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“Macchina madre”, che dà il nome all’intera mostra, è un
titolo che la dice lunga sui pensieri e le letture della Gandolfi,
sulla sua capacità di sintetizzare e sussumere idee rivoluzionarie
sulla femminilità in immagini semplici all’apparenza, eversive
per la loro immediata ricaduta nella realtà.
Nella brevità del titolo, ecco affiancati in un solo corpo due
mondi distanti: la macchina, il non vivente per antonomasia,
il dispositivo complesso esaltato dai futuristi per bellezza e
perfezione fredda, l’automa fantasticato nel Seicento e il robot
del Duemila, di contro alla perfetta antitesi della madre, il
vivente che dà vita, la detentrice assoluta di quella misteriosa
“origine del mondo” che molti artisti hanno tentato di raffigurare
ossessivamente nell’arte occidentale, non ultimi Gustave
Courbet e Marcel Duchamp.
Eppure l’invenzione di “Macchina madre” è un sincretismo
che comporta anche riflessioni dolorose, visto che: “La
concezione del corpo-macchina va messa in relazione a un
disinvestimento drammatico nei confronti di ciò che è vivo,
della carne ridotta a un insieme di ingranaggi.”
(Janine Chasseguet-Smirgel, Il corpo come specchio del mondo,
2003).
Infatti, se l’ingranaggio per eccellenza è l’automa, e l’automa
è quella cosa che “genera da sé”, senza errore, la madre è colei
che genera portando con sé sentimenti ambivalenti. La madre,
una fonte mitica che l'artista romana, da sempre, pone al centro
della sua ricerca. Non per niente la sua precedente videoopera
si intitola proprio “La recherche de ma mère”(2003) una
ricerca in cui procedono parallele la dimensione dell’analisi
individuale e la dimensione storica collettiva, che incrocia
tanto la psicoanalisi post-freudiana quanto i Women Studies
e che accomuna le sue posizioni estetiche a quelle di artiste
oltre frontiera quali Louis Bourgeoise, Cindy Sherman, Kiki
Smith, Tracy Emin, nJenny Saville.
La mostra è pensata dall’artista come una galleria di ritratti
visionari, una vera e propria teofania al femminile (scrivendo,
mi viene in mente la sfilata austera dei volti imperiali di Santa
Apollinare in Classe; scoprirò poco dopo che i mosaici di
Ravenna sono tra le fonti iconografiche di più antica memoria
della Gandolfi).
Governata da un vero e proprio triumvirato, la mostra vede tre
gigantesse come protagoniste di un rapporto speciale con
altrettante grandi città: “Elettra”, che dispiega la sua massa

prominente di capelli sulle strade di Roma, “Machine spider”,
una donna-ragno con sei gambe-zampe ben in equilibrio sul
centro di Pechino, che guarda dritto negli occhi l’osservatore
ma nasconde la propria genitalità multipla e, infine, “Apriti
Sesamo”, quadro in cui una testa di donna, con la
determinazione di una “testa d’ariete”, si incunea
prepotentemente nella griglia di Manhattan. Questo ultimo
quadro mutua il titolo dalla formula magica dalle Mille e una
notte, formula che permette ad Ali Babà di penetrare nella
caverna dove tutti i tesori sono conservati. Nel dipinto della
Gandolfi, la caverna ricolma di tesori diventa una stanza vuota
con la porta aperta e una sedia come unico elemento di arredo;
la donna è fuori scala rispetto allo spazio, e il suo sforzo di
penetrazione è visibile, lo si vede dal suo volto. “Apriti Sesamo”
fa parte di una recentissima serie di opere in cui la
bidimensionalità della mappa urbana va ad intersecarsi con la
volumetria dei corpi rappresentati nello spazio tridimensionale;
ciò determina nell’osservatore una sorta di indecidibilità dei
piani prospettici, l’anomalia dei confini provoca una delicata
instabilità percettiva, anzi, una voluta “con-fusione”
dimensionale.
