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uomini e barche/ask her out<br />
L’età del carbonio<br />
Vi presentiamo lo splendido Flying Dutchman italiano che fa sognare il mondo intero<br />
di LUCA UNGARO<br />
Da un anno a questa parte un Flying Dutchman in carbonio sta veleggiando<br />
in tutto il suo splendore. Si chiama Ask Her Out ed è stato autocostruito<br />
dal suo equipaggio: i fratelli Ungaro. Romano, 29 anni, Luca Ungaro,<br />
timoniere con 13 anni di Fd alle spalle, ci racconta la genesi della sua barca.<br />
La costruzione del nostro Flying Dutchman Ask Her Out è stata la realizzazione<br />
di un sogno. Volevamo un’imbarcazione unica, senza compromessi,<br />
un vero one off che tenda alla perfezione. Come ogni utopia,<br />
il programma iniziale è stato a dir poco ottimistico: realizzazione del<br />
manufatto nei mesi invernali e varo per la conclusione della primavera<br />
seguente, 6 mesi grosso modo. In realtà abbiamo impiegato 3 anni e<br />
mezzo per costruirlo, da gennaio 2003 ad agosto 2006.<br />
L’abbrivio iniziale è stato reso possibile dalla classe Flying Dutchman<br />
Italia che ha messo a nostra disposizione gli stampi di scafo, coperta e<br />
pozzetto, nonché uno storico delle esperienze di costruzione precedenti<br />
finalizzato alla costruzione<br />
di Fd in Italia, in più alcuni pezzi<br />
di scafo, coperta e strutture di<br />
barche sfortunatamente andate<br />
distrutte. Il nostro Fd è nato prima<br />
sulla carta. L’analisi dei campioni<br />
in kevlar, materiale usato<br />
per maggior parte delle barche in<br />
circolazione, ci ha fornito un ottimo<br />
riferimento. Su questa base<br />
abbiamo steso una prima bozza<br />
della tabella dei laminati per valu-<br />
60 FARE VELA NOVEMBRE 07<br />
tare il risparmio di peso a parità di caratteristiche meccaniche.<br />
Il primo tuffo nel mondo del composito lo facciamo producendo i<br />
campioni da testare. L’esperienza ci permette di stendere la tabella dei<br />
laminati definitiva: le pelli sarebbero state interamente in carbonio con<br />
tessuti per l’intera superficie e rinforzi locali in biassale ed unidirezionale,<br />
l’anima del sandwich in Pvc di prima scelta da 90 kg/mc in spessori<br />
da 8/6/3 millimetri, la resina di tipo epossidica con alti valori<br />
meccanici, ulteriormente migliorati dalla post-cura in forno. Tutti i<br />
processi costruttivi sarebbero stati conclusi con la chiusura del sacco e<br />
la messa sotto vuoto del pezzo per assicurare la corretta quantità di resina<br />
e ottimizzare rigidezza e leggerezza. In questi elaborati grafici viene<br />
finalmente sintetizzata Ask Her Out, frutto di tante ore passate a manipolare<br />
modelli di scafi, a riempire carte di schizzi e scarabocchi.<br />
Il nostro cavallo di battaglia sono le strutture interne. Se la disposizione<br />
generale di madieri e paratie<br />
rimane in sostanza identica a<br />
quella delle altre barche in produzione,<br />
abbiamo portato tanti<br />
piccoli accorgimenti riguardo il<br />
giusto collocamento: pochi centimetri<br />
più a prua o più a poppa,<br />
pochi gradi di differenza sulla loro<br />
inclinazione. Tutti sono interamente<br />
costruiti in carbonio. La<br />
trave di prua, il componente più<br />
importante della barca, risulta<br />
FOTO LATINI<br />
FOTO LATINI
La genesi dell’Fd Ask Her Out (a fian-<br />
co in navigazione). 1, 2 Laminazione<br />
dello scafo in sandwich con pelli in<br />
carbonio e anima in airex; 3 Strutture<br />
dello scafo: i madieri e i paramezzali<br />
sono assemblati mediante incollaggio<br />
e fascettatura; 4, 5, 6 Laminazione<br />
della coperta: dopo ogni stratificazione<br />
si applica il sacco a vuoto per togliere<br />
