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I Ciclo I CLASSIFICATO Francesca PETTIROSSO - Rete Civica di ...

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SCUOLA PRIMARIA - I <strong>Ciclo</strong><br />

I <strong>CLASSIFICATO</strong><br />

<strong>Francesca</strong> <strong>PETTIROSSO</strong><br />

Classe II - Scuola Visintini<br />

Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

TRIESTE: IL MONDO DEGLI ANIMALI<br />

Care Martina e Giulia, le mie migliori amiche,<br />

voi siete andate fuori città per il ponte del Primo Maggio e io ho tante cose da<br />

raccontarvi, anche se sono rimasta a Trieste.<br />

Sono andata sul campanile <strong>di</strong> San Giusto e ho visto uno stormo <strong>di</strong> uccelli: erano<br />

bellissimi, volavano leggeri nel vento. Intanto mia mamma <strong>di</strong>ceva a mia sorella <strong>di</strong> non<br />

sporgersi tanto, perché aveva paura che cadesse. Sono scesa e ho visto che era altissimo. Poi<br />

sono andata fra le colonne romane e c’erano due gattare che davano da mangiare ai gatti:<br />

uno era rosso, uno era a macchie nere, uno era grigio, uno era nero. Pensate, tutti un po’<br />

spelacchiati e con qualche cicatrice, così <strong>di</strong>versi dal mio cane Lucky, sempre profumato e ben<br />

spazzolato! Voi lo conoscete perché vi fa sempre le feste quando venite a casa mia.<br />

Il giorno dopo siamo andati al parco <strong>di</strong> Villa Revoltella, c’era anche mio papà. Abbiamo<br />

visto tanti pesci colorati e simpatiche tartarughe. Lo scorso anno per prendere una <strong>di</strong> queste<br />

Annalisa, mia sorella, è scivolata dentro fino alla pancia e con la sua vocina ha urlato<br />

“Mamma! Mamma!” Mia madre l’ha presa e l’ha portata in macchina. Le abbiamo tolto i<br />

vestiti e le abbiamo messo una coperta. Puzzava come un maialino e… via verso la nonna che<br />

abita lì vicino, dove l’abbiamo lavata e cambiata.<br />

Gli animali sono belli e anche mia sorella lo è.<br />

1


SCUOLA PRIMARIA - I <strong>Ciclo</strong><br />

II <strong>CLASSIFICATO</strong><br />

Kathrin SUSANJ<br />

Classe II - Scuola Fran Milcinski<br />

Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

TRIESTE, CITTÀ DEGLI ANIMALI<br />

Un pinguino era salito su una barca, perché aveva sentito odore <strong>di</strong> pesce. Questa barca<br />

portava a Trieste. Il pinguino si chiamava Pingù. Pingù cercò in piazza Goldoni, n piazza Unità,<br />

al Fer<strong>di</strong>nandeo, nel parco <strong>di</strong> Villa Revoltella e in tutta la città. Il giorno dopo riprese le<br />

ricerche, tornando al giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Villa Revoltella e trovò un topolino che si chiamava Squit.<br />

Squit <strong>di</strong>sse a Pingù dove si trovava il suo pesce: si trovava in piazza Unità. Pingù gli chiese<br />

perché non l’avesse visto. Allora Squit gli spiegò che non era colpa sua perché il pesce era in<br />

cima alla fontana. Allora Pingù domandò come avrebbe potuto prendere il pesce. A Squit<br />

venne un’idea: chiamò il suo amico gabbiano, ma c’era un problema. Quel pesce era una<br />

sar<strong>di</strong>na e a quel gabbiano piacevano molto le sar<strong>di</strong>ne. Se la prese e scappò. Pingù e Squit lo<br />

inseguirono per tutta Trieste. Chissà, forse lo inseguono ancora?<br />

2


SCUOLA PRIMARIA - I <strong>Ciclo</strong><br />

III <strong>CLASSIFICATO</strong><br />

Elia PELIZON<br />

Classe II - Scuola Pinko Tomazic<br />

Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

ŽIVIO TRST!<br />

Nekoc je živel zelo star coln ki so ga ljudje vrgli v morje. Na sreco je bil coln,<br />

zato ni potonil. Prej je prišel v Novo Zelan<strong>di</strong>jo, a so ga spet vrgli v morje. Potem je<br />

prišel v Afriko, a so ga še enkrat vrgli v morje. Po spet velikem potovanju se je coln<br />

ustavil na veliki plaži. Bil je v Argentini. Tam ga niso vrgli v morje! Ampak coln si je<br />

zelo želel se vrniti v Trst. Tam se je pac tu<strong>di</strong> ro<strong>di</strong>l. Ampak to je bilo zelo veliko<br />

potovanje in bi se tu<strong>di</strong> zelo dolgocasil. A nekega dne se je priplazil do colna deževnik<br />

. “Dober dan” je rekel deževnik. Coln pa nic. “Kaj ti je ?“ vpraša deževnik. Coln<br />

žalostno odgovori. “Rad bi se vrnil v Trst. Deževnik pomisli pa rece.“ jaz grem s tabo<br />

da ti ne bo dolgcas”. “Hvala! Si boljši kot prijatelj!” “Se lahko vsedem?” “Seveda,”<br />

Coln in deževnik sta zacela potovanje in po šestih celih letih potovanja so prišli v Trst.<br />

Coln ki ni nikoli govoril, mi je povedal to zgodbo, da sem jo lahko napisal.<br />

Konec<br />

3


Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

EVVIVA TRIESTE!<br />

C’era una volta una barca molto vecchia che la gente aveva buttato in mare. Per fortuna<br />

era una barca e perciò non è affondata. Prima è arrivata in Nuova Zelanda, ma l’hanno <strong>di</strong><br />

nuovo buttata in mare. Poi è arrivata in Africa, ma l’hanno <strong>di</strong> nuovo buttata in mare. Dopo un<br />

ulteriore lungo viaggio la barca si è fermata su una grande spiaggia. Era in Argentina. Lì non<br />

l’hanno buttata in mare! Ma la barca desiderava molto tornare in mare. Lì era pure nata. Ma<br />

questo era un viaggio molto lungo e si sarebbe anche molto annoiata.<br />

Però un giorno un lombrico è strisciato fino alla barca.<br />

“Buongiorno” <strong>di</strong>ce il lombrico. La barca invece nulla.<br />

“Che hai?” chiede il lombrico.<br />

La barca risponde tristemente “Vorrei tornare a Trieste.”<br />

Il lombrico pensa, e poi <strong>di</strong>ce “Io vengo con te così non ti annoierai.“<br />

“Grazie! Sei un amico!”<br />

“Posso sedermi?”<br />

“Certamente!”<br />

La barca e il lombrico hanno iniziato il viaggio e dopo sei anni <strong>di</strong> viaggio sono arrivati a<br />

Trieste. La barca, che non aveva mai parlato, mi ha raccontato questa storia, così ho potuto<br />

scriverla. Fine.<br />

4


SCUOLA PRIMARIA - II <strong>Ciclo</strong><br />

I <strong>CLASSIFICATO</strong> ex-aequo<br />

Tommaso DOGLIA<br />

Classe V - Scuola Virgilio Giotti<br />

Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

LA BORA PRIGIONIERA<br />

Da tempo immemorabile la Bora visitava <strong>di</strong> tanto in tanto Trieste. Arrivava da molto<br />

lontano senza alcun preavviso, ma per i Triestini non era mai una sorpresa: erano abituati alla<br />

sua presenza. Scorazzava per i vicoli della città, spazzava piazze e giar<strong>di</strong>ni, increspava le onde<br />

del mare. A volte scherzava con le persone: faceva volare i cappelli dalle teste, strappava<br />

dalle mani le pagine dei giornali, scompigliava i capelli alle signore.<br />

Quando però dall’altopiano del Carso la Bora scendeva con più violenza, non era facile<br />

vivere in città. Strappava gli ombrelli dalle mani dei passanti, non aveva pietà dei motorini<br />

parcheggiati e impe<strong>di</strong>va alle barche <strong>di</strong> prendere il largo. Spesso causava incidenti stradali,<br />

scoperchiava tetti e sra<strong>di</strong>cava alberi secolari. In queste occasioni la vita in città era un vero<br />

inferno.<br />

“Non si può più vivere così” <strong>di</strong>ceva la signora Ida, raccogliendo i cocci dei vasi caduti<br />

dal terrazzo.<br />

sua barca.<br />

coro.<br />

“Anche oggi non posso lavorare” si lamentava il pescatore che non poteva uscire con la<br />