Dopo le donne giganti, la mostra prosegue con una serie di
ritratti di piccolo formato. A vederle tutte insieme, in fila, le
“Teste matte” appaiono come prove di personalità; ogni ritratto
mette in luce una particolare inclinazione del pensiero o un
allontanamento psichico dall’espressione conformista: la posa
malinconica, il guizzo euforico, lo sguardo sottilmente
divergente della borderline.
Le “Teste matte” sono donne possibili, che si incontrano oggi
agli angoli di una strada, segnate da una storia che
immancabilmente le porta fuori dai binari consolidati del vivere
comune. Ma proprio in virtù della loro anomalia, sono
autorizzate a trasgredire le convenzioni sociali, “possono dire
o fare cose che gli esseri umani comuni non possono permettersi
di dire o fare.” (Rosi Braidotti, ibid., pag.33), che è poi lo
scopo supremo dell’arte di Paola Gandolfi: rifondare la propria
femminilità andando a scandagliare anche le parti di sé più
intollerabili alla coscienza, ossia quelle più vicine alla follia.
Anche la ceramica diventa strumento di questa esplorazione
schizoide: “Baby cat” è una chimera metà gatto e metà bambina
in bilico tra l’animalità e l’umanità; “Machine spider”, ora
vista nelle tre dimensioni della scultura, amplifica la curiosità
morbosa dello spettatore.
“Macchina madre”, “Machine spider”, “Donna razzo”, a Paola
evidentemente piace garantire una doppia possibilità del
linguaggio e un incedere chimerico della pittura. Nel piccolo
dipinto rettangolare la donna è stata amputata dei suoi arti
superiori e inferiori da qualcuno e per qualcosa che non
conosciamo; eppure, facendo di necessità virtù, amplificando
il sanguinamento fino a farlo diventare moto propulsivo, l’artista
riesce a capovolgere lo svantaggio, la diminutio, la castrazione
si trasforma in decollo felice, agire soddisfatto, fiduciosa
esplorazione verso l’ignoto. Per questo direi che nell’invenzione
della “Donna razzo” si racchiude la massima capacità
sublimatoria della pittura di Paola Gandolfi.
Del resto è il nostro stesso linguaggio a informarci costantemente
di certe amputazioni psichiche: “tagliare la gambe”, “far cadere
le braccia”, sono solo alcune delle espressioni ricorrenti nei
discorsi ordinari, che mettono in luce la difficoltà dell’avanzare
e dell’agire dell’individuo, in questo caso della donna, e il
senso di mancanza, la labilità dei confini corporei o il sentimento
di alienazione di parti del Sé.
E poiché l’Io riflette i pensieri direttamente sulla propria pelle,
ecco che il senso della mancanza, del vuoto, può assumere
connotati ben precisi, visibili nell’opera “La prima casa”. In
questo titolo si racchiude una metafora cara alla psicoanalisi
post-freudiana: l’Io-pelle = casa. Il corpo definito dall’involucropelle
racchiude l’Io, così come le pareti di una casa servono
a proteggere l’intero corpo. Ed è una pelle estremamente
ingrandita quella dipinta da Paola Gandolfi, di cui si vedono
tutte le rugosità, proprio come se fossero vie, vicoli e piazze.
Così come le mappe della città ci permettono di dominare
dall’alto un ampio spazio geografico, così la pelle dipinta dalla
Gandolfi è ingigantita fino a diventare geografia viva. Ma è
soprattutto il buco che colpisce la nostra attenzione, il foro
ingiustificato nella continuità dell’involucro che evidentemente
allude al punto di perdita, punto di fuga delle energie o dei
liquidi vitali, e ci informa dunque della presenza di ciò che lo
psicoanalista Didier Anzieu ha mirabilmente soprannominato
“l’Io-pelle colabrodo”: “…l’involucro esiste ma la sua continuità
è interrotta da buchi…difficilmente i pensieri, i ricordi vengono
conservati: sfuggono via. E’ notevole l’angoscia di avere un
interno che si svuota.” (Didier Anzieu, L’Io-pelle, pag. 128).
