaborare con Nitti (che non chiede di meglio). Sono i
massimalisti stessi che non intendono compiere atti irrimediabili, vale a dire che non intendono
raccogliere l'appello che viene da Torino. E quando si dice massimalisti non si dice solo Serrati o
quelli che lo seguiranno nella dife sa dell'unità del Partito socialista tra qualche mese, ma proprio
quegli uomini della sinistra estrema che vedremo poi affluire nella frazione co munista, quelli che
sin dal 1917 si sono caratterizzati come « intransigen ti- rivoluzionari ». Un Gennari, ad esempio,
che dirige il dibattito da mo deratore e conviene sia da « rettificare il tiro », « non fermarci
all'episodio », ma preparare per un tempo migliore la scalata al potere. E, ancora di più, un Caroti
che proclama, sì, la sua solidarietà con i torinesi ma si affretta anche ad aggiungere che se a
Torino succede una strage si entrerà davvero in una situazione rivoluzionaria e non si è pronti; «ci
trovere mo disarmati e legati, olocausto alla forza del governo e della borghesia italiana »2!
È anche il caso di Bordiga, seppure un caso a parte. Bordiga svolge il suo gioco, coerente ma
sterile: da un canto, critica l'irresolutezza della direzione, dall'altro oppone riserve dottrinarie e
politiche all'azione dei torinesi: « i Consigli danno oggi dell'imbaraz zo agli imprenditori priva ti...
Ma possono diventare domani, di fronte all'imprenditore collettivo, al proletariato comunista
emancipato... un danno economico per gli inte ressi particolari di quel gruppo (che rappresentano)
».
Intanto, a Torino, la battaglia si svolge con asprezza crescente. Il 19 aprile è la quinta giornata di
sciopero generale; ad Alessandria il Consi glio delle leghe ha deliberato di fare entrare i lavoratori
di quella provin cia in lotta, a fianco dei torinesi; così a Vercelli, mentre nella provincia di Novara il
fronte operaio si estende alle campagne e anche qui è pro clamato lo sciopero generale cui
partecipano le masse dei braccianti già in agitazione per i patti agrari. ##
1 Dal verbale inedito dei lavori del Consiglio nazionale del PSI (18- 22 aprile 1920) parzialmente
pubblicato da renzo de felice, in Studi... su Antonio Gramsci cit., p. 445.
2 Interessante è il contrasto tra le affermazioni precise del Caroti riferite nel verbale e riprese dal
De Felice (Studi... su Antonio Gramsci cit., p. 444) e il resoconto per la stampa del suo inter vento,
che suona su questo punto: «Di fronte a una soffocazione violenta del moto di Torino e di tutto il
Piemonte da parte del governo, noi dobbiamo con ogni mezzo essere pronti a insorgere na
zionalmente per la difesa dei compagni in lotta e per coerenza ai nostri principi rivoluzionari » («
La voratori, avanti! », bollettino quotidiano dello sciopero generale, Torino, 20 aprile).
« L'Ordine nuovo » nel 1919- 20 e la « scissione d'aprile » 55
Il bollettino degli scioperanti torinesi (l'unico foglio che esca in città in questi giorni) intitola su
tutta la pagina, il 20 aprile: La guerra di clas se scatenata e pubblica un manifesto che « Il
Comitato di studi dei Con sigli di fabbrica torinesi » rivolge alla massa operaia e contadina d'Italia
e che dice:
Oggi tutto il Piemonte è in movimento, ma perché la battaglia sia vinta ciò non basta. La classe
operaia torinese non si è impegnata nella lotta per una questione di orario o di salario: è in gioco
un istituto rivoluzionario, quello dei Commissari di reparto e dei Consigli di fabbrica, che non
interessa soltanto una categoria locale ma interessa tutto il proletariato comunista italiano. La
lotta non può risolversi fa vorevolmente alla classe operaia e contadina, se tutta la classe operaia e
contadina non si impegna nella lotta, non afferma la sua potenza di contro alla classe proprie
taria, al potere di Stato borghese '.
Senonché, la lotta si rivela impari, di giorno in giorno più difficile, per gli scioperanti posti di
fronte a un padronato che non ha la minima intenzione di cedere. A Milano l'isolamento dei
rappresentanti torinesi si rivela totale. Angelo Tasca, a nome del Comitato d'agitazione, chiede che
la Confederazione e il partito si muovano, spezzino con una pressio ne nazionale l'« alleanza tra
industriali, agrari e governo », rilevando co me per la prima volta si dia il caso di una lotta che
vede uniti operai e contadini. Terracini è andato anche più in là dicendo che lo sciopero ge nerale
non bastava più, che bisognava rompere il patto tra PSI e CGL e che il partito doveva assumere la
direzione del movimento. Nella notte tra il 20 e il 21, Terracini riprende la parola e afferma che
entro tre mesi tutta l'Italia sarà in una situazione simile a quella di Torino: « Noi dicia mo di
preparare una situazione insurrezionale! »
E Tasca aggiunge, portando la parola dell'organizza zione sindacale, pur senza associarsi alle
dichiarazioni più intransigenti di Terracini (Ta sca era per lo sciopero generale) che « noi riteniamo
sia un errore gravis simo per il partito non avere approfittato dell'iniziativa ». Ma, alla fine, i
torinesi sostanzialmente debbono ammettere di trovarsi soli a perorare l'allargamento della lotta.
E il Consiglio nazionale di Milano segna così due fatti importantissimi: il primo è la rinuncia dei
torinesi ad arrivare ad una rottura; il secondo è l'aprirsi di una frattura reale anche se non
proclamata nel movimento, che gli avvenimenti successivi non faranno se non aggravare.
Tasca e Terracini si acconciano, ritirando un ordine del giorno pro prio, alla tesi della direzione del
partito che, pur nella solita fraseologia ##
1 «Lavoratori, avanti!», Torino, 20 aprile 1920. Segretario del «Comitato di studio» è Palmiro
Togliatti, probabile autore anche del manifesto. Cfr. Marcella e Maurizio Ferrara, Conversando con
Togliatti, Roma 1954, pp. 64- 69.
56 Capitolo quarto
massimalista, vuole prendere tempo, per intensificare la preparazione della « forza armata
proletaria » e la propaganda dei principi comunisti tra le masse... C'è, sul tappeto, il progetto
Bombacci dei soviet, una co struzione astratta che non rimarrà meno sulla carta della «
preparazione militare ». Un ordine del giorno presentato da Misiano, che si rivela se non più
concreto almeno più impaziente di quello della direzione, viene prima approvato e poi
abbandonato dai rappresentanti torinesi '.
Perché essi si arrendono? Certamente perché, dopo sette giorni di sciopero generale e un mese di
lotta metallurgica, i segni della stanchez za a Torino sono ormai gravi e, vista fallire la prospettiva
dell'allargamento della battaglia, si tratta ora di chiudere l'agitazione il meglio possibile; e questo è
il compito che la direzione del partito lascia svolgere alla CGL.
Un concordato tra le parti, promosso da D'Aragona, sancisce infatti un riconoscimento degli
organismi operai ma la vittoria degli industriali è indiscutibile: la funzione di controllo sulla
produzione auspicata dai Consigli di fabbrica è negata; il loro potere all'interno delle officine rigi
damente delimitato da una nuova regolamentazione. E gli operai, a cui pure i dirigenti dicono alla
fine dello sciopero che una battaglia è perduta ma la guerra continua, non reagiscono il 1° maggio
quando, in una spara toria, durante il tradizionale corteo, due dimostranti sono uccisi dalla forza
pubblica.
Era possibile fare altrimenti? L'isolamento d'aprile doveva necessa riamente cogliere così alla
sprovvista i torinesi? Non potevano essi porsi prima il problema di un coordinamento efficace, su
scala nazionale, poli tico e sindacale della loro azione? Gramsci così risponderà quattro anni dopo
a questi interrogativi:
Nel 1919- 20 noi abbiamo commesso errori gravissimi che in fondo adesso scon tiamo. Non
abbiamo, per paura di essere chiamati arrivisti e carrieristi, costituito una frazione e cercato di
organizzarla in tutta Italia. Non abbiamo voluto dare ai Consigli di fabbrica di Torino un centro
direttivo autonomo e che avrebbe potuto esercitare un'immensa influenza in tutto il paese, per
paura della scissione nei sin dacati e di essere troppo prematuramente espulsi dal partito
socialista. Dovremmo, o almeno io dovrò, pubblicamente dire di aver commesso questi errori che
indub biamente hanno avuto non lievi ripercussioni. In verità, se dopo la scissione di apri le
avessimo assunto la posizione che io pure pensavo necessaria, forse saremmo arri vati in una
situazione diversa alla occupazione delle fabbriche e avremmo riman - ##
1 L'ordine del giorno Misiano è soprattutto interessante per il cenno che fa, in vista dell'acutiz
zarsi della situazione, alla necessità che il partito si liberi «di ogni preoccupazione di unità e di
tendenza». Sulla funzione di Misiano in questo periodo, cfr. 1. A. fridman, Le correnti del Partito
socialista e la fondazione del PCI, «Studi storici», a. v, n. 3, luglio- settembre 1964, pp. 5^8- 60. La
condotta dei rappresentanti torinesi è descritta nel bollettino «Lavoratori, avanti!», del 22 aprile
1920, ma senza dare una spiegazione del fatto che essi ritirino la loro firma da quell'ordine del
gior no. Il quale riceve, però, 26 331 voti contro i 61 572 che vanno all'ordine del giorno della
direzione. Bordiga e i suoi si astengono, raccogliendo 7496 voti.
« L'Ordine nuovo » nel 1919- 20 e la « scissione d'aprile » 57
dato questo avvenimento ad una stagione più propizia. I nostri meriti sono molto inferiori a quello
che abbiamo dovuto strombazzare per necessità di propaganda e di organizzazione; abbiamo solo,
e certo questo non è piccola cosa, ottenuto di su scitare e organizzare un forte movimento di
massa che ha dato al nostro partito la sola base reale che ha avuto negli anni scorsil.
Quale era la posizione che Gramsci pensava necessaria dopo la « scis sione d'aprile »?
Evidentemente quella di affrettare un processo di chia rificazione politica all'interno del PSI. Già
all'inizio della lotta, dello sciopero metallurgico, ai primi di aprile2 egli ha per la prima volta aper
tamente denunciato le insufficienze del PSI, intuito l'urgenza di una scel ta, l'esistenza di un
dilemma, e perorato un nuovo tipo di partito, « omo geneo, coeso, con una sua propria dottrina,
una sua tattica, una discipli na rigida e implacabile ». Si tratta della relazione che doveva servire di
base per una critica dei socialisti torinesi al Consiglio di Milano e che diverrà famosa perché,
conosciuta da Lenin, verrà dai bolscevichi, al II congresso dell'Internazionale, presentata come
l'unica posizione accetta bile per quanto riguarda il PSI. Di essa, in quel contesto, avremo occa
sione di riparlare. Nella storia interna dell'« Ordine nuovo » quel docu mento intitolato Per un
rinnovamento del Partito socialista, sta ad indi care il punto massimo della sua contraddizione,
l'inizio, anzi, di un feno meno di diaspora politica tra i componenti del gruppo. Nessuno di loro,
come Gramsci stesso dovrà rammentare, trae le conseguenze naturali da una affermazione
centrale come questa, contenuta nella relazione:
La fase attuale della lotta di classe in Italia è la fase che precede: o la conquista del potere politico
da parte del proletariato rivoluzionario per il passaggio a nuovi modi di produzione e di
distribuzione che permettano una ripresa della produttivi tà; o una tremenda reazione da parte
della classe proprietaria e della casta governa tiva 3.
Gramsci non ha mutato idea sulla visione generale del potere, poiché ancora dopo l'aprile
continuerà a sostenere che « noi, come marxisti, i termini del problema del potere dobbiamo
sforzarci di coglierli nell'or ganismo produttivo »4 e che « la rivoluzione è proletaria e comunista
so lo in quanto essa è liberazione di forze produttive e proletarie »5. Ma non può ignorare la
lezione delle cose: l’handicap di quel partito e di ##
1 Da una lettera ad Alfonso Leonetti, del 28 gennaio 1924, in La formazione ecc. cit., p. 183.
2 Che il documento, che andremo citando, dal titolo Per un rinnovamento del Partito socialista
(pubblicato sull'«Ordine nuovo», a. n, n. 1, 8 maggio 1920) sia stato preparato e stilato e approvato
m quel preciso momento risulta da una testimonianza di Gramsci in Cronache dell'<
58 Capitolo quarto
quella organizzazione sindacale. Prendendo la penna sull'« Ordine nuo vo », subito dopo lo
sciopero, Gramsci non esita a scrivere che la classe operaia torinese è stata sconfitta, né lesina la
critica alle dirigenze na zionali:
Tra le condizioni che hanno determinato la sconfitta è anche la « superstizio ne », la cortezza di
mente dei responsabili del movimento operaio italiano. Tra le condizioni mediate di secondo
grado che hanno determinato la sconfitta è quindi anche la mancanza di coesione rivoluzionaria
dell'intero proletariato italiano che non riesce ad esprimere dal suo seno, organicamente e
disciplinatamente, una gerar chia sindacale che sia un riflesso dei suoi interessi e del suo spirito
rivoluzionario. Tra le condizioni mediate di primo grado che hanno determinato la sconfitta sono
quindi da ritenersi lo stato generale della società italiana e le condizioni di esistenza di ogni
regione e di ogni provincia che costituisce una cellula sindacale della Confe derazione generale del
Lavoro. È certo, insomma, che la classe operaia torinese è stata sconfitta perché in Italia non
esistono, non sono ancora maturate le condizioni necessarie e sufficienti per un organico e
disciplinato movimento di insieme della classe operaia e contadina '.
Gramsci tocca così una debolezza di fondo del movimento, il persi stere delle sue caratteristiche
localistiche e corporative, ma scopre anche la contraddizione maggiore del gruppo ordinovista.
Non è forse chiaro che l'esigenza di un'opera lunga di costruzione, di maturazione delle con
dizioni di « un organico movimento d'insieme », si scontra con la neces sità, imposta dall'offensiva
dell'avversario di classe, di fare presto, di schierare tutte le forze in campo per gli scontri
decisivi ? E sarà lo stesso Gramsci a dirci poi, come abbiamo visto, di aver perso il tempo più pre
zioso, di aver impostato tardi il problema del partito e di un altro centro nazionale di
organizzazione sindacale delle masse.
Il discorso vale naturalmente, a maggiore ragione, per tutta la sini stra del partito, che è invece
perfettamente integrata nel massimalismo classico, nella rete di progettazione, in un linguaggio
scarlatto, a cui fa ri scontro l'eterna attesa del momento buono, e il suo continuo rinvio. Gramsci
almeno ha d'or innanzi la coscienza drammatica dell'impotenza comune e cerca, con iniziative
personali, di superarla. Chi, invece, tra gli altri ha il senso dell'urgenza di una scelta? Resta Bordiga
e forse Gram sci, nel suo cenno alla soluzione intravista dopo tale avvenimento, si rife risce alla
necessità da lui intuita di fare, intanto, fronte comune con Bor diga che già batte sul tasto della
scissione da mesi e proclama la necessità di liberare il partito dai riformisti e dagli opportunisti.
I fatti mostrano un forte, quasi repentino, accostamento di Gramsci agli astensionisti subito dopo
la sconfitta d'aprile. ##Egli si reca a Firenze,
1 Superstizione e realtà, non firmato, «L'Ordine nuovo», a. n, n. i, 8 maggio 1920.
« L'Ordine nuovo » nel 1919- 20 e la « scissione d'aprile » 59
come « osservatore », al convegno che gli astensionisti tengono ai primi di maggio e va a proporre
« la creazione e la costituzione di una frazione comunista nazionale » '. Bisogna - dirà Gramsci
dalla tribuna del conve gno - abbandonare la ristretta base dell'astensionismo e raggruppare tut te
le forze rivoluzionarie, comuniste, del partito e della classe. Ma Bordi ga risponde di no.
L'astensionismo è per lui una garanzia di purezza del movimento, e il suo sospetto verso i «
torinesi » è ancora forte. In più, Bordiga non ha fretta, è convinto che il tempo lavori per la
maturazione delle forze rivoluzionarie e soprattutto acceleri la crisi del Partito socia lista che egli
considera indispensabile per il sorgere di un Partito comu nista.
Così, Gramsci torna a Torino senza un accordo e di qui comincia un suo isolamento all'interno
stesso del gruppo ordinovista. Da maggio a lu glio, egli va elaborando il proposito di attuare
l'auspicato « rinnovamen to » partendo ancora una volta dalla fabbrica, curando la formazione di «
gruppi di educazione comunista » nelle officine, lavorando ivi per « l'u nità proletaria minacciata
nella sua compagine ». Gli amici della redazio ne non lo seguono. Con Tasca, la disputa dura da
mesi e scoppia in mag gio- giugno. Tasca non crede al valore autonomo del movimento consi
gliare, è propenso a valorizzare, invece, le Camere del lavoro2.
In questa posizione di Tasca vi è certamente il frutto della sua forma zione giovanile che, in tutto
il decennio precedente, si è sviluppata a con tatto dei dirigenti e militanti sindacali, di una
tradizione socialista che proprio nelle Camere del lavoro si è irrobustita e ha fronteggiato l'anar
co- sindacalismo, ma vi è anche una intuizione politica che si ricollega alla necessità di raccogliere,
e raccogliere subito, un vasto fronte rivoluziona rio per i compiti dell'ora. Riflettendo, nel 1929, a
queste sue posizioni e alla polemica con Gramsci del 1920, Tasca dirà:
Il problema della rivoluzione italiana era quello di legare, coordinare « le nuove forme » per cui
marciava (quasi solo a Torino) il proletariato industriale d'avan guardia per « organizzare la
rivoluzione » colle « vecchie forme », a cui ancora ade riva la grande maggioranza dei lavoratori di
città e di campagna che si trovava sotto l'influenza del Partito socialista, e cioè coi sindacati e
specialmente colle Camere del Lavoro. Queste ultime erano ricche, nel clima storico del 1919- 20,
di elementi so viettisti come hanno dimostrato gli episodi del moto contro il caroviveri nel 19196
1 Dell'episodio parla Gramsci in varie occasioni: in un articolo scritto per la terza serie, quin
dicinale, dell'«Ordine nuovo» (a. 1, n. 2) dal titolo Contro il pessimismo; in un intervento al con
vegno dei segretari di federazione del PCI del maggio 1924 («Lo Stato operaio», a. 11, n. 18, 28
mag gio 1924). Anche « Il Soviet» del 16 maggio 1920 da un conto sommario del discorso di
Gramsci al convegno astensionista.
2 Cfr. i numeri dell'« Ordine nuovo » dal 29 maggio sino al 13 agosto del 1920 che, partendo dalla
relazione di Angelo Tasca al congresso della Camera del lavoro di Torino, ospitano tutto il
dibattito che intercorre tra lui e Gramsci (molto aspro) su varie questioni di carattere politicosindacale
e rifan no anche la storia della concorditi discors di Tasca nel gruppo, a partire dai primi
numeri della rivista.
60 Capitolo quarto
l'essere state anche in seguito i principali centri di mobilitazione delle masse lavora trici italiane '.
Togliatti e Terracini, a loro volta, sono più vicini ora alla direzione massimalista (in cui Terracini è
stato cooptato e che comprende più di un dirigente, da Gennari a Bombacci a Tuntar, Regent e altri
che entreranno qualche mese dopo nella frazione comunista) e lasciano pertanto praticamenn - te
solo Gramsci al suo tentativo di « ricostruzione » (condotto con poco più di una decina di operai
fedelissimi: Vincenzo Bianco e Battista Santhià tra gli altri), né lo seguono nell'accostamento agli
astensionisti che a Torino sono decisi a precedere addirittura Bordiga nell'attuare la scissione del
PSI.
Nel mese di agosto, quando Giovanni Boero, segretario della sezione eletto anche coi voti degli
ordinovisti, si dimette, Togliatti e Terracini (con Tasca) conquistano la maggioranza in opposizione
sia a Gramsci che ai bordighisti2. La loro piattaforma politica non ha abbandonato le istanze
consigliari ma non intende rinunciare né a un largo schieramen to unitario di « sinceri comunisti »
né al lavoro preparatorio per le elezio ni municipali (Gramsci, sprezzante mente aveva scritto:
«Non parteci pando alle contese per il potere della Sezione, intendiamo iniziare un la voro
d'organizza zione di un gruppo disinteressato che non ha da offrire al proletariato, per la sua
emancipazione, né Consigli comunali né diri genti sindacali... »3).
Il microcosmo dei conflitti interni al gruppo ordinovista ci mostra be ne il percorso di una
tendenza centrifuga che è provocata dalla prima sconfitta, le tappe di successive impossibilità
attraverso le quali si giun ge alle due grandi scadenze del congresso di Mosca e dell'occupazione
delle fabbriche, che nessuno ancora prevede siano così ultimative. Quan do si sta per aprire la
grande assise internazionale, la divisione all'interno della sinistra che costituirà il PCd'I è al suo
punto massimo. Gramsci è isolato, lontano sia da Bordiga che da Togliatti. Gennari e Bombacci re
stano con Serrati all'interno della maggioranza massimalista unitaria.
A Mosca la matassa si ingarbuglia ulteriormente, quasi una comme dia degli equivoci. Si vedrà che
Gramsci, in primo luogo, ma anche gli uomini che hanno fondato « L'Ordine nuovo », e i socialisti
torinesi in genere, sono presentati « come una razzamaglia di frenetici, di scalmana - ##
1 Dal Poscritto in cui Tasca traccia la sua «biografia politica», pubblicato ora, a cura di Giusep pe
Berti, in « Annali », 1966, dell'Istituto Feltrinelli, pp. 783- 84.
2 Su tutta la vicenda interna del gruppo ordinovista e la sua ripercussione, in tale frangente, sulla
sezione torinese del PSI, cfr. la mia introduzione all'antologia de «L'Ordine Nuovo» (1919 1920),
Torino 1963, pp. 89- 96.
3 Gramsci ricorderà che nell'agosto del 1920 «Togliatti e Terracini avevano raggiunto Tasca» (La
formazione ecc. cit., p. 152).
« L'Ordine nuovo » nel 1919- 20 e la « scissione d'aprile » 61
ti e di indisciplinati » '. L'accusa nasce dai sospetti e dalle incomprensio ni che le polemiche
precedenti hanno già messo in luce ed è così generale che verrà portata a Mosca da tutti i
rappresentanti italiani al II congres so dell'Internazionale. Le polemiche sul gruppo d'intellettuali
che ha co stituito il movimento ordinovista avranno strascichi annosi, con punte di asprezza
personale nei confronti di Gramsci e di Togliatti che peseran no non poco nella stessa lotta interna
del Partito comunista e che i socia listi rinnoveranno, dal canto loro, spessissimo. (Tasca e
Terracini, più «vecchi» militanti, oppostisi sin dall'inizio alla guerra, non verranno mai attaccati
personalmente).
I due « torinesi » non si leveranno facilmente di dosso l'imputazione di essere stati interventisti, di
possedere una formazione culturale idea listica, di essersi confusi nel 1919 nella maggioranza «
elezionista » dei massimalisti, di avere propensioni per l'anarchismo, di essere intellet tuali
acchiappanuvole. Gramsci ne darà conto in una lettera del 1924 a Leonetti. Tra i militanti
comunisti emigrati a Mosca - egli ricorderà - le discussioni sull'ordinovismo saranno ancora così
accese da trasformarsi in rissa2. È un dato psicologico da tenere presente, al pari della ruggine
personale tra Tasca e Gramsci, e ancor più tra Tasca e Togliatti.
Ora, al momento cruciale della battaglia del primo dopoguerra, bal zano piuttosto in primo piano
gli elementi di sostanza politica: il dissi dio sull'indirizzo tattico e strategico da seguire, dinanzi
ad una realtà ora manifesta. La mancanza di coordinamento e di intendimenti comuni si rivela non
quando si delinea una prospettiva di battaglie offensive ma quando si è ormai costretti ad
accettare il momento e il terreno scelti dal l'antagonista di classe: la sortita non è stata effettuata
dagli uomini del l'Ordine nuovo » ma dagli imprenditori, che dal loro successo trarran no nuovo
incoraggiamento per « puntare i piedi », su scala nazionale.
Un uomo come il moderato Bruno Buozzi, il segretario generale della Federazione metallurgica, di
orientamento classicamente riformista, che nell'aprile del 1920 respinge l'impostazione di una
battaglia di principio sul riconoscimento dei Consigli, sarà lo stesso che, in agosto, di fronte
all'iniziativa sempre più baldanzosa degli industriali del settore, concepi rà l'occupazione delle
fabbriche come una ritorsione, inevitabile per una questione di principio: non si può rifiutare la
sfida, pena un arretramen to generale e la perdita delle stesse conquiste sindacali e salariali
strappa te con le lotte precedenti. ##
1 Antonio gramsci, Dove va il Partito socialista?, «L'Ordine nuovo», a. 11, n. 9, io luglio 1920.
2 Cfr. La formazione ecc. cit., p. 182.
3 bruno buozzi, Voccupazione delle fabbriche, in «Almanacco socialista italiano», ed. del PSI, Paris
1935, p. 79.
62 Capitolo quarto
Così, mentre il 1919 presentava la massima ampiezza della crisi ri voluzionaria di tutta una
società, e fu considerato dai socialisti come un preludio, come una situazione che bisognava
lasciar maturare, il 1920 trova, impegnate, in prima linea, le avanguardie operaie in battaglie non
scelte da loro.
Qualcosa, però, conviene aggiungere subito sul peso che l'esperienza ordinovista avrà nello
sviluppo della storia del PCI negli anni successi vi e, soprattutto, nell'elaborazione politica, di
dirigente e di teorico, di Gramsci. Se il motivo più semplice da raccogliere, quello stesso che già
hanno avanzato criticamente Bordiga e Serrati, è la sottovalutazione del la funzione e
dell'importanza del partito, è anche da rilevare ciò che sta alla radice del dissenso con Tasca, cioè
la volontà e l'ambizione di Gram sci di suscitare organismi di massa (di dare una nuova
espressione politi ca alle masse), che siano diversi dai sindacati tradizionali e dalle Camere del
lavoro.
La critica di Gramsci al sindacato è radicale. Egli vi contrappone il Consiglio proprio perché solo
esso gli appare come organismo capace di raccogliere la volontà di tutti i lavoratori e di temprarla
sulla base della vita di fabbrica. Nella polemica di Tasca, nella sua convinzione che la teoria e la
pratica dei Consigli siano, in parte, un'invenzione intellettua le, volontaristica e idealistica, la quale
forza e coarta, in un certo senso, l'esperienza tradizionale della classe operaia e sconvolge i suoi
naturali strumenti d'organizza zione come le Camere del lavoro, c'è un fonda mento. Non si può
neppure identificare il leninismo con una concezione della rivoluzione dal basso, del processo
molecolare di formazione dello Stato operaio, che Gramsci pone a base della propria teoria del
pote re, e, quando guiderà il partito, come l'ispirazione stessa della strategia politica da introdurre
nel movimento. La forma del Consiglio, l'istituto nuovo della classe, saranno continuamente
ricercati, ripresi, rilanciati da Gramsci, e proprio il percorrere storicamente la vicenda complessiva
del partito ci consentirà di misurare quanto ciò resti un punto fermo dell'e laborazione
gramsciana, il filone rosso del suo pensiero: lo vedremo nel 1922, a proposito dell'Alleanza del
lavoro, lo riscontreremo nel 1924 1926 per i « Comitati operai e contadini », molto più
profonda mente che finora non si sia notato. Ma è impossibile separare taluni tratti di mito
ideologico dalla funzione di stimolo, di rinnovamento, di contestazione del vecchio, che il pensiero
operaio di Gramsci esercita. Come si potreb bero concepire l'impulso che lo spirito « ordinovista »
darà a tutta l'a zione dei militanti, il valore vivificante della sua polemica contro i partiti di «
funzionari », oppure contro la concezione bordighiana del partito come di una élite che si pone
sulla classe operaia, senza questo bagaglio
« L'Ordine nuovo » nel 1919- 20 e la « scissione d'aprile » 63
che non è astrattamente dottrinario ma si nutre di passione, di fiducia, di sentimento?
Quando le dirigenze socialiste mostreranno nei fatti di non avere più fede nella capacità di
resistenza autonoma del proletariato, predicheran no rassegnazione o compiranno « fughe in
avanti », la lezione gramscia na diventerà preziosa e non solo eroico ma positivo sarà il suo
metodo di ricercare sempre la convalida d'una prospettiva nel seno della classe, di rispondere alla
reazione radicandosi ancora di più nella fabbrica, di pre parare con un lavoro sotterraneo,
diuturno, difficile, le condizioni della ripresa, di concepire il partito proletario come una parte
della classe.
Capitolo quinto
Gli italiani al II congresso dell'Internazionale comunista
Tra il maggio e il luglio del 1920, è un continuo pellegrinaggio per Mosca di delegazioni e di
rappresentanze di partiti socialisti, di organiz zazioni operaie dell'Europa occidentale.
Quell’accorrere non è soltanto dettato da ragioni di omaggio o di curiosità: è un fenomeno politico
del la massima ampiezza che riflette lo spostamento a sinistra di quei movi menti, e la tendenza
comune ad un accordo con la nuova Internazionale, che vive ora la sua tumultuosa e ricca
primavera. Il comunismo diventa il problema primo della classe operaia europea. L'isolamento
della Rus sia sovietica è stato in gran parte vinto, in primo luogo dalla resistenza e dai successi
dell'Armata Rossa che ha ricacciato indietro gli eserciti inva sori, spezzato il blocco e costretto
all'armistizio la Polonia. Il Partito socialista degli indipendenti tedeschi ha, nel frattempo, rifiutato
di ade rire alla II Internazionale e intende intraprendere trattative con la III. Il Partito socialista
francese, al congresso di Strasburgo (febbraio) si è comportato in modo analogo e invia delegati a
Mosca in giugno Marcel Cachin, direttore dell'« Humanité » e L.- O. Frossard, segretario del par tito,
per un contatto che si rivelerà molto fruttuoso. Anche la minoranza sindacalista - rivoluzionaria
della CGT francese manda rappresentanti a Mosca, Rosmer e Monmousseau. Così si dica del
Partito laburista britan nico (ILP) che, pur con maggiore circospezione e minori risultati, ha in viato
in missione presso i bolscevichi una delegazione di sindacalisti e di intellettuali, tra cui Tom Shaw
e Bertrand Russell. Del pari, il Partito so cialista spagnolo, nel giugno del 1920, annuncia la sua
decisione di ade rire alla III Internazionale.
Dall'Italia partono per Mosca, il 25 maggio 1920, invitati dalle orga nizzazioni politiche e sindacali
sovietiche, un nutrito gruppo di dirigenti largamente rappresentativi di tutte le branche e le
correnti del movi mento operaio italiano. Serrati e Vacirca per la direzione del PSI, Gra ziadei,
Rondani e Bombacci per il gruppo parlamentare, D'Aragona, Giu seppe Bianchi ed Emilio
Colombino per la Confederazione del lavoro,
Gli italiani al II congresso dell'Internazionale comunista 65
Dugoni, Pozzani e Nofri per la Lega nazionale delle cooperative, Luigi Polano per i giovani
socialisti. Alcuni di essi torneranno in Italia prima del II congresso dell'Internazionale comunista
(seconda metà di luglio), altri vi resteranno ancora in agosto e in settembre, viaggiando in lungo e
in largo per il paese dei soviet. Alla delegazione si unisce anche Amadeo Bordiga (con la moglie
Ortensia) che si è recato prima, in giugno, in Sviz zera, nei Paesi Bassi e in Danimarca ' a stringere
contatti con varie perso nalità comuniste della stessa tendenza astensionistica. Bordiga non ot
terrà al congresso un mandato di voto deliberativo ma parteciperà larga mente ai lavori.
Bisogna, d'altronde, aggiungere che nessuno degli italiani è andato in Russia in veste specifica di
delegato al II congresso, come « plenipoten ziario» del PSI, sia per la data della partenza da Roma
che precede la convocazione del congresso sia per quella stessa aleatorietà di rapporti cui
abbiamo già accennato e su cui avremo occasione di tornare. È un fe nomeno generale. Numerose
saranno, durante i lavori congressuali, le reciproche contestazioni di validità dei mandati, tra gli
americani come tra gli italiani o i tedeschi (non vengono, ad esempio, ammessi al diritto di voto i
rappresentanti del KAPD ). Si tiene anche, tra il 16 e il 18 luglio, una conferenza collaterale che ha
per iscopo di gettare le basi di una nuo va « Internazionale sindacale rossa » e D'Aragona,
Colombino e altri vi fanno vibranti dichiarazioni di volontà rivoluzionaria inneggiando al co
munismo 2.
Non sarà il solo paradosso, la sola ambiguità del soggiorno russo della rappresentanza italiana.
Proprio D'Aragona, che non poco ha contribui to a spegnere lo sciopero generale torinese
dell'aprile, viene ricevuto da gli operai di Krondstadt con una grande iscrizione inneggiante a
quello sciopero! Quando, due anni dopo, Gregorij Zinov'ev terrà al IV congres so della
Internazionale comunista un discorso sulla questione italiana, e molte, molte cose saranno
cambiate, rammenterà con durezza:
Si riceveva ogni compagno che venisse dall'estero come un fratello, e disgrazia tamente, ci è stato
dato di vedere i nostri operai di Pietroburgo e di Mosca abbrac ciare letteralmente D'Aragona e
Colombino ed issarli sulle spalle, perché essi vede vano in costoro i rappresentanti del proletariato
rivoluzionario d'Italia e credevano realmente nelle loro parole...3. ##
1 Di questo viaggio sono tracce non solo in una corrispondenza da Copenaghen sul « Soviet » del
25 luglio, datata 1° luglio, ma in un telegramma inviato dalla stessa città a Oddino Morgari, in cui
si sollecita il visto del governo italiano per la Russia, il 2; giugno 1920 (ACS, Carte Oddino Morgari,
10- 6- 43).
2 Cfr. La Confederazione Generale del Lavoro: 1906- 1926, Milano 1962, p. 295 e la prefazione al
volume di Franco Catalano (p. xliii).
3 Dal discorso pronunciato il 4 dicembre 1922.
66 Capitolo quinto
Anche al III congresso nel 1921, sempre Zinov'ev, doveva ricor dare:
Quando la delegazione italiana giunse a Mosca, le nostre relazioni con gli altri paesi erano ancora
così cattive che noi non sapevamo che fossero arrivati dei rifor misti. Avevamo la fiducia più
completa in Serrati, come in tutte le persone che egli aveva condotto seco. Li ritenevamo elementi
ancora confusionari, ma la cui devo zione alla causa proletaria fosse veramente sincera '.
Come stavano veramente le cose in quell'estate del 1920? Che i bol scevichi sapessero poco della
situazione del PSI e delle sue correnti è in contestabile. C'era grande fiducia nel partito italiano, nel
suo insieme, e in Serrati, l'uomo che Lenin aveva cominciato ad apprezzare sin dai tem pi della
guerra, che aveva fondato, nell'ottobre del 1919, una rivista come « Comunismo », all'insegna
stessa della III internazionale. Era al tresì nota la posizione di Turati, più volte richiamato nella
polemica bol scevica come un leader dei « socialpacifisti », anzi dei « socialsciovinisti »
opportunisti. Ma proprio mentre la delegazione italiana giunge a Mosca, il saluto che ad essa
rivolge Nikolaj Bucharin sulla « Pravda » del 18 giu gno, ha già un tono diverso dalle effusioni che
caratterizzavano nel 1919 - in particolare al congresso di Bologna - lo scambio di saluti tra bolsce
vichi e socialisti italiani. Non solo vi si legge che « è l'ora di cacciare via dal movimento operaio
italiano il gruppo dei turatiani riformisti » ma anche un rilievo critico redatto in questi spicci
termini:
Il PSI non si è deciso a mettere francamente e lealmente l'insegna comunista sulla porta della sua
casa perché molte decine di avvocatucci italiani formano la maggioranza del gruppo parlamentare.
Gli italiani si aspettavano questa atmosfera, amichevole ma già forte mente polemica? Non c'è
dubbio che la direzione del PSI (e in particola re Serrati) sia al corrente di quello che sarà il tema
centrale della assise internazionale: l'espulsione dei riformisti dal nuovo organismo, ma si spera
che la condizione non sia ultimativa né la scadenza imminente. La prima sorpresa viene
direttamente da Lenin. Egli riceve, poco dopo l'ar rivo degli italiani, Serrati e Bombacci e passa
senz'altro alla questione della necessità di liberarsi dei socialdemocratici, e presto. Serrati oppo ne
subito resistenza e, a credere alle testimonianze comuniste, « si arrab biò talmente per la strigliata
ricevuta che la sera non volle andare a una riunione del Soviet di Mosca in cui doveva parlare »2.
##
1 Dalla relazione di G. Zinov'ev sul PSI, riprodotta in La questione italiana al III Congresso della
Internazionale comunista, Roma 1921, Libreria editrice del PCd'I, p. 143.
2 L'Internazionale di Mosca e l'Italia, «Il Comunista», n. 7, Imola, 26 dicembre 1920.
Gli italiani al II congresso dell'Internazionale comunista 67
L'atmosfera della delegazione italiana è subito accesa per contrasti in terni. La « delega » della
direzione del PSI per essere rappresentati al congresso giunge solo per telegramma di Gennari, che
designa Serrati, Graziadei e Bombacci. Serrati vorrebbe che venisse delegato anche Va circa (che lo
appoggia) e, in ogni caso, riesce ad evitare che Bordiga abbia voto deliberativo. Ma non è che la
prima avvisaglia di un clima duro e di uno schieramento dell'Internazionale comunista che ormai
distingue più nettamente (anche se può scambiare D'Aragona per un bolscevico...) tra le posizioni
assunte in Italia dai vari gruppi del Partito socialista.
Sopravviene la seconda sorpresa dei delegati italiani, di fronte all'ap prezzamento del tutto
positivo che Lenin da del documento dei « torine si » redatto da Gramsci in aprile e consegnatogli
da un messo dell'Inter nazionale, Riedel, giunto da Milano con la delegazione italiana. A quanto ha
lasciato scritto un altro inviato dell'Internazionale comunista, V. De got, che soggiornò in Italia nel
1920 fino all'agosto, ed ebbe abbocca menti con Bombacci, Gennari, Serrati e con lo stesso Gramsci
', un « ar ticolo di Gramsci » è da lui raccomandato caldamente a Lenin in un col loquio nel quale
Degot gli parlerebbe « del lavoro colossale che compio no i nostri compagni torinesi diretti da
Gramsci » (che egli così presenta al lettore: «Era questo uno stupendo, interessante compagno;
piccolo, gobbo, una grande testa, quasi non fosse la sua, uno sguardo profondo, intelligente... In
ogni suo pensiero si percepisce il marxista profondo »2).
Anche Bordiga, a propria volta, che confidava di poter trascinare con sé, sulla piattaforma
astensionistica, una frazione internazionale cospi cua, trova ora confutate espressamente le sue
tesi pubblicate sul « So viet » dall'opuscolo di Lenin, il celebre Estremismo, malattìa infanti le del
comunismo che è la vera base programmatica dei lavori congres suali.
Conviene però situare il viaggio e le posizioni degli italiani nel conte sto generale del congresso
che si apre a Pietroburgo il 19 luglio e si spo sterà quindi a Mosca dove si conclude il 6 agosto. È il
vero congresso di fondazione di quello che tra poco si comincerà a chiamare il Komintern. Lo è
perché è il primo che si possa dire effettivamente rappresentativo del proletariato internazionale
(169 delegati con voto deliberativo, 64 ##
1 Il Degot scrisse nel 1923, presso la Casa editrice statale di Mosca, un interessante opuscolo di
ricordi del suo lavoro di militante rivoluzionario bolscevico all'estero tra il 1918 e il 1921, V «sbo
donotn» podpolje (In «libertà» nell'illegalità); il volume contiene anche una prefazione di C. Rap
poport che precisa l'attività di lotta dell'autore in Russia e altri paesi d'Europa, in particolare in
Francia e in Italia (1919- 20). Della sua attività di rappresentante «delle sezioni esteri della III In
ternazionale » è traccia in un appello datato da Venezia, a firma sua e di Elena Sokolowska, in cui
si richiede al PSI la maggiore solidarietà con la repubblica russa invasa, pubblicato sull'« Avanti! »
del l'8 febbraio 1920.
2 v. degot, op. cit., p. 30.
68 Capitolo quinto
partiti presenti di più di cinquanta paesi) e perché in esso si fissano lo statuto e le tesi
fondamentali che presiederanno al suo indirizzo futuro. La prospettiva generale del movimento
comunista mondiale è ben defi nita da queste affermazioni di Radek (rientrato dalla Germania in
gen naio), uno dei suoi massimi dirigenti:
Il secondo congresso dell'Internazionale Comunista viene convocato in un mo mento in cui si può
dire con assoluta certezza che- la rivoluzione mondiale non può più essere arrestata... Il secondo
congresso dell'Internazionale Comunista segnerà nelle forme più concrete le direttive per giungere
alla dittatura del proletariato... Soltanto un fantasticatore inguaribile potrebbe sperare nel
ripristino del capitali smo. Il secondo congresso indicherà in quale modo il proletariato
dell'Europa occi dentale potrà conquistare il potere '.
