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Dispense Tarski

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A) Il linguaggio L 1<br />

SINTASSI del linguaggio L 1<br />

Anno accademico 2009-2010<br />

Cattedra di Filosofia del linguaggio<br />

(prof. Gabriele Usberti)<br />

<strong>Dispense</strong> relative al manuale<br />

P. Casalegno<br />

Filosofia del linguaggio<br />

Simboli primitivi (dizionario):<br />

Costanti individuali CI:<br />

NUMERALI: 0,1,2,3,...<br />

Capitolo 4<br />

<strong>Tarski</strong><br />

Costanti predicative CP:<br />

A 1 argomento: P (è pari), D (è dispari)<br />

A 2 argomenti: = (è uguale a) M (è minore di)<br />

Costanti logiche:<br />

CONNETTIVI: ¬ (a 1 argomento), e ∧,∨,→ (a 2 argomenti)<br />

Simboli ausiliari:<br />

PARENTESI: (,)<br />

Definizione induttiva della classe degli enunciati:<br />

Cos’è una definizione induttiva. Esempio: definizione induttiva<br />

dell’insieme dei numeri naturali. Risposta al dubbio di<br />

circolarità. Generazione di insiemi infiniti mediante recursione.<br />

(1) Definizione<br />

Clausole di base:<br />

1) Se α è una costante predicativa a 1 argomento e β una costante<br />

individuale, allora α(β) è un enunciato (atomico).<br />

2) Se α è una costante predicativa a 2 argomenti e β,γ due<br />

costanti individuali, allora α(β,γ) è un enunciato (atomico).<br />

Clausole induttive:<br />

1


3) Se α è un enunciato, allora ¬α è un enunciato.<br />

4) Se α e β sono enunciati, allora α∧β è un enunciato.<br />

5) Se α e β sono enunciati, allora α∨β è un enunciato.<br />

6) Se α e β sono enunciati, allora α→β è un enunciato.<br />

Clausola estremale:<br />

7) Nient’altro è un enunciato.<br />

Semantica di L 1<br />

L’idea di <strong>Tarski</strong> è di definire la classe degli enunciati veri in<br />

un modo del tutto analogo a quello con cui abbiamo definito la<br />

classe degli enunciati, cioè con una definizione induttiva. Ciò,<br />

in L 1 , è perfettamente possibile.<br />

Il primo passo consiste nel definire la classe degli<br />

enunciati atomici veri; poiché questi sono costituiti da un<br />

predicato e una o due costanti individuali, per definire la<br />

classe degli enunciati atomici veri dobbiamo prima definire le<br />

denotazioni dei simboli primitivi. Nel farlo seguiamo in sostanza<br />

le idee di Frege, con una differenza relativamente ai predicati.<br />

(2) Dominio D: l’insieme dei numeri naturali N = {0,1,2,....}<br />

(3) Denotazione: funzione ⟦⟧ da costanti individuali e costanti<br />

predicative tale che:<br />

1) ⟦0⟧=0, ⟦1⟧=1,... (i nomi dei numeri in L 1 sono gli stessi di<br />

quelli in italiano,che è il nostro metalinguaggio)<br />

2) ⟦P⟧={x∈D|x è pari}<br />

⟦D⟧={x∈D|x è dispari}<br />

⟦=⟧={∈DXD|x è uguale a y}<br />

⟦M⟧={∈DXD|x è minore di y}<br />

OSSERVAZIONI<br />

1) Dunque, la funzione ⟦⟧ ha come codominio D (vale a dire N)<br />

quando i suoi argomenti sono costanti individuali, 2 D quando i<br />

suoi argomenti sono costanti predicative a 1 argomento, 2 DXD<br />

quando i suoi argomenti sono costanti predicative a 2 argomenti.<br />

2) La differenza rispetto a Frege sta qui: per Frege la<br />

denotazione di un predicato a 1 posto è una funzione a 1<br />

argomento che ha come valori valori di verità, per <strong>Tarski</strong> è un<br />