Se "La prima casa” è anche e soprattutto il grembo materno,
sappiamo ora di essere tornati al punto focale della mostra e
al punto di partenza del nostro discorso: la “Macchina madre”
in forma di video. Il video si offre allo sguardo sconcertato
dello spettatore come l’equivalente di un viaggio dentro il
corpo della madre, una sorta di endoscopia psico-iconica, alla
ricerca degli oggetti perduti nel complicato universo materno.
Il quadro di partenza, da cui ha origine l’intero plot del video,
è “Umbilicum urbis”, una pianta del centro storico di Roma
che comincia a vibrare e a pulsare proprio nelle sue zone
antropomorfizzate: il Colosseo-vagina, il Circo Massimo-seni,
mentre le gambe girano come lancette di un orologio a scandire
il tempo di un viaggio iniziatico.
Intanto emerge in tutta chiarezza l’antica metafora della madreterra
quando la mappa va a coincidere con la pancia di
“Macchina madre”, che si gonfia e si sgonfia incessantemente,
visto che le fantasie di maternità hanno il potere di definire i
contenuti della maternità stessa.
Ora il video mostra un corpo di donna espanso dalla gravidanza;
la figura della madre è una sorta di palla di carne trattenuta da
una folta capigliatura nera, unico segno forte capace di arginarne
l’espansione sconsiderata; da una parte laterale del ventre i
piedini di un feto ormai maturo tentano di fuoriuscire dalla
pancia della madre, che evidentemente, trattiene il feto oltre
misura. Ma la madre sembra indifferente agli sforzi di nascita
del futuro figlio/a. Questo il quadro. Nel video, viene sviluppato
e amplificato proprio il tentativo di nascita del feto, e il desiderio
di una differenziazione dalla madre viene messo in scena: il
feto prende il sopravvento sulla madre, ora tutto il peso del

corpo si sposta sull’asse del feto, in un tentativo di fuga dalla
madre onnipotente che avviene letteralmente “sulle proprie
gambe” ma, in realtà, sempre restandole dentro, imprigionato.
Fuori dal video, in un dipinto anch’esso esposto in mostra che
si intitola “Lasciami andare”, la stessa difficoltà di
differenziazione dalla madre si presenta in forma di immagine
composita: il corpo di una madre dalla capigliatura troppo
vaporosa è unito a quello di una figlia impensierita per la
propria incompletezza psico-fisica. La donna, nella pittura di
Paola Gandolfi, assume dunque i connotati ora di una madre
onnipotente che ignora o rimanda l’autonomia di quelle che
lei vive ancora come parti di sé, ora di una figlia ancora alle
prese con il proprio processo di separazione.
A questo punto nel video il feto si stacca come un galleggiante
e si dirige autonomamente all’interno del corpo della madre
attraverso un tubo di pelle umana (la stessa pelle del quadro
“La prima casa” trasformato in 3D da Elena Chiesa, realizzatrice
informatica del video); sfociando nell’universo materno.
Il video, che si divora con gli occhi come uno psycho-thriller
anche grazie alla musica originale di Riccardo Giagni, è il
secondo realizzato da Paola Gandolfi dopo “La recherche de
ma mère”. Nonostante una forte analogia stilistica, il primo
video è in realtà il risultato di un incatenamento ferreo di vari
dipinti. In “Macchina madre” l’artista sperimenta un nuovo
senso di libertà narrativa, dove i quadri sono animati, “messi
in moto” e soggiogati a una trama stupefacente, quanto più
essa coincide con un insight della pittura e della vita di una
artista speciale.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Rosi Braidotti (1996), "Madri, mostri, macchine",
Manifestolibri, Roma, 1996.
Janine Chasseguet-Smirgel (2003), "Il corpo come specchio
del mondo", Raffaello cortina editore, Milano, 2005
Paola Gandolfi e A.A.V.V., "La recherche de ma mère", Silvana
Editoriale, 2005
Didier Anzieu (1985), "L’Io-pelle", Edizioni Borla, Roma,
1994.