“Ci vorrebbe un’idea per fermare questo mostro!” esclamarono un giorno i Triestini in<br />

E l’idea fu questa: costruire sull’Altopiano un muro alto, alto fino al cielo; la Bora<br />

sarebbe rimasta al <strong>di</strong> là del muro e la città avrebbe potuto vivere in tranquillità.<br />

Trieste però non fu più la stessa.<br />

Sulla città ristagnavano odori e fumi inquinanti, il cielo era sempre grigio e il mare,<br />

fermo com’era, sembrava uno stagno.<br />

5


Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

Nessuno respirava più l’aria frizzante <strong>di</strong> un tempo e quell’anno la Barcolana fu<br />

sospesa… un vero <strong>di</strong>sastro!<br />

“Tutto colpa <strong>di</strong> quel maledetto muro!” pensavano tra sé e sé i Triestini, ma nessuno<br />

aveva il coraggio <strong>di</strong> proporne la demolizione: era costato tanto e tanto aveva fatto <strong>di</strong>scutere!<br />

Un giorno Ferruccio, un bambino vivace e intelligente, volle curiosare al <strong>di</strong> là del muro.<br />

Non era <strong>di</strong> certo possibile scalarlo, perciò pensò <strong>di</strong> praticare un piccolo foro.<br />

Tolse un mattone, poi un altro, poi un altro ancora finché… ffff… la Bora, da anni<br />

prigioniera al <strong>di</strong> là della barriera <strong>di</strong> cemento, rientrò con forza nella “sua” città.<br />

In un attimo tutto riprese vita. La Bora spazzò lo smog e la malinconia e il cielo si tinse<br />

<strong>di</strong> un azzurro mai visto.<br />

La curiosità <strong>di</strong> un bambino aveva salvato la città.<br />

Cosa sarebbe mai Trieste senza Bora?<br />

6


SCUOLA PRIMARIA - II <strong>Ciclo</strong><br />

I <strong>CLASSIFICATO</strong> ex-aequo<br />

Susanna LANDO<br />

Classe V - Scuola Slataper<br />

Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

LA BORA SU TRIESTE<br />

Era una sera d’inverno e il nonno raccontava ai nipotini una storia su Trieste, la loro<br />

città. Fuori la Bora soffiava forte e impetuosa mentre il nonno e i nipotini erano al calduccio<br />

davanti al caminetto. Il nonno sedeva su una se<strong>di</strong>a a dondolo e reggeva in mano un grosso<br />

libro. Elia, il nipotino più piccolo, <strong>di</strong>sse:<br />

- Nonno, ho paura <strong>di</strong> tutti questi rumori!<br />

Il nonno rispose:<br />

- Non temere, è Bora che soffia.<br />

Al nonno venne in mente una storia d’amore, <strong>di</strong> cui Bora era protagonista.<br />

Gianni si lamentò:<br />

- Io voglio una storia <strong>di</strong> combattimenti!<br />

Il nonno rispose:<br />

- Pazienza, pazienza, ci sarà anche un combattimento… ma ascoltate:<br />

“Bora era la figlia <strong>di</strong> Eolo, padre <strong>di</strong> tutti i venti. Eolo aveva tre figlie femmine e quattro figli<br />

maschi; Bora era la sua preferita. Bora soffiava fresca sul Carso e sulla città <strong>di</strong> Trieste, si<br />

<strong>di</strong>vertiva a correre sui prati e sulla costa. Mandava refoli nelle piccole stra<strong>di</strong>ne e nelle gran<strong>di</strong><br />

piazze, come piazza Unità. Un giorno Tergesteo incontrò Bora e i due si innamorarono e si<br />

nascosero in una grotta del Carso, perché se Eolo avesse visto che Bora si era innamorata <strong>di</strong><br />

un umano si sarebbe infuriato. Cirro Nembo era un refolo antipatico e voleva fare un<br />

<strong>di</strong>spetto a Bora. Cirro aveva degli assistenti, i Cobol<strong>di</strong>. Eolo, intanto, cominciò a preoccuparsi<br />

perché non vedeva più Bora e allora iniziò a cercarla. Dopo molte inutili ricerche chiamò gli<br />

altri figli e i refoli perché andassero a cercarla. Un giorno Cirro, girovagando per il bosco,<br />

vide Bora e Tergesteo nella grotta e andò ad avvertire Eolo che aveva trovato sua figlia.<br />

Allora Eolo, accompagnato da Cirro e dai Cobol<strong>di</strong>, andò nella grotta e s’infuriò con Bora.<br />

7


Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

Tergesteo cercò <strong>di</strong> <strong>di</strong>fenderla, ma Eolo con un refolo lo scaraventò a terra. Quando Bora ed<br />

Eolo se ne andarono, il corpo del ragazzo fu trascinato in riva al mare e coperto dalle onde e<br />

dalle conchiglie. Qualche giorno dopo le Vile, delle fate buone del bosco, si presero cura del<br />

ragazzo e con un incantesimo gli ri<strong>di</strong>edero la vita. Bora intanto era <strong>di</strong>sperata e soffiava<br />

sconsolata su Trieste. Un giorno, soffiando sul Carso, vide Tergesteo nella grotta, lo<br />

abbracciò e gli giurò che non se ne sarebbe più andata da lui. Nel frattempo le Vile andarono<br />

da Eolo per fargli capire quello che aveva fatto. Eolo si pentì e si scusò con Bora. Da quel<br />

giorno Bora visse felice soffiando contenta sul Carso e su Trieste.”<br />

- Vi è piaciuta? – chiese il nonno.<br />

I bambini risposero:<br />

- Sì! Raccontala <strong>di</strong> nuovo!<br />

8


SCUOLA PRIMARIA - II <strong>Ciclo</strong><br />

III <strong>CLASSIFICATO</strong><br />

Janel RADOVINI<br />

Classe V - Scuola Virgilio Giotti<br />

Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

UNA CITTÀ SPECIALE<br />

Sono un uccello migratore e ti voglio raccontare <strong>di</strong> una terra speciale: Trieste.<br />

Io ho visto paesaggi <strong>di</strong> tutti i tipi: terre sterminate, mari lontanissimi; <strong>di</strong> tutti conservo<br />

un ricordo nella mia mente, ma niente è paragonabile allo spettacolo che mi si presenta<br />

quando ritorno a Trieste.<br />

Vedo eleganti palazzi, imponenti statue, piazze con persone <strong>di</strong> tutti i colori.<br />

Ma come <strong>di</strong>menticarsi della cattedrale <strong>di</strong> San Giusto e del suo magnifico rosone?<br />

Ogni volta che posso, vengo qui assai volentieri. Ma quello che mi piace <strong>di</strong> più è<br />

immergermi nella natura sorvolando il Carso, un luogo dove il verde si mescola cono il<br />

bianco della roccia, molto <strong>di</strong>verso da quando ritorno ai paesi cal<strong>di</strong>, quando è ricoperto da un<br />

soffice manto rosso.<br />

Però mi devo anche riposare.... e allora dritto verso la sommità del Faro della Vittoria.<br />

Quello è il mio posto preferito, da lì posso immergermi con la fantasia nello sconfinato mare<br />