la resina in esubero ed eliminare<br />
le bolle d’aria; 7 Vista dell’interno<br />
della prua: si nota la struttura reticolare<br />
a tubi per irrigidire lo scafo; 8, 9<br />
Deriva e timone, realizzati in semipale<br />
con nomex (marrone) e core cell<br />
(giallo), vengono incollati e fascettati<br />
più lunga di due metri e finalizzata<br />
alla connessione del triangolo<br />
strutturale di sartie e strallo di<br />
prua. È una trave reticolare costruita<br />
con tubi di carbonio, tutti<br />
dimensionati al limite, la cui<br />
estremità è gia la landa d’attacco<br />
dello strallo di prua. Anche per<br />
l’attacco delle sartie, invece dell'obsoleta<br />
piastra di acciaio, abbiamo<br />
un madiere in composito. Essendo<br />
il peso della barca fissato<br />
per stazza a 130 chili, il gioco è di<br />
ridistribuire i preziosi etti risparmiati<br />
sulle strutture verso il baricentro della barca, lì dove i paranchi<br />
delle manovre più importanti insistono. Il fine è di ottenere la massima<br />
rigidità per non disperdere la potenza del piano velico.<br />
Mentre andiamo avanti con la costruzione dei primi componenti, iniziamo<br />
a pensare all'assemblaggio. Ogni singolo componente deve essere<br />
incollato e fascettato. È il massimo che si può ottenere, così facendo<br />
le sollecitazioni vengono trasmesse sempre dalla fibra e non dai collanti<br />
che hanno caratteristiche elastiche e di fragilità da non trascurare.<br />
Poi questo è il mondo dei millimetri, non più dei centimetri, e cerchiamo<br />
di risolvere uno dei più grandi problemi di questa delicata fase:<br />
come assicurare la migliore connessione tra i singoli componenti<br />
anche nei punti irraggiungibili a barca chiusa.<br />
Il lavoro procede, siamo al punto di poter toccare con mano la nostra<br />
Ask Her Out, ma purtroppo si ferma tutto: siamo abbandonati dal cantiere<br />
che ci ospitava. La costruzione è ferma. A questo punto, un carissimo<br />
amico ci indirizza verso il cantiere dei fratelli Latini, un punto di<br />
riferimento internazionale in fatto di costruzione hi-tech. Il cantiere<br />
ha delle referenze incredibili: l’oro olimpico a Sydney e numerosi titoli<br />
mondiali con gli alberi in carbonio dei Finn, numerosi titoli conseguiti<br />
nelle classi Ims, Libera e Maxi. Ironia della sorte, è proprio Latini<br />
Marine che nel 1995 ha costruito gli stampi ed il primo prototipo<br />
di Fd commissionato dalla classe italiana. La decisione è presa: a dicembre<br />
2003 sbarchiamo all’interno del cantiere con tutti gli stampi,<br />
lo scafo, il pozzetto e la maggior parte delle strutture ancora volanti,<br />
perché non assemblate. Durante i lavori, l’accordo prevede che dobbiamo<br />
svolgere il ruolo di aiutanti presso i due capimastri. Scopriamo<br />
1<br />
4<br />
2<br />
5<br />
però che lo scafo ha una serie di difetti che la nostra costante ricerca<br />
della perfezione non può tollerare. Superata la fase di abbattimento e<br />
facendo tesoro della nostra esperienza, decidiamo di costruire un nuovo<br />
scafo e di ripensare anche alcune soluzioni per la laminazione della<br />
coperta. È stato come azzerare il conto, ma ricominciando da capo<br />
o quasi ci accorgiamo anche della lunga strada già percorsa. E un bel<br />
giorno, ci ritroviamo attorno allo stampo colando acqua fra di esso e<br />
lo scafo vero e proprio nell’intento di liberarlo da quella prigione.<br />
Qualche minuto e lo scafo si libera tra rumori indescrivibili. Per la prima<br />
volta galleggia, è diventato un vero Fd. Verso marzo del 2004, abbiamo<br />
tutti i componenti fisicamente presenti e pronti ad essere uniti<br />
7<br />
3<br />
6<br />