“Mother machine (Macchina madre)”, the name of this
show, is a title that speaks significantly to Gandolfi’s thoughts
and interpretations, on her capacity to synthesize and subsume
revolutionary ideas on femininity in images that are simple in
appearance, yet subversive for their immediate consequence
on reality.
In the conciseness of the title, two distant worlds are placed
side by side in a single body: the machine, the non-living by
antonomasia, the complex device celebrated by the futurists
for beauty and cold perfection, the automaton dreamed up in
the 17 th century and the robot of the year 2000, the perfect
antithesis of the mother, the living that gives life, the absolute
keeper of that mysterious “origin of the world” that many
artists have tried to obsessively represent in Western art, not
the last of which, Gustave Courbet and Marcel Duchamp.
Yet the invention of “Mother machine” is a syncretism that
also involves painful reflections, given that: “The conception
of the body-machine is placed in relation to a dramatic
disinvestment towards that which is living, flesh reduced to an
assembly of gears.” (Janine Chasseguet-Smirgel, The Body as
a mirror of the world, 2003). In fact, if the mechanism above
all others is the automaton, and the automaton is that thing
that “self-procreates”, without errors, then the mother is with
the one who procreates, bringing with her ambivalent feelings.
The mother is a mythic source that the Roman artist has always
placed at the center of her exploration. Not without reason,
Gandolfi’s preceding video-work is entitled precisely “The
search for my mother (La recherché de ma mère)” (2003), an
exploration in which the dimension of individual analysis and
the dimension of collective history proceed side by side, cross
paths with post-Freudian psychoanalysis as well as Women’s
Studies, and associate her aesthetic positions with those of
artists beyond Italian borders such as Louise Bourgeoise, Cindy
Sherman, Kiki Smith, Tracy Emin and Jenny Saville.
The show is conceived by the artist as a gallery of visionary
portraits, a true and pure female theophany (as I write, the
austere procession of imperial faces at Saint Apollinare in
Classe comes to mind; I’ll discover shortly after that the
mosaics of Ravenna are among Gandolfi’s oldest memories
of iconographic sources).

Governed by a true and real triumvirate, the show features
three gigantic women as protagonists of a special rapport with
equally large cities: “Elettra”, who unfurls her prominent
mass of hair on the streets of Rome, “Machine spider”, a
woman-spider with six leg-paws well-balanced in the center
of Peking, who looks directly into the eyes of the observer but
hides her own multiple genitalia, and finally, “Open sesame
(Apriti sesamo)”, a painting in which a woman’s head, with
the determination of a “ram’s head”, overbearingly forces her
way into the grill of Manhattan. This last painting borrows
the title of a magic formula from Arabian Nights/The Thousand
and One Nights, a formula that permits Ali Baba to penetrate
the cave where all of the treasures are preserved. In Gandolfi’s
painting, the cave, overflowing with treasures, becomes an
empty room with an open door and a chair as the only decorative
element; the woman is out of scale with the rest of the space,
and her forced penetration is visible, one can see it on her face.
“Open sesame” is part of a recent series of works in which
the bi-dimensionality of the urban map intersects with the
volumes of the bodies represented in three dimensional space;
this brings about in the observer a sort of indecisiveness
regarding the perspective planes, the anomaly of the confines
provokes a delicate perceptive instability, or rather, a desired
dimensional confusion.
Following the gigantic women, the show proceeds with a series
of portraits in small format. To see them all together in line,
the “Crazy heads (Teste matte)” appear like proofs of
personality; each portrait brings to light a particular inclination
of thought or a psychic distancing from a conformist expression:
the melancholy pose, the euphoric flash, a look that is subtly
divergent from the borderline. The “Crazy heads” are possible
women, whom you may meet today on a street corner, marked
by a story that inevitably brings her outside the consolidated
tracks of common life. But precisely in virtue of their anomaly,
they are authorized to transgress social conventions, “they can
say or do things that common human beings can’t permit
themselves to say or do.” (Rosi Braidotti, ibid., pge.33). That
is then the supreme aim of Paola Gandolfi’s art: to re-found
her own femininity, sounding out even the parts of herself that
are most intolerable to her conscience, or rather, those closest
to madness.
