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060-064 FD+vitesse:Affiancate

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uomini e barche/ask her out<br />

L’età del carbonio<br />

Vi presentiamo lo splendido Flying Dutchman italiano che fa sognare il mondo intero<br />

di LUCA UNGARO<br />

Da un anno a questa parte un Flying Dutchman in carbonio sta veleggiando<br />

in tutto il suo splendore. Si chiama Ask Her Out ed è stato autocostruito<br />

dal suo equipaggio: i fratelli Ungaro. Romano, 29 anni, Luca Ungaro,<br />

timoniere con 13 anni di Fd alle spalle, ci racconta la genesi della sua barca.<br />

La costruzione del nostro Flying Dutchman Ask Her Out è stata la realizzazione<br />

di un sogno. Volevamo un’imbarcazione unica, senza compromessi,<br />

un vero one off che tenda alla perfezione. Come ogni utopia,<br />

il programma iniziale è stato a dir poco ottimistico: realizzazione del<br />

manufatto nei mesi invernali e varo per la conclusione della primavera<br />

seguente, 6 mesi grosso modo. In realtà abbiamo impiegato 3 anni e<br />

mezzo per costruirlo, da gennaio 2003 ad agosto 2006.<br />

L’abbrivio iniziale è stato reso possibile dalla classe Flying Dutchman<br />

Italia che ha messo a nostra disposizione gli stampi di scafo, coperta e<br />

pozzetto, nonché uno storico delle esperienze di costruzione precedenti<br />

finalizzato alla costruzione<br />

di Fd in Italia, in più alcuni pezzi<br />

di scafo, coperta e strutture di<br />

barche sfortunatamente andate<br />

distrutte. Il nostro Fd è nato prima<br />

sulla carta. L’analisi dei campioni<br />

in kevlar, materiale usato<br />

per maggior parte delle barche in<br />

circolazione, ci ha fornito un ottimo<br />

riferimento. Su questa base<br />

abbiamo steso una prima bozza<br />

della tabella dei laminati per valu-<br />

60 FARE VELA NOVEMBRE 07<br />

tare il risparmio di peso a parità di caratteristiche meccaniche.<br />

Il primo tuffo nel mondo del composito lo facciamo producendo i<br />

campioni da testare. L’esperienza ci permette di stendere la tabella dei<br />

laminati definitiva: le pelli sarebbero state interamente in carbonio con<br />

tessuti per l’intera superficie e rinforzi locali in biassale ed unidirezionale,<br />

l’anima del sandwich in Pvc di prima scelta da 90 kg/mc in spessori<br />

da 8/6/3 millimetri, la resina di tipo epossidica con alti valori<br />

meccanici, ulteriormente migliorati dalla post-cura in forno. Tutti i<br />

processi costruttivi sarebbero stati conclusi con la chiusura del sacco e<br />

la messa sotto vuoto del pezzo per assicurare la corretta quantità di resina<br />

e ottimizzare rigidezza e leggerezza. In questi elaborati grafici viene<br />

finalmente sintetizzata Ask Her Out, frutto di tante ore passate a manipolare<br />

modelli di scafi, a riempire carte di schizzi e scarabocchi.<br />

Il nostro cavallo di battaglia sono le strutture interne. Se la disposizione<br />