<strong>di</strong> Trieste.<br />

Ma ogni bella cosa è destinata a finire e quin<strong>di</strong> anche la permanenza a Trieste prima o<br />

poi deve terminare.<br />

E così viene il giorno <strong>di</strong> emigrare nei paesi cal<strong>di</strong>. Quel giorno sono sempre un po’ triste<br />

perché lascio una città... magica!<br />

9


Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO<br />

I <strong>CLASSIFICATO</strong> ex-aequo<br />

Joanna PELLIZER<br />

Classe III G – Scuola Dante Alighieri<br />

RICORDI !<br />

“Tu cosa vuoi, Virgi?” chiedo alla mia ragazza, mentre ci se<strong>di</strong>amo al tavolino del bar della<br />

piscina.<br />

“Sempre quello, grazie!” e mi sorride.<br />

Mi alzo e vado al bancone.<br />

“Ehi, ciao!” saluto.<br />

La barista mi chiede cosa voglio sorridendo.<br />

“Un Maxibon e un Pomerade al mango”.<br />

Pago e torno al tavolino, porgendo le cose a Virgi.<br />

“Ehi … Fede, …. ci sei?”<br />

Mi riprendo dai miei pensieri scuotendo la testa.<br />

“Si, si, scusa …”, rispondo al mio migliore amico, Alessandro, detto Alex, che molla a terra la<br />

pesante borsa <strong>di</strong> calcio. Abbiamo appena finito allenamento.<br />

“Allora cosa pren<strong>di</strong>?”<br />

“Per me, niente …”<br />

“O.K.!”, mi <strong>di</strong>ce mentre si avvia verso il bar del campetto <strong>di</strong> S. Luigi, per poi tornare in<strong>di</strong>etro<br />

con un pacchetto <strong>di</strong> patatine. Carica in spalla la borsa e ci avviamo verso l’uscita.<br />

Raggiungiamo la fermata della 26 e aspettiamo.<br />

“Anche oggi in piscina?”, mi chiede sgranocchiando le patatine. Annuisco e sporgo la mano in<br />

avanti per far segno al bus che si fermi.<br />

“Certo che non riesco proprio a capire come fai … Dopo che ti ha lasciato continui ad<br />

andare a vederla, ti <strong>di</strong>struggi il cuore!”<br />

10


Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

“O forse me lo faccio guarire!” <strong>di</strong>co io tranquillo. Chiu<strong>di</strong>amo l’argomento Virginia e<br />

continuiamo a parlare <strong>di</strong> cavolate, come sempre.<br />

Scen<strong>di</strong>amo entrambi alla Luminosa, solo che Alex gira verso piazza Oberdan, mentre io vado<br />

verso Via Battisti, alla fermata della 9. Prendo l’MP3 dalla tasca e lo accendo. Aspetto un paio<br />

<strong>di</strong> minuti seduto sulla panchina <strong>di</strong> ferro sotto la cabina delle fermate. Le note dei The Fray mi<br />

riempiono le orecchie. Mi guardo intorno e sorrido. Qui l’ho incontrata per la prima volta …<br />

Cammino svelto per Via Battisti. Devo andare a prendere la 26 sotto i portici e sono in<br />

ritardo. Passo davanti alla fermata della 9. Piove e sono già tutto bagnato … Una ragazza<br />

sbuca da <strong>di</strong>etro la cabina e mi viene addosso, cadendo a terra. Le do una mano e lei si alza.<br />

“Scusami tantissimo!!! Non ti o proprio visto!!” si scusa.<br />

“No, scusami tu, dovevo stare più attento!!!”.<br />

Mi sorride e poi continuo a camminare verso la fermata.Guardo l’orario, dovrebbe arrivare<br />

adesso. Intanto passa la nove e vedo la ragazza che ho fatto cadere … Certo che è proprio<br />

bella!!!<br />

Sorrido, ormai sono già sul bus, all’inizio <strong>di</strong> Via Mazzini, circa. Si ferma in Piazza della<br />

Repubblica e poi riparte. Sistemo meglio il borsone e poi guardo l’orologio sul cellulare: le<br />

16.45, sono appena uscite dall’acqua, fra mezz’ora escono …<br />

Iniziano le canzoni dei Jonas Brothers. Sorrido, questi me li ha inseriti lei, e devo ammettere<br />

che non sono niente male!<br />

Siamo arrivati sulle Rive. Sono seduto dalla parte del mare, che brilla sotto la luce del sole<br />

ancora alto nel cielo.<br />

Poso lo sguardo sul marciapiede …<br />

Il nostro primo appuntamento da soli … sono “leggermente” nervoso …<br />

Continuiamo a parlare tranquillamente del più e del meno, siamo quasi arrivati al Molo<br />

Audace! Non la sto più ascoltando … mi sembra stia parlando <strong>di</strong> un suo prof …<br />

Lo faccio o no?? Ma si, dai … al massimo mi becco uno schiaffo!! Le prendo la mano<br />

incrociando le nostre <strong>di</strong>ta. Smette <strong>di</strong> parlare, mi guarda e poi mi sorride! Evviva!! Prima tappa<br />

superata!!<br />

11


Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

Ci incamminiamo verso la punta del Molo, sempre tenendoci per mano. Arrivati, ci se<strong>di</strong>amo<br />

a terra, con le gambe penzoloni sopra l’acqua.<br />

Le passo un braccio intorno alle spalle e lei appoggia la testa sulla mia spalla. Forse per il<br />

bacio ci sta … ma se non ci sta??<br />

“Allora? Mi baci o no?”, mi chiede sorridendo.<br />

“La faccio subito contenta, Madame!!”.<br />

Le prendo il viso tra le mani e la bacio, il primo <strong>di</strong> una lunga, anzi lunghissima, serie!!<br />

Sorrido al ricordo. Non mi ricordavo che ero così imbranato!<br />

Sono sotto S. Andrea e sono quasi arrivato …<br />

Inizia la canzone “I am what I am”, già, io sono come sono, devo accettare che mi abbia<br />

lasciato, e devo andare avanti … però non ci riesco … o forse non ci voglio riuscire!!<br />

Pensare che un anno fa eravamo così innamorati … abbiamo festeggiato anche un bellissimo<br />

anniversario!!<br />

Mi appoggio ad un albero, come sempre. Poi le vedo arrivare. Sono tutte che ridono e<br />

scherzano, ormai le conosco tutte benissimo!!<br />

E lì, in mezzo a loro, eccola, bellissima come sempre, la Virgi!!<br />

Saluta le altre, si infila il casco, accende il motorino e parte, spensierata, come sempre.<br />

“Ti amo, Virgi!!”, sussurro al vento!!<br />

“Hey, Virgi, posso <strong>di</strong>rti una cosa?”.<br />

“Si, certo!! Spara!!”<br />

“Ti amo!!”<br />

…<br />

“Anche io ti amo, Fede!”.<br />

Trieste è una piccola città <strong>di</strong> mare, una piccola città con milioni <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, che tiene custo<strong>di</strong>ti<br />

e segreti, sempre con sé, per sempre!!.<br />

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Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO<br />

I <strong>CLASSIFICATO</strong> ex- aequo<br />

Federica NAVERI<br />

Classe III G – Scuola Dante Alighieri<br />

COME SABA<br />

Era un uomo anziano con un basco in testa, un bastone per aiutarsi a camminare e un<br />

vecchio giaccone grigio che gli arrivava alle ginocchia. Ricordava la figura <strong>di</strong> Umberto Saba e,<br />

al primo sguardo, pensai proprio che lo fosse, ma scossi imme<strong>di</strong>atamente la testa per<br />

cancellare quel pensiero.<br />

Ad aumentare la sua somiglianza con il poeta triestino, era la faccia imbronciata che scuoteva<br />

continuamente in un deciso “no”.<br />

Camminava su e giù per un breve tratto davanti al Molo Audace brontolando parole<br />

incomprensibili ai passanti che, sdegnati, pensavano bene <strong>di</strong> girare al largo da quell’uomo<br />

minuto, ma dalla parola facile.<br />

- - Xe questo el rispeto pei veci come mi? – lo sentivo urlare da lontano.<br />

Quando gli passai vicino, non potei fare a meno <strong>di</strong> fermarmi ad osservarlo.<br />

- E lei, e lei? Cossa la varda? – , <strong>di</strong>sse rivolgendomi uno sguardo <strong>di</strong> rimprovero, - un<br />

vecio no pol gnanca caminar, ‘desso?<br />

Subito <strong>di</strong>ventai rossa, sia per l’imbarazzo, sia per la rabbia; mi girai e percorsi la mia strada.<br />

- -No la me stia scampar, signorina! – esclamò l’ometto da lontano, raggiungendomi<br />

con passo malfermo.<br />

- No la se gaverà miga ofeso?<br />

Risposi <strong>di</strong> no con sdegno e feci per andarmene, ma mi bloccò.<br />

