marmo ed evergetismo negli edifici teatrali d'italia, gallia e ... - Dialnet
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MARMO ED EVERGETISMO NEGLI EDIFICI TEATRALI D’ITALIA, GALLIA E HISPANIA Patrizio Pensabene Università di Roma “La Sapienza” RIASSUNTO: Con il presente lavoro viene indagato il ruolo dei teatri di Pompeo, di Marcello e di Balbo a Roma nel determinare non solo la struttura architettonica, ma anche l’uso dei marmi in tutta la successiva architettura teatrale di età imperiale. Ricostruire gli elevati architettonici in marmo e in particolare la qualità e il numero delle colonne, riveste notevole importanza per determinare il tipo di committenza che è intervenuta nella realizzazione dei teatri. A tal fi ne vengono indagati alcuni teatri dell’Italia (Volterra, Ostia, Pompei), della Gallia (Arles) e dell’Hispania (Cordoba, Cartagena, Italica) di cui si ricostruisce l’elevato architettonico della scena, mettondolo in relazione con i possibili committenti noti dalle iscrizioni o ipotizzabili in base al contesto storico. Anche da questi pochi esempi risulta come il fenomeno dell’uso del marmo investa in modo grandioso anche l’architettura teatrale italiana e provinciale: il suo studio deve perciò essere affrontato con strumenti nuovi, basati sulla cultura materiale, in modo da ottenere risultati utili alla ricostruzione storica. PAROLE CHIAVE: Impero romano, Architettura teatrale, Marmo, Committenza. MARBLE AND EVERGETISM IN THE THEATRICAL BUILDINGS OF ITALY, GALLIA AND ROMAN SPAIN ABSTRACT: With this article we want to research the role of the theatres of Pompeus, Marcellus and Balbus in the city of Rome in establishing not only the architectonic structure, but also the use of marble in theatral building during all the imperial age. To reconstruct the architectonical elevation in marble, including the quality and the number of columns, cover remarkable importance in order to investigate the fi nancing and its economical possibilities. With this aim we focused some thatres of Italy (Volterra, Ostia, Pompei), Gallia (Arles) and Hispania (Cordoba, Cartagena, Italica), of wich it has been possible to recontruct the columnar elevation of the scene, and we put them in relation with the fi nanciers if known by inscriptions or assumable by the historical context. Also from these few examples it is clear how the use of marble regarded in a huge way the italian and provincial theatral architecture: therefore we must affront its study with new tools based on material culture, in order to get usefull informations for the historical reconstruction. KEYWORDS: Roman Empire, Theatral Architecture, Marble, Financing. 1. INTRODUZIONE E’ noto come gli edifi ci teatrali proprio in età augustea registrino un’improvvisa e capillare diffusione anche nelle province occidentali non ellenizzate e in Italia, dove la maggior parte dei teatri fu costruita negli 80 anni successivi al secondo triunvirato. Prima di Augusto e fuori Roma si conoscono teatri stabili solo nelle città greche, in area campana e campano-sannitica e in Sicilia, oltre agli esempi laziali di Tivoli, Praeneste e Gabi strettamente connessi a santuari. E’ stato più volte osservato come rifl esso della nuova situazione sia la codifi cazione di Vitruvio nel- Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
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MARMO ED EVERGETISMO NEGLI EDIFICI TEATRALI<br />
D’ITALIA, GALLIA E HISPANIA<br />
Patrizio Pensabene<br />
Università di Roma “La Sapienza”<br />
RIASSUNTO: Con il presente lavoro viene indagato il ruolo dei teatri di Pompeo, di Marcello e di Balbo a<br />
Roma nel determinare non solo la struttura architettonica, ma anche l’uso dei marmi in tutta la successiva architettura<br />
teatrale di età imperiale. Ricostruire gli elevati architettonici in <strong>marmo</strong> e in particolare la qualità e il numero<br />
delle colonne, riveste notevole importanza per determinare il tipo di committenza che è intervenuta nella<br />
realizzazione dei teatri. A tal fi ne vengono indagati alcuni teatri dell’Italia (Volterra, Ostia, Pompei), della Gallia<br />
(Arles) e dell’Hispania (Cordoba, Cartagena, Italica) di cui si ricostruisce l’elevato architettonico della scena,<br />
mettondolo in relazione con i possibili committenti noti dalle iscrizioni o ipotizzabili in base al contesto storico.<br />
Anche da questi pochi esempi risulta come il fenomeno dell’uso del <strong>marmo</strong> investa in modo grandioso anche<br />
l’architettura teatrale italiana e provinciale: il suo studio deve perciò essere affrontato con strumenti nuovi, basati<br />
sulla cultura materiale, in modo da ottenere risultati utili alla ricostruzione storica.<br />
PAROLE CHIAVE: Impero romano, Architettura teatrale, Marmo, Committenza.<br />
MARBLE AND EVERGETISM IN THE THEATRICAL BUILDINGS OF ITALY, GALLIA AND<br />
ROMAN SPAIN<br />
ABSTRACT: With this article we want to research the role of the theatres of Pompeus, Marcellus and Balbus in<br />
the city of Rome in establishing not only the architectonic structure, but also the use of marble in theatral building<br />
during all the imperial age. To reconstruct the architectonical elevation in marble, including the quality and<br />
the number of columns, cover remarkable importance in order to investigate the fi nancing and its economical<br />
possibilities. With this aim we focus<strong>ed</strong> some thatres of Italy (Volterra, Ostia, Pompei), Gallia (Arles) and Hispania<br />
(Cordoba, Cartagena, Italica), of wich it has been possible to recontruct the columnar elevation of the scene,<br />
and we put them in relation with the fi nanciers if known by inscriptions or assumable by the historical context.<br />
Also from these few examples it is clear how the use of marble regard<strong>ed</strong> in a huge way the italian and provincial<br />
theatral architecture: therefore we must affront its study with new tools bas<strong>ed</strong> on material culture, in order to get<br />
usefull informations for the historical reconstruction.<br />
KEYWORDS: Roman Empire, Theatral Architecture, Marble, Financing.<br />
1. INTRODUZIONE<br />
E’ noto come gli <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> proprio in età augustea registrino un’improvvisa e capillare<br />
diffusione anche nelle province occidentali non ellenizzate e in Italia, dove la maggior parte<br />
dei teatri fu costruita <strong>negli</strong> 80 anni successivi al secondo triunvirato. Prima di Augusto e fuori<br />
Roma si conoscono teatri stabili solo nelle città greche, in area campana e campano-sannitica e<br />
in Sicilia, oltre agli esempi laziali di Tivoli, Praeneste e Gabi strettamente connessi a santuari. E’<br />
stato più volte osservato come rifl esso della nuova situazione sia la codifi cazione di Vitruvio nel-<br />
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8 Patrizio Pensabene<br />
la cui lista delle costruzioni civili in grado di<br />
caratterizzare la vita urbana si hanno il foro e,<br />
subito dopo, il teatro 1 . Il teatro diviene, dunque,<br />
uno degli strumenti per eccellenza della<br />
politica augustea di urbanizzazione e perciò<br />
viene investito di signifi cati propagandistici e<br />
celebrativi che si rifl ettono sul suo apparato<br />
architettonico e scultoreo.<br />
In età augustea e primo giulio-caudia vengono<br />
costruiti in Italia, in Gallia e in Hispania<br />
più di trenta teatri, tutti dotati di due ordini<br />
di colonne, in alcuni casi di tre (Arles, Orange,<br />
Verona), di arr<strong>ed</strong>i scultorei, come i cicli<br />
di ritratti della famiglia imperiale di grandi dimensioni<br />
(il culto imperiale si avvia a divenire<br />
anche nei teatri una componente importante<br />
delle funzioni ad essi affi date), le statue-ritratto<br />
dei cittadini importanti, spesso donatori di<br />
parti dell’<strong>ed</strong>ifi cio, e le statue ideali e i fregi<br />
scolpiti relative alle divinità connesse agli spettacoli<br />
<strong>teatrali</strong>, ai culti delle città e di nuovo al<br />
culto imperiale: si deve immaginare, quindi,<br />
uno sforzo organizzativo immane, che va<br />
dall’acquisizione del terreno, all’approvvigionamento<br />
dei materiali e al reperimento delle<br />
maestranze specializzate nell’esecuzione delle<br />
varie componenti. Se i materiali <strong>ed</strong>ilizi per la<br />
costruzione delle strutture portanti, come la<br />
cavea e il nucleo dell’<strong>ed</strong>ifi cio scenico, potevano<br />
essere reperiti in base alle risorse locali,<br />
tutto ciò che riguardava il legname, le pietre<br />
e i marmi da utilizzare per la decorazione architettonica<br />
e scultorea, molto più frequentemente<br />
doveva essere trasportato da depositi<br />
distanti dai luoghi d’impiego. La distanza diveniva<br />
grande quando i marmi utilizzati provenivano<br />
non da cave regionali o provinciali,<br />
bensì da cave poste nell’Italia settentrionale e<br />
in Oriente: in questi casi le motivazioni di tali<br />
scelte sono più spesse ideologiche e di prestigio,<br />
che non dovute alla mancanza di risorse<br />
locali o comunque provinciali.<br />
Le strette relazioni tra i programmi decorativi<br />
degli <strong>ed</strong>ifi ci pubblici, <strong>ed</strong> i messaggi politico-propagandistici<br />
a cui essi erano destinati<br />
coinvolgono, dunque, anche le modalità di<br />
esecuzione del progetto architettonico, i materiali,<br />
la qualità di esecuzione, origine e formazione<br />
delle maestranze incaricate dei lavori.<br />
E’ solo attraverso la ricostruzione di tali relazioni<br />
che diviene possibile risalire alle classi dirigenti<br />
che delle realizzazioni dell’architettura<br />
pubblica si fecero promotrici e anche alle risorse<br />
economiche delle città e delle loro élites:<br />
quindi, tutta una serie di dati precipuamente<br />
archeologici derivanti dall’analisi delle strutture<br />
può essere utilizzata, insieme alle più rare<br />
fonti storico-epigrafi che, per meglio defi nire<br />
la committenza delle costruzioni pubbliche e<br />
le loro motivazioni.<br />
In questa s<strong>ed</strong>e c’interessa, inoltre, il problema<br />
di come valutare la presenza di una<br />
massiccia quantità di marmi pregiati, quali il<br />
pavonazzetto, il giallo antico, l’africano e il<br />
cipollino nei fusti di colonne in molti degli<br />
<strong>ed</strong>ifi ci di spettacolo italiani e di differenti province,<br />
sia di committenza del tutto pubblica,<br />
come di nuovo il teatro di Ostia, sia privata o<br />
mista. Vi sono alcune regioni, come la Campania,<br />
nei cui teatri a questi marmi si aggiunge<br />
anche l’uso di fusti di “granito del Foro”,<br />
normalmente riservati soltanto all’architettura<br />
pubblica di Roma (poche sono le eccezioni 2 ) e<br />
fuori dalla distribuzione di mercato 3 . Abbiamo<br />
visto in altra s<strong>ed</strong>e come l’evidenza epigrafi ca<br />
<strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci della Campania abbia permesso di<br />
chiamare in causa l’<strong>evergetismo</strong> imperiale per<br />
tutto o anche per solo una parte dell’<strong>ed</strong>ifi cio<br />
1 Cf. BEJOR, G. (1979): 124-138.<br />
2 Motivate da particolari circostanze economiche, come ad Astigi nella Baetica, dove s’incontrano grandi colonne di<br />
granito del Foro, di cui non si conosce il contesto originario: PENSABENE, P. (2006): 121.<br />
3 PEACOCK, D., MAXFIELD, V. (1997): 334.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 9<br />
(v. per quest’ultima eventualità l’anfi teatro di<br />
Capua) e in quest’ambito è risultato utile indagare<br />
quali fossero le offi cine <strong>marmo</strong>rarie che<br />
intervenivano nella scultura delle trabeazioni<br />
e dei capitelli e valutare le differenze o meno<br />
emergenti dal confronto con la decorazione<br />
architettonica di <strong>ed</strong>ifi ci, invece, sicuramente di<br />
committenza locale (anfi teatro di Pozzuoli).<br />
Ma abbiamo detto come il caso della Campania<br />
sia particolare per la sua posizione privilegiata,<br />
rispetto al resto dell’Italia, proprio per<br />
quanto attiene ai diretti interventi imperiali<br />
Fig. 1. Roma, Teatro di Pompeo (da F. Sear, 2006)<br />
nella costruzione e nel restauro del patrimonio<br />
monumentale, anzi l’<strong>evergetismo</strong> imperiale<br />
si esplica in particolar modo proprio nella<br />
costruzione o nel restauro di teatri <strong>ed</strong> anfi teatri.<br />
Nella maggioranza degli altri teatri italiani<br />
e delle province le informazioni epigrafi che e<br />
i contesti storici e sociali non permettono di<br />
ricostruire un’attività evergetica imperiale rilevante,<br />
ma il rinvio è quasi sempre alle élites<br />
locali che seguono tuttavia indirizzi comuni,<br />
pur nelle varianti delle soluzioni architettoniche<br />
scelte di volta in volta a seconda delle<br />
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
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10 Patrizio Pensabene<br />
varie condizioni storiche e topografi che. Uno<br />
di questi indirizzi è appunto l’uso di marmi<br />
bianchi e colorati per l’<strong>ed</strong>ifi cio scenico e in<br />
questo senso è importante ricercare i modelli<br />