generale di madieri e paratie<br />

rimane in sostanza identica a<br />

quella delle altre barche in produzione,<br />

abbiamo portato tanti<br />

piccoli accorgimenti riguardo il<br />

giusto collocamento: pochi centimetri<br />

più a prua o più a poppa,<br />

pochi gradi di differenza sulla loro<br />

inclinazione. Tutti sono interamente<br />

costruiti in carbonio. La<br />

trave di prua, il componente più<br />

importante della barca, risulta<br />

FOTO LATINI<br />

FOTO LATINI


La genesi dell’Fd Ask Her Out (a fian-<br />

co in navigazione). 1, 2 Laminazione<br />

dello scafo in sandwich con pelli in<br />

carbonio e anima in airex; 3 Strutture<br />

dello scafo: i madieri e i paramezzali<br />

sono assemblati mediante incollaggio<br />

e fascettatura; 4, 5, 6 Laminazione<br />

della coperta: dopo ogni stratificazione<br />

si applica il sacco a vuoto per togliere<br />

la resina in esubero ed eliminare<br />

le bolle d’aria; 7 Vista dell’interno<br />

della prua: si nota la struttura reticolare<br />

a tubi per irrigidire lo scafo; 8, 9<br />

Deriva e timone, realizzati in semipale<br />

con nomex (marrone) e core cell<br />

(giallo), vengono incollati e fascettati<br />

più lunga di due metri e finalizzata<br />

alla connessione del triangolo<br />

strutturale di sartie e strallo di<br />

prua. È una trave reticolare costruita<br />

con tubi di carbonio, tutti<br />

dimensionati al limite, la cui<br />

estremità è gia la landa d’attacco<br />

dello strallo di prua. Anche per<br />

l’attacco delle sartie, invece dell'obsoleta<br />

piastra di acciaio, abbiamo<br />

un madiere in composito. Essendo<br />

il peso della barca fissato<br />

per stazza a 130 chili, il gioco è di<br />

ridistribuire i preziosi etti risparmiati<br />

sulle strutture verso il baricentro della barca, lì dove i paranchi<br />

delle manovre più importanti insistono. Il fine è di ottenere la massima<br />

rigidità per non disperdere la potenza del piano velico.<br />

Mentre andiamo avanti con la costruzione dei primi componenti, iniziamo<br />

a pensare all'assemblaggio. Ogni singolo componente deve essere<br />

incollato e fascettato. È il massimo che si può ottenere, così facendo<br />

le sollecitazioni vengono trasmesse sempre dalla fibra e non dai collanti<br />

che hanno caratteristiche elastiche e di fragilità da non trascurare.<br />

Poi questo è il mondo dei millimetri, non più dei centimetri, e cerchiamo<br />

di risolvere uno dei più grandi problemi di questa delicata fase:<br />

come assicurare la migliore connessione tra i singoli componenti<br />

anche nei punti irraggiungibili a barca chiusa.<br />

Il lavoro procede, siamo al punto di poter toccare con mano la nostra<br />

Ask Her Out, ma purtroppo si ferma tutto: siamo abbandonati dal cantiere<br />

che ci ospitava. La costruzione è ferma. A questo punto, un carissimo<br />

amico ci indirizza verso il cantiere dei fratelli Latini, un punto di<br />

riferimento internazionale in fatto di costruzione hi-tech. Il cantiere<br />

ha delle referenze incredibili: l’oro olimpico a Sydney e numerosi titoli<br />

mondiali con gli alberi in carbonio dei Finn, numerosi titoli conseguiti<br />

nelle classi Ims, Libera e Maxi. Ironia della sorte, è proprio Latini<br />

Marine che nel 1995 ha costruito gli stampi ed il primo prototipo<br />

di Fd commissionato dalla classe italiana. La decisione è presa: a dicembre<br />

2003 sbarchiamo all’interno del cantiere con tutti gli stampi,<br />

lo scafo, il pozzetto e la maggior parte delle strutture ancora volanti,<br />

perché non assemblate. Durante i lavori, l’accordo prevede che dobbiamo<br />

svolgere il ruolo di aiutanti presso i due capimastri. Scopriamo<br />

1<br />

4<br />

2<br />

5<br />

però che lo scafo ha una serie di difetti che la nostra costante ricerca<br />

della perfezione non può tollerare. Superata la fase di abbattimento e<br />

facendo tesoro della nostra esperienza, decidiamo di costruire un nuovo<br />

scafo e di ripensare anche alcune soluzioni per la laminazione della<br />

coperta. È stato come azzerare il conto, ma ricominciando da capo<br />

o quasi ci accorgiamo anche della lunga strada già percorsa. E un bel<br />

giorno, ci ritroviamo attorno allo stampo colando acqua fra di esso e<br />

lo scafo vero e proprio nell’intento di liberarlo da quella prigione.<br />

Qualche minuto e lo scafo si libera tra rumori indescrivibili. Per la prima<br />