- Per farme perdonar ghe poso ofrir un cafè in Cavana?<br />

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Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

Indecisa accettai e lui mi fece strada. Durante il tragitto non uscì nemmeno una parola tra <strong>di</strong><br />

noi e silenziosamente raggiungemmo un bar. Era una giornata calda e il sole scaldava con i<br />

suoi raggi la città, risvegliandola dal riposo notturno.<br />

Appena seduti, l’uomo si tolse il basco e io potei notare due occhi azzurri intensi che un<br />

tempo dovevano essere stati molto attraenti.<br />

Sospirò e mi sembrò imbarazzato, come un bambino quando non vuol ammettere <strong>di</strong> avere<br />

torto.<br />

Cercai <strong>di</strong> iniziare un <strong>di</strong>scorso cor<strong>di</strong>ale, ma l’uomo tagliò corto la mia domanda. Mi zittì con il<br />

cenno <strong>di</strong> una mano.<br />

- No la devi pensar che mi trati mal le persone senza un motivo, solo le me da<br />

fasti<strong>di</strong>o. Cori de qua, cori de là, va a lavorar, insomma, mai un momento de pase.<br />

Notò la mia perplessità, si schiarì la voce e continuò il suo <strong>di</strong>scorso:<br />

- Mi no riconosso più sta cità. La xe morta, senza anima, freda e con un cuor duro<br />

come la piera. – Afferrò la tazzina <strong>di</strong> caffè e ne buttò giù un sorso.<br />

- Sessant’anni fa non iera miga cussì, non iera grattacieli, milioni <strong>di</strong> automobili. No,<br />

iera solo do machine per strada e do case qua e là. Mi e i mii zoghi ndavimo insieme<br />

per le strade infangade de Zitavecia e po rivavimo al punto più alto della città e la,<br />

verso l’orizzonte, sull’ultimo promontorio dove noi pensavimo finissi el mondo, se<br />

vedeva la perla bianca, el castel immacolato su cui se inventava leggende per noi<br />

muli. Ora Trieste no xe più la bela perla sul mar, ma una città industriale come<br />

tante. Con tutti ‘sti grattacieli, scavi, dura la xe <strong>di</strong>ventada, dura come el cemento.<br />

I suoi occhi erano persi in un punto indefinibile, forse <strong>di</strong>stanti sessant’anni, lontani e soli.<br />

- ‘desso xe solo avvocati, omini de afari, sempre de furia. Se solo i se fermassi a<br />

vardar el panorama de Trieste. Xe per questo che stago là, davanti al molo, per<br />

veder se qualchedun nota el mar che, la sappi, non xe più quel de una volta.<br />

Annuivo lievemente ogni volta che i suoi occhi m’incontravano, non ero pienamente<br />

d’accordo con i suoi <strong>di</strong>scorsi, ma lo lasciavo parlare. Era come se si sfogasse con me <strong>di</strong> tutti i<br />

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Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

suoi pensieri. Chissà perché mi aveva notato, non ero l’unica ad osservarlo, ma non volevo<br />

interromperlo per chiederglielo, mi piaceva ascoltarlo, guardarlo e immaginare tutto quello<br />

che aveva passato, il bell’uomo che doveva essere un tempo e le sue storie d’amore.<br />

“Trieste ha una scontrosa grazia”, <strong>di</strong>xeva Saba, pol no piaser, ma co se impara ad amarla xè<br />

quasi <strong>di</strong>fficile lassarla. Ora vado per la città vedo la sua statua, morta, immobile, spenta<br />

come ‘sti novi triestini. Certo, i triestini no xe mai sta<strong>di</strong> simpatici, sempre a pensar per lori,<br />

sempre taca<strong>di</strong> alle loro robe, per questo la gente no xe cambiada tanto. Non riconosso più<br />

la mia città, solo strade, industrie, stress come <strong>di</strong>sè voi giovani. Se solo qualchedun se<br />

fermassi …<br />

Non concluse la frase, la lasciò persa. Rimanemmo in silenzio per un po’, poi prese dalla tasca<br />

del giaccone il portafogli, fece cadere qualche moneta sul tavolo e si alzò.<br />

- Xe sta un piazer … arrivederla … -<br />

S’incamminò per le strade strette <strong>di</strong> Cittavecchia scomparendo quasi imme<strong>di</strong>atamente dalla<br />

mia vista.<br />

Sorrisi ancora seduta al tavolo del bar, quell’uomo sembrava venire dal passato, un Saba<br />

contemporaneo, forse il fantasma del grande poeta. E come un fantasma sparì, non lo vi<strong>di</strong> più<br />

sul Molo o da qualunque altra parte, era scomparso senza lasciare nessuna traccia.<br />

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Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO<br />

III <strong>CLASSIFICATO</strong><br />

Alice LODI<br />

Classe III B – Scuola Giancarlo Roli succursale <strong>di</strong> Altura<br />

IL VIAGGIO DELLA STELLA<br />

C’era una volta una stella, che, in una magica notte d’estate, vagando per il cielo incantato,<br />

immersa nell’infinità dei suoi pensieri, scorse sotto <strong>di</strong> sé un’aria nuova, fresca come l’acqua<br />

nei pomeriggi estivi.<br />

E facendosi cullare dolcemente da quella brezza che l’accarezzava, la stella si staccò dalla sua<br />

sognante solitu<strong>di</strong>ne e guardò giù incuriosita.<br />

Difficile spiegare la luce che si accese nei suoi occhi quella notte, tanto lo stupore e la<br />

meraviglia <strong>di</strong> aver visto ciò che, illuminato e sognante, dormiva sotto il cielo stellato. Coperta<br />

da una miriade <strong>di</strong> minuscoli punti d’argento, infatti, se ne stava una città assopita, una città<br />

che la stella non aveva mai visto sotto le sue bianche nubi <strong>di</strong> panna, pur avendo viaggiato per<br />

cieli lontani, paesi favolosi e mon<strong>di</strong> sconosciuti.<br />

Ora, la nostra stella stava ammirando quella città dal volto finora sconosciuto, tenuto<br />

nascosto come un tesoro che, quasi inconsapevolmente, attendeva paziente il suo arrivo.<br />

Mai, nella sua vita <strong>di</strong> stella, aveva potuto assistere a un tale spettacolo.<br />

Aveva attraversato deserti, magnifiche foreste, gran<strong>di</strong>ssime metropoli, piccoli villaggi,<br />

innumerevoli campagne, ver<strong>di</strong>ssime colline, e ancora montagne gigantesche, mari indomati e<br />

infiniti oceani che le erano sembrati interminabili, nel familiare e continuo alternarsi <strong>di</strong> giorno<br />

e notte, alba e tramonto, luce e ombra. Ma mai si era sentita adatta al suo cielo come quella<br />

notte: le gran<strong>di</strong> città la impaurivano, la facevano sentire troppo piccola, troppo in<strong>di</strong>fesa, una<br />

tra le tante; risplendere sopra i paesi troppo piccoli, invece, era monotono; vegliare sui<br />

deserti la faceva sentire troppo sola, non c’era nessuno da far sognare; sulle montagne<br />

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Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

troppo alte si gelava, non si poteva riposare; gli oceani erano infine troppo vasti da<br />

controllare.<br />

Pensando a quanta strada aveva percorso per trovare finalmente un cielo fatto su misura per<br />

lei, la stella, quella notte, parve poter sorridere. Ammirava sod<strong>di</strong>sfatta un mare che non era<br />

né troppo piccolo né troppo grande, un golfo che incorniciava una città perfetta; una città a<br />

misura <strong>di</strong> stella su cui poter vegliare ogni notte; un castello da favola, un castello sul quale<br />

poter inventare storie e far crescere sogni; una grande piazza per poter vedere i bambini<br />

giocare e correre felici; un lungomare affacciato a quel golfo che fa tanto sospirare nel<br />

tramonto rosa della sera; tanto verde per il piacere <strong>di</strong> illuminare la natura, i fiori e gli alberi in<br />

primavera; e un faro da guidare con la luce dorata che solo una stella sa dare.<br />