insieme di individui; per Frege la denotazione di un predicato a<br />

2 posti è una funzione a 2 argomenti che ha come valori valori di<br />

verità, per <strong>Tarski</strong> è un insieme di coppie ordinate (una<br />

relazione). Ma la differenza non è così grande, in quanto tra le<br />

2


denotazioni fregeane e le denotazioni tarskiane dei predicati c’è<br />

una corrispondenza biunivoca (a un insieme I corrisponde la sua<br />

funzione caratteristica CAR I , a una funzione F con valori in<br />

{V,F} corrisponde la sua estensione EXT F ).<br />

A questo punto possiamo dare la definizione induttiva della<br />

classe degli enunciati veri in L 1 :<br />

(4) Definizione di verità in L 1 .<br />

Clausole di base:<br />

1) Un enunciato atomico della forma α(β), dove α è una costante<br />

predicativa a 1 argomento e β una costante individuale, è vero in<br />

L 1 (in simboli ⊨ L1 α(β), o più rapidamente ⊨α(β)) sse ⟦β⟧∈⟦α⟧;<br />

2) Un enunciato atomico della forma α(β,γ), dove α è una costante<br />

predicativa a 2 argomenti e β,γ due costanti individuali, è vero<br />

in L 1 (in simboli ⊨α(β,γ))) sse ∈⟦α⟧ (vale a dire, se ⟦β⟧ e<br />

⟦γ⟧ stanno nella relazione ⟦α⟧);<br />

Clausole induttive:<br />

3) ⊨¬α sse non ⊨α;<br />

4) ⊨α∧β sse ⊨α e ⊨β;<br />

5) ⊨α∨β sse ⊨α o ⊨β;<br />

6) ⊨α→β sse non⊨α o ⊨β.<br />

Clausola estremale:<br />

7) Nient’altro è un enunciato vero.<br />

A questo punto dobbiamo dimostrare che la definizione data è<br />

materialmente adeguata. Noi non daremo tutta la dimostrazione<br />

(che sarebbe per induzione sulla complessità logica degli<br />

enunciati); ci limiteremo a considerare un singolo enunciato, e a<br />

far vedere che la definizione di verità appena data, applicata ad<br />

esso, è materialmente adeguata.<br />

Consideriamo il seguente enunciato di L 1<br />

P(4)∧¬M(4,3);<br />

la sua traduzione in italiano (che è il metalinguaggio in cui<br />

stismo ragionando) è “4 è pari e 4 non è minore di 3”; la<br />

Condizione di Adeguatezza Materiale della definizione di verità<br />

richiede dunque che dalla definizione sia deducibile<br />

l’equivalenza seguente:<br />

3


(5) ⊨P(4)∧¬M(4,3) sse 4 è pari e 4 non è minore di 3.<br />

Ecco come si fa a dedurlo (indico in rosso la giustificazione di<br />

ogni passo; abbreviazioni: DVn per “definizione di verità, punto<br />

n)”, DDn per “definizione di denotazione, punto n)”, SostEquiv<br />

per “Sostituzione di equivalenti”):<br />

(6)<br />

⊨P(4)∧¬M(4,3) sse (a) ⊨P(4) e ⊨¬M(4,3) [DV4)]<br />

sse (b) ⊨P(4) e non ⊨M(4,3) [DV3)]<br />

sse (c) ⟦4⟧∈⟦P⟧ e non ⊨M(4,3) [DV1)]<br />

sse (d) ⟦4⟧∈⟦P⟧ e non ∈⟦M⟧ [DV2)]<br />

sse (e) 4∈{x∈D|x è pari} e non ∈⟦M⟧<br />

[DD1)]<br />

sse (f) 4∈{x∈D|x è pari} e<br />

non ∈{∈DXD|x è minore di y}<br />

[DD2)]<br />

sse (g) 4 è pari e non 4 è minore di 3<br />

[SostEquiv]<br />

sse (h) 4 è pari e 4 è non minore di 3<br />

[SostEquiv]<br />

Passiamo adesso al linguaggio L 2 .<br />

B) Il linguaggio L 2<br />

SINTASSI del linguaggio L 2<br />

(7) Simboli primitivi<br />

Uguale alla sintassi di L 1 , con due aggiunte alla classe dei<br />

simboli primitivi:<br />

Variabili individuali, VI:<br />

x 0 , x 1 , x 2 ,... (Spesso userò invece x, y, z, w, ...)<br />

Una nuova categoria di costanti logiche:<br />

QUANTIFICATORI:<br />

∀ (Quant. Universale, leggi “per ogni”)<br />

∃ (Quant. Esistenziale, leggi “per qualche”, oppure “esiste un”)<br />

Definizione induttiva della classe delle formule<br />

4


La presenza delle variabili e dei quantificatori rende<br />

impossibile dare una definizione induttiva diretta della classe<br />

degli enunciati di L 2 , come invece avevamo fatto nel caso di L 1 .<br />