La fiducia nasce dal crescente moto d'adesione che viene da Ovest al raggruppamento
internazionale comunista, dai movimenti di massa che si esprimono nei grandi paesi occidentali,
dall'Italia alla Francia, dalla Germania all'Inghilterra o agli stessi Usa, e di cui i bolscevichi tendono
a sottolineare in primo luogo lo slancio rivoluzionario, come altrettanti sintomi della prossima
travolgente esplosione. E non solo da ciò.
Il secondo, e più grande, motivo di fiducia e di sollecitazione è deter minato dagli avvenimenti
militari. La guerra con la Polonia, che è ripre sa in maggio con l'invasione dell'Ucraina da parte
delle truppe polacche, sta ora volgendo nettamente a favore dell'Armata Rossa che avanza ver so
occidente; alla fine di giugno Tuchacevskij spezza il fronte nemico in Bielorussia, nella seconda
metà di luglio varca il Niemen. Kamenev da alle armate del fronte Ovest l'ordine di prendere
Varsavia. Le notizie delle vittorie sovietiche sono il vero segno sotto cui si convoca l'assem blea
internazionale comunista.
Zinov'ev ha così rievocato l'atmosfera:
Nella sala del congresso era appesa una grande carta geografica sulla quale veni va segnato ogni
giorno il movimento delle nostre armate. E ogni mattina i delegati si fermavano con un interesse
da restare senza fiato dinanzi a questa carta. Era una specie di simbolo: i migliori rappresentanti
del proletariato internazionale con estre mo interesse, con animo palpitante, seguivano ogni
avanzata delle nostre armate e tutti si rendevano perfettamente conto che, se fosse stato
raggiunto l'obiettivo mili tare stabilito dal nostro esercito, ciò avrebbe significato un immenso
accelerarsi del la rivoluzione proletaria internazionale2. ##
1 Da Il II Congresso dell'Internazionale Comunista, scritto alla vigilia del congresso e ripro dotto
nell'«Ordine nuovo», a. u, n. io, 17 luglio 1920.
2 Dal rapporto presentato al X congresso del PC russo e riprodotto in «Comunismo», a. il, n. 16-
17, 15 maggio - i) giugno 1921. Cfr. anche Edward h. carr, La rivoluzione bolscevica cit., pa gine
973- 74.
Gli italiani al II congresso dell'Internazionale comunista 69
Proprio di qui, dall'apprez zamento sull'accelerarsi della crisi rivolu zionaria in Europa, parte
quella pressione verso i vari partiti socialisti a liberarsi per tempo della propria ala « opportunista
» e a trasformarsi in partiti comunisti, fortemente accentrati e disciplinati a comuni direttive,
informati agli stessi principi. Lo statuto che il congresso approva fissa appunto le regole valide e
obbligatorie per ogni « sezione » nazionale e per il movimento nel suo insieme: l'Internazionale
comunista è per la creazione di una repubblica internazionale dei soviet come gradino di trapasso
alla completa distruzione dello Stato; l'organizzazione deve es sere strettamente centralizzata, un
unico Partito comunista di tutto il mondo; il congresso si deve radunare una volta l'anno
eleggendo il Co mitato esecutivo come organo direttivo permanente, di cui fanno parte cinque
membri per il paese sede del congresso (la Russia, intanto) e uno per ciascuno dei paesi che
annoverano i partiti comunisti più importanti (gli altri avranno un rappresentante con voto
consultivo).
Se l'opportunismo è il nemico principale da combattere, e il liberar sene condizione sine qua non
dell'ingresso nell'organizza zione, l'estremi smo è considerato da Lenin e dai bolscevichi come una
« malattia di cre scenza » del partito rivoluzionario, che va curata per tempo perché non ostacoli il
contatto con le più larghe masse né impedisca quella souplesse tattica che deve consentire di
unire mezzi legali e mezzi illegali, di « uti lizzare » il lavoro parlamentare come la penetrazione
nei sindacati social democratici, di « agitare tutti i rami della vita sociale », secondo una clas sica
espressione leniniana.
L'orizzonte del congresso è vastissimo. La sua impostazione offre dav vero la magna charta del
comunismo che si contrappone, nelle prospetti ve ideali e strategiche, sia all'imperialismo che alla
socialdemocrazia. Dei relatori soltanto quello sulla questione agraria, il tedesco Meyer, non è
russo: tutti gli altri, da Radek, pur di origine polacca, che parla dei sinda cati e del controllo
operaio a Zinov'ev che definisce il sistema dei soviet, da Bucharin, che riferisce sul
parlamentarismo, allo stesso Kabakciev - relatore sugli statuti, bulgaro ma membro del Comitato
centrale del PC russo - , appartengono allo stato maggiore bolscevico. Sono essi a dare il maggiore
respiro ai lavori congressuali, fissando sia quella che si può chiamare l'alternativa storica, una
contrapposizione totale alla democra zia politica rappresentativa del sistema borghese, sia quei
lineamenti che diverranno basilari nella condotta del Komintern: la concezione di un « fronte
generale » che non comprenda soltanto i proletari delle fabbri che e della terra ma anche i
contadini « semiproletari » e i popoli colonia li, con una particolare attenzione per la leva
rivoluzionaria rappresenta ta dalle « questioni nazionali » dei paesi oppressi; il principio di
differen -
70 Capitolo quinto
ziazione tra il partito, avanguardia della classe, e il sindacato professio nale, in cui i comunisti
debbono entrare, qualunque sia la sua direzione, per collegarsi alle grandi masse organizzate
(basti rammentare che, nel dopoguerra, la spinta all'organizza zione nei sindacati è generale e lar
ghissima in tutti i paesi industriali, dalla Germania dove i lavoratori as sociati passano da due
milioni e mezzo a otto- nove milioni, all'Inghilter ra - da quattro milioni e mezzo a sei - agli stessi
Stati Uniti d'America - da due a quattro milioni).
Il II congresso è stato considerato, quasi unanimemente, non soltan to il primo vero congresso del
Komintern ma quello che ha la importan za storica maggiore, una sorta di Manifesto generale del
comunismo. Né ancora è data vedere una contraddizione tra il suo impegno universalisti co e le
contingenze della prevalenza russa (di Stato oltreché di movimen to operaio). Piuttosto è facile
riscontrare come le delegazioni « stranie re » non rappresentino nessun partito comunista di
massa: o si tratta di grandi partiti come l'italiano e il francese che comunisti non sono anco ra,
oppure di partiti ristretti come il tedesco, e ancor più l'inglese, o l'a mericano, il cinese, il
norvegese, e altri. Le « ventun condizioni » (prima diciannove, elaborate da Lenin) raccogliendo il
significato politico e teo rico dei lavori congressuali, e dell'egemonia bolscevica, rispecchiano ap
punto questa esigenza: di suscitare la creazione di partiti comunisti del l'Occidente che si ispirino
alle tesi approvate e al modello rappresentato dall'esperienza rivoluzionaria russa, con tutta
quella vocazione didascali ca e quel rigore di principio che ne sono le componenti essenziali: disci
plina, organizzazione ferrea e centralizzata, azione portata tra le masse, i contadini, all'interno dei
sindacati, nell'esercito. Di qui discendono, co me logici corollari, i punti sul carattere organizzativo
e programmatico del partito: ogni sezione aderente alla III Internazionale deve denomi narsi
comunista, allontanare dai posti di responsabilità « centristi e rifor misti ». E quei partiti socialisti
(come l'italiano), che già abbiano data la loro adesione precedentemente, sono tenuti a convocare
entro quattro mesi un'assise straordinaria per pronunciarsi su ciascuno e su tutti i pun ti, e per
espellere quindi quei membri che respingano le tesi nel loro in sieme o anche una di esse.
Conviene citare testualmente alcuni di questi 21 punti, che più saranno oggetto di contesa nel
movimento italiano. L'articolo 7, ad esempio:
I partiti che desiderano appartenere all'Internazionale comunista sono obbli gati a riconoscere la
completa rottura con il riformismo e con la politica del « cen tro » e a propagare questa rottura
nella più ampia cerchia comunista. L'Internazio nale comunista non può tollerare che opportunisti
notori quali Turati, Kautsky, Hilferding, Hillquit, Longuet, MacDonald, Modigliani, ecc., abbiano
diritto di pas-
Gli italiani al II congresso dell'Internazionale comunista 71
sare per membri della Terza Internazionale. Ciò avrebbe solo per conseguenza che la Terza
Internazionale rassomiglierebbe a pennello alla defunta Seconda Inter nazionale '.
O, ancora, il punto 17:
I partiti che vogliono appartenere alla Internazionale comunista debbono cam biare il loro nome.
Qualunque partito voglia appartenere all'Internazionale comu nista deve portare il nome: partito
comunista di... (sezione della III Internaziona le)... È necessario che ad ogni semplice lavoratore sia
chiara la differenza tra i par titi comunisti e gli antichi partiti ufficiali « socialdemocratici » e «
socialisti » che hanno tradita la bandiera della classe operaia.
Infine, l'articolo 21 che ribadisce:
Quei membri del partito che respingeranno le condizioni e le tesi formulate dal l'Internazionale
comunista debbono essere esclusi dal partito.
Si fa anche, a Pietroburgo e a Mosca, un preventivo della rivoluzione in Europa: quale il paese che
vi è più vicino? Da più parti si risponde: è l'Italia. È vero che resta la Germania la speranza e la
cura maggiore del l'Internazionale comunista: quella Germania dove la crisi rivoluzionaria appare
la più ampia ma dove le tappe intermedie da percorrere sono for se ancora molte. In marzo si è
avuto un putsch militarista2 e uno sciope ro generale operaio è riuscito a bloccarlo (il KPD si è
rivelato assai timi do e incerto nella circostanza). In giugno, le elezioni politiche hanno ri velato
una caduta dei socialdemocratici maggioritari di Scheidemann (da undici a sei milioni) e un grande
successo degli indipendenti (balzati, ri spetto al 1919, da due milioni e trecentomila a più di
cinque milioni di voti). I comunisti tedeschi hanno ottenuto soltanto 389 445 suffragi e il grande
disegno dell'Internazionale è ora quello di unire questi ultimi al le forze rivoluzionarie presenti nel
partito degli indipendenti. Ma in Ita lia la situazione è giudicata più matura, sia per la forza e
l'unità politica del proletariato italiano sia per una crisi dello Stato assai più avanzata (è caduto il
governo Nitti, la sommossa di Ancona ha rivelato anche nell'e sercito fermenti sovversivi). Basti,
per tutte, questa affermazione di Zi nov'ev, presidente dell'Internazionale comunista:
Durante il secondo Congresso era convinzione generale che tra tutti i Paesi l'Italia fosse la più
vicina alla rivoluzione proletaria: lo stesso Serrati ne dovette con venire 3. ##
1 Cfr. lenin, Sul movimento operaio italiano cit.. Appendice, pp. 287- 89.
2 Cfr. erich eyck, Storia della Repubblica di Weimar, Torino 1966, pp. 1^6- 65.
3 Dalla relazione sull'azione dell'Esecutivo svolta al III congresso, in La questione italiana ecc. c«.,
p. 12.
72 Capitolo quinto
La constatazione è davvero generale. I bolscevichi se la sentono fare, prima del congresso, sia dai
rappresentanti dell'Internazionale di vari paesi, sia da invitati non socialisti. Significativa, ad
esempio, la memoria di Armando Borghi, l'anarchico italiano segretario dell'USI, giunto in quei
giorni a Pietroburgo, su un colloquio con Zinov'ev:
Piuttosto basso, taurino, paffuto, chiomato, sulla quarantina, voce dolce con to no quasi
femminile, Zinov'ev era nel pieno della sua potenza, presidente della Ter za Internazionale e
massima autorità di Pietrogrado. Mi sembrò simpatico. Mi rice vette nel suo ufficio, e mi domandò
della situazione italiana che gli illustrai come io la vedevo: la necessità cioè di creare il corto
circuito rivoluzionario prestissimo per non arrivare troppo tardi '.
I socialisti italiani, Serrati per primo, ma anche D'Aragona, soltanto più tardi riveleranno nei fatti
con quante riserve mentali a Mosca abbia no accettato tale previsione. Se si può parlare di una
commedia degli equivoci è proprio perché, al congresso, nessuno contesta una prospetti va simile.
Anzi, anche sul punto più controverso, della espulsione dei ri formisti, sollecitata istantemente dai
bolscevichi2, è il vicesegretario del PSI, Bombacci, ad assicurare loro che un'eventuale scissione
porterà co munque al futuro partito comunista l'8o% dei voti e delle forze del vec chio partito.
Serrati tenta a sua volta di minimizzare il problema dicendo che il gruppo di Turati non ha dietro
di sé le masse operaie né i militanti.
Gli italiani costituiscono una delegazione non solo eterogenea ma battagliera. Gli atti congressuali
mostrano che su molti punti le loro ri serve sono di sinistra: Serrati arriverà ad astenersi nel voto
sulle que stioni agraria, nazionale- coloniale, sindacale, considerando troppo lar ghe le concessioni
dell'Internazionale agli strati non proletari; così, in parte, Bombacci e Bordiga. Ed è curioso che
l'unità dei rappresentanti del PSI si ricomponga nella reazione unanime, negativa, alla lettura del
diciassettesimo punto delle « tesi sui compiti fondamentali », approntate da Lenin, che afferma:
Per quanto riguarda il PSI, il II Congresso ritiene sostanzialmente giuste la cri tica al partito e le
proposte pratiche, pubblicate come proposte al Consiglio nazio nale del PSI, a nome della sezione
torinese del partito stesso, nella rivista « L'Ordi-
##
1 armando borghi, '/2 secolo di anarchia, Napoli 19^4, pp. 233- 34.
2 Basti, per tutte, questa affermazione di Lenin, nelle Tesi più volte citate: «L'Internazionale
Comunista non può tollerare che dei riformisti come Turati, Modigliani e altri abbiano diritto di
considerarsi membri della III Internazionale».
3 G. M. Serrati, nel suo intervento alla settima seduta del congresso (30 luglio 1920), dice pre
cisamente che la «Critica sociale» ha una tiratura di sole 953 copie, che essa non esercita più la mi
nima influenza e «al pari di Turati, non ha più alcuna funzione nel partito». Cfr. lenin, Sul movi
mento operaio italiano cit., Appendice, pp. 281- 82.
Gli italiani al II congresso dell'Internazionale comunista 73
ne Nuovo » dell'8 maggio 1920, le quali corrispondono pienamente a tutti i princi pii fondamentali
della III Internazionale '.
In quel documento, Gramsci aveva, in sostanza, posto la questione essenziale: che la direzione del
PSI, assente dal movimento internaziona le rimaneva, pur con tutto il suo massimalismo,
prigioniera dei riformi sti che bloccavano la spinta delle masse: si doveva quindi eliminare dal
partito i « non comunisti », e in primo luogo — che questo era il tratto di stintivo della sua
preoccupazione - coordinare e concentrare le forze operaie e contadine, « studiare, compilare e
diffondere un programma di governo rivoluzionario »2 nel quale si prospettassero le soluzioni
reali a tutti i problemi assillanti la popolazione lavoratrice italiana.
A contrastare l'appoggio inatteso giunto da Lenin si muovono dap prima Serrati e Graziadei,
rammentando che valorizzate la sezione tori nese ribelle equivale a sanzionare oltre alle sue
accuse il suo atteggia mento contrario alla disciplina; Bombacci ritiene pericoloso valorizzare le
tendenze sindacaleggianti dell'«Ordine nuovo»; Bordiga, a propria volta, richiama un appunto di
segno contrario, essere stati gli ordinovisti fino a poco tempo prima fautori dell'unità del partito,
confusi a Bologna nella maggioranza massimalistica unitaria; il giovane Polano, infine, so stiene
che
essendo la Commissione esecutiva della Sezione torinese formata in gran parte di astensionisti si
veniva ad approvare l'opera di quella frazione, sconfessata sulla que stione parlamentare3.
Di fronte a tale fuoco di fila di recriminazioni Lenin non ritira il pro prio enunciato ma concede di
limitare nelle Tesi il suo consenso al docu mento senza entrare nel merito di tutto l'indirizzo del
gruppo ordinovi sta (che pure in un discorso continuerà ad esaltare).
Ma la disputa con i delegati italiani ha un vero contraddittore in Ser rati sul punctum dolens che
provocherà la scissione di Livorno: l'espul sione dei riformisti. Il direttore dell'« Avanti! » tiene
un'appassionata difesa dell'unità del partito, afferma che i riformisti italiani sono diffe renti da
quelli di altri paesi (e che l'hanno dimostrato durante la guerra), attacca a fondo i socialisti
francesi, quei neofiti del bolscevismo come Ca chin che nel 1914- 15 « hanno viaggiato tutta
l'Europa per corrompere la classe operaia nel corso della guerra »4. ##
1 lenin, Sul movimento operaio italiano cit., p. 194. Per un rinnovamento del Partito socialista cit.
Cfr. il volume L'Ordine Nuovo: 1919- 1920,
P- 122.
3 Dal resoconto del congresso che da «Il Soviet», a. Hi, n. 24, 3 ottobre 1920. Cfr. il suo intervento
alla settima seduta in lenin, Sul movimento operaio italiano cit., p. 282.
74 Capitolo quinto
Serrati rivendica il diritto del PSI di mantenere il suo nome glorioso, accetta una epurazione, ma
un'epurazione il cui momento e i cui termini possano venire discussi liberamente dal partito ( «
Turati ha sempre man tenuto le promesse e ha rispettato la disciplina del partito... deve uscire, ma
non per la via dell'espulsione... ») Il suo discorso è abile, oltre che appassionato, cerca alleati in
nome dell'autonomia di ogni partito (e li troverà, presso molti comunisti tedeschi), pone persino
un dilemma di cui qualche mese dopo si vedrà che egli voleva sottolineare il secondo corno.
D'un lato:
Non è questione di parlare ogni momento di Turati e di Modigliani ma di orga nizzare la
rivoluzione. In Italia la situazione rivoluzionaria è più favorevole che ne gli altri paesi.
E, dall'altro:
Io vi chiedo, compagni: sé per esempio oggi noi tornassimo in Italia e la rea zione infuriasse contro
di noi, se trovassimo l'imperialismo schierato contro di noi, potreste voi, compagni del Comitato
Esecutivo consigliarci di attuare una scissione in una situazione di questo genere?
Nell'arringa defensionale di Serrati - lo si vedrà ancora al tempo del le querelles postcongressuali
— c'è il dissenso radicale sul concetto stesso di rivoluzione ma si riflette anche il disagio per
un'imposizione, che così formulata, gli appare esterna, a freddo, per la tendenza che egli ritiene
così forte nei bolscevichi a ricavare, sulla scorta della propria esperienza, analogie meccaniche con
quanto succede altrove. Senonché, a quello che emerge delle posizioni serratiane, è facile da quella
parte replicare punto per punto. Ed è ancora Lenin che prende la parola per ribattere:
Noi non vogliamo dire che si sia assolutamente obbligati a espellere Turati a data fissa. Questo
problema è già stato sfiorato dal Comitato esecutivo e Serrati ci ha detto: «Nessuna espulsione, ma
epurazione del partito». Noi dobbiamo dire semplicemente ai compagni italiani che all'indirizzo
dell'Internazionale comunista corrisponde l'indirizzo dei militanti dell'* Ordine Nuovo » e non
l'indirizzo della maggioranza attuale dei dirigenti del partito socialista e del loro gruppo parlamen
tare. Si afferma che essi vogliono difendere il proletariato contro la reazione. Cer nov, i
menscevichi e molti altri in Russia difendono anche loro il proletariato con tro la reazione, ma
questo non è ancora una ragione per accoglierli tra noi. Perciò dobbiamo dire ai compagni italiani
e a tutti i partiti che hanno un'ala destra: la ten denza riformista non ha niente in comune con il
comunismo. Vi preghiamo, compa gni italiani, di convocare il vostro congresso e di leggervi le
nostre tesi. Sono certo che gli operai italiani vorranno restare nell'Internazionale comunista. ##
1 Dal Discorso sulle condizioni di ammissione all'Internazionale Comunista, 30 luglio 1920, in
lenin, Sul movimento operaio italiano cit., p. 196.
Gli italiani al II congresso dell'Internazionale comunista 75
Serrati l'interrompe: «Voi mi confondete sempre con Turati: si trat ta forse di cosa intenzionale? »
E Lenin risponde: «Nessuno confonde Serrati con Turati se non Serrati stesso, quando lo difende »
'.
Bordiga invece, se teme qualcosa, è che la scissione non sia abbastan za netta, non amputi tutto
ciò che si deve amputare al centro e a destra. È lui che insiste sulla creazione di un partito basato
su « una disciplina di tipo militare », che riesce a far approvare in commissione la richiesta di un
congresso straordinario per espellere i dissenzienti, che chiede, in se duta plenaria, di non
concedere ulteriori dilazioni e temporeggiamenti al PSI. Nella commissione sulla questione del
parlamentarismo (presidente Trockij, relatore Bucharin) Bordiga presenta una controrelazione
espo nendovi le sue note tesi astensionistiche, insistendo sul momento rivolu zionario « che
richiede di dedicare tutte le energie del movimento alla conquista rivoluzionaria del potere, e di
abbandonare ogni contatto con l'ingranaggio della democrazia borghese »2. Lenin replica con gli
argo menti già impiegati nell'Estremismo: bisogna saper lavorare nei due campi: « Voi non volete
ammettere che è la debolezza che costringe mol ti dei nuovi partiti comunisti a respingere il
lavoro parlamentare ».
Ciò che, in questo caso, è più interessante è che Bordiga è pronto a rilevare quanto già le tesi della
maggioranza, sul tema, concedano alla ri gidità della sua impostazione. In effetti il quadro che
Bucharin delinea è puramente un quadro di sabotaggio del lavoro parlamentare:
Ogni deputato comunista al parlamento - egli afferma - deve essere penetrato dell'idea che egli
non è per nulla un legislatore, che cerca un compromesso con altri legislatori, ma un agitatore del
partito inviato nel campo nemico per applicarvi la decisione del partito4.
Sicché ha buon gioco l'astensionista italiano (spalleggiato dai rappre sentanti americani degli IWW,
dal comunista inglese Gallacher, dallo svizzero Herzog, dal sindacalista tedesco Suchi, da belgi e
danesi) a rim proverare al relatore che le sue indicazioni sono un po' astratte, che « non si può
definire esattamente quale potrà essere il lavoro di distru zione che i deputati comunisti potranno
effettuare in Parlamento. Que sto è puro utopismo ».
Bordiga viene battuto con 80 voti contrari e 11 favorevoli e non insi sterà più su questo tasto. Le
riserve della delegazione italiana non impe- ##
1 Protokoll des II. Weltkotigressen der Kommunìstischen Internationale, Hamburg 1921, pa gina
3j3.
2 Dal resoconto del «Soviet» cit.
3 Dal Discorso sul parlamentarismo, Socinenija, voi. XXV, p. 364.
4 Cfr. Protokoll des II. Weltkongressen ecc. cit., p. 434.
5 «Rassegna comunista», a. 1, n. 8, ij agosto 1921. Cfr. p. 371.
76 Capitolo quinto
discono l'elezione di Serrati a membro del Comitato esecutivo dell'Inter nazionale comunista '. E
una parte della delegazione, mentre Colombino e D'Aragona tornano in Italia, si reca in viaggio in
Ucraina. Al loro rien tro a Mosca, Bordiga, Bombacci e Serrati ricevono da Zinov'ev e Bucha rin un
testo, firmato anche da Lenin, sotto forma di lettera aperta ai so cialisti italiani, che contiene il
succo delle risultanze del Congresso, ed è rivolto a vincere le esitazioni della direzione del PSI.
Quella missiva è una bomba, che, infatti, i destinatari tarderanno assai ad innescare, an che se a
Mosca i rappresentanti del PSI si sono impegnati a rendere pub blico il documento al loro rientro
in patria (che avviene intorno al 20 di settembre), e hanno approvato le ventun condizioni.
L'Internazionale comunista vuol parare l'obiezione che un'insurre zione operaia in Italia sarebbe
soffocata dall'esterno: « L'Intesa non po trà oggi inviare i propri eserciti ». Ma non bisogna perdere
altro tempo. Se si attende ancora, la borghesia italiana, rafforzatasi, « ci mostrerà i denti». Ci si
liberi, intanto «dei signori Turati, Modigliani, Prampoli ni », obiettivamente nemici della
rivoluzione. In sostanza,
L'Italia presenta oggi tutte le condizioni essenziali garantenti la vittoria di una grande rivoluzione
proletaria, di una rivoluzione veramente popolare... La battaglia veramente decisiva si avvicina... Il
proletariato italiano sarà il miglior distaccamen to dell'esercito proletario internazionale2.
Bisogna dire che neppure questa « lettera aperta » è passata senza una vivace discussione tra
Serrati, da una parte, e Bucharin e Zinov'ev, dal l'altra. Uno scarno, prezioso, verbale in lingua
russa ci da un'immagine vivissima del contrasto e riassume i termini delle questioni aperte. (An
che le posizioni di Bordiga, presente alla discussione, emergono bene, pur nella stringata stesura
del verbale). Risulta, dunque, che gli italiani prendano una prima visione della lettera il io agosto. E
che Serrati dica nel modo più esplicito quanto in congresso aveva posto soltanto come ipotesi: «
Quando ritorneremo in Italia vi sarà la reazione e i nostri ri formisti difenderanno il popolo contro
la reazione ». Cioè, il motivo uni tario è ora affacciato come strumento primo di difesa.
Quanto a Bordiga, qui ritorna la sua avversione ai Consigli di fabbri ca. Egli ritiene rischioso
parlare di inserimento dei Consigli nell'Interna zionale e Bucharin ribatte: « Voi dite che è difficile
convocare un con- ##
1 Vengono eletti con lui i russi Zinov'ev, Tomskij, Radek e Bucharin, Kobetzcky, il francese
Rosmer, l'austriaco Steinhardt, il cecoslovacco Gula, il tedesco Meyer, l'inglese Quelch, lo iugo
slavo Milkic, lo scandinavo Fries.
2 Il testo della lettera aperta, insieme con numerosi altri documenti, che rammenteremo via via, è
pubblicato in Lettere e polemiche fra l'Internazionale Comunista, il PSI e la Confederazione Gene
rale del Lavoro, ed. «Avanti!», Milano 1921, pp. 5- 12.
Gli italiani al II congresso dell'Internazionale comunista 77
gresso dei Consigli, che in periodo rivoluzionario non si possono creare Consigli. Non è vero! È una
cosa necessaria ».
Sembra di udire Gramsci. Persino sul punto della funzione degli anarchici - in gran sospetto da
parte di Bordiga non meno che di Serra ti - i bolscevichi hanno opinioni molto diverse. Dice
Zinov'ev:
Malatesta, in tempo di rivoluzione, è meglio di D'Aragona. Fanno delle scioc chezze. Eppure sono
elementi rivoluzionari. Noi abbiamo combattuto insieme con i sindacalisti e gli anarchici contro
Kerenskij e i menscevichi. Abbiamo mobilitato migliaia di lavoratori in questo modo. In tempo di
rivoluzione occorrono rivoluzio nari. Bisogna avvicinarsi ad essi e formare con loro un blocco in
tempo di rivolu zione. Quali masse ha Turati dietro di sé? Nessuna, tranne le masse degli impiegati
nei sindacati e nel partito. Che se ne vadano. Noi abbiamo sconfitto l'anarchismo sconfiggendo il
menscevismo '.
E l'appello viene approvato qualche settimana dopo facendo alcune modificazioni suggerite da
Serrati. (Non sappiamo quali). Il documento è firmato da due giorni - il 27 agosto - che in Italia
precipita una situa zione tutt'affatto nuova. Una serrata padronale in uno stabilimento di Milano
provoca l'occupazione di 300 officine metallurgiche da parte de gli operai di quella città. Tra il 1°
settembre e il 4, mezzo milione di lavo ratori del metallo in tutta la penisola procedono
all'occupazione ordinata dalla FIOM. È l'inizio di quella « battaglia decisiva » il cui esito sarà
esattamente l'opposto di quello auspicato a Mosca. Quando l'appello giunge sul tavolo della
direzione del PSI, i termini del dibattito sono dunque nuovamente mutati.
Il dramma del socialismo italiano nel primo dopoguerra vive il suo secondo atto, quello essenziale,
nel mese di settembre del 1920. ##
1 Copia del verbale, senza altre indicazioni salvo quelle degli intervenuti al dibattito e della data,
10- 8, in APC, 1920, 1- 2.
Capitolo sesto
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno
L'occupazione delle fabbriche metallurgiche è all'origine della scissione di Livorno non meno dei
ventun punti dell'Internazionale comuni sta: accelera e radicalizza il processo già apertosi a
Mosca, in una situa zione che denota il riflusso dell'« ondata rossa » e segna l'inizio di una lunga
fase di arretramento e di ritirata del movimento operaio italiano, anzi di sconfitta. Sono gli
imprenditori, o almeno una parte essenziale dell'imprenditorato, a volere la prova di forza del
settembre 1920. I dirigenti sindacali della FIOM, accettandola, concepiscono l'occupazione come
un mezzo meno costoso di uno sciopero generale (e più idoneo a provocare l'intervento del
governo) per ottenere quel successo (in materia di aumenti salariali adeguati al rincaro del costo
della vita, e di regolamento contrattuale) invano cercato in tre mesi di estenuanti trattati ve.
L'occupazione suscita nei primi giorni grande entusiasmo tra i cinquecentomila lavoratori che vi
partecipano in tutta Italia (più di due terzi dei quali nelle grandi città industriali del Nord): essi si
asserragliano nelle officine, con un armamento più o meno rudimentale, mentre il governo Giolitti
adotta una tattica assai abile di neutralità senza perdere il controllo della situazione1.
A mano a mano che passano i giorni, si impone una scelta, uno sbocco politico al movimento, che
appare fortissimo ma isolato. La Confederazione del lavoro, in stretto collegamento con Giolitti e i
suoi prefetti, si adopera attivamente per scongiurare uno sviluppo rivoluzionario (decisiva sarà la
riluttanza della Federterra - assai potente - a chiamare in causa le masse bracciantili della
valPadana) e con D'Aragona, Baldesi, Mazzoni, si schierano i più influenti dirigenti politici
riformisti, Turati, Treves e Modigliani. Gli industriali si mostrano decisi a non scendere ad alcun
compromesso e lamentano l'arrendevolezza del governo alla sovversione. La direzione del PSI
proclama il 6 settembre, in un manifesto, che i contadini e i soldati debbono tenersi pronti ad
accorrere a fianco de gli operai, che «il giorno della libertà e della giustizia è vicino». Gli ##
1 Cfr., su tutta la vicenda, paolo spriano, L'occupazione delle fabbriche, Torino 1964.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 79
anarchici parlano di una occupazione simultanea di industrie, miniere, campi e case. È giunta l'ora
tanto attesa della rivoluzione? Lo sperano, o lo paventano, in molti.
Invece è a questo punto che vengono al pettine i nodi dell'insufficienza e dell'ambiguità del
socialismo del «biennio rosso». La prepara zione rivoluzionaria non esiste. Militarmente non c'è
neppure un embrione di organizzazione centrale. Gli operai, e forse soltanto a Torino e a Genova,
sono in grado di difendere con le armi improvvisate o raccolte le officine presidiate, non di
muovere all'offensiva. Nessuna parola d'or dine intermedia è lanciata, nessuna tappa di avanzata è
prevista. Il tema del controllo della produzione, attraverso i Consigli operai, non è raccolto se non
dagli ordinovisti. Che, viceversa, su scala nazionale, l'obiettivo del controllo, concepito come
controllo sindacale- corporativo, viene assunto dai riformisti, d'accordo con Giolitti, come la via
d'uscita dall'agitazione come il terreno di compromesso, in uno con l'accoglimento parziale delle
rivendicazioni salariali. La piattaforma di un controllo dal l'alto, senza che esso assuma il carattere
di un « potere » in mano agli operai, è l'unica alternativa politica sul tappeto.
Si arriva dunque, al 9- 10 settembre, alla stretta decisiva, quando so no convocati a Milano
qualcosa come gli « Stati generali » del proletariato organizzato: il Consiglio generale della
Confederazione con la direzione del partito (ma il Consiglio nazionale del PSI è assente).
Nell'assemblea prevalgono numericamente i funzionari sindacali. È qui che la dire zione del partito
compie quella che Angelo Tasca definirà felicemente una « fuga in avanti » '. Essa propone che
l'occupazione diventi invasione, sia estesa a tutti gli stabilimenti industriali e alle campagne, che si
va da alla resa dei conti. Ma la rivoluzione è messa ai voti e viene posta in minoranza in
quell'assemblea. Secondo il famoso patto scritto, il partito potrebbe avocare a sé la continuazione
della lotta. D'Aragona e i dirigenti massimi della Confederazione offrono le dimissioni, si tirano da
parte. Ma il partito fa il « gran rifiuto » : non vuole assumersi la responsabilità che i sindacati
hanno rovesciato sulle sue spalle. Si acconcia al risultato della votazione milanese e Giolitti, sulla
base di un accordo salariale e di un disegno di legge sul controllo della produzione (che resterà
lettera morta) liquida politicamente il movimento, che si trascina ancora con alcuni sussulti di
resistenza nelle officine fino al 20- 25 di settembre.
Lo slancio rivoluzionario era infranto, - ha scritto Pietro Nenni. - I rivoluzionari della direzione
del partito, i dottrinari della dittatura del proletariato e del bolscevismo avevano ceduto davanti ai
riformisti della Confederazione del Lavoro 2. ##
1 Cfr. angelo tasca, Nascita e avvento del fascismo, Firenze 1951, pp. 117- 22.
2 Pietro nenni, Il diciannovismo cit., p. 112.
80 Capitolo sesto
Ciò è vero anche per quei gruppi come l'ordinovista che sono stati a Torino coerenti con le loro
premesse, hanno dato al movimento un'orga nizzazione « consigliare » robusta, che ha curato la
produzione delle fab briche occupate e, in una certa misura, l'armamento degli operai, ma si sono
trovati prigionieri del contesto generale di impotenza e di esitazio ne. Qui, del resto, essi scontano
ancora di più il fatto di non avere creato per tempo un centro sindacale nazionale da contrapporre
alla struttura e all'orientamento della Confederazione del lavoro. Se c'è D'Aragona, da una parte,
nessun capo proletario che abbia sufficiente prestigio sulle masse e che possa contare su una
forza operaia autonoma è sorto dalla parte rivoluzionaria. Terracini lo dirà apertamente un anno
dopo:
Quando i compagni che dirigevano la CGL dettero le dimissioni la direzione del partito non aveva
né con chi sostituirli né la possibilità di sostituirli. Erano D'Ara gona, Dugoni, e Buozzi che
avevano nelle loro mani la direzione della CGL: erano essi i rappresentanti della massa in tutte le
occasioni '.
Togliatti e Tasca, andati a Milano in quelle giornate cruciali, per pe rorare l'estensione della lotta,
hanno, a loro volta, risposto negativamen te alla domanda posta dai capi della CGL, se i torinesi
intendano essi co minciare con una sortita offensiva. Temono la provocazione, visti i pre cedenti
dell'aprile; fuori delle officine l'armamento operaio diventa irri sorio.
In un certo senso, l'occupazione delle fabbriche è proprio la dimo strazione del fatto che il
movimento operaio italiano non ha una sua stra tegia rivoluzionaria, che non vi è nessun rapporto
reale tra una progetta zione come quella dei Soviet e quanto si fa nella pratica. Fermi all'idea del
tutto o niente, e in fondo propensi ancora una volta a una dilazione, i dirigenti non si avvedono
che si sta ormai rapidamente consumando un patrimonio di fiducia, di attesa, di sperimentazione
costruttiva di istituti nuovi nella classe operaia. I Consigli di fabbrica, ad esempio, sorgono in
molte città ma non è loro indicato alcun obiettivo concreto di lotta. Ma c'è anche tutto quel fondo
localistico, quello squilibrio corporativo che Gramsci rilevava dopo lo sciopero d'aprile (di cui il
settembre è la con troprova), che concernono non solo le dirigenze ma le stesse masse, tra le quali
l'occupazione è stata vissuta in modo molto diseguale. Una rivo luzionaria sensibile come Klara
Zetkin lo noterà senza mezzi termini:
Io vedo altro ancora, compagni, cioè che le masse che allora si erano sollevate in Italia non
avevano fatto maggiori progressi dei loro capi, altrimenti, se le masse fos sero state davvero
animate da volontà rivoluzionaria, se fossero state coscienti, esse ##
1 Cfr. La questione italiana ecc. cit., pp. 57- ^8.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 81
avrebbero quel giorno ' fischiata la decisione dei loro capi- partito e sindacali esi tanti e si
sarebbero impegnate nella lotta politica 2.
Non c'è dubbio che una certa faciloneria massimalistica, una certa « psicologia parassitarla », oltre
alla stanchezza di due anni di « ginnasti ca rivoluzionaria », si siano ormai impadronite anche di
gruppi operai e sulla loro remissività giocheranno i capi sindacali riformisti nel ricattare il partito.
Del resto, tale sensazione è anche quella di un uomo come Gramsci che conosce da vicino la
psicologia operaia e ne tiene sempre grande conto.
Quanto pessimismo sia in Gramsci nell'occasione, è stato rivelato da due sue lettere inviate nel
1924 a Zino Zini, e pubblicate nel 1964, in cui egli scriveva che « noi nel 1920 non avremmo tenuto
il potere se lo aves simo conquistato», che «con un Partito com'era il socialista, con una classe
operaia che in generale vedeva tutto roseo e amava le canzoni e le fanfare più dei sacrifici
avremmo avuto dei tentativi controrivoluzionari che ci avrebbero spazzato via inesorabilmente »,
e precisava ancora che «nel 1920 er[a] molto pessimista», «specialmente durante la occupa zione
delle fabbriche »
Neppure Bordiga (assente dall'Italia fino al 20 settembre) affermerà mai che l'occupazione delle
fabbriche sia stata la classica occasione man cata. Ciò non impedisce che l'elemento di fondo della
scissione (la con vinzione che « con un Partito com'era il socialista », con il « sabotaggio »
esercitato dalla CGL bisogni rompere definitivamente) prenda, proprio dall'ottobre del 1920, il suo
sviluppo maggiore: divenga cioè, da punto di principio manifestato da gruppi e correnti ristrette,
l'acquisizione del l'esperienza di quella che diventerà la base effettiva del PCd'I, i nuclei di
militanti più combattivi e rivoluzionari, a Torino come a Milano, a Genova come a Firenze, a
Trieste come a Bologna, a Livorno come a Na poli4.
L'acquisizione è tanto più forte quanto più esacerbata è la delusione per la condotta e per il
risultato dell'occupazione, che presto si rivela ne gativo. È allora che i comunisti cominciano a
contarsi, su scala nazionale, ##
1 Il famoso momento del convegno del 10 settembre.
2 La questione italiana ecc. cit., p. 40.
3 Le due lettere, l'una datata io gennaio 1924, e l'altra 2 aprile 1924, sono state pubblicate in
«Rinascita», a. xxi, n. 17, 25 aprile 1964.
4 Dell'episodio più rilevante sono protagonisti alcuni operai della frazione astensionista a To nno
che, riunitisi il 20 settembre, denunciano aspramente i dirigenti sindacali e politici del PSI, e
«deliberano di separare le loro responsabilità da questi elementi, separandosi dal Partito Socialista
ufficiale e costituendosi in Partito Comunista rivolu2ionario». Sono gli stessi dirigenti nazionali
del la frazione oltre ai socialisti ordinovisti torinesi a frenare le impazienze del gruppo (cfr.
Giovanni parodi, L'occupazione delle fabbriche: la Fiat Centro in mano agli operai, «Lo Stato
operaio», a. iv, n. io, ottobre 1930, p. 6}2, nonché «Il Soviet» del 3 ottobre 1920 e l'«Avanti!», ed.
piemontese, 22 settembre 1920).
82 Capitolo sesto
a raggrupparsi, a prospettare un partito nuovo, come partito che sia dav vero « capace di
organizzare lo Stato operaio » ', che non abdichi alla sua funzione nel momento decisivo, che
abbia i suoi quadri alla testa delle masse.
Per migliaia di operai (in particolare i più giovani, raccolti nella Fe derazione giovanile socialista2 e
largamente conquistati alla corrente bordighiana) diventa ormai evidente ciò che al congresso di
Mosca non era ancora abbastanza chiaro. Si tirano le somme di un'esperienza che il leninismo
sottolinea da anni: la rivoluzione richiede un certo tipo di or ganizzazione politica del proletariato,
un certo tipo di fedeltà a un cen tro internazionale, di disciplina. Il PSI ha dimostrato di essere
sostan zialmente rinchiuso nei limiti storici della II Internazionale, di non aver accettato se non
formalmente i principi della III Internazionale. È quan to « L'Ordine nuovo » e « Il Soviet » vanno
dicendo da mesi: su ciò si basa la confluenza, sempre più stretta, tra Bordiga e Gramsci.