su sui si basa quest’uso: essi sono certamente<br />
da individuare a Roma nel Teatro di Pompeo<br />
e in quelli di Marcello e di Balbo.<br />
2. I TEATRI DI ROMA COME<br />
PUNTI DI RIFERIMENTO PER<br />
L’ARCHITETTURA TEATRALE<br />
NELL’IMPERO ROMANO<br />
La costruzione a Roma del Teatro di<br />
Pompeo (fi g.1) inaugurato nel 55 a.C. e del<br />
teatro di Marcello già in uso nel 17 a.C. segnano,<br />
dunque, una svolta nell’architettura<br />
teatrale del mondo romano, non tanto e non<br />
solo per la defi nitiva codifi cazione del tipo<br />
architettonico del teatro con la cavea interamente<br />
sostruita, la facciata esterna conforme<br />
allo schema del Theatermotiv e le parodoi che<br />
collegano l’<strong>ed</strong>ifi cio scenico con la cavea, che<br />
già aveva prec<strong>ed</strong>enti nei teatri campani di II<br />
e I sec.a.C.: la svolta riguarda invece la grandiosità<br />
dell’impianto, la ricchezza dei materiali<br />
impiegati e il lusso dispiegato nel frontescena 4 .<br />
In particolare viene defi nitivamente cristallizzato<br />
l’uso tardo repubblicano di elevare <strong>ed</strong>ifi ci<br />
scenici con ampio uso di colonne su due se<br />
non tre ordini architettonici, dove sono scelti i<br />
marmi pregiati che la tradizione architettonica<br />
delle monarchie ellenistiche aveva lasciato in<br />
er<strong>ed</strong>ità alla classe dirigente romana di epoca<br />
tardo repubblicana. Dei frontescena dei teatri<br />
di Pompeo e di Marcello restano poche tracce,<br />
ma soprattutto relative alla fase di ricostruzione<br />
severiana. Abbiamo tuttavia informazione<br />
dalle pitture parietali di II stile e dalle fonti<br />
di alcuni teatri provvisori eretti dagli <strong>ed</strong>ili nel<br />
4 Cf. GROS, P. (1987).<br />
5 PENSABENE, P. (1997): 185.<br />
6 PLIN., NH 36. 4-8.<br />
corso del I sec.a.C. che già di per sé permettono<br />
d’immaginare la qualità e la ricchezza<br />
dei marmi della scena dei primi teatri stabili<br />
di Roma, perchè questi sicuramente presero<br />
spunto proprio dalle facciate sceniche utilizzate<br />
nei teatri provvisori tardo-repubblicani e<br />
nelle case private degli evergeti che le avevano<br />
fi nanziate 5 , offrendo dunque stabilmente ai<br />
cittadini ciò che prima era oggetto di un <strong>evergetismo</strong><br />
solo temporaneo<br />
L’impiego di colonne monolitiche di<br />
<strong>marmo</strong> <strong>negli</strong> atri delle case aveva acquistato<br />
nel periodo tardo-repubblicano un signifi cato<br />
particolare, essendo collegato alla volontà di<br />
aprire la parte pubblica della casa alle numerose<br />
clientele che costituivano un fondamentale<br />
strumento di lotta politica: così le colonne di<br />
<strong>marmo</strong> imezio collocate nell’atrio della casa<br />
di Crasso (chiamato per questo “Venere Palatina”),<br />
o le colonne di <strong>marmo</strong> luculleo fatte<br />
venire dalle cave di Teos, in Asia Minore,<br />
dall’<strong>ed</strong>ile del 58 a.C., M. Emilio Scauro, ma<br />
inizialmente utilizzate nella scena del teatro<br />
provvisorio per i ludi da lui fi nanziati: da qui<br />
furono poi dirottate nell’atrio della propria<br />
casa sul Palatino 6 . Si tratta di una proc<strong>ed</strong>ura<br />
che forse non era un caso unico tra i ricchi<br />
<strong>ed</strong>ili del tempo, ma che in Scauro arrivò a livelli<br />
di fasto mai raggiunti prima: il theatrum<br />
Scauri, infatti, pur non essendo stabile, avrebbe<br />
presentato la scena a tre ordini con ben 360<br />
colonne (forse si tratta di 36), di cui quelle del<br />
primo ordine alte 38 pi<strong>ed</strong>i, e con 3000 statue<br />
di bronzo, in tal modo costituendo, secondo<br />
Plinio, che ne disapprova il lusso eccessivo, un<br />
opus maximum omnium quae unquam fuere<br />
humana manu facta (Plin., NH 36.114). Ma<br />
la storia delle colonne del teatro di Scauro<br />
non fi nisce qui perché da Asconio P<strong>ed</strong>iano<br />
(Pro Scauro 45) sappiamo che Augusto trasfe-
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 11<br />
rì nella scena del teatro di Marcello quelle in<br />
<strong>marmo</strong> luculleo della casa di Scauro (Plin. NH<br />
36.2,6), provenienti, dunque, dal suo teatro 7 .<br />
Che il dispiego del lusso fosse una consuetudine,<br />
nonostante la provvisorietà degli<br />
impianti <strong>teatrali</strong> repubblicani, lo confermano<br />
altre iniziative, come l’impiego di materiali<br />
preziosi per decorare il muro della facciata<br />
di scene in legno (Val.Max., II 34) nei teatri<br />
provvisori di C. Antonius (argento), di un<br />
Petrius (oro) e di Q. Catulo (avorio). Inoltre<br />
C. Scribonio Curione, per i funerali del padre,<br />
fece realizzare in legno nel 53 a.C. due teatri<br />
vicini che poggiavano su perni e su ruote in<br />
modo da poterli unire per formare un grande<br />
anfi teatro (Plin., NH 36.116).<br />
In ogni caso, i teatri di Pompeo (fi g. 1)<br />
e di Marcello, assieme a quello di Balbo (fi g.<br />
2), pur in pianta stabile, proseguono la tradizione<br />
tardo-repubblicana di affi dare al lusso<br />
enfatizzato dall’uso di colonne il messaggio<br />
propagandistico dei committenti: costruiti<br />
nel Campo Marzio e in uso fi no ad epoca<br />
tardo antica, furono suffi cienti alle necessità<br />
della cittadinanza durante tutto l’Impero. La<br />
loro architettura fornì i modelli o comunque i<br />
punti di riferimento per tutti gli <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong><br />
successivi: già in età augustea troviamo teatri,<br />
come a Cassino, Ferento, Arles (fi g. 3), dove<br />
vi è un ampio impiego di fusti in bardiglio di<br />
Luni, portasanta, cipollino, giallo antico e anche<br />
in alabastro, pietra questa che abbiamo già<br />
incontrato nel Teatro di Marcello e che sono<br />
citate da Plinio nel teatro di Balbo a Roma<br />
(NH 36.12,60) 8 . Anche in Campania, dove<br />
già vi era una presenza ben attestata di teatri, a<br />
partire almeno dai primi del II sec.a.C., le scene<br />
vengono quasi tutte rifatte in età augustea<br />
secondo la nuova moda e dotate, quindi di colonne<br />
in marmi d’importazione, che sostituiscono<br />
quelle in pietre locali (calcari, tufi ecc.),<br />
dove il colore era riportato sullo stucco di rivestimento:<br />
la manifestazione del lusso consiste<br />
proprio nel disporre di colonne naturalmente<br />
e non artifi cialmente colorate e di crustae in<br />
marmi colorati che di nuovo sostituiscono i<br />
rivestimenti parietali dipinti.<br />
Per comprendere, dunque, la storia dell’architettura<br />
teatrale romana è necessario<br />
ricostruire il più possibile non solo la pianta,<br />
ma anche gli elevati e i materiali utilizzati nei<br />
primi teatri stabili di Roma.<br />
Il grande teatro di Pompeo 9 (61-55 a.C.)<br />
dalle cavea di m.150 di diametro (fi g.1),<br />
già restaurato da Ottaviano nel 32 a.C., almeno<br />
a giudicare dalle Res Gestae 20 (cf.<br />
CIL VI, 9404: in schola sub teatro Aug(usto)<br />
Pompeian(o) ) aveva avuto la scena pesantamente<br />
rifatta da Tiberio dopo l’incendio del<br />
21 d.C. (Tac., Ann 3,72.4; Suet., Tib. 47.1)<br />
e i lavori proseguirono anche sotto i successori<br />
della sua dinastia. Un altro importante restauro<br />
fu quello operato da Tito dopo l’incendio<br />
del Campo Marzio dell’80 (Dio Cassius, LXVI<br />
24). La scena fu ancora rifatta da Settimio Severo,<br />
come si ricava dalla menzione epigrafi ca<br />
di un procurator operis teatri Pompeiani (CIL<br />
VI, 1031) in occasione dei Ludi Secolari dell’anno<br />
204 (CIL VIII, 1439; XIV, 154); infi ne<br />
altri due incendi, nel 247, sotto Filippo l’Arabo,<br />
e nel 282, sotto Carino, sono seguiti da un<br />
restauro sotto Diocleziano e Massimiano nel<br />
7 Le notizie delle fonti sembrano confermate dal ritrovamento proprio nell’area del Teatro Marcello di fusti di africano<br />
scanalati, poco inferiori alle misure tramandate da Plinio, e conformi alle proporzioni stabilite da Vitruvio (V, 6.6)<br />
tra altezza della colonna (base e capitello compresi) del primo ordine della scena e ¼ del diametro dell’orchestra,<br />
che, nel caso del teatro di Marcello, equivale a m 9,25 (p.r. 31 ¼); nello stesso teatro sono stati poi trovati fusti di<br />
alabastro e giallo antico: PENSABENE, P. (1994): 307.<br />
8 Ibidem: 307, n. 65.<br />
9 Su un’iscrizione relativa al teatro v. HUELSEN, Ch. (1889): 251-263; Cf. Anche CANINA, L. (1835); SOANO,<br />
G. (1919): 1-56; GROS, P. (1999): 35-38.<br />
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X<br />
12 Patrizio Pensabene<br />
Fig. 2. Roma, Teatri di Marcello e di Balbo (da F. Sear, 2006)
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 13<br />
285, che sembra abbiano aggiunto (o forse<br />
solo restaurato) altri portici detti Iovia e Herculia<br />
(Chron. a.354, p.279), mentre altri interventi<br />
sono avvenuti sotto Arcadio e Onorio<br />
(CIL VI, 1191) e su ordine di Teodorico tra il<br />
507 e il 511 (Cassiodoro, XXXIX 38; Variae,<br />
IV 51) 10 . Dell’articolazione della scena della<br />
prima fase non si hanno testimonianza, anche<br />
se si è ipotizzato che potrebbe essere stata ripresa<br />
in uno tra i più antichi teatri, quello di<br />
Cherchel, del 25- 10 a.C. circa, caratterizzato<br />
da fronte rettilinea, ma con una grande nicchia<br />
absidata al centro per la porta regia; un indizio<br />
di una scena già articolata potrebbe anche venire<br />
dal teatro tardorepubblicano di Gubbio 11 .<br />
In età severiana, come sappiamo dalla Forma<br />
Urbis che ci deve restituire la pianta del teatro<br />
del 204, il teatro presentava una grande scena<br />
a tre es<strong>ed</strong>re, una rettangolare al centro e due<br />
absidate ai lati, e alle estremità non vi erano<br />
i parasceni, ma ampie sale ipostile (basilicae):<br />
nella Forma Urbis è indicata anche la posizione<br />
delle colonne all’interno delle es<strong>ed</strong>re e intorno<br />
ai piloni che le separavano, ricostruibile<br />
per un numero di 46 fusti, che nel caso, come<br />
è quasi sicuro, presentasse due ordini, assommano<br />
a 84; a queste vanno aggiunte le colonne<br />
delle due sale ipostile, per un totale di circa 32<br />
(ripartite tra le due fi le di colonne che separano<br />
le tre navate di ciascuna sala, e la fi la di colonne<br />
addossata alla parete di fondo). Vanno poi<br />
considerate quelle del quadriportico sul retro,<br />
su cui si affacciava il muro del postscaenium con<br />
nove porte.<br />
Il numero di colonne impiegate nel teatro<br />
di Pompeo è altissimo, e, se è possibile che<br />
quello sopra indicato sia pertinente ai rifacimenti<br />
severiani della scena, tuttavia deve rifl ettere<br />
la situazione dell’impianto originario, per<br />
quanto possano essere stati sostituiti i fusti e<br />
gli elementi delle trabeazioni danneggiati nei<br />
10 Cf. GRISAR, H.P. (1930): 21.<br />
11 SEAR, F. (2006): 84.<br />
Fig. 3. Arles, Teatro, capitello corinzio della scena<br />
vari incendi. Possiamo fare questa affermazione<br />
in base a quanto abbiamo detto a proposito<br />
della scena provvisoria del teatro di Emilio<br />
Scauro, in cui erano state messe in opera fusti<br />
di africano di diverse grandezze, almeno a giudicare<br />
da quanto scrive Vitruvio.<br />
Di questa enorme quantità di marmi, come<br />
è noto, resta pochissimo: oltre ad alcune delle<br />
colossali statue del ciclo di Apollo e le muse,<br />
di Eracle e Telefo che ornavano il frontescena,<br />
di due Pan, alti m.2,70, che forse servivano<br />
come telamoni ai lati della scena o del pulpito,<br />
se aveva questa altezza (v. l’uso analogo nei<br />
teatri campani e sanniti del 100 a.C. circa),<br />
ancora delle 14 nationes che erano disposte nel<br />
quadriportico (di ben 180x135 m.) o nell’Hecatonstylum,<br />
cioè il portico di cento colonne<br />
(probabilmente la Porticus Lentulorum) che<br />
correva sul lato nord del complesso, sono at-<br />
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
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14 Patrizio Pensabene<br />
tribuibili al complesso alcuni elementi architettonici:<br />
una grande colonna di africano vista dal<br />
Ficoroni in Via dei Chiavari e pubblicata nel<br />
1803 da R.Venuti, in quanto la sigla letta sulla<br />
superfi cie inferiore dello scavo –Cn. Pompei – è<br />
da sciogliere come una sigla di destinazione 12<br />
(anche se forse può signifi care che le cave di<br />
Teos erano venute nel controllo di Pompeo<br />
dopo la sua campagna in Asia), e altre due<br />
sempre dal sottosuolo della stessa via scoperte<br />
nel 1876 e nel 1892, una in granito grigio<br />
dal diametro di cm.92, trovata insieme ad una<br />
cornice e a un frammento di fusto rudentato 13 ;<br />
Fig. 4. Roma, Largo Argentina, Portico Tardo<br />
altri frammenti di fusto e pezzi architettonici<br />
vengono da scavi di Campo dei Fiori della corte<br />
di Palazzo Pio Rigetti (tra cui un frammento<br />
di capitello corinzio largo un metro) 14 . Da un<br />
inventario effettuato da Antonio Monterroso<br />
Checa, risulta che nella zona del Teatro di<br />
Pompeo, sono individuabili solo sette fusti<br />
frammentari: due tronconi delle colonne del<br />