volta galleggia, è diventato un vero Fd. Verso marzo del 2004, abbiamo<br />

tutti i componenti fisicamente presenti e pronti ad essere uniti<br />

7<br />

3<br />

6<br />

8 9<br />

NOVEMBRE 07 FARE VELA 61


uomini e barche/ask her out LE DOMANDE DI FV<br />

in un unico grande organismo, la La complessità dei control box, ovvia-<br />

nostra barca.<br />

mente sdoppiati per essere regolati<br />

Da lì a poco i fratelli Latini mi su entrambe le mura. Da destra a si-<br />

offrono la possibilità di collaboranistra, nell’ordine: drizza spi, vang,<br />

re con loro, solo io perché mio avanti e indietro deriva, punto di<br />

fratello Marco ha il suo lavoro. La scotta del genoa up&down e punto<br />

sera discutiamo le soluzioni da in&out, carrello della randa, ghinda<br />

adottare e il weekend di nuovo (strallo di prua), sartie grosse, sartie<br />

assieme, spalla a spalla, lavoriamo fini, sartie basse, amantiglio, base<br />

sulla barca. Poco tempo ancora e randa e up&down deriva<br />

anche la coperta, dopo un preventivo<br />

prestazzamento per rimanere in regola, viene assemblata. Passiamo<br />

l’estate del 2004 chini sullo scafo a carteggiare i fondi con delle<br />

stecche lunghe ricoperte di carta vetrata. Rendere le superfici perfettamente<br />

lisce è un autentico “labor limae”.<br />

Il tempo trascorre e siamo pronti per la fatidica post-cottura del manufatto.<br />

È la fine dei lavori in composito, l’inizio dell’allestimento, momento<br />

in cui la barca si veste dei panni che siamo abituati a vedere in<br />

acqua. La cottura è un lungo procedimento: si colloca la barca all’interno<br />

del forno, si dispongono le termocoppie nei punti critici per rilevare<br />

le temperature e regolare l’intensità del calore durante tutto il<br />

62 FARE VELA NOVEMBRE 07<br />

FOTO LATINI<br />

Qual è la storia dell’olandese volante?<br />

Il Flying Dutchman, olandese volante in inglese, è una deriva proget-<br />

tata da Uus van Essen e Conrad Gulcher nel 1952. Il nome di olandese<br />

volante ricorda sia l’origine dei suoi progettisti, sia la popolare leggenda<br />

della nave fantasma. Il termine Flying però era in voga in quel<br />

periodo specialmente con la serie di derive plananti sviluppata dall’inglese<br />

Uffa Fox (vedi il Flying 14, ad esempio). L’Fd esordisce come classe<br />

olimpica nel 1960 a Napoli e mantiene questo status fino ai Giochi<br />

di Barcellona ‘92. Il mercato è dominato dal cantiere tedesco Mader. In<br />

passato Bianchi e Cecchi hanno costruiti Flying Dutchman in kevlar.<br />

È la più grande delle piccole?<br />

Lunga poco più di 6 metri, l’Fd è indubbiamente una grande deriva.<br />

Ma è “grande” soprattutto per il livello tecnico che richiede e per le<br />

sue performance. Capace di planare anche di bolina a oltre 15 nodi, è<br />

una macchina da guerra dove tutto è regolabile in navigazione, compresa<br />

l’inclinazione dell’albero o la tensione delle sartie.<br />

Esigente, ultra sofisticato, il Flying Dutchman è sempre stato uno scafo<br />

votato all’innovazione e al progresso tecnico. Queste, ad esempio,<br />

sono alcune tappe importanti nel suo sviluppo: primi scafi in vetroresina<br />

nel 1956; introduzione del doppio fondo nel ‘60; drizza di spi a circuito<br />

chiuso e tubo lancia spi nel ‘67; sparatangone automatico sul boma<br />

nel ‘77; prime barche in sandwich nel ‘79 e in carbonio nell‘82; tan-<br />

gone e spi più grandi nel ‘92.<br />

Quanti sono i Flying Dutchman in Italia?<br />

Dopo il calo dovuto alla perdita dello status olimpico, la classe Flying<br />

Dutchman italiana ha ripreso vigore e vanta una quarantina di barche<br />

che frequentano abitualmente il circuito di regate.<br />

processo. La cottura inizia con una salita molto lenta fino a 65-70 C°,<br />

con la temperatura mantenuta per circa 10 ore, poi aumenta... Restiamo<br />

accanto al forno e alla nostra barca un pomeriggio e una notte alternandoci<br />