Se guardiamo le clausole induttive della definizione di enunciato<br />

in L 1 , vediamo che l’ipotesi induttiva è sempre della forma “Se α<br />

è un enunciato,...”, o “Se α e β sono enunciati,...”: in altre<br />

parole, una definizione induttiva diretta permette di produrre<br />

nuovi enunciati solo combinando insieme parti che sono a loro<br />

volta enunciati. Ma in L 2 ci sono espressioni che intuitivamente<br />

classificheremmo come enunciati, le quali non sono ottenute<br />

combinando insieme parti che sono a loro volta enunciati; per<br />

esempio, l’espressione ∀xP(x) è intuitivamente un enunciato (nel<br />

senso che può essere vera o falsa), ma non ha parti che siano a<br />

loro volta enunciati; in particolare P(x) non è un enunciato (non<br />

può essere vera o falsa).<br />

Ciò rende necessario procedere in modo diverso, ‘indiretto’:<br />

prima diamo una definizione induttiva diretta di una classe più<br />

ampia di quella degli enunciati (per intenderci, una classe che<br />

contiene, oltre a ∀xP(x), anche P(x)): la classe delle formule; e<br />

poi isoliamo, in tale classe, la sottoclasse degli enunciati<br />

mediante una proprietà caratteristica (vedremo tra poco quale).<br />

Per definire la classe delle formule abbiamo bisogno di una<br />

definizione ausiliaria:<br />

(8) TERMINI TM: CI∪VI<br />

Vale a dire: sono termini le costanti individuali e le variabili<br />

individuali.<br />

Possiamo adesso definire induttivamente la classe delle formule:<br />

(9) Definizione:<br />

Clausole di base:<br />

1) Se α è una costante predicativa a 1 argomento e β un termine,<br />

allora α(β) è una formula (atomica).<br />

2) Se α è una costante predicativa a 2 argomenti e β,γ due<br />

termini, allora α(β,γ) è una formula (atomica).<br />

Clausole induttive:<br />

3) Se α è una formula, allora ¬α è una formula<br />

4) Se α e β sono formule, allora α∧β è una formula<br />

5) Se α e β sono formule, allora α∨β è una formula<br />

6) Se α e β sono formule, allora α→β è una formula<br />

7) Se α è una formula e v una variabile, allora ∀vα è una formula<br />

8) Se α è una formula e v una variabile, allora ∃vα è una formula<br />

5


Clausola estremale:<br />

9) Nient’altro è una formula.<br />

Definizione della classe degli enunciati<br />

Infine, nell’insieme così definito delle formule isoliamo il<br />

sottoinsieme degli enunciati mediante una proprietà (sintattica)<br />

che li contraddistingue. Per formulare questa proprietà abbiamo<br />

bisogno di qualche definizione ausiliaria (non sono definizioni<br />

rigorose: servono solo a dare un’idea sufficientemente precisa)<br />

(10) Ambito di un quantificatore Qv.<br />

Se Qvβ è una sottoformula di una formula α, allora β è l’ambito<br />

del quantificatore Qv in α.<br />

Esempio: nella formula¬∃x∃y(∀z(∃wM(z,w)⇒M(y,z))∧M(x,y))<br />

i vari quantificatori hanno i seguenti ambiti:<br />

Quantificatore Ambito<br />

∃w M(z,w)<br />

∀z ∃wM(z,w)⇒M(y,z)<br />

∃y ∀z(∃wM(z,w)⇒M(y,z))∧M(x,y)<br />

∃x ∃y(∀z(∃wM(z,w)⇒M(y,z))∧M(x,y))<br />

(11) Occorrenze libere e vincolate di variabili in una formula<br />

Un’occorrenza di una variabile v in una formula α (che non sia<br />

parte di un quantificatore) che è nell’ambito di un<br />

quantificatore è vincolata in α da quel quantificatore; se non è<br />

nell’ambito di alcun quantificatore è libera in α.<br />

Osservare: Una stessa variabile può avere più occorrenze in una<br />

formula, alcune libere e alcune vincolate. Esempio:<br />

∃xM(x,y)⇒=(x,y): qui la seconda occorrenza di x (non si conta<br />

quella in cui la variabile è parte del quantificatore) è libera,<br />

la prima è vincolata. Invece in ∃x(M(x,y)⇒=(x,y)) sono vincolate<br />