L'uno e l'altro, ad esempio (anche se il futuro mostrerà come l'inten dano con spirito diverso) in
questo momento insistono in modo partico lare sull'elemento disciplina: disciplina a un centro
unico della rivolu zione mondiale. Mostrarsi disciplinati alla III Internazionale significa per i
comunisti (come avrebbe significato per altri vent'anni, a prezzo di sacrifici e di rinunce spesso
drammatici) affermare nei fatti che si è chiu sa la pagina di un movimento operaio internazionale
a cui l'autonomia delle sue varie sezioni nazionali è servita di pretesto per la prevalenza
dell'opportunismo, per procrastinare le occasioni rivoluzionarie, per rin chiudersi in un ambito
provinciale dove si riproducano tra sindacato e partito le stesse antinomie.
Lo dirà con la massima concisione al congresso di Livorno un eco nomista del socialismo italiano
(revisionista della teoria del valore di Marx), come Antonio Graziadei: la III Internazionale sarà
magari una cosa imperfetta, avrà fatto e farà errori « che noi non possiamo vedere oggi ma che
vedranno i nostri lontani nipoti»; i russi vi hanno forse un'influenza eccessiva: senonché, è la
storia che ha imposto questa nuo va realtà, e il metodo prevalso è l'unico che fino ad ora « ha dato
dei ri sultati al proletariato mondiale e alla rivoluzione ». E aggiungerà, Gra ziadei:
Quando un Partito per due anni scherza, in una situazione rivoluzionaria, con la parola
rivoluzione, quel Partito si dimostra impotente ai compiti della rivoluzio-
' [Antonio gramsci], Il Partito Comunista, «L'Ordine nuovo», a. n, n. 17, 7 ottobre 1920.
2 Giuseppe berti (Sul programma dei giovani comunisti, «Il Soviet», a. in, n. 21, 22 agosto 1920)
afferma che la FGSI deve staccarsi dal PSI perché si possa efficacemente premere «sugli adul ti »
affinchè questi eliminino i « non comunisti ». A Torino in settembre i giovani astensionisti si co
stituiscono in sezione della frazione bordighiana.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 83
ne... Se conservare l'attuale situazione ci porta fuori della Terza Internazionale, io domando ai
compagni presenti: ma fra due dolori, fra due strazi, perché dobbiamo noi preferire il primo?
L'unità nazionale all'unità internazionale? '.
La reazione del Komintern agli avvenimenti italiani di settembre (tar diva, poiché le notizie che
giungono a Mosca sono molto amplificate e il collegamento con l'Italia del tutto mancante2)
riflette nel suo fondo le critiche dei comunisti italiani, semmai le puntualizza. Il parere espresso
dai dirigenti bolscevichi, da Lenin a Radek a Zinov'ev, è unanime: la ri voluzionefè già in atto,
l'occupazione delle fabbriche è stato il suo primo momento3, i contadini poveri sono a fianco degli
operai; bisogna andare avanti!
Quando si vengono a conoscere più precisamente gli avvenimenti, la condotta della CGL, l'inerzia
del partito, Lenin aggiunge che nessun marxista italiano si è rivelato tale durante il settembre del
1920. E le ac cuse bolsceviche hanno tre caposaldi : 1 ) una sottolineatura marcata dell'occasione
rivoluzionaria » rappresentata dall'occupazione; 2) una cri tica più dettagliata agli « obiettivi
transitori » che il PSI non ha saputo nonché raggiungere neppure indicare; 3) la convinzione che la
situazio ne resti aperta a successivi sviluppi rivoluzionari. È in base a tutti e tre questi motivi4 che
viene impostato da Mosca, con carattere di estrema urgenza, il problema di liberarsi dei
controrivoluzionari annidatisi nel PSI. Si dice agli italiani: volete rischiare per il futuro di essere di
nuovo ##
1 XVII Congresso nazionale del PSI cit., pp. 33- 68.
2 Soltanto il 21 settembre si riunisce l'Esecutivo del Komintern per discutere gli avvenimenti
italiani. Viene dato mandato a Zinov'ev di stendere un appello al proletariato italiano: in esso si
esorta alla costituzione di Consigli di operai, contadini, soldati e marinai e alla presa del potere.
Cfr. «L'Internazionale comunista», a. 1, n. 14, novembre 1920, pp. 29^- 22, per il verbale della
seduta; e l'edizione tedesca «Das Kommunistische Internationale», a. 11, n. 14, 1921, pp. 230- 31,
per la ripro duzione integrale del testo dell'appello di Zinov'ev. Ma, il 21 settembre 1920, il
movimento in Italia è già esaurito e l'«Avanti!» non pubblicherà la esortazione del Komintern ai
proletari italiani.
3 In una lettera indirizzata alla classe operaia italiana (e pubblicata dall'«Avanti!» il 12 dicem bre
1920) dal Comitato esecutivo dell'Internazionale comunista si legge: «L'occupazione delle fab
briche era un eccellente inizio da cui poteva nascere un vero movimento rivoluzionario di masse».
4 Si veda, in particolare, il giudizio che Lenin esprime («Quando si è giunti a una vera e pro pria
rivoluzione i Crispien e i Dittmann italiani, Turati, Prampolini e D'Aragona si sono messi subito ad
ostacolare la rivoluzione in Italia » ) nella Lettera agli operai tedeschi e francesi, in data 24 settem
bre 1920, riprodotta in Sul movimento operaio italiano cit., p. 201. Karl Radek così descriverà nel
1921 il movimento: «Come gli operai metallurgici, gli operai tessili e quelli dell'industria chimica
occupano le fabbriche e mettono alle porte i padroni di ieri, così come le masse dei proletari senza
tetto si mettono in movimento, occupano le ville e i palazzi dei ricchi per ricoverarvi le loro donne
e i loro bambini. Ed il movimento si estende anche alle campagne e cominciando dalla Sicilia e pro
cedendo verso l'Italia meridionale e centrale i contadini marciano preceduti dalla bandiera rossa,
occupano le grandi proprietà fondiarie e formano la guardia rossa» (da La via dell'Internazionale
Co munista, relazione sulla tattica al III congresso dell'Internazionale comunista, Roma 1921, p.
26). A sua volta G. Zinov'ev, in una lettera inviata a Serrati da Berlino, in data 22 ottobre 1920
(pubbli cata sull'«Avanti!» del 4 novembre), afferma: «Il problema non poteva essere risolto con la
sola occupazione delle fabbriche, che deve essere accompagnata dalla presa del potere da parte
della classe operaia. Gli operai italiani erano vicini al raggiungimento di questo fine: ma perché
esistono al mon do i capi riformisti dei Sindacati se non per vibrare, ne] momento decisivo, una
pugnalata nella schie na del proletariato che lotta? »
84 Capitolo sesto
bloccati dal sabotaggio della CGL? Quale prova ulteriore chiedete anco ra, dopo i fatti di
settembre, per convenire che l'Internazionale comuni sta ha avuto ragione nel porre come
pregiudiziale il « repulisti » nel par tito, l'espulsione dei riformisti?
All'indomani dell'occupazione delle fabbriche pare ancora possibile che ciò avvenga nei termini
auspicati da Mosca: liberandosi semplice mente della destra. Sul tavolo della direzione del PSI, il
29 settembre 1920, sono le famose tesi del II congresso. Si discute per tre giorni. Alla fine prevale
l'ordine del giorno presentato da Terracini, di approvazione incondizionata dei 21 punti e di
rottura coi riformisti. Terracini ha così perorato la scissione :
Non può aversi dubbio: la scissione a sinistra, oltreché allontanare dal Partito nuclei compatti ed
estesi avrebbe profonde ripercussioni fra il proletariato che se gue il PSI per la sua tattica e il suo
programma estremisti. Invece la scissione a de stra restando diffusa per tutto il partito molto
superficialmente non avrebbe larga influenza tra le masse '.
Ma le radici del riformismo, nel vecchio partito, il suo seguito, le sue affinità col massimalismo,
sono assai più tenaci. La votazione ha dato questi risultati: sette membri della direzione (con
Terracini sono Gen nari, Regent, Tuntar, Casucci, Marziale e Bellone) sulla linea delineata prima,
cinque sulla piattaforma che diventerà quella di una nuova frazio ne per il congresso: la «
comunista unitaria » o, come si dirà corrente mente, « centrista ». Serrati, Baratono, Zannerini,
Bacci e Giacomini vo gliono infatti riaffermare la necessità dell'unità del partito e invocare au
tonomia nell'applicazione dei ventun punti.
La scissione sta già prendendo un'altra strada.
Quanto ai riformisti, anch'essi si presentano con una loro frazione organizzata, denominata « di
concentrazione socialista », al dibattito pre congressuale. Non intendono - salvo Turati - tagliare
per primi il lega me che unisce il PSI alla III Internazionale. Si proclamano unitari e au tonomisti
più di Serrati. Ma più esplicitamente di lui nel convegno che tengono a Reggio Emilia (la loro
roccaforte) il 10- 12 ottobre, respingo no la prospettiva di una rivoluzione destinata a crollare a
breve scadenza e invitano ad « accorciare il tiro »2. Hanno però una tattica politico- parla mentare
da contrapporre? In verità, su questo punto, sono non meno in certi dei massimalisti. Prevale la
tesi di Treves di aspettare e di lavorare, « continuando l'opera di preparazione e di educazione ».
La frazione comunista si unifica in ottobre. Bordiga ha rinunciato alla ##
1 Dal resoconto dell'« Avanti! », 30 settembre 1920.
2 Con questo titolo apparve, firmato «Noi», un importante articolo della «Critica sociale», nel
fascicolo 1- 15 agosto 1920, pp. 229- 31.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 85
pregiudiziale astensionistica e ha finalmente accettato ciò che Gramsci e Misiano chiedevano da
tempo, la realizzazione di una piattaforma co mune '. I massimalisti si esprimono per la penna di
Serrati con una posi zione che appare, in linea di principio, antitetica alla concezione rivolu
zionaria bolscevica. Non si tratta di guidare le masse all'insurrezione, non si deve attrezzare uno
strumento specifico dell'avanguardia operaia. Si tratta di essere i più numerosi possibile,
accompagnando l'evolversi delle cose. Le affermazioni di Serrati sono perentorie:
Il compito del Partito socialista non è, secondo me, tanto quello di condurre le folle in piazza -
come pensano i romantici delle barricate - quanto di approntare tutte le forze dell'assestamento
socialista, indispensabili per consolidare il nuovo regime e renderne possibile il definitivo trionfo.
In questa opera di « rincalzo » del la rivoluzione il Partito socialista italiano è forse il più
preparato. Noi abbiamo una fitta rete di Sezioni, di Sindacati, di cooperative... Possiamo senza
tema di esagera zioni, affermare che gran parte dell'Italia, che l'Italia operaia e proletaria, che l'Ita
lia evoluta è con noi .
Non si potrebbe immaginare nulla di più opposto, diametralmente, alle idee di Lenin. Le
affermazioni di Serrati compaiono su «Comuni smo » ma potrebbero apparire sulla « Critica
sociale ». Naturalmente, la differenziazione dottrinale si accompagna a una diversa valutazione po
litica, come sarà presto chiaro. Intanto, anche i comunisti italiani fanno le loro dichiarazioni di
principio. Il manifesto - programma (di cui discor reremo più ampiamente) viene espresso in una
riunione che si tiene a Milano ed è l'atto ufficiale (15 ottobre) di costituzione della frazione, che
viene firmato da Bombacci, Bordiga, Fortichiari, Gramsci, Misiano, Polano, Terracini. Bordiga è già
il capo, l'ispiratore principale della fra zione, il suo organizzatore.
Tutto il lavoro di organizzazione... - ricorderà Giuseppe Berti - fu fatto da Bor diga che, di
costituzione robustissima, passava le intere notti a tavolino, stupendo quanti gli stavano intorno
per la sua eccezionale resistenza al lavoro e per la sua at tività febbrile .
L'offensiva polemica dei comunisti italiani ha come bersaglio princi pale i «centristi», la frazione
capeggiata da Serrati. Con una virulenza che va al di là della controversia sulle 21 condizioni e
sulla espulsione dei ##
1 Sul «Soviet» (a. m, n. 27, 5 settembre 1920), Ludovico Tarsia scrive che «per noi l'astensio nismo
non costituisce il fulcro dell'azione comunista» e analoghe considerazioni svolge Bordiga il 19
settembre. Quanto a Francesco Misiano, egli scriveva già sul « Soviet», n. 6, del 16 febbraio 1920
che i comunisti non dovevano restringersi all'astensionismo, isolarsi e separarsi tra di loro ma con
quistare la maggioranza del partito per non perdere il contatto con le grandi masse socialiste.
2 giacinto MENOTTi serrati, II dovere dell'ora presente, «Comunismo», a. 11, n. 1, i- r^ ottobre
1920.
3 Giuseppe berti, II gruppo del «Soviet» nella formazione del PCI, «Lo Stato operaio», a. ix, n. i,
gennaio 1935, pp. 66- 67.
86 Capitolo sesto
riformisti richieste dal Komintern. « Per nostro conto - scrive Bordiga lotteremo per sanzioni più
severe ancora di quelle di Mosca. Se Lenin mollasse la preda ci saremmo noi a riagguantarla » '. E
Togliatti rammenterà dieci anni dopo:
La scissione di Livorno fu essenzialmente, e in prevalenza, un atto di lotta con tro il centrismo...
Noi combattevamo a fondo Turati e Modigliani, ma Serrati, noi lo odiavamo... L'ostacolo principale
non erano i riformisti, era il centrismo massima lista2.
È una rottura che nasce dunque anche dall'Italia con un'asprezza e una forza non sollecitate dal
lontano centro moscovita. Se Lenin aveva consigliato al II congresso di espellere Turati e poi di
allearsi con lui3, se non dispera di recuperare Serrati più tardi, se un anno dopo comin cerà anzi
ad esortare i compagni italiani a riunirsi coi massimalisti che si proclamano fedeli
all'Internazionale, la realtà del nuovo partito mostre rà che la rottura è stata uno strappo così
sofferto e tanto a lungo auspi cato che non ci si acconcerà senza fatica neppure nel futuro a una
tattica diversa. Ciò spiega anche come l'influenza di Bordiga sia tale da venire accettata dalla
stragrande maggioranza dei giovani, da Terracini come da Togliatti.
Proprio Togliatti, quando nel 1923 Gramsci si farà portavoce del l'orientamento del Komintern per
la politica del « fronte unico », ricor derà che la scissione ha voluto dire per i comunisti italiani,
prima di ogni altra cosa, rompere con « la tradizione pseudorivoluzionaria che si incar na nel PSI
», che l'azione intrapresa nel 1919 e nel 1920 era storicamen te necessaria perché affermava
l'esigenza di una guida della classe ope raia « radicalmente diversa da quella che aveva prima ». Si
sarà quasi di sposti nel 1923- 24 a rompere con l'Internazionale piuttosto che « legarci con il PSI
alla stessa maniera come eravamo legati con esso prima di Li vorno »!4.
Vi è, ancora, a illuminare questo punto, una differenziazione tra la convinzione dell'Internazionale
e quella dei comunisti italiani, che va notata. Apparentemente essa non traspare subito. Si possono
citare de cine di affermazioni di dirigenti e militanti comunisti che, nell'autunno del 1920,
proclamano al pari di Zinov'ev essere stata nel settembre e permanere tuttora la situazione
rivoluzionaria, prorompente dalla forza ##
1 amadeo bordiga, Da Mosca a Firenze, «II Soviet», a. ni, n. 25, 17 ottobre 1920.
1 palmiro togliatti, La nostra esperienza, «Lo Stato operaio», a. v, n. 1, gennaio 1931, p. 6.
3 Quest'affermazione, che non è riferita in nessun testo ufficiale, viene richiamata dai socialisti
italiani già in numerosi discorsi al congresso di Livorno. Probabilmente essa fu pronunciata da
Lenin in una seduta di commissione. Cfr. sull'episodio e sulla posizione specifica diXenin nei
confronti del PSI; palmiro togliatti, Lenin e il nostro partito, «Rinascita», a. xvn, n. 5, maggio i960.
4 Da La formazione ecc. cit., lettera di Togliatti a Gramsci del 1° maggio 1923, p. 56.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 87
delle masse. Ma mentre i bolscevichi non hanno - e nella polemica suc cessiva — non avranno
dubbi in proposito per ciò che concerne il 1920, coloro che in Italia promuovono la scissione non
ne sono altrettanto con vinti. E se abbiamo già ricordato le confidenze di Gramsci del 1924 sul suo
pessimismo, va aggiunto che Bordiga, quando dovrà nel 1921 illu strare quella improvvisa
inversione di tendenza che allora risulterà in contestabile, in un rapporto al Comitato esecutivo
dell'Internazionale comunista, firmato anche da altri due dirigenti, non esiterà a fornire que sta
preziosa confessione:
Perché lo slancio rivoluzionario delle masse si è arrestato? Le cause non sono semplici. Prima di
tutto esso era più apparente che reale. Era fatto più di rinculo borghese che di attacco proletario.
Sotto non c'era né una coscienza politica defini ta, né un'organizza zione di combattimento
rivoluzionaria '.
La resistenza futura nei confronti della nuova tattica dell'Interna zionale comunista svelerà,
appunto, questo elemento tenuto in ombra: che si considera, da parte di Bordiga e di Gramsci, la
scissione del PSI come pregiudiziale non soltanto per creare quella « organizzazione di
combattimento » che è mancata ma anche per dare alle masse quella co scienza politica di cui
esse, agli occhi dei più spregiudicati e tenaci oppo sitori del PSI, appaiono sprovviste.
Nel PCd'I, del resto, sarà talmente viva, nei suoi primi anni, la pole mica con il vecchio partito da
cui pure esso è sortito che anche i massima listi che raggiungeranno la nuova formazione nel
1922, nel 1923, nel 1924, sentiranno lo stesso bisogno di rinnegare un passato ritenuto re
sponsabile della sconfitta del « biennio rosso ». Clamorosa tra tutte verrà la autocritica di Giacinto
Menotti Serrati, poco prima della sua morte. Questi, ormai comunista, considererà la propria
posizione assunta a Li vorno come
il solo grande errore della [sua] vita: quello di aver autorizzato con le [sue] capa cità e con la [sua]
buona fede un movimento che sperav[a] di unità proletaria rivo luzionaria e che nascondeva di
tutto, invece, tranne che del rivoluzionarismo 2.
È questo, dunque, un punto molto importante per chiarire il proces so d'origine del Partito
comunista in Italia, che non fu soltanto un ade guarsi all'imperativo dell'Internazionale. Per Mosca
si tratta nel 1920 (e ancora si tratterà nel futuro) di una misura da applicare paese per pae se a
seconda delle forze disposte ad accettare la piattaforma comune. (Per questo non si esita ad essere
di manica larga con un partito come ##
1 II rapporto del Comitato esecutivo del PCd'I al Comitato esecutivo dell'Internazionale comu
nista è firmato Bordiga, Fortichiari, Grieco e inviato da Milano il 20 maggio 1921 (APC, 1921, 44).
2 giacinto menotti seerati, Vane difese massimaliste, «L'Unità», 25 aprile 1926.
88 Capitolo sesto
quello francese in cui le forze dal passato, dalle tradizioni socialdemocra tiche, sono numerose).
Per i comunisti italiani la discriminante ideologi ca è più netta. Bordiga lo ricorderà amaramente,
nel 1923, nel pieno del dissidio con la III Internazionale:
È oggi chiaro che l'Internazionale considerò la soluzione di Livorno come tran sitoria ed aspira alla
adesione in massa di un'altra fetta del partito socialista. Secon do essa i massimalisti erano divisi
da noi dal solo fatto che esitavano a separarsi dai riformisti; secondo noi il massimalismo è una
forma di opportunismo tanto perico loso quanto il riformismo, e nella sua tradizione, nel suo
stato maggiore, non sarà mai rivoluzionario...1.
Si potrebbe anche sostenere che tanta intransigenza dottrinaria è una forma di quell'estremismo,
di quella malattia infantile, che proprio a Bordiga rimproverava Lenin. Ma ciò è più facile
constatarlo sul terreno dell'azione politica, poiché è qui che « la logica rigorosa fino all'eccesso
» (Togliatti), tipica di Bordiga, spinge alle sue estreme conseguenze la distinzione ideale. Egli,
infatti, sin dal 1920 accompagna la propria intran sigenza alla convinzione - che si rivelerà
erratissima - di un avvicinarsi dell'esperimento socialdemocratico di governo « con cui la
borghesia gio ca l'ultima partita contro la prorompente rivoluzione proletaria »2.
Di qui discende la tattica congressuale: chi non è con noi è contro di noi. Meglio pochi, pochissimi,
meglio seppellire definitivamente il cada vere del vecchio partito, in preda ad « un'elefantiasi
galoppante »; prova ne sia che tra il 1919 e il 1920 i soci non hanno fatto che aumentare.
Noi siamo oltre 200 000 soci, - dice Bordiga in polemica diretta con Serrati. Ciò significa
semplicemente che il nostro effettivo in rapporto alla popolazione su pera quello del partito
comunista russo, colla semplice differenza che qui la borghe sia ci sculaccia quando vuole e là
nessun cane di controrivoluzionario osa più, non ché di abbaiare, di fiatare 3.
E Gramsci, in una riunione dei socialisti torinesi tenutasi alla presen za di Serrati, levandosi a
parlare contro di lui, ripeterà esattamente le pa role di Bordiga:
L'adesione alla III Internazionale deve essere senza condizioni e senza riser ve... È necessaria la
costituzione di un Partito comunista che obbedisca a una disci plina internazionale... Non è
necessario essere in molti. Trentamila soci del PC rus so sono bastati per condurre la rivoluzione
alla vittoria, perché quel partito era omogeneo, sapeva ciò che voleva4. ##
1 Dal Manifesto ai compagni del PCd'I, steso da Bordiga in carcere nel 1923 e trovato tra le carte
sequestrate dalla polizia a Togliatti nel settembre 1923. Lo ha pubblicato Stefano merli in «Rivista
storica del Socialismo», a. vii, n. 23, settembre - dicembre 1964, pp. 515- 21.
2 amadeo bordiga, La politica attuale detta borghesia, in «II Soviet», a. ni, n. 26, 24 ottobre 1920.
3 A. b. , II torto di G. M. Serrati, « II Soviet », a. in, n. 26, 24 ottobre 1920. * Cfr. l'«Avanti!», ed.
piemontese, 27 novembre 1920.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 89
Fissati questi punti comuni, non diventa perciò meno importante studiare il modo come si
perviene alla scissione, che la leadership incon trastata di Bordiga ha pure i suoi effetti decisivi e
permeerà tutto il « pri mo periodo » del PCI.
Si è ricordato il manifesto - programma redatto dalla frazione comuni sta a Milano, il 15 ottobre.
Sono queste le settimane in cui la frazione prende quell'aspetto che manterrà fino a Livorno. Se
Bordiga dà il là a tutta la propaganda nazionale e ha con sé i giovani, il gruppo torinese sviluppa
quell'azione nelle fabbriche che servirà a fornire al futuro par tito i suoi primi nuclei operai
autentici. È ora che i « gruppi comuni sti », già affermatisi nel corso dell'occupazione delle
fabbriche, assumo no un'organizzazione politica più netta nel dibattito interno al PSI. Togliatti,
segretario della sezione torinese, legge un'ampia relazione all'as semblea del 6- 8 ottobre in cui,
dopo avere sottolineato la necessità di costituire in Italia un partito comunista, così si esprime:
La creazione di un partito comunista non avverrà che dopo una fusione degli elementi che
sinceramente sono comunisti, i quali possono sperare di far prevalere la loro volontà soltanto se la
chiariranno prima a se stessi e si presenteranno al pros simo congresso nazionale come un blocco
compatto, omogeneo e combattivo. Tori no può essere uno dei centri attorno ai quali si formi
questo blocco e l'attuale Com missione esecutiva può e vuole lavorare a questa formazione purché
la sostenga e collabori con essa, con piena lealtà, la maggior parte del proletariato torinese '.
Vi sono certo qui un'ispirazione e una preoccupazione diverse da quelle di Bordiga; nonostante
che in quest'assemblea della sezione tori nese l'astensionista Boero « manifesti il desiderio che
l'azione per la scis sione dai destri e dai centristi si faccia più rapida e più efficace », la mag
gioranza dei presenti vota una mozione con cui « si impegna ad aderire ad ogni seria iniziativa che
verrà tentata per costituire una forte frazio ne che organizzi e guidi al trionfo al prossimo
congresso le forze comu niste».
Si vuole, insomma, lottare per essere maggioranza. Ancora più mar cato, in questa direzione, è il
tentativo che mette in atto un militante so cialista emiliano come Anselmo Marabini, figura
popolarissima e legata ai contadini socialisti da saldi vincoli. In lui anzi, il pensiero di continua re
una tradizione, rinnovandola, lo situa in posizione diversa da quella che assumono i giovani
dirigenti della sezione torinese « ribelli » al vec chio partito. Che in Marabini, e in quelli che si
raccoglieranno intorno a lui, si esprime la terza componente del futuro partito comunista, una
componente più classicamente massimalistica, un po' generica, ma che ##
1 Cfr. l'« Avanti! », ed. piemontese, io ottobre 1920.
90 Capitolo sesto
nondimeno da il segno di quanto le simpatie per l'estrema sinistra del PSI, che sono in gran parte
simpatie per l'Internazionale comunista, non siano ristrette ai gruppi organizzati attorno al «
Soviet » e all'« Ordine nuovo ».
Sarà lo stesso Marabini a raccontare che l'idea di formare una corren te fiancheggiatrice della
frazione comunista nasce a Trieste, ai primi d'ot tobre, durante la riunione in quella città del
gruppo parlamentare socia lista. Marabini cerca di avviare la scissione in modo da non perdere vec
chi compagni provati, in specie emiliani, che potrebbero sentire ferito il loro sentimento col
mutamento del nome del partito. Nasce l'idea di una circolare, di un appello, che verrà poi firmato,
con Marabini, da Grazia dei, da Casucci, Giaccaglia, Grossi. Il suo senso sarà la proposta di accet
tare la tesi di Mosca ma di chiamare la sezione italiana dell'Internazio nale con il nome di « Partito
socialista comunista d'Italia » '.
Nella « terza componente » della frazione comunista si pongono per sone e gruppi massimalisti
più radicali, come quello milanese, fortemen te operaista, di Repossi e Fortichiari2, quello
triestino, quello fiorentino, quello genovese, e altri ancora. Il moto centripeto conquista tutte le re
gioni, seppure lentamente in alcune di esse, e in molti casi con un feno meno marcatamente
minoritario. In Piemonte, oltre a Torino, sono da ricordare Alessandria e Cuneo, dove primeggiano
due avvocati, i depu tati Belloni e Roberto, un sindacalista (ex capo stazione delle ferrovie), Isidoro
Azzario e il barbiere Giovanni Germanetto. Forti gruppi della frazione si formano nell'Oltrepò, a
Stradella e a Pavia, dove si distin gue il giovane Ferruccio Ghinaglia. Nella Venezia Giulia i due
esponenti di maggiore rilievo - membri della direzione del PSI - sono Giuseppe Tuntar (una
singolare figura di intellettuale che sparirà quasi subito dal movimento) e lo sloveno Ivan Regent,
che conquistano alla frazione, co me nel caso di Torino, la sezione socialista di Trieste. In Toscana
va ri cordato, accanto a Egidio Gennari, che è ancora segretario nazionale del PSI (una carica che
non ha un grande valore politico) e al gruppo massi malista raccolto attorno alla «Difesa», il
sindacalista Spartaco Lavagni ni, anch'egli un impiegato ferroviario, nato ad Arezzo nel 1886. A Li
vorno primeggia la figura di Ilio Barontini (un operaio meccanico nato a Cecina nel 1890)
segretario della sezione socialista. E ancora, i depu tati di Livorno e Pisa, Ersilio Ambrogi e Arturo
Caroti e di Viareggio, Luigi Salvatori. In Liguria vi sono organizzatori operai, amministratori, come
i genovesi Arecco, Barenghi, Mariottini, Vezzelli, i savonesi Ar- ##
1 Cfr., per la vicenda del gruppo, anselmo marabini, La circolare Nlarakini- Graziadeì nella for
mazione del PCI, «Lo Stato operaio», a. ix, n. io, ottobre 1935, pp. 662- 72.
2 bruno fortichiari, Come è slato fondato il PCI, Milano 1958, p. 44.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 91
turo Cappa e Frola, nonché Dulbecco di Oneglia. In Emilia le figure di maggiore rilievo, a parte
Marabini, sono naturalmente Nicola Bombacci (forse il più tipico tribuno massimalista che entri nel
PCI, atteggiantesi a Lenin romagnolo) e sindacalisti molto più seri come Ennio Gnudi, sin daco di
Bologna, ed Enrico Ferrari, segretario della Camera del lavoro di Parma. Nelle Marche si segnalano
l'operaio Radi, Albano Corneli, Mario Zingaretti e Domenico Gasperini. A Roma si schiera in un
primo tempo con la frazione un massimalista di prestigio come A. Della Seta e molti dirigenti
sindacali e giovanili. Basti ricordare Cesare Massini. Al cuni nuclei sindacalisti in Sicilia si
avvicinano. La figura più nota è quella di Umberto Fiore, segretario della Camera del lavoro di
Messina.
A Napoli c'è, ovviamente, il gruppo del « Soviet » (si noti però che esso non conquisterà la sezione
locale). Dalle Puglie, oltre a un valoroso bracciante come Luigi Allegato viene un intellettuale che
sarà destinato ad assumere una parte di primo piano nel nuovo partito, Ruggero Grie co, che è ora
il segretario particolare di Gennari a Roma. Grieco è nato a Foggia, nel 1893, figlio di un «
ambulantista postale », e ha dietro di sé una solida preparazione culturale (frequentando la scuola
superiore di agricoltura di Portici). Egli diviene presto il più stretto collaboratore di Bordiga.
È a lui che dobbiamo tornare seguendo lo sviluppo della frazione co munista. L'impronta
bordighiana resta quella prevalente, anzi l'unica che abbia una fisionomia e una forza politica
nazionali riconoscibili dai militanti di tutta la penisola, tali da poter fissare i caratteri non solo
della battaglia congressuale ma anche della nuova formazione.
Il manifesto - programma di Milano è, a questo proposito, trasparente. Esso risulta una traduzione
dei postulati fissati al II congresso di Mosca, proprio quella traduzione dottrinale rigida,
cautelativa che sta tanto a cuore a Bordiga. Lo si vede soprattutto per ciò che concerne la natura
del nuovo partito (la cui nascita, sotto la denominazione di Partito comunista d'Italia, si da per
scontata). Se a Mosca si era detto che il PC è una parte della classe operaia, la sua avanguardia, che
esso deve dirigere tutti gli altri organismi proletari e che deve edificarsi sulla base di un ferreo
centralismo, a Milano si ripete che i criteri da far valere sono quelli della centralizzazione e della
disciplina (sorvolando sull'espressio ne di « centralismo democratico », cioè sulla salvaguardia
dell'elezione degli organi superiori da parte di quelli di base) e si sottolinea ancora la assoluta
subordinazione di tutte le attività al Comitato centrale: quella della stampa e propaganda e, ancor
più, quella parlamentare. Se a Mila no, per la prima volta, Bordiga rinuncia in un documento
ufficiale al pro prio astensionismo, viene però stabilito che:
92 Capitolo sesto
La partecipazione alle elezioni politiche e amministrative ha l'obiettivo di svol gervi la propaganda
e l'agitazione rivoluzionarie e di affrettare il disgregamento de gli organi borghesi della
democrazia rappresentativa. Il gruppo parlamentare non avrà la facoltà di pronunziarsi come
organo deliberante su questioni che investono la politica generale del partito.
Anche in questo caso non si fa, beninteso, se non parafrasare la riso luzione presa dal II congresso
ma non si aggiunge nulla che riguardi i rapporti del partito con le masse, la democrazia sovietica,
l'organizza zione per cellule (che infatti non verrà attuata). Il senso del convegno di Milano è così
riassunto in una nota di Bordiga sul « Soviet » :
La frazione comunista dovrà agire con ogni risolutezza e colla più inesorabile intransigenza. Il
Partito comunista deve ormai sorgere ed essere quale lo richiede la III Internazionale. Non si deve
esitare a denunziare il vecchio partito, questo vec chio amalgama insuscettibile di rigenerarsi, e a
costituire il nuovo organo necessa rio, indispensabile per la rivoluzione proletaria.
La nota bordighiana porta la data del 24 ottobre 1920. Il giorno pri ma è stata inviata da Stettino
una lettera di Zinov'ev rivolta alla frazione comunista italiana, anche a nome di Lenin, Trockij e
Bucharin (per il Comitato centrale del partito russo) in cui si legge che la frazione è « l'u nico serio
appoggio dell'Internazionale comunista in Italia » e che Ser rati, se davvero vuole aiutare la
formazione di un partito comunista in Italia, non ha che da prendere posto nelle sue file.
Da una settimana si è concluso a Halle il congresso del Partito socia lista indipendente tedesco,
l'USPD, che è stata una vittoria importante per la linea del Komintern (ivi rappresentato da
Zinov'ev stesso, che vi tiene un discorso di grande rilievo politico). Per la mozione favorevole alla
incondizionata adesione all'Internazionale, e ai 21 punti, si sono in fatti schierati la maggioranza
dei delegati di quel grande partito operaio (che comprende un milione di soci). Se scissione vi è,
essa avviene a de stra e gli indipendenti di sinistra si preparano ad unirsi al KPD nel nuo vo «
Partito comunista unificato di Germania » .
Si è verificato così l'innesto di una grande massa operaia nel Partito comunista tedesco, prima
costituito essenzialmente da una minoranza a forte caratterizzazione intellettuale. Non va però
sottovalutato il fatto che la vittoria dell'Internazionale non porti di per sé a fare sì che la gran- ##
1 Dal testo definitivo della mozione pubblicato in Relazione presentata dalla frazione comunista
al Congresso del PSl, Milano 1921, p. 2.
2 Al congresso di Halle la risoluzione Daumig e Stbcker ha ottenuto 236 voti. Quella «auto
nomista» proposta da Ledebur, Crispien e Dittmann ij6 voti. L'USPD si scinde dopo il congresso e
300 000 suoi soci (solo una parte, quindi, di quella maggioranza che ad Halle si era pronunziata
per la fusione) si uniscono in dicembre, nel congresso di Berlino, ai 50 000 comunisti del KPD. A
presidenti del nuovo partito sono eletti Paul Levi e Ernest Daumig. Organo del Partito comunista
unificato è la «Rote Fanne», in due edizioni quotidiane.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 93
de maggioranza dei membri delPUSPD entri nella nuova formazione se guendo le sorti del voto
congressuale di Halle. Per questo il termine scis sione a destra o a sinistra ha più un valore
formale che sostanziale. (Sarà nel 1921 che ci si accorgerà come il processo di rottura nei grandi
partiti socialisti europei sia stato analogo, in Germania, come in Francia, come in Italia: la
maggioranza dei lavoratori socialisti non è affatto acquisita alla IH Internazionale, nell'Occidente
europeo. La crisi del PC tedesco unificato all'inizio della sua vita lo mostrerà ampiamente. E quella
del PCF del pari).
Non a caso, si è parlato molto dell'Italia al congresso di Halle. Del l'occupazione delle fabbriche, di
Serrati, dei riformisti '. Serrati sta ora diventando (come sarà per i socialisti francesi al loro
congresso di Tours) un richiamo costante nel dibattito, un simbolo. La mozione avversa al
l'incondizionata adesione all'Internazionale comunista ha espresso esat tamente le posizioni di
Serrati e manifestato i suoi stessi dubbi: « il po stulato dell'espulsione scinde il Partito, ne
paralizza la capacità fattiva e reca così il danno più grave al movimento rivoluzionario »; «
l'incondi zionata sottomissione dei Partiti nazionali è incompatibile con le grandi diversità di
condizioni economiche, culturali e politiche»2. In Serrati l'Esecutivo dell'Internazionale comunista
vede l'uomo che sta racco gliendo sul piano europeo tutte le forze ancora disperse del «centri smo
», quelle che si vanno pur unendo al congresso di Berna attorno alla cosiddetta « Internazionale
due e mezzo», dove il termine intende ap punto una federazione di esponenti socialisti (Fritz
Adler per l'Austria, Crispien per la Germania, Longuet per la Francia, Grimm per la Svizze ra,
Martov per la Russia, Walhead per l'Inghilterra) che sono usciti dalla II e non intendono entrare
nella III.
È vero che Serrati, appassionatamente, replicherà ai bolscevichi che egli resta terzinternazionalista
(e lo proverà ampiamente negli anni suc cessivi). Ma ciò non toglie che l'accanimento dei suoi
contraddittori nasca proprio da questa sua nuova collocazione nella lotta di tendenze del so
cialismo europeo. Al congresso di Tours (Natale del 1920) Longuet, Paul Faure e tutti gli altri «
autonomisti » si rifaranno esplicitamente alla resistenza di Serrati, tanto più efficace quanto
maggiore è il prestigio del dirigente italiano e stimata la tradizione rivoluzionaria del suo partito.
##
1 Zinov'ev ha ribadito il concetto che « a salvare la borghesia italiana dalla rivoluzione in atto
sono stati i Turati, i D'Aragona, i Modigliani». Cfr. G. zinov'ev, La rivoluzione mondiale e la 111
Internazionale, Libreria editrice del PCd'I, Milano 1921.
2 w. dittmann, 11 Partito Socialista Indipendente di Germania e il Congresso di Halle, in L'al
manacco socialista italiano, ed. «Avanti!», Milano 1921, p. 243.
3 Cfr. Le Congrès de Tours, edizione critica dei principali interventi, a cura di annie kriegel, Paris
1964, passim.
94 Capitolo sesto
Zinov'ev lo dirà senza mezze parole, prendendo la parola, nel marzo 1921, al X congresso del PC
russo e coniando per Serrati la definizione di menscevico di sinistra:
In Serrati e nei suoi adepti più vicini, la verità è che noi combattiamo gli ultimi mohicani d'un
kautschismo modernizzato, impomatato e imbellettato all'italiana, alla rivoluzionaria, se così si
può dire. Cedere alle opinioni attuali di Serrati sarebbe cedere all'Internazionale due e mezzo '.
Così, possiamo ribadire che, mentre per i comunisti italiani battere sul bersaglio delle posizioni
serratiane ha i valori di principio già deli neati, per Mosca l'obiettivo è più stringente, più politico,
collegato alla sorte di tutta la tattica delineata al II congresso.
La polemica del Komintern con Serrati si fa perentoria tra il congres so di Halle e quello di Tours.
Zinov'ev scrive due lettere a Serrati quan do ancora è in Germania, il 22 ottobre da Berlino, il 23 da
Stettino: « Noi aspettiamo la vostra ultima parola, compagno Serrati! »2. E Lenin stesso prende la
penna per un lungo articolo il cui tono non è meno tranchant, anche se è attento a delimitare la
portata contingente della rottura:
Se gli uomini come Baratono, Zannerini, Bacci, Giacomini, Serrati, esiteranno e si dimetteranno,
non bisognerà pregarli di rimanere, ma bisognerà accettare subito le loro dimissioni. Dopo il
periodo delle battaglie decisive essi ritorneranno e saran no più utili al proletariato 3.
Serrati sostiene l'attacco con fermezza. Nella sua replica di un comu nista unitario e in altri
scritti4 si discernono accanto ai vecchi motivi un contesto psicologico e politico nuovo, rispetto al
congresso di Mosca: egli non si sente più solo nel rivendicare l'autonomia dei partiti nazionali ed è
assai più dubbioso sull'azione generale da condurre per prendere il potere. Si, egli dice in
sostanza, la situazione è rivoluzionaria, ma è me glio lasciare la borghesia risolvere una crisi
economica gravissima. Si, noi siamo d'accordo con le prospettive della Internazionale ma lasciateci
giu dicare serenamente la situazione.
Forse non si chiarirà mai il complesso di esitazioni, il tormentato cor so di propositi e di
risentimenti del Serrati antagonista dell'autunno del ##
1 Verso il terzo Congresso dell'Internazionale comunista, «L'Ordine nuovo», 17 e 21 aprile 1921.
2 Lettere e polemiche ecc. cit., pp. 18- 27. Le due lettere sono pubblicate la prima volta sul l'«
Avanti! », 4 novembre 1920, precedute da una dichiara2Ìone polemica di G. M. Serrati.
3 lenin, Falsi discorsi sulla libertà, 4 novembre - 11 dicembre 1920, Sul movimento operaio ita
liano cit., p. 213.