Tempio di Venere, che sappiamo dalla Forma<br />
Urbis essere enorme, altre due delle colonne<br />
tirate fuori dal Colini nello scavo della fogna<br />
de Via dei Chiavari, e possibilmente appartenenti<br />
al primo <strong>ed</strong> al secondo ordine della fron-<br />
12 FICORONI, F. Del (1740): 15; BRUZZA, L. (1870): 184, n.187; DUBOIS, M.C. (1908): 149, n. 480.<br />
13 SEAR, F. (2006): 61.<br />
14 Per una lista dei ritrovamenti, Ibidem: 61.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 15<br />
tescena del teatro rifatta da Settimio Severo<br />
per i Ludi Secolari del 204, probabilmente le<br />
stesse che compaiono nella Forma Urbis. Una<br />
era di <strong>marmo</strong> bianco, pare lunense, e l’altra di<br />
granito grigio, probabilmente della Troade,<br />
come quasi tutte le colonne sparse nei portici<br />
m<strong>ed</strong>ievali di Via di Giubbonari <strong>ed</strong> appartenenti,<br />
secondo Monterroso, al teatro. Un’altra<br />
colonna di granito rosso è stata trovata nell’abside<br />
di Santa Andrea della Valle e segata e<br />
rimessa come soglia della nuova chiesa barroca<br />
dal Della Porta 15 . Avanziamo come proposta<br />
l’ipotesi che nel portico eretto nel V secolo a<br />
chiudere a nord l’area sacra di Largo Argentina<br />
e che correva parallelo all’estremità est dell’Hecatonstylum<br />
16 , siano state reimpiegate colonne<br />
e basi dal complesso del Teatro di Pompeo:<br />
si tratta di quattro fusti scanalati –tre in portasanta<br />
(fi g. 4) e uno in cipollino 17 , diam.inf.<br />
cm.52/54– con astragalo liscio che percorre<br />
i listelli e con punte di lancia tra le estremità<br />
delle scanalature, con tre basi apparentemente<br />
pertinenti, decorate eccetto su un lato non visibile<br />
(che indica la loro originaria appartenenza<br />
a colonne addossate ad una parete, forse al terzo<br />
ordine del frontescena) 18 , mentre una quarta<br />
è ottenuta dal reimpiego di un’iscrizione di<br />
Settimio Severo. Sempre in quest’area sono<br />
stati radunati frammenti architettonici rinvenuti<br />
nella zona, tra cui parte di una transenna<br />
con delfi no (alt.mass.cm.58, largh.cm.60,<br />
spess. lastra cm.13), e vari frammenti di fusti<br />
colorati che potrebbero sempre provenire dal<br />
teatro (tronconi sia da fusto di sienite molto<br />
chiara dal diam. cm.70, sia da fusto scanalato<br />
in cipollino dal diam. di cm.60, ecc.<br />
Il teatro di Marcello (fi gg. 2, 5), eretto anch’esso<br />
nel Campo Marzio, ma nel sito dove<br />
sorgeva il theatrum et proscaenium ad Apollinis<br />
(Liv., XL 51.3), fu iniziato nel 46 a.C. e<br />
già nel 17 a.C. venne utilizzato come s<strong>ed</strong>e dei<br />
Ludi Saeculares; completato nel 13 o 11 a.C.,<br />
quando fu d<strong>ed</strong>icato a Marcello (Cass.Dio, LIV<br />
26.1; Liv., XXVI 1; Plin., N.H. 8.65), venne<br />
poi ampliato e riorientato da Augusto a partire<br />
dal 22 a.C., fi no ad arrivare ad una cavea<br />
di ca. m.130 di diametro e a consentire una<br />
capienza di ca. 13.500 posti 19 . Si ritiene che<br />
dal punto di vista urbanistico e politico possa<br />
considerarsi la risposta di Augusto al teatro di<br />
Pompeo, rispetto a cui, anche se probabilmente<br />
ne riprende l’aspetto del fronte esterno con<br />
arcate inquadrate da semicolonne 20 , presenta<br />
alcune novità:<br />
la rinuncia alla forte spinta ascensionale<br />
data dalle dimensioni del tempio di Venere<br />
in cima alla cavea del teatro di Pompeo,<br />
a favore di una maggiore semplicità nella<br />
giustapposizione di cavea e tempio, questo<br />
molto più ridotto;<br />
l’<strong>ed</strong>ifi cio scenico saldato alla cavea tramite<br />
parodoi coperte e provvisto sui fi anchi d<br />
15 Sono individuabili anche alcuni dei gradini in <strong>marmo</strong> lunense, che Monterrosi attribuirebbe alla grande riforma che<br />
Augusto fa nel teatro pompeiano per i Ludi Secolari dell’anno 17, la stessa che accenna nelle sue Res Gestae. Su<br />
questo <strong>ed</strong> altri gradini mi sono occupato nel lavoro che ho presentato a omaggio alla Professoresa Pilar León.<br />
16 MANCIOLI, D., SATANGELI VALENZANI, R. (1997): 16: “Il portico settentrionale venne restaurato con<br />
materiali di reimpiego, probabilmente a seguito di un terremoto, forse quello del 408 o quello del 443… in un<br />
momento successivo, databile probabilmente ai primi anni del VI secolo, l’area sacra subì una pesante ristrutturazione<br />
…vennero tamponati anche gli intercolumni del portichetto settentrionale che venne trasformato così in un<br />
corridoio coperto”.<br />
17 Le colonne sono citate da MATTERN, T. (1995): 57-76.<br />
18 Il plinto è decorato da due kymatia lesbii continui, contrapposti e separati da un listello, il toro inferiore da un<br />
motivo a treccia, la scotia da una serie di baccellature, mentre il toro superiore da un festone di foglie di quercia: le<br />
proporzioni sono nella tradizione delle basi attiche di età imperiale, mentre la lavorazione, caratterizzata da un forte<br />
uso del trapano, è molto corrente e pare attribuibile al periodo severiano<br />
19 HUELSEN, CH. (1894): 320.<br />
20 HANSON, J.A (1959): 44; GROS, P. (1985 - 1987): 319ss.<br />
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16 Patrizio Pensabene<br />
due basiliche che limitavano la corte retrostante;<br />
la riduzione dell’area dell’orchestra ad un<br />
semicerchio;<br />
infi ne le proporzioni delle sue parti, che<br />
avranno forte infl uenza nella successiva<br />
architettura teatrale, anche se in forme<br />
modifi cate.<br />
Dopo l’incendio neroniano e l’ass<strong>ed</strong>io dei<br />
Vitellini al Campidoglio nel 69 a. C:, vi intervenne<br />
Vespasiano (Suet., Vesp. 19), che ne restaurò<br />
la scena, ma non il fronte esterno della<br />
cavea che rimase intatto; lo stesso durante il<br />
grande incendio dell’80 d.C., che si estese tra<br />
Fig. 5. Roma, Teatro Marcello<br />
il Teatro di Pompeo e il Portico d’Ottavia, fi no<br />
a raggiungere il Campidoglio, perché apparentemente<br />
il fronte esterno attuale della cavea,<br />
almeno la parte che resta con i due ordini architettonici<br />
tuscanico e ionico ancora conservati<br />
(del terzo –corinzio– restano quattro capitelli<br />
di semicolonna), sembra risalire alla fase originaria<br />
primoaugustea: poiché le fonti non lo<br />
nominano tra i restauri intrapresi da Domiziano,<br />
è probabibile che anche la scena non abbia<br />
subito sotto questo imperatore grandi rimaneggiamenti.<br />
L’Historia Augusta (Alex. 44.7)<br />
menziona invece un restauro di Alessandro<br />
Severo, che ordinò che vi si celebrassero i Ludi<br />
Saeculares 21 e questo, come v<strong>ed</strong>remo, riguardò<br />
21 Cf. ANGIOLILLO, S. (1973): 349ss.; contra TEDESCHI GRISANTI, G. (1977-78): 171ss.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 17<br />
soprattutto l’<strong>ed</strong>ifi cio scenico con il suo fronte<br />
colonnato. Si dubita se la sua spoliazione fosse<br />
veramente cominciata con Graziano nel 360-<br />
370, che ne avrebbe riutilizzato i blocchi di travertino<br />
per ricostruire il ponte Cestio 22 , perché<br />
Ausonio lo ricorda ancora funzionantel 390 e<br />
il prefetto dell’urbe Petronio Massimo vi pose<br />
varie statue nel 421; in effetti fu abbandonato<br />
solo alla fi ne del V secolo.<br />
La sua pianta è raffi gurata nella Forma<br />
Urbis, dove appare con la scena rettilinea,<br />
dietro la quale vi è un portico dotato di 18<br />
colonne che non sappiamo se erano di <strong>marmo</strong><br />
o di travertino, corrispondenti a 18 lesene<br />
che sporgono dal muro posteriore dell’<strong>ed</strong>ifi<br />
cio scenico: le sei colonne centrali rientrerebbero<br />
rispetto alle laterali. Ai fi anchi della<br />
scena e della corte sul retro vi sono due aule<br />
basilicali absidate (aula regia) divise in tre<br />
navate da due fi le di cinque sostegni, che è<br />
possibile fossero colonne di travertino, perché<br />
dell’aula orientale nota dall’incisione secentesca<br />
del Du Perac 23 , resta il pilastro nord-occidentale<br />
in travertino (con quarto di colonna<br />
addossato su un’unica base attica e capitello<br />
tuscanico) davanti a cui vi è una semicolonna<br />
che sporge da una lesena che doveva essere<br />
addossata ad un pilastro sempre con capitello<br />
tuscanico. Sicuramente di <strong>marmo</strong> e pietre<br />
colorate erano invece i fusti e le trabeazioni<br />
del frontescena, di cui sono state riconosciuti<br />
alcuni fusti di africano (fi gg. 6, 7), una elemento<br />
di basamento della fase protoaugustea<br />
(fi g. 8) e cornici e altri elementi delle fasi<br />
fl avia e severiana (fi g. 9). Solo il Fidenzoni<br />
restituisce, contrariamente all’immagine dela<br />
Forma Urbis, una scena articolata in tre es<strong>ed</strong>re,<br />
rettangolare al centro e absidate ai lati e<br />
immagina la scena accompagnata da podi su<br />
cui si elevava il primo ordine composto da 24<br />
colonne. Il terzo teatro di Roma, ancora nel<br />
22 NSc, 1886, p. 159; BCom, 1886, p. 200.<br />
23 (1575): tav. 38.<br />
Fig. 6. Roma, Teatro Marcello, fusto in africano<br />
Campo Marzio e di grandi dimensioni (diametro<br />
cavea m.90), era quello fatto costruire<br />
da Cornelio Balbo (fi g. 2) tra il 19 e il 13 a.C.<br />
(Plin., NH 36.12,60), in cui si è <strong>negli</strong> anni<br />
recenti scavato parte del criptoportico che sosteneva<br />
tre lati della porticus post scaenam, la<br />
crypta Balbi dei Cataloghi Regionari).<br />
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
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18 Patrizio Pensabene<br />
Anch’esso colpito dall’incendio del 80 d.C.<br />
(Plin., NH 66.24,2), fu in seguito restaurato,<br />
probabilmente già a partire dal periodo domizianeo<br />
e fi n nel secondo quarto del II sec.d.C.,<br />
perché vi sono stati rinvenuti bolli laterizi di età<br />
tardo adrianea 24 . Della sua decorazione <strong>marmo</strong>rea<br />
sappiamo poco: Plinio c’informa della<br />
presenza di quattro colonne di onice poste da<br />
Balbo nella scena (Plin., NH 66.24,2), mentre<br />
gli scavi della calcara m<strong>ed</strong>ievale dell’es<strong>ed</strong>ra del<br />
quadriportico hanno restituito alcuni elementi<br />
architettonici in <strong>marmo</strong>, in procinto di essere<br />
bruciati, e che in parte sono attribuibili alla<br />
scena 25 . Citiamo in particolare un frammento<br />
Fig. 7. Roma, Teatro Marcello, fusto scanalato in africano<br />
di colonna scanalata in cipollino, un grande<br />
capitello composito (fi g. 10: alt.cm.83, diam.<br />
inf. cm.64,5) e vari frammenti di volute 26 ,<br />
probabilmente della fase tardo domizianea, un<br />
frammento di maschera teatrale, un frammento<br />
di fregio architrave con bucrani e ghirlande<br />
alto cm.31, ecc.; una cornice con anthemion a<br />
tralci intermittenti sembra invece dell’età antonina<br />
avanzata. Rileviamo ancora che nei resti<br />
di strutture m<strong>ed</strong>ievali reimpiegate nel Palazzo<br />
delle Botteghe Oscure (ora s<strong>ed</strong>e del museo) vi<br />
è ancora in situ una colonna di cipollino dal<br />
fusto liscio a cui è stato adattato un capitello<br />
m<strong>ed</strong>ievale in travertino. Infi ne proponiamo di<br />
24 MANACORDA, D., s.v. “Cripta Balbi”, in Lexicon I, 1993, pp. 326-329, fi gg. 123, 155-156, 191-193; ID., s.v.<br />
“Theatrum Balbi”, in Lexicon V, 1999, pp. 30-31, fi gg.17,18.<br />
25 ID. (2001): 53, fi g.57.<br />
26 ID., fi gg. 57, 2, 60.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 19<br />
Fig. 8. Roma, Teatro Marcello, basamento della fase proto-augustea<br />
Fig. 9. Roma, Teatro Marcello, cornice della fase Severiana<br />
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Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X<br />
20 Patrizio Pensabene<br />
riconoscere in alcuni dei frammenti architettonici<br />
reimpiegati come decorazione nel cortile<br />
di Palazzo Mattei, che sorge praticamente sulla<br />
scena, elementi di questa, come ad esempio un<br />
lacunare con grandi rosette nei cassettoni, che<br />
secondo il Marchetti Longhi fu ritrovato nel<br />
cortile del palazzo 27 .<br />
Va rilevato che il portico post scaenam di<br />
questo teatro doveva presentare nella fase originaria<br />
i bracci divisi in due navate, di cui ora<br />
restano alcuni fusti in laterizio stuccato della<br />
ricostruzione imperiale 28 . È possibile che il<br />
Fig. 10. Roma, Teatro di Balbo, capitello composito<br />
portico del Foro delle Corporazioni di Ostia,<br />
ugualmente con la funzione di postscenio del<br />
suo teatro, che ugualmente si presenta diviso<br />
in due navate da colonne tuscaniche in laterizio<br />
stuccato, potesse avere come modello proprio<br />
quello del teatro di Balbo.<br />
È noto come la politica augustea di nuova<br />
urbanizzazione o di rimodellazione dell’urbanistica<br />
delle città delle province occidentali ha<br />
come cardine la cinta muraria e alcuni tipi di<br />
monumenti pubblici, quali i fori, con i templi<br />
e gli <strong>ed</strong>ifi ci con funzioni civiche annessi (curie,<br />