esattamente come avviene in barca quando si fanno i turni.<br />

18 ore dopo la barca esce dal forno e le sue proprietà meccaniche<br />

sono incrementate del 20%. Non poco.<br />

Il montaggio dell'attrezzatura (fitout) di una barca è un lavoro enorme<br />

anche se gia impostato. Ogni zona in cui si ancora un ponticello o un<br />

bozzello è ubicato un rinforzo in tessuto sulle pelli ed un tassello in<br />

Pvc più denso, a volte anche in carbonio, per l’anima. L’attrezzatura è<br />

montata tutta insieme una prima volta tenendola in posto con biadesivo<br />

e scotch, completa delle manovre correnti passate con cime provvisorie.<br />

Lentamente, ottimizzando posizione per posizione e compiendo<br />

spostamenti millimetrici, siamo arrivati a una disposizione funzionale<br />

ed efficiente, ordinata, senza intrecci e attriti tra manovre attigue.<br />

Poi è la volta di piastre e supporti per le attrezzature, prima disegnate,<br />

poi discretizzate con un modello in legno e stucco, verificate, ottimizzate<br />

e finalmente laminate su stampo maschio in carbonio pre-preg,<br />

sempre sottovuoto e ovviamente cotte al forno. Solo per portare a termine<br />

stampi e laminare dei supporti sono necessari 4 mesi di lavoro, e<br />

finalmente si può sentire il rumore del trapano che apre le sedi per gli<br />

ancoraggi. Il risultato è sorprendente: tutte le piastre e i supporti non<br />

superano gli 800 grammi di peso. Nel frattempo costruiamo anche le<br />

appendici (timone e deriva), autentici gioielli realizzati con l’anima in<br />

nomex, e ci occupiamo di entratura di timone e deriva, inserimento<br />

degli spessori nella cassa di deriva per impedire l’oscillazione laterale in<br />

navigazione, centratura dell’albero, elastici, paranchi, scotte, antisdrucciolo<br />

e una quantità indescrivibile di impiombature. Finalmente il nostro<br />

sogno ha preso vita. E il 28 agosto 2006, dopo una lunga gestazione,<br />

Ask Her Out è pronto per essere varato.


di EMANUEL RICHELMY<br />

Questa è la storia di un incontro, di un amore a prima vista finalmente<br />

consacrato dopo anni di sofferenze. È la storia di un<br />

uomo, il collega della Rai Giulio Guazzini che ha seguito per<br />

la tv di stato le ultime edizioni della Coppa America, e di una barca<br />

molto particolare, il Vitesse (ora Ronin), scafo con un passato di gloria<br />

sulle spalle e un futuro incerto. Almeno fino all'infatuazione, avvenuta<br />

nell’autunno del 1998. “Ero di passaggio in Romagna”, spiega Guazzini,<br />

“e accettai di buon cuore l’invito del caro amico Simone Bianchetti<br />

che mi offriva di fare un’uscita su questa barca, il Vitesse. Da<br />

tempo cercavo qualcosa di simile, un 50 piedi a dislocamento ultraleggero<br />

(Uldb) di fine anni ’80, adatto alle regate come alla crociera, magari<br />

da risistemare e plasmare adattandolo alle mie esigenze. L’uscita<br />

con Simone fu un occasione per stare insieme in allegria e apprezzare<br />

al timone le qualità di questo scafo purosangue, unico nel suo genere,<br />

che era stato appena messo in vendita dall’armatore ma a un prezzo al<br />

di sopra delle mie reali possibilità”. E lì scattò la scintilla, che avrebbe<br />

portato le due parti, appena dopo un anno, a incontrarsi nuovamente<br />

per consacrare in maniera definitiva quello che era stato a tutti gli effetti<br />

un colpo di fulmine. “Una vera sorpresa: recandomi al Nord per<br />

lavoro, passo davanti a un cantiere di Porto Corsini, tra Ferrara e Ravenna,<br />