4 La replica di Serrati appare sull'« Avanti! » (ed. piemontese) il 16 dicembre 1920. Nella dichia
razione che precedeva la pubblicazione delle lettere di Zinov'ev, Serrati affermava il suo diritto «a
pensare contro tutti ì nazionalismi, tutti gli opportunismi, tutte le prepotenze». Si veda anche l'ar
ticolo di G. m. serrati, 11 dovere dell'ora presente cit.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 95
1920. Egli registra il « contrattacco borghese », come già a Mosca l'aveva intuito. Ma parla
precisamente dell'offensiva fascista che si sta ora spie gando? Lo si può escludere, per i tre ultimi
mesi dell'anno. I casi di vio lenza fascista sembrano ancora sporadici e legati a quella reazione
agra ria che è tradizionale nelle lotte sociali italiane. Massimalisti e comunisti italiani parlano
piuttosto di una delinquenza al servizio della classe diri gente o della casta militare. Gramsci, ad
esempio, fin dall'ottobre, avver te l'esistenza di un fenomeno nuovo e tende a configurarlo così:
È certo che la reazione italiana si rafforza e cercherà di imporsi violentemente a breve scadenza.
La reazione che è sempre esistita, che obbedisce a leggi proprie di sviluppo, che culminerà nel più
atroce terrorismo che abbia visto la storia. Non per caso, gli occhi di tutti si rivolgono oggi a
Fiume, e alla Dalmazia, a D'Annunzio, a Millo, a Caviglia... La reazione è sempre esistita in Italia;
essa non minaccia di sor gere ora per colpa dei comunisti. La reazione è il venir meno dello Stato
legale: non da ora lo Stato legale è venuto meno... Nell'attuale periodo, il terrorismo vuol pas sare
dal campo privato al campo pubblico; non si accontenta più dell'impunità con cessagli dallo Stato,
vuol diventare lo Stato. Ecco che cosa significa oggi la parola avvento della reazione: significa che
la reazione è divenuta così forte che non ritie ne più utile ai suoi fini la maschera di uno Stato
legale; significa che vuole, per i suoi fini, servirsi di tutti i mezzi dello Stato; significa che l'Italia si
avvicina ad una nuova guerra imperialista, rivolta al saccheggio a mano armata di qualche ricco po
polo finitimo... La reazione è la paura folle della morte per esaurimento, mescolata al desiderio
sfrenato di buttarsi addosso a un organismo nazionale ancora in qual che efficienza per
divorarselo, per cercare di salvarsi con una trasfusione di sangue... La reazione è furiosa anche per
ciò: perché deve riconoscere che la classe operaia è la sola forza viva del paese, perché deve
riconoscere in se stessa niente altro che gli ultimi spasimi rabbiosi di un organismo esaurito... '.
Come si vede, si mischiano in Gramsci, con le intuizioni sullo scate namento del terrorismo e la
sua particolare sensibilità alla crisi struttu rale dello Stato, le preoccupazioni (del resto più che
giustificate, dati i caratteri dell'impresa fiumana) per una reazione di tipo militare e per i pericoli
di una nuova guerra. Una crisi, comunque — egli insiste — che prelude ad una resa dei conti, come
è nell'impostazione di tutto il comu nismo internazionale. I bolscevichi, da parte loro, infatti,
prevedono per primi una controffensiva reazionaria in Italia (come altrove). Lenin af ferma che « la
borghesia italiana farà tutto il possibile, commetterà tutti i delitti e tutte le atrocità per impedire al
proletariato di prendere il potere »2 e Zinov'ev, nella sua lettera a Serrati da Berlino, aggiunge «
che è molto probabile la vittoria temporanea di una feroce reazione borghese». ##
1 Antonio gkamsci, ha reazione, «Avanti!», ed. piemontese, 17 ottobre 1920.
2 Da Falsi discorsi sulla libertà cit.
3 Lettere e polemiche ecc. cit., p. 28.
96 Capitolo sesto
Ma se ciò, nella impostazione comunista, vale a spronare ulterior mente alla concentrazione e
all'epurazione delle forze rivoluzionarie per vincere l'imminente scontro decisivo, per i socialisti
italiani il discorso è tutt'altro. Tra i riformisti, Emanuele Modigliani è stato il più netto nel suo
intervento al convegno di Reggio Emilia, nel prevedere il peggio («Vi sono nella storia delle nazioni
delle tragiche ore di regresso e noi andiamo incontro ad una di esse ») per adombrare, nella logica
del rifor mismo, un'alleanza con Giolitti contro la reazione. I massimalisti sono intransigenti, non
possono pensare a sostenere il governo; hanno predi cato per anni l'imminenza della rivoluzione
nella loro propaganda incen diaria, e continuano tuttora a farlo. Come possono cambiare
totalmente registro? Ma molti di loro cominciano a pensarla come i fratelli della « destra », a cui si
sentono molto più vicini che non ai comunisti « puri », tipo Bordiga o Gramsci. E certamente in
essi pesa, più ancora del pen siero della reazione italiana, una sfiducia nella rivoluzione
internazionale che, proprio in questi mesi, prende largo piede nel movimento socialista europeo,
una diffidenza nuova nel bolscevismo e nelle sue fortune.
È uno stato d'animo avallato da un grosso dato di fatto: la sconfitta dell'esercito rosso alle porte di
Varsavia - in settembre - e il suo succes sivo arretramento verso est, che fa tramontare le
speranze di una rapida espansione della rivoluzione. Il quadro è cambiato. Ma non è soltanto
questione di rapporti di forza. È questione dello scontro di mentalità, di tradizioni, di esperienze
che ora comincia a palesarsi in tutta la sua am piezza. Un profondo disagio nasce dagli strascichi
stessi della polemica del II congresso da cui Serrati, come molti altri socialisti dei paesi occi
dentali, hanno tratto l'impressione che i bolscevichi abbiano metodi e indirizzi troppo diversi e
distanti dal patrimonio e dalle tradizioni dei loro compagni d'Occidente1. Ma vi è anche un
complesso di titubanze che circolano in tutto il « centrismo » socialista europeo, che un partito
alimenta nell'altro e viceversa, spesso ampliato dalla propaganda antico munista, vivissima in
questi mesi2, e in Italia suffragato dai racconti che vanno facendo sulla stampa molti dei «
pellegrini » di Mosca (da Nofri a Pozzani a Colombino).
Così, all'immagine di una Russia in preda alla miseria, al caos, a una ##
1 Cfr. giacinto menotti serrati, II Congresso dell'Internazionale Comunista: alcune osserva zioni
preliminari, «Comunismo», a. 11, n. 2, 15- 30 settembre 1920. Lo stesso Serrati nello scritto Di
alcune nostre ragioni, - «Comunismo», a. 11, n. 6, 15- 31 dicembre 1920 parlerà della «massoneria
rossa» dell'Internazionale comunista, «che opera nel silenzio e nel mistero».
2 Cfr. Edward h. carr, ha rivoluzione bolscevica cit., che afferma: «Nessuna propaganda dan
neggiò la rivoluzione bolscevica nell'Europa occidentale tanto quanto quella che si basava sul
basso tenore di vita del popolo russo e sulle privazioni della guerra e della guerra civile» (p. 1005).
3 Cfr. sul tema [Antonio gramsci], Muli bendati, «L'Ordine nuovo», 12 gennaio 1921.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 97
dittatura politica spietata, si accompagna lo spettro di una sorte analoga per quei paesi
dell'Occidente dove si iniziasse la rivoluzione, aggravata dal blocco economico e militare a cui vuoi
l'Italia vuoi la Francia sareb bero sottoposte dalle rimanenti grandi potenze dell'Intesa.
È uno stato d'animo che, con grande efficacia e coll'asprezza caratteri stica dello stile bolscevico,
ha dipinto il dirigente dei sindacati sovietici Lozovskij, non appena tornato in Russia da un viaggio
compiuto nei pae si occidentali nell'autunno del 1920:
Quando pochi mesi fa parlavo in Germania agli operai tedeschi, spesso alle riu nioni si
presentavano sostenitori di Scheidemann dicendo: «SI, voi russi parlate di rivoluzione in Germania.
Bene, noi faremo la rivoluzione in Germania, ma che cosa accadrà se non ci sarà una rivoluzione in
Francia? » E contemporanea mente un col lega francese si alza e, battendosi il petto, dice a sua
volta: « E che cosa sarà se noi facciamo la rivoluzione, e i nostri compagni laggiù non la faranno? »
Allora gli op portunisti italiani, inquieti proprio come gli altri opportunisti e proprio come loro
irritabili, dicono anch'essi: «È facile per voi parlare di rivoluzione. L'Italia farà una rivoluzione, ma
essa riceve il carbone dall'Inghilterra. Come possiamo vivere senza carbone? » Così essi si
aspetteranno l'un l'altro fino al secondo turno '.
Chi volesse rintracciare i segni di questa titubanza nelle file dei mas simalisti unitari nell'autunno
del 1920 li troverebbe spesso, ma come mascherati in una nube di distinzioni tra rivoluzione in
atto e rivoluzio ne da fare e più ancora da una terminologia tipica dove, accanto al ter mine
rivoluzione, si pongono le aggettivazioni più fosche, come tremen da, ineluttabile, drammatica. Un
anno dopo, Serrati dirà chiaramente che egli non aveva creduto affatto alle assicurazioni
dell'Internazionale sulla solidarietà che all'« Italia soviettista » sarebbe venuta dai proleta riati
degli altri paesi e tanto meno alla promessa contenuta in una let tera dell'Esecutivo
dell'Internazionale comunista dove si diceva: « Aiuti di grano saranno assicurati all'Italia rossa
dalla Russia dei soviet ».
Nel 1921 — quando la carestia farà strage in Russia — Serrati com menterà:
Quanto al grano era noto da tempo a coloro che lo promettevano all'Italia rivo luzionaria che la
Russia non aveva trasporti per sé, che i contadini lo rifiutavano alla requisizione...2.
Tanto scetticismo non è però l'unico movente del dissidio. Bisogna fare posto a incomprensioni e a
false informazioni che generano profon di equivoci nel rapporto tra l'Internazionale comunista e il
PSI, nell'au tunno del 1920. Conviene segnare almeno il più clamoroso: l'intransi- ##
1 Citato da Edward h. carr, La rivoluzione bolscevica cit., p. iooj.
2 giacinto menotti serrati, 17 PSI e la III Internazionale, «Comunismo», a. n, n. 22, 16- 31 agosto
1921.
98 Capitolo sesto
genza di Bordiga e di tutta la frazione comunista è appoggiata da Zino v'ev e fatta propria
dall'Esecutivo del Komintern anche sulla base del l'errata convinzione che la frazione possa
raccogliere nelle sue file il gros so del partito. Nella seduta dell'Esecutivo del 3 novembre 1920
Zino v'ev riferisce testualmente:
I comunisti capeggiati da Bombacci, Bordiga e Terracini... affermano di avere con sé il 75- 90 per
cento del partito... Io ritengo che nell'attuale situazione politica italiana qualsiasi compromesso
con Serrati e i « comunisti unitari », sarebbe oltre modo dannoso... '.
Ed è qui che bisogna riprendere il discorso sulla frazione comunista, sulla sua dinamica interna,
sul modo come essa si prepara alla scissione. Dopo la pubblicazione del manifesto - programma,
Antonio Gramsci ha scritto sull'« Avanti! » piemontese un articolo polemico in cui però pare di
vedere ancora emergere la convinzione che i comunisti possano por tare con sé la maggioranza dei
suffragi al congresso. Sarà forse questa convinzione a rendere poi lo stesso Gramsci più sensibile
alla gravità della situazione che si aprirà dopo Livorno, quando si vedrà che i comu nisti restano
minoranza? Già ora, comunque, egli insiste sulla radicaliz zazione della situazione politica,
sintetizzata nel dilemma « o dittatura operaia o dittatura reazionaria », per proseguire in questi
termini:
L'organizzazione delle forze comuniste italiane non è diversa dal Partito socia lista come massa
degli operai più coscienti e più capaci: essa è lo sviluppo del Con gresso di Bologna, è la
rappresentanza immediata e genuina degli interessi e delle aspirazioni delle grandi moltitudini
popolari italiane. Precisamente per questa ra gione, appunto perché sentono che la maggioranza
del Partito e del popolo italiano è coi comunisti, appunto perché comprendono che la maggioranza
del Partito so cialista diretto dai comunisti (cioè divenuto Partito comunista) riuscirà finalmente a
incanalare le passioni rivoluzionarie che oggi non hanno una forma e una diretti va, gli scrittori
della borghesia si arrovellano contro la nuova frazione, si arrovella no nel voler dimostrare che i
comunisti sono isolati, che la vera democrazia operaia è rappresentata dai « concentrati » di
Reggio Emilia...2.
Che succede però nel mese di novembre? Succede qualcosa di molto diverso da quanto Gramsci
qui preconizzava. L'esasperazione della po lemica tra Serrati e l'Internazionale non conduce, di per
se stessa, la massa dei militanti socialisti a scegliere il suo posto nella frazione comu nista. È
difficile valutare quanto pesino varie componenti, o meglio, qua le di esse sia la maggiore; certo si
è che nella fase precongressuale abbia mo da registrare una serie di fattori ciascuno dei quali gioca
contro l'e- ##
1 «L'Internazionale comunista», a. n, n. 15, gennaio 1921, p. 314.
Antonio gramsci, La frazione comunista, «Avanti! », ed. piemontese, 24 ottobre 1920.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 99
spansione della frazione comunista. La convinzione, ad esempio, di molti dirigenti massimalisti
che il tempo non sia più propizio alla presa del po tere e che quindi convenga restare uniti nel
vecchio partito per affronta re la tempesta reazionaria, è largamente condivisa da quei militanti
ope rai e contadini che cominciano a sentire non solo le avvisaglie e i primi colpi dello squadrismo
agrario ma anche gli effetti della crisi industriale incipiente con i licenziamenti attuati o
minacciati, senza dire della pro fonda depressione che proprio ora si manifesta per il fallimento
dell'oc cupazione delle fabbriche.
Inoltre, il Partito socialista, il suo tipo di organizzazione, sono ap punto quelli che Gramsci tante
volte criticò (con i suoi fenomeni di per sonalismi, elettoralismi, ristretta vita democratica) per cui
è assai diffi cile alla frazione comunista, che nazionalmente ha un'organizzazione gra cile
all'interno delle sezioni, sottrarre nelle assemblee precongressuali la maggioranza a quei dirigenti
tradizionali che si sono schierati o con Serrati o con Turati, con i capi più noti e prestigiosi. Si
aggiunga anche il « patriottismo di partito », su cui sanno far leva i massimalisti unitari, e che
trasforma il proposito di mutare nome al partito in un attentato a tutta la gloriosa tradizione del
movimento italiano racchiusa nei vecchi simboli del PSI. E non meno pesa la propaganda stessa
della frazione co munista che batte, con estrema violenza, soltanto sul tasto della fedeltà ai
deliberati di Mosca e sul tradimento dei « centristi ».
Il convegno della frazione che si tiene ad Imola il 28 novembre ci fornisce ulteriori ragguagli sul
mutamento della situazione.
Dobbiamo a Giuseppe Berti, attraverso le testimonianze offerte in vari tempi e modi alcune delle
notazioni più interessanti sul convegno, dei cui lavori, invece, la stampa della frazione non dice
molto. Un'osser vazione fatta da Berti (esponente dei giovani astensionisti al convegno) subito
dopo la conclusione dei lavori ci da, intanto, il senso stesso della situazione che si presenta ad
Imola:
Il Convegno ha sentito che nel suo seno si concepiva, si elaborava il nuovo par tito comunista. I
convenuti - nella loro grande maggioranza - non si sono affatto preoccupati di ottenere ad ogni
costo la maggioranza al Congresso, non hanno, nem meno per caso, pensato a perdere tempo nella
ricerca di quelle oneste abilità, con sigliate dal compagno Graziadei e dai suoi amici di circolare,
adatte a costruire fra gili passerelle di appoggio verso i «comunisti unitari», ma si sono
preoccupati invece di votare una chiara mozione che fosse la mozione del congresso, non intacca
bile da manovre di corridoio appunto perché votata in un Convegno, non mutabile di una virgola
sola, che non lasciasse appiglio a compromessi dell'ultima ora; che, in altri termini, fosse sicuro
fondamento su cui erigere il nuovo partito comunista '. ##
1 Giuseppe berti, Il Convegno di Imola, «Il Soviet», a. in, n. 31, 9 dicembre 1920.
100 Capitolo sesto
Sono frasi che indicano la linea più pura del bordighismo ma lasciano anche intravedere come il
dibattito del convegno si articoli proprio sulla preoccupazione che manifestano molti dei
convenuti constatando la scar sa base di consensi alla frazione sino a quel momento raccolta; è
una par tenza che rende aleatoria la prospettiva di poter conquistare la maggio ranza al congresso.
Bordiga, quella maggioranza non vuole, è certo, ma gli altri, e l'Internazionale?
Accade dunque che Graziadei per primo proponga di gettare un pon te verso i comunisti unitari, i
« centristi », che all'uopo hanno anche man dato come messo al convegno Arturo Velia. Ma la
reazione di Bordiga è secca: Velia non deve parlare al convegno! Così, il capo degli astensioni sti
convoca i suoi, gli unici che siano veramente già una frazione. È una minaccia di marciare da soli,
molto chiara. Alcuni delegati al convegno, proprio i rappresentanti di quella « terza componente »,
deputati massi malisti che si sono accostati alla corrente comunista, Roberto, Ambrogi, Salvatori,
protestano contro la riunione separata e chiedono lo sciogli mento della frazione astensionista.
Bordiga non vuole dare nessuna spie gazione. Questa volta è lo stesso Gennari, che presiede il
convegno (al teatro comunale di Imola) a fare le sue rimostranze. Per risposta - rac conterà Berti -
« afferrato un nodoso bastone, Bordiga vibrò sul tavolo della presidenza una bastonata terribile » '.
Scoppia così un grave incidente che può mettere in crisi il convegno. È a questo punto che
interviene il rappresentante dell'Internazionale che si è recato ad Imola, quel Chiarini di cui
abbiamo già discorso e che verrà poi giudicato severamente da tutti i dirigenti italiani negli anni
suc cessivi. Secondo la terza testimonianza che dell'episodio ha fornito Berti recentemente ( senza
le reticenze che avevano costellato sia il commento subito dopo il convegno sia i racconti fatti
negli anni trenta quando egli divenne uno dei più aspri accusatori del suo ex leader) le cose si
svolgo no così:
Il rappresentante dell'Internazionale comunista a quel convegno era una per sona poco abile e
poco autorevole, Cain Haller (Chiarini), ma nel momento in cui ci fu una minaccia aperta di rottura
fra i comunisti, si affrettò a chiamare nel palco del teatro imolese in cui aveva luogo il convegno i
due comunisti bordighiani che avevano parlato contro ogni minaccia di rottura tra i comunisti
(Parodi, che era le gato di stima ai dirigenti dell'*Ordine nuovo» e chi scrive queste righe) per dire
loro che l'Internazionale comunista voleva l'unità della frazione comunista e anche una politica di
conquista di tutti gli elementi realmente rivoluzionari del PSI e che la frazione comunista doveva
saperlo e tenerne conto 2. ##
1 Giuseppe berti, Il gruppo del «Soviet» nella formazione del PCI cit., p. 68.
2 id., Ricerca dell'unità all'indomani di Livorno, «Rinascita», a. xxm, n. 4, 22 gennaio 1966.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 101
Accade allora che Parodi e Berti cerchino in effetti di mettere pace affermando che la riunione
degli astensionisti ha avuto come scopo quel lo di un autoscioglimento (che avverrà soltanto alla
vigilia di Livorno). Ma decisiva diventa a questo punto la funzione di riunificazione che svolge
Antonio Gramsci. È lui a impedire col suo intervento che il con vegno fallisca il suo scopo.
Ritroviamo qui uno degli elementi essenziali del processo di svilup po della frazione comunista.
Gli ordinovisti — Gramsci per primo — han no ormai scelto: senza Bordiga non si fa il partito
comunista, bisogna accettare la sua direzione. Gramsci arriva ad Imola avendo appena con cluso
una assemblea importante della sezione torinese nella quale si è operata la saldatura tra
astensionisti, « comunisti elezionisti » (Togliatti Terracini e Tasca) ed il gruppo di «educazione
comunista» (Gramsci, De Biasi, Bianco, Santhià). Gramsci, Parodi e Terracini sono stati eletti
membri del comitato regionale piemontese della frazione comunista uni ficata. Nell'assemblea
della sezione socialista torinese, che ha visto la vit toria dei comunisti, l'antagonista è stato
Giacinto Menotti Serrati giunto appositamente da Milano. E contro Serrati hanno parlato
animatamente tanto Gramsci quanto Togliatti e Terracini. È in questa occasione che Gramsci ha
detto al direttore dell'« Avanti! » milanese che trentamila comunisti sono bastati in Russia per fare
la rivoluzione e Terracini ha ripetuto lo stesso concetto.
Ma l'assemblea torinese ha rappresentato qualcosa di più di un fron te unito di tutti i gruppi
comunisti e del segno della rottura profonda con il « centrismo ». La mozione che conclude
l'assemblea è il punto d'approdo di tutto il movimento rivoluzionario torinese del biennio ros so.
In essa, dopo aver fissato il punto dirimente tra i comunisti e i social democratici ( « intendendo
per socialdemocratici tutti coloro che pensa no che sia possibile effettuare seriamente il trapasso
dal regime capitali stico al regime comunista integrale mediante coalizione con i ceti bor ghesi e
prima quindi della conquista del potere politico da parte del pro letariato » ' ) si offre una visione
del movimento comunista che riflette appieno l'esperienza ordinovista. Si esaltano i Consigli di
fabbrica come la istituzione sovietica della classe operaia italiana; si concepisce il pro cesso di
formazione del Partito comunista come un processo di conqui sta dei lavoratori che parta dalle
officine e si estenda nei sindacati; si pone una netta distinzione nei confronti dell'anarchismo, «
opponendosi energicamente alla propaganda di svalorizzazione del Partito», e si da
1 Il testo della mozione è trasmesso integralmente in un rapporto del prefetto di Torino del 28
novembre (ACS, Min. Interno, Dir. gen. PS, A. g. e r., 1920, G. 1, b. 63).
102 Capitolo sesto
un grande rilievo alla funzione dei « circoli educativi » come sedi natu rali dei gruppi comunisti e
dei commissariati di zona dei Consigli di fabbrica.
Che cosa resta di questa piattaforma ad Imola? Soltanto la carica an ticentrista, che non è certo
poca, è anzi la base della confluenza con Bor diga, e la convinzione che si tratti di fare presto
poiché si è già perso troppo tempo prima di unire tutte le forze rivoluzionarie tra loro. Ma il resto
è sacrificato sull'altare dell'unità e Bordiga, che nell'occasione mo stra di apprezzare fortemente
l'appoggio che gli viene da Gramsci, può vincere sulla sua linea di rottura all'estrema sinistra. Il
resoconto dell'in tervento di Gramsci al convegno è molto pallido. Si capisce ugualmente che la sua
voce è un po' diversa, ma il tono generale è quello del con senso:
Gramsci constata che siamo venuti a questo convegno con la psicologia di quelli che prendono
parte ad una costituente di partito. Questo il nostro stato d'animo. Del resto, anche gli unitari
tendono ad essere un partito analogo a quello socialri voluzionario russo. Forse non a caso Serrati,
all'inizio della rivoluzione russa, la personificava in Cernoff, l'opportunista piccolo- borghese
avversario di Lenin. Gram sci pensa, come ha detto Bordiga, che la discussione non debba avere
l'obiettivo di una polemica con le altre frazioni. Si deve insistere sulla propaganda, sul lavoro da
compiere per arrivare al Partito comunista in Italia. Egli non condivide l'ipotesi della fase
socialdemocratica in Italia; noi siamo molto più vicini alla fase della con quista del potere da parte
del proletariato. L'oratore è per la denominazione comu nista del Partito '.
Gramsci crede davvero che l'ora della rivoluzione sia prossima? È questo un quesito pressoché
impossibile da sciogliere. Negli anni succes sivi sia Gramsci che Togliatti diranno che essi
ritenevano piuttosto che si trattasse di salvare, alla fine del 1920, il nucleo delle forze rivoluzio
narie da un processo, ormai avanzato, di disgregazione del movimento socialista italiano. Il
richiamo più pertinente lo farà Gramsci nel 1924 quando dirà:
Secondo molti compagni, l'occupazione delle fabbriche rappresentò il punto massimo dello
sviluppo rivoluzionario del proletariato italiano. Per noi, con quel l'avvenimento, si iniziava il
periodo di decadenza del movimento operaio. Ebbene, considerando allora quali forze del
movimento socialista fossero le più capaci di ar ginare la sconfitta, noi fummo ancora una volta
con la sinistra. E pensam mo che senza gli astensionisti il Partito comunista non si potesse
costituire 2.
È evidente la contraddizione tra quanto si dichiara nel 1920 e quanto si rievoca nel 1924, eppure
tanto nell'una quanto nell'altra prospettiva, ##
1 «Il Comunista», a. i, n. 2, Imola, 5 dicembre 1920.
2 Da un intervento di Gramsci pubblicato nello «Stato operaio», a. 11., n
. 18, 29 maggio 1924.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 103
la condotta che Gramsci tiene in questo momento resta ispirata alla as soluta necessità di
subordinare tutto alla confluenza con Bordiga (che significa anche, per molte ragioni, la
supremazia di quest'ultimo). Che creda davvero nell'imminenza della rivoluzione o piuttosto pensi
ad un necessario lavoro di « argine » prima di una ripresa - che di questa sua convinzione «
strategica » non si può dubitare, come mostrerà tutta la sua azione sino al 1926 — il segreto del
contegno di Gramsci a Imola, un contegno che contribuisce in modo decisivo a salvare il convegno,
è qui: di Bordiga non si può fare a meno.
Piuttosto, è interessante, poiché è una costante del pensiero politico di Gramsci dal 1920 al 1922,
rilevare la sua polemica contro la « prospet tiva socialdemocratica » bordighiana. Gramsci
continua a pensare al fa moso dilemma avanzato per la prima volta nell'aprile del 1920: o rea
zione violenta della classe dominante o dittatura operaia. Ci tornerà nel 1921, pur subendo
l'impostazione ufficiale del partito che già ora si in travede. Del resto, chi tra gli uomini della
frazione comunista osa ora mettere in discussione uno dei punti centrali della impostazione assun
ta dall'Internazionale per giustificare la scissione dai socialdemocratici, quello che si richiama alla
necessità di avere un partito coeso e comuni sta in vista della prossima occasione rivoluzionaria
considerata immi nente? Anche Bordiga si guarda bene dal farlo.
Al convegno si lascia senza risposta l'interrogativo del « che fare » se al Congresso la frazione
comunista resterà in minoranza. Ma la rispo sta è già implicita: si andrà alla scissione ugualmente.
Il convegno elegge un Comitato centrale della frazione che esprime la raggiunta unità più che la
composizione dei vari gruppi. Accanto a Bordiga per gli astensio nisti, ci sono gli altri che
astensionisti non sono, Misiano, Bombacci, il giovane Polano, i torinesi Gramsci e Terracini e i
milanesi Fortichiari e Repossi che rappresentano un modesto gruppo di massimalisti di sini stra
ma anche una grande città industriale, la città che da Serrati ai « cen tristi » e Turati ai «destri».
Fortichiari e Repossi sono però sin d'ora conquistati completamente da Bordiga. Il primo affianca
anzi lo stesso Bordiga nel lavoro di segreteria.
La mozione finale del convegno sintetizza compiutamente l'intransi genza della frazione senza
neppure quell'appello a « tutti gli elementi ri voluzionari » che Berti ricorda essere stato
raccomandato da Chiarini. Ci si preoccupa piuttosto di quelli che vanno esclusi dal PSI allorché
questo diventi PCI:
a) tutti gli aderenti alla frazione detta di Concentrazione e ai suoi convegni;
b) tutti gli iscritti al Partito che nel presente Congresso daranno il proprio voto
104 Capitolo sesto
contro il programma comunista del Partito e contro l'impegno all'osservanza completa delle 21
condizioni d'ammissione all'Internazionale1.
Un altro punto importante della mozione stabilisce che il patto d'al leanza tra la CGL e il Partito
deve considerarsi annullato e sostituito dal principio della subordinazione del sindacato al partito.
Si parla di con quistare il sindacato e le sue cariche direttive per distaccare la CGL dal «
Segretariato giallo di Amsterdam » e farla aderire all'Internazionale sindacale rossa.
In un certo senso, è vero che il convegno di Imola è già una sorta di costituente di un nuovo
partito ma non si può affermare che tutto sia già stabilito, che i due mesi che separano da Livorno
non possano servire ad altro che ad irrigidire la situazione. Il nodo del problema, non ancora re
ciso, sta nei rapporti tra Serrati e l'Internazionale. Non vi è dubbio che il primo cerchi, nel
frattempo, anche affannosamente, di riallacciare que sti rapporti. Serrati scrive a Zinov'ev il 17
novembre, e, non avendo ri sposta, gli manda un'altra lettera il 7 dicembre (dunque dopo Imola), fi
nora inedita, di cui diamo qui la parte essenziale:
Cher camarade,
au nom du Comité Central de notre fraction communiste unitaire je vous ai en voyé une lettre, il y
a quelques jours, pour vous prier de nous donner un rendez vous, si possible, à Reval [Tallirti
pour discuter de la situation de notre parti. Je n'ai recu aucune reponse...; notre situation en Italie
est assez differente des autres pays. Il n'y a ici personne qui demande de sortir de la III
Internationale et per sonne n'a adheré au congrès de Berne. Si nous ferons une scission, cela sera à
tout avantage des adversaires et notre mouvement se trouvera dans Pabsolue impossi bilité de se
dégager de l'impasse dans la quelle a été mis par l'inéxpérience des in surrectionistes de gauche et
par la satanique abilité du gouvernement de Giolitti, qui nous a poussés à l'action desordonée
avant qu'y nous étions préparés... Mais tout cela sera à discuter...2.
E Serrati chiede nuovamente un abboccamento ma senza un risultato migliore. Se ci fosse stato
quest'incontro le cose sarebbero andate diver samente a Livorno? Ciò che si può dire è soltanto
che Serrati non dispe ra neppure ora di strappare un compromesso a Mosca. Di là, però, la li nea di
condotta è ancora più rigida in dicembre mentre la polemica tra massimalisti unitari e comunisti
divampa più accesa. Tutto pare fare il gioco di Bordiga; in un articolo sul nuovo organo della
frazione che si stampa ad Imola, «Il Comunista», egli può scrivere, il 19 dicembre:
Antidemocratici anche in questo non possiamo accettare come ultima ratio l'e spressione
aritmetica della consultazione di un partito che non è un partito... Il ##
1 Dalla Relazione presentata dalla frazione comunista ecc. cit., p. 2.
2 Il testo originale della lettera in APC, 1920, 33.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 105
costituirsi in Italia di un partito comunista non sarà giudicato in ultima istanza dal la maggioranza
del Congresso nazionale... Se saremo minoranza non potremo subire né la situazione di un partito
diretto da unitari, né quella di una direzione in comu ne tra noi ed essi. Il nostro compito di
frazione è finito... Balza evidente la solu zione logica, coraggiosa e tatticamente squisita della
immediata uscita dal partito e dal Congresso appena il voto ci avrà posti in minoranza...
Come si vede, Bordiga ha tratto già le conclusioni dalla situazione; sa bene quello che vuol fare, lo
dice e lo farà.
Bordiga è anche convinto che questa soluzione sia l'unica che possa corrispondere alle direttive
dell'Internazionale, « ed è quindi fuori luo go supporre che essa non ci approverebbe ». Né gli
mancano, a vero di re, gli attestati di accreditamento da Mosca: c'è una lettera firmata da Aksel'rod
e da Zinov'ev, da Reval, il 20 dicembre, in cui si dice alla di rezione del PSI che « coloro che in Italia
vogliono marciare con l'Inter nazionale devono sostenere la frazione comunista » '. Quando la
rottura tra la redazione torinese dell'« Avanti! » e Serrati2 è approdata alla sop pressione
dell'edizione piemontese e, per risposta, i comunisti fonda no un loro quotidiano, « L'Ordine
nuovo », di cui assume la direzione Gramsci (e Togliatti diviene redattore - capo) l'Internazionale
manda lo ro un caldo saluto esaltando in Torino operaia una « Pietrogrado rossa ». E il giornale lo
pubblica nel suo primo numero, il 1° gennaio 1921.
Che cosa veramente pensano a Mosca della scissione italiana? Perché non rispondono alla
profferta di Serrati? Non sono da trascurare le dif ficoltà obiettive di comunicazione. Lo stesso
Serrati scriverà che la dele gazione dei « comunisti unitari » che doveva incontrarsi con Zinov'ev, e
che sarebbe stata composta dallo stesso Serrati, da Baratono e Velia, non potè partire per la Russia
per il fatto che le lettere e successivi telegram mi contenenti la proposta arrivarono a Mosca con
grande ritardo. Ma per quanto possa parere strano, c'è un ulteriore indizio del convincimen to dei
dirigenti dell'Internazionale che, ci si incontri o meno, Serrati fini rà per cedere. Nella riunione
dell'Esecutivo del Komintern che si tiene il 9 gennaio 1921, Zinov'ev afferma che la frazione
centrista all'imminente congresso socialista italiano « voterà, selon toute vraisemblance, avec les
communistes »3!
L'ottimismo di Zinov'ev è suffragato da elementi internazionali. Il ##
1 Cfr. Lettere e polemiche ecc. cit., pp. 81- 85.
2 Serrati ha ottenuto dalla direzione del PSI la soppressione dell'« Avanti! » piemontese per « in
disciplina» nel corso del dibattito precongressuale, e la sezione torinese decide la nascita di un
nuovo quotidiano «L'Ordine nuovo», che appare il 1° gennaio 1921 come organo del movimento
comuni sta. Come motto il giornale porta questa frase di Ferdinand Lassalle: «Dire la verità è
rivoluzio nario».
3 «L'Internationale communiste», a. 11, n. 16, marzo 1921, p. 3705.
106 Capitolo sesto
congresso del partito socialista francese, tenutosi alla fine del 1920, è stata la seconda vittoria
raccolta dall'Internazionale comunista; Zino v'ev ha inviato un messaggio in cui, tra l'altro, ha
affermato che « la rivo luzione batte alle porte d'Italia » e Klara Zetkin, andata a Tours a rap
presentare l'Internazionale, ha sostenuto con grande efficacia le tesi del la scissione dai
socialdemocratici. L'accettazione dei famosi 21 punti ha raccolto la grande maggioranza dei
suffragi (3247 mandati contro 1308) e la scissione avviene a destra, provocata da una minoranza
capeggiata da Leon Blum, Jean Longuet, Paul Faure.
È anch'essa, come per il partito tedesco, una vittoria di breve durata che dalla cifra di 110.000
aderenti al nuovo Partito comunista (sezione francese dell'Internazionale comunista) che si
conteranno nel 1921 risul ta come 68 000 militanti socialisti si siano rifiutati di entrare nel nuovo
partito e il PCF nel 1922 perderà altri 30 000 iscritti '. Senonché, si tratti di una scissione
veramente minoritaria di destra, o non piuttosto di un processo comune a tutti i movimenti operai
dell'Europa occidentale e centrale che vede schierata nelle file comuniste soltanto una minoranza,
la vittoria politica dell'Internazionale comunista a Tours è indubbia. Ed essa conforta il tono
ultimativo che prende l'indirizzo rivolto dal Komin tern al congresso del PSI. Esso si conclude così:
« Il Partito Comunista Italiano deve essere creato in ogni modo » 2.
Zinov'ev e Bucharin sono stati designati a rappresentare il Komin tern a Livorno (con la
Balabanoff ) ma il governo italiano (come già quello francese) nega loro il visto d'entrata; vi
parteciperanno invece il bulgaro Kabakciev (già in Italia, a contatto coi comunisti italiani3) e
l'ungherese Ràkosi, che non verranno certo ad applicare con souplesse la consegna di ottenere la
resa di Serrati.
I congressi delle sezioni del PSI confermano quanto già appariva chiaro da novembre e dicembre:
che la mozione di Serrati è in mag gioranza. I « centristi » raccolgono 98 028 voti, i riformisti 14
695, i co munisti 58783, nonostante l'appoggio reiterato e stringente del Komin tern.
Conviene rammentare che i massimalisti unitari non si presentano certo come avversari della III
Internazionale. La loro mozione firmata da Serrati, Baratono, Bacci, Momigliano, Velia, Alessandri,
reca:
Il partito socialista... riconferma piena, spontanea adesione alla III Internazio nale, dichiara che
accetta i ventuno punti di Mosca... e quanto alla esecuzione... in- ##
1 annie kriegel, Aux origines du communhme jranqais cit., voi. II, p. 857.
2 L'indirizzo è pubblicato per primo dall'«OrdJne nuovo», quotidiano, il 13 gennaio 1921.
3 Lo si ricava da una nota polemica contro Serrati pubblicata nel "«Comunista», a. 1, n. 7, Imola,
26 dicembre 1920.
Dall'occupazione delle fabbriche alla scissione di Livorno 107
tende siano interpretati secondo le condizioni ambientali e storiche del Paese, che la III
Internazionale ammette per altri Paesi1.
Ma quell'interpretazione nasconde, insieme a malintesi, settarismi e incomprensioni reciproci,
tutt'altro che « necessari », una differenziazio ne politica profonda che il congresso di Livorno
porterà appieno alla luce, dal 13 al 21 gennaio del 1921. La relazione con cui la frazione co
munista si presenta al congresso, firmata da Bordiga e Terracini, non la scia dubbi sulla
delimitazione che essa vuole porre:
Il formarsi di una numerosa frazione che mentre rivendica l'adesione alle diret tive comuniste
rifiuta disperatamente il distacco dalla destra, viene a modificare la situazione ma viene anche a
chiarificarla, viene a spostare sempre più a sinistra la linea che separa i due partiti ancora
conviventi nel partito attuale 2.
Due partiti: i giochi sono fatti prima che si apra il sipario del teatro Goldoni. E quando i lavori
cominceranno, i comunisti faranno risuonare la loro prima voce attraverso la parola di un giovane
(che sono i giovani coloro nelle cui file la frazione ha più profonda mente inciso). Il diret tore di «
Avanguardia », Secondino Tranquilli, salita la tribuna per il ri tuale saluto della gioventù socialista,
prorompe in un grido di guerra agli unitari:
Compagni, oggi la gioventù operaia e contadina di tutto il mondo ricorda il grande campione
dell'Internazionale giovanile, Carlo Liebknecht, a Mosca. L'anno scorso, la gioventù russa, per
ricordare Liebknecht a Mosca, davanti al Kremlino, bruciò il fantoccio di Scheidemann; quest'anno
la gioventù socialista italiana chie de ai rappresentanti comunisti di bruciare qui il fantoccio
dell'unità3. ##
1 Cfr. G. zibordi, Storia del Partito socialista italiano attraverso i suoi congressi, Reggio Emilia s.
d., p. ijo.
2 Relazione presentata dalla frazione comunista ecc. cit., p. 21.
3 XVII Congresso nazionale del PSI cit., p. 25.
Capitolo settimo
Dal teatro Goldoni al San Marco
Il congresso di Livorno, il congresso della scissione, è uno di quei momenti della storia del
movimento operaio italiano che non cessa, a quasi mezzo secolo di distanza, di provocare e
rinnovare polemiche, tra storiografiche e politiche: un «nodo», come si dice nel gergo pubblici
stico, e un nodo intricato. Via via che il tempo è passato nuova luce si è fatta sulle sue vicende, sui
suoi retroscena, sulle sue cause e conseguenze, ma ciascuna delle interpretazioni e delle varianti
illumina spesso più il periodo e il dibattito nel cui contesto le revisioni sono state proposte che gli
avvenimenti del gennaio 1921.
Il fenomeno accompagna la intera storia del PCI; già due anni dopo, col 1923, quando si comincia
ad enucleare la polemica di Gramsci (e poi quella del gruppo di « centro » che si riforma come
nuova maggioranza intorno a lui) contro la leadership di Bordiga e contro il tipo di indirizzo che
questa dette al giovanissimo partito, il ripensamento sottopone a cri tica sempre più aspra il modo
con cui si preparò la scissione, la sua effet tuazione, se non il suo approdo. E ancora più severa
apparirà la recrimi nazione di un gruppo di minoranza di « destra » che avrà Tasca, Vota, Roveda,
Graziadei e altri come dirigenti. Così, la frazione che dai dibat titi del congresso di Livorno appare
sortire compatta, e unita, a rompere col vecchio partito, rivelerà poi di aver nelle sue file vecchie e
nuove spaccature, di aver acceduto alla comune decisione con motivazioni ben diverse.
Un processo in parte analogo si verificherà tra gli stessi socialisti che a Livorno difendono l'unità
del partito : poco più di un anno dopo mas simalisti e riformisti si separano. Si avranno così, negli
anni critici del 1921- 25, tre partiti operai divisi e ostili tra loro e non meno spaccati al loro
interno. Il trionfo della reazione, che nel frattempo si realizza anche per questa divisione,
concorrerà ad alimentare le reciproche accuse e re criminazioni. E le successive esperienze, o di
riconquistata unità d'azio ne o di rinnovata discordanza di linee e di prospettive, riproporranno
con varia intonazione il discorso di Livorno. Ma la rottura era forse inevi-
Dal teatro Goldoni al San Marco 109
tabile nei suoi caratteri di fondo? Conviene guardare a quel « fatale » XVII congresso del PSI, che si
apre proprio nel giorno in cui il proleta riato internazionale celebra il sacrificio di Rosa Luxemburg
e di Karl Liebknecht, tenendo fermi anzitutto i punti essenziali che ne fanno la conclusione di un
processo del quale già abbiamo seguito le fasi, e in cui, si, sono entrati molti elementi di
confusione, di equivoco, di casualità, ma che ha una sua logica interna, ancor più chiaramente
discernibile alla distanza del tempo.