27 MARCHETTI LONGHI, G. (1920): 757, fi g.11; CARINCI, F. (1982): 295, n. 134.<br />
28 Il portico post scaenam del teatro di Balbo era originariamente diviso in 2 navate Il pilastro attuale del portico risale<br />
alla fase imperiale (quando era a navata unica) <strong>ed</strong> è in mattoni rivestito di stucco: è ora rialzato nel museo.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 21<br />
basiliche), ancora i teatri e gli anfi teatri. È ad<br />
essi che viene affi dato il ruolo di rappresentare<br />
l’immagine del potere romano e il patto di alleanza<br />
stabilitosi con le classi dirigenti locali, e<br />
sono questi monumenti i luoghi per eccellenza<br />
in cui si dispiegano i programmi statuari e decorativi<br />
incentrati sul culto imperiale, che diviene<br />
lo strumento di controllo da parte del potere<br />
politico e di espressione di f<strong>ed</strong>eltà allo stato romano<br />
da parte delle classi dirigenti locali. È in<br />
conseguenza di ciò che proprio i teatri di Pompeo<br />
e di Marcello divengono i diretti modelli<br />
per tutte le imprese di costruzioni <strong>teatrali</strong> che<br />
dall’età augustea si moltiplicano in tutte le città<br />
dell’impero e che fondano i messaggi ideologici<br />
e anche di prestigio affi dati alle architetture<br />
<strong>teatrali</strong> proprio sulla grandiosità dell’impianto e<br />
sull’uso di materiali preziosi quali i marmi bianchi<br />
e soprattutto colorati provenienti dalle cave<br />
imperiali. Non si tratta, se non raramente, di<br />
donativi imperiali, bensì dell’acquisto di marmi<br />
grezzi e semilavorati (in particolare nel caso<br />
delle colonne, delle basi e dei capitelli, e spesso<br />
anche, nel corso del tempo di sculture -dai bacini<br />
alle statue), per i quali lo sforzo fi nanziario<br />
della committenza fu sempre notevole, soprattutto<br />
quando si trattava di manufatti importati<br />
dalle cave orientali e non da quelle locali, dati<br />
gli alti costi dei trasporti.<br />
3. COLONNE E MARMI COLORATI<br />
NEI TEATRI ROMANI<br />
In assenza di informazioni epigrafi che,<br />
ma non solo, dunque, sarà proprio la qualità<br />
e la quantità dei marmi impiegati, insieme al<br />
tipo di offi cine <strong>marmo</strong>rarie –se locali, regionali<br />
provinciali o itineranti da altre province<br />
o da Roma stessa– a permetterci di ricostruire<br />
le possibilità fi nanziarie delle committenze,<br />
defi nirne lo status sociale e la cultura che ha<br />
presi<strong>ed</strong>uto appunto alle scelte dei programmi<br />
espressi dalla decorazione statuaria e architettonica.<br />
Inoltre è ormai ovvio come non sia da<br />
v<strong>ed</strong>ere necessariamente un diretto intervento<br />
imperiale quando ci si trovi in presenza di monumenti<br />
con elevato <strong>marmo</strong>reo in uno stile<br />
molto vicino a quello di Roma. Anche per le<br />
stesse capitali provinciali, Tarraco, Corduba,<br />
Augusta Emerita, Lione, o per città importanti<br />
come Arles, Nimes, Cartagena, Carmona, la<br />
presenza dei grandiosi complessi forensi <strong>marmo</strong>rizzati<br />
può essere letta sulla base del rango<br />
sociale delle loro élites 29 : infatti la presenza di<br />
senatori o cavalieri originari di queste città,<br />
dove rivestirono talvolta anche il fl aminato e<br />
altre cariche, e in rapporto con l’imperatore<br />
possono ugualmente giustifi care il diretto intervento<br />
di offi cine formatesi presso i cantieri<br />
pubblici di Roma stessa o anche di altre città<br />
italiane, purché operanti in manifestazioni di<br />
architettura uffi ciale su modelli della capitale.<br />
Inoltre il fatto che sia stato usato <strong>marmo</strong><br />
proveniente da cave imperiali, quali appunto<br />
il lunense e il proconnesio, non implica una<br />
donazione imperiale, in quanto i marmi statali<br />
erano certamente posti in commercio, come<br />
tra l’altro testimonia la fl uttuazione dei prezzi<br />
a cui essi erano soggetti 30 e come conferma in<br />
tutte le province occidentali, l’ampia utilizzazione<br />
nel I sec.d.C. di <strong>marmo</strong> lunense anche<br />
ad opera di offi cine locali. Anche quando era<br />
usato nell’<strong>ed</strong>ilizia pubblica dei municipi provinciali,<br />
si deve pensare per la maggior parte<br />
dei casi ad un acquisto da parte delle élites<br />
o dei governi municipali. A maggior ragione<br />
29 Cf. RUIZ DE ARBULO, J. (1993): 100, dove per il complesso superiore di Tarraco si osserva: “Los inmensos<br />
fondos necesarios para la construccion de este enorme complejo junto a las sumas destinadas a su ornamentacion<br />
<strong>marmo</strong>rea nos permiten de imaginar el poder economico de la élite provincial reunida en el concilium y el prestigio<br />
alcanzado por la fi gura del fl amen provincial”.<br />
30 PENSABENE, P., (1983): 57 ss.<br />
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22 Patrizio Pensabene<br />
non si deve ritenere segnale di provvidenze<br />
imperiali l’uso di marmi bianchi e colorati<br />
provenienti dalle cave ispaniche.<br />
Che per gli <strong>ed</strong>ifi ci di spettacolo, dati gli alti<br />
costi, dovessero spesso essere utilizzate forme<br />
miste di fi nanziamento -cioè pubblico e privato,<br />
ove tra il pubblico si possono inserire non solo<br />
interventi delle città o di funzionari nell’esercizio<br />
della loro carica, ma anche gli interventi di<br />
membri della famiglia imperiale come Agrippa,<br />
i suoi fi gli adottati da Augusto, e invece interventi<br />
congiunti solo di personaggi locali o non<br />
che agiscono come benefattori: lo testimoniano<br />
le iscrizioni che ricordano quasi sempre un intervento<br />
evergetico riguardante non tutto l’<strong>ed</strong>ifi<br />
cio, bensì alcune sue parti: così si donano sia<br />
settori di posti a s<strong>ed</strong>ere, ad esempio in Hispania<br />
a Siarum (loca spectaculorum / exstructa a solo /<br />
saxis C...) o ad Aurgi dove i seviri si uniscono<br />
per donare 200 posti; (loca spectaculorum/ numero<br />
CC), sia tratti del podio (così nel circo di<br />
Balsa in Lusitania 31 : podium circi p<strong>ed</strong>es C..., e di<br />
Zafra podium in circo p(<strong>ed</strong>um) DC...); a Olisipo<br />
l’augustale perpetuo C. Heius Primus fi nanziò<br />
la costruzione del proscaenium e dell’orchestra<br />
del teatro; doni separati per l’orchestra e/o il<br />
proscaenium, o il porticum vengono fatti per i<br />
teatri di Malaca e Italica.<br />
Casi esemplari di fi nanziamento misto<br />
sono in Italia i due teatri di Pompei e di Ercolano,<br />
dove si verifi ca l’intervento isolato di<br />
personaggi di rango senatorio, masoprattutto<br />
dell’élite locale.<br />
Teatro di Pompei<br />
Il teatro di Pompei (fi gg. 2, 11), costruito<br />
tra il tardo II sec.a.C. e l’età sillana in uno spa-<br />
zio piuttosto limitatati da <strong>ed</strong>ifi ci prec<strong>ed</strong>enti, tra<br />
cui le mura 32 , in questa sua prima fase presentava<br />
una pianta di tradizione tardo-ellenistica<br />
e simile ai teatri siciliani contemporanei, cioè<br />
con cavea dagli analemmata poco divergenti<br />
(come nella prima fase del teatro di Teano,<br />
ecc.) e non collegati con l’<strong>ed</strong>ifi cio scenico e<br />
con il logeion posto tra parasceni sporgenti<br />
dalla fronte obliqua. Pare che già in età sillana<br />
la scena assunse l’aspetto tipico del teatro romano,<br />
con la creazione di confornicationes e di<br />
un pulpitum che sostituiva il logeion. Un’ulteriore<br />
ricostruzione in tre tappe avvenne in età<br />
augustea , promossa da M. Holconius Rufus e<br />
M. Holconius Celer, che in diversi momenti<br />
erano stati duoviri della città (il primo nel 3<br />
a.C., il secondo nel 14 d.C.), e ad opera dell’architetto<br />
M.Artorius Primus, un liberto (CIL<br />
X.1, 181): in una prima tappa si ricostruirono<br />
in laterizio la frons scaenae con tre nicchioni,<br />
curvo quello centrale, rettangolari gli altri, e la<br />
parte centrale del pulpito, sistemato a fontana<br />
(come a Nocera 33 ) con cui sono da connettere<br />
due vasche nell’orchestra; in una seconda tappa<br />
vennero ampliati in laterizio e in blocchi di<br />
reimpiego (soglie in calcare, ecc.) i podi alla<br />
base del frontescena evidentemente per sostenere<br />
meglio la columnatio che dovette essere<br />
messa o rimessa in opera in occasione di questo<br />
allargamento; nella terza tappa si completarono<br />
la columnatio con la relativa decorazione<br />
architettonica, le parti laterali del pulpito e si<br />
concluse il rifacimento della cavea con la costruzione<br />
della cripta e delle soprastanti strutture<br />
34 . Dopo il terremoto del 62 i restauri non<br />
sembra siano stati iniziati.<br />
Resta poco della decorazione <strong>marmo</strong>rea di<br />
questa terza fase: Johannowsky ha ricostruito<br />
31 CIL II, 5165, 5166. Cf. anche 984, 3364.<br />
32 BYVANCK, (1925): 107ss.; JOHANNOWSKY, W. (2000): 17-32.<br />
33 Con il teatro di Nocera quello di Pompei ha in comune anche nell’area dell’iposcenio una doppia serie di pozzetti<br />
in funzione dell’auleum e il collegamento con un cunicolo.<br />
34 Ibidem: 20.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 23<br />
l’esistenza di lastre di rivestimento in cipollino<br />
e <strong>marmo</strong> grigio nella parte inferiore dell’<strong>ed</strong>ifi cio<br />
scenico, in base al conservarsi in situ di tasselli<br />
di questi marmi usati come rinforzi; inoltre ha<br />
messo in evidenza due elementi (alti cm.15,3)<br />
di una cornice <strong>marmo</strong>rea sugli sbocchi delle<br />
scale adiacenti ai tribunalia (fi g. 12), nei quali<br />
doveva continuare la stessa cornice, e ha potuto<br />
ricostruire le cornici dei due ordini della scena<br />
in base ai disegni del Mazois. Il teatro era<br />
dotato di un arr<strong>ed</strong>o statuario in <strong>marmo</strong>, come<br />
testimoniano tre teste femminili ritrovate, una<br />
delle quali forse un ritratto di Antonia Minore<br />
–saremmo in presenza, dunque, anche a Pompei<br />
di un culto imperiale nel teatro– un’altra,<br />
sempre un ritratto, ma non identifi cata, di una<br />
qualità molto fi ne non di offi cina locale 35 .<br />
Fig. 11. Pompei, Teatro<br />
35 BONIFACIO, R. (1997): 46ss.; JOHANNOWSKI, W. (2000): 23.<br />
Le cornice dei tribunalia presentano sima<br />
con kyma lesbico seminaturalistico continuo,<br />
corona ridotta ad un listello, soffi tto con mensole<br />
rettangolari a gola dritta poco pronunciata,<br />
rivestite da foglie d’acanto che sorreggono<br />
con la cima il sottile pulvino terminale, e alternate<br />
a riquadri decorati con motivi vegetali di<br />
forme varie (ma anche da armi, lumache, tartarughe,<br />
come si ricava dai disegni del Mazois;<br />
segue la sottocornice molto ridotta e limitata<br />
ad un dentello continuo e a un sottile kyma lesbico.<br />
Le cornici del primo ordine, alte cm.38<br />
(in base ai disegni del Mazois), con sima e corona<br />
liscia separati da una sottile gola rovescia,<br />
e soffi tto senza mensole, mentre con dentelli<br />
rettangolari e kyma ionico nella sottocornice;<br />
le cornici del secondo ordine, più decorate<br />
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
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24 Patrizio Pensabene<br />
(alte un pi<strong>ed</strong>e), con kyma ionico tra sima e corona<br />
lisce, con soffi tto a mensole rettangolari<br />
rivestite da foglia d’acanto e incorniciate da<br />
kyma ionico, alternate a campi quadrati con<br />
rosette, e con dentelli quasi quadrati tra due<br />
kymatia lesbii seminaturalistici continui nella<br />
sottocornice.<br />
Le cornici dei tribunalia (fi g. 12) rimandano<br />
alla prima e m<strong>ed</strong>ia età augustea (30 a.C.-<br />
5 d.C.) per lo scarso sviluppo della sottornice<br />
e il tipo delle decorazioni dei riquadri tra le<br />
mensole, ancora nella tradizione tardo-repubblicana<br />
e primo-augustea 36 ; le cornici della<br />
scena rimanda invece alla tarda età augustea o<br />
poco oltre per lo sviluppo in tre modanature<br />
Fig. 12. Pompei, Teatro, particolare della cornice dell’aditus<br />
della sottocornice e devono risalire all’ultima<br />
tappa della terza fase.<br />
Si ha notizia del ritrovamento <strong>negli</strong> scavi<br />
dell’iposcenio 37 di frammenti di capitelli<br />
corinzi e dell’inquadratura di una porta decorata,<br />
ma è diffi cile individuare quali siano.<br />
Recentemente l’Heinrich 38 ha ipotizzato che<br />
un gruppo di frammenti di capitelli di colonna<br />
e di pilastro in <strong>marmo</strong> lunense (alt. del capitello<br />
meglio conservato cm.67,5) dei magazzini<br />
del Museo Nazionale di Napoli e di Pompei<br />
provengano dal teatro: l’acanto elegantemente<br />
intagliato e dai lobi a fogliette leggermente<br />
ogivali e separati da zone d’ombra ogivali e<br />
oblique, presuppongono le forme elaborate a<br />
36 Si confronti con i motivi analoghi nelle cornici della fase augustea del Santuario di Diana Nemorense: PENSABENE,<br />
P. (1979): 135, tav. 65,1,2.<br />
37 SPANU, G. (1912): 111 ss.<br />
38 (2002): n. K40a-k.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 25<br />