8 9<br />
NOVEMBRE 07 FARE VELA 61
uomini e barche/ask her out LE DOMANDE DI FV<br />
in un unico grande organismo, la La complessità dei control box, ovvia-<br />
nostra barca.<br />
mente sdoppiati per essere regolati<br />
Da lì a poco i fratelli Latini mi su entrambe le mura. Da destra a si-<br />
offrono la possibilità di collaboranistra, nell’ordine: drizza spi, vang,<br />
re con loro, solo io perché mio avanti e indietro deriva, punto di<br />
fratello Marco ha il suo lavoro. La scotta del genoa up&down e punto<br />
sera discutiamo le soluzioni da in&out, carrello della randa, ghinda<br />
adottare e il weekend di nuovo (strallo di prua), sartie grosse, sartie<br />
assieme, spalla a spalla, lavoriamo fini, sartie basse, amantiglio, base<br />
sulla barca. Poco tempo ancora e randa e up&down deriva<br />
anche la coperta, dopo un preventivo<br />
prestazzamento per rimanere in regola, viene assemblata. Passiamo<br />
l’estate del 2004 chini sullo scafo a carteggiare i fondi con delle<br />
stecche lunghe ricoperte di carta vetrata. Rendere le superfici perfettamente<br />
lisce è un autentico “labor limae”.<br />
Il tempo trascorre e siamo pronti per la fatidica post-cottura del manufatto.<br />
È la fine dei lavori in composito, l’inizio dell’allestimento, momento<br />
in cui la barca si veste dei panni che siamo abituati a vedere in<br />
acqua. La cottura è un lungo procedimento: si colloca la barca all’interno<br />
del forno, si dispongono le termocoppie nei punti critici per rilevare<br />
le temperature e regolare l’intensità del calore durante tutto il<br />
62 FARE VELA NOVEMBRE 07<br />
FOTO LATINI<br />
Qual è la storia dell’olandese volante?<br />
Il Flying Dutchman, olandese volante in inglese, è una deriva proget-<br />
tata da Uus van Essen e Conrad Gulcher nel 1952. Il nome di olandese<br />
volante ricorda sia l’origine dei suoi progettisti, sia la popolare leggenda<br />
della nave fantasma. Il termine Flying però era in voga in quel<br />
periodo specialmente con la serie di derive plananti sviluppata dall’inglese<br />
Uffa Fox (vedi il Flying 14, ad esempio). L’Fd esordisce come classe<br />
olimpica nel 1960 a Napoli e mantiene questo status fino ai Giochi<br />
di Barcellona ‘92. Il mercato è dominato dal cantiere tedesco Mader. In<br />
passato Bianchi e Cecchi hanno costruiti Flying Dutchman in kevlar.<br />
È la più grande delle piccole?<br />
Lunga poco più di 6 metri, l’Fd è indubbiamente una grande deriva.<br />
Ma è “grande” soprattutto per il livello tecnico che richiede e per le<br />
sue performance. Capace di planare anche di bolina a oltre 15 nodi, è<br />
una macchina da guerra dove tutto è regolabile in navigazione, compresa<br />
l’inclinazione dell’albero o la tensione delle sartie.<br />
Esigente, ultra sofisticato, il Flying Dutchman è sempre stato uno scafo<br />
votato all’innovazione e al progresso tecnico. Queste, ad esempio,<br />
sono alcune tappe importanti nel suo sviluppo: primi scafi in vetroresina<br />
nel 1956; introduzione del doppio fondo nel ‘60; drizza di spi a circuito<br />
chiuso e tubo lancia spi nel ‘67; sparatangone automatico sul boma<br />
nel ‘77; prime barche in sandwich nel ‘79 e in carbonio nell‘82; tan-<br />
gone e spi più grandi nel ‘92.<br />
Quanti sono i Flying Dutchman in Italia?<br />
Dopo il calo dovuto alla perdita dello status olimpico, la classe Flying<br />
Dutchman italiana ha ripreso vigore e vanta una quarantina di barche<br />
che frequentano abitualmente il circuito di regate.<br />
processo. La cottura inizia con una salita molto lenta fino a 65-70 C°,<br />
con la temperatura mantenuta per circa 10 ore, poi aumenta... Restiamo<br />