Il processo di scissione è nazionale ed è internazionale. La sensazione che hanno in molti a
Livorno che « i giochi siano fatti » domina l'assem blea, pur tumultuosa, esasperata, quasi attonita
dinanzi alla ineluttabile rottura. La frazione comunista è già un partito. L'Internazionale di Mo sca
ha fatto la sua scelta. Serrati e i massimalisti anche. Ciascuno avrà poi occasione di riflettere sui
propri errori e su quelli degli altri. Ma un inte ro periodo storico si incaricherà di sottolineare la
necessità di quella rot tura che è generale, per tutti i paesi con un forte movimento operaio di
ispirazione marxista. I partiti comunisti sono una cosa, i partiti socialisti un'altra, molto diversa: o
almeno lo sono stati. La differenza è tanto grande che il fossato apertosi nel 1920- 21 non si
colmerà neppure coll'e poca dei Fronti popolari o con la guerra antifascista o con la morte di
Stalin, né tanto meno col XX congresso del PCUS.
Allora, all'inizio del 1921, il primo elemento di differenziazione è in dubbiamente determinato -
pur con tutta la parte di errore prospettico che la convinzione comporta - da questo fatto: i
comunisti sono rimasti i soli a credere che la situazione permanga rivoluzionaria. Lo dice a Li
vorno, ponendolo come discriminante, il rappresentante dell'Internazio nale:
Quale è oggi la differenza tra gli opportunisti e i riformisti? È precisamente questa: che i primi non
riconoscono la situazione rivoluzionaria, non ammettono che le condizioni per una rivoluzione
proletaria siano mature '.
E - ciò che è più importante - lo ripeterà nove mesi dopo Antonio Gramsci, quasi a fissare una
linea divisoria che supera le considerazioni tattiche e acquista il carattere di una scelta generale,
storica:
I capi riformisti affermarono che pensare alla rivoluzione comunista in genera le era pazzesco:
Serrati affermò che era pazzesco pensare alla rivoluzione comunista in Italia, in quel periodo. Solo
la minoranza del partito, formata dalla parte più avanzata e più colta del proletariato industriale,
non mutò il suo punto di vista co munista e internazionalista, non si demoralizzò per gli
avvenimenti quotidiani, non si lasciò illudere dalle apparenze di robustezza e di energia dello
Stato borghese 2. ##
1 Dal discorso di Kabakciev (XVII Congresso nazionale del PSI cit., p. 80).
2 I partiti e la massa, non firmato, «L'Ordine nuovo», 2j settembre 1921.
110 Capitolo settimo
La constatazione è esatta. La frazione comunista si presenta a Livor no come l'unica che mostri di
credere nella rivoluzione italiana imminen te, partendo dallo stesso acutizzarsi della guerra civile.
Per i comunisti è il sintomo del fatto che « la borghesia concentra le sue ultime energie nella difesa
attraverso le guardie bianche », vale a dire i fascisti, già pro tagonisti di numerose violenze nella
valle padana. Nella relazione che Bordiga e Terracini presentano al congresso troviamo scritto:
I riformisti affermano che il proletariato italiano non potrebbe assumere il po tere nel cuore del
mondo capitalistico che lo soffocherebbe col blocco economico e lo schiaccerebbe con l'azione
militare. A ciò si risponde, oltre che col mostrare come sia artificiale la esagerazione di tutte le
difficoltà, col fatto che la rivoluzione italia na si inserirà nella rivoluzione mondiale
rappresentando il punto di passaggio di essa dall'oriente all'occidente, e forse integrando la sua
comparsa in tutto il centro d'Europa, poiché, se una situazione è specifica della rivoluzione russa,
essa consiste nelle condizioni geografiche che hanno permesso di recluderla per tre anni al di là di
una insormontabile barriera che oggi si rivela ormai impotente a contenerla. Ma più che confutare
le obbiezioni dei riformisti interessa valutarle come sintomo della loro opposizione di fatto
all'affermarsi della rivoluzione allorché essa si manife sterà1.
Come si vede, è un'argomentazione più basata su posizioni ideologi che che su una analisi della
situazione, ed è constatazione che dovremo ripetere spesso per questi anni. Ciò non toglie valore
al fatto che il punto di vista dei comunisti sia quello nato dalla convinzione dell'ineluttabilità dello
sviluppo europeo della rivoluzione soviettista. È la scelta per la ri voluzione. Il significato storico
della scissione è questo.
Il dibattito che dura sette giorni, dal 15 al 21 gennaio 1921, nell'af follato teatro Goldoni, in
un'atmosfera turbolenta, se dice qualcosa di nuovo rispetto alle dispute precongressuali è soltanto
in quanto riflette meglio i contrastanti stati d'animo rammentati da Gramsci: scetticismo contro
fiducia, o se si vuole, prudenza temporeggiatrice contro impegno alla fedeltà dei postulati
rivoluzionari fìssati dall'Internazionale comu nista2.
A fissare la rigidità delle frazioni in lotta pare concorra persino la col locazione dei congressisti:
sui palchetti di sinistra i delegati coi 58 000 suffragi comunisti, la platea occupata dai « centristi »
che detengono qua si il doppio dei mandati, 100 000, e sparsi sui palchi di destra i riformisti della
lista di concentrazione che porta 15 000 voti. Per i primi parlano ##
1 Relazione presentata dalla frazione comunista ecc. cit., p. 25.
2 Si vedano, in particolare, per esprimere la sfiducia dei massimalisti nel perdurare dell'occasio ne
rivoluzionaria, le chiare parole di Baratono: egli contesta che si possa parlare di rivoluzione vit
toriosa in Italia, «piccolo povero paese senza risorse», mentre le stesse armi della Russia
bolscevica sono state infrante a Varsavia e infierisce ovunque «la più atroce reazione» (XVII
Congresso nazio nale del PSI cit., p. 114).
Dal teatro Goldoni al San Marco 111
Terracini e Bordiga, oltre a Graziadei, per i secondi Baratono e Serrati, per i terzi Baldesi, Mazzoni
e, per autodifesa, Turati; intervengono an che Lazzari e Vacirca per una piccola frazione «
intransigente » che con fluirà nella mozione massimalista, poi Bombacci, Modigliani, Marabini,
Gennari, Argentina Altobelli, Schiavello, Reina, Abbo e altri. Tra gli invitati stranieri, sostengono in
linea generale la tesi dell'Internazionale comunista (sull'espulsione dei riformisti) nei loro saluti,
Paul Levi, per il VKPD, e lo svizzero Humbert - Droz. Grande è l'attenzione della stam pa italiana. La
cronaca registra incidenti clamorosi tra Vacirca e Bombac ci (che all'accusa di essere un «
rivoluzionario da temperino » replica estraendo la rivoltella, puntandola contro l'avversario, finché
a stento lo riconducono alla ragione Bordiga e Terracini) nonché tra Graziadei e Tu rati e tra
Gennari e Modigliani.
Il clima incandescente si misura appieno nella giornata del 16, duran te il lungo discorso, una vera
vigorosa requisitoria, pronunziato dal dele gato della Internazionale comunista, Christo Kabakciev.
Agli applausi dei comunisti si mischiano le urla degli altri congressisti che, allorquan do l'oratore
ribadisce la espulsione dal Komintern per coloro che vote ranno la mozione massimalista,
esplodono con sarcasmo: «Scomunica maggiore! Viva il Papa! Viva il papachieff, » e anche: « Non
siamo dei servi, non vogliamo legati pontifici »2.
Kabakciev ha preparato il suo discorso, insieme con l'altro, non me no influente, rappresentante
dell'Internazionale comunista, l'ungherese Ràkosi, a Livorno, e l'ha ispirato al più formale
ultimatum, sorretto dal la classica impostazione della polemica precedente: la situazione è rivo
luzionaria, le condizioni per la rivoluzione sono mature, è Serrati che si pone contro la rivoluzione
rifiutandosi di espellere i riformisti: non c'è più tempo da perdere, « domani la borghesia, se il
proletariato le lascia il tempo di rafforzarsi e di organizzarsi sempre più, passerà dalla difensiva
all'offensiva».
Da una lettera- rapporto, inviata da Berlino da Paul Levi al Comitato esecutivo della III
Internazionale, il 20 gennaio, ricaviamo qualcosa di più sul senso e la portata di quel discorso.
Paul Levi, in base ad un diver so orientamento che presto si esprimerà in una polemica violenta
con Mo sca, si batte sin dal suo arrivo a Livorno per scongiurare una rottura con ##
1 «Avanti!», 17 gennaio 1921.
A dire degli equivoci che sorgono sul congresso di Livorno può concorrere validamente que sto
particolare. Le ironiche invettive dei delegati socialisti all'indirizzo di Kabakciev saranno assunte
da Zinov'ev come un capo d'accusa al PST configurato in questi termini: «Il Congresso fu letteral
mente trasformato in un circo equestre. Quando Kabakciev salì alla tribuna si gridò: Viva il papa! »
(dal rapporto al III congresso dell'Internazionale comunista in g. zinov'ev, Le lotte dell'Internazio
nale comunista, Libreria editrice del PCd'I, Roma 1921, p. 30).
3 XVII Congresso nazionale del PSI cit., p. 94.
112 Capitolo settimo
i massimalisti che ritiene funesta. Ha un abboccamento con Serrati con cui si dichiara convinto che
l'espulsione dei riformisti sia giusta e vada proclamata, ma con cui cerca anche una via di
compromesso per non ren dere l'espulsione immediatamente esecutiva e per consentire quindi di
non spaccare intanto a sinistra il partito. Ne parla poi con Kabakciev, che, invece, « riteneva che la
rottura con Serrati fosse l'obiettivo deside rato dal congresso della III Internazionale » l.
Ma dalla stessa lettera di Paul Levi si ricava anche la conferma che la mediazione è ormai
pressoché impossibile.
Dopo essermi congedato da Serrati ho avuto una conversazione con i compagni Kabakciev e
Ràkosi. A essi ho illustrato la conversazione avuta con Serrati e ho loro riferito la mia impressione
di una tensione estremamente forte tra Serrati e i comu nisti e di non essere riuscito a ottenere da
Serrati qualsiasi proposta positiva: da questo punto di vista il colloquio non ha avuto successo.
Kabakciev è d'accordo pienamente con l'intransigenza di Bordiga nei confronti di Serrati. Tra il 16
e il 18 gennaio, Paul Levi, sorretto da Gra ziadei, e forse da altri della frazione comunista, tenta
ancora la via del compromesso ma inutilmente. Ràkosi, dinanzi all'atteggiamento di Paul Levi,
telegrafa a Mosca per chiedere ulteriori direttive e da Mosca lo au torizzano a persistere nella linea
di rottura con Serrati2. L'ultimo filo è « spezzato ».
È nella quarta e ancor più nella quinta giornata che la scissione è resa definitiva. Sull'« Ordine
nuovo » del 19 gennaio si dice che ogni passo è superfluo, si bolla la coalizione Serrati- Turati e si
aggiunge:
Prenda Turati il cadavere del fu Partito socialista e se ne faccia sgabello per la sua ambizione
senile. Comunisti, avanti!
Turati parla quel giorno stesso e più che un'autodifesa la sua è una arringa («Noi creiamo la
reazione, creiamo il Partito popolare, intimi dendo, intimorendo oltre misura... ») contro i « miti »
del bolscevismo e dell'« azione ultima », un atto di fede nel programma del discorso « Rifa re
l'Italia », quello della « ricostruzione sociale del paese ».
Ma è proprio qui che si misura l'abissale distanza che separa i riformi sti dai comunisti. Il discorso
di Turati è anch'esso tutto in chiave ideolo gica. È il rifiuto più netto di ogni soluzione
rivoluzionaria, e non solo quindi di quella preconizzata dall'estrema sinistra per il momento pre-
##
1 La lettera è datata Berlino, 20 gennaio 1921 (all'immediato ritorno di Paul Levi dal congresso, in
Germania. Copia in APC, 1921, 26/33 - 43). Da essa ricaviamo gli elementi surriferiti e altri che
seguiranno.
2 Cfr. l'intervento di Ràkosi al III congresso dell'Internazionale comunista in Protokoll des HI.
Kongresses der Kommunistischen Internationale, Hamburg 1921, p. 329.
Dal teatro Goldoni al San Marco 113
sente. Per Turati il marxismo, il socialismo, sono la negazione stessa del la violenza, della presa
del potere attraverso « l'azione di un'ora o di un anno », si riassumono invece nella preparazione,
« che dura per decen ni», di lente conquiste. E quando affronta il tema politico del rapporto con la
rivoluzione russa egli non nasconde il suo pensiero: che il bolsce vismo farà fallimento, che esso
sin d'ora non è se non « nazionalismo russo che si aggrappa a noi disperatamente per salvare se
stesso ».
Avrà anch'esso - aggiunge Turati - la sua grande funzione nella storia del mon do, aprirà l'Oriente
alla vita civile e chiamerà la Cina, il Giappone, l'Asia Minore, le vecchie razze che sono negli ipogei
della storia alla vita della storia ma non si può sostituire, né distruggere, né imporre alla
Internazionale maggiore dei popoli più evoluti nel cammino della storia '.
Un'ovazione, che parte anche dalla platea folta di massimalisti, acco glie le conclusioni del
discorso e sottolinea un contrasto che non è soltan to politico ma di concezioni ideali. Da Milano,
Anna Kuliscioff può scri vere al suo compagno: « E così, da accusato e quasi condannato, sei di
ventato trionfatore del congresso »2.
Del resto, l'oratore ufficiale dei massimalisti, Baratono, non ha forse impostato il suo discorso
sulla contestazione più radicale del concetto di rivoluzione, quale è acquisito ai comunisti?
Adelchi Baratono afferma appunto che se i socialisti italiani hanno acconsentito, durante l'occupa
zione delle fabbriche, ai miti consigli degli organizzatori sindacali (« abi tuati per loro natura ad
essere molto cauti e a prevedere tutti i pericoli » ) ciò è stato giusto e logico. Quegli organizzatori
conoscevano la psicolo gia delle masse meglio di tutti, sapevano che la rivoluzione non poteva
essere vittoriosa in Italia.
La presenza e l'autorità che si dice avere nel Partito socialista questa nostra de stra non è una
causa della mancata rivoluzione, ma è, se mai, un effetto: dimostra appunto che le condizioni
dell'Italia sono tali che questi destri sono ancora oggi compatibili, o erano ancora ieri compatibili
nelle nostre file '.
Quale migliore omaggio a Turati? Quale migliore incentivo all'in transigenza di Bordiga e di
Terracini? E dai loro discorsi si ha altrettan to netto il senso della diametrale opposizione di
concetti e di ispirazione, che va al di là della disputa sull'espulsione o meno dei riformisti, al di là
della stessa valutazione sulla situazione rivoluzionaria. Si affermano, ne gli interventi dei due
oratori comunisti, due punti di principio che saran no costanti storiche di differenziazione. La
funzione del partito nella ri- ##
1 XVII Congresso nazionale del PSI cit., p. 332.
2 Filippo turati - Anna kuliscioff, Carteggio, voi. V, Torino 1953, p. 422.
3 XVII Congresso nazionale del PSI cit., p. 114.
114 Capitolo settimo
voluzione, la idea di un'autonomia di classe di cui esso è custode e pro pugnatore, da un lato;
dall'altro, la rivendicazione di una tradizione so cialista rivoluzionaria, italiana e internazionale,
che è l'antitesi esatta del l'evoluzionismo riformista o di una predicazione che affidi poi al natura
le maturarsi delle cose l'avvento del potere operaio. Dice Terracini:
La creazione del Partito comunista non è che la risoluzione del problema della creazione del
Partito di classe del proletariato che ha come sua meta la conquista del potere... Il Partito
Comunista è il creatore delle premesse spirituali per la rivo luzione... Perché il Partito politico di
classe è un'arma la quale è assolutamente ne cessaria per la lotta proletaria della conquista del
potere. Perché noi non abbiamo l'idea che il compagno Baratono ci affacciava gratuitamente ieri;
noi non pensiamo ai piccoli ceti ristretti che fanno la rivoluzione e creano degli eroismi; non siamo
della teoria degli eroi, anzi pensiamo che soltanto le masse, inquadrate e ben diret te, possono
compiere grandi cose, e non abbiamo un feticismo per persone, ed è per questo che noi pensiamo
che il Partito non può lui solo fare la rivoluzione, ma pen siamo che deve essere organizzato in
una determinata maniera, perché non sia un ostacolo alla rivoluzione. Un Partito politico di classe
è quello che non crea la si tuazione, ma sa sfruttare la situazione. Il Partito politico di classe è
quello, non che organizza e fa, secondo la sua convenienza, avvenire i fatti nello svolgimento della
vita di un paese, ma è quello che non si lascia mai sorpassare dai fatti, è quello che li prevede e sa
guidarli verso una meta, è il Partito che ha questa meta da raggiun gere '.
E aggiunge Bordiga, portando queste due ragioni:
Vi è la ragione che noi rivendichiamo, la nostra linea di principio, la nostra li nea storica con quella
sinistra marxista che nel Partito socialista italiano con onore, prima che altrove, seppe combattere
i riformisti. Noi ci sentiamo eredi di quell'in segnamento che venne da uomini al cui fianco
abbiamo compiuto i primi passi e che oggi non sono più con noi. Noi, se dovremo andarcene, vi
porteremo via l'onore del vostro passato, o compagni! (Rumori, interruzioni violente da parte della
maggio ranza, applausi dei comunisti).
... E vi è un'altra ragione, o compagni, ed è quella che noi andiamo con la Terza Internazionale...
Uomini proletari, lavoratori sfruttati di tutte le razze, di tutti quanti i colori, si organizzano e si
costituiscono con mille difetti, ma con una idea che sicuramente ci dice che si tratta di una
costruzione definitiva della storia. Essi costituiscono così questo ingranaggio di lotta, questo
esercito della rivoluzione mon diale. Credete voi che dinanzi ad una cosa così grande vi siano i
piccoli errori che possano fare ritrarre chicchessia che non sia un avversario di principio? Che
possa fare esitare chicchessia quando si deve scegliere se stare con la Terza Internazionale, il che
vuole dire nella Terza Internazionale, come vuole la Terza Internazionale, per andarsene invece,
purtroppo per allontanarsi, purtroppo per rimanere estraneo a questo sommovimento di pensiero,
di critica, di discussione, di azione, di sacrificio e di battaglia 2? ##
1 XVII Congresso nazionale del PSI cit., pp. 168 e 171.
2 Ibid., pp. 294- 95.
Dal teatro Goldoni al San Marco 115
Il dibattito di Livorno ha questo tono. Glielo danno, in sostanza, ri formisti e comunisti, a
testimonianza di un'antitesi che si apre, ben al di là delle contingenze del momento, tanto che la
maggioranza massimali sta vi appare doppiamente sconfìtta — come gli anni successivi non fa
ranno che confermare. La cronaca, intanto, procede verso la conclusione naturale che si trae dal
dibattito di idee contrapposte.
Nella mattina del 20 gennaio riprende la parola Kabakciev per l'ulti ma replica a Serrati, quindi
Misiano legge, tra nuovi grandi tumulti, la dichiarazione redatta dallo stesso Kabakciev e da Ràkosi
che preclude ogni ulteriore indugio:
Vi ripetiamo che l'Internazionale comunista respinge ogni risoluzione che non sia quella che vi
impone la frazione comunista e che noi sottoscriviamo '.
Nel pomeriggio si passa ai voti e il mattino dopo, il 21 gennaio del 1921, se ne proclama l'esito,
che abbiamo anticipato, quello che farà dire ai bolscevichi, da Lenin a Zinov'ev, aver preferito
Serrati di rimanere unito con quindicimila riformisti, piuttosto che passare con sessantamila
comunisti. Al teatro Goldoni si succedono gli atti di un nuovo cerimo niale, quello della
proclamazione della scissione. Prima è Luigi Polano che, a nome della Federazione giovanile,
dichiara che essa « scioglie ogni impegno col partito e delibera di seguire le decisioni che prenderà
la fra zione comunista ». Per quest'ultima salgono ancora alla tribuna il depu tato Roberto, per un
addio accorato (« Mi auguro, anche, compagni, che dopo esserci staccati cessino le lotte fratricide»)
e Bordiga che assume un tono freddissimo, sprezzante, in perfetta coerenza collo stile della sua
battaglia. Il suo non è un addio, è un ripudio. Bordiga arriva a contestare persino la regolarità delle
votazioni, quindi fa l'appello formale ai propri seguaci:
I delegati che hanno votato la mozione della frazione comunista abbandonino la sala; sono
convocati alle 11 al Teatro San Marco per deliberare la costituzione del Partito comunista, sezione
italiana della Terza Internazionale 2.
I comunisti escono dalla sala intonando l’Internazionale e si avviano verso la nuova assise di
fondazione, scortati da guardie regie e carabinie ri ma anche da gruppi di operai scesi dalle
gallerie del Goldoni donde avevano seguito i lavori del congresso della scissione. Bacci, che in quel
la seduta siede alla presidenza, fa presto riprendere i lavori al Goldo ni. Ed essi riservano ancora
una sorpresa poiché il delegato massimali sta Bentivoglio pone all'ordine del giorno un vero e
proprio ricorso al ##
1 XVII Congresso nazionale del PSI cit., p. 402.
2 Ibid., p. 411.
116 Capitolo settimo
Comitato esecutivo del Komintern, riaffermando la piena adesione del PSI « alla Terza
Internazionale, accettandone senza riserva i principi ed il metodo », e auspicando che « il
prossimo congresso di Mosca » voglia dirimere una controversia nata « sulla base di un dissenso
di valutazione ambientale contingente che doveva e poteva essere eliminato con opera di
amichevole chiarimento »; non solo. Ci si impegna sin d'ora ad « ac cettare e applicare la decisione
» ' di quel tribunale d'appello.
La sorpresa (se così si può chiamare per chi ponga mente al complica to, ambiguo e appassionato
stato d'animo dei massimalisti verso Mosca, e di gran parte degli stessi destri) non sta tanto nella
proposizione del l'ordine del giorno quanto nel fatto che esso venga approvato all'unani mità,
riformisti compresi. Si è detto che Turati non fosse d'accordo di sottoscriverlo e volesse chiedere
la parola per pronunciarsi contro.
Fu Modigliani che lo forzò a tacere. Gli disse: lascia correre! Tra sei mesi nes suno parlerà più della
Terza Internazionale 2.
Frattanto, al teatro San Marco, alcuni incaricati controllano le tessere dei delegati comunisti
apponendovi il timbro con la falce e il martello. L'organizzazione è stata predisposta a dovere, in
un ambiente che sotto linea l'atmosfera proletaria del convegno. Terracini ce ne ha lasciato il
tratteggio più romantico:
I delegati, che rapidamente avevano occupato la platea del San Marco, non vi trovarono sedie o
panche sulle quali assidersi e dovettero restare per ore e ore ritti in piedi. Sul loro capo, dagli ampi
squarci del tetto infracidilo, venivano giù scrosci di pioggia a riparo dei quali si aprivano gli
ombrelli, con uno strano vedere nel luo go e nell'occasione. Né l'impiantito era in migliori
condizioni, tutto avvallamenti e buche nelle quali si raccoglieva l'acqua, riempiendo l'aria di gelida
umidità. L'inte ro teatro, dalle finestre prive di vetri ai palchi senza parapetti, fino ai sudici tendag
gi sbrindellati che pendevano attorno al boccascena, denunciava l'uso al quale esso era stato
destinato durante la guerra, di deposito dei materiali dell'Esercito 3.
Il I congresso del PCd’I è semplicemente una manifestazione, in due sedute, la prima delle quali
occupata dai saluti dei delegati dei partiti co munisti stranieri4, nonché di Fortichiari per il
Comitato centrale della frazione, di Polano per i giovani, di Ortensia De Meo per le donne e di
quattro operai e organizzatori sindacali: Parodi, metallurgico, Vota, se- ##
1 XVII Congresso nazionale del PSI cit., p. 417.
2 ezio riboldi, Il Partito Socialista Italiano e la Terza Internazionale, ed. «Più Avanti! », Mila no
1922, p. 11; l'episodio è rammentato anche da altre testimonianze.
3 Umberto Terracini, Il 21 gennaio 1921 incomincia la lunga giornata senza crepuscolo, «Rina
scita», a. xxii, n. 4, 23 gennaio 1965.
4 Parlano Kabakciev, R. Bloch, Humbert - Droz, Dealbalfour, per i comunisti inglesi, Bottcher per i
tedeschi, Hansen per i norvegesi.
Dal teatro Goldoni al San Marco 117
gretario del Sindacato dei lavoratori in legno, Ferrari della Camera del lavoro di Parma, Azzario per
i ferrovieri. Nel pomeriggio si procede alla designazione della sede centrale del partito, che viene
fissata a Milano, dove si pubblicherà il « Comunista » bisettimanale, quale organo cen trale, e alla
elezione del nuovo Comitato centrale, di quindici membri, oltre al rappresentante della
Federazione giovanile comunista, che sor gerà ufficialmente una settimana dopo.
I loro nomi sono rappresentativi di tutti i gruppi postisi alle origini del partito: gli astensionisti
Bordiga, Grieco, Parodi, Sessa, Tarsia, il giovane Polano, gli ordinovisti Gramsci e Terracini, gli
uomini che pro vengono più direttamente dal massimalismo, Belloni, Bombacci, Gennari e Misiano,
lo stesso Marabini, e i due milanesi Repossi e Fortichiari. Non si può dire che esso non comprenda,
nel suo carattere provvisorio e iniziale, le forze che hanno creato e assecondato l'azione della
frazione sorta ad Imola. La egemonia di Bordiga — capo effettivo anche se la figu ra del segretario
generale del partito non verrà creata che molto più tardi - va al di là del collegamento con i « suoi
» adepti originari dell'astensio nismo. Repossi e Fortichiari già sono « uomini suoi », e lo stesso si
può dire, per ora, di Terracini che non mancherà di spostarsi anche più a si nistra di Bordiga e che
condivide in pieno, anzi rivendica a sé, la idea tipicamente bordighiana di una fase
socialdemocratica che si aprirebbe nel paese '.
Resta Gramsci, che fa davvero parte per se stesso e di cui si potrà se guire nel biennio 1921- 22 sia
l'acconciarsi o addirittura l'allinearsi all'o rientamento prevalente sia gli spunti, ora timidi ora più
pronunciati, di differenziazione. Ma, sostanzialmente, il primo gruppo dirigente comu nista si
presenta (e non è) omogeneo, raccolto attorno alla figura di mag giore prestigio e maggiore forza,
mentre l’« esercito » (che pur s'assotti glierà) è non meno coeso: un partito i cui caratteri di classe
sono nettis simi, un partito fatto in gran parte di giovani alcuni dei quali ancora mi litano nella
Federazione giovanile, un partito che non intende volgersi indietro.
Che avverrà domani? - si chiede quel giorno del 21 gennaio 1921 da Torino Palmiro Togliatti. -
Noi questo non sappiamo, ma sappiamo che oggi, per noi, è giorno di propositi, di volontà, di
azione 2. ##
1 In un'intervista preparata per «L'Ordine nuovo», il 25 gennaio 1921, Terracini afferma:
«L'opinione che io avevo già sostenuto nei tempi precedenti il Congresso, che un periodo socialde
mocratico si prepara per l'Italia e che era stata combattuta sia dai compagni sia dagli unitari è
uscita rafforzata dal Congresso. Il gruppo parlamentare riuscirà a sovrapponi alla Direzione del
PSI e alla Prima occasione farà il colpo di Stato (repubblicano - socialdemocratico) forse d'accordo
con qualche frazione più o meno avanzata della borghesia».
2 palmiro togliatti, Che avverrà domani?, «L'Ordine nuovo», 22 gennaio i92r.
118 Capitolo settimo
Gramsci non ha preso la parola al congresso né contrasta in qualche modo la linea della rottura a
sinistra. Qualche compagno glielo rimpro vererà, subito.
Mi ricordo - scriverà nel 1924 Montagnana a Togliatti - che due giorni dopo il congresso di
Livorno io rimproveravo ad Antonio di non aver valorizzato le idee del gruppo torinese di fronte a
quelle del gruppo astensionista '.
Gli è che Gramsci è uno dei bersagli preferiti della propaganda mas simalista, che gli rinfaccia il
vecchio articolo filomussoliniano dell'otto bre 1914 e rispolvera per l'occasione anche l'accusa di
«bergsonismo » e di idealismo, più volte affacciata contro gli uomini dell'« Ordine nuo vo», dal
1919, anzi dal 1917. Serrati stesso si è compiaciuto nel suo intervento di notare l'eterogeneità di
ispirazione teorica tra Bordiga e Gramsci. E nell'atmosfera accesa del teatro Goldoni il nome di
Gramsci è diventato quasi sinonimo di interventismo. C'è addirittura chi è arriva to a sostenere
che Gramsci sia stato un ardito di guerra (forse confon dendolo col fratello Mario o forse — come
è stato notato — « con un più o meno turpe sottinteso ironico »2). Egli non si difende dalle accuse,
così ingiuste. « Gli si era probabilmente fatto capire che non era abbastanza oratore per imporsi
ad un'assemblea così ricca di avversari? »3. È più che legittimo cercare nel silenzio di Gramsci (che
pure era stato dato come oratore probabile al congresso nelle cronache congressuali dell'* Avan ti!
» e dell'« Ordine nuovo ») ragioni psicologiche e fisiche: quella riser vatezza, quella debolezza,
quel fastidio delle dispute congressuali su cui molte testimonianze esistono da parte dei suoi
compagni di lotta4. Ma è anche probabile che una profonda amarezza l'abbia pervaso dinanzi al
fatto che persino tra i comunisti ci sia chi (il maestro romano D'Amato) si opponga ad eleggerlo
nel nuovo Comitato centrale che esce dal I con gresso del partito, a scissione conclusa.
Livorno è comunque il segno di quanta distanza ancora intercorra dalla notorietà, dall'autorità di
Bordiga nel movimento alla discussa, e persino misconosciuta, personalità di Gramsci o di
Togliatti, restato al giornale. « L'Ordine nuovo» è il primo organo del partito e ad esso si affianca, a
Trieste, l'altro quotidiano comunista, « Il Lavoratore », diret to da Tuntar (poi da Gennari).
Il partito ha già elaborato il suo statuto interno. Nei 67 articoli che
1 Cfr. p. 190, nota 2, del presente volume.
2 giansiro ferrata, prefazione a 2000 pagine di Gramsci cit., voi. I, Milano 1964, p. 102.
3 Ibid.
4 Alfonso Leonetti, ad esempio, ha scritto che il silenzio di Gramsci va attribuito in questo caso a
considerazioni del tutto secondarie, in particolare al fatto «che non c'erano ancora gli altoparlanti
per voci deboli come la sua». Cfr. alfonso leonetti, Gramsci negli scritti dell'«Ordine Nuovo»
quotidiano, «Il Ponte», a. xxn, n. 3, marzo 1966, p. 338.
Dal teatro Goldoni al San Marco 119
lo compongono c'è la tensione, la volontà, il rigoroso senso di disciplina che lo pervadono. È il
regolamento di un esercito nel quale la cosa più importante da salvaguardare è appunto il criterio
della subordinazione del singolo militante al collettivo, al deliberato degli organi dirigenti. Si
stabilisce che ogni nuovo « socio » è sottoposto a un periodo di candida tura di sei mesi e che,
qualora manchi per tre assemblee consecutive sen za giustificare la sua assenza, verrà radiato; si
fissa non solo il controllo più rigido sulla stampa, sul movimento giovanile, da parte del Comitato
centrale, ma anche il principio che il Comitato esecutivo di una federa zione dipende direttamente
dal Comitato esecutivo nazionale, composto di cinque membri, di cui viene sottolineato il carattere
collegiale. I se gretari delle federazioni saranno nominati dal Comitato centrale, l'orga nizzazione
di base è la sezione territoriale '. Nessuna delle sollecitazioni « ordinoviste » sul legame tra partito
e classe necessario nei luoghi di produzione si traspone nello statuto, né nella realtà.
Ad illustrare lo spirito di queste disposizioni può bastare quanto scri vono Bordiga e Terracini
nella loro cicata relazione (elaborata contempo raneamente allo statuto):
Candidatura e revisione periodica, avvicendandosi e completandosi, faranno si che il partito
comunista risulti nell'avvenire omogeneo, agile, libero dell'enorme ventraia di abulici, di timorosi,
di opportunisti che oggi deforma ed appesantisce il partito socialista... Il partito comunista è
costituito sulla base di un accentramento che si manifesta sia nella sua organizzazione come nel
suo funzionamento... Questo accentramento non può però risolversi soltanto in una meccanica
sostituzione della volontà del Comitato centrale alle volontà singole ed individuali: ma si
verificherà tanto più quanto più il Comitato centrale avrà la capacità di creare una mentalità, una
forma di giudizio, una volontà ugualmente diffusa nel partito 2.
Se diamo uno sguardo, intanto, alla disposizione geografica dei voti espressi a Livorno dalla
mozione comunista, vediamo che i più numerosi sono stati a Torino (4518), a Trieste (4462), a
Novara- Vercelli (7127), ad Alessandria (4504), a Firenze (4003). Debole è la base di partenza a
Milano, buona a Genova, a Cremona, a Forlì, a Ravenna, discreta a Bologna, a Massa, a Perugia,
gracilissima nel Mezzogiorno (dove il par tito raccoglierà appena il 10% dei suoi effettivi) nel
Veneto, nel Lazio.
Il quadro iniziale si completa con l'adesione della Federazione giova nile che a Firenze, il 27
gennaio 1921, in un congresso assai sbrigativo (ai dissidenti non è concesso neppure di adire la
tribuna degli oratori) passa in blocco al PCdT (35 000 voti su 43 000). Il Comitato centrale della
Federazione giovanile comunista italiana è composto da Berti (che ne di- ##
1 Statuto del partito e disposizioni transitorie, Milano (Palazzina Porta Venezia) 1921.
2 Op, cit., p. 32.
120 Capitolo settimo
viene segretario) Longo, Mangano, Capitta, Gorelli, De Marchi, Beltra melli, Polano, Lambertini e
Tranquilli, direttore dell'« Avanguardia». Ma la storia del Partito comunista italiano comincia in un
modo che non consente neppure per un mese un lavoro di tranquilla organizzazio ne e
costruzione di forze e consensi. Sorge nella bufera di una guerra ci vile che si sta scatenando. È la
prova che la scissione è stata un errore? Il problema non può essere impostato in questi termini. Il
biennio rosso ha già maturato una scissione inevitabile, semmai l'ha procrastinata inu tilmente. Il
processo nazionale e internazionale della lotta tra comuni smo e socialdemocrazia non poteva che
condurre ad essa. Il problema aperto (aperto storiograficamente, come è stato per anni aperto
politica mente) è quello della forza effettiva che l'ala rivoluzionaria del movi mento è riuscita a
portare con sé, e di come quindi si è trovata a fronteg giare la reazione. Su questo aspetto è giunta
presto un'autocritica da parte comunista, anche profonda, perché non ha eluso il nesso tra la scis
sione e l'indebolimento della resistenza operaia all'offensiva dell'avver sario di classe. Gramsci
giungerà nel 1923 a collegare la vittoria fascista con il modo della scissione, ad annotare che non
essere riusciti nel 1920 1921 a portare all'Internazionale comunista la maggioranza del proleta
riato italiano è stato « senza dubbio il più grande trionfo della reazio ne»1. Le responsabilità dei
comunisti verranno quindi da lui ricercate proprio in quella direzione: l'insufficienza, il ritardo, la
mancata prepa razione tempestiva di una grande frazione comunista nel biennio rosso e
l'astrattez za d'impostazione data alla battaglia precongressuale, sotto la guida di Bordiga. Gramsci
scriverà infatti nel 1924 che da Imola sino a Livorno la frazione comunista si limitò
a battere sulle questioni formali, di pura logica, di pura coerenza, e, dopo, non sep pe, costituito il
nuovo partito, continuare nella [sua] specifica missione, che era quella di conquistare la
maggioranza del proletariato 2.
È interessante notare come questa fosse anche la preoccupazione principale espressa da Paul Levi,
dinanzi alla scissione di Livorno, nella lettera già citata:
Tutto sommato, sono dell'opinione che se noi ora e in questa situazione rom piamo con Serrati,
guastiamo gravemente per un lungo periodo la nostra posizione in Italia. Non parlo di Serrati ma
del fatto che saremo straniati da una grande mas sa di proletari rivoluzionari. Mi permetto anche
di richiamare la vostra attenzione sull'effetto che questa scissione avrà su altri paesi, ove già ci
tocca lottare fortemen te contro la taccia di scissionisti del partito. ##
1 Da un appunto, senza data, ma riferito al 1923, ora in La formazione ecc. cit., p. 102.
2 Antonio gramsci, Contro il pessimismo, «L'Ordine nuovo», serie III, quindicinale, a. i, n. 2, 15
marzo 1924.
Dal teatro Goldoni al San Marco 121
Gramsci non si arresterà però dinanzi a quella autocritica. Il dramma del movimento operaio nel
quale si situa la scissione di Livorno egli lo coglie in tutta la sua interezza per aggiungervi un
motivo di orgoglio che è anche il segno stesso sotto il quale si muove la prima vita burrascosa del
nuovo partito.
Fummo - bisogna dirlo - travolti dagli avvenimenti, fummo, senza volerlo, un aspetto della
dissoluzione generale della società italiana, diventata un crogiuolo in candescente dove tutte le
tradizioni, tutte le formazioni storiche, tutte le idee pre valenti si fondevano qualche volta senza
residuo: avevamo una consolazione, alla quale ci siamo tenacemente attaccati, che nessuno si
salvava, che noi potevamo af fermare di aver previsto matematicamente il cataclisma, quando gli
altri si cullava no nella più beata e idiota delle illusioni. Solo questa giustificazione possiamo dare
ai nostri atteggiamenti, alla nostra attività dopo la scissione di Livorno: la necessi tà, che si poneva
crudamente, nella forma più esasperata, nel dilemma di vita e di morte, cementando le nostre
sezioni col sangue dei più devoti militanti; dovemmo trasformare, nell'atto stesso della loro
costituzione, del loro arruolamento, i nostri gruppi in distaccamenti per la guerriglia, della più
atroce e difficile guerriglia che mai classe operaia abbia dovuto combattere. Si riusci tuttavia: il
partito fu costi tuito e fortemente costituito: esso è una falange d'acciaio... '. ##
1 Antonio gramsci, Contro il pessimismo cit.
Capitolo ottavo
Di fronte al fascismo
La situazione italiana registra una svolta profonda, inattesa, nel 1921, che capovolge il quadro
generale. I sintomi si hanno già nell'autunno del 1920. Il fallimento dell'occupazione delle
fabbriche ha indubbiamente portato con sé un mutamento dei rapporti di forza, ha sconvolto il
diffi cile equilibrio giolittiano. È vero che il vecchio uomo di Stato è uscito vittorioso dalla prova di
forza ma è stata soltanto una vittoria tattica di cui non gli sono grati gli ambienti industriali, che
egli ha forzato ad ac cettare una soluzione di compromesso, né il Partito socialista che, lace rato
dalle divisioni interne e dalla scissione, non esce però dalla sua tra dizionale posizione di
intransigenza. Di fronte al procedere della crisi e conomica, la scelta reazionaria dei gruppi
dirigenti, degli agrari in primo luogo, punta su una resa dei conti col movimento rivoluzionario
che va ben al di là del metodo giolittiano e lo stesso governo Giolitti non solo lascia campo alla
loro iniziativa e organizzazione ma pensa che, sfumata la carta della collaborazione socialista,
quella della violenza fascista, che ora si scatena, possa essere giocata vantaggiosamente.
Accanto ai propositi e alle necessità si colloca una spinta psicologica di ritorsione, di vendetta,
quella che è stata chiamata la « controrivolu zione preventiva » e che involge non solo i ceti
dirigenti ma una vasta base di manovra negli stati intermedi della città e della campagna, e an che
in zone del sottoproletariato. Ciò che colpisce, nel 1921, è che la rea zione ha a sua disposizione
molti più uomini, e forze, e moventi psicolo gici, di quanti il movimento socialista non abbia
saputo nonché preve dere neppure immaginare.
Le « squadre d'azione » fascista introducono, nella lotta politica, un elemento nuovo, quello del
sovversivismo di destra, avente subito come bersaglio le organizzazioni operaie, che supera di
gran lunga il quadro abituale degli scontri di classe e coglie assolutamente di sorpresa i partiti
operai. Alla rivoluzione mancata tiene dietro un riflusso che rende vane le stesse dispute dottrinali
che occupano socialisti e comunisti. Non è più questione di discutere sull'assalto allo Stato
borghese. Di settimana in
Di fronte al fascismo 123
settimana sono le Camere del lavoro ad essere bruciate dalle squadre fa sciste, i municipi assaliti,
le cooperative socialiste disciolte o distrutte, i giornali operai devastati, i militanti assassinati, la
stessa massa lavora trice colpita da licenziamenti massicci che scompaginano la sua resisten za
sindacale, e la fanno precipitare in una depressione profonda, rapi dissima.