entrambe (funzione delle parentesi).<br />

(12) Variabili libere e vincolate in una formula<br />

Una variabile v è vincolata in una formula α se tutte le sue<br />

occorrenze sono vincolate in α; altrimenti è libera in α.<br />

Finalmente possiamo definire la classe degli enunciati:<br />

(13) Definizione<br />

Gli enunciati sono le formule prive di variabili libere.<br />

6


Semantica di L 2<br />

Abbiamo visto che la presenza delle variabili e dei<br />

quantificatori rende impossibile dare una definizione induttiva<br />

diretta della classe degli enunciati di L 2 ; per lo stesso motivo<br />

è impossibile dare anche una definizione induttiva diretta della<br />

classe degli enunciati veri di L 2 . Se guardiamo le clausole<br />

induttive della definizione di enunciato vero in L 1 , vediamo che<br />

fanno sempre riferimento alla verità degli enunciati componenti;<br />

ma dato che un enunciato quantificato come ∀xP(x) ha solo una<br />

parte, P(x), che non è a sua volta un enunciato ma una formula,<br />

non sarà possibile definire la sua verità in modo analogo.<br />

Tuttavia, è possibile procedere in modo analogo a quello<br />

adottato a livello sintattico: come a livello sintattico abbiamo<br />

dato prima una definizione induttiva diretta della classe delle<br />

formule, e poi abbiamo isolato, in essa, la sottoclasse degli<br />

enunciati mediante una proprietà caratteristica, così a livello<br />

semantico diamo prima una definizione induttiva diretta della<br />

classe delle formule che sono soddisfatte da una assegnazione, e<br />

poi isoliamo, in essa, la sottoclasse degli enunciati veri<br />

mediante una proprietà caratteristica.<br />

Definizione induttiva della classe delle formule soddisfatte da<br />

una assegnazione.<br />

Come nel caso di L 1 , faremo riferimento a un dominio D e a una<br />

funzione di denotazione ⟦⟧. Ma adesso abbiamo parlato anche di<br />

assegnazioni; che cosa sono, e perché dobbiamo far riferimento ad<br />

esse?<br />

Assegnazioni<br />

Consideriamo la formula aperta P(x): è chiaro che non ha senso<br />

chiedersi se è vera o falsa, perché la variabile x non denota un<br />

oggetto fisso ma ha una denotazione, appunto, variabile. Qualcosa<br />

di analogo succede in italiano con l’espressione “lui è biondo”:<br />

non ha senso chiedersi se è vera o falsa, perché “lui” ha una<br />

denotazione variabile; è solo quando assegniamo una denotazione a<br />

“lui” con un gesto ostensivo che possiamo chiederci se la persona<br />

indicata è bionda o meno; con un giro di parole equivalente,<br />

potremo chiederci se “lui è biondo” è soddisfatto o meno<br />

dall’assegnazione di quella persona a “lui”.<br />

7


Nel caso delle variabili di un linguaggio formale come L 2 non<br />

possiamo evidentemente assegnare loro valori mediante gesti<br />

ostensivi; lo facciamo mediante assegnazioni, che sono funzioni<br />

aventi per dominio l’insieme delle variabili di L 2 e come<br />

codominio l’insieme D degli individui (nel nostro caso, l’insieme<br />

dei numeri naturali).<br />

Esempi di assegnazioni:<br />

a 1 :{,,,,,...}<br />

a 2 :{,,,,,...}<br />

Un modo equivalente, ma più comodo, di darle:<br />

x 1 x 2 x 3 x 4 x 5 x 6 x 7 x 8 x 9 .........<br />

a 1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 .........<br />

a 2 3 8 21 0 14 5 6 7 44 .........<br />

Denotazione di un termine relativamente a un’assegnazione.<br />

Come ho detto, la funzione di denotazione ⟦⟧ in L 2 è uguale a<br />

quella in L 1 per quanto riguarda le costanti non logiche. Ma tra<br />

i termini di L 2 ci sono anche le variabili: che cosa denoteranno?<br />

Evidentemente una variabile non denota in senso assoluto, ma solo<br />