E fu in quei momenti magici <strong>di</strong> quella straor<strong>di</strong>naria notte d’estate che la stella decise <strong>di</strong> voler<br />

de<strong>di</strong>care ogni suo sorriso, ogni suo luccichio alla città che aveva subito amato, fin dal primo<br />

momento.<br />

E ancora è lì, nel cielo, a regalare sorrisi, respirando desideri, facendosi cullare da quella<br />

brezza che ha imparato a chiamare Bora, <strong>di</strong>segnando ogni notte una parola con nastri<br />

d’argento: “Trieste”.<br />

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Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO<br />

I <strong>CLASSIFICATO</strong><br />

Zeno SARACINO<br />

Classe II gamma Liceo Socio-Psico-Pedagogico Carducci<br />

DOPO LE GUERRE<br />

Il sole era offuscato da nubi grigie che oscuravano il paesaggio e abbattevano gli animi.<br />

Nuvole tempestose che preannunciavano l’autunno imminente. Quando una folata <strong>di</strong> vento<br />

<strong>di</strong>sperse per un attimo le nubi, un raggio <strong>di</strong> sole rischiarò parte del paesaggio.<br />

L’uomo che camminava, nel sentire il sole, alzò il capo e sorrise. Aveva un’età <strong>di</strong>fficile da<br />

definire; all’improvvisa folata <strong>di</strong> vento il cappuccio era caduto rivelando un volto stanco, ma dalla<br />

ferrea determinazione. Il viso era solcato dai resti <strong>di</strong> una barba mal rasata e ravvivato da occhi<br />

colore dell’inchiostro; lo avvolgeva un mantello nero, sbia<strong>di</strong>to dalle intemperie.<br />

Camminava velocemente, a scatti, ricordando un gatto, nel modo <strong>di</strong> fare furtivo e<br />

perennemente all’erta.<br />

Il paesaggio che lo circondava dava un’immagine <strong>di</strong> assoluta desolazione. Alla sua destra<br />

alberi che crescevano a stento su colline costellate da sassi e pietre. Alla sua sinistra i resti <strong>di</strong> un<br />

molo; il mare si era ritirato da tempo lasciando solo imbarcazioni <strong>di</strong>strutte, polvere e sabbia.<br />

- Un luogo abbandonato da tutto e tutti – borbottò l’uomo.<br />

La stessa strada, lungo la quale arrancava, era ricoperta da crepe e fratture nel cemento.<br />

Dopo circa mezz’ora, l’uomo inciampò in uno dei resti della desolazione. Recuperato<br />

l’equilibrio si chinò e rovistò nella polvere, finché trovò l’oggetto nel quale era inciampato.<br />

Era un cartello stradale, un rettangolo <strong>di</strong> plastica eroso dal tempo.<br />

– Benvenuti a Trieste – lesse con <strong>di</strong>fficoltà. Sotto la scritta vide anche dei numeri e delle<br />

cifre che non riuscì a decifrare. Ma d’altra parte, avevano ben poca importanza al confronto con<br />

ciò che aveva letto.<br />

Per la seconda volta nell’arco <strong>di</strong> un’ora, l’uomo sorrise.<br />

– Sono arrivato a casa – mormorò.<br />

Continuò a camminare. Man mano che procedeva le colline erano sempre meno numerose<br />

e scorgeva invece i resti <strong>di</strong>roccati <strong>di</strong> case ed e<strong>di</strong>fici.<br />

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- Cavaliere! Il tuo nome invoco! –<br />

Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

L’uomo si voltò <strong>di</strong> scatto, posando la mano sul pugnale che aveva alla cintura. Chi lo aveva<br />

chiamato si voltò, fuggì precipitosamente e l’uomo lo inseguì.<br />

Era un essere deforme, il cui corpo gracile evitava <strong>di</strong> inciampare nelle buche del terreno<br />

con l’agilità <strong>di</strong> un ragno.<br />

- Ehi tu! – urlò – Fermati. Non voglio ucciderti! –<br />

Lo aveva chiamato Cavaliere, pensò. Forse non era molto sano <strong>di</strong> mente.<br />

L’essere sembrò avere qualche esitazione, ma si fermò e tornò prudentemente in<strong>di</strong>etro.<br />

- Cavaliere? – borbottò.<br />

Adesso che era vicino notò come indossasse vestiti stracciati e avesse il viso reso<br />

irriconoscibile da ustioni e mutazioni. L’uomo riconobbe in essi i segni causati dalle ra<strong>di</strong>azioni<br />

<strong>di</strong>ffuse in seguito alla Guerre.<br />

me stesso.-<br />

- Non sono un cavaliere. Sono un viaggiatore, un Viandante.<br />

- Davvero? Questo è…interessante. È da molto che non parlo con qualcuno che non sia<br />

- Perché mi hai chiamato Cavaliere, Mutante? –<br />

- Perché se tu fossi stato un malvivente mi avresti ucciso all’istante. Quin<strong>di</strong> sei un Cavaliere.<br />

E scommetto che sei in cerca <strong>di</strong> qualcosa…-<br />

- In questo hai ragione. Mi hanno raccontato che in questa città un luogo <strong>di</strong> sapere è<br />

sopravvissuto alle Guerre. –<br />

aiuterò.<br />

- Oh sì. È proprio così, Viandante –<br />

- Mi porteresti a questo luogo <strong>di</strong>… Sapere? –<br />

Il Mutante sembrò indeciso, poi annuì.<br />

- D’accordo. Avresti potuto uccidermi e non lo hai fatto. Lo ritengo un debito e perciò ti<br />

Il Mutante arrancò tra le rovine e il Viandante lo seguì. L’uomo vide così la stazione dei<br />

treni, con il tetto sfondato e i treni in attesa <strong>di</strong> passeggeri che non sarebbero mai arrivati.<br />

Calpestò i resti <strong>di</strong> statue <strong>di</strong> eroi passati, ammirò fontane le cui sculture (tritoni e naia<strong>di</strong>)<br />

erano state sfregiate o cancellate da vandali sconosciuti. Il mare, che l’uomo ricordava base<br />

dell’economia <strong>di</strong> Trieste, si era ritirato, inabissandosi nelle viscere della terra.<br />

- Sei nato qui a Trieste, Mutante? –<br />

- Oh sì, Viandante. Perfino prima delle Guerre. –<br />

- Devi essere molto vecchio –<br />

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"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

- Sono troppo vecchio, Viandante. Lavoravo in questa città acquistando e vendendo libri.<br />

Avevo una vita noiosa, ma nell’insieme tranquilla e felice. Fino alle Guerre. Un giorno qualunque,<br />

mentre camminavo verso il mio negozietto, scorsi una luce dall’intensità incomparabile. Un globo<br />

<strong>di</strong> luce e forza che cadeva, precipitava su Trieste. Cad<strong>di</strong> cieco a pochi metri dal negozio e svenni.<br />

Dormii ore, forse giorni. Al mio risveglio pensai <strong>di</strong> essere all’inferno. Trieste era stata <strong>di</strong>strutta<br />

devastata. La città era morta.<br />

L’uomo rifletté. A giu<strong>di</strong>care dal racconto del Mutante, questi era sopravvissuto alla prima<br />

fase delle Guerre, la più terribile poiché erano state utilizzate testate nucleari.<br />

Il “luogo del Sapere” nominato dal Viandante aveva come entrata il primo piano <strong>di</strong> un<br />

e<strong>di</strong>ficio sul punto <strong>di</strong> crollare.<br />

L’uomo provò ad aprire la porta che si spalancò silenziosamente; l’atrio circostante era<br />

vuoto d’ogni cosa e degli scalini portarono ai sotterranei. L’aria satura <strong>di</strong> polvere provocò un<br />

accenno <strong>di</strong> tosse al Viandante esausto dopo aver arrancato <strong>di</strong>etro la sua guida, il Mutante.<br />

Mentre la porta all’esterno era aperta, quella dei sotterranei era chiusa, priva <strong>di</strong> maniglia e<br />

in ferro. Probabilmente era stata progettata durante le Guerre e si apriva solo con un co<strong>di</strong>ce a lui<br />

sconosciuto.<br />

Quando il Viandante tentò <strong>di</strong> spingere la porta una registrazione nascosta, probabilmente<br />

nella parete, si accese. La voce era metallica, senza sentimenti o alterazioni.<br />