La reazione diviene travolgente, protetta localmente più che tolle rata dalla « forza pubblica »,
prima nelle zone agricole della valle padana, in Emilia, in Toscana, dove si muove come vero «
braccio punitivo » de gli agrari contro i braccianti rossi, poi in quelle stesse città industriali del
Nord che pochi mesi prima erano state teatro dell'occupazione delle fabbriche. È una storia ormai
descritta in tutti i suoi più minuti partico lari e più che ripercorrerla nell'insieme preferiamo citare
una testimo nianza personale, una lettera sconfortata di Giacinto Menotti Serrati a Jacques Mesnil,
in cui così sono descritti il fenomeno, e il suo effetto sul movimento operaio:
È tutto il nostro vecchio movimento - scrive il leader massimalista - che viene sfasciato da una
scatenazione di violenza che non ha eguale in nessun altro paese. Giolitti non c'entra. Questo
vecchio routinier della vecchia routine parlamentare ha evocato il diavolo fascista per vincere
elettoralmente ed ora egli stesso ne è vitti ma... Quella che ci tormenta è una tale reazione che
difficilmente si può immaginare, perché non è dello Stato, non parte dai poteri pubblici, viene dal
basso, si manifesta secondo gli arbitrii, la criminalità, la brutalità dei diversi ambienti. Tutto il
basso fondo sociale si è armato di rivoltelle e di pugnale, di moschetti e di bombe a mano, si è
inquadrato, si è assoldato a venti- trenta lire al giorno e vive della caccia al socia lista... Viviamo
giornate angosciose. E non vi è nulla da fare contro tanta impunita prepotenza perché, purtroppo,
mentre tutti parlavano di rivoluzione, nessuno la preparava. Ora noi siamo le vittime di
quell'infatuazione rivoluzionaria a parole che ingannò non poco tutti nei mesi andati... La
borghesia impaurita dal nostro ab baiare morde e morde sodo '.
La lettera porta la data dell'aprile del 1921 quando lo scatenamento dell'azione squadristica è
ormai generale che, se nell'autunno del 1920 e nell'inverno 1920- 21, sono le leghe contadine
emiliane, le Camere del lavoro di Modena e Bologna, Ferrara, Rovigo, ad essere distrutte, la ma rea
ora monta a Trieste, nel Veneto, in Piemonte, in Lombardia, in Li guria, in Toscana. In marzo è la
Casa del popolo di Siena ad essere bru ciata, e poi quelle di Arezzo e di Prato, e le spedizioni
punitive si molti plicano nel mantovano, nel vicentino, nell'Istria, a Savona, a Torino, a ##
1 La lettera, inviata il 28 aprile 1921, è stata da noi reperita presso l'Istituto Feltrinelli, in una
cartella del fondo Tasca dedicata a U occupazione delle fabbriche. Alcune frasi della lettera furono
riportate dallo stesso Tasca nella prefazione alla prima edizione italiana del suo volume, Nascita e
av vento del fascismo cit., pp. xxm- xxiv.
124 Capitolo ottavo
Milano. Serrati rivela nella lettera uno sconforto e un senso di impoten za che diviene
caratteristico dei socialisti (più dei massimalisti che dei riformisti) ma, nondimeno, fotografa
esattamente il capovolgimento or mai operatosi nella situazione. E anche se al congresso di
Livorno il tema della « reazione bianca » non è stato che assai poco affrontato, il PCd'I situa il suo
atto di nascita all'angolo di questa svolta. Sorge come il partito della rivoluzione, di quella
rivoluzione che il PSI non ha sa puto condurre innanzi, e si trova quasi subito disperatamente
impegnato a salvare dai colpi dello squadrismo fascista la propria gracile organizza zione. La
prima fase dello squadrismo è stata così tratteggiata dai comu nisti stessi, anni dopo, cominciando
col ricordare l'assalto a palazzo d'Ac cursio del novembre 1920, il classico inizio del fascismo
armato contro i proletari :
Da Bologna l'azione fascista si irradiò nel Ferrarese, la propaganda, intensa, fat ta con mezzi
vastissimi, in Toscana. A Ferrara i socialisti più audaci organizzarono la difesa presidiando i locali
pubblici; respinsero in un primo tempo l'assalto fasci sta alla Camera del lavoro, al palazzo della
giunta, al comune socialista. L'azione è così sanguinosa per i fascisti, la loro disfatta così terribile
che non possono sperare in una rivincita. Gridano alla imboscata bolscevica (questo trucco lo
seguiteranno ad usare spesso quando le buscano). Lo Stato interviene, gli arresti in massa spez
zano la resistenza operaia. Anzi, il governo appoggia l'azione fascista coll'imporre il disarmo delle
due province emiliane. S'intende che a deporre le armi è il solo pro letariato nelle modeste stanze
del quale carabinieri e polizia frugano, battono, rom pono... Lo Stato ritira in tal modo 5000 fucili,
migliaia di rivoltelle, pugnali, baio nette, munizioni, bombe, proiettili in grande quantità. I fascisti
hanno i loro deposi ti nelle ville dei signori, nei magazzini militari, quindi restano armati,
aumentano di prepotenza '.
Più interessante ancora è la descrizione, dalla stessa fonte, dell'ir rompere dello squadrismo in
Toscana:
In due mesi di vita gli uomini del giovanissimo PC avevano lavorato in Toscana. Sezioni numerose
nelle città, buone sezioni nelle campagne. Simpatia di forti masse operaie e contadine per il
comunismo. L'allegro spirito massimalista un po' rodomontesco, poco costruttivo, non poteva
essere distrutto di colpo, ma era abba stanza organizzato per renderlo costruttivo. L'armamento
delle sezioni era comin ciato, qualche principio di collegamento regionale si andava stabilendo.
Il giorno 27 febbraio, a Firenze, i fascisti tennero un grande corteo dopo il qua le, divisi in squadre,
cominciarono a provocare gli operai coll'imporre di togliersi i distintivi, le cravatte, ecc. Le forze
armate erano mobilitate, accresciute di numero e presidiavano la zona senza intervenire. Gli
operai cominciarono a rispondere. Una bomba fu anche lanciata su un corteo fascista. I gruppi
operai come norma di com battimento seguivano la più elementare: contrattaccare i fascisti
quando questi si presentassero nel quartiere. I fascisti invece tenevano una tattica ad irradiazione;
in nuclei di attacco dal centro alla periferia. Compivano le loro puntate come le pat- ##
1 Cfr. p. 34, nota i del presente volume.
Di fronte al fascismo 125
tuglie d'assaggio di un piccolo esercito di manovra che aveva il grosso nei reparti dei carabinieri,
nelle guardie regie, ammassate nei punti strategici. Non appena le zuffe si generalizzavano e tutta
la massa operaia combattiva, colle poche sue armi, fu impegnata, la forza pubblica sferrò l'attacco
in appoggio dei fascisti. La battaglia durò quattro giorni, si estese alla provincia, alle province
vicine. Mentre essa infu riava, manipoli di esecutori fascisti cercavano i capi comunisti, individuati
già come uomini (Spartaco Lavagnini, 1 marzo).
La truppa usò mezzi moderni di combattimento. Il paesino di Scandicci, ad esempio, fu espugnato
con le autoblindate e impiegando una batteria da 75. Em poli- Signa- Prato tennero testa, furono
espugnate a fatica. I fascisti venivano allog giati nelle caserme e armati.
Il documento, ricordato il cruento bilancio della battaglia (più di 20 morti, 150 feriti e 1500
arrestati), sottolinea un elemento molto impor tante nel valutare la debolezza della risposta
operaia, cioè la struttura so stanzialmente regionalistica del movimento, che è più evidente nel Par
tito socialista (in cui manca, nella pratica, un'organizza zione centraliz zata) ma che si ripercuote
anche nelle file comuniste, almeno nei primi tempi:
Gli operai sono impregnati del semplicismo massimalista. Pieni di fede e di au dacia, dicono: qui
non vengono. E accarezzano le vecchie pistole; i fucili, le poche munizioni che individualmente
hanno portato dal fronte o hanno comperato lesi nando il pane. Alla prima provocazione, tutti
scendono in piazza. La lotta si identi fica colla zuffa. Le riserve per provvedere alle fasi seguenti
del combattimento non vengono preparate. Gli stessi combattenti non hanno chi li sostituisca
quando ca dono o vengono tagliati fuori. Restano facilmente isolati, spezzettati, sopraffatti...
Il fenomeno vale per le stesse grandi città del Nord. Più di tutti im pressionante è il caso di Torino
dove lo squadrismo fa la sua comparsa in massa nel mese di aprile. Così si esprime in proposito lo
stesso docu mento:
Torino è il centro criticamente operaio d'Italia, anche militarmente il più forte e meglio
organizzato. Per quanto nella massa siano nati malumori e stanchez ze per l'eroismo sprecato così
nella occasione dell'occupazione delle fabbriche, la città fa pensare e da soggezione a coloro che
vorrebbero schiacciarla. Il governo incomincia a sostituire tutti i reparti di truppa, i funzionari più
democratici, prepara le forze adatte sufficienti a contenere e schiacciare qualunque moto serio
della popolazione. Intanto, da Alessandria i fascisti attaccano in forze verso Torino. Sono
spedizioni punitive che vanno su Bra, Casale, ecc. Alla popolazione operaia di Torino si lancia no
sfide e si fanno minacce. È chiaro il programma di provocare per tentare la soffo cazione armata. I
fascisti locali vengono obbligati ad una guerriglia di strada, nella notte tendono imboscate, fanno
sciocche provocazioni. Il 28 aprile, oltre 100 fasci sti protetti da altre pattuglie e dalla forza
pubblica, assalgono ed incendiano (ore 3 del mattino) la Camera del Lavoro. La difesa interna
organizzata da mesi, appunto per l'attesa troppo prolungata, e perché isolata al centro stesso
dell'attacco, mal grado il sacrificio dei suoi componenti non risponde allo scopo e resta
sopraffatta.
126 Capitolo ottavo
La stampa e la propaganda comunista reagiscono allo sconcerto pro vocato dallo scatenamento
squadristico riaffermando in primo luogo la loro fiducia nella rivoluzione. Gramsci nega che il
periodo possa definirsi di per sé reazionario, sostiene che « la guerra aperta delle classi non può
finire che con la presa del potere da parte del proletariato » e che « il complesso degli avvenimenti
in corso è la documentazione più vistosa ed abbondante della definitiva decomposizione del
regime borghese » '.
È un giudizio che si articolerà variamente nei mesi successivi ma esso va visto in rapporto
all'atteggiamento del PSI che si limita in questi me si a dare la parola d'ordine di non muoversi2, di
attendere e addirittura, in giugno, di cercare una pacificazione coi « sovversivi » dell'estrema de
stra. Lo stesso concetto di reazione, quale è acquisito alla esperienza sto rica del movimento
operaio, riconduce entrambi i partiti a ritenere che si tratti d'un'ondata passeggera. Il PSI,
richiamandosi alle crisi del pas sato, da quella di fine secolo al 1914- 15, è quasi portato a sperare
che anche « questa volta come tante altre la reazione borghese in ultima ana lisi finisca di lavorare
non per sé ma per il socialismo ». E l'attendismo, così tradizionale, determina appunto la tattica
socialista di « non accetta re battaglia »4.
Il PCd'I, fermo nell'idea che l'ora della rivoluzione è, se non vicina, sicura, si ispira piuttosto agli
esempi di reazione che si sono avuti nel dopoguerra in Russia e in Germania a cui sono succeduti
o possono suc cedere contrassalti vittoriosi dei lavoratori (non a caso, si parla sempre di « guardie
bianche » per le camicie nere) e trasparentemente mostra specie nei documenti ufficiali ma anche
negli scritti vergati o ispirati da Bordiga, oppure da Gramsci5 - di ritenere che la crisi dei poteri
pubbli ci, dell'equilibrio borghese democratico, già segnalata e quasi perorata ##
1 Reazione?, «L'Ordine nuovo», a. I, n. 113, 23 aprile 1921. È interessante notare come il con cetto
verrà ripreso anni dopo da Bordiga. Commemorando Lenin, in occasione della morte, in una
conferenza alla casa del popolo di Roma il 24 febbraio 1924, Bordiga dirà: «La controrivoluzione
borghese è per noi la prova della inevitabilità della rivoluzione» («Prometeo», rivista di cultura
socialista, a. 1, n. 13, 15 marzo 1924).
2 « I nostri compagni evitino qualunque provocazione e siano fermi a difendere, con i metodi che
sono propri della civiltà socialista, il patrimonio ideale e materiale del socialismo... Al lavoro della
propaganda, del proselitismo, dell'organizzazione! »; dal comunicato della direzione del PSI del 17
febbraio 1921, riprodotto sull'« Avanti! » del 18.
3 «Comunismo», a. 11, n. 9, 15 febbraio 1921, nella rubrica redazionale a cura di Serrati, La
quindicina politica.
* «Comunismo», a. 11, n. 12, r>3i marzo 1921, in un articolo firmato «Il Comunista», dove si
sostiene, appunto, che conviene non lasciarsi prendere dall'impazienza ma «restare
incrollabilmente nel proprio posto, prepararsi, non offrire pretesti a facili vittorie politiche».
5 Oltre alle prese di posizione di Bordiga che richiameremo più avanti è interessante fissare l'af
finità del pensiero di Gramsci su questo terreno. « La distruzione dello Stato - egli scrive - la fine
della legge, la dissoluzione della società, in cui si riassume la situazione politica italiana odierna
che cosa sono se non la fine della borghesia come classe capace di garantire un ordine, di creare e
man tenere in vita uno Stato? » (Fascismo giornalistico, non firmato, « L'Ordine nuovo », 13
maggio 1921 ).
Di fronte al fascismo 127
nel passato, gioverà alla semplificazione della lotta, smaschererà l'acco modantismo
socialdemocratico, e aprirà la strada all'unica forza coeren temente rivoluzionaria. Tanto peggio,
tanto meglio. Ci sarebbe soltanto l'imbarazzo della scelta per documentare tale indirizzo, che
diviene, di nanzi alla decisione di Giolitti di sciogliere la Camera e di indire nuove elezioni, e al
blocco elettorale che raggruppa, coi fascisti, i democratici liberali, uno scatto di gioia.
Sarà la bancarotta - si legge su « Rassegna comunista » - della pletorica forza elettorale e
parlamentare del PS. Il fascismo, strepitosamente battuto nell'urna nel 1919, dominerà - grazie al
piombo e alla fiamma - le situazioni elettorali. È utilissimo che sia così. Nessuna migliore prova
della giustezza delle direttive rivo luzionarie dei comunisti. Se veramente la borghesia andrà sino
in fondo e nella rea zione bianca strozzerà la socialdemocrazia, preparerà - non sembri un
paradosso le migliori condizioni per la sua rapida sconfitta da parte della rivoluzione. Forse la
borghesia si fermerà in tempo; appena il gladiatore fascista avrà atterrato l'avversa rio, il suo
padrone, lo Stato borghese, fermerà con un cenno il colpo di grazia e ten derà una mano al
caduto... '.
Sono già evidentissime, qui, due delle ipotesi che guideranno l'orien tamento del partito: l'idea che
il fascismo sia uno strumento docile, ma novrabile a comando, della borghesia, anzi del governo, e
l'altra che, proprio per la meccanicità di un certo disegno, il punto d'arrivo, quando la violenza
squadristica avrà esaurita la sua funzione dirompente, sarà un tipo di coalizione
controrivoluzionaria basata sulla « socialdemocra zia» e sulla borghesia di propensione giolittiana.
Bordiga, alla vigilia delle elezioni, scrive:
Che fascismo e socialdemocrazia prendano oggi rotte convergenti può sembra re a molti un
paradosso ma è qualcosa di più di una profezia affidata alle dubbie conferme del futuro. Il
linguaggio dei leaders socialisti e fascisti lascia vedere chia ramente che, man mano che il PS va
denunziando i metodi rivoluzionari, il movi mento fascista disarma le sue forme di violenta
repressione e la distanza tra i due contendenti tra poco si ridurrà alla distanza che separa due
contraenti... La borghe sia non si sogna di soffocare che i movimenti che esorbitano dai quadri
della demo crazia, sistema che non si sogna di sopprimere. Sui confini di questo suo sistema, essa
si difende e lo difende col terrore e la reazione, ma non ha bisogno di chiudere il libro del
parlamentarismo per aprire quello delle repressioni, come pensa la cor rente superficialità degli
pseudosocialisti... Fascisti e socialdemocratici sono due aspetti dello stesso nemico di domani2.
Lo squadrismo ha scompaginato, tra l'autunno del 1920 e la prima vera del 1921, più il movimento
socialista (e in esso più le roccaforti ri- ##
1 Tra le gesta fasciste e la campagna elettorale, «Rassegna comunista», a. 1, n. 2, 1; aprile 1921.
Editoriale anonimo.
2 «Il Soviet», a. iv, n. 11, 1; maggio 1921.
128 Capitolo ottavo
formiste delle cooperative, dei municipi, delle Camere del lavoro, delle leghe contadine e
bracciantili) che il movimento comunista. Una certa pausa, alla vigilia immediata delle elezioni
(pur seminata di violenze), è troppo presto presa a indice di un'evoluzione come quella che
preconizza il PCd'I. Ma vi è qualcosa di più, implicita nella tattica del tanto peggio tanto meglio,
che è svelata dal rapporto, firmato da Bordiga, Fortichiari e Grieco e inviato al Comitato esecutivo
dell'Internazionale comunista nel maggio e che così delinea la prospettiva:
Siamo ora in un periodo di preparazione e non ancora di azione diretta. Ma que sta preparazione
deve compiersi sul piede di guerra perché l'avversario non ci lascia una tregua per organizzare le
nostre forze. Ed è bene che essa si compia in questo modo poiché è urgente esercitare il
proletariato alla lotta; alla quale i suoi avversari stessi non cessano di provocarlo. Forse la guérilla
borghese proseguirà fino a far scoppiare una risposta folgorante delle masse oppresse, forse
piétinera sur piace e allora saranno le forze rivoluzionarie a scegliere l'ora della battaglia finale '.
Il partito cammina lungo la china di quella illusione e bada anche a non dare troppo rilievo di
denuncia e di scandalo alle gesta squadristi che, sia per non abbattere i militanti sia per
sottolineare i sintomi di una « controffensiva » che « forse è più vicina di quanto non dicano le
appa renze »2. Si raccomanda ai giornalisti e alle organizzazioni di attenersi a tali avvertenze e si
è fieri di andare alle elezioni contro tutti.
Giolitti scioglie la Camera il 7 aprile e convoca i comizi elettorali per il 15 maggio. Il vecchio uomo
di Stato spera che il movimento di Mus solini possa venire addomesticato nel « blocco d'ordine » e
che il corpo elettorale mostri disposizioni nuove che consentano la ripresa di una po litica
conservatrice per un verso e riformista per l'altro. E la sua non sarà illusione meno funesta. I
socialisti vanno alle urne con la parola d'ordine che la scheda costituirà una grande rivincita dei
lavoratori sugli illega lismi squadristici e sulle connivenze della classe dirigente. Il Partito po
polare si rifiuta di partecipare al blocco con i democratici, i liberali di destra e i fascisti, scende
nell'arena con le sue forze; pur accentuando la differenziazione dalla sinistra operaia « rossa »,
resiste all'invito pressan te di Giolitti di schierarsi « concordemente contro i socialisti.
Il manifesto che il PCd'I lancia per le elezioni ai proletari italiani ##
1 Dalla lettera, intestata al Comitato esecutivo del PCd'I, e datata Milano 20 maggio 1921, cit., a p.
87, nota r del presente volume.
2 Ibìd.
3 Nella Relazione del Comitato centrale al Il Congresso del PCd'I, a stampa, SAPI, Roma 1922, si
ricorda esplicitamente che il partito non ha voluto sottolineare gli eccessi e gli arbitrii della rea
zione sia per ragioni di principio, perché la lotta spietata contro i rivoluzionari è una necessaria
carat teristica dell'azione della borghesia per non «fare al fascismo e alla repressione di Stato
troppa ré clame agevolando il loro piano di demoralizzazione e terrorizza zione delle masse».
4 Cfr. Gabriele de rosa, Storia del partito popolare, Bari 1938, p. 179.
Di fronte al fascismo 129
chiede che il loro voto costituisca « il processo del Partito socialista » che li ha portati allo sfacelo:
Ogni operaio consapevole del processo storico delle rivoluzioni proletarie deve ormai esser
persuaso che la sua classe non riuscirà a procedere oltre in Italia se non passando sul cadavere del
Partito socialista '.
Non ci si aspetta altro dalle elezioni, ed è con questa delimitazione ben netta che i dirigenti
mettono a tacere numerose reviviscenze astensio nistiche della periferia. Per il resto, vi è appena
un cenno all'«imperia lismo capitalista, ormai capace di soddisfare le esigenze vitali delle masse
proletarie solo col piombo e con la mazza ferrata delle guardie bianche », a cui si contrappone
l'esistenza delle « premesse economiche e sociali per la rivoluzione proletaria ».
L'Esecutivo sceglie i candidati e organizza le preferenze pubblica mente, (che gli elettori
seguiranno solo in parte). Il risultato del voto è deludente per l'obiettivo primo posto dal PCd'I: lo
sfasciamento dei so cialisti. Questi raccolgono infatti ancora 1 569 559 voti, e conservano 122
deputati, perdendone 34 dalla legislatura precedente. I popolari migliorano le loro posizioni (1 347
000 voti, 107 seggi), il blocco nazio nale conquista 275 seggi (un'ottantina dei quali occupati da
liberali, una quarantina da conservatori, 10 da nazionalisti, 35 da fascisti e il resto dalla
tradizionale democrazia giolittiana e radicale- riformista). I comu nisti ottengono 291 952 voti e 15
seggi.
Rispetto al rapporto tra le correnti del vecchio partito stabilitosi a Livorno, è chiaro che il PCd'I
non ha potuto trasferire nell'elettorato proletario la percentuale raccolta nelle sezioni per la
scissione. Anzi ne è molto distante, e Serrati lo nota in un richiamo esplicito agli errori di
valutazione commessi dall'Internazionale3. Particolarmente doloroso è lo scacco a Torino (dove,
tra l'altro, Gramsci non viene eletto4); ivi si raccolgono soltanto trentamila voti. A Milano, la
sproporzione coi socia- ##
1 Dall'appello del Comitato centrale pubblicato sul «Comunista» del 21 aprile 1921 e riprodot to
in Manifesti e altri documenti politici, Libreria editrice del PCd'I, Roma 1922. pp. 46- 47.
2 Bordiga scrive un articolo sintomatico («L'Ordine nuovo», 24 aprile 1921) in cui, premesso che,
se tornasse nell'Internazionale comunista la questione della tattica elettorale, egli tornerebbe ad
essere astensionista, osserva che la disciplina impone la partecipazione al voto e che, del resto, in
tempo di reazione, è più giustificato essere elezionisti. Il partito «volge le batterie conno il partito
socialdemocratico». In uno scritto di Cesare Seassaro (ibid., 25 aprile) si aggiunge che i deputati
comunisti non devono partecipare al lavoro legislativo del Parlamento, e che il gruppo parlamen
tare sarà uno degli organi meno importanti del partito.
3 Sul «Comunismo» (a. n, n. 16- T7, r^ maggio - 1^ giugno 1921) G. M. Serrati {11 comunista] rileva
che «Zinov'ev e i suoi informatori si erano sbagliati», e che i socialisti hanno avuto più vot dei
comunisti ovunque, salvo a Venezia.
4 Molte «preferenze» per Gramsci sono annullate essendo il suo nome, com'è noto, e ricordato eia
lui stesso, di difficile trascrizione (Granoschi, Gramischi, ecc. ecc).
130 Capitolo ottavo
listi è clamorosa: da 1 a 12 '. Vanno alla Camera Belloni e Remondino (Alessandria), Corneli
(Ancona), Marabini e Croce (Bologna), Garosi e Gennari (Firenze), Graziadei (Genova), Tuntar
(Gorizia), Repossi (Mi lano), Gnudi (Novara), Ambrogi (Pisa), Misiano e Rabezzana (Torino),
Bombacci (Trieste).
Non c'è un contraccolpo di sfiducia nelle file del partito per i risultati elettorali, data anche la
posizione di principio di radicale estraneità che esso ha assunto2. Ma all'attenzione dell'Ordine
nuovo » non sfugge il valore di sintomo che il voto ha avuto.
Attraversiamo a Torino - vi si legge il 18 maggio 1921 - una crisi di scoramen to e di depressione
formidabile. I comunisti sono perseguitati nelle fabbriche, la Sezione è oggi costituita per due terzi
di rappresagliati. La lotta elettorale aveva, per l'impostazione universale data dal sentimento
popolare, un significato di affer mazione della legalità borghese contro le barbarie e la ferocia
fascista; il proletaria to torinese credette di potersi disinteressare di questa affermazione. Questa
apatia non è un segno di capacità politica, è un segno di dissoluzione e di confusione men tale.
Gli è che la classe operaia torinese ha già ampiamente registrato e su bito il capovolgimento della
situazione; migliaia di licenziati alla Fiat (e tra essi numerosi comunisti, dirigenti di Commissioni
interne, attivisti sindacali) non hanno più potuto godere di una solidarietà efficace. A un tentativo
di sciopero, in aprile, ha risposto una brusca serrata. E questa volta Giolitti ha fatto occupare i
grandi stabilimenti dai soldati e dalle guardie regie. Gli operai tornano sconfitti in fabbrica: «
uomini di carne ed ossa » ' cui va il saluto commosso del rivoluzionario.
Maggio e giugno vedono estendersi la crisi industriale e la disoccupa zione. Vi è il dissesto totale
di un colosso come l'Uva, e poco dopo sarà la volta della Banca di sconto trascinata nella paralisi
produttiva crescen te del grande complesso delFAnsaldo; l'industria tessile ha una caduta
verticale, sia nel settore laniero che in quello della seta. L'inflazione si avvia a toccare i 20 miliardi
di lire, il debito interno gli 80, e quello verso l'estero i 100. Le agitazioni sindacali si fanno sempre
più timide, ##
1 Ecco i voti raccolti dai comunisti circoscrizione per circoscrizione: Alessandria: 24615; An cona:
9427; Ascoli: 3229; Bari: 1920; Bologna: 29 289; Brescia 1405; Catania: 1956; Catanzaro: 3444;
Como: 6864; Firenze: 30 254; Genova: 19 000; Girgenti: 4384; Gorizia: 10 112; Lecce (Taran to):
7429; Mantova: 13 061; Milano: 21472; Napoli: 3860; Novara (Vercelli): 17626; Parenzo: 3695;
Pisa: 21 145; Roma: 8224; Torino: 30419; Trieste: 6697; Venezia: 2933; Verona: 7413.
2 Da un rapporto del Comitato esecutivo del PCd'I all'Internazionale comunista del 30 maggio
1921 (APC, 1921, 75) si apprende che il partito, presentatosi in 27 circoscrizioni su 40, calcolava di
ottenere 20 deputati alla Camera, ma non di più.
3 L'espressione divenuta poi famosa, è impiegata da Antonio Gramsci nel titolo del commento che
egli dedica («L'Ordine nuovo», 8 maggio 1921) alla sconfitta. È un omaggio a lavoratori che « per
anni e anni hanno lottato strenuamente, hanno bagnato del loro sangue le strade, hanno sofferto
la fame e il freddo». Perciò conclude l'autore: «togliamoci il cappello dinanzi alla loro umiliazione,
perché anche in essa è qualcosa di grande che si impone ai sinceri e agli onesti».
Di fronte al fascismo 131
proprio per il timore della perdita del posto di lavoro e la sopravvenuta crisi di sfiducia nelle
organizzazioni: le cifre ufficiali di disoccupati che ne contavano 102 156 al 31 dicembre 1920
registrano al primo settembre del 1921, 400 000 unità.
Il «bilancio» delle imprese squadristiche è ormai impressionante; il numero delle sezioni fasciste
passa dal 31 marzo al 31 agosto da 317 a 1001 e degli aderenti da 80 476 a 187 098.
Negli scontri tra fascisti e socialisti, verificatisi nel periodo tra il 1° gennaio e il 7 aprile, si erano
registrati 102 morti (25 fascisti, 41 socialisti, 16 estranei e 20 ele menti della forza pubblica) e 388
feriti. In soli 15 giorni, dal 13 al 31 maggio si era no contati 71 morti (16 fascisti, 31 socialisti, 20
estranei, 4 elementi della forza pubblica) e 216 feriti2.
Anche i comunisti hanno i loro primi martiri. Perdita tra tutte più grave è stata quella di Spartaco
Lavagnini, segretario del Sindacato fer rovieri di Firenze, trucidato al suo tavolo di lavoro. Nel giro
di sei mesi vengono saccheggiate o incendiate 59 case del popolo, 119 Camere del lavoro, 107
cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni e circoli socia listi e comunisti, 100 circoli di cultura,
28 sindacati di categoria. Si è arrivati persino - come s'è ricordato - il 25 aprile, ad incendiare la
Ca mera del lavoro di Torino; il terrore si estende dalla valle padana alla Toscana (il municipio di
Prato è devastato) e al Lazio. In un'imboscata è ucciso a Pavia Ferruccio Ghinaglia.
La tecnica di queste spedizioni punitive è così descritta da Angelo Tasca:
All'inizio, la spedizione contro una località non è quasi mai fatta dai fascisti della stessa località,
piccola minoranza isolata ed esposta alle rappresaglie. È dal centro più vicino che i camions
arrivano, carichi di persone assolutamente scono sciute nel paese. Se i rossi sono forti, e se si teme
che restino ancora sul posto trop pe armi, anche dopo le razzie della polizia compiacente, si
concentrano forze armate sufficienti per annientare l'avversario che intendesse difendersi. Si
distruggono i lo cali delle organizzazioni, si liquidano le amministrazioni comunali, si uccidono o
si ##
1 riccardo bachi (L'Italia economica nell'anno 1921, Città di Castello 1921, p. 215) ha scritto in
proposito: «Lo stato caotico era dominante nel movimento operaio. Qui i vivaci contrasti, le gran di
divergenze di principi politici, e specialmente la depressione estrema in cui si è incurvata la se
zione del movimento operaio che proclama i principi della lotta di classe, sono fenomeni tutti
stret tamente connessi con la fase di depressione economica. La depressione economica, con la
discesa dei profitti, con la contrazione della domanda di prodotti e di braccia, pone dei limiti
insuperabili al movimento trade - unionista, rende fatale un atteggiamento dimesso unicamente
difensivo, e torna propizia ai disgregamenti, alle discordie».
2 Da alcune statistiche del ministero dell'Interno conservate nell'archivio Corradini e citate da
Gabriele de rosa (Storia del partito popolare cit., p. 185).
3 L'eccidio, nel febbraio del 1921, provoca una forte risposta popolare, frenata e poi persegui ta
aspramente dalle guardie regie e dai carabinieri. Delle giornate fiorentine da una vivace cronaca
Palmiro Togliatti, inviato dal quotidiano comunista torinese sul luogo: cfr. L'esempio di Firenze,
«L'Ordine nuovo», 11 marzo 1921.
132 Capitolo ottavo
esiliano i dirigenti: dopo di che il fascio locale, fino ad allora quasi inesistente, si ingrossa con
l'adesione di reazionari d'ogni risma, e di coloro che prima avevano paura dei socialisti e che ora
hanno paura dei fascisti. Per la conquista dei grandi centri si mobilitano le forze della provincia, si
fa appello se è necessario a quelle delle province vicine... l'armata fascista, di cui ogni occupazione
estende il recluta mento, si concentra, si sposta, e, estremamente mobile, conquista una dopo
l'altra le fortezze nemiche '.
Il movimento socialista è preso alla sprovvista, senza preparazione militare né psicologica
adeguata per contrastare la violenza. Il panico che la lettera di Serrati a Jacques Mesnil rivelava
traspare anche dalle colonne dell'Avanti! » che non fanno, letteralmente, se non predicare la
rassegnazione. Si arriva, il 22 maggio, a pubblicare un brano della Sto ria di Cristo di Papini, in cui
si esalta la consegna cristiana di porgere l'altra guancia, sotto il titolo emblematico di «Non
resistere! ». La pre dicazione del « più gretto pacifismo », per dirla con Pietro Nenni2, regi stra
sfumature diverse tra massimalisti e riformisti, ad esempio tra Ser rati e Turati (questi, chiedendo
il ripudio della violenza, afferma che « se fosse una viltà bisognerebbe avere il coraggio della viltà
» ) ma comune ad entrambi è la convinzione che siano la stessa guerra e il dopoguerra turbolento
ad aver avviata la spirale della violenza.
La Confederazione del lavoro tiene ufficialmente la medesima con dotta e respinge le proposte,
reiterate, della corrente comunista di giun gere sino ad uno sciopero generale per la difesa del
salario e del posto di lavoro. È anche qui da notare che i maggiori dirigenti riformisti parlano di un
fenomeno passeggero, fidando nel fatto che il fascismo sia « desti nato a sparire in breve tempo »4
e che la « marcia delle classi lavoratrici non possa essere arrestata che per un momento »5 ed è in
base a una serie di debolezze ed illusioni di tale tipo che il PSI e la CGL inseguono quella che
Nenni definirà efficacemente « la chimera della pacificazione » con i fascisti, che approderà ad un
« patto » avvilente e paralizzante. ##
1 angelo tasca, Nascita e avvento del fascismo cit., p. 182.
2 Pietro nenni, Il diciannovismo cit., p. 167.
3 Sull'« Avanti! » del j e 6 aprile 1921 si esprime la differenziazione su questo solo punto: che
Turati recrimina le violenze operaie del « biennio rosso » e Serrati obietta che sono stati gli eventi
ad incalzare e travolgere sia riformisti che rivoluzionari. Senonché nella lettera a Jacques Mesnil,
già in parte riprodotta (p. 123 del presente volume) Serrati non si mostrava d'avviso diverso da
Turati annotando che erano stati i socialisti a « preparare il terreno controrivoluzionario aizzando
e vitupe rando i soldati, i carabinieri, le guardie regie, invece di conquistarli» e aggiunge: «Noi ora
siamo le vittime di quella infatuazione a parole che ingannò non poco tutti nei mesi andati».
4 Cfr. l'intervento di G. Baldesi al Consiglio direttivo della CGL, del 30 aprile, il cui resoconto è ora
riprodotto in La Confederazione Generale del Lavoro cit., p. 328.
5 Il concetto è espresso nel comunicato approvato dal Consiglio direttivo della CGL del 30 apri le
1921. Commentando tale atteggiamento, Franco Catalano ha scritto: «Rispuntava il vecchio fata
lismo positivistico, la fiducia nel fatale cammino verso la storia, verso il progresso e verso l'eleva
mento dei ceti inferiori; ma era un fatalismo ed era una fiducia che lasciavano coloro che li
nutrivano senza possibilità di difesa in quelle dure e aspre contese» (La Confederazione Generale
del Lavoro dt., p. lv).
Di fronte al fascismo 133
I comunisti tengono un atteggiamento del tutto diverso, anche se nu trono forse ancora di più le
stesse illusioni o almeno la convinzione che la resa dei conti vedrà la vittoria proletaria. Nella loro
posizione verso la violenza fascista c'è la polemica contro il PSI ma c'è anche la risposta più netta:
accettare la lotta imposta dai fascisti, considerati «guardie bian che » della reazione.
Sin dal 2 marzo, nel nome di Spartaco Lavagnini, il PCI ha lanciato un appello che non lascia dubbi
nei militanti e negli avversari:
Il proletariato rivoluzionario d'Italia non cede sotto i colpi del metodo reazio nario inaugurato da
alcuni mesi dalla classe borghese... per mezzo delle bande ar mate dei bianchi... Dalla rossa Puglia,
da Firenze proletaria, da tanti altri centri giungono le notizie che il proletariato, malgrado
l'inferiorità dei suoi mezzi e della sua preparazione, ha saputo rispondere agli attacchi...
L'inferiorità proletaria, che sarebbe inutile dissimulare, dipende dalla mancanza, nelle file del
nostro generoso proletariato, di un inquadramento rivoluzionario quale può darlo solo il metodo
comunista, attraverso la lotta contro i vecchi capi e i loro metodi sorpassati di azio ne pacifista e
transigente. I colpi della violenza borghese vengono ad additare alle masse la necessità di
abbandonare le pericolose illusioni del riformismo e disfarsi dei predicatori imbelli di una pace
sociale che è fuori delle possibilità della storia. La parola d'ordine del partito comunista è quella di
accettare la lotta sullo stesso terreno su cui la borghesia scende, attrattavi irresistibilmente dal
divenire della crisi mortale che la dilania: è di rispondere con la preparazione alla preparazione,
con l'organizzazione all'organizzazione, con l'inquadramento all'inquadra mento, con la disciplina
alla disciplina, con la forza alla forza, con le armi alle armi. Non vi po trà essere allenamento
migliore all'offensiva immancabile che un giorno sarà sfer rata dalle forze proletarie '.
Ma come applicare questa parola d'ordine, con che forze? È possi bile battere l'avversario, isolarlo
nel paese, quali confini ha la rete di simpatie, appoggi, omertà che lo avvolge, quale evoluzione
presenta la situazione ? Sono domande che non si pongono soltanto gli storici delle origini del
fascismo. Se le pongono, in quel momento, dirigenti e masse, operai, contadini, giovani, piccoloborghesi
e industriali. Nei mesi di aprile, maggio, giugno, il fermento nelle masse popolari indica
che al primo sconcerto fa seguito il tentativo di organizzare meglio una resi stenza. Né il fascismo
può dire di aver conquistato a sé gli ex combat tenti, i giovani. Anzi. Proprio gruppi di ex
combattenti, giovani repub blicani, anarchici, popolari, socialisti, comunisti, cercano una strada co
mune, nei paesi insidiati dalle squadre, nella periferia delle grandi città, per opporsi alle violenze
fasciste e la confusione dell'ispirazione ideale e degli obiettivi politici non frena l'accostamento
spontaneo.
È in questa atmosfera che va collocato anche un tentativo promosso ##
Manifesti e altri documenti politici cit., pp. 34- 35.
134 Capitolo ottavo
personalmente da Gramsci di trovare un accordo con gli uomini di D'An nunzio e collo stesso «
Comandante ». I legionari fiumani sono stati scot tati non solo dalla resistenza del governo
Giolitti, che ha liquidato la loro impresa, ma anche dal contegno di Mussolini che ha praticamente
tenuto mano a Giolitti. Gramsci intravede la possibilità di aprire un cu neo nel combattentismo di
tipo fascista e cerca, approfittando della ten sione esistente allora tra D'Annunzio e Mussolini, di
provocare una coa lizione armata contro i fascisti. Forse non c'è solo in Gramsci un disegno
tattico, per quanto anche questo risulti eccezionale in un partito che ten de piuttosto
all'isolamento. C'è anche la ricerca di andare più a fondo nel fenomeno della natura sociale del
fascismo. Sull'«Ordine nuovo» già si è potuto leggere che, tra fascisti e legionari, esiste una
differenza di classe essendo i primi almeno a Torino, « giovani benestanti, studenti fannulloni,
professionisti, ex ufficiali... » e i secondi «sentono invece le strettezze della crisi economica
generale » '.
E di un accostamento tra comunisti e legionari fiumani si parla anche sull'altra stampa in marzo.
Molte voci corrono in proposito; le raccoglie, ad esempio, il « Mattino » di Napoli del 9 marzo che
scrive:
Il malcontento per la tragica fine dell'impresa fiumana, l'errore già a Fiume compiuto che
un'azione rivoluzionaria possa giovare alla causa nazionale, gli ade scamenti che « L'Ordine nuovo
» e i dirigenti comunisti hanno fatto e continueranno a fare agli elementi dannunziani, secondo il
desiderio dello stesso Lenin ( ! ) hanno indotto non pochi legionari ad avvicinarsi a Bombacci e
compagni2.
Così, accogliendo i servigi di un legionario fiumano, un certo Giorda no, che frequentava la
redazione dell'« Ordine nuovo », Gramsci si reca a Gardone, nell'aprile del 1921. La sua « missione
» fallisce, il colloquio con D'Annunzio non ha luogo. Ma il curioso episodio ci consente di co gliere
una differenza sostanziale dell'atteggiamento di Gramsci rispetto a quello della direzione del
partito nei confronti del fascismo e dei suoi caratteri. È una differenza che si richiama
direttamente a previsioni poli tiche diverse già riscontrate nel 1920, e confrontatesi ad Imola, ad
esem pio: la questione della « prospettiva socialdemocratica » in cui credono, come linea di marcia
delle classi dirigenti, Bordiga e Terracini e in cui non crede, per ora, Gramsci. ##
1 Fascisti e legionari, non firmato, «L'Ordine nuovo», a. i, n. ^o, 19 febbraio 1921.
2 II prefetto di Milano, citando questo brano del giornale napoletano, conferma queste voci, in una
lettera al ministero del 16 marzo, insistendo sulla tensione dì rapporti che esisterebbe tra Mus
solini e D'Annunzio (ACS, Min. Interno, Dir. gen. PS, A. g. e r., 1922, K. 1, b. 88).