Pottery also becomes an instrument of this schizoid exploration:
“Baby cat” is a chimera, half cat and half child poised between
animality and humanity; “Machine spider”, now seen in the
three dimensionality of a sculpture, amplifies the morbid
curiosity of the spectator.
“Mother machine”, “Machine spider”, “Woman rocket (Donna
razzo)”, evidently Paola likes to guarantee a double possibility
of language and a fanciful pace to painting. In this small
rectangular painting, the woman has been amputated of her
upper and lower limbs by someone and for some reason we
don’t know; yet, making necessity a virtue, amplifying the
bleeding to the point of becoming a propelling motor, the artist
succeeds in overturning the disadvantage, the diminishing, the
castration transforms itself into a happy take-off, to proceed
satisfied on a hopeful exploration toward the unknown. For
this I would say that the invention of “Woman rocket” contains
the maximum subliminal capacity of Paola Gandolfi’s painting.
For the rest, it is our own language that constantly
informs us of certain psychic amputations: “to cramp one’s
style”, “to throw ones arms up” are only some of the recurring
expressions in ordinary discussions that bring to light the
difficulty an individual faces in advancing and proceeding, in
this case for a woman, and the feeling of absence, the transience
of physical confines, or the feeling of alienation from parts of
the self.
And since the ‘I’ reflects thoughts directly onto its own skin,
here the sense of want, of the void, can assume precise
connotations, visible in the work “The first house (La prima
casa)”. This title contains an important metaphor to the post-
Freudian psychoanalysts: the I-skin = home. The body as
defined by the covering-skin, containing the I, and like the
walls of a house, serving to protect the entire body. And it is
an extremely enlarged skin that Paola Gandolfi paints, of which
we see all the wrinkles, exactly as if they were streets, pathways
and piazze. Like the maps of a city permit us to dominate
large geographic spaces from above, the skin as painted by
Gandolfi, is enlarged to the point of becoming a living
geography. But it is most of all the opening that captures our
attention, the unjustified hole in the continuation of the covering
that evidently alludes to a leak, a spot where energy or vital
liquids escape, and it inform us therefore of the presence of
that which the psychoanalyst Didier Anzieu admirably called
“The I-skin colander”: “…the covering exists but its continuation
is interrupted by holes…it’s unlikely that thoughts, memories
are conserved: they slip away. The anxiety of having an inside
that empties itself is considerable...” (Didier Anzieu, The Iskin,
pge. 128).
If “The first house” is also and most of all a maternal womb,
we know we have now returned to the focal point of the show
and to the point of departure of our discussion: the “Mother
machine” in video form. The video offers to the disconcerted
look of the spectator, the equivalent of a trip inside the body
of a mother, a type of psycho-iconic endoscopy, searching for
lost objects in the complicated maternal universe.
The beginning painting, from which the entire plot of the video
originates, is “Umbilicum urbis”, a map of the historic center
of Rome that begins to vibrate and pulse exactly in its
anthropomorphic zones: the Colliseum-vagina, Circo-Massimobreasts,
while the legs turn like the hands of a clock telling the
time of an obscure trip.
Meanwhile, the ancient metaphor of mother-earth emerges in
total clarity when the map clashes with the belly of the “Mother
machine”, which expands and contracts incessantly, given that
the fantasies of pregnancy have the power to define the content
of the pregnancy itself.