- L’ accesso è vietato. Per accedere pronunciare il co<strong>di</strong>ce. Avete <strong>di</strong>eci secon<strong>di</strong>. -<br />

Il Viandante trattenne a stento l’istinto <strong>di</strong> prendere a calci la porta. O<strong>di</strong>ava le macchine e i<br />

marchingegni sopravvissuti alle Guerre, ma per superare l’ostacolo doveva calmarsi.<br />

- Uno, due, tre, quattro… -<br />

- La parola d’accesso al co<strong>di</strong>ce è “Sapere” -<br />

- Cinque, sei, sette… -<br />

Era troppo banale. Doveva essere qualcos’altro, ma cosa? Forse il Mutante l’aveva chiamato<br />

Cavaliere per uno scopo preciso, pensò.<br />

- La parola d’accesso al co<strong>di</strong>ce è “Cavaliere” -<br />

- L’accesso è permesso. -<br />

La porta si aprì, ruotando sui car<strong>di</strong>ni e la registrazione s’interruppe. Il Viandante esitò per<br />

un istante, poi entrò nel luogo <strong>di</strong> sapere, che tanto a lungo aveva cercato.<br />

L’interno della biblioteca era foderato da scaffali con centinai <strong>di</strong> libri miracolosamente<br />

sopravvissuti alle Guerre, ai cataclismi, alle barbarie umane.<br />

Il Viandante incominciò a leggere.<br />

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"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO<br />

II <strong>CLASSIFICATO</strong><br />

Nastia Slavec<br />

Classe II Liceo Socio-Psico-Pedagogico Slomsek<br />

MAJICA<br />

Prehitela sem ženice, ki že navsezgodaj opletajo z nakupovalnimi torbami, in se<br />

odlocno napotila proti vogalu. Tam sem se zagledala v mala ogledala. Šibka burja mi<br />

je že razkustrala lase in ne menec se za mimoidoce sem si jih z desnico spet skrbno<br />

pogla<strong>di</strong>la. Burja pa mi je zadala protiudarec : okoli stopal sta mi zaplesali prazni<br />

vrecki. Kljub temu sem se sama sebi zazdela izredno mikavna. Pod nezapetim<br />

jopicem sem nosila novo majico, ki sem jo le dva dni prej kupila s svojim denarjem po<br />

natancni inšpekciji vseh modnih trgovin v terezijanski cetrti . Bila sem res ponosna :<br />

to ni bila cunja , ki jo obleces, bila je bozansko oblacilo , ki me je spremenilo v “in”<br />

dekle . Tu<strong>di</strong> zadnjico mi je pomanjsala , sem ugotovila, ko sem se pogledala od<br />

strani. Prvic v zgodovini sem se sr<strong>di</strong> sivega mesta, še zaspana po voznji s<br />

triindvajsetico, pocutila lepo.<br />

Zakaj sem izstopila pri Luminosi? Nisem hotela naravnost na devetico in v<br />

solo, bil bi pravi greh. Tako fino oblecena moram na “Plac”. Kako neumna sem, sedaj<br />

bom morala peš! Le kaj si bodo mislili ? Burja mi bo unicila pricesko! Semafor pri<br />

Portici mi je prižgal rdeco luc ; odlocila sem se : na “Plac” bom šla , da razkažem<br />

svojo kul majico!<br />

Ko sem prisacala na Oberdanov trg , še ni bilo žive duše . Nekaj uradnikov je<br />

zakorakalo mimo ; gospe so tvegale in tekle cez cesto med avtomobili na autobuse.<br />

Zagledala sem skupinico fantov z jopici iz džinsa, ki se je naslanjala ob bele izlozbe<br />

banke, a ti niso bili naši. Ocitno sem bila za nekaj minut prezgodnja. Kraševci pridejo<br />

ob sedmih in pol.<br />

Obstala sem sre<strong>di</strong> plocnika in se skušala delati, kot da me zelo zanimajo<br />

avtobusi, v oci pa se mi je blešcalo sonce. Pogla<strong>di</strong>la sem si majico, popravila kapuco<br />

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"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

in si s prstom pocesala obrvi. Nerodno mi je bilo. Hotela sem se obrniti in preveriti, ali<br />

fantje res bolšcijo vame , kot se mi je zdelo.<br />

Pri postaji tramvaja sem koncno zagledala autobus, ki me je resnicno zanimal,<br />

štirico. Openci so izstopili in se navalili na široko plošcad . Od dalec sem spoznala<br />

Majo , ki se je nerodno pomikala v ozkih hlacah , ki se - resici na ljubo - niso prav nic<br />

skladale z njeno mocno postavo. Ob njej je stala drobna Iva . Kar se da pocasi in<br />

zravnano sem stekla k njima. “Cau, Tjasa! Kaj pa pocneš tukaj?” je nebrzdano<br />

zaklicala Maja. “Ehm, nic… Samo zamikalo me je , da bi prisla pogledat sem ,” sem<br />

se delala za brezbrižno. “Uh, nova majica! “ Se je pomenljivo nasmehnila Iva. Že me<br />

je spregledala . “ In ta top , ki ga imaš pod njo , je rdec z belim robom ! Figo!” “To pa<br />

me je res cisto slucajno ujelo,” sem se sele takrat zavedla , kako je v resnici<br />

posrecen moj look. Moja krasna majica je imela bele in rdece crte, kapuco in izrez na<br />

V , stare kavbojke pa so delovale povsem drugace kot navadno, kot bi bile ustvarjene<br />

samo zame, za novo majico. Zacel se je zaspan pogovor. Rekla sem bolj malo ter se<br />

raje prepustila obcutku zmagoslavja, ki me je oprijel. Na trgu ni bilo niti enega<br />

goloba, deželna palaca tokrat ni bila sivkasto okorna in tisti fantje so gledali prav<br />

nas. Verjetno prav mene! Asja in Valeria sta se nam z lenim, potegnjenim korakom<br />

pridruzili . Zacutila sem preiskujoce poglede in se zavedla , da tako kot Valeria<br />

potiskam dlani v žepa kavbojk. Ta pa je pahnila Ivo v v pozdrav in me vprasala , ce<br />

sem nare<strong>di</strong>la nalogo kemije . Kot bi hotela reci : saj si samo navadna bifla. Sebe<br />

poglej, sem si mislila , dva madeza licila na oceh se ne nare<strong>di</strong>ta lepotico. Sama zavist<br />

te žre! Obrnila sem se k Asji in ji navrgla par besed o neki skrajno bedni televizijski<br />

oddaji, ki jo je iz golena nakljucja prejšnji vecer gledala mama. Verjetno ni razumela<br />

posmehljivega tona mojega glasu. Kar naravnost mi je rekla : “Tjaša, danes si res<br />

lepa!” Hotela sem preveriti, ce sem pravilno razumela. Glavo sem nagnila na stran in<br />

zašepetala : “Kaj?”<br />

“Danes si lepa. Z<strong>di</strong>š se poživljena, srecna…” “Oh hvala, “ sem skušala zadržati<br />

željo, da bi odvrgla torbo in poskocila cez ulico Carducci. “A samo danes sem lepa,<br />

kaj? “ se nisem mogla zadržati. Nova majica , pa sem že zvezda. Tisti podocnjaki<br />

zara<strong>di</strong> pisanja kemije do enajstih so zbledeli ali kaj? Razgledala sem se . Cesto je<br />

pravkar preckala reka lju<strong>di</strong> in med njimi je bila Margherita. Visoko se je dvigala nad<br />

zagorele temnolaske. Nosila je soncna ocala , a zato ker imajo lece z <strong>di</strong>optrijo , mi je<br />

razkrila nekoc po treningu na kavici . Tako se mi sploh ni zazdela posebno vpadljiva<br />