relativamente ad assegnazioni; e ovviamente denota, relativamente<br />

a un’assegnazione, appunto l’individuo che quell’assegnazione le<br />

assegna. Dunque, estendiamo la funzione di denotazione ⟦⟧ a una<br />

funzione ⟦⟧ a di denotazione relativamente ad una assegnazione a,<br />

nel modo seguente:<br />

(14) ⟦⟧ a ha come dominio TM e codominio D, ed è tale che, per ogni<br />

τ∈TM,<br />

⟦τ⟧ a = ⟦τ⟧ se τ ∈ CI<br />

= a(τ) se τ ∈ VI.<br />

Soddisfacimento<br />

Adesso possiamo definire induttivamente la classe delle formule<br />

di L 2 soddisfatte da una arbitraria assegnazione a, o<br />

equivalentemente la relazione di soddisfacimento tra assegnazioni<br />

e formule di L 2 . La definizione ha alcuni aspetti non facili da<br />

capire; li spiegherò dopo averla presentata.<br />

(15) Definizione.<br />

8


Clausole di base:<br />

1) Se α è una costante predicativa a 1 argomento, β un termine, e<br />

a un’assegnazione, a soddisfa la formula α(β) in L 1 (in simboli<br />

⊨a L1 α(β), o più rapidamente ⊨aα(β)) sse ⟦β⟧ a ∈⟦α⟧ a ;<br />

2) ⊨aα(β,γ))) sse ∈⟦α⟧ a<br />

Clausole induttive:<br />

3) ⊨a¬α sse non ⊨aα;<br />

4) ⊨aα∧β sse ⊨aα e ⊨aβ;<br />

5) ⊨aα∨β sse ⊨aα o ⊨aβ;<br />

6) ⊨aα→β sse non ⊨aα o ⊨aβ;<br />

7) ⊨a∀vα sse, per ogni a’=va, ⊨a’α;<br />

8) ⊨a∃vα sse, per qualche a’=va, ⊨a’α;<br />

Clausola estremale:<br />

9) In nessun altro caso a soddisfa una formula.<br />

Le clausole che richiedono una spiegazione sono quelle relative<br />

ai quantificatori.<br />

Innanzitutto spieghiamo il significato di a’=va: va letto<br />

“assegnazione a’ che è uguale in tutto all’assegnazione a tranne,<br />

eventualmente, per il valore assegnato a v”. Per esempio,<br />

consideriamo le assegnazioni seguenti:<br />

(16) x 1 x 2 x 3 x 4 x 5 x 6 x 7 x 8 x 9 .........<br />

a 1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 .........<br />

a 2 1 1 2 3 4 5 6 7 8 .........<br />

a 3 0 1 2 3 72 5 6 7 8 .........<br />

Vale che a 1 =x1 a 2 , mentre non vale che a 1 =x5 a 2 ;<br />

vale che a 1 =x5 a 3 , mentre non vale che a 1 =x1 a 3 .<br />

Si osservi anche che, per ogni assegnazione a e ogni<br />

variabile v, vale che a=va (la relazione “=v” è riflessiva);<br />

questo a causa della presenza dell’”eventualmente” nella<br />

definizione della relazione “=v”: non è escluso il caso che a e<br />

a’ siano uguali in tutto e per tutto, e dunque siano la stessa<br />

assegnazione.<br />

Consideriamo adesso la clausola 8) e cerchiamo di capire che<br />

cosa significa (per 7) la spiegazione sarà analoga). Il modo<br />

migliore di arrivarci consiste nel prendere in considerazione una<br />

formula specifica, per esempio ∃x 1 M(x 1 ,x 2 ); applicando ad essa la<br />

clausola 8) otteniamo<br />

9


(17) ⊨a∃x 1 M(x 1 ,x 2 ) sse, per qualche a’=x1 a, ⊨a’M(x 1 ,x 2 ):<br />

perché una condizione così astrusa?<br />

Osserviamo in primo luogo che la clausola definisce le condizioni<br />

di soddisfacimento della formula ∃x 1 M(x 1 ,x 2 ) facendo riferimento<br />

(nella condizione a destra del “sse”) alle condizioni di<br />

soddisfacimento della sua sottoformula M(x 1 ,x 2 ); questa è una<br />

caratteristica che ha in comune con tutte le altre clausole<br />

induttive, e che non potrebbe non avere: ogni definizione<br />

induttiva di un insieme è basata sull’idea di generare elementi<br />

‘più complessi’ dell’insieme a partire da elementi ‘più semplici’<br />

mediante certe operazioni.<br />

Ma perché – ci si potrebbe chiedere - fare riferimento ad a’ e<br />

non ad a stessa? Più esplicitamente, perché non sostituire (17)<br />

con la più semplice<br />

(18) ⊨a∃x 1 M(x 1 ,x 2 ) sse ⊨aM(x 1 ,x 2 )?<br />