3 Cfr., su tutto l'episodio, Sergio caprioglio, Un mancato incontro Gramsci- D'Annunzio a Gardone
nell'aprile del 1921 (con una testimonianza di Palmiro Togliatti), « Rivista storica del So cialismo»,
a. V, n. rj- i6, gennaio- agosto 1962, pp. 263- 74.
Di fronte al fascismo 135
Il 1° maggio 1921, Bordiga, sull'organo ufficiale del partito, ribadisce la sua convinzione,
ironizzando addirittura sul pericolo di un colpo di Stato di destra. « Quali forze sociali - si chiede
il capo del PCI - hanno interesse in Italia a retrocedere dal regime liberale sulle sorpassate for me
dell'assolutismo? »'. La «dittatura di destra» è da lui definita un vecchio spauracchio dei socialisti.
Gramsci è di avviso opposto. Nota come i fascisti posseggano ormai una forza militare notevole,
godano della protezione di « decine di mi gliaia di funzionari dello Stato », e siano in grado di «
costituire un'ar mata militare di mezzo milione di uomini ». Per farne che cosa?
Rientra nella comune logica dei fatti elementari che i fascisti non vogliano an dare in galera e che
vogliano invece usare la loro forza, tutta la forza di cui dispon gono, per rimanere impuniti e per
raggiungere il fine massimo di ogni movimento: il possesso del governo politico 2.
Di qui si sviluppa il suo discorso, rivolto ai socialisti ma che potreb be altrettanto bene valere per
l'insensibilità di molti suoi compagni di partito.
Cosa intendono fare i socialisti e i capi confederali per impedire che sul popolo italiano venga a
gravare la tirannia dello Stato maggiore dei latifondisti e dei ban chieri? Hanno stabilito un piano?
Hanno un programma? Non pare. I socialisti e i capi confederali potrebbero aver stabilito un piano
« clandestino »? Questo sarebbe inefficace, perché solo un'insurrezione delle grandi masse può
spezzare un colpo di forza reazionario e le insurrezioni delle grandi masse, se hanno bisogno di
una pre parazione clandestina, hanno anche bisogno di una propaganda legale, aperta, che dia un
indirizzo, che orienti gli spiriti, che prepari le coscienze.
I socialisti non si sono mai posti seriamente la questione della possibilità di un colpo di Stato e dei
mezzi da predisporre per difendersi e per passare all'offensiva. I socialisti, abituati a rimasticare
stupidamente alcune formulette pseudomarxiste, negano la rivoluzione «volontaristica»,
«miracolista», ecc, ecc. Ma se l'insurre zione del proletariato venisse imposta dalla volontà dei
reazionari, che non possono avere scrupoli « marxisti », come dovrebbe comportarsi il Partito
socialista? Lasce rebbe, senza resistenza, la vittoria alla reazione?... Può darsi, è vero, che i fascisti,
che sono italiani, che hanno tutte le indecisioni e le debolezze di carattere della pic cola borghesia
italiana, imitino la tattica seguita dai socialisti nell'occupazione delle fabbriche: si traggano
indietro e abbandonino alla giustizia primitiva di un governo ricostruttore della legalità quei dei
loro che hanno commesso dei delitti e i loro complici. Può darsi; è però cattiva tattica affidarsi agli
errori degli avversari, imma ginare i propri avversari incapaci e inerti. Chi ha la forza se ne serve.
Chi sente il pericolo di andare in galera, si arrampica sugli specchi per conservare la libertà. Il
colpo di stato dei fascisti, cioè dello stato maggiore, dei latifondisti e dei banchieri, è lo spettro
minaccioso che dall'inizio incombe su questa legislatura. ##
1 amadeo bordiga, Antica fissazione, «Il Comunista» (bisettimanale), a. u, n. 2;, Milano, 1° maggio
1921.
2 Socialisti e fascisti, non firmato, «L'Ordine nuovo», n giugno 1921.
136 Capitolo ottavo
Colpisce la lungimiranza della precisione e dell'ammonimento. E già si scorgono i lineamenti della
ricerca sulla natura del fascismo che Gram sci sta elaborando. Non è una elaborazione tranquilla, a
tavolino. È una ricerca fatta mentre non solo si susseguono in Italia gli episodi della guerra civile
ma ci si prepara nella redazione dell'« Ordine nuovo » a fronteggiare un assalto delle camicie nere
e la sede del giornale si tra sforma in un fortilizio. La difesa è organizzata da gruppi di militanti ar
mati che stazionano in permanenza all'interno mentre si provvede addi rittura a minare l'edifìcio e
a far correre la voce affinchè i malintenzio nati ne siano edotti. Benedetto Croce coglierà appunto
quest'atmosfera recandosi a trovare Piero Gobetti, il ventenne critico letterario e teatrale del «
quotidiano comunista » '.
Gramsci è attento a tutti i sintomi, non certo univoci, del fenomeno. Così, mentre sottolinea la
risultante di classe, l'esistenza delle forze che stanno dietro le bande fasciste (la casta militare, i
proprietari agrari, il capitale finanziario) rivolge anche la sua attenzione e l'acume della sua
invettiva agli aspetti sociologici e psicologici dello squadrismo come frutto di tutti i sedimenti
parassitari e « barbari » della società italiana, del suo costume e malcostume, ai caratteri della
ubriacatura ideologica che lo anima, tenendo sempre a fuoco l'esistenza di una disgregazione in
atto dell'autorità statale, specchio di una disgregazione sociale. Di qui, l'esame del fascismo come
prodotto dell'irrequietezza della piccola bor ghesia urbana, una delle sue componenti essenziali,
non facilmente ar monizzabile con l'altra che Gramsci accosta, quella « agraria- antipro letaria».
Sono, anche, questi motivi critici gramsciani, il portato migliore di una certa formazione, di una
cultura politica italiana che si richiama al movimento intellettuale vociano e salveminiano, che
troviamo sparsi an che in un osservatore liberale come il Salvatorelli di Nazional- fascismo e che
saranno raccolti ancora più direttamente dal Gobetti della Rivo luzione liberale del 1922 (su cui
l'influenza di Gramsci è fortissima)2. L'insistenza sulla matrice piccolo- borghese del fascismo è
ora uno degli aspetti più importanti dell'analisi di Gramsci. Essa avrà una forte eco nello stesso
movimento comunista internazionale e costituisce un fondo permanente di differenziazione di
Gramsci rispetto all'interpretazione ##
1 In una pagina di diario (6 aprile 1944) Benedetto Croce annota: «II Togliatti mi ha ricordato la
Torino d'intorno al 1920, e il gruppo di giovani provenienti dall'Università al quale egli apparte
neva e che io conoscevo, e i parecchi di essi che si volsero al comunismo o al filocomunismo, e il
Gramsci che vi primeggiava, e il Gobetti, e una visita che io feci al loro giornale comunistico, " L'Or
dine Nuovo", dove avevo appunta mento col Gobetti, e che trovai già in assetto per ogni evenienza
con cavalli di Frisia e altri simili apprestamenti militari» (benedetto croce, Scritti e discorsi poli
tici, voi. I, Bari 1963, p. 293).
2 Cfr. paolo spriano, Piero Gobetti e i comunisti, «Rinascita», a. xxiii, n. 7, 12 febbraio 1966.
Di fronte al fascismo 137
« ufficiale » del fenomeno che corre nel partito. È un'insistenza che porta anche a una
schematizza zione eccessiva, in più di una circostanza (negli zig- zag della situazione) derivata
forse dal bisogno di tentare un costante « agganciamento » della dinamica del fascismo alle spinte
sociali ed eco nomiche che esse riceve. Lo si può constatare ora come negli anni succes sivi, in
particolare nel 1924, poiché si presta spesso alla «piccola bor ghesia », come blocco sociale,
oscillazioni e mutamenti che magari na scono da una più ristretta mediazione politica.
Ma sempre il discorso va ricondotto all'instabilità e all'eterogeneità di un fenomeno che procede
appunto tra grandi oscillazioni. La primavera e l'estate del 1921 presentano la massima ampiezza
di queste oscil lazioni. Mussolini ha alternato alle minacce («Noi siamo decisi ad ab breviare - con
appropriati e tempestivi interventi a freddo e caldo - la vostra triste agonia», ha detto ai socialisti,
il 13 aprile) gli inviti alla moderazione. Il movimento non è manovrabile a piacere dal suo capo. Il
29 maggio, lo stesso Mussolini parla di « picchiare un po' a destra ». Il 27 giugno cade il governo
Giolitti e Mussolini non vuole farsi taglia re fuori da una partecipazione a una nuova possibile
maggioranza. In luglio sta operando per giungere, nonostante fortissime resistenze dei suoi (di
Farinacci e di Grandi in particolare) a una « pacificazione » coi socialisti. A Sarzana, il 21 luglio,
per la prima volta, una spedizione pu nitiva dei fascisti è stata bloccata dai carabinieri ed è fuggita
lasciando sul terreno morti e feriti. L'episodio ha una grande ripercussione, il mito dell'impunità
delle squadre pare infrangersi. Mussolini, il 23 luglio alla Camera, espone la sua nuova idea della
possibile alleanza tra fascisti, so cialisti e popolari, le « tre grandi forze efficienti in questo
momento nella vita del paese ». E il 3 agosto firma il patto di pacificazione con i sociali sti e la
CGL, con la mediazione e l'avallo del presidente della Camera, Enrico De Nicola.
È in questa situazione che vanno situate le intuizioni di Gramsci che, il 27 luglio, torna a scrivere:
Esistono oggi in Italia due apparecchi repressivi e punitivi: il fascismo e lo Sta to borghese... La
classe dominante vorrà ad un certo punto amalgamare anche uffi cialmente questi due apparecchi
e spezzerà le resistenze opposte dalla tradizione del funzionamento statale con un colpo di forza
diretto contro gli organismi centrali del governo '.
Ma è possibile chiudere gli occhi dinanzi alle tendenze al compro messo pur così forti, quelle che
gli altri dirigenti ritengono debbano trionfare a lungo andare? Dopo i giri di valzer di Mussolini
con Giolitti ##
1 Colpo di Stato, non firmato, «L'Ordine nuovo», 27 luglio 1921.
138 Capitolo ottavo
e i socialisti, dopo la costituzione del governo Bonomi che pare il sim bolo stesso di una possibile,
estremamente conservatrice, soluzione « so cialdemocratica » della crisi statale, è proprio Gramsci
che ha scritto:
Si svolgerà in Italia lo stesso processo che si è svolto in altri paesi capitalistici. Contro l'avanzata
della classe operaia avverrà la coalizione di tutti gli elementi rea zionari, dai fascisti ai popolari ai
socialisti: i socialisti diventeranno anzi l'avan guardia della reazione antiproletaria poiché meglio
conoscono le debolezze della classe operaia '.
Un Gramsci perfettamente bordighiano. Ma per comprendere appie no gli zig- zag
dell'orientamento e della valutazione politica comunista bisogna esaminare tali contraddizioni
dinanzi ad un fatto nuovo che ha per protagoniste proprio le masse dei suoi militanti e
simpatizzanti e che viene alla ribalta nella stessa tormentata estate del 1921. L'estate delle
manovre parlamentari di Mussolini, ma anche l'estate in cui gli episodi di violenza fascista sono
tutt'altro che scomparsi in Emilia, in Piemonte, a Civitavecchia, a Chiusi. Il fatto nuovo è il sorgere
degli Arditi del popolo.
È un fatto che potrebbe sconvolgere un quadro di generale avvili mento della capacità di
resistenza delle masse e potrebbe anche superare l'isolamento comunista, diventato più grande
col patto di pacificazione. Non bisogna scordare, ad esempio, che se Gramsci scriveva quello che si
è letto a proposito della situazione prospettatasi con il nuovo governo, lo stesso presidente del
Consiglio, onorevole Bonomi, diceva ai delegati fascisti recatisi da lui durante le trattative del
patto di pacificazione, a proposito dei comunisti: « Cerchiamo di isolarli e poi tutti insieme pre
meremo su di loro »2!
L'Ordine nuovo», 5 luglio 1921. ##
1 honomi, non firmato, «L'Ordine nuovo»,
2 Cfr. «Il Popolo d'Italia», 18 agosto 1921.
Capitolo nono
Gli Arditi del popolo
Gli Arditi del popolo possono anche essere definiti una meteora nel cielo incandescente della
guerra civile di questi anni. Sorgono improvvi samente, in modo strano, paiono ad un certo punto
esprimere una luce nuova a cui vanno speranze e adesioni delle masse e quasi altrettanto ra
pidamente - salvo per qualche nucleo locale - spariscono. Eppure, la loro storia è per più versi
sintomatica del dramma del movimento ope raio italiano nel primo dopoguerra, forse la grande
occasione mancata dall'antifascismo militante prima della marcia su Roma.
La loro vicenda può anche essere vista come lo specchio dei difficili rapporti esistenti tra le
formazioni politiche del socialismo italiano e quelle correnti combattentistiche che pure riflettono,
in modo sin che si vuole confuso ma spesso non meno sincero, aspirazioni socialiste, rivo
luzionarie, uno stato d'animo e « ideali » che si collegano allo stesso in terventismo di sinistra, alla
concezione della guerra tramite di una rivo luzione, e guardano al combattente come alla figura
più degna di riven dicare questa eredità insieme sovversiva e patriottica, come all'alfiere e alla
guardia dei diritti e della libertà del popolo.
La ricostruzione del movimento che se ne può ora fare non fuga forse tutte le ombre che si sono
posate su di esso sin dalle sue origini, ma chia risce almeno due punti fondamentali: il carattere
assolutamente po polare, spontaneo, che il movimento tende ad assumere immediatamen te e
l'errore straordinario che i partiti proletari commettono nei suoi confronti, accecati dal settarismo,
da pregiudiziali dottrinarie, da picco li calcoli politici, da diffidenza sospettosa per tutto ciò che
non provie ne direttamente dalle organizzazioni istituzionalizzate nello schieramen to operaio.
Il nome di Ardito del popolo non vuole essere nell'ispirazione dei promotori una contrapposizione
agli Arditi di guerra (il corpo di audaci, spericolati, da cui la rettorica fascista trarrà una delle sue
ispirazioni) bensì la sua continuazione, alimentata dagli stessi Arditi che si fanno capi- popolo
nella guerra civile in difesa della libertà, contro le squadre
140 Capitolo nono
fasciste. C'è qualcosa di comune anche col movimento fiumano, in uo mini e motivi. Un rapporto
di polizia così fissa il processo di costituzione della « Associazione Arditi del popolo » a Roma:
Nel marzo scorso [19.20] l'ex tenente degli Arditi, mutilato di guerra, Beer Umberto d'anni 25, da
Ancona, di tendenza dannunziana, aveva tentato di riorga nizzare la locale sezione degli Arditi che
da tempo era inattiva per i contrasti sorti tra gli aderenti, specialmente nella scelta di coloro che
pretendevano di esserne i capi. In passato, infatti, la lotta intestina era rappresentata da due
tendenze, l'una delle quali era diretta dall'ex tenente degli Arditi, futurista, Giuseppe Bottai, ora
deputato di Roma, di principii mazziniani ' e l'altra capeggiata dall'ex tenente degli Arditi Argo
Secondari, di tendenza anarchica, noto quale principale artefice del complotto di Forte Pietralata
del luglio 1919 per cui il medesimo fu trattenuto in carcere parecchi mesi quale responsabile del
reato di cui all'articolo 120 del codice penale e rilasciato poi in libertà nel marzo 1920 in seguito
ad amnistia 2.
La relazione continua ricordando come il Secondari, « d'intesa con gli elementi giovanili
repubblicani ultra rivoluzionari capeggiati dal noto Luigi Piccioni, degli anarchici individualisti che
fanno capo al noto Atti lio Paolinelli e di altri elementi comunisti e rivoluzionari, pensò d'im
possessarsi dell'Associazione dando ad essa il carattere di organo di di fesa proletaria contro le
violenze fasciste». Il 22 giugno, infatti, Argo Secondari, con Umberto Beer, convoca un'assemblea
generale di tutti gli Arditi per costituire la nuova Associazione degli Arditi del popolo. Vi sono
urti, discrepanze, tra il Secondari, il Beer e altri, ma l'associazione si fonda in effetti il 27 giugno,
viene eletto un direttivo di cui fanno par te col Secondari un altro tenente, Ferrari, e il sergente
maggiore Pierdo menici, e si passa addirittura a costituire « il battaglione degli Arditi del popolo
composto di tre compagnie denominate la Temeraria, la Danna ta, e la Folgore deliberando che il
battaglione [sia] comandato dal co lonnello di fanteria della riserva Tomaso Abatino, la compagnia
Teme raria dall'ardito Ruggeri, la Dannata dall'anarchico Vincenzi Santarelli, e il sottotenente
Luciani [è] nominato propagandista ».
I giornali pubblicano un appello della nuova associazione, ma prima di riferirne il contenuto è
opportuno soffermarsi sulla fondazione e sulla figura dei suoi suscitatori, tutti, come si è visto, ex
arditi di guerra, quasi tutti ufficiali. Il Secondari è certamente, tra gli altri, il personaggio che più
può definirsi uomo d'avventura, dal passato torbido. È lui, appunto, che l'anno prima ha cercato
con altri cospiratori di indurre un battaglio ne d'Arditi di stanza al forte militare di Pietralata ad
unirsi con loro per ##
1 Si tratta dello stesso Bottai fascista.
2 Dalla relazione presentata dal questore di Roma in data 8 luglio 1920 alla direzione generale di
PS (ACS, Min. Interno, Dir. gen. PS, A. g. e r., 1922, G. 1, b. 59).
Gli Arditi del popolo 141
occupare violentemente la sede del Parlamento. Gli Arditi però si sono rifiutati e il complotto è
finito nel nulla (il Secondari in carcere) '.
Si tratta di un agente provocatore, e per conto di chi? Non sono ve nuti a nostra conoscenza
documenti in proposito. È probabile che il Se condari sia anche via via disponibile per le più
eterogenee e rischiose missioni di carattere politico- militare o terroristico, e non si può esclu dere
che - come da più parti viene detto all'epoca (e come ricorderemo) - egli ora agisca incoraggiato
dal gruppo nittiano che si raccoglie intorno al giornale « Il Paese »2, sostanzialmente in funzione
antigiolittiana più che antifascista. Senonché, la cosa non ha un'importanza decisiva. Che il
Secondari sia una personalità poco cristallina, che l'associazione rifletta anche l'inquietezza di
disoccupati che pescano nel torbido, non impedi sce al movimento di avere subito una eco
eccezionale, un'autentica riso nanza popolare.
I manifesti che lancia l'associazione (quello agli «Arditi del Lazio, Umbria e Marche », seguito da
altri due, « A tutti gli Arditi », e « Ai la voratori») sono documenti singolari dello stato d'animo e
della carica « ideologica » del combattentismo « rivoluzionario », abbondantemente intriso di
dannunzianesimo. Il primo esprime tutta la protesta e il ran core che gli sono tipici:
Apostoli di vittoria e di fede, compagni neri delle ore più nere, la resurrezione è nostra... Ricordate
i compagni che, affamati, chiesero pane durante le lotte fraterne e il pane fu loro negato. Ricordate
i compagni morti e quelli sepolti nelle galere e dimenticati dai vivi in festa nei ritrovi mondani:
ricordatelo, Arditi, e gridate for te: basta! basta!, vogliamo essere liberi, vogliamo comandarci da
noi... Seppelliamo nel buio questo vecchio mondo, e tarlato, ed apriamo l'epopea più vera di gloria
e di passione...3.
Il secondo manifesto è più impegnativo politicamente. Rivolto ai la voratori, pur senza richiamarsi
a nessun ideale socialista, esprime anzi tutto la protesta dei combattenti « contro chi profanò per
le piazze i canti e i nomi nostri più cari, contro chi ora cade nella sua stessa perver sità ». E
prosegue con questi accenti classisti:
Lavoratori!
Contro la borghesia mandataria e fautrice di movimenti reazionari e conservato ri e che,
vanamente appoggiandosi ad una plutocrazia nazionale ed internazionale, ##
1 Sull'inquadramento dell'episodio cfr. paolo alatei, Nitti, D'Annunzio, e la questione adria tica,
Milano 1959, pp. 6)- 66.
2 Il giornale, diretto da Francesco Ciccotti, intimo di Nitti, pubblica con grande rilievo i comu
nicati dell'Associazione, fa un'efficace campagna di stampa in favore degli Arditi del popolo ed è
an che promotore di un «Comitato di difesa proletaria». Su Francesco Ciccotti cfr. la denuncia
politica e morale che ne fa Gramsci in una nota del carcere {Passato e Presente cit., pp. 49- 52).
3 Dall'allegato n. 1 della relazione del questore di Roma citata.
142 Capitolo nono
nella sua stoltezza si aliena persino le simpatie delle forze armate a sua difesa, con tro tale
borghesia capitalistica, sfruttatrice, si levino ancora oggi tutti i lavoratori del braccio e del
pensiero!
Genericità e confusione sono sin troppo evidenti. Ma il terzo appello, indirizzato a tutti gli Arditi
italiani, pare più direttamente esprimersi contro il fascismo opponendo la tradizione anarchica e
progressista del combattentismo rivoluzionario a quegli « ideali che a prima vista sem brano belli
ma che nascondono sempre l'interesse degli impresari egoisti affondati nelle loro poltrone». «Noi
sovversivi - vi si legge ancora non daremo mai il nostro braccio per le tirannie, non ci lasceremo
illude re da scopi che non sono i nostri: e saremo i più intransigenti seleziona tori di chi vorrà
essere tra noi».
La matrice combattentistica e la stessa rettorica dello spirito di corpo vengono subito sommerse
dal tipo di consensi e di partecipazione che spontaneamente l'iniziativa raccoglie. A Roma, il 6
luglio, all'Orto bota nico, gli Arditi del popolo sono già in grado di tenere un grande raduno. Ci
sono duemila uomini inquadrati militarmente in centurie al comando di Argo Secondari. Le
centurie sfilano con randelli e chiavi di legno. So no accorsi migliaia e migliaia di lavoratori ad
acclamare gli Arditi. Pochi giorni dopo « L'Ordine nuovo » pubblica un'intervista con Argo Secon
dari, al posto d'onore in prima pagina. Traspare la simpatia del giornale comunista verso il nuovo
movimento i cui scopi sono nettamente de lineati dal suo strano fondatore: gli Arditi del popolo
sono sorti per di fendere i lavoratori « dal brigantaggio politico tenuto esclusivamente dai Fasci di
combattimento ».
Se di fronte alla sistematica guerra - afferma il Secondari - sostenuta dai fasci sti contro il
proletariato italiano e le sue istituzioni, l'arditismo non intervenisse rinnegherebbe se stesso... Noi
che miriamo essenzialmente a realizzare la pace inter na, dando la libertà ai lavoratori, potevamo
anche restare estranei alla contesa tra fascisti e sovversivi. Oggi, però, non è più il caso di parlare
di violenza rossa... Noi lotteremo contro i fascisti e chiunque vorrà impedire ai lavoratori del
braccio e del la mente la loro emancipazione... '.
La formazione di « senza partito » è accolta con enorme simpatia an zitutto tra i militanti dei
partiti proletari, da Roma a Livorno, da Parma a Pisa, da Genova a Bergamo, da Pordenone a
Vercelli, da Torino a Trie ste. Si aprono in luglio in varie città circoli che si apprestano a formare
compagnie di Arditi del popolo in cui affluiscono, accanto ad ex combat tenti, giovani delle ultime
leve. Tipica l'esperienza di un centro come ##
1 Chi sono e cosa vogliono gli Arditi del popolo, «L'Ordine nuovo», 12 luglio 1921.
Gli Arditi del popolo 143
Vercelli che un giovane comunista di allora, Francesco Leone, così ci ha descritta quanto alle sue
prime estrinsecazioni:
Mi feci promotore di una riunione estesa a quanti avessero voluto aderire alla costituzione degli
Arditi del popolo. Il nostro invito, od appello, era rivolto a tutti i giovani antifascisti e non soltanto
ai giovani. Quella iniziativa aveva ottenuto lar ghi consensi, anche tra gli anarchici, i quali allora
costituivano a Vercelli un gruppo abbastanza numeroso... '.
Vedremo come il Leone riceverà dal partito l'ordine di soffocare il movimento che gli stessi giovani
comunisti hanno suscitato. Intanto, nel le prime settimane di luglio, il caso di Vercelli si ripete un
po' ovunque. I dirigenti periferici comunisti chiedono istruzioni in merito al partito segnalando,
come fa Ilio Barontini da Livorno, « che gli elementi sin ora aderenti sono completamente
sovversivi, da escludersi dannunziani ». Infatti, il movimento in periferia assume carattere di
difesa armata pro letaria, unita, quella difesa e quell'unità che i loro partiti non sono anco ra
riusciti a organizzare per i lavoratori.
Dalla Centrale comunista si è, al primo momento, esitanti. Il PSI precede il PCI nel dichiararsi
estraneo al movimento3 e nel patto di paci ficazione con i fascisti tale estraneità verrà anche
codificata.
Antonio Gramsci, dopo l'intervista a Secondari, ha scritto un articolo che pare una sorta
d'intervento personale pronunciato, come sarà poi chiaro, di fronte alle riserve, anzi all'ostilità che
va manifestando l'Ese cutivo. Gramsci osserva che gli obiettivi della nuova associazione sono
troppo limitati, che non si deve porre un limite all'espansione della ri scossa popolare, che il
proletariato non si trova di fronte soltanto i fasci sti ma « tutto l'apparecchio statale, con la sua
polizia, con i suoi tribuna li, con i suoi giornali... » Detto questo, però, aggiunge:
Sono i comunisti contrari al movimento degli Arditi del popolo? Tutt'altro: es si aspirano
all'armamento del proletariato, alla creazione di una forza armata prole taria che sia in grado di
sconfiggere la borghesia e di presidiare l'organizza zione e lo sviluppo delle nuove forze produttive
generate dal capitalismo4.
L'intervento di Gramsci è tanto più singolare perché appare sul gior nale il 15 luglio, il giorno
appresso la pubblicazione di un comunicato ufficiale dell'Esecutivo comunista in cui si
promettono indicazioni preci se in merito a iniziative come questa e si invitano i compagni a
restare in ##
1 Da una testimonianza scritta resa all'autore con lettera da Vercelli del 13 febbraio 1965.
2 Lettera del 13 luglio 1921 all'Esecutivo del PCd'I (APC, 1921, 49/3).
3 La situazione presente e gli Arditi del popolo, «Avanti! », 31 luglio 1921. Cfr. anche Pietro nenni,
Il diciannovismo cit., pp. 168- 74.
4 Lo scritto di Gramsci appare, non firmato, col titolo Gli «Arditi del popolo», «L'Ordine nuovo», rj
luglio 1921.
1
144 Capitolo nono
attesa di disposizioni, pur riaffermando che « l'inquadramento militare rivoluzionario del
proletariato deve essere a base di partito » '. Nel vol gere di quindici giorni o poco più giungerà la
sconfessione comunista de gli Arditi del popolo. Nel frattempo l'adesione del deputato socialista
Giuseppe Mingrino, segretario della Camera del lavoro di Pisa e del re pubblicano Baldazzi a fianco
del Secondari (che essi cercano di controlla re e possibilmente eliminare2) da al movimento un
carattere politico più spiccato. E, soprattutto, la costituzione delle sezioni locali mostra che gli
Arditi del popolo ad altro non tendono che a diventare una formazione armata tipicamente
proletaria. A Torino, ad esempio, fin dal primo an nunzio della nuova formazione, diventano e si
proclamano Arditi del po polo i componenti delle squadre delle Guardie rosse, fondate nel 1919, e
un primo battaglione di trecento armati è costituito alla metà di luglio. Il manifesto della sezione
di Torino, che si appoggia alla Lega proletaria reduci presso la Casa del popolo, non lascia dubbi
sulla sottolineatura di classe del movimento. « Operai, impiegati - vi si legge - vecchi soldati delle
trincee, rivoluzionari sinceri, accorrete a ingrossare il nuovo eserci to di difesa proletaria... ».
I nuovi Arditi sono comunisti, socialisti, anarchici; i documenti della polizia provano come il
fenomeno sia assolutamente analogo a Parma, dove un giovane dirigente socialista, Guido Picelli,
prende la testa del l'organizzazione e riuscirà a svilupparla fortemente, a Pisa, dove l'azione del
deputato Mingrino si rivela efficace e porta alla costituzione di un corpo armato di 700 Arditi, a
Livorno, a Firenze, a Terni, a Perugia, a Bologna, a Genova. Un movimento spontaneo, nel quale gli
ex combat tenti si uniscono ad operai dei vari partiti o ai margini di essi. Il caso del la Liguria è
forse il più significativo. Qui gli Arditi del popolo si fondono in tutta la regione con i Comitati di
difesa proletaria, hanno parte note vole nella difesa della Camera del lavoro di Sestri Ponente e
nella battaglia di Sarzana e i giovani comunisti si fanno promotori del movimento. Il prefetto di
Genova informa il ministero il 19 luglio che le squadre ar mate comuniste denominate Figli di
nessuno si sciolgono e gli affigliati « sono entrati a far parte dell'Associazione dei cosidetti Arditi
del popo lo, trattandosi di elementi iscritti e simpatizzanti dei vari partiti sovver- ##
1 Manifesti ed altri documenti polìtici cit., p. 80.
2 Dalla relazione del questore di Roma del 14 agosto 1921 (ACS, Min. Interno, Dir. gen. PS, A. g. e
r., 1922, G. 1, b. 59).
3 In una denuncia del questore di Torino, in data 4 agosto 1921, inoltrata al procuratore gene rale
presso la corte d'appello della città, ricostruendo le vicende dell'organizzazione armata torinese, si
fanno i nomi di Dante Mandelli, ex tenente degli alpini e impiegato dell'Alleanza cooperativa, di
Arturo Bendini - comunista —, e degli anarchici Ilario Margherita e Raffaele Schiavina, quali coman
danti delle formazioni torinesi degli Arditi del popolo. E si allega il manifesto succitato (ACS, Min.
Interno, Dir., gen. PS, A. g. e r., 1922, G. i, b. 59).
Gli Arditi del popolo 145
sivi, anarchico, comunista, socialista ufficiale » '. E si fanno i nomi di due comunisti, l'architetto
Giuseppe Bianchini e l'insegnante Armando Vezzelli, come degli organizzatori delle formazioni di
arditi popolari (circa ottocento uomini). Così è a Sampierdarena e alla Spezia. Ai primi di ago sto, il
prefetto di Genova informa che
In questa città i comunisti lavorano alacremente per l'organizzazione di squadre degli Arditi del
popolo, alle quali si sarebbero imposte rispettivamente le denomi nazioni di « Lenin », « Trotzki »,
« Nulla da perdere », e « Tolstoi ». Sarebbe anche attesa da Roma la venuta di un ex maggiore degli
Arditi destinato ad istruire gli Arditi del popolo...2.
Il carattere unitario e spontaneo dell'organizzazione, la stessa sua gracilità di organizzazione
testimoniano di uno sforzo popolare di co struire dal nulla una trama di resistenza armata.
Ovunque, in piccoli e grandi centri, si raccolgono fondi attraverso sottoscrizioni popolari, si
cercano e si comprano armi. Che tanto slancio si esprima senza nessun in coraggiamento, anzi tra
la sospettosa inerzia dei partiti è la prova che la volontà di resistenza nelle masse, o almeno nelle
loro avanguardie, ha bisogno assolutamente di un centro di raccolta e di coordinamento. Dob
biamo ancora a Gramsci, in uno scritto dell'agosto, una osservazione in teressante sullo stato
d'animo di queste masse:
Le masse operaie, le quali concepiscono concretamente e positivamente la fun zione del Partito
politico, le masse operaie le quali, anche dopo il congresso di Li vorno, continuarono ad aver
fiducia nel Partito socialista, erano persuase che la pre dicazione della non resistenza al male
fosse una mascheratura tattica, che doveva servire alla preparazione minuziosa e perfetta di una
grande iniziativa strategica contro il fascismo. Ciò spiega il grande entusiasmo con cui furono
accolte le prime apparizioni degli « Arditi del popolo ». Si credette da parte di molti operai che la
predicazione della non resistenza al male fosse appunto servita al Partito socialista e alla
Confederazione per organizzare minutamente il corpo degli « Arditi del po polo », per dare una
forma solida e coesa alla insurrezione popolare. Questa illusio ne è ormai caduta. Le grandi masse
popolari devono ormai essere convinte che die tro la sfinge socialista non c'era nulla. Se anche dei
socialisti (e forse i più destri) hanno partecipato alla creazione dei primi nuclei di « Arditi del
popolo », è certo, però, che la fulminea diffusione dell'iniziativa non fu determinata da un piano
generale, preparato dal Partito socialista, ma fu dovuta semplicemente allo stato d'animo
generalizzatosi nel paese, alla volontà di insurrezione che covava nelle gran di masse. Ciò fu
dimostrato clamorosamente dal patto di pacificazione, il quale non poteva non determinare un
ristagno nel movimento di riscossa proletaria...3.
Il patto di pacificazione è indubbiamente un fiero colpo inferto al mo vimento degli Arditi del
popolo, e il PCI non ha mancato di prendere ##
1 gino bianco e gaetano perillo, I partiti operai in Liguria nel primo dopoguerra, Genova 1964, p.
75.
2 Ibid., p. 79.
3 Contro il terrore, non firmato, «L'Ordine nuovo», 19 agosto 1921.
146 Capitolo nono
netta posizione contro le trattative e la sua stipulazione, di denunciare l'errore politico e lo spirito
di capitolazione che essa rivela nel PSI. Se nonché, ciò che Gramsci non spiega è perché, se così
stavano le cose, se tale era lo stato d'animo delle masse in favore degli Arditi del popolo, i
comunisti abbiano anch'essi dato l'ostracismo al movimento. La polemi ca di Gramsci contro i
socialisti va letta forse come rivolta a nuora per ché suocera intenda? Sta di fatto che quattro
giorni dopo il patto di paci ficazione tra fascisti e socialisti, il 7 agosto, un comunicato dell'Esecuti
vo del PCd'I reca una solenne diffida, minacciando anche i « più severi provvedimenti », ai
militanti che vogliano entrare negli Arditi del popo lo. Non si deve aderire a questa
organizzazione, né prendere contatto con essa! '.
Le ragioni addotte dal comunicato per giustificare l'ostracismo al mo vimento sono: la posizione «
di principio » secondo cui i comunisti deb bono inquadrarsi soltanto in formazioni militari a base
di partito e la differenza di programmi. Il fine degli Arditi del popolo sarebbe sempli cemente
quello di ristabilire l'ordine e la normalità della vita sociale mentre la lotta proletaria va rivolta alla
vittoria rivoluzionaria. Ma vi è dell'altro che il comunicato adombra in termini volutamente
ambigui («Non è agevole individuare l'origine della centrale nazionale» e del movimento) e che i
dirigenti comunisti dicono invece nelle riunioni e nelle disposizioni interne: gli Arditi del popolo
sarebbero diretti da pro vocatori.
La testimonianza di Francesco Leone su questo punto rende appieno l'immagine dello sconcerto
dei militanti (che pure trapela dai documenti scritti). Leone racconta di aver letto il comunicato
due giorni prima della convocazione dell'assemblea promossa dai giovani comunisti di Vercelli per
dare vita alla sezione locale degli Arditi:
Mi precipitai a Milano. Sapevo dove avrei potuto trovare i nostri dirigenti na zionali. Infatti, credo
di aver rintracciato Fortichiari, se ben ricordo. Gli spiegai la cosa, gli dissi il mio imbarazzo. Ebbi
subito le direttive, che erano di un ordine tas sativo: tu andrai alla riunione e dirai che i comunisti
non aderiscono agli «Arditi del popolo»; che noi abbiamo le nostre squadre comuniste e inviterai
coloro che vogliono combattere contro i fascisti ad aderire ad esse. (Non ricordo se, in quelle
direttive, io dovevo anche dire che i dirigenti degli « Arditi del popolo » erano dei provocatori).
Non ero affatto convinto della giustezza di quelle direttive ma mi in chinai al dovere della
disciplina di partito, la quale allora si può ben dire che fosse di ferro. Quando io feci
quell'annuncio, si alzarono subito alte le proteste degli anarchici i quali avevano buon gioco a
dirmi che veniva travisato il senso della riunione: per gli «Arditi del popolo» si; per le squadre
comuniste no... ##
1 Manifesti ed altri documenti politici cit., p. 94.
Gli Arditi del popolo 147
La testimonianza di Leone prosegue ricordando che la riunione finì tra grandi clamori. Con questo
risultato:
Purtroppo le nostre disgraziate direttive ed il pandemonio che avevano susci tato, lungi
dall'incoraggiare i volenterosi intervenuti che non appartenevano né ai gruppi anarchici né al
nostro partito, li avevano disorientati e delusi. Il nostro volontario isolamento veniva a privare il
costituendo e promettente movimento de gli « Arditi del popolo » della guida più sicura, della
forza che riscuoteva maggiore fiducia. Noi avevamo distrutto con le nostre mani, soffocato nella
culla, in sostanza, quel movimento che esprimeva un'istintiva volontà di lotta, di unità antifascista,
la fiducia di arrestare uniti l'avanzata delle squadre fasciste. Infatti, dopo quella riu nione, non si
parlò più a Vercelli degli « Arditi del popolo ». Noi ci trincerammo nelle nostre « squadre
comuniste » che finirono per ridursi ad un pugno di uomini disposti a tutto nel fuoco della lotta
che diventava sempre più impari...
Nella situazione politica dell'estate del 1921, colla formazione del governo Bonomi (che ottiene la
maggioranza con 302 voti contro 136; molti deputati socialisti si squagliano al momento del voto)
spegnere il movimento degli Arditi appare tanto più contraddittorio in quanto la di rezione
massimalista del PSI, pur dopo aver approvato il patto di pacifi cazione, si schiera per
l'opposizione più ferma al nuovo governo e natu ralmente i comunisti non sono da meno. Difficile
è decidere se più dele teria per l'organizzazione di una resistenza armata proletaria che stava
sorgendo dal basso sia stata la firma del patto da parte dei socialisti - nel la speranza di ottenere
una tregua di cui poi non ci si sa valere per una riscossa - oppure la diffida comunista, né si può
dire fino a che punto il movimento, se non fosse appunto stato « soffocato nella culla », avrebbe
potuto spingersi. Va notato che la repressione del movimento da parte degli organi di polizia è
dura, efficacissima. Certo si è che, proprio allor quando la violenza fascista riprenderà stracciando
col ferro il patto, il proletariato si troverà disarmato e scoraggiato. Qualche nucleo di Arditi del
popolo si attesta qua e là, assumendo forme locali assolutamente au tonome (sarà il caso classico
di Parma) ed anche alcune organizzazioni periferiche comuniste sfidano per mesi le ire
dell'Esecutivo ma coll'au tunno il movimento appare stroncato. Le cifre che la polizia fornisce in
proposito, anche se forse peccano per difetto, sono impressionanti. In ottobre restano soltanto più
5000 Arditi del popolo in tutta Italia2 e la cifra si ridurrà ulteriormente alla fine dell'anno. ##
1 È il caso di Pordenone e di Mantova. Cfr. le lettere dell'Esecutivo del PCI, di forte richiamo alla
disciplina, del io novembre e del 9 dicembre (APC, 1921, 49/71 - 72).
2 Il ministero dell'Interno, in base a un'inchiesta condotta nelle varie province, fornisce, al 31
ottobre 1921, queste cifre degli «iscritti» agli Arditi del Popolo: Ancona, 2jo; Ascoli Piceno, jo; Bari,
jo; Catania, 227; Corno, 40; Cremona, 260; Foggia, 75; Genova, 450; Livorno, 200; Lucca, 40;
Novara, 60; Perugia, 660; Pesaro, 2ij; Pisa, 1306; Reggio Emilia, ijo; Roma, 1^63. Il totale sareb be di
5000 effettivi (ACS, Min. Interno, Dir. gen. PS, A. g. e r., 1921, G. 1, b. 73).
148 Capitolo nono
Il fascismo ha attraversato una seria crisi nell'estate del 1921 e i co munisti paiono ancor più
conquistati all'idea che il fenomeno fascista stia per essere assorbito dalla classe dirigente.
Quando, in settembre, il mo vimento dei Fasci si trasforma in partito, Togliatti, che segue per i
quoti diani comunisti il congresso di fondazione del PNF, scrive:
Noi siamo convinti non essere mai stato altro [il fascismo] che una forma nuo va della dittatura
borghese... Costituito in partito, il fascismo avrà la sua parte al festino della democrazia, più o
meno sociale. Tutti si metteranno facilmente d'ac cordo1.