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ali izbrana. Pomahala sem ji. Stopala je naravnost proti nam . Šla je mimo mene , a<br />

mi ni odzravila . Mogoce me ni prepoznala? Tesnobno sem gledala njeno postavo,<br />

kako se odmika v senco. Lahko bi stekla za njo. Zakaj pa? Da jo vprašam, ce pride<br />

danes na balet? Sploh ne poznam njenih prijateljic , še nje ne poznam . Margherita je<br />

samo moja znanka iz baleta. Zelo prijetno dekle . E<strong>di</strong>na izmed koleg na baletu ki je<br />

takoj razumela da obiskujem slovenski licej in se nisem preselila iz bivše Jugoslavije.<br />

Pravilno izgovarja moje ime . Sedaj pa imam novo majico, a me sploh ni opazila.<br />

Spreho<strong>di</strong>la se je tik nase gruce, ne da bi jo ošinila s pogledom.<br />

Iva me je prijela za roko. Pomirila sem se :Maja je med splošnim smehom<br />

opevala lepoto suhljatega temnolasca. Ni se zavedala , da ta le pet metrov oddaljen ,<br />

podpira zidove ob vhodu v banko , kot so jih prej italijanski <strong>di</strong>jaki. Uboga Maja ,<br />

slovenske <strong>di</strong>jaške mla<strong>di</strong>ne je malo ! Nekdo me je potegnil za rokav : Iva me je zvlekla<br />

na šestico. Pri srednjih vratih sva se prerinili na avtobus . Za<strong>di</strong>hani <strong>di</strong>jaki so zasedli<br />

skoraj vse sedeže, Maja pa je nama pomahala s svojega. Napotili sva se k nji cez<br />

dzunglo torb in hrbtov , spotoma pa sem pozdravila vse možne znance . Ujela sem<br />

svojo podobo v šipi : res sem nekaj izzarevala , nisem bila le suhoparno dekle iz<br />

množice. Z novo mocjo sem zalucala torbo na tla , pri tem pa se obreznila ob<br />

nekoga . “Ups, opresti, Iva, “ sem rekla A Iva je ze stala ob Maji in me zacudeno<br />

gledala. Uprla sem pogled navzgor. Tadej je pogledal dol, naravnost v moj obraz.<br />

Njegove oci so kot magnet. Spogledala sva se . Autobus se je ustavil, bili smo že pri<br />

ljudskem vrtu. Vedela sem , da se Maja krohota. Toda imela sem novo majico, zato<br />

me je gledal, a ne? “Ej, Tjaša, a si spisala nalogo kemije?” se mi je nasmehnil.<br />

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LA MAGLIETTA<br />

Superai le signore che già <strong>di</strong> primo mattino vanno in giro con le borse della spesa., e mi<br />

avviai con determinazione verso l’angolo. Lì mi sono vista specchiata in piccoli specchi. Il vento<br />

debole mi aveva già arruffato i capelli e noncurante dei passati me li riavviai con cura con la mano<br />

destra. Però stavolta il vento mi <strong>di</strong>ede il contraccolpo: attorno ai pie<strong>di</strong> mi si avvolsero dei sacchetti<br />

vuoti. Nonostante ciò mi sentivo piuttosto accattivante. Sotto la giacchetta aperta indossavo la<br />

maglia nuova, che avevo comperato appena due giorni prima con i miei sol<strong>di</strong> dopo un’accurata<br />

ispezione <strong>di</strong> tutti i negozi alla moda nel borgo Teresiano. Mi sentivo veramente fiera : non era uno<br />

straccetto , ma era un indumento <strong>di</strong>vino, che mi trasformava in una ragazza “inn”. Anche il sedere<br />

sembrava più piccolo, lo avevo scoperto quando mi sono osservata <strong>di</strong> lato. Per la prima volta nella<br />

storia mi sono sentita bella, ancora addormentata dopo il tragitto con la ventitre, in mezzo alla<br />

città grigia.<br />

Perché sono scesa alla Luminosa? Non volevo salire <strong>di</strong>rettamente sulla nove e andare a<br />

scuola, sarebbe stato un vero delitto. Vestita così bene, devo andare in piazza. Come sono stupida,<br />

adesso dovrò andare a pie<strong>di</strong>! Che cosa penseranno? Il vento mi <strong>di</strong>struggerà la pettinatura! Il<br />

semaforo dei portici si è acceso sul rosso, mi sono decisa : andrò in piazza a sfoggiare la maglietta<br />

“cool”!<br />

Quando sono arrivata in piazza Oberdan non c’era ancora anima viva. Alcuni impiegati sono<br />

passati <strong>di</strong> lì; le signore rischiavano e attraversavano la strada in mezzo alle macchine e correvano<br />

sugli autobus. Ecco un gruppetto <strong>di</strong> ragazzi con i giubbettini in jeans che si appoggiavano sulle<br />

bianche vetrate della banca, ma non erano dei nostri. Era evidente che ero <strong>di</strong> qualche minuto in<br />

anticipo. I carsolini arrivano alle sette e mezzo.<br />

Mi sono piazzata in mezzo al marciapiede e facevo finta <strong>di</strong> essere interessata ai bus , il sole<br />

mi brillava negli occhi. Mi sono lisciata la maglietta, ho aggiustato il cappuccio e con il <strong>di</strong>to mi sono<br />

lisciata le sopracciglia. Mi sentivo imbarazzata. Volevo girarmi per verificare se i ragazzi mi stavano<br />

veramente fissando, come mi sembrava.<br />

Vicino alla fermata del tram ho finalmente visto l’autobus che mi interessava veramente, la<br />

quattro. Quelli <strong>di</strong> Opicina sono scesi occupando lo slargo. Da lontano ho riconosciuto Maja che si<br />

muoveva con <strong>di</strong>fficoltà nei suoi pantaloni stretti, che a <strong>di</strong>re il vero non le si ad<strong>di</strong>cevano essendo <strong>di</strong><br />

stazza robusta. Accanto a lei c’era la minuta Iva. Il più lentamente possibile e stando <strong>di</strong>ritta mi sono<br />

avvicinata a loro. “Ciao Tjasa, che cosa ci fai tu qua?” ha gridato Maja senza freni. “Ehm… nulla<br />

avevo solo voglia <strong>di</strong> passare <strong>di</strong> qua” facevo finta <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>sinteressata.<br />

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"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

“Uh, maglia nuova” <strong>di</strong>sse Iva con un significativo sorrisetto. Mi aveva già squadrato. “e quel<br />

top che indossi sotto la maglia, rosso col bor<strong>di</strong>no bianco! Figo!”<br />

“Questo mi è venuto così per caso,” appena in quel momento mi sono accorta com’era in<br />

realtà riuscito il mio look. La mia stupenda maglia aveva delle righe bianche e rosse , il cappuccio e<br />

il collo a vu, e i vecchi jans avevano un effetto del tutto <strong>di</strong>verso dal solito, come se fossero stati<br />

creati solo per me, per la nuova maglia.<br />

Iniziò un colloquio un po’ stanco. Dicevo ben poco, piuttosto mi abbandonavo alla<br />

sensazione <strong>di</strong> vittoria che mi inebriava. Sulla piazza non c’era neanche un piccione , il palazzo della<br />

Regione stavolta non era grigetto e cupo, e quei ragazzi stavano guardando proprio noi,<br />

probabilmente proprio me! Asja e Valeria si sono avvicinate a noi con passo pigro e allungato.<br />

Sentivo su <strong>di</strong> me sguar<strong>di</strong> osservatori e mi sono accorta che stavo spingendo le mani nelle tasche<br />

dei jeans, proprio come Valeria. Lei mi chiese se avevo fatto il compito <strong>di</strong> chimica. Come se<br />

volesse <strong>di</strong>re : sei solo una secchiona! Guarda te stessa, ho pensato, un po’ <strong>di</strong> ombretto sugli occhi<br />

non fanno <strong>di</strong> te una bellezza. Sei solamente rosa dall’invi<strong>di</strong>a!<br />

Mi sono girata verso Asja e ho buttato alcune parole del tutto casualmente a proposito <strong>di</strong><br />

una trasmissione televisiva molto stupida, che guardava la mamma l’altra sera. Probabilmente non<br />

ha percepito il tono ironico della mia voce. Mi <strong>di</strong>sse in modo <strong>di</strong>retto : “Tjasa oggi sei veramente<br />

bella!” volevo verificare se avevo capito bene. Ho inclinato un po’ la testa e ho detto “Cosa?”<br />