Cominciamo con il chiederci qual è il significato intuitivo della<br />

nostra formula ∃x 1 M(x 1 ,x 2 ). Potremmo tradurla così in italiano:<br />

“C’è un numero che è minore di x 2 ”; essendoci la variabile libera<br />

x 2 , non è un enunciato, e in effetti non ha senso chiedersi se è<br />

vera o falsa: ha senso solo chiedersi quali assegnazioni (di<br />

numeri alla variabile libera x 2 ) la soddisfano. Le risposte, a<br />

questo punto, sono chiare: una assegnazione che assegna 5 a x 2 la<br />

soddisfa (perché ci sono numeri naturali minori di 5),<br />

indipendentemente dal valore che quell’assegnazione assegna a x 1 ;<br />

mentre una che assegna 0 a x 2 non la soddisfa (perché non ci sono<br />

numeri naturali minori di 0), indipendentemente dal valore che<br />

quell’assegnazione assegna a x 1 . Vediamo un esempio:<br />

(19) x 1 x 2 x 3 x 4 x 5 x 6 x 7 x 8 x 9 .........<br />

a 1 89 5 2 3 4 5 6 7 8 .........<br />

Se stiamo aderenti alla lettura intuitiva che abbiamo dato della<br />

nostra formula, è chiaro che a 1 la soddisfa: è vero che 89, il<br />

valore assegnato a x 1 , è maggiore di 5; ma sappiamo che il valore<br />

assegnato a x 1 non è affatto pertinente: la formula è soddisfatta<br />

se c’è un numero minore di 5, e di numeri minori di 5 ce ne sono.<br />

Vediamo adesso qual è il significato intuitivo di M(x 1 ,x 2 );<br />

la traduzione ovvia è “x 1 è minore di x 2 ”. Anche in questo caso<br />

10


non ha senso chiedersi se la formula è vera o falsa, ma solo<br />

chiedersi quali assegnazioni la soddisfano; in questo caso, però,<br />

il fatto che un’assegnazione soddisfi la formula dipenderà sia<br />

dal valore assegnato a x 1 sia da quello assegnato a x 2 . Dunque, a 1<br />

non soddisfa la formula, perché 89, il valore assegnato a x 1 , non<br />

è minore di 5, il valore assegnato a x 2 .<br />

Poiché la stessa assegnazione a 1 soddisfa intuitivamente<br />

∃x 1 M(x 1 ,x 2 ) e non soddisfa M(x 1 ,x 2 ), (18) non può essere una<br />

clausola adeguata. (Del resto, è chiaro che, se fosse adeguata,<br />

il significato di ∃x 1 sarebbe nullo.)<br />

A questo punto, avendo riflettuto più da vicino sul<br />

significato intuitivo della formula, qualcuno potrebbe proporre<br />

la clausola seguente, anch’essa più semplice di (17):<br />

(20) ⊨a∃xM(x,y) sse per qualche n, ⊨aM(x,y).<br />

Ma (20) non ha un senso diverso da (18): il quantificatore “per<br />

qualche n” non ha alcun effetto, dato che non compare<br />

nell’espressione alla sua destra (è vuoto). E’ una situazione<br />

analoga a quella della frase “C’è un x tale che Giovanni corre”:<br />

non vuol dire altro che Giovanni corre. Naturalmente, nella<br />

proposta di (20) c’è un’intenzione corretta: di far riferimento a<br />

qualche elemento del dominio; ma non è possibile farlo nel modo<br />

diretto di (20). Come procedere?<br />

Torniamo a considerare il significato intuitivo della nostra<br />

formula. Abbiamo visto che l’assegnazione a 1 la soddisfa, e che<br />

le ragioni per cui la soddisfa sono due: (i) che a 1 assegna 5<br />

alla variabile libera x 2 , e (ii) che esiste un numero minore di<br />

5. L’osservazione chiave è che queste due condizioni sono<br />

soddisfatte se e solo se c’è un’assegnazione a’ che assegna 5<br />

alla variabile libera x 2 , e che soddisfa M(x 1 ,x 2 ); infatti,<br />

consideriamo le assegnazioni che assegnano 5 a x 2 e assegnano un<br />

numero arbitrario a x 1 : se c’è un numero minore di 5, allora<br />

esiste una di queste assegnazioni che soddisfa M(x 1 ,x 2 ) (per<br />

esempio quella che assegna 3 a x 1 ); e se non c’è un numero minore<br />

di 5, [è ovvio che c’è, ma stiamo assumendo di non saperlo]<br />