accanto al forno e alla nostra barca un pomeriggio e una notte alternandoci<br />
esattamente come avviene in barca quando si fanno i turni.<br />
18 ore dopo la barca esce dal forno e le sue proprietà meccaniche<br />
sono incrementate del 20%. Non poco.<br />
Il montaggio dell'attrezzatura (fitout) di una barca è un lavoro enorme<br />
anche se gia impostato. Ogni zona in cui si ancora un ponticello o un<br />
bozzello è ubicato un rinforzo in tessuto sulle pelli ed un tassello in<br />
Pvc più denso, a volte anche in carbonio, per l’anima. L’attrezzatura è<br />
montata tutta insieme una prima volta tenendola in posto con biadesivo<br />
e scotch, completa delle manovre correnti passate con cime provvisorie.<br />
Lentamente, ottimizzando posizione per posizione e compiendo<br />
spostamenti millimetrici, siamo arrivati a una disposizione funzionale<br />
ed efficiente, ordinata, senza intrecci e attriti tra manovre attigue.<br />
Poi è la volta di piastre e supporti per le attrezzature, prima disegnate,<br />
poi discretizzate con un modello in legno e stucco, verificate, ottimizzate<br />
e finalmente laminate su stampo maschio in carbonio pre-preg,<br />
sempre sottovuoto e ovviamente cotte al forno. Solo per portare a termine<br />
stampi e laminare dei supporti sono necessari 4 mesi di lavoro, e<br />
finalmente si può sentire il rumore del trapano che apre le sedi per gli<br />
ancoraggi. Il risultato è sorprendente: tutte le piastre e i supporti non<br />
superano gli 800 grammi di peso. Nel frattempo costruiamo anche le<br />
appendici (timone e deriva), autentici gioielli realizzati con l’anima in<br />
nomex, e ci occupiamo di entratura di timone e deriva, inserimento<br />
degli spessori nella cassa di deriva per impedire l’oscillazione laterale in<br />
navigazione, centratura dell’albero, elastici, paranchi, scotte, antisdrucciolo<br />
e una quantità indescrivibile di impiombature. Finalmente il nostro<br />
sogno ha preso vita. E il 28 agosto 2006, dopo una lunga gestazione,<br />
Ask Her Out è pronto per essere varato.
di EMANUEL RICHELMY<br />
Questa è la storia di un incontro, di un amore a prima vista finalmente<br />
consacrato dopo anni di sofferenze. È la storia di un<br />
uomo, il collega della Rai Giulio Guazzini che ha seguito per<br />
la tv di stato le ultime edizioni della Coppa America, e di una barca<br />
molto particolare, il Vitesse (ora Ronin), scafo con un passato di gloria<br />
sulle spalle e un futuro incerto. Almeno fino all'infatuazione, avvenuta<br />
nell’autunno del 1998. “Ero di passaggio in Romagna”, spiega Guazzini,<br />
“e accettai di buon cuore l’invito del caro amico Simone Bianchetti<br />
che mi offriva di fare un’uscita su questa barca, il Vitesse. Da<br />
tempo cercavo qualcosa di simile, un 50 piedi a dislocamento ultraleggero<br />
(Uldb) di fine anni ’80, adatto alle regate come alla crociera, magari<br />
da risistemare e plasmare adattandolo alle mie esigenze. L’uscita<br />
con Simone fu un occasione per stare insieme in allegria e apprezzare<br />
al timone le qualità di questo scafo purosangue, unico nel suo genere,<br />
che era stato appena messo in vendita dall’armatore ma a un prezzo al<br />
di sopra delle mie reali possibilità”. E lì scattò la scintilla, che avrebbe<br />
portato le due parti, appena dopo un anno, a incontrarsi nuovamente<br />
per consacrare in maniera definitiva quello che era stato a tutti gli effetti<br />
un colpo di fulmine. “Una vera sorpresa: recandomi al Nord per<br />
lavoro, passo davanti a un cantiere di Porto Corsini, tra Ferrara e Ravenna,<br />
e la rivedo, ma questa volta<br />
a terra. Vitesse era sospesa su un Il Ronin, ex Vitesse, di Giulio Guazzi-<br />
invaso”, prosegue Guazzini, “imni (nella foto piccola in veste Rai) alla<br />