e la rivedo, ma questa volta<br />

a terra. Vitesse era sospesa su un Il Ronin, ex Vitesse, di Giulio Guazzi-<br />

invaso”, prosegue Guazzini, “imni (nella foto piccola in veste Rai) alla<br />

ponente a causa del pescaggio ma partenza della Roma per 2.<br />

piuttosto malconcia visto che A fianco: l’originale varo a Fiumicino<br />

aveva la prua tagliata, la poppa officiato da sette monaci Tibetani<br />

ronin/uomini e barche<br />

Una storia d’amore<br />

Giulio Guazzini conobbe la “sua” barca grazie a Simone Bianchetti. E le salvò la vita<br />

con i segni dello spoiler segato, l’attrezzatura smontata e l’aspetto complessivamente<br />

fatiscente. Fu come un pugno nello stomaco”. A questo<br />

punto lo spasimante, colpito al cuore da quanto visto, si informa e scopre<br />

che la barca è stata venduta a due ragazzi, un francese e un italiano,<br />

che hanno in programma di farle correre alcune classiche oceaniche<br />

come la Route du Rhum. I due però litigano e il programma rimane<br />

teorico, con il conseguente rischio di portare la barca verso l'abbandono<br />

più totale. È il momento di intervenire e Guazzini decide di<br />

affrontare la questione di petto contattando i proprietari. “Ci incontrammo<br />

solo una volta, sufficiente per sancire un’intesa che nel giro di<br />

qualche mese si sarebbe tradotta nell’acquisto effettivo della barca. Un<br />

NOVEMBRE 07 FARE VELA 63


uomini e barche/ronin<br />

passo importante che per l’entità Un’altra immagine del Ronin alla Ro-<br />

dell’impresa e la complessità delma per 2. In basso: gli interni totall’operazione,<br />

mi resi subito conmente ridisegnati dal suo nuovo arto<br />

che avrebbe comportato matore secondo lo stile statunitense<br />

un’infinita serie di problemi e<br />

grattacapi da risolvere”. A quel punto inizia infatti l'opera di restyling<br />

che coinvolge amici e conoscenti, restauro dai tempi lunghissimi anche<br />

in virtù degli impegni lavorativi del suo nuovo proprietario, “costretto”<br />

ad emigrare qualche mese ad Auckland per la Coppa America<br />

1999. Un periodo nel quale il pensiero va quotidianamente all'oggetto<br />

dei sogni parcheggiato su un invaso nelle valli nebbiose di Comacchio.<br />

“Una volta rientrato in Italia, ha avuto inizio una tenace<br />

quanto ininterrotta fase di progettazione e realizzazione finalizzata alla<br />

trasformazione di Vitesse in Ronin, che in giapponese significa “uomo<br />

onda” (Ronin era il samurai che, nel periodo feudale giapponese,<br />

quando moriva il suo signore, il daymio, cominciava a vagare trasformandosi<br />

in avventuriero spesso benefattore, un guerriero senza padrone<br />

mosso da grandi slanci e valori etici cavallereschi messi a disposizione<br />

dei più deboli, Ndr). Mi sono avvalso della collaborazione tecnica<br />

dell’amico Fabio Soleri, titolare di uno dei cantieri più preparati<br />

nella lavorazione dei materiali compositi, per dare una forma alla nuova<br />

prua e a realizzare i primi rinforzi longitudinali in carbonio alla coperta<br />