Roma nel Foro di Augusto e sono databili tra<br />
il 5 e il 20 d.C.<br />
Teatro di Ercolano<br />
Il teatro di Ercolano (fi g. 13) si presenta<br />
con la cavea costruita in reticolato con ammorsature<br />
in tufelli rettangolari, ma con l’<strong>ed</strong>ifi<br />
cio scenico e la fronte esterna in laterizio; i<br />
resti attuali sono attribuibili ad una fase augustea<br />
(fi g. 9), mentre non si riconoscono tracce<br />
di un’eventuale fase prec<strong>ed</strong>ente: anzi è precisabile<br />
un lasso di tempo tra la prima e la m<strong>ed</strong>ia<br />
età augustea in base all’iscrizione al duoviro L.<br />
Annius Mammianus Rufus, la cui summa onoraria<br />
fi nanziò l’inizio della costruzione diretta<br />
dall’architetto P. Numisius, ma che non fu<br />
l’unico benefattore perché probabilmente anche<br />
il Console Appius Claudius Pulcher, a cui,<br />
Fig. 13. Teatri di Pompei <strong>ed</strong> Ercolano (da F. Sear, 2006)<br />
39 CIL X,1,1424, 1426-28, 1438-40; PAPPALARDO, U. (1997): 417ss.<br />
quando già era morto, era stata d<strong>ed</strong>icata una<br />
statua nel teatro, e M. Nonius Balbus parteciparono<br />
alle sue spese 39 . D<strong>ed</strong>iche alla famiglia<br />
imperiale continuano fi no all’età fl avia.<br />
La scena, del tutto in laterizio e in origine<br />
rivestita di marmi policromi, era rettilinea,<br />
ma con larga abside poco pronunciata in corrispondenza<br />
della porta regia; se ne conserva<br />
buona parte del primo ordine per un altezza<br />
massima di m.5,23; alla sua base si addossa il<br />
podio, alto circa m.2, che doveva reggere la<br />
columnatio (ne sono state ricostruite 10 per<br />
ognuno dei due piani, tra cui fusti in africano),<br />
ma di cui non resta molto poco: tre capitelli<br />
corinzieggianti <strong>marmo</strong>rei, sbozzati sul retro,<br />
frammenti di lastre di architrave a fasce e alcune<br />
cornici a mensole e cassettoni pertinenti<br />
al primo ordine, un frammento di fusto di<br />
africano (diam.cm.30, alt.mass.cm.70) forse<br />
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26 Patrizio Pensabene<br />
dal secondo ordine, e numerosi frammenti di<br />
piccole cornici <strong>marmo</strong>ree 40 .<br />
Al centro della summa cavea sorgeva un<br />
piccolo sacello su podio lungo m.3,40, in origine<br />
con ricca decorazione <strong>marmo</strong>rea di resta<br />
un frammento della cornice d’angolo del podio<br />
e un frammento di cornice con ovuli.<br />
Si conservano alcun cornici <strong>marmo</strong>ree,<br />
una composta da quattro pezzi combacianti 41 .<br />
Ci restituiscono una cornice a mensole rettangolari<br />
a gola dritta poco pronunciata con sottile<br />
lacunare al centro della superiore inferiore,<br />
alternate a riquadri con motivi vegetali di<br />
varia forma; la sottocornice è poco sviluppata<br />
e limitata a un dentello continuo e a una gola<br />
rovescia 42 . Il tipo deriva da quello della Regia<br />
a Roma , che ha una certa diffusione (Foro di<br />
Formia, ecc.) tra il 30 e il 10 a.C. circa. In base<br />
40 PAGANO, M., BALASCO, A. (2000): 85, 86.<br />
41 Ibidem: 35.<br />
42 JOHANNOWSKI, W. (2000): 24, fi g. 8.<br />
43 Ibidem: 24, 25, fi gg. 8, 9.<br />
Fig. 14. Teatri di Volterra e Ostia (da F. Sear, 2006)<br />
ai disegni del Mazois è stato possibile identifi<br />
care i capitelli del primo ordine in marmi a<br />
cristalli grandi, forse pario o tasio: sono avvolti<br />
da due corone di quattro foglie acantizzanti<br />
poste agli angoli, la prima con palmette in<br />
mezzo, la seconda con foglie d’acqua sempre<br />
in mezzo. Esemplari molto simili sono noti a<br />
Nocera, Napoli e Salerno e sono dovuti a maestranze<br />
colte, forse di formazione urbana 43 .<br />
Teatro di Volterra<br />
Su tutto un altro piano, anche per le dimensioni,<br />
è il caso del teatro di Volterra (fi gg.<br />
14,15) dove i benefattori sono due personaggi<br />
di rango consolare, A. Caecina A f. Severus,<br />
generale di Augusto e console suffetto nel<br />
1 a.C., e C. Caecina A. f. Largus, d’incerta
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 27<br />
identifi cazione, forse il fratello e forse console<br />
suffetto del 13 d.C. 44 il primo sicuramente era<br />
tra i collaboratori di Augusto e ciò si traduce<br />
in un diretto collegamento con le fonti di approvvigionamento<br />
dei marmi, in particolare il<br />
lunense, e con le mode architettoniche in uso<br />
a Roma.<br />
L’<strong>ed</strong>ifi cio, che si è ipotizzato costruito<br />
sotto il consolato del primo Caecina dell’iscrizione,<br />
presenta un frontescena lungo<br />
m.35,98, con grande valva semicircolare al<br />
centro, per la porta regia, e due semplici aperture<br />
rettangolari ai lati per le hospitalia. Si eleva<br />
per 16 m. di altezza su due ordini colonnati<br />
in <strong>marmo</strong> lunense, ciascuno di dodici fusti<br />
con 24 scanalature (alti ripettivamente m.4,58<br />
e 4,34), non monoliti, ma composti da due<br />
tronconi: v<strong>ed</strong>remo come rispetto ai teatri di<br />
Ostia e Arles, su cui intervennero Agrippa e<br />
Augusto, mancano colonne in pietre colorate<br />
di prestigio, che compaiono invece nei<br />
rivestimenti dei podi e di altre superfi ci della<br />
scena di Volterra, ottenuti con spesse lastre di<br />
giallo antico, africano e cipollino. La scelta del<br />
lunense per i fusti non è da imputare a spese<br />
di trasporto dovute alla posizione di Volterra<br />
lontana dal mare, perché altrettanto sarebbe<br />
costato il trasporto di fusti colorati, bensì dal<br />
minor costo del lunense, favorito anche dalla<br />
pratica della prefabbricazione che si era andata<br />
istaurando nelle cave lunensi, dove sempre di<br />
più si stanno ritrovando usti e altri manufatti<br />
architettonici già semilavorati da maestranze<br />
attive direttamente presso i luoghi di estrazione.<br />
Non meraviglia quindi che anche le<br />
basi attiche e capitelli corinzi della scena di<br />
Volterra, sempre in <strong>marmo</strong> lunense (fi g. 15),<br />
appartengono al tipo augusteo derivante dal<br />
Foro di Augusto, tra l’altro inaugurato nell’anno<br />
del consolato di Caecina Severus, e ben<br />
presto diffuso in Italia e contemporaneamen-<br />
44 PIZZIGATI, A. (1993).<br />
Fig. 15. Volterra, Teatro, frontescena<br />
te in Gallia proprio mercè la specializzazione<br />
raggiunta dalle cave lunense nella produzione<br />
di blocchi e manufatti semilavorati in funzione<br />
della politica augustea di monumentalizzazione<br />
delle città e anche nell’organizzazione del<br />
trasporto via mare, come attesta il noto naufragio<br />
di St. Tropez. I confronti diretti per i<br />
capitelli, dunque, sono non solo nell’urbe,<br />
ma in moltissimi centri occidentali (Terracina,<br />
Pozzuoli, Cherchel, Cartagena, Cordoba, Autun,<br />
ecc.), che testimoniano la diffusione già<br />
nei primi due decenni del I sec.d.C. di questo<br />
tipo di capitelli ad opera di offi cine itineranti<br />
specializzate in questi elementi e provenienti<br />
da Roma o Ostia, ma collegate con le cave di<br />
Luni. Va rilevato che nel teatro di Volterra,<br />
come anche altrove (ad esempio a Cartagena),<br />
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
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28 Patrizio Pensabene<br />
Fig. 16. Volterra, Teatro, Portico del post scaenam<br />
si può riscontrare una differenza stilistica tra i<br />
capitelli e le trabeazioni, queste spesso legate a<br />
tradizioni decorative prec<strong>ed</strong>enti, in particolare<br />
quelle del secondo triunvirato, o più trascurate<br />
e meno sensibili ai valori plastici pur obb<strong>ed</strong>endo<br />
ai nuovi modelli: anche a Volterra le<br />
botteghe locali già formatesi prec<strong>ed</strong>entemente<br />
sono state affi ancate solo occasionalmente dalle<br />
maestranze urbane la cui presenza si spiega<br />
con committenze quali quelle dei Caecina,<br />
con stretti rapporti con la casa imperiale. Si rileva<br />
ancora come gli architravi e i fregi del teatro<br />
volterrano non siano lavorati in un blocco<br />
<strong>marmo</strong>reo unitario, bensì in lastre da applicare<br />
ad un nucleo in pietra locale: gli architravi<br />
sono a modanature lisce, i fregi dovevano es-<br />
45 Ibidem: 63.<br />
46 Ibidem: 62.<br />
47 MUNZI, N., TERRENATO, M. (2000): 38.<br />
sere ornati con girali d’acanto e motivi vegetali<br />
in molti frammenti di rilievi del teatro 45 ;<br />
le cornici degli ordini, a dentelli, kyma ionico<br />
e kyma lesbico, e altri elementi architettonici,<br />
pur derivando dai modelli augustei di Roma,<br />
sono inquadrabili per la resa stilistica con pezzi<br />
simili dell’Italia settentrionale e sono da attribuire<br />
alle maestranze locali 46 .<br />
Davanti al frontescena doveva essere<br />
esposto il ciclo statuario giulio-claudio di cui<br />
sono state ritrovate le teste di Augusto, Livia<br />
e Tiberio (in origine lavorate a parte e inserite<br />
nei corpi), sopra il quale, sul fregio del primo<br />
ordine, probabilmente sopra la regia, si leggeva<br />
la grande iscrizione d<strong>ed</strong>icatoria dei due<br />
Caecina. E’ rilevante il fatto che inizialmente<br />
il portico post scaenam era costituito da un<br />
unico braccio sul retro della scena con fusti<br />
lisci e capitelli ionici di tufo (di Pignano) –nella<br />
prima fase il <strong>marmo</strong>, dunque, era riservato<br />
solo alla scena– ma che in occasione del suo<br />
ampliamento in età claudia con altri tre bracci<br />
che delimitavano l’area postica (si conservano<br />
i due bracci laterali) s’impiegarono colonne in<br />
bardiglio alte m.3,50, con capitelli corinzieggianti<br />
(fi g. 16): l’ampliamento probabilmente<br />
fu fi nanziato da un omonimo del secondo<br />
Caecina dell’iscrizione sopra citata, C. Caecina<br />
Largus, che fu console del 42 d.C. e amico<br />
dell’imperatore Claudio, cronologia a cui portano<br />
i capitelli e i dati di scavo di questa parte<br />
del complesso 47 .<br />
Con i Caecina, dunque, nobile gens volterrana<br />
trasferitasi a Roma in età postsillana<br />
e celebrata da Cicerone come la più illuste di<br />
tutta l’Etruria, siamo di fronte ad un esempio<br />
signifi cativo del coinvolgimento delle élites<br />
municipali italiche nel sistema politico augusteo.<br />
Per le aristocrazie senatorie, pervenute al<br />
consolato, compiere atti di <strong>evergetismo</strong> verso
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 29<br />
la propria città d’origine 48 aveva il doppio signifi<br />
cato di autocelebrazione e di rivalutazione<br />
in chiave ideologica del proprio passato,<br />
seguendo in tal modo l’esempio di Augusto.<br />
Si ha inoltre l’evidenza che il trasferimento<br />
dei Caecina a Roma comportò non l’abbandono<br />
degli interessi nella città natale, ma il<br />
consolidamento della pratica dell’<strong>evergetismo</strong><br />
a favore del municipio: in questo senso si deve<br />
intendere anche il ritrovamento di numerosi<br />
bolli laterizi degli stessi due personaggi che<br />
compaiono nell’iscrizione e che attestano<br />
l’attività di una fi glina di loro proprietà, sita a<br />
Volterra e nelle proprietà suburbane della famiglia,<br />
dove si producevano laterizi per il teatro<br />
e per altri cantieri promossi dai Caecina.<br />
Infi ne, sono proprio le committenze <strong>ed</strong>ilizie a<br />
carattere monumentali da parte degli amministratori<br />
locali e in particolar modo dai senatori<br />
di origini municipali a favorire la diffusione<br />
dell’<strong>ed</strong>ilizia teatrale in Italia e nelle provincie,<br />
contribuendo in tal modo alla politica di<br />
urbanizzazione promossa da Augusto che si<br />
realizzava anche attraverso la partecipazione<br />
di familiari e amici.<br />
Teatro di Ostia<br />
In effetti, nel primo periodo augusteo<br />
vi sono alcune città nelle quali per varie circostanze<br />
storiche vi è un diretto intervento<br />
dell’imperatore o di Agrippa che riguarda la<br />
totalità o buona parte della costruzione degli<br />
<strong>ed</strong>ifi ci di spettacolo, testimoniata dalle iscrizioni<br />
(Ostia, Merida) o proprio dall’elevato<br />
architettonico <strong>marmo</strong>reo (Arles).<br />
A Ostia l’intervento si spiega per la particolare<br />
condizione della città di quartieri di<br />
servizi di Roma, in quanto il suo porto sempre<br />
più aveva assunto una funzione commerciale<br />
e di primo deposito delle merci destinate alla<br />
48 MUNZI, N. (1993): 41-42.<br />
Fig. 17. Ostia, Teatro, Capitello composito della scena<br />
città, oltre a quello più tradizionale di porto<br />
militare. Il teatro (fi g. 14) fu costruito,<br />
dunque, insieme alla porticus post scaenam,<br />
da Agrippa, in un’area che era rimasta senza<br />
costruzioni, perché destinata ad ager publicus.<br />
Dal diametro di circa m 80, anche dagli scavi<br />
recenti si è avuto conferma di come la cavea,<br />
sostenuta da due ambulacri, sia stata costruita<br />
sopra un banco di sabbia di riporto artifi ciale.<br />
Dell’<strong>ed</strong>ifi cio scenico di questa fase si conservano<br />
ancora le fondazioni in cementizio dei<br />
muri anteriore e posteriore, su cui poggiavano<br />
i muri dell’elevato in blocchi: è stato possibile<br />
ricostruire l’andamento rettilineo del fronte<br />
in cui si è riconosciuto il modello del Teatro<br />
di Marcello, sui fi anchi del palcoscenico i parascaenia<br />
e sui fi anchi di questi e dell’<strong>ed</strong>ifi cio<br />
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30 Patrizio Pensabene<br />
scenico due versurae che si saldavano con i<br />
bracci laterali della porticus post scaenam. Della<br />
decorazione architettonica augustea resta<br />
poco, perché il frontescena è stato completamente<br />
ri<strong>ed</strong>ifi cato nella successiva fase severiana:<br />
tuttavia è stato rinvenuto un certo numero<br />
di capitelli compositi (quattro esemplari, alti<br />
cm 42, più vari frammenti 49 ), attribuibili per<br />
l’acanto che risente ancora della tradizione del<br />
secondo triumvirato che possiamo attribuire<br />
proprio alla fase augustea del teatro (fi g. 17):<br />
essi costituiscono, insieme a quelli reimpiegati<br />
nel Mausoleo di Costanza a Roma, i primi<br />
esempi di capitelli compositi a Roma e Ostia,<br />
ma abbiamo visto come nell’area del teatro di<br />
Marcello sono stati ritrovati alcuni capitelli ionici<br />
a quattro facce, di grandi dimensioni, che<br />
potrebbero aver costituito la parte superiore di<br />
capitelli compositi lavorati in due blocchi distinti.<br />
E’ probabile che il ritrovamento nel teatro<br />
di Ostia di capitelli compositi in un discreto<br />
numero sia dovuto al fatto di essere stati reimpiegati<br />
nella scena severiana, eventualmente<br />
nel secondo o terzo ordine, e il loro adattarsi<br />