At this point, the video shows the expanded body of a pregnant
woman; the figure of the mother is a type of ball of flesh, held

together by a thick head of black hair, the only thing capable
of stemming the rash expansion; from a lateral part of the
stomach the small feet of a fetus, by now mature, try to exit
from the belly of the mother, who evidently is holding the
fetus back. But the mother seems indifferent to the birthing
efforts of the future son/daughter. This is the painting. In the
video, it is exactly the fetus’ attempt to be born that is developed
and amplified, and the desire for differentiation from the mother
that is staged; the fetus prevails over the mother, now all of its
body weight shifted onto the axis of the fetus in an attempt to
escape from the omnipotent mother; this occurs literally “on
its own legs” but in reality, it remains inside and imprisoned.
Outside the video, in a painting also part of the show, entitled
“Let me go (Lasciami andare)”, the same difficulty of
differentiation from the mother is presented in the form of a
composite image: the body of a mother with a head of overly
voluminous hair is united with that of a daughter, worried
about her own psycho-physical incompleteness. The woman
in Gandolfi’s painting therefore now assumes the connotations
of an omnipotent mother who ignores or puts off that which
she still lives as part of herself, now a daughter still coming
to grips with her own process of separation.
At this point in the video the fetus separates like a float and
autonomously steers itself inside the mother’s body by way of
a tube of human skin (the same skin from the painting “The
first house”, transformed into 3D by Elena Chiesa, Gandolfis’
Video Technician); flowing in the maternal universe.
The video, that you devour with your eyes like a psychothriller,
also thanks to the original music by Riccardo Giagni,
is the second one realized by Gandolfi following “La recherche
de ma mère”. Despite a strong stylistic analogy, the first video
is in reality the result of a robust chaining of various paintings.
In “Mother machine” the artist experiments with a new sense
of narrative liberty, where the paintings are animated, “set in
motion” and subject to astonishing trauma, moreover, they
coincide with an insight into the painting and life of a special
artist.
BIBLIOGRAPHY
Rosi Braidotti (1996), "Mothers, monsters, machines",
Manifestolibri, Rome, 1996.
Janine Chasseguet-Smirgel (2003), "The body as a mirror of
the world", Raffaello cortina editore, Milan, 2005
Paola Gandolfi e A.A.V.V., "The search of my mother", Silvana
Editoriale, 2005
Didier Anzieu (1985), "The I-skin", Edizioni Borla, Rome,
1994.

Paola Gandolfi è nata a Roma dove vive e lavora. / was born in Rome where she lives and works.
Mostre personali / Solo Exhibitions
2007 Museum of Bratislava "Paola Gandolfi" Bratislava Slovak Republic
Daniele Ugolini Contemporary "Macchina Madre" Firenze
2006 Casa delle Letterature proiezione video "La recherche de ma mere" Roma
Galeria Mitobcn "Sinapsi" Barcellona Spagna
2003 Galleria La Vetrina di Elisabetta Giovagnoni "Esercizi di equilibrio" Roma
1999 Galleria Temple University "Frammenti di Orestiade" Roma
1997 Galleria Il Polittico "Vertigini" Roma
1996 Monique Knowlton Gallery "Paola Gandolfi" New York, NY USA
Galleria Fabjbasaglia "Uomini e donne" Rimini
1995 XLVI Biennale di Venezia Padiglione Italia Sala personale Venezia