ponente a causa del pescaggio ma partenza della Roma per 2.<br />
piuttosto malconcia visto che A fianco: l’originale varo a Fiumicino<br />
aveva la prua tagliata, la poppa officiato da sette monaci Tibetani<br />
ronin/uomini e barche<br />
Una storia d’amore<br />
Giulio Guazzini conobbe la “sua” barca grazie a Simone Bianchetti. E le salvò la vita<br />
con i segni dello spoiler segato, l’attrezzatura smontata e l’aspetto complessivamente<br />
fatiscente. Fu come un pugno nello stomaco”. A questo<br />
punto lo spasimante, colpito al cuore da quanto visto, si informa e scopre<br />
che la barca è stata venduta a due ragazzi, un francese e un italiano,<br />
che hanno in programma di farle correre alcune classiche oceaniche<br />
come la Route du Rhum. I due però litigano e il programma rimane<br />
teorico, con il conseguente rischio di portare la barca verso l'abbandono<br />
più totale. È il momento di intervenire e Guazzini decide di<br />
affrontare la questione di petto contattando i proprietari. “Ci incontrammo<br />
solo una volta, sufficiente per sancire un’intesa che nel giro di<br />
qualche mese si sarebbe tradotta nell’acquisto effettivo della barca. Un<br />
NOVEMBRE 07 FARE VELA 63
uomini e barche/ronin<br />
passo importante che per l’entità Un’altra immagine del Ronin alla Ro-<br />
dell’impresa e la complessità delma per 2. In basso: gli interni totall’operazione,<br />
mi resi subito conmente ridisegnati dal suo nuovo arto<br />
che avrebbe comportato matore secondo lo stile statunitense<br />
un’infinita serie di problemi e<br />
grattacapi da risolvere”. A quel punto inizia infatti l'opera di restyling<br />
che coinvolge amici e conoscenti, restauro dai tempi lunghissimi anche<br />
in virtù degli impegni lavorativi del suo nuovo proprietario, “costretto”<br />
ad emigrare qualche mese ad Auckland per la Coppa America<br />
1999. Un periodo nel quale il pensiero va quotidianamente all'oggetto<br />
dei sogni parcheggiato su un invaso nelle valli nebbiose di Comacchio.<br />
“Una volta rientrato in Italia, ha avuto inizio una tenace<br />
quanto ininterrotta fase di progettazione e realizzazione finalizzata alla<br />
trasformazione di Vitesse in Ronin, che in giapponese significa “uomo<br />
onda” (Ronin era il samurai che, nel periodo feudale giapponese,<br />
quando moriva il suo signore, il daymio, cominciava a vagare trasformandosi<br />
in avventuriero spesso benefattore, un guerriero senza padrone<br />
mosso da grandi slanci e valori etici cavallereschi messi a disposizione<br />
dei più deboli, Ndr). Mi sono avvalso della collaborazione tecnica<br />
dell’amico Fabio Soleri, titolare di uno dei cantieri più preparati<br />
nella lavorazione dei materiali compositi, per dare una forma alla nuova<br />
prua e a realizzare i primi rinforzi longitudinali in carbonio alla coperta<br />
e allo scafo. Poi abbiamo portato la barca a Ostia, ospitata al cantiere<br />
Canados, e lì è iniziata la fase definitiva e più impegnativa dei lavori.<br />
Il cantiere gestito dal gentilissimo Terry Grosso è diventata la mia<br />
meta quotidiana per tre anni, il tempo necessario per dare forma al mio<br />
LE DOMANDE DI FV<br />
Ma l’ex Vitesse era la barca di Bianchetti?<br />
No, l’indimenticato Simone Bianchetti, scomparso 4 anni fa dopo essere<br />
stato il primo italiano a concludere un giro del mondo in solitario<br />
senza scalo, aveva utilizzato Vitesse per una serie di regate in<br />
Adriatico, fra cui la 24h di San Marino, la Barcolana e la Rimini-Corfù.<br />
Vitesse nasce come prototipo di 50’ costruito nel 1987 dall’Ingegnere<br />
Ben Andersen nel cantiere Danese Lm, realizzato in composito sotto<br />