Ed è importante, proprio per cogliere tutti i passaggi che la situazio ne politica fa percorrere
all'elaborazione gramsciana (ed anche per com prendere come egli non sia « all'opposizione » nel
partito ma risenta di tutta la comune concezione) vedere come lo stesso Gramsci ora non la pensi
diversamente. Nel mese di settembre egli osserva infatti che il feno meno fascista sta prendendo
una piega diversa. Tenendo sempre a fuoco la componente piccolo- borghese urbana (ma non c'è
proprio qui una sche matizzazione sociologica che fa da schermo alla sua esatta collocazione?)
Gramsci scrive:
Caduta la forza del partito socialista dopo l'occupazione delle fabbriche, con rapidità fulminea la
piccola borghesia urbana, sotto la spinta dello stesso stato mag giore che l'aveva sfruttata in
guerra, ricostruì i suoi quadri militarmente, si orga nizzò nazionalmente. Maturazione rapidissima,
crisi costituzionale rapidissima. La piccola borghesia urbana, giocattolo in mano allo stato
maggiore e alle forze più re trograde del governo, si alleò agli agrari e spezzò, per conto degli
agrari, l'organiz zazione dei contadini. Il patto di Roma tra fascisti e socialisti segna il punto di ar
resto di questa politica ciecamente e politicamente disastrosa per la piccola borghe sia italiana
urbana, la quale comprese che vendeva la sua « primogenitura » per un piatto di lenticchie. Se il
fascismo continuava nelle spedizioni punitive tipo Treviso, Sarzana, Roccastrada, la popolazione
sarebbe insorta in massa e, nell'ipotesi di una sconfitta popolare, non certo i piccoli borghesi
avrebbero preso in mano il potere ma lo stato maggiore e i latifondisti. Il fascismo si avvicina
nuovamente al sociali smo, la piccola borghesia cerca di rompere i legami con la grande proprietà
terriera, cerca di avere un programma politico che finisce col rassomigliare stranamente a quello
di Turati e D'Aragona2.
I fatti, la dinamica successiva del fascismo, smantelleranno questa co struzione sociologica e
queste ipotesi. Nell'incertezza di quel momento di pausa dello squadrismo, è solo la classe operaia
a restare priva di guida e di prospettiva. L'afflosciarsi del movimento degli Arditi del popolo è
anche frutto di tanta confusione e polemica interna. Acquista un partico lare valore, in proposito,
il fatto che osservazioni e rilievi come quelli ##
1 Dalla corrisponden za da Roma, siglata p. t. pubblicata dall'« Ordine nuovo», 9 settembre t92i,
col titolo Il fascismo partito politico.
2 I partiti e la massa, non firmato, «L'Ordine nuovo», 25 settembre 1921.
1
Gli Arditi del popolo 149
che siamo andati facendo vengano proprio allora mossi al partito italiano dall'Internazionale
comunista. La corrispondenza che intercorre nell'au tunno sul tema illumina sia l'insieme del
contegno del PCI che quegli altri elementi di fatto, sulla natura e le origini dell'Arditismo popolare,
che non sono trapelati dalle dichiarazioni e prese di posizione ufficiali.
Il movimento comunista internazionale viene informato in modo molto vario e contraddittorio sul
fenomeno degli Arditi del popolo dagli stessi comunisti italiani. Gennari lo difende in uno scritto,
Terracini dirà il contrario '. Ma altri articoli, e forse rapporti confidenziali di un irrego lare del
comunismo italiano, Vittorio Ambrosini, anch'egli ex ardito, esaltano l'esperienza e il valore della
novità di questo raggruppamento e contengono una critica al partito italiano2. Lo stesso primo
rappresen tante ufficiale della Repubblica dei Soviet in Italia, Vorovskij, un diri gente politico di
valore, denuncia gli errori di settarismo del PCI sulla questione.
Da Milano, Ruggero Grieco a nome dell'Esecutivo del PCI sente il bisogno, il 7 novembre, di dare un
ragguaglio completo all'Esecutivo del l'Internazionale comunista sul problema e sull'atteggiamento
assunto. Grieco, oltre alle motivazioni già note, insiste nella sua lettera sul fatto che Argo
Secondari non si è saputo discolpare dall'accusa di essere un « agente della polizia » e che,
inariditesi le fonti di denaro dell'associazio ne, è scomparso (ma se fosse stato un provocatore
avrebbe avuto bisogno dello stipendio da parte degli Arditi del popolo?) Tutto sarebbe stato
originato da una manovra di Nitti e del « Paese » contro Giolitti.
Grieco ammette che « il proletariato in tutta l'Italia si univa attorno a questa organizzazione e in
molte città, specialmente in quelle regioni dove le azioni delle guardie bianche erano più violente
(Bergamasco, Al to Veneto) si costituirono organismi analoghi, in cui si univano comuni sti,
socialisti, anarchici, repubblicani e persino popolari », e giunge sino ##
1 Egidio Gennari esalta «la nuova formazione di combattimento degli Arditi del popolo» (Le
jascisme, «La Correspondance internationale», a. 1, n. 4, 22 ottobre 1921) mentre Umberto
Terracini sullo stesso organo (n. 24, 31 dicembre) corregge il compagno sostenendo che «la
creazione degli Ar diti del popolo non è stata che una manovra interessata di elementi della
borghesia desiderosi di stor nare a loro profitto una parte delle energie proletarie svegliate dagli
attentati fascisti».
2 Cfr. L'Ardito rosso [Vittorio ambrosini], Le fascisme en Italie, «La Revue communiste», a. 11, n.
17, luglio 1921, e La situation italienne, ses lecons, ibid., n. 18, agosto - settembre 1921. Su Vittorio
Ambrosini e questo episodio cfr. anche «Rinascita», a. xxm, n. 13, 26 marzo i960; L'Ar dito rosso
non era Gramsci, lettere di Sergio Caprioglio e Paolo Spriano.
3 Un riferimento preciso alle critiche di Vorovskij, come agli «intrighi di Ardito rosso», è con
tenuto nel rapporto che Jules Humbert - Droz invia il 26 marzo 1922 da Roma al Komintern e che
lo stesso Humbert - Droz ha riprodotto in uno scritto inedito, L'internationale communiste et la
forma tion de la directìon du Parti communiste italien, di cui abbiamo potuto prendere visione per
la cor tesia dell'autore.
4 La lettera di Grieco, ritrovata con la copia della risposta dell'Internazionale comunista nel
l'archivio del PCI, è redatta in lingua tedesca. La lettera porta la data Milano, 7 novembre 1921. La
copia della risposta è senza data né firma. Entrambe le missive sono state pubblicate, nella
traduzione
150 Capitolo nono
ad attribuire la caduta del governo Giolitti a tale situazione di riscossa popolare e alla campagna
del « Paese ». Senonché la lettera prosegue so stenendo che, raggiunto tale scopo, gli animatori del
movimento smisero di sostenerlo mentre i « socialisti cominciarono a sabotarlo ». Ma perché
anche i comunisti fecero altrettanto? Per il suo programma, ripete Grie co, per la sua origine
dubbia, ma anche perché, « allorché sorsero gli Ar diti del popolo il nostro partito aveva già una
organizzazione paramilita re istruita... e siamo giunti alla conclusione che sarebbe stato meglio
non distogliere i comunisti dal proprio lavoro metodico». Un compagno, se entrasse negli Arditi, si
troverebbe a dover ubbidire ad ordini magari di versi, « innanzi all'alternativa di violare una delle
due discipline », sicché « abbiamo considerato non opportuno porlo nell'imbarazzo di dover vio
lare gli impegni che avrebbe assunto ».
La risposta dell'Internazionale (certo redatta da un esponente molto qualificato del partito
bolscevico, alle cui esperienze fa diretto riferimen to) ha il tono e l'impegno di una lezione di
dottrina e di tecnica rivoluzio naria e ribatte tutti gli argomenti del corrispondente italiano non
celando una critica che investe l'orientamento di fondo del PCI.
È chiaro - comincia la replica requisitoria - che agli inizi avevamo a che fare con
un'organizzazione di massa proletaria e in parte piccolo- borghese che si ribella va
spontaneamente contro il terrorismo... Dove erano in quel momento i comuni sti? Erano occupati
ad esaminare con una lente d'ingrandimento il movimento per decidere se era sufficientemente
marxista e conforme al programma?... Il PCI do veva penetrare subito energicamente nel
movimento degli Arditi, fare schierare at torno a sé gli operai e in tal modo convertire in
simpatizzanti gli elementi piccolo borghesi, denunciare gli avventurieri ed eliminarli dai posti di
direzione, porre ele menti di fiducia in testa al movimento. Il partito comunista è il cervello e il
cuore della classe operaia e, per il partito, non c'è movimento a cui partecipino masse di operai
troppo basso e troppo impuro. Pensate al passato di altri partiti fratelli, par ticolarmente di quello
russo. Il movimento di Zubatov venne organizzato dal capo della polizia segreta moscovita, i moti
di gennaio 1905 a Pietroburgo furono diretti dal pope Gapon, semiavventuriero, semispia, che
divenne poi una spia completa. Tutto questo ha impedito ai nostri compagni russi di partecipare
energicamente al movimento, di smascherare le spie e di attrarre le masse al partito? Al contrario,
grazie alla loro partecipazione attiva hanno affrettato la rivoluzione dell'ottobre 1905, poiché
attraverso tali azioni spontanee sono riusciti a dominare movimenti di massa condizionati dalle
vicende storiche.
Dopo aver mostrato come la inconciliabilità tra le due discipline, quella del partito e quella degli
Arditi, sarebbe stata più teorica che rea le, la risposta del Komintern si sofferma su un altro punto:
che i comu nisti avrebbero potuto con la loro organizzazione militare divenire l'e- ##
italiana, da Giorgio Amendola nella sua prefazione a ruggero grieco, Scritti scelti, voi. I, Roma
1966, pp. xxiii- xxvin, in nota.
Gli Arditi del popolo 151
lemento dominante mentre l'inquadra mento di soli comunisti mostra « che il partito è impotente a
soddisfare una necessità vitale delle mas se ». La lettera così conclude:
Cari compagni, ci siamo permessi di spiegarvi la nostra opinione sinceramente poiché ci pare che
abbiate trattato il problema in modo troppo teorico e di princi pio. Il vostro giovane partito deve
utilizzare ogni possibilità per avere contatto di retto con larghe masse operaie e per vivere con
loro. Per il nostro movimento è sempre più vantaggioso compiere errori con la massa che lontano
dalla massa, rac chiusi nella cerchia ristretta dei dirigenti di partito, affermare la nostra castità per
principio.
L'esempio della condotta comunista nei confronti degli Arditi del po polo diverrà classico nelle
successive polemiche interne del movimento. Si dirà anche che Lenin sia personalmente
intervenuto a raccomandare al partito italiano di fare ciò che questo non fece. Il dirigente tedesco
Thàlmann affermerà nel 1924:
Al tempo del grande movimento degli Arditi del popolo nel 1921 il partito ita liano ha rifiutato di
trarre profitto da questo movimento popolare, sebbene Lenin glielo avesse espressamente
domandato.
Anche se non vi è nessuna conferma di questo particolare (ma neppu re una smentita) il caso del
dibattito intercorso sul problema è una spia preziosa dei caratteri e dei termini del dissenso che si
sta aprendo tra il PCI diretto da Bordiga e l'Esecutivo del Komintern. ##
1 Cfr. «Bulletin du V Congrès de l'Intemationale communiste», n. 14, Mosca, 1° luglio 1924.
Capitolo decimo
Il dissenso con il Komintern
La « questione italiana » si iscrive all'ordine del giorno dell'Interna zionale comunista per parecchi
anni, dal III al IV congresso (1921- 24) e sebbene essa non abbia il peso e l'acutezza di quella
tedesca — in cui si riassume il drammatico travaglio della organizzazione stessa per più d'un
decennio - rappresenta un capitolo importante della storia del Ko mintern. Subito dopo la
scissione di Livorno, d'altronde, la nascita del PCd'I, per il modo come avviene, provoca la prima
grave crisi nel Parti to comunista unificato tedesco, che porterà all'espulsione di Paul Levi. Nella
sostanza è in gioco l'intera strategia del movimento comunista nel l'Europa occidentale. Paul Levi è
l'uomo della politica di unità delle for ze operaie tedesche, l'uomo che, prima di andare ad
assistere al congres so di Livorno, ha proposto attraverso una «lettera aperta» (che Lenin approva
pienamente, ed è anzi in parte suggerita da Radek, l'esponente bolscevico che segue più da vicino
la situazione tedesca) ' un programma minimo d'azione comune ai socialdemocratici maggioritari,
allo USPD, al KAPD, ai sindacati tedeschi. Di qui la coerenza del suo atteggiamento a Livorno e il
suo scontrarsi con una tattica e con un giudizio che gli sem brano respingere come « centriste »
forze e uomini (Serrati e i massimali sti più vicini a lui) che egli non vorrebbe vedere abbandonati.
È evidente anche un riflesso del congresso di Livorno, di quel proces so di separazione e poi di
successiva alleanza che Lenin ha in mente ma che Bordiga o Ràkosi considerano invece un taglio
netto irreparabile e Levi vorrebbe, proprio per questo, scongiurare. E tanto maggiormente quanto
più il presidente del PC tedesco ravvisa un'analogia tra il PSI e l'USPD, partiti che conservano un
forte seguito di massa, e verso i quali una lotta frontale può alimentare l'estremismo dei due
partiti comunisti, italiano e tedesco. Per il VKPD la differenziazione interna tra due linee
contrapposte corre sin dalle origini, si è espressa in tutto il suo primo periodo di vita. Così non
stupisce che le riserve, anzi l'opposizione di Paul Levi al tipo di scissione operato a Livorno
portino in febbraio a una ##
1 Leninski Sbornik, voi. XXXVI, Moskva 1959, pp. 220- 21. La lettera, datata Mosca 16 aprile 1921, è
indirizzata a Paul Levi e a Klara Zetkin.
Il dissenso con il Komintern 153
spaccatura nel Comitato centrale1. Con Levi si schierano Klara Zetkin, Adolf Hoffman, Otto Brass,
dimissionari dalla direzione che assume a maggioranza la risoluzione proposta dalla sinistra del
partito, capeggiata da Thalheimer, Brandler, Stocker e Ruth Fischer."
Presto diviene evidente che il dissidio sulla « questione italiana » non è che una cartina di
tornasole per portare alla luce le differenziazioni pro fonde sulla tattica da adottare in Germania:
differenziazioni che investo no lo stato maggiore dell'Internazionale comunista. In marzo, infatti,
Paul Levi, dimissionario dalla direzione, si trova a Monaco per prendere contatto (anche in questo
caso, dietro consiglio di Radek e Zinov'ev) con circoli bavaresi sostenitori di un « fronte unitario
nazionale », e di qui si reca a Vienna, mentre scoppia la cosiddetta « rivoluzione di marzo » nel la
Germania centrale: un'azione disperata (« il più grande putsch bakuninista della storia
contemporanea » - la definirà Levi in un suo celebre opuscolo4) che coinvolge più di centomila
operai della regione mineraria di Mansfeld; la loro rivolta armata non si estende al resto del paese,
lo sciopero generale proclamato dai comunisti fallisce, e in dieci giorni di combattimenti
sanguinosi centinaia di minatori cadono uccisi dalla poli zia e settemila militanti vengono
arrestati.
Ciò che ci interessa più da vicino è il richiamo che la famosa « Màrz Aktion » assume per il partito
italiano, nei confronti dell'Internazionale comunista. Viene alla luce, infatti, che ad incoraggiare le
illusioni e il mi raggio di una « tattica offensiva » propri di Brandler, Thalheimer e Sto cker, sono
stati esponenti dell'Internazionale comunista allora presenti in Germania, in primo luogo proprio
quel Ràkosi5 che tornava da Livor no e che della scissione italiana difendeva ora il carattere di
modello, un ##
1 Grande è l'eco intemazionale dell'episodio (e amplissima la bibliografia). Vi è un articolo di Paul
Levi, del 23 gennaio 1921, su «Rote Fahne» che apre il dissenso, quindi una lettera dello stesso
Levi a Bottcher, del 26, che viene pubblicata da «Freiheit» suscitando un vero scandalo. Paul Levi
ribadisce in una riunione di partito che «il Comitato esecutivo dell'Internazionale comunista ha
fatto in Italia una cosa che le masse non comprenderanno e che bisogna fare di tutto affinchè i
serratiani ri tornino nella Terza Internazionale». Cfr. su tutto il viluppo della situazione un saggio
illuminante di carlo finale, La scissione di Livorno e la crisi della direzione comunista tedesca del
1921, «Mo vimento operaio e socialista», a. x, n. 1, gennaio- marzo 1964, pp. 3- 18, che cita
documenti essenziali. Per la reazione dei comunisti italiani cfr. A. B. [bordiga], Il dibattito tra il
PCU di Germania e il Comitato esecutivo della III Internazionale, «Rassegna comunista», a. 1, n. 1,
30 marzo 1921.
2 Nel Comitato centrale del VKPD, riunitosi a fine febbraio, la mozione di sinistra, che difende ed
esalta la tattica dell'Internazionale comunista a Livorno ottiene 28 voti contro 23.
3 Cfr., anche per questo momento, il finale, La scissione di Livorno ecc. cit., p. 8.
4 paul levi, Unser Weg wider den Putscbismus, Berlin 1921, introduzione. Violentissima è ivi la
requisitoria dell'autore contro i delegati ungheresi del Komintern, ispiratori dell'azione di marzo:
«L'Europa occidentale e la Germania diventano un campo d'esercitazione per ogni sorta di uomini
di Stato falliti» (p. 46). Cfr. sulla condotta di P. Levi in questa circostanza e nei successivi rapporti
con Mosca, Helmut gruber, Paul Levi and thè Comintern, «Survey», n. 53, London, ottobre 1964, PP.
70- 85.
5 Anche sulle posizioni teoriche di Rakosi e sulla parte da lui avuta nella « rivoluzione di mar zo»
cfr. la ampia documentazione fornita dal finale (La scissione di Livorno ecc. cit., pp. ri- 14).
154 Capitolo decimo
esempio per gli altri raggruppa menti comunisti ancora spuri (i tedeschi e i francesi)1. Siamo, cioè,
dinanzi all'iniziativa di una sinistra comunista, che si rivelerà appieno al III congresso nel giugnoluglio.
La situazione diviene presto tale (Levi è espulso dal VKPD in aprile, per la pubblicazione del suo
pamphlet contro il putsch) che l'Interna zionale comunista, se non evita di proclamare come giusta
la linea scelta a Livorno2 né di ratificare l'allontanamento di Levi per avere questi vio lato la
disciplina, pare rivolgere la sua attenzione maggiore a frenare le impazienze della sinistra. Un
articolo di Zinov'ev della fine di marzo am monisce che « il tempo della rivoluzione proletaria
internazionale sta, per tutta una serie di circostanze, alquanto rallentando » 3; in altri termini, si
comincia a riconoscere che i rapporti di forza sono sempre più sfavorevo li a colpi di mano, ad
una tattica offensiva.
I dati generali, la « serie di circostanze », paiono andare tutti in senso opposto a quanto si
auspicava l'anno precedente. La Russia si trova di nanzi a una situazione interna difficilissima.
Una carestia fa strage nelle campagne, il paese è inquieto, le difficoltà crescenti spingono Lenin ad
adottare la Nuova Politica Economica che rida respiro alla libertà di commercio, fa grandi
concessioni ai contadini, costituisce un arretramen to « sulle posizioni del capitalismo di Stato »,
per dirla con le sue parole. Il giovane Stato sovietico cerca di uscire dall'isolamento: un accordo
commerciale con l'Inghilterra viene firmato. La reazione si è scatenata in Italia, e non solo in Italia,
mentre gli avvenimenti di Germania segnano una nuova delusione sul corso rivoluzionario di quel
paese. La azione di marzo verrà criticata fortemente al III congresso dell'Internazionale co munista
da Radek, relatore sulla tattica5, e da Lenin che giunge sino a di fendere Paul Levi6 e in ogni caso
dissuade i compagni dal mettere sotto accusa anche Klara Zetkin. ##
1 Sul giudizio di Ràkosi (spesso sulla stampa dell'epoca citato come Marboczi) pronunciato di
nanzi alla direzione del VKPD cft. uno scritto di genosse (G. Sacerdote) in «Comunismo», a. 11, n.
12, pp. 651 sgg. Il corrispondente dell'« Avanti! » da Berlino riferisce questa frase di Ràkosi, ap
parsa su «Rote Fahne»: «Se la chiarezza dei comunisti rende necessarie tali scissure, allora si deb
bono attuare, se è necessario, magari dieci volte, in Italia come in Francia, come in Germania.
Anche nel nuovo PC francese la III Internazionale ha accolto elementi come Cachin e Lafont i quali,
a mio avviso, sono indesiderabili».
2 Nella lettera di Lenin a P. Levi e a K. Zetkin già citata si afferma: «Qualsiasi difesa e persino
semidifesa di Serrati è stata un errore!»
1 A la velile du III Congrès de VInternationale communìste, «L'Internationale communiste», a. 11,
n. 16, 31 mars 1921.
4 Scoppiano in febbraio scioperi a Pietroburgo, mentre a Kronstadt una rivolta di marinai, di retta
da anarchici, è repressa a prezzo di rilevanti perdite.
5 carlo radek, La via dell'Internazionale Comunista, Libreria editrice del PCd'I, Roma 1921, pp. 42-
56. La critica del relatore sviluppa il giudizio sull'« azione di marzo completamente imprepa rata»
da parte della direzione comunista tedesca contenuta in uno scritto precedente. Cfr. La crisi del PC
di Germania, riprodotto dall'«Ordine nuovo», j maggio 1921.
6 « Paul Levi aveva sostanzialmente ragione in una gran parte della critica all'azione di marzo»,
scriverà Lenin nella Lettera ai comunisti tedeschi del 14 agosto 1921 (cfr. L'Internazionale
comuni -
Il dissenso con il Komintern 155
All'inizio la svolta può anche passare inavvertita. Nel marzo del 1921, nel fuoco della polemica
tuttora accesissima con Serrati ', Zinov'ev con tinua ad affermare che l'Italia è il paese più vicino
alla rivoluzione, a ri vendicare la giustezza dell'intransigenza mostrata ai congressi di Mosca e di
Livorno, aggiungendovi anzi una lode esplicita per Bordiga2 e Ra dek, da parte sua, proclama che
Il fatto che gli operai del partito di Serrati siano profondamente convinti della loro fedeltà alla III
Internazionale non diminuisce, bensì al contrario giustifica l'e sistenza del grande pericolo che
minaccia gli operai da parte dei centristi. Il virus dell'ideologia centrista è penetrato
profonda mente nello spirito della classe operaia italiana 3.
I comunisti italiani, che abbiamo visto come siano andati alle elezioni ponendosi quale obiettivo
principale quello di infliggere un colpo mor tale al PSI non fanno, quindi, se non muoversi in
quell'ambito. Ma al III congresso dell'Internazionale comunista, che si apre a Mosca il 22 giugno,
proprio in base ai profondi mutamenti registrati, risuonano ac centi ben diversi da quelli del
congresso precedente. Tutto sommato, l'Internazionale comunista, e Lenin per primo, hanno tratto
rapidamen te una conclusione pratica adeguata dall'inversione di tendenza nella si tuazione. Ciò
non impedirà agli uomini della II Internazionale e della II e III di approfittare della variazione di
prospettiva per una critica che a volte si spinge persino ad abbracciare posizioni di sinistra4 e che
non si lascia neppure sfuggire l'opportunità di riaprire un processo alle parole d'ordine del 1920.
In particolare, i dirigenti della Internazionale di Vienna (la II e VI) possono ora rimproverare con
maggiore ragione la fretta precedente dei bolscevichi.
Friedrich Adler, ad esempio afferma:
La rivoluzione mondiale non è ancora finita, è vero, ma voi avete speculato su una vittoria troppo
rapida e noi soli fummo politici viventi nella realtà quando pre vedemmo lo sviluppo più lento 5.
##
sta cit., p. 336). Lenin direbbe anche a Klara Zetkin che si dovrebbe giungere a un compromesso
con Levi (cfr. klara zetkin, Souvemrs sur Lénine, Paris 192J, pp. 30- 36).
1 Cfr. g. zinov'ev, A la veille du 111 Congrès ecc. cit.
z « C'era in Italia una tendenza antiparlamentare che pagava tributo al sindacalismo e di cui il
compagno Bordiga era il leader. Dobbiamo dire con la più grande soddisfazione che questo
compagno e i suoi amici si sono sottoposti alla disciplina internazionale e formano ora il nocciolo
più sicuro del nuovo partito comunista». A la veille du Congrès ecc. cit.
3 Karl rader, La fondation de la III Internationale, «L'Internationale communiste», a. il, n. 16,
marzo 1921, p. 3442.
4 Per questo tipo di critiche cfr. brAnko latitch, Lénine et la 111 Internationale, Genève 1950, P.
173: «La Russia nel 1921 non fu più l'avanguardia della rivoluzione comunista mondiale ma, in
versamente, il movimento comunista mondiale divenne la retroguardia della Russia sovietica».
5 Quest'affermazione, al pari di una analoga di Martov, è citata da k. radek nel suo rapporto al HI
congresso dell'Internazionale comunista (cfr. La via dell'Internazionale comunista cit., pp. 9- 10).
156 Capitolo decimo
E, a sua volta, tutta la sinistra comunista ed operaia (in Germania, in Olanda, in Italia, in Polonia, in
Ungheria) può, dinanzi al mutamento di tattica, sostenere che esso contrasta con i principi su cui
si era fondata l'Internazionale comunista e rischia di portare a un disarmo ideologico del
proletariato europeo. Un tipo simile di critica e accuse analoghe ser peggiano infatti tra i
congressisti di Mosca.
Alla tribuna, presenti 291 delegati con voto deliberativo e 314 con voto consultivo, è Trockij a
tenere il primo rapporto sulla situazione eco nomica mondiale e sui nuovi compiti. E in esso si
constata, senza infin gimenti, il riflusso generale dell'ondata rivoluzionaria e si ammette che in
ogni caso il ritmo della marcia rivoluzionaria è più lento di quanto non si supponesse nel 1919-
20, anche se il consolidamento del mondo capita listico appare impossibile.
Ora vediamo e sentiamo - afferma Trockij - che non siamo così vicini al fine, del la conquista del
potere, della rivoluzione mondiale. Noi avevamo creduto, nel 1919, che non fosse questione che di
mesi e ora diciamo che è forse questione di anni... '.
Lo stesso accento si ritrova nel rapporto di Radek sulla tattica, dove si parla di un corso lento, di
un alternarsi possibile di vittorie e di scon fitte, di una « fase di concentrazione delle forze
rivoluzionarie in vista di nuove lotte »2, e da cui emerge come la parola d'ordine centrale divenga
quella della conquista delle grandi masse lavoratrici, per fare dei partiti comunisti europei non più
soltanto raggruppa menti d'avanguardia ma « grandi eserciti del proletariato mondiale »3. In
Zinov'ev, che riferisce sull'attività dell'Esecutivo tra il II e il III congresso, si discerne, pur nello
stesso quadro, la cura di difendere la condotta tenuta dall'Interna zionale sulle scissioni
dell'inverno precedente, in particolare sulla più controversa, quella italiana4. Così, la risoluzione
che il congresso prende all'unanimità sulla tattica per l'Italia si situa a mezza strada tra la linea del
II congresso e l'indicazione del fronte unico politico coi socialisti che si esprimerà col dicembre del
1921.
La scissione di Livorno - vi si legge - la formazione del PCd'I, la concentrazio ne di tutti gli
elementi realmente comunisti sul terreno delle decisioni del III Con gresso dell'Internazionale
comunista in un Partito comunista faranno del comuni smo in questo paese una forza di massa,
purché il PCd'I combatta senza sosta e sen za debolezze la politica opportunista del serratismo e
si dia così la possibilità di re stare legato alle masse del proletariato nei sindacati, negli scioperi,
nelle lotte con- ##
1 Protokoll des III. Kongresses der Kommunistischen Internationale cit., p. 90.
2 carlo radek, La vìa dell'Internazionale comunista cit., p. 8.
3 lbid.
4 G. zinov'ev, Le lotte dell'Internazionale comunista cit., pp. 7- 36.
Il dissenso con il Kotnintern 157
tro le organizzazioni controrivoluzionarie dei fascisti, di fondare insieme i movi menti di queste
masse, e trasformare in combattimenti ben preparati le loro azioni spontanee '.
In questo testo rimane comunque ancora fermo l'indirizzo di lotta al « centrismo » serratiano: tali
sono anche le conclusioni a cui perviene la commissione congressuale per la « questione italiana »,
a cui partecipa no, tra gli altri, Lenin, Rakovskij, Klara Zetkin, Trockij, Loriot, Lozov skij e
Markovic2. I socialisti italiani presenti, Maffi, Lazzari e Riboldi, non riescono ad ottenere molto
nella loro perorazione, sulla linea della mozione Bentivoglio. Il III congresso oppone un « fin de
non recevoir », o, meglio, ribadisce esattamente la pregiudiziale dell'espulsione dei ri formisti.
Nessuno dei delegati « stranieri » (per i comunisti italiani pre senti, Misiano, Terracini, Gennari e
Mario Montagnana, la precisazione è superflua) difende l'operato del PSI nell'anno intercorso.
Nessuno ne ga, neppure Klara Zetkin3, che critica la scissione, che il PSI sia andato a destra.
Fruttuosi sono però i contatti dei bolscevichi con i tre delegati socialisti tanto che essi tornano in
patria decisi a dare battaglia per la linea dell'Internazionale comunista4, da cui emerge il desiderio
vivissi mo di un riaccostamento che consenta di riprendere il discorso interrot tosi a Livorno5. In
effetti, mentre la direzione del PSI, e Serrati perso nalmente, considerano accantonata la questione
dell'ammissione alla III Internazionale6, i tre esponenti della sinistra costituiscono una frazione
per il XVIII congresso del PSI, che sarà detta « terzinternazionalista » proprio per l'obiettivo
dichiarato di riconciliare il PSI con Mosca. ##
1 comunisti italiani si collocano al III congresso nelle prime file della opposizione che raggruppa
tedeschi, ungheresi, polacchi, austriaci, bul gari, all'indirizzo fondamentale proposto da Radek
sulla tattica. Anzi, essi si fanno, attraverso l'intervento di Umberto Terracini, battistrada della
sinistra tedesca (su cui pende il giudizio critico per l'azione di mar- ##
Cfr. il testo della risoluzione in hes quatre premieri congrès de l'Internatìonale communiste, Paris
1934, p. 97.
2 Cfr. La questione italiana al III Congresso dell'Internazionale comunista cit.
3 Ibid., pp. 37- 71.
Trockij, in un discorso che tiene dopo il III congresso a organizzazioni del partito russo, con ruta
aspramente le tesi di Bordiga e Terracini sulla irrecuperabilità del PSI e li accusa di « impazien za
rivoluzionaria». Cfr. lev trockij, Nouvelle étape, Paris 1922, pp. 94- 99.
5 Nella dichiarazione finale della delegazione del PSI si afferma: «Noi vi promettiamo di fare del
nostro meglio perché il prossimo congresso del nostro partito adotti la vostra risoluzione». Cfr.
sull'atteggiamento tenuto a Mosca da Lazzari, Maffi e Riboldi: ezio riboldi, Ì7 Partito socialista ita
liano e la Terza Internazionale cit.
G. M. Serrati scrive che il PSI non è disertore ma respinto dall'Internazionale comunista, che esso
non busserà più alla porta: «Noi restiamo ancora e sempre per la rivoluzione russa e il bolsce
vismo ma ci proponiamo di farci nucleo costitutivo di tutti i respinti perché si uniscano gli sforzi
comuni onde l'Internazionale viva ed operi intensamente in ogni paese» (Noi e l'Internazionale,
«Avanti!», 11 settembre 1921).
158 Capitolo decimo
zo), portavoce della « teoria dell'offensiva » ', per negare che la conquista della maggioranza
divenga il compito essenziale e sia comunque indi spensabile per un'azione rivoluzionaria
efficace2, mentre Bela Kun attac ca l'opportunismo del partito francese. Lenin prende la parola per
una diretta replica all'intervento di Terracini (a cui - si dice - abbia sussur rato, prima di
succedergli alla tribuna: « Plus de souplesse, camarade Terracini, plus de souplesse! »)
Chi non capisce - egli afferma - che in Europa, dove quasi tutti gli operai sono organizzati, noi
dobbiamo conquistare la maggioranza della classe operaia, è per duto per il movimento
comunista, e non imparerà mai nulla, se non ha imparato nulla durante i tre anni della grande
rivoluzione 3.
Lenin mostra come il PC russo fosse si piccolo, all'atto della rivolu zione d'ottobre, ma avesse con
sé la maggioranza nei Soviet degli operai e dei contadini e quasi la metà dell'esercito (5 milioni) e,
soprattutto, am monisce i comunisti italiani dall'esaurirsi nella lotta al centrismo:
Noi siamo già al III Congresso e il compagno Terracini continua sempre a ripe tere come prima che
il problema della scuola preparatoria consiste nello scacciare, nel perseguitare, e nello
smascherare i centristi e i semicentristi. Grazie tante! Ci siamo già occupati abbastanza di questa
faccenda 4.
Il dissenso è appena agli inizi e concerne sia una prospettiva strategi ca generale sia la tattica più
immediata. In settembre infatti, quando è chiaro che i tre delegati del PSI tornati da Mosca
costituiscono un nuovo ponte tra comunisti e socialisti che, per quanto fragile, l'Esecutivo del
l'Internazionale comunista ha voluto gettare per una eventuale riunifì cazione, il malumore del
PCd’I è espresso senza riserve a Mosca5, forse anche in seguito alle prime critiche giunte di là sul
settarismo italiano. La parola d'ordine del III congresso di andare alle masse per conquistar - ##
1 Terracini disse precisamente: «Noi pensiamo che per "teoria dell'offensiva" s'intenda la ten
denza dei partiti comunisti a una maggiore attività. Con essa si sottolinea la tendenza dinamica
che deve sostituire la tendenza statica, finora dominante nella maggioranza dei partiti comunisti
della III Internazionale. Pensiamo che la formula della teoria dell'offensiva segni il passaggio dal
periodo passivo al periodo attivo...» (Protokoll des III. Kongresses der Kommunistischen
Internationale cit.,
P- 415)-
2 Cfr. Umberto Terracini, A proposito dell'infantilismo di sinistra, «L'Ordine nuovo», 7 ot tobre
1921, dove si da una giustificazione dell'atteggiamento tenuto a Mosca e un quadro dello schie
ramento in cui esso si situava.
3 Dal discorso pronunciato il 1° luglio 1921 al III congresso dell'Internazionale comunista (ri
prodotto in lenin, L'Internazionale comunista cit., p. 324).
4 Ibid.,p. 328.
5 Da un rapporto firmato da Amadeo Bordiga, per l'Esecutivo, e datato Milano, 19 settembre 1921
(APC, 1921, 44/19 - 32) si ricava che i comunisti italiani mettono in guardia l'Internazionale
comunista dall'illudersi che nel PSI resti qualche frazione comunista, che il PSI possa cacciare i
rifor misti. Quanto alla prospettiva di riunificazione con il PCd'I: «Essa non va vista.in sé come un
suc cesso. Si sarà più numerosi ma dal punto di vista di organizzazione del partito e della sua
omogeneità politica il passivo è evidente».
Il dissenso con il Komintern 159
ne la direzione della maggioranza, viene raccolta dal PCd'I ma ristretta a quanto concerne l'azione
sindacale. E in questo stesso ambito, resta prevalente la polemica contro la condotta della CGL1.
Un passo più a vanti si compie allorquando, dinanzi al rincrudirsi della violenza squa drista, il
Comitato esecutivo del partito afferma in un manifesto:
Il Partito comunista addita al proletariato come unica via d'uscita da una situa zione che ogni
giorno più s'inasprisce ai suoi danni e che deve essere affrontata nella sua complessità di fatto
economico, sociale, e politico, l'azione di tutto il proleta riato, condotta realizzando il fronte unico
di tutte le categorie e di tutti gli organi smi locali della classe lavoratrice 2.
Si sussegue la proposta di uno sciopero generale (non accolta dalla CGL) per la difesa e la riscossa
proletaria e in ottobre Bordiga precisa, per la prima volta, che cosa si deve intendere per fronte
unico : unità sin dacale per fronteggiare la riduzione dei salari, la disoccupazione, l'offen siva
fascista, ma niente blocco di partiti proletari3. Nel frattempo, infat ti, la polemica contro il PSI non
fa che inasprirsi, trovando alimento nei risultati del XVIII congresso socialista che si tiene a Milano
tra il 10 e il 15 di ottobre, e che non porta affatto all'espulsione dei riformisti, bensì a una diatriba
che lascia inalterate le differenziazioni delle correnti, e im mobile il partito, incapace di una scelta.
Il dogma dell'intransigenza formale continua a prevalere nel PSI e il tentativo di alcuni esponenti
riformisti, in particolare di Treves, di pro spettare una nuova tattica collaborazionista col governo
resta sterile. La maggioranza dei congressisti, espressa dalla mozione Serrati- Baratono (47628 voti
contro 19 916 ai riformisti, 8080 andati a una mozione centrista di Alessandri e soltanto 3765 voti
ai terzinternazionalisti gui dati da MafE e Lazzari), si attesta su una posizione di rigido isolamento
del partito, in attesa che il fascismo, definito fenomeno internazionale della reazione borghese,
porti la lotta di classe alle sue estreme conse guenze: allora giungerebbe l'ora della dittatura del
proletariato a cui il PSI si deve preparare restando unito, integro e senza compromessi.
Al congresso partecipano come delegati due esponenti della III In ternazionale, Klara Zetkin e il
polacco Walecki (una partecipazione che è invisa ai comunisti italiani5). La loro perorazione è
quella prevista, ma ##
1 Il 7- 8 settembre 1921, durante il primo convegno sindacale comunista, si parla appunto di una
CGL da rigenerare, il cui primo embrione è costituito dalla frazione sindacale comunista.
2 Contro l'offensiva della reazione, 28 settembre 1921. Cfr. Manifesti e altri documenti politici
cit., p. 126.
3 amadeo bordiga, Il fronte unico, «Il Comunista», 28 ottobre 1921.
4 Cfr. per tutto il corso del dibattito, Il PSI nei suoi congressi, voi. Ili cit., pp. 169- 214.
5 Lo si apprende pubblicamente da una lettera del Walecki, che appare sul «Comunista» del 22
ottobre 1921 dove l'autore dice: «Non è un segreto che Bordiga era dell'opinione che il Comitato
esecutivo non doveva intervenire direttamente al Congresso del PSI».
160 Capitolo decimo
il tono, specie in Klara Zetkin (giunta clandestina alla tribuna e poi « sparita » subito dopo
l'intervento) è molto misurato. Delle impressioni della Zetkin sappiamo qualcosa di più attraverso
un suo primo rapporto inviato, il 14 ottobre, al Comitato esecutivo dell'Internazionale comuni sta,
nel quale si afferma che la situazione presente del Partito socialista italiano non consente molti
margini di manovra alla III Internazionale.
La mia più forte impressione - scrive la comunista tedesca - è stata di una con fusione generale
all'interno del PSI. Solo i riformisti di Turati hanno una posizio ne conseguente sulla situazione e
sanno cosa vogliono. Massimalisti, centristi e uni tari, non hanno chiarezza in quel che vedono, né
come lo vedono, né sulla posizione da prendere... Il dibattito è fitto, rumoreggiante e tempestoso,
ma non va mai oltre alla superficie dei problemi e non li approfondisce, non ha prospettive
ampie... L'au torità dei capi vive di ricordi sentimentali, e di passate grandezze, un capitale che si
consuma rapidamente, qualora lo sviluppo obiettivo continui e si acutizzi. Dato il carattere del
congresso sono estremamente scettica sulle possibilità di rinnovamen to e risanamento del partito
dall'interno... Il centro fondamentale delle masse pro letarie non può più essere visto nell'ambito
del PSI. Spetta al PCI il compito di impegnare tutte le sue energie per la raccolta, l'educazione
politica e la mobilitazio ne delle masse. La situazione è favorevole. Dobbiamo aiutare il Partito a
raffor zarsi 2.
È significativo che Klara Zetkin, la quale anche a Mosca era stata, durante il III congresso, tutt'altro
che tenera verso i compagni italiani, ricavi tali impressioni dall'assise socialista, che suffragano
quanto da par te del PCd'I si va dicendo. Senonché, ormai, proprio in questo tempo, il timone
dell'Internazionale è indirizzato a una sterzata a destra: si sta elaborando la tattica del fronte
unico politico e si guarda con grande so spetto all'orientamento bordighiano. A questo preciso
periodo si rife risce un sintomatico ricordo di Gramsci: egli viene chiamato a Roma da Chiarini e
officiato, a nome dell'Internazionale comunista, ad entrare nell'Esecutivo del partito per «
controbilanciare l'influenza di Amadeo e per prenderne il posto .» Gramsci rifiuta l'offerta. Per
lungo tempo ancora egli riterrà che non si possa mutare la composizione e l'equilibrio politico
dell'Esecutivo, né i suoi dissensi da Bordiga sono ancora radi cali4. ##