e allo scafo. Poi abbiamo portato la barca a Ostia, ospitata al cantiere<br />

Canados, e lì è iniziata la fase definitiva e più impegnativa dei lavori.<br />

Il cantiere gestito dal gentilissimo Terry Grosso è diventata la mia<br />

meta quotidiana per tre anni, il tempo necessario per dare forma al mio<br />

LE DOMANDE DI FV<br />

Ma l’ex Vitesse era la barca di Bianchetti?<br />

No, l’indimenticato Simone Bianchetti, scomparso 4 anni fa dopo essere<br />

stato il primo italiano a concludere un giro del mondo in solitario<br />

senza scalo, aveva utilizzato Vitesse per una serie di regate in<br />

Adriatico, fra cui la 24h di San Marino, la Barcolana e la Rimini-Corfù.<br />

Vitesse nasce come prototipo di 50’ costruito nel 1987 dall’Ingegnere<br />

Ben Andersen nel cantiere Danese Lm, realizzato in composito sotto<br />

la cura dei tecnici della Sp System di Cowes e cotto al forno a 60° per<br />

tre giorni: un piccolo capolavoro di alta tecnologia per quei tempi.<br />

Viene commissionato nell’86 dal campione di ciclismo Curt Andersen,<br />

poi nel ‘90 è trasferito in Italia e modificata adeguandosi ai canoni del<br />

gigantismo imperante in quegli anni nelle regate in Adriatico.<br />

64 FARE VELA NOVEMBRE 07<br />

Gli interventi<br />

Per riportare Vitesse alle sue forme originali, senza stravolgimenti<br />

e aumentando la robustezza delle strutture e attrezzature, è stato<br />

fatto uno studio approfondito dello scafo nel suo insieme grazie ai<br />

consigli e la consulenza di Paolo Cori, progettista eclettico e geniale<br />

precursore degli Open adriatici. La coperta è stata completamente<br />

rilaminata e dopo aver smontato l’attrezzatura, rinforzata<br />

con kevlar e carbonio messi in opera sotto vuoto. Sono stati ridisegnati<br />

alcuni particolari dell’attrezzatura per migliorare la conduzione<br />

e la gestione dell’imponente piano velico, tra cui la riduzione<br />

dell’altezza dell’albero. Drizze e manovre correnti sono state<br />

commissionate alla ditta Gottifredi e Maffioli, mentre è stato montato<br />

un bompresso telescopico rastremato e un timone a barra gigantesco<br />

ma leggerissimo, tutte e due in carbonio. Custom tutto o<br />

quasi quello che riguarda l’attrezzatura di coperta. Molte parti dell’attrezzatura<br />

sono volutamente in acciaio più affidabile e sicure<br />

nel tempo. Un lavoro certosino poi è stato effettuato per ultimare<br />

gli interni, all’americana, laccati bianchi con tanto di cornici di teck<br />

verniciate con trasparente satinata.<br />

progetto”. Un restyling eseguito perfettamente, che ha trasformato la<br />

barca da un quasi rudere a un mezzo scintillante. “Un lavoro davvero<br />

ben fatto”, conferma Guazzini, “e di questo devo ringraziare tutti gli<br />

amici che mi hanno aiutato: Gianni Santagà, Gianpaolo Spera, Luigi<br />

Ciccarone, Bert Mauri, Giovanni Grispo, Luigi Aldini, Gianni Sorci,<br />

Paolo Munzi e altri che sicuramente mi sono scordato. È anche grazie<br />

a loro se oggi posso emozionarmi ogni volta che salgo a bordo della<br />

mia creatura”. Emozione più che giustificata, perché Ronin è davvero<br />

una barca bellissima che trasuda passione, impegno e perseveranza, è il<br />

risultato concreto di un sogno che si realizza e che ha preso forma piano<br />

piano solo ed esclusivamente grazie all’amore per la vela di Guazzini<br />

e del team di amici che lo ha supportato in questa impresa. Una<br />

squadra che si è ritrovata in occasione del varo, avvenuto nel marzo del<br />

2006 con una cerimonia ovviamente all’orientale. “È stato bellissimo”,<br />

ricorda, “sono venuti sette monaci buddisti, per la prima volta di passaggio<br />

in Italia, a officiare la cerimonia di benedizione con tanto di<br />

paramenti sacri e strumenti, tutto sulla foce del biondo Tevere, a un<br />

passo dal mare che gli stessi monaci vedevano per la prima volta nella<br />

loro vita. Adesso poi, quando salgo a bordo, è come se si verificasse una<br />

sorta d’incantesimo, il ripetersi di un magico rituale vissuto profondamente.<br />

E non posso fare a meno di riflettere, di comprendere come<br />

questo guscio di noce galleggiante, con le sue forme ammalianti, le sue<br />

linee slanciate, con la sua storia alle spalle, gli anni d’interminabili lavori<br />

e sacrifici, rappresenti per me qualcosa di più di una semplice imbarcazione<br />

da usare per le vacanze. Ronin”, conclude Guazzini, “è il<br />

prodotto di una straordinaria passione, un atto d’amore per una barca<br />

fuori dagli schemi, nata per offrire emozioni forti”.

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