Galleria A.A.M. Architettura Arte Moderna Palazzo Brancaccio Roma
1992 Galleria A.A.M. Architettura Arte Moderna Roma
1991 Galleria Philippe Daverio "Sogni romani" Milano
1989 Galleria Ausoni "Solitudine riflessa" Roma
1988 Galleria Artra "Paola Gandolfi" Milano
1985 Sala Comunale d’Arte Contemporanea "Un incontro al presente" con Rapahael Mafai Alessandria
Galleria Pio Monti "Paola Gandolfi" Roma
1983 Galleria Pio Monti "Paola Gandolfi" Roma

Selezione di alcune mostre collettive / Selected group exhibitions
2007 Museo Tretjakov S. Petersburg Russia
Museo Bellomo "La Sicilia ponte per l’Europa" Siracusa
Galleria A.A.M. Architettura Arte Moderna "L’Art se moi" Roma
Auditorium Parco della Musica "Interni Romani" Roma
Galleria Mara Coccia "Desire" Roma
2006 Museum of Contemporary Art "Roma punto uno" Moscow Russia
Museo MACRO "La collezione del MACRO" Roma
Museo di Arte Bizantina "Mithos" Athens Greece
MART Museo "Nell’aldilà dei pesci" Rovereto (TN)
2005 Second Beijing "International Art Biennale" Beijing China
Palazzo Poniatowski "Strade di Roma" Roma
Die Galerie "Figurative Kunst aus Italien" Frankfurt Germany
Flower Gallery "Chiaro scuro" London England
MART Museo "Collezione Feierabend" Rovereto (TN)
Kunsthalle Goppingen Premio Fabbri "Aktuelle posizionen Italienisher Kunst" Goppingen Germany
Galleria La Permanente Premio Fabbri "Aktuelle posizionen Italienisher Kunst" Milano
Galeria Mito "A fior di pelle" Barcelona Spain
Bankside Gallery "Love for sale" London England
John Natsoulas Gallery Western Biennale "Art Today and Art Tomorrow" Davis, CA USA
2004 G.N.A.M. Galleria Nazionale Arte Moderna "I misteri di Roma" Roma
Chiostro del Bramante "MIKADO 20 di anni Cinema e Arte" Roma
Museo Archeologico "Iconica,Arte contemporanea e archeologia" Solunto (PA) e Palermo
Galleria Maniero "Il fascino della pittura" Roma
Ministero della cultura edizione 2004 "Roma punto uno" Tokio Japan
2003 Kunst Merano "Metafisica: arte e filosofia da de Chirico all’Arte Concettuale" Merano (BZ)
Palazzo delle Papesse "Melting Pop" Siena
Castello di Masnago Museo d’arte contemporanea e moderna "Melting Pop" Varese
Il Chiostro del Bramante "La Scuola Romana nel novecento" Collezione Cerasi Roma
2002 Italian Cultural Istitute "Segno disegno progetto…la collezione Francesco Moschini" Seoul South Korea
Museo del Corso "La Famiglia nell’arte" Roma
2001 Museum voor Moderne Kunst "Between earth and heaven" Oostende Belgium
Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea "I cantieri" Roma
Galleria Comunale Casa del Mantegna "Totemica" Mantova
Pinacoteca nazionale di Bologna "Figure del novecento 2" Bologna
Ministero degli Affari Esteri La Farnesina "Artisti italiani del XX secolo" Roma
Casa delle Letterature "Notti Romane" 10 Artisti e 10 Scrittori Roma
Palazzo Reale Arengario "Per tutto l’odio del mondo" Milano
2000 Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea "Lavori in corso 10" Roma
Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea P.A.C. "Suigeneris" Milano
Westzone gallery "Cultural ties" London England
1999 Fori Imperiali Arte contemporanea nei fori "Giganti" Roma
Galleria del Teatro India "Lungo il muro del gasometro" Roma
Museo del Risorgimento "La pittura ritrovata 1978-1998" Roma
Palazzo Monteroduni "Rifiniture di interni" Napoli
Galleria Bianca Cantieri Culturali della Zisa "Una stanza tutta per se" Palermo
Flash Art Museum "Finchè c’è morte c’è speranza" Trevi (PG)
