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La storiografia del Settecento e dell'Ottocento sulla questione ...

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Roberto Coaloa<br />

l’astio e la commiserazione che la maggior parte dei piemontesi gli dimostrarono (anche perché questi<br />

viaggi concorsero a dissipare il suo patrimonio). Vidua viaggiò durante il regno di Carlo Felice ed il<br />

Piemonte era per lui, alfierianamente, il “carcere natìo”. Il significato progettuale di Vidua e <strong>del</strong>la sua<br />

scelta di viaggiare sta tutto in quel “potranno”: la sua eredità spirituale è rivolta a fornire alle<br />

generazioni successive gli strumenti per conoscere la storia <strong>del</strong>le civiltà umane e per “rintracciare le<br />

cagioni, per cui l’Italia con tanti ingegni e con sì bella lingua perduto avesse l’antico suo primato”. Per<br />

inciso, Vidua introduce per primo nella cultura piemontese quel concetto di primato morale e civile<br />

degli italiani che sarebbe in seguito diventato oggetto <strong>del</strong>l’analisi di Vincenzo Gioberti.<br />

Vidua sintetizza il senso politico e culturale <strong>del</strong> suo continuo viaggiare, raccogliere, conservare,<br />

nel detto “dottrina in pochi, coltura in molti, qualche istruzione in tutti”. Questa frase rilevante era<br />

scritta da Vidua prima d’iniziare i suoi numerosi viaggi e ci fa comprendere come l’esperienza <strong>del</strong><br />

viaggio sia in lui non solo l’espressione di una romantica brama di libertà, ma è il desiderio di<br />

conoscere mondi nuovi e strumento per ampliare le idee e moltiplicare le cognizioni.<br />

Balbo dopo la morte <strong>del</strong> viaggiatore ne radunò le lettere in tre volumi e pubblicò Dello Stato <strong>del</strong>le<br />

cognizioni in Italia.<br />

Balbo, però, non approfondì la <strong>questione</strong> colombiana, come avrebbe potuto (lo racconta in uno<br />

scritto che qui proponiamo). Balbo dichiara apertamente il suo pensiero in uno scritto, Di Cristoforo<br />

Colombo, radunato nel volume Novelle (Il “buon Italiano in generale, e in particolare poi buon<br />

Piemontese” è Napione) 59 .<br />

Dietro Sansolengo ed Altavilla, su quegli ultimi colli che si vanno abbassando verso i piani di<br />

Alessandria, è Cuccaro, un castello stato ultimamente soggetto di dispute letterarie e quasi nazionali<br />

vivissime, e quasi acerbe. Il volgo e le tradizioni facevano da gran tempo Genovese lo scopritore<br />

<strong>del</strong>l’America, Cristoforo Colombo. Gli scrittori esatti dubitavano tra Genova, Savona, Cogoleto,<br />

una terra <strong>del</strong>la Liguria, e poi anche di Modena. Di Cuccaro pochi o niuno aveva parlato mai, dal<br />

tempo che i Colombo di Cuccaro avean persa certa lite <strong>sulla</strong> successione di Cristoforo. Ma è saran<br />

circa trent’anni uno scrittore, buon Italiano in generale, e in particolare poi buon Piemontese,<br />

avendo scoperte alcune carte nuove di quella famiglia e di quella lite, rivendicò a’ nobili Colombo<br />

di Cuccaro, a Cuccaro, ed al Piemonte, la gloria di aver prodotto il gran Colombo. Genova si<br />

risentì; ed evocata la disputa dal tribunale <strong>del</strong>le lettere a quello <strong>del</strong>lo Stato, nominò ad esaminare<br />

la <strong>questione</strong> una Giunta municipale che giudicò in favor <strong>del</strong>la patria, e pubblicò un volume di<br />

documenti. Alcuni letterati romani, lombardi e poi francesi, inglesi ed americani, tennero poi or<br />

l’una or l’altra parte.<br />

Io sto ora meco stesso meditando la ristampa di tutte le opere, dissertazioni, note e documenti editi<br />

ed inediti su questa disputa interessantissima. Ma mi trattiene, oltre la mia invecchiata pigrizia,<br />

anche il timore che questa <strong>questione</strong> non importi e non debba importare a quelli che non facciano<br />

come io professione <strong>del</strong>la medesima arte. <strong>La</strong> gloria de’ figli è gloria <strong>del</strong>la patria; ma tra due<br />

popolazioni <strong>del</strong>la medesima nazione, e tra due province d’un medesimo Stato, dicono taluni che<br />

non ne cale loro molto più che se si disputasse tra una casa e la casa vicina.<br />

Balbo aggiunge a queste sue osservazioni un paragrafo dal titolo Della patria di Colombo, dove<br />

cita «grazie alla sua brevità, un capitolo d’un libricciuolo, quaderno di pensieri, od Album che si dica,<br />

d’un amico mio».<br />

Cesare Balbo, che ebbe il merito di far conoscere le ricerche di Vidua-Napione <strong>sulla</strong> “patria di<br />

Cristoforo Colombo”, grazie alla pubblicazione <strong>del</strong>le lettere, entrò allora in polemica con De Conti.<br />

<strong>La</strong> <strong>questione</strong> colombiana fu nuovamente dibattuta nel Piemonte <strong>del</strong>l’Ottocento.<br />

<strong>La</strong> discussione nacque da un articolo <strong>del</strong>lo “Spettatore Subalpino” <strong>del</strong> 18 marzo 1847”, scritto<br />

da G.A. Bessone, dal titolo: “Osservazioni sui Cenni Biografici di Cristoforo Colombo di Vincenzo<br />

59 C. BALBO, Novelle. Pubblicate per cura di Guglielmo Stefani con l’aggiunta dei Frammenti sul Piemonte, Firenze 1854.<br />

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