“Oggi sei bella. Sembri rinata, felice…” “Oh grazie” cercai <strong>di</strong> trattenere il desiderio <strong>di</strong> buttare la<br />

borsa e attraversare <strong>di</strong> corsa via Carducci. “Solo oggi sono bella?” non sono riuscita a trattenermi.<br />

Una maglia nuova e sono già una stella. Quei sotto occhi a causa dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> chimica sono<br />

svaniti o che? Mi sono guardata in giro. Alcune persone stavano attraversando la strada e tra <strong>di</strong><br />

loro c’era Margherita. Camminava alta tra ragazze more abbronzate. Portava occhiali da sole in<br />

quanto avevano le lenti da vista, mi aveva confidato una volta dopo l’allenamento, in un caffè. Così<br />

non mi sembrava particolarmente accattivante. La salutai con la mano. Camminava <strong>di</strong>rettamente<br />

verso <strong>di</strong> noi. È passata accanto a me ma non mi ha salutato . Forse non mi ha riconosciuto?<br />

Con tensione osservavo la sua figura, come si spostava verso l’ombra. Potevo correrle<br />

<strong>di</strong>etro. Per quale motivo? Per chiederle se veniva oggi a ballare? Non conosco le sue amiche , lei la<br />

conosco a malapena. Con Margherita ci conosciamo solo dalla danza. Una ragazza molto<br />

gradevole. L’unica tra le colleghe <strong>di</strong> danza che ha capito subito che frequento il liceo sloveno e che<br />

non mi sono trasferita dalla ex Yugoslavia. Pronuncia in modo corretto il mio nome . però adesso<br />

che ho la maglia nuova non mi ha neppure notata. È passata proprio accanto al nostro gruppetto<br />

senza vedermi.<br />

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Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

Iva mi prese per mano . Mi sono calmata: Maja stava decantando ad alta voce e tra le risate<br />

generali, la bellezza <strong>di</strong> un ragazzo moro e snello. Non si era accorta che lui era a cinque metri <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stanza e sosteneva i muri all’ingresso della banca, come facevano prima gli studenti italiani.<br />

Povera Maja, <strong>di</strong> giovani studenti sloveni ce n’è pochi!<br />

Qualcuno mi tirò per la manica: Iva mi tirò sulla sei. Ci siamo spinte su dall’ingresso <strong>di</strong><br />

mezzo. Gli studenti hanno occupato quasi tutti i posti a sedere, Maja ci ha fatto segno dal suo<br />

posto. Ci siamo avviate verso <strong>di</strong> lei attraverso la giungla <strong>di</strong> borse e schiene, nel frattempo salutavo<br />

tutti quelli che conosco. Mi sono vista specchiata nel vetro della finestra: stavo veramente<br />

irra<strong>di</strong>ando qualcosa, non ero una insignificante ragazza nella folla. Con una forza nuova ho lanciato<br />

la borsa per terra in quel momento ho urtato qualcuno. “Ops scusami Iva” ho detto. Ma Iva era già<br />

accanto a Maja e mi guardava sorpresa. Ho rivolto lo sguardo verso l’alto. Tadej ha guardato verso<br />

il basso, <strong>di</strong>rettamente verso il mio volto. I suoi occhi sono come delle calamite. Ci siamo guardati.<br />

L’autobus si è fermato, eravamo già all’altezza del giar<strong>di</strong>no pubblico. Sapevo che Maja stava<br />

sghignazzando, ma siccome avevo la maglia nuova, era per questo che mi stava guardando, no?<br />

“Ehi Tjasa, hai scritto il compito <strong>di</strong> chimica?” mi ha sorriso.<br />

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Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO<br />

III <strong>CLASSIFICATO</strong><br />

Guglielmo PINDOZZI<br />

Classe II Istituto Statale d’Arte Enrico e Umberto Nor<strong>di</strong>o<br />

TRIESTE 2030: LA FINE<br />

Trieste un tempo era una delle città più belle d’Italia. Ora, invece, è un luogo <strong>di</strong> eterna<br />

schiavitù e dannazione.<br />

Chi vi parla è un soldato delle “Guar<strong>di</strong>e Alabardate”, una cellula ribelle italiana formatasi<br />

dopo la caduta <strong>di</strong> Trieste nelle mani della “Mantel”, una multinazionale italiana appartenente al<br />

settore bellico ed e<strong>di</strong>lizio.<br />

Successe tutto circa due mesi fa:<br />

allora Trieste era la solita, fatta del suo solito traffico mattutino sulle rive, dei soliti autobus<br />

stracolmi <strong>di</strong> studenti ed anziani e così via.<br />

Tutto normale insomma, ma presto si scatenò il caos: negli uffici regionali si stava<br />

svolgendo una riunione che interessava i pezzi grossi della città, quali il sindaco <strong>di</strong> Trieste e i capi<br />

delle forze dell’or<strong>di</strong>ne in primis; durante questa riunione un terrorista si fece esplodere all’interno<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio, situato in piazza Unità. L’esplosione uccise tutti coloro che erano presenti nell’e<strong>di</strong>ficio.<br />

Ma sfortunatamente non era finita: dopo quel primo attentato, c’è ne furono altri due: uno al<br />

commissariato davanti al Teatro Romano, l’altro alla Questura in via Coroneo. Dopo questi<br />

attentati si scatenò l’inferno e successivamente il panico, infine un caos fatto <strong>di</strong> sciacallaggio.<br />

Nella settimana successiva agli attentati, il presidente della Regione decise <strong>di</strong> ingaggiare la<br />

“Mantel” e i suoi soldati per riportare l’or<strong>di</strong>ne e dare aiuto alla città.<br />

L’or<strong>di</strong>ne fu ristabilito, anche se nel sangue, ma con gli aiuti alla città si passò a sfollarla,<br />

<strong>di</strong>struggerla totalmente e ricostruirla.<br />

Le squadre “Mantel” mandate in città dovevano portare i civili nei “Campi <strong>di</strong> raccolta”<br />

situati fuori dai confini <strong>di</strong> Trieste.<br />

Ma questi campi altro non erano che campi <strong>di</strong> lavoro forzato.<br />

Migliaia <strong>di</strong> famiglie venivano caricate a forza dentro ai pullman per essere portati nei luoghi<br />

da cui forse non sarebbero più tornate. Tra quelle famiglie c’era anche la mia: fui separato dai miei<br />

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Premiazione della XII e<strong>di</strong>zione del concorso letterario<br />

"I ragazzi raccontano: Raccontare Trieste su misura junior"<br />

genitori e da mio fratello; loro erano <strong>di</strong>retti verso Gorizia, mentre io ero destinato ad essere<br />

portato nella zona industriale. Ma, prima <strong>di</strong> essere caricato nel veicolo, fui salvato da dei ribelli:<br />

erano circa otto, ma riuscirono a sopraffare i soldati e a portare il nostro pullman verso il tempio<br />

<strong>di</strong> San Giusto.<br />

Arrivati al tempio fummo portati nell’enorme e<strong>di</strong>ficio, che fungeva da caserma militare: nei<br />

sotterranei c’erano le armi e i viveri, mentre nei piani rimanenti c’erano i dormitori e<br />

un’infermeria <strong>di</strong>scretamente attrezzata.<br />

A capo delle “Guar<strong>di</strong>a Alabardate” c’era Mauro, un uomo muscoloso, sulla quarantina, dai<br />

capelli corti e bianchi, ex militare dell’aereonautica.<br />

Le regole del posto erano semplici: non si usciva dai confini del tempio se non in caso <strong>di</strong><br />

emergenza; tutti i maggiorenni in buona salute e volenterosi potevano combattere; infine, anziani,<br />

invali<strong>di</strong>, donne e bambini erano i primi da aiutare. Ogni giorno dovevo andare, assieme ai miei<br />

compagni a sabotare i piani “Mantel” o ad aiutare i civili in pericolo.<br />

Spero che ungono questa guerra finisca e che Trieste torni al suo antico splendore. SPERO!<br />

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