alle colonne di bigio e di cipollino sempre<br />
rinvenute nell’area del teatro ostiense può far<br />
pensare che anche queste facessero parte della<br />
scena augustea (più probabilmente quelle di<br />
cipollino, mentre quelle di bigio al portico in<br />
summa cavea) 50 ; uno dei fusti in cipollino reca<br />
ancora la sigla di cava –L(oco) DCIII– incisa<br />
sulla parte inferiore quando il fusto era ancora<br />
steso subito dopo l’estrazione. La possibilità<br />
del reimpiego dalla scena augustea riguarda<br />
anche due grandi capitelli corinzi, rinvenuti<br />
nell’area del teatro e sempre nella tradizione<br />
del secondo triumvirato: uno di essi, che conserva<br />
intera l’altezza (cm 79,5) e con numerose<br />
cavità per inserire tasselli di restauri anti-<br />
chi 51 , doveva essere pertinente a fusti alti poco<br />
meno di sei metri e probabilmente collocati ai<br />
lati della Porta Regia anche nella fase severiana.<br />
La pertinenza alla fase augustea del teatro<br />
è più incerta, ma possibile, per il capitello a<br />
“sofà” in <strong>marmo</strong> lunense, rinvenuto davanti<br />
ad una sua taberna 52 : è intagliato insieme ad<br />
un semicapitello tuscanico <strong>ed</strong> è direttamente<br />
collegabile alla tradizione ellenistica, non solo<br />
per la sua tipologia a “sofà”, ma per la sua articolazione<br />
che presuppone una semicolonna<br />
addossata ad un pilastro o anta.<br />
Abbiamo riportato queste informazioni<br />
perché il rapporto che si è potuto stabilire tra<br />
la forma rettilinea della scena e l’uso di capitelli<br />
compositi del teatro ostiense e di quello<br />
di Marcello a Roma confermano l’imm<strong>ed</strong>iato<br />
impatto che gli <strong>ed</strong>ici di spettacolo del Campo<br />
Marzio hanno avuto sulla successiva storia dei<br />
teatri romani.<br />
Inoltre è stato possibile ricostruire una<br />
serie di successivi interventi nel teatro tra i<br />
quali una certa rilevanza ha la ristrutturazione<br />
sia dell’<strong>ed</strong>ifi cio scenico, che della porticus<br />
post scaenam avvenuti in età adrianea, quando<br />
furono ricostruiti tutti i piani pavimentali,<br />
sebbene una nuova fase di ricostruzione che<br />
ingloba e amplia la cavea prec<strong>ed</strong>ente inizia .<br />
L’opera fu terminata da Settimio Severo che,<br />
insieme ai fi gli, d<strong>ed</strong>ica il teatro nel 196, e da<br />
questo imperatore deve essere stata portata a<br />
termine la ricostruzione dell’elevato architettonico<br />
del frontescena del tutto <strong>marmo</strong>rizzato<br />
–cominciato forse molto prima–, che di<br />
nuovo si adatta alla caratteristica dell’<strong>ed</strong>ifi cio<br />
scenico poco profondo.: non sarebbe stato<br />
possibile, quindi, aprire nicchioni absidati in<br />
corrispondenza delle porte, perciò il muro anteriore<br />
resta rettilineo e l’effetto scenografi co<br />
49 PENSABENE, P. (1973): nn. 385-388.<br />
50 Uno dei fusti -n. inv. 19357- è stato rinvenuto sulla cavea (Scavi di Ostia, VII, p. 107, nota 4).<br />
51 Ibidem, nn. 204-205.<br />
52 Ibidem, n. 672 (n. inv. 17211: alt. cm 36,5).
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 31<br />
non è affi dato a colonne staccate dalla parete,<br />
bensì a pilastri addossati e presumibilmente<br />
semicolonne e/o colonne sempre addossate<br />
alla parete. Anche per questa fase si è voluto<br />
sottolineare l’intervento imperiale, perchè<br />
Ostia continua ad avere in età severiana un<br />
ruolo centrale per la sua funzione annonaria e<br />
di scalo merci: per questo gli imperatori s’interessano<br />
in prima persona della città e dei suoi<br />
monumenti principali.<br />
Teatro di Arles<br />
Una situazione analoga si deve essere verifi<br />
cata ad Arles. Il teatro (fi g. 18) sorge ad est<br />
del foro, nel luogo più alto della città: costruito<br />
in epoca augustea (è stato proposto intorno<br />
al 15 a.C.) del tutto su sostruzioni, presenta il<br />
fronte esterno –tutto nella pietra locale– della<br />
cavea diviso in tre ordini con colonne e capitelli<br />
dorici e trabeazione composta da un architrave-fregio<br />
dorico a metope e triglifi , da<br />
un fregio ionico con girali d’acanto e da una<br />
cornice con mensole e cassettoni. La cavea,<br />
che dunque si avvale di un imponente sistema<br />
Fig. 18. Teatri di Arles e Cartagena (da F. Sear, 2006)<br />
sostruttivo, è divisa in tre maeniana e in quattro<br />
cunei: nella parte più bassa è la pro<strong>ed</strong>ria<br />
che occupa parzialmente lo spazio dell’orchestra,<br />
mentre un balteus la separa dalla cavea.<br />
Il frontescena conserva una profonda es<strong>ed</strong>ra<br />
semicircolare centrale <strong>ed</strong> un postscaenium articolato<br />
in vari ambienti: era arr<strong>ed</strong>ato da statue<br />
di divinità sulle quali dominava al centro quella<br />
di Augusto e da “altari apollinei”. Del suo<br />
elevato rimangono: le grandi colonne lisce in<br />
africano e in bardiglio di Luni ai lati della porta<br />
regia sormontate da capitelli in calcare lavorati<br />
in due parti; le colonne rudentate in bardiglio<br />
di Luni e in giallo antico del primo e secondo<br />
ordine, con basi e capitelli corinzi (fi g. 3) in<br />
<strong>marmo</strong> lunense più chiari nell’insieme e nei<br />
particolari rispetto a quelli più grandi della<br />
porta regia (si tratta di un rapporto simile fra<br />
modello e imitazione come anche nella Maison<br />
Carré) e con cornici sempre nello stesso<br />
<strong>marmo</strong>. Anche il piano dell’orchestra conserva<br />
le lastre di rivestimento in cipollino, bardiglio,<br />
giallo antico, e alcuni tipi di alabastro.<br />
Va subito rilevato che la presenza di monumentali<br />
colonne in bardiglio e in africano<br />
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X<br />
32 Patrizio Pensabene<br />
e l’abbondanza di marmi colorati della scena<br />
e dell’orchestra rimandano direttamente al<br />
Teatro Marcello di Roma con analogo uso<br />
di colonne di <strong>marmo</strong> africano: dato anche la<br />
presenza di offi cine urbane per i capitelli e le<br />
cornici in <strong>marmo</strong>, non può non pensarsi ad<br />
un diretto interessamento se non intervento<br />
di Augusto o di Agrippa per la fornitura dei<br />
marmi e delle maestranze. Non sappiamo se<br />
tale intervento riguardò anche l’assunzione<br />
del costo dell’intero <strong>ed</strong>ifi cio; certo è che nella<br />
sua costruzione intervennero anche maestranze<br />
regionali portatrici di tradizioni tardo<br />
repubblicane, come testimonia la disinvolta<br />
mescolanza dell’ordine dorico e ionico nel<br />
fronte esterno. Ciò suggerisce una tradizione<br />
lavorativa continuata di queste maestranze in<br />
Gallia e dunque la presenza di committenze<br />
Fig. 19. Arles, Teatro, cornice della scena<br />
locali in grado di fi nanziare lavori <strong>ed</strong>ilizi privati<br />
(v. frammenti della decorazione di monumenti<br />
funerari di Narbona che richiamano le<br />
metope del Teatro).<br />
Inoltre il fatto che le cornici <strong>ed</strong> anche i<br />
capitelli <strong>marmo</strong>rei del teatro di Arles (fi gg. 3,<br />
19) siano molto simili ai frammenti architettonici<br />
sempre di <strong>marmo</strong> rinvenuti nel criptoportico<br />
della città e attribuiti dal Gros al sacello di<br />
culto imperiale del Foro, e ancora l’uguaglianza<br />
del doppio fregio ionico e dorico in pietra<br />
locale del fronte esterno del teatro e dell’”Arc<br />
du Rhone” documenta l’ampiezza degli interventi<br />
operati ad Arles nella prima età augustea,<br />
resi possibili dalla coesistenza di maestranze<br />
esperte da Roma e locali.<br />
Tra la fi ne del I e gli inizi del II sec.d.C.<br />
si verifi ca una nuova ondata di monumenta-
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 33<br />
lizzazione anche ad Arles in analogia ad altri<br />
centri della Gallia meridionale, che portò alla<br />
costruzione dell’anfi teatro e del circo, questo<br />
con lussuosa decorazione architettonica<br />
in <strong>marmo</strong>: essa culmina in età adrianea nella<br />
trasformazione del lato nord del foro in cui si<br />
inserì un nuovo <strong>ed</strong>ifi cio templare. Tutto ciò<br />
presuppone l’esistenza di una classe dirigente<br />
che in questo periodo poteva concorrere con<br />
la colonia al fi nanziamento dei nuovi <strong>ed</strong>ifi ci<br />
con il ricorso a maestranze “regionali” colte<br />
in grado di lavorare anche il <strong>marmo</strong>. Si sottolinea<br />
questo aspetto perchè numerosi elementi<br />
architettonici invece in pietra locale, conservati<br />
nel lapidario annesso al teatro, dimostrano<br />
l’esistenza e la continuità lavorativa di maestranze<br />
locali, che hanno aderito allo stile<br />
fl avio (v. la sovrabbondanza degli ornati e del<br />
chiaroscuro), inserendolo nella tradizione decorativa<br />
della Gallia meridionale (v.le baccellature<br />
piene nella corona delle cornici), ma lo<br />
hanno caratterizzato con l’introduzione di varianti<br />
libere nella resa degli ornati tradizionali<br />
(dentelli molto stretti e lunghi tra le mensole,<br />
grosse perline intorno ai cassettoni). Di conseguenza<br />
anche ad Arles si riscontra nel corso<br />
del I secolo e nei primi decenni del successivo<br />
una sorta di dualismo tra maestranze regionali<br />
e locali determinato dalla resa dei motivi decorativi<br />
e spesso dall’uso del <strong>marmo</strong>.<br />
Se, dunque, i programmi decorativi riconoscibili<br />
nella prima età imperiale ad Arles<br />
rimandano senz’altro alla volontà propagandistica<br />
di Augusto, della sua famiglia (Teatro,<br />
Foro, “Arc du Rhone”) e di Tiberio (“Forum<br />
Adiectum”, “Arc Admirable”), ci si può chi<strong>ed</strong>ere<br />
se il fi nanziamento dei nuovi <strong>ed</strong>ifi ci sia<br />
stato assunto del tutto o in parte dall’imperatore,<br />
dalla colonia Iulia Paterna Arelate Sextanorum,<br />
dalla classe dirigente locale, e quali<br />
siano stati i canali attraverso cui sono giunti<br />
nella città il <strong>marmo</strong> e le maestranze urbane.<br />
Arles, come è noto, fu insieme a Narbonne,<br />
uno dei principali centri commerciali della pro-<br />
vincia, dati i suoi intensi traffi ci con l’Italia e la<br />
sua posizione lungo la rotta che portava l’olio<br />
betico e altre merci delle province ispaniche in<br />
Italia: in effetti, tra i pochi personoggi noti dall’epigrafi<br />
a della città vi sono proprio due navicularii,<br />
entrambi seviri augustali (i liberti L. Secundus<br />
Eleutherius e M. Frontonus Euporus).<br />
Tuttavia, a differenza di altre città, non si hanno<br />
notizie ad Arles di donazioni effettuate da<br />
seviri, nè da altri esponenenti del ceto comerciale.<br />
Il solo atto di <strong>evergetismo</strong> noto epigrafi -<br />
camente è invece dovuto ad un duoviro che fu<br />
anche fl amen: si tratta di un C. Iunius Priscus<br />
che dona ob honorem quinquennalitatis un podium<br />
novum cum ianuis all’anfi teatro, dove<br />
appunto era collocata l’iscrizione, e signa duo<br />
Neptuni argentea ad ornamentum basilicae, e<br />
del quale la grande disponibilità fi nanziaria è<br />
confermata dal fatto che aggiunge 200.000 sesterzi<br />
alla summa honoraria già promessa. Sono<br />
comunque noti altri personaggi dai quali ci si<br />
potrebbero aspettare simili donazioni, quali il<br />
fl amen Romae et Augusti L. Donnus Flavos,<br />
il fl amen e patrono dei navicularii di Arles Cn.<br />
Cornelius Optatus e il fl amen Q. Iulius.<br />
Ma il fatto che uno dei patroni della città<br />
fu L. Cassio Longino, console nel 39 d.C.<br />
e marito della fi glia di Germanico, Drusilla,<br />
e che ad esso gli abitanti di Arles esprimano<br />
riconoscenza, ci getta uno spiraglio sulla<br />
continuità degli stretti rapporti della città con<br />
Roma e sui possibili veicoli attraverso cui cui<br />
erano resi disponibili materiali costosi quali i<br />
marmi imperiali.<br />
Teatro di Merida<br />
Il caso più evidente di un diretto rapporto<br />
tra interventi di Augusto e Agrippa in <strong>ed</strong>ifi ci<br />
di spettacolo e il ruolo –questa volta politico e<br />
militare– della città in cui ciò si verifi ca è Merida,<br />
capitale di una provincia nuova rispetto<br />
alle già esistenti Citerior e Ulterior. Il teatro<br />
(fi gg. 20, 21) fu d<strong>ed</strong>icato da Agrippa nel 15<br />
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34 Patrizio Pensabene<br />
a.C., sebbene pare che già alla fi ne dello stesso<br />
secolo vi sia stato un rifacimento della frons<br />
scaenae: in ogni caso in questa fase il materiale<br />
impiegato per la scena doveva essere il granito<br />
locale rivestito di stucco, come prova la pietra<br />
delle iscrizioni d<strong>ed</strong>icatorie di Agrippa poste<br />
all’entrata dell’aditus maximus e dei capitelli<br />
ionici del portico postscenico, di cui si conservano<br />
molti esemplari 53 ; altri frammenti sono<br />
stati reimpiegati nell’opera cementizia del podio<br />
54 . Tra il tardo I e l’età adrianea la scena fu<br />
del tutto rifatta, con un’articolazione in abside<br />
centrale e due nicchie rettangolari ai lati e con<br />
due ordini sovrapposti di colonne, ma di questa<br />
fase non si conoscono dati epigrafi ci che<br />
c’informino sui patroni e gli imperatori sotto i<br />
quali avvenne la ricostruzione della scena e chi<br />
furono i fi nanziatori.<br />
La fase di Agrippa vide, dunque, l’uso del<br />
granito delle cave locali nell’embalse romano<br />
di Proserpina, nelle località attuali di Cuarto<br />
53 BARRERA ANTÓN, J.L. de la (1984): 99.<br />
54 NOGALES BASARRATE, T. (2003): 67.<br />
55 ÁLVAREZ SÁENZ DE BURUAGA, J. (1982): 303.<br />
Fig. 20. Teatri di Merida e Italica (da F. Sear, 2006)<br />
de la Charca e di Quarto de la Jara, dove restano<br />
molti segni dello sfruttamento romano. La<br />
fase successiva (fi g. 22) utilizza ancora le cave<br />
locali di un calcare grigio a venature parallele<br />
(che ricordano il cipollino grigio) delle sierrecillas<br />
di Araya e Carija ancora presso Proserpina,<br />
mentre le trabeazioni, le basi e i capitelli<br />
sono del <strong>marmo</strong> bianco delle cave di Estremoz,<br />
ad una cinquantina di km da Merida 55 . Il<br />
<strong>marmo</strong> rosso, caratterizzato dalla presenza di<br />
fossili, dello zoccolo del podio delle scena, su<br />
cui poggiano le colonne, proviene da Alconera,<br />
vicino a Zafra nella provincia di Badajoz<br />
Evidentemente la lontananza dal mare di<br />
Merida e la non navigabilità del Guadalquivir<br />
rese diffi cile collegare la prima <strong>ed</strong>ilizia di committenza<br />
imperiale all’uso del <strong>marmo</strong> d’importazione,<br />
per cui inizialmente si utilizzò il granito,<br />
ma per la quale si rimase f<strong>ed</strong>ele rispetto<br />