allora non esiste una di queste assegnazioni che soddisfa<br />

M(x 1 ,x 2 ): per soddisfare la formula dovrebbe assegnare a x 1 un<br />

numero minore di 5, che per ipotesi non esiste. Dunque, le<br />

ragioni per cui a 1 soddisfa la formula possono essere riassunte<br />

nella seguente: c’è un’assegnazione a’ che è uguale ad a 1<br />

riguardo alla variabile libera x 2 (cioè assegna a x 2 lo stesso<br />

valore assegnatole da a 1 ), e che soddisfa M(x 1 ,x 2 ).<br />

11


Adesso dobbiamo soltanto generalizzare l’osservazione<br />

chiave, in modo da formulare una condizione di soddisfacimento<br />

applicabile a qualunque formula quantificata esistenzialmente,<br />

cioè della forma ∃vα. Nel caso della nostra formula, in cui la<br />

variabile libera era la sola x2 , ci bastava richiedere che a’<br />

assegnasse a x2 lo stesso valore che le assegnava a; ma in<br />

generale una formula può avere un numero qualunque di variabili<br />

libere: dunque, per garantirci che a’ assegni gli stessi valori<br />

di a a tutte le variabili libere di una formula con un numero<br />

arbitrario di variabili libere, dobbiamo richiedere che assegni<br />

gli stessi valori di a a tutte le variabili del linguaggio, cioè<br />

che a’=a.<br />

Tuttavia, vogliamo anche che a’ soddisfi α; come facciamo a<br />

garantirlo? Ritorniamo all’osservazione chiave relativa al nostro<br />

esempio: ho detto che se c’è un numero minore di 5, allora tra le<br />

assegnazioni che assegnano 5 a x2 c’è sicuramente almeno<br />

un’assegnazione a’ che soddisfa M(x1 ,x2 ), per esempio quella che<br />

assegna 3 a x1 ; perché posso asserire che tale assegnazione<br />

esiste? Perché ho implicitamente assunto che la classe delle<br />

assegnazioni che assegnano 5 a x2 contenga tutte quelle che<br />

assegnano alla variabile quantificata x1 un oggetto del dominio.<br />

Dunque, per ottenere che a’ soddisfi α basta permettere che alla<br />

variabile quantificata x1 sia assegnato un qualunque oggetto del<br />

dominio; e per ottenere questo basta escludere x1 dalla<br />

condizione a’=a, e dunque richiedere che a’=x1a; nel caso<br />

generale, quando indichiamo con “v” la variabile quantificata,<br />

richiederemo che a’=va. Siamo finalmente arrivati alla clausola<br />

8).<br />

Vediamo più concretamente la come funziona 8). Riprendiamo<br />

in considerazione la nostra formula ∃x1M(x1 ,x2 ), e supponiamo di<br />

voler stabilire se è soddisfatta dall’assegnazione a1 qui sotto:<br />

(21) x 1 x 2 x 3 x 4 x 5 x 6 x 7 x 8 x 9 .........<br />

a 1 89 5 2 3 4 5 6 7 8 .........<br />

a 2 1 5 2 3 4 5 6 7 8 .........<br />

a 3 89 1 2 3 4 5 6 7 8 .........<br />

a 4 4 5 2 3 72 5 6 7 8 .........<br />

a 5 0 0 9 3 72 5 6 7 8 .........<br />

a 6 3 5 2 3 4 5 6 7 8 .........<br />

a 7 2 5 2 3 4 5 6 7 8 .........<br />

.<br />

.<br />

12


Per prima cosa prendiamo in considerazione la classe delle<br />

assegnazioni a’ tali che a’=x1 a 1 (la chiamerò la classe delle x 1 -<br />

varianti di a 1 ).<br />

(esercizio: quali, tra quelle elencate, appartengono alla classe?<br />

Risposta: {a 1 , a 2 , a 6 , a 7 }. Osservare: 1) a 4 non appartiene alla<br />

classe perché differisce da a 1 per il valore che assegna a x 5 ,<br />

cioè a una variabile che non compare nella formula in<br />

considerazione (questa è una ‘stranezza’ della definizione, alla<br />

quale si potrebbe rimediare); 2) La classe è ovviamente molto più<br />

grande, come si capisce dai puntini ...)<br />

Se questa classe contiene una a’ che soddisfa M(x 1 ,x 2 ), allora a 1<br />

soddisfa ∃x 1 M(x 1 ,x 2 ), altrimenti non la soddisfa; è facile vedere<br />

che la classe ne contiene, in realtà, più d’una: a 2 , a 6 , a 7 , più<br />