la cura dei tecnici della Sp System di Cowes e cotto al forno a 60° per<br />
tre giorni: un piccolo capolavoro di alta tecnologia per quei tempi.<br />
Viene commissionato nell’86 dal campione di ciclismo Curt Andersen,<br />
poi nel ‘90 è trasferito in Italia e modificata adeguandosi ai canoni del<br />
gigantismo imperante in quegli anni nelle regate in Adriatico.<br />
64 FARE VELA NOVEMBRE 07<br />
Gli interventi<br />
Per riportare Vitesse alle sue forme originali, senza stravolgimenti<br />
e aumentando la robustezza delle strutture e attrezzature, è stato<br />
fatto uno studio approfondito dello scafo nel suo insieme grazie ai<br />
consigli e la consulenza di Paolo Cori, progettista eclettico e geniale<br />
precursore degli Open adriatici. La coperta è stata completamente<br />
rilaminata e dopo aver smontato l’attrezzatura, rinforzata<br />
con kevlar e carbonio messi in opera sotto vuoto. Sono stati ridisegnati<br />
alcuni particolari dell’attrezzatura per migliorare la conduzione<br />
e la gestione dell’imponente piano velico, tra cui la riduzione<br />
dell’altezza dell’albero. Drizze e manovre correnti sono state<br />
commissionate alla ditta Gottifredi e Maffioli, mentre è stato montato<br />
un bompresso telescopico rastremato e un timone a barra gigantesco<br />
ma leggerissimo, tutte e due in carbonio. Custom tutto o<br />
quasi quello che riguarda l’attrezzatura di coperta. Molte parti dell’attrezzatura<br />
sono volutamente in acciaio più affidabile e sicure<br />
nel tempo. Un lavoro certosino poi è stato effettuato per ultimare<br />
gli interni, all’americana, laccati bianchi con tanto di cornici di teck<br />
verniciate con trasparente satinata.<br />
progetto”. Un restyling eseguito perfettamente, che ha trasformato la<br />
barca da un quasi rudere a un mezzo scintillante. “Un lavoro davvero<br />
ben fatto”, conferma Guazzini, “e di questo devo ringraziare tutti gli<br />
amici che mi hanno aiutato: Gianni Santagà, Gianpaolo Spera, Luigi<br />
Ciccarone, Bert Mauri, Giovanni Grispo, Luigi Aldini, Gianni Sorci,<br />
Paolo Munzi e altri che sicuramente mi sono scordato. È anche grazie<br />
a loro se oggi posso emozionarmi ogni volta che salgo a bordo della<br />
mia creatura”. Emozione più che giustificata, perché Ronin è davvero<br />
una barca bellissima che trasuda passione, impegno e perseveranza, è il<br />
risultato concreto di un sogno che si realizza e che ha preso forma piano<br />
piano solo ed esclusivamente grazie all’amore per la vela di Guazzini<br />
e del team di amici che lo ha supportato in questa impresa. Una<br />
squadra che si è ritrovata in occasione del varo, avvenuto nel marzo del<br />
2006 con una cerimonia ovviamente all’orientale. “È stato bellissimo”,<br />
ricorda, “sono venuti sette monaci buddisti, per la prima volta di passaggio<br />
in Italia, a officiare la cerimonia di benedizione con tanto di<br />
paramenti sacri e strumenti, tutto sulla foce del biondo Tevere, a un<br />
passo dal mare che gli stessi monaci vedevano per la prima volta nella<br />
loro vita. Adesso poi, quando salgo a bordo, è come se si verificasse una<br />
sorta d’incantesimo, il ripetersi di un magico rituale vissuto profondamente.<br />
E non posso fare a meno di riflettere, di comprendere come<br />
questo guscio di noce galleggiante, con le sue forme ammalianti, le sue<br />
linee slanciate, con la sua storia alle spalle, gli anni d’interminabili lavori<br />
e sacrifici, rappresenti per me qualcosa di più di una semplice imbarcazione<br />
da usare per le vacanze. Ronin”, conclude Guazzini, “è il<br />
prodotto di una straordinaria passione, un atto d’amore per una barca<br />
fuori dagli schemi, nata per offrire emozioni forti”.