al modello di urbanizzazione basato sul foro<br />
(dominato dal Tempio di “Diana”, ancora in
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 35<br />
Fig. 21. Merida, Teatro, frontescena<br />
Fig. 22. Merida, Teatro, particolare del frontescena<br />
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36 Patrizio Pensabene<br />
Fig. 23. Cartagena, Teatro, capitello corinzio<br />
granito) e sul teatro: solo l’apertura e l’organizzazione<br />
delle vicine cave di Estremoz rese<br />
possibile la trasformazione della città dal nero<br />
(il colore del granito locale, che era comunque<br />
rivestito di stucco dipinto) al bianco (il <strong>marmo</strong><br />
di Estremoz). Quello lunense rimase utilizzato<br />
soprattutto per la scultura rappresentativa<br />
(v. i probi viri del Foro di Marmo e vari altri<br />
ritratti imperiali), nel cui ambito spesso si registrò<br />
l’importazione di manufatti già sbozzati o<br />
semilavorati, come proprio le statue di grandi<br />
dimensioni dei togati.<br />
Teatro di Cartagena<br />
Abbiamo iniziato per le province ispaniche<br />
con il teatro di Merida che risulta il più antico<br />
tra quelli fondati in età augustea, ma per il<br />
56 CHECA MONTERROSO, A. (2003): 279-297, in particolare p. 286.<br />
57 RAMALLO ASENSIO, S.F. (1992): 49-73; ID. (1996): 307-309.<br />
quale, come si è visto, il processo di <strong>marmo</strong>rizzazione<br />
non è collegabile con questa fase<br />
più antica. Ma proprio per gli <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong><br />
ispanici si hanno testimonianze sia epigrafi che,<br />
sia archeologiche, che illustrano il collegamento<br />
tra ricerca sulle committenze e ricerca sugli<br />
aspetti della cultura materiale legati all’uso del<br />
<strong>marmo</strong> e alla scelta delle offi cine. Ma di particolare<br />
interesse sono due teatri augustei, quelli<br />
di Cartagena e Cordoba perché sono stati<br />
costruiti, o almeno iniziati, quasi contemporaneamente<br />
ai teatri di Marcello e di Balbo e a<br />
quelli del Lazio della Campania e dell’Umbria<br />
che s’ispirano ad essi (Ostia, Cassino, Gubbio,<br />
Spoleto, ecc.) e anche perché sono tra i primi<br />
<strong>ed</strong>ifi ci a fornire importanti informazioni sull’introduzione<br />
del <strong>marmo</strong> lunense in Hispania<br />
Ma, mentre il teatro di Cartagena ha la cavea<br />
appoggiata sul declivo, quello di Cordoba segue<br />
f<strong>ed</strong>elemente il linguaggio urbano anche<br />
per il fatto di presentare la cavea interamente<br />
sostruita: su un totale di 23 teatri in Hispania<br />
solo quelli di Cordoba e di Caesaraugusta presentano<br />
questo sistema, mentre gli altri continuano<br />
a essere costruiti, secondo la tradizione<br />
campana e latina, con sistemi di sostegno della<br />
cavea misti 56 (basti citare i teatri di Cales, di<br />
Teano tardorepubblicani e di Bonomia con la<br />
cavea in parte appoggiata e in parte sostruita).<br />
Con il teatro di Cartagena (fi g. 18), sopra<br />
le cui aditus, sono state trovate d<strong>ed</strong>iche<br />
a C e L. Cesare, i fi gli adottivi di Augusto 57 ,<br />
si è di fronte ad un’organizzazione altamente<br />
sviluppata delle offi cine incaricate di scolpire e<br />
mettere in opera gli elementi del frontescena:<br />
essa ci è testimoniata da un insieme di sigle di<br />
collocazione conservate sui piani di posa e di<br />
appoggio sia dei rocchi dei fusti in travertino<br />
rosso (si tratta di una pietra con cambiamenti<br />
cromatici che ricordano l’alabastro e di cui<br />
vi è certamente un affi oramento nelle cave di
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 37<br />
Cerro de la Almagra, presso Mula, nella regione<br />
di Murcia 58 ), sia delle basi e dei capitelli<br />
in <strong>marmo</strong> lunense (fi gg. 23-25) 59 . I caratteri<br />
latini di queste iscrizioni sono talvolta molto<br />
regolari, altre volte più correnti, ma in ogni<br />
caso attestano un cantiere altamente organizzato<br />
dove il progetto architettonico del teatro<br />
(reso possibile attraverso cartoni, modelli?)<br />
messo a disposizione dall’architetto consentì<br />
agli impresari <strong>ed</strong>ilizi che avevano l’incarico<br />
della realizzazione degli elevati- di stabilire<br />
preliminarmente la posizione dei singoli pezzi,<br />
compreso l’attacco tra i vari elementi della<br />
Fig. 24. Cartagena, Teatro, retro del prec<strong>ed</strong>ente<br />
58 RAMALLO ASENSIO, S.F., ARANA CASTELLO, R. (1987): 97ss.<br />
59 RAMALLO ASENSIO, S.F. (1993); (1996): 226, fi g.5.<br />
trabeazione: anzi, i pezzi erano forse stati collocati<br />
in una spianata accanto al teatro e già<br />
accostati –in particolare le trabeazione– secondo<br />
la posizione che avrebbero assunto. Altre<br />
sigle (B.V) sono invece da interpretare come<br />
le iniziali dei capo-offi cina dei <strong>marmo</strong>rari che<br />
avevano scolpito i capitelli e forse erano state<br />
apposte già presso le cave di Luni, se i capitelli<br />
erano giunti semilavorati a Cartagena.<br />
Ci troviamo di fronte, probabilmente, ad<br />
un architetto e ad un’offi cina specializzata nella<br />
rifi nitura di capitelli e basi che venivano da<br />
fuori, forse inviati dai grandi benefattori della<br />
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38 Patrizio Pensabene<br />
Fig. 25. Cartagena, Teatro, capitello corinzio; piano d’appoggio con sigla numerale<br />
città, C. e L. Cesare, e inizialmente con ogni<br />
probabilità, dallo stesso loro padre, Agrippa,<br />
che fu patrono e duoviro di Cartagena 60 , anche<br />
se l’<strong>ed</strong>ifi cio scenico, per i suoi caratteri stilistici,<br />
deve essere stato terminato dopo la sua morte<br />
avvenuta nell’11 a.C., e forse <strong>negli</strong> anni tra il<br />
5 e l’1 a.C. a cui si data l’altare d<strong>ed</strong>icato a C.<br />
Cesare nel teatro 61 : i fi gli di Agrippa avrebbero<br />
così contribuito a terminare l’opera eventualmente<br />
promossa del padre, che aveva visitato<br />
la città tra il 19 e il 18 a.C. 62 ; al fi nanziamento<br />
è possibile, tuttavia, che abbiano partecipato<br />
anche ricchi notabili di Cartagena, come il<br />
magistrato locale L. Iunius Paetus, che d<strong>ed</strong>ica<br />
l’altare sopracitato di C.Caesar <strong>ed</strong> un altro alla<br />
Fortuna, sempre ritrovato nel teatro 63 .<br />
L’affermazione di una presenza di maestranze<br />
itineranti nasce dal fatto che prima<br />
di questo <strong>ed</strong>ifi cio non sono noti a Cartagena<br />
elevati architettonici né con uso del <strong>marmo</strong><br />
60 Sui patroni della familia Caesaris: ABASCAL, J.M., RAMALLO ASENSIO, S.F. (1997): 116-121, n. 13-14 (C.<br />
Caesar), pp. 121-122, n. 15 (L. Caesar), pp. 173-175, n. 42 (Tiberius), pp. 175-177, n. 42 (Agrippa), pp. 191-<br />
193, n. 49 (Iuba II); gli autori propongono anche che lo stesso Augusto sia stato patrono della città; Cf. anche<br />
RAMALLO ASENSIO, S.F. (1999): 29.<br />
61 Ibidem: 38.<br />
62 Anche nel caso di Nimes, visitata nel 20-19 a.C. da Agrippa che ne divenne patrono (CIL XII, 3153, 3154), si ha la<br />
testimonianza che uno dei suoi fi gli C.Cesare ne assunse il patronato (CIL XII, 3155): AMY, R., GROS, P. (1979):<br />
194.<br />
63 RAMALLO ASENSIO, S.F. (1998): 134; ID. (1999): 34.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 39<br />
nella trabeazione, nei capitelli e nelle basi, né<br />
con questo stile decorativo (solo ora sta emergendo<br />
un grande complesso legato al culto<br />
imperiale in località Molinetes, con grande<br />
dispiego di <strong>marmo</strong> lunense, ma probabilmente<br />
successivo, anche se di poco, al teatro), ma soprattutto<br />
dal fatto che il progetto del teatro era<br />
perfettamente consono alle nuove architetture<br />
<strong>teatrali</strong> diffuse nell’età augustea e direttamente<br />
dipendenti dal modello del teatro di Marcello.<br />
Nell’Hispania romana il teatro di Cartagena è<br />
il primo <strong>ed</strong>ifi cio di spettacolo <strong>marmo</strong>rizzato e<br />
questo, ripetiamo, non può che essere dovuto<br />
al favore di Agrippa e di altri illustri benefattori<br />
della città. Finora resta un unicum anche<br />
per Cartagena stessa, perché l’uso del <strong>marmo</strong><br />
non compare ad esempio nell’elevato architettonico<br />
del piccolo Augusteo recentemente<br />
sistemato (come v<strong>ed</strong>remo da non identifi care<br />
con il tempio del divo Augusto noto dalle<br />
monete, ma con un tempio degli augustales):<br />
qui le colonne erano nel calcare locale,<br />
lo stesso le basi, di cui restano in situ alcuni<br />
esemplari; di <strong>marmo</strong> era invece il lussuoso opus<br />
sectile pavimentale, nel quale trovano impiego<br />
sia marmi colorati d’importazione, sia marmi<br />
locali.La conoscenza anche degli altri marmi<br />
e pietre impiegati in questo teatro, inoltre, è<br />
importante perchè, essendo ben datato ai primi<br />
anni della nostra era (1-5 d.C.), ci consente<br />
di sapere con certezza quali e quanti erano i<br />
marmi allora importati in Hispania. B. Soler<br />
ha intrappreso una’analisi quantitativa e volumetrica<br />
d tutti i frammenti <strong>marmo</strong>rei scoperti<br />
nel teatro, identifi cando le quantità totali: furono<br />
impiegati 76,63 m 3 di <strong>marmo</strong> lunense,<br />
5,37 m 3 di <strong>marmo</strong> colorato e 121,25 m 3 di<br />
travertino rosso locale (fi g. 26), cioè quasi il<br />
doppio del <strong>marmo</strong> lunense Inoltre la Soler ha<br />
effettuato l’identifi cazione delle combinazioni<br />
cromatiche che caratterizzano l’<strong>ed</strong>ifi cio nei<br />
suoi differenti momenti di vita, in alcuni casi<br />
modifi cate con l’applicazione di uno strato di<br />
pittura sugli elementi <strong>marmo</strong>rei. Per ciò che<br />
Fig. 26. Cartagena, Teatro, fusto in travertino rosso dalla<br />
scena<br />
riguarda i fusti delle colonne è signifi cativo che<br />
nel teatro di Carthago Nova fosse impiegato il<br />
travertino rosso locale e non marmi d’importazione,<br />
come invece era avvenuto quasi nello<br />
stesso periodo nel Teatro di Arles, del 20-10<br />
a.C. circa, dove si utilizzano fusti in bardiglio,<br />
africano, giallo antico, lo stesso in città della<br />
Campania (Nocera) e del Lazio Meridionale<br />
(Cassino). Tuttavia nel teatro di Carthago già<br />
nella sua prima fase l’apparato decorativo comprendeva<br />
anche Africano, Giallo Antico, Pavonazzeto,<br />
Cipollino, Breccia di Sciros e Breccia<br />
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40 Patrizio Pensabene<br />
Corallina per le lastre di rivestimento a signifi -<br />
care che l’investimento dei benefattori non si<br />
volle o potè spingere fi no all’acquisizione di<br />
fusti delle stesse pietre imperiali. Ma la scelta<br />
del travertino rosso ci da altre importanti informazioni<br />
proprio sulla posizione sociale dei<br />
donatori di questi fusti. Innanzitutto il suo volume<br />
(121,25 m 3 ), confrontato con quello del<br />
lunense, ci permette di valutare il sovrapprezzo<br />
che avrebbe comportato l’utilizzazione di fusti<br />
in marmi d’importazione e ipotizzare, quindi,<br />
qualche dato sui committenti.<br />
Qual’è, dunque, il ruolo di personaggi<br />
locali come i Postumii o L. Iunius Paetus, o<br />
di membri della casa imperiale come i fi gli di<br />
Augusto, Caius e Lucius Caesar, nella realizzazione<br />
del teatro? E’ possibile che entrambi<br />
i fi gli di Augusto, patroni della città abbiano<br />
occupato magistrature civiche, partecipado<br />
alla costruzione dell’<strong>ed</strong>ifi cio, comesi potrebbe<br />
d<strong>ed</strong>urre dall’alto numero di d<strong>ed</strong>iche tributate<br />
loro nel teatro e in altri luoghi della città, o<br />
anche che la sua costruzione sia stata iniziata<br />
da Agrippa e terminata dai suoi fi gli dopo la<br />
sua morte; tuttavia possiamo includere tra i<br />
personaggi che contribuirono alla costruzione<br />
del teatro L. Iunius Paetus, sulle cui possibilità<br />
fi nanziarie abbiamo informazioni d<strong>ed</strong>otte dal<br />
recente ritrovamento di un lingotto di piombo<br />
a Magdalensberg: nel cartiglio appare C.<br />
Iunius Paetus, fi glio di Lucius, dato che documenta<br />
la relazione della sua famiglia con la<br />
metallurgia del piombo e che podrebbe spiegare<br />
le realizzazioni energetiche di Paetus nel<br />
teatro: si spiegano in tal modo anche le due<br />
are in lunense, decorate con motivi ornamentali<br />
provenienti da un ambiente strettamene<br />
urbano (Roma). Inoltre è possibile che la famiglia<br />
abbia avuto interessi nello sfruttamento<br />
delle cave locali e più specifi catamente del<br />
64 RAMALLO ASENSIO, S.F., ARANA CASTELLO, R., (1987).<br />
65 CIL II, 2191; CIL II2 /7, 225.<br />
66 VENTURA, A. et alii (2002): 123 ss.<br />
travertino rosso, dati il suo diffuso impiego a<br />
Carthago e nella sua regione, sia nell’<strong>ed</strong>ilizia<br />
pubblica come pivata 64 . E’ certo che nel teatro<br />
furono impiegati in differenti funzioni arenisca,<br />
calcari, oltre al travertino rosso, ma questo<br />
è l’unico materiale estratto da cave locali che<br />
poteva essere utilizzato come pietra di “sostituzione”,<br />
e per questo doveva avere un certo<br />
valore economico.<br />
Teatro di Cordoba<br />
In effetti, dal I secolo d.C. in poi, in Hispania<br />
si stabilisce una relazione continua tra<br />
pietre e marmi locali e quelli d’importazione e<br />
si conosce sempre di più il ruolo delle offi cine<br />
provinciali, in particolare quelli di Cordoba,<br />
che si muovono in tutta la ricca provincia. Ma<br />
a Cordoba, divenuta colonia nel 25 o nel 15<br />
a.C. il teatro, considerato il più grande della<br />
Spagna (diametro m.124, altezza dal piano<br />
dell’orchestra m.30), venne costruito o almeno<br />
terminato apparentemente dopo quello di<br />
Cartagena, anche se a distanza di pochi anni, a<br />
giudicare dai capitelli e dalla probabile provenienza<br />
da esso di un altare d<strong>ed</strong>icato in questa<br />
data alla Fortuna (che fa pensare ad una data<br />
intorno al 5 d.C.) 65 : esso presentava la scena<br />
<strong>marmo</strong>rea decorata secondo il nuovo stile augusteo<br />
e nel quale di nuovo si scorge l’attività<br />
di <strong>marmo</strong>rari itineranti. Sono state rilevate sigle<br />
di cava M . P sulle cornici in calcare micritico<br />
della Sierra Morena, che dovevano appartenere<br />
al fronte esterno della cavea: si è proposto<br />
di sciogliere la sigla in Mercellones Persini,<br />
importante famiglia equestre della città, forse<br />
proprietaria delle cave da cui furono prelevate<br />
le pietre o forse, con questa sigla, intenzionata<br />
ad affermare la loro partecipazione alla costruzione<br />
del teatro 66 : in effetti l’<strong>ed</strong>ifi cio è ritenuto