altre non comprese nel grafico. Dunque, a 1 soddisfa ∃x 1 M(x 1 ,x 2 ).<br />

Viceversa, a 5 non la soddisfa. Perché?<br />

Verità<br />

Abbiamo definito induttivamente la classe delle formule<br />

soddisfatte da una assegnazione. Quello che ci rimane da fare è<br />

isolare, in tale classe, la sottoclasse degli enunciati veri<br />

mediante una proprietà caratteristica. Quale proprietà?<br />

Cominciamo con il fare un’osservazione, a prima vista<br />

sorprendente:<br />

(22) Osservazione:<br />

Un enunciato è soddisfatto o da tutte le assegnazioni o da<br />

nessuna.<br />

Come possiamo convincerci di questo fatto? Torniamo a<br />

considerare la nostra formula ∃x 1 M(x 1 ,x 2 ); abbiamo visto che<br />

l’assegnazione a 1 la soddisfa. Adesso chiediamoci: da che cosa<br />

dipende il fatto che la soddisfi? Evidentemente da due fatti: (i)<br />

il fatto che a 1 assegna 5 alla variabile libera x 2 , e (ii) il<br />

fatto che esiste una x 1 -variante di a 1 che soddisfa M(x 1 ,x 2 ). Il<br />

fatto (ii), come abbiamo visto, sussiste se e solo se sussiste il<br />

fatto (iii): che esiste (almeno) un numero minore di 5.<br />

Quest’ultimo fatto, chiaramente, non dipende da alcuna<br />

caratteristica dell’assegnazione a 1 (è un fatto oggettivo del<br />

mondo dei numeri), e dunque anche il fatto (ii) non dipende da<br />

alcuna caratteristica dell’assegnazione a 1 . Viceversa, il fatto<br />

(i) costituisce ovviamente una caratteristica distintiva<br />

dell’assegnazione a 1 . Riassumendo: il fatto che a 1 soddisfi la<br />

13


formula ∃x 1 M(x 1 ,x 2 ) dipende dal valore assegnato da a 1 alla<br />

variabile libera, mentre non dipende dal valore assegnato da a 1<br />

alla variabile vincolata. Questa osservazione vale, in realtà,<br />

per qualunque formula e qualunque assegnazione: il fatto che<br />

un’assegnazione a soddisfi una formula α dipende dal valore<br />

assegnato da a alle variabili libere di α, mentre non dipende dal<br />

valore assegnato da a alle variabili vincolate.<br />

Consideriamo adesso un enunciato α, cioè una formula priva<br />

di variabili libere: da ciò che abbiamo appena detto segue che il<br />

fatto che un’arbitraria assegnazione a soddisfi α non dipende dal<br />

valore assegnato da a alle sue variabili (bensì – possiamo<br />

aggiungere – solo da fatti oggettivi del mondo dei numeri). Se<br />

adesso consideriamo una qualunque altra assegnazione a’, potremo<br />

ripetere la stessa osservazione: il fatto che a’ soddisfi α non<br />

dipende dal valore assegnato da a’ alle sue variabili. Di<br />

conseguenza, a soddisfa α se e solo se a’ soddisfa α; dunque, o<br />

tutte le assegnazioni soddisfano α o nessuna lo soddisfa.<br />

A questo punto è chiaro qual è la proprietà che ci permette<br />

di isolare la classe degli enunciati veri:<br />

(23) Definizione:<br />

Un enunciato α è vero sse α è soddisfatto da tutte le<br />

assegnazioni. In simboli: ⊨α sse, per ogni assegnazione a, ⊨aα.<br />

A questo punto dovremmo dimostrare che la definizione data è<br />

materialmente adeguata. Lasciamo in esercizio al lettore di<br />

verificarlo nel caso di qualche formula, applicando il metodo<br />

usato nel caso di L 1 .<br />

Verità in un modello<br />

Riprendiamo in considerazione la nozione tarskiana di modello per<br />

un linguaggio del I ordine (con variabili individuali e<br />

quantificatori): una coppia M =, dove D è un insieme non<br />

vuoto e ⟦⟧ una funzione (di interpretazione) tale che, se c è una<br />

costante individuale, ⟦c⟧∈D, e se P è una costante predicativa<br />

⟦P⟧⊆D n (sto assumendo che il linguaggio contenga costanti<br />

predicative n-arie).<br />

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