1998 Ex Mattatoio Ass. Futuro "La festa dell’arte" Roma
Galleria Cantieri della Zisa "Corpo incorrotto corpi corrotti" Palermo
Flash Art Museum "Lady Diana" Trevi (PG)
Spazio Consolo "Cronache vere" Milano
Collezione Bulgari sede di Roma "La pittura delle gioie" Roma
Associated American Artists Gallery "Group show" New York, NY USA
1997 Galerie Kunsthalle Exnergasse "Sotto il Sole di Roma" Wien Austria
Museo Sursoch "Il progetto dell’essenza" Beirut Lebanon
New Haven Art Space "Dream life, Art space" New Heaven, CT USA
1996 Galleria L'Attico "Martiri e santi" Roma
Fattoria Medicea "I Borghese una committenza al presente" Monsummano Terme (PT)
XII Quadriennale "Ultime generazioni" Palazzo delle Esposizioni Roma

Flash Art Museum "Panorama Italiano" Trevi (PG)
Galleria Franz Paludetto "Pittura" Torino
Palazzo Cuttica di Cassine "Le Stanze delle Meraviglie" Alessandria
1995 Monique Knowlton Gallery "group show" New York, NY USA
Fattoria Medicea "Ma che ti sei messo in testa" Monsummano Terme (PT)
1994 Museo d’Arte Moderna "Disperati Amanti" Rimini
Galleria La Nuova Pesa "Consigli di fabbrica" Spoleto (PG)
1993 Galleria A.A.M. Architettura Arte Moderna "Transizioni, Migrazioni, Passaggi" Roma
Palazzo Ubaldi "Trevi ex vero" Galleria Pio Monti Trevi (PG)
Galleria La Nuova Pesa e Galleria Temple "Il tredicesimo apostolo" Roma
The Drawing Center "The return of cadavre esquis" New York, NY USA
1992 Galleria Netta Vespignani "Intirior" Roma
Galleria Philippe Daverio "Roma 1992" Milano
Galleria Il Polittico "Fin quando sarà pittura" Roma
1991 Palazzo dei congressi "Trent’anni di avanguardie romane" Roma
Palazzo dei Diamanti "Un’alternativa Europea" Ferrara
Ferruzzi per l’Arte, Galleria. A.A.M. Architettura Arte Moderna "Percorsi nel Moderno e nel contemporaneo"
Spoleto (PG)
Ferruzzi per l’Arte, Opera per la Sala Conferenze della nuova sede del Messaggero "Di Stasio, Gandolfi, Passi" Roma
1990 Ex Convento S. Francesco "Anni '80 in Italia" Sciacca (AG)
1989 Palazzo Rondanini "Arte a Roma 1980-89" Roma
Sala delle Carrozze "Figure e forme dell’immaginario femminile" Reggio Emilia
1988 Museo d’Arte Contemporanea "Dyptica" Helsinki Finland
1987 Centro Culturale Ausoni "Neoclassicismo" Roma
Centre for Contemporary Art "Self, memory and desire" Melbourne Australia
Galleria La Nuova Pesa "Roma punto uno" Roma
Galleria Ex Libris "Un sogno fatto a Roma" Roma
Centro Culturale Ausoni "Donna interpreta donna" Roma
1986 Galerie d’Art Contemporain de Sant Priest "L’obli afflige la memoire" Lyon France
Palazzo dei Congressi "XI Quadriennale" Roma
Palazzo Sagredo con il patrocinio della Biennale di Venezia "Keplero" Venezia
1985 Centro Culturale Conde Duque "Pittori anacronisti Italiani" Madrid Spain
Galleria Artra "Abate, Gandolfi, Di Stasio" Milano
Hirshon Museum "A new romanticism, sixteen artists from Italy" Washington, DC USA
Galerie Corinne Hummel "XI exhibition" Basel Switzerland
1984 Galleria La Tartaruga "Cinque quadri e una scultura" Roma
Monte Frumentario "Anacronismo" Anagni (FR)
Rocca Paolina "Attraversamenti" Perugia
1983 Villa Fidelia "Il tempo dell’immagine" Spello (PG)
Galleria Pio Monti Palazzo Montefoschi "Bulzatti, Di Stasio, Gandolfi, Ligas, Piruca" Macerata
1982 Galleria La Tartaruga "Anacroronismo" Roma
1981 Galleria La Tartaruga "Bulzatti, Gandolfi, Ligas" Roma
Galleria D’Arte Moderna "Annunciazione" Rimini

DANIELE UGOLINI
CONTEMPORARY