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 41<br />
il frutto dell’evergesia urbana, ad opera dei più<br />
ricchi della nuova élite coloniale. Nei suoi scavi<br />
si sono trovati fusti di Africano, Verde Antico<br />
e Cipollino, alcuni dei quali sicuramente<br />
appartenevano alla fase augustea della costruzione<br />
(ad eccezione del verde antico utilizzato<br />
solo dal II sec.d.C., ma che attesta un restaurio<br />
della scena), ma più rilevante ancora è che<br />
tutta la gradinata della cavea sia in <strong>marmo</strong>.<br />
Proprio l’uso di questi fusti e la grande quantità<br />
di <strong>marmo</strong> bianco utilizzato non solo nelle<br />
trabeazioni della scena, ma nella cavea, rivela<br />
il modello dei grandi teatri urbani, alla stessa<br />
stregua d’altronde del Forum Novum, in <strong>marmo</strong><br />
lunense, costruito, qualche anno dopo, ad<br />
immagine del Foro di Augusto; anzi, nonostante<br />
l’impianto della cavea sia stata inserita<br />
in un ripido pendio, essa non è appoggiata,<br />
bensì sostruita da un insieme di ambulacri e<br />
scalinate, come nei teatri del Campo Marzio,<br />
pur mantenendo la funzione di spazio di comunicazione<br />
tra i vari livelli di Cordoba e in<br />
particolare con la terrazza superiore, per cui il<br />
teatro si proetta sulla città come decoro scenografi<br />
co e non rimane conchiuso in se stesso 67 :<br />
resta il fatto che costituisce il primo esempio<br />
di teatro sostruito in Hispania <strong>ed</strong> è evidente la<br />
volontà di rifarsi ai modelli di Roma e anche<br />
alle lo dimensioni, essendo di poco minore del<br />
teatro Marcello, anche se l’adozione dell’opus<br />
quadratum, e non del caementicium, porterà<br />
inevitabilmente con se varie differenze tecniche<br />
e anche formali.<br />
L’offi cina <strong>marmo</strong>raria italica, giunta nelle<br />
due città per la realizzazione dei progetti <strong>teatrali</strong>,<br />
lavorò certamente insieme a maestranze<br />
locali riservando per sé la scultura dei capitelli<br />
e probabilmente delle modanature decorate<br />
più importanti della trabeazione (sima delle<br />
cornici del primo ordine, fregi scolpiti, etc.);<br />
a quelle locali, invece, vennero lasciate le<br />
67 CHECA MONTERROSO, A. (2004): 279-297, in particolare pp. 281-282.<br />
modanature meno visibili e più strette delle<br />
trabeazioni del primo ordine e delle porte e<br />
le trabeazioni del secondo e terzo ordine, o<br />
almeno buona parte di esse . Si deve infatti<br />
ritenere che le maestranze locali fossero più<br />
numerose di quelle itineranti italiche che<br />
accompagnarono il carico dei marmi lunensi<br />
e che al massimo saranno state composte<br />
da una dozzina di unità: a queste tuttavia fu<br />
affi data l’organizzazione della scultura e dell’assemblaggio<br />
degli elementi e forse insieme<br />
ad esse era venuto l’architetto. Inoltre queste<br />
maestranze apportarono in Hispania lo stile<br />
che era stato elaborato nel cantiere del Foro<br />
di Augusto, segnando anche per le province<br />
spagnole il passaggio più o meno progressivo<br />
tra lo stile del II triumvirato e lo stile della<br />
piena età augustea: il primo continua ancora<br />
ad essere utilizzato per buona parte dell’epoca<br />
augustea (teatro di Tarragona, Tempio di<br />
Barcellona, monumenti del foro di Saragozza)<br />
quando s’impiegano i calcari e le arenische del<br />
posto, a cui evidentemente erano abituate le<br />
maestranze locali formatesi nel periodo triunvirale,<br />
mentre l’apparizione del nuovo stile<br />
coincide con la presenza del <strong>marmo</strong> lunense e<br />
di marmi locali che lo imitano.<br />
Infi ne, per giudicare appieno l’impatto celebrativo<br />
e propagandistico in primo luogo del<br />
potere imperiale svolto da questi teatri nella<br />
compagine sociale dell’epoca si dovrebbe conoscere<br />
con maggiori particolari il programma<br />
statuario: per quello di Carthagena è possibile<br />
ipotizzare la presenza almeno di un ritratto di<br />
membri della famiglia imperiale se il giovane<br />
atleta nudo in pentelico, rinvenuto <strong>negli</strong> scavi<br />
della scena, presentatava la testa di Caio o di<br />
Lucio Cesare. E’ probabile, comunque, che<br />
anche in questi due teatri alle statue del frontescena<br />
doveva essere affi dato il messaggio<br />
dell’esaltazione dinastica imperiale, se esse,<br />
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X<br />
42 Patrizio Pensabene<br />
come nell’es<strong>ed</strong>ra della porticus post scaenam<br />
del teatro di Merida, rappresentavano Augusto<br />
e la sua famiglia 68 , <strong>ed</strong> è stato rilevato come<br />
di preferenza Augusto si sia fatto rappresentare<br />
capite velato, con insistenza , dunque, sulla<br />
pietas dell’imperatore 69 .<br />
Teatro di Italica<br />
Ma per comprendere meglio il ruolo del<br />
<strong>marmo</strong> come fonte di informazione sulle classi<br />
sociali dell’epoca si deve affrontare anche il<br />
teatro d’Italica, in cui si manifesta una notevole<br />
importazione di fusti dal M<strong>ed</strong>iterraneo<br />
orientale 70 .<br />
Nel teatro di Italica (fi g. 20), costruito per<br />
la prima volta in età augustea, il duoviro L.<br />
Blattius Traianus Pollio compare in un’iscrizione<br />
monumentale, originariamente in lettere<br />
di bronzo inserite in lastre <strong>marmo</strong>ree, che<br />
corre tutt’intorno all’orchestra del teatro e<br />
celebra il fi nanziamento dell’orchestra e del<br />
podio (probabilmente del suo rivestimento<br />
<strong>marmo</strong>reo) fatto da lui e dal suo collega C.<br />
Traius Pollio 71 ; L. Herius, due volte duumvir<br />
e pontifex Augusti, donò invece archi e portici<br />
pertinenti forse al lato occidentale della piazza<br />
porticata sul retro del teatro, mentre gli altri<br />
lati sembrano appartenere al II sec.d.C. 72 .<br />
Le iscrizioni vanno datate agli inizi del pe-<br />
riodo tiberiano in quanto i personaggi sono<br />
stati tra i primi pontefi ci creati da Augusto,<br />
dopo che la città ricevette lo statuto municipale<br />
(pontifi ces prim[i creati] Augusto orchestram<br />
pros[caeni]um itinera aras signa de sua<br />
P(ecunia) faciendum) c(uraverunt) 73 ; Pontifex<br />
creatus Augusto primus municipio pollicitus<br />
ex [p]atrim[onio suo ar]cus... de sua pecunia<br />
d<strong>ed</strong>it idemque d<strong>ed</strong>icavit 74 ). Resta comunque<br />
sicura una seconda fase piuttosto importante<br />
del teatro da collocare in età adrianea 75 , che<br />
pare testimoniata dall’uso del laterizio, con<br />
tecnica simile a quello impiegato nella nova<br />
urbs, nell’attuale podio che si addossa al prec<strong>ed</strong>ente<br />
balteus in <strong>marmo</strong> 76 e nel frontescena e<br />
alla quale forse possiamo attribuire le magnifi -<br />
che statue di grandezza maggiore del vero in<br />
<strong>marmo</strong> pario, lì ritrovate (Hermes, Artemis e<br />
Venus) 77 . A questa fase potrebbero attribuirsi<br />
alcuni capitelli corinzi e compositi (primo e<br />
secondo ordine del frontescena?) in <strong>marmo</strong><br />
proconnesio ora conservati mel Museo di Siviglia,<br />
provenienti da Italica; alcuni di essi sono<br />
stati messi in opera in un portico ricostruito in<br />
una delle sale 78 del museo utilizzando anche<br />
colonne di cipollino da Italica uguali a quelle<br />
del teatro ancora in situ, depositate (fi g. 27)<br />
in gran numero presso la scena (alcune con<br />
sigle di cava sul piano di posa del sommoscapo<br />
ancora grezzo). Con la datazione adrianea<br />
68 Cf. da ultimo ARCE, J. (2002): 237-240 e bibl. citata.<br />
69 ZANKER, P. (1987).<br />
70 RODRÍGUEZ GUTIÉRREZ, O. (2000): 130-131.<br />
71 BLANCO FREIJEIRO, A. (1977): 134; LUZÓN NOGUÉ, J.M. (1982): 186; GONZÁLEZ, J. (1991): 55, n.<br />
83. La proposta della datazione si basa sul termine post quem dato dall‘elevazione a colonia da parte di Adriano<br />
(SYME, R. [1964]: 142). Nello stesso teatro la decorazione pittorica sarebbe stata fi nanziata d L. Licinio Sura:<br />
CANTO, A.Mª (1985): 232-235, n. 48.<br />
72 CORZO, R. (1991): 127.<br />
73 ERI, 49.<br />
74 BRAH, 180 (1983): 13-15.<br />
75 CANTO, A.Mª (1982): 145.<br />
76 ROLDÁN GÓMEZ, L. (1994): 77ss., 220. Cf. CORZO, R. (1992).<br />
77 GARCÍA Y BELLIDO, A. (1949): nn.64, 140, 155.<br />
78 PENSABENE, P. (1993): 302, fi g. 12. Anche alcune cornici del Museo di Siviglia, ma provenienti da Italica,<br />
paiono ugualmente poter aver fatto parte della fase adrianea del teatro, in quanto, in analogia ai capitelli, sono da<br />
attribuire ad offi cine di Roma o di Ostia che conservano ancora nei primi decenni del II sec.d.C. la tradizione fl avia:<br />
ID. (1996): tavv.1, 2-4, 2,2.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 43<br />
si accorda l’epoca di costruzione della grande<br />
terrazza sul lato meridionale del teatro, alcuni<br />
resti di rifacimenti della cavea con muri in<br />
opus africanum e la data attribuita ad un altro<br />
intervento evergetico relativo alla decorazione<br />
pittorica del pulpitum, dovuta a [L(ucius)<br />
Licinius] Sura 79 . Ma alla fi ne del II secolo o<br />
agli inizi del III secolo d. C. si realizza un rinnovamento<br />
generale dell’area della scena che<br />
riguardò soprattutto la ricostruzione degli<br />
ordini architettonici, probabilmente riutilizzando<br />
i fusti e capitelli ancora in buono stato,<br />
Fig. 27. Italica, Teatro, fusto in cipollino<br />
insieme ad altri di nuova fattura 80 , dove sono<br />
impiegati marmi bianchi diversi (Almaden de<br />
La Plata, Proconnesio) (fi gg. 28-31).<br />
Ma nel teatro di Italica è stato trovato un<br />
altare poligonale, che doveva essere collocato<br />
in una delle nicchie del fronte del podio in cui<br />
un M. Cocceius Iulianus (con il fi glio Quirinus<br />
e la moglie Iunia Africana) commemora la<br />
sua donazione di due columnas carystias e di<br />
un epistylium cum cancellis aereis: l’iscrizione<br />
è stata datata agli inizi del III sec. d.C., quando<br />
evidentemente devono essersi resi necessa-<br />
79 ERI, 48.<br />
80 Per un capitello corinzio rinvenuto nell’area della scena: LUZÓN NOGUÉ, J.Mª (1982): 188, fi gg. 8, 9;<br />
GUTIÉRREZ BEHEMERID, M.A. (1992 ): n. 470.<br />
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X<br />
44 Patrizio Pensabene<br />
Fig. 28. Italica, Teatro, cornice<br />
Fig. 29. Italica, Teatro, fregio<br />
81 Ibidem: nn. 648-653.<br />
82 CANTO, A.Mª (1973): 311 ss.<br />
83 RODRÍGUEZ GUTIÉRREZ, O. (2001): 138 ss., fi gg. 1-4.<br />
84 EAD. (2004): 1357.<br />
85 Ibidem: 1357.<br />
ri lavori di restauro, forse proprio della scena,<br />
a cui partecipano con donativi i maggiorenti<br />
locali, e come prova tutta una serie di capitelli<br />
corinzi asiatici, alcuni ancora nell’area<br />
del teatro, altri nel Monastero di S.Isidoro<br />
del Campo di Santiponce e nel Museo di<br />
Siviglia (di nuovo messi in opera nel portico<br />
sopradetto) attribuibili all’età severiana 81 . Si<br />
può forse precisare una data intorno agli anni<br />
209-211, ai quali risalgono due altari gemelli<br />
riutilizzati in epoca tarda nell’hyposcaenium e<br />
d<strong>ed</strong>icati a M. Lucretius Iulianus curator della<br />
città 82 . Gli interventi dei donatori locali servì,<br />
dunque, ad integrare le colonne e altri materiali<br />
della prec<strong>ed</strong>ente scena che non poterono<br />
essere riutilizzati, mentre in molti casi è documentata<br />
un’attenta opera di restauro dei fusti<br />
già usati 83 . Materiale di reimpiego venne messo<br />
in opera anche nelle nicchie del pulpito,<br />
creando una sorta di opus sectile 84 . Tutto ciò<br />
spiega perché anche le trabeazioni della scena<br />
sono scolpite in marmi bianchi differenti<br />
(Proconnesio, Almadén de la Plata e Lunense).<br />
E’ stato affermato che le caratteristiche<br />
dell’<strong>ed</strong>ifi cio scenico, con il fronte colonnato<br />
notevolmente distanziato dal muro di fondo<br />
rettilineo (e limitato nella sua funzione<br />
strutturale appunto per questa distanza) ha<br />
favorito la sostituzione della decorazione nel<br />
periodo severiano 85 . In ogni caso l’intervento<br />
severiano rappresenta un fenomeno piuttosto<br />
signifi cativo perchè in epoca severiana alcuni<br />
dei più importanti teatri ispanici, come quelli<br />
di Tárraco, Córdoba e Carthago Nova, sono<br />
abbandonati.<br />
Anche le modalità d’impiego del <strong>marmo</strong>,<br />
dunque, forniscono un contributo per stabilire<br />
la differenza tra gli evergeti di un <strong>ed</strong>ifi cio
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 45<br />
e l’altro. Nel caso del teatro di Italica abbiamo<br />
d<strong>ed</strong>otto l’intervento di evergeti locali che<br />
contribuirono insieme alla costruzione e alle<br />
ricostruzioni dell’<strong>ed</strong>ifi cio. Lo si è dimostrato<br />
perchè vi è l’evidenza che le colonne nuove<br />
sono state donate da evergeti che potevano<br />
fornire solo un numero limitato di fusti: nella<br />
citata ara esagonale iscritta, in <strong>marmo</strong> proconnesio,<br />
che era situata davanti al murus pulpiti,<br />
si fa riferimento al dono di sole due colonne in<br />
<strong>marmo</strong> Caristio e anche di un architrave con<br />
rejas di bronzo da parte di un possibile magistrato<br />
della colonia, M. Cocceius Iulianus e<br />
la sua familia; in frammenti di scapi di fusti di<br />
86 EAD. (1997): 239, fi g. 14.<br />
Fig. 30. Italica, Teatro, capitello corinzio<br />
Caristio, di Portasanta, ma anche di Almaden<br />
de la Plata e di calcari conchigliferi locali stanno<br />
iscritto nomi abbreviati –LU(CI) EMILI /SE<br />
NS, PIP/PCV 86 –che per la loro grafi a regolare<br />
non possono essere confusi con sigle di cava,<br />
ma si devono identifi care con i nomi degli<br />
acquirenti che contribuirono a fi nanziare la<br />
decorazione del frontescena (nella spianata<br />
dietro la scena si conservano anche fusti frammentari<br />
di africano, di breccia corallina e, più<br />
piccoli, di pavonazzetto e, con scanalature<br />
tortili, di pavonazzetto o breccia de Sciro). A<br />
ciò si aggiunga il fatto che per le trabeazioni<br />
non sono utilizzati blocchi interi di <strong>marmo</strong>,<br />
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X
Mainake, XXIX / 2007 / pp. 7-52 / ISSN: 0212-078-X<br />
46 Patrizio Pensabene<br />
Fig. 31. Italica. Monumento sulla spianata al di sopra del<br />
teatro, capitello corinzio-asiatico<br />
ma lastre di rivestimento del nucleo strutturale<br />
realizzato con grandi blocchi di pietra calcare<br />
fossilifera e nuclei di opus caementicium 87 . E’<br />
evidente la necessità dirisparmiare il <strong>marmo</strong><br />
dato il suo costo elevato.<br />
Teatro di Tarragona<br />
In contrasto, il teatro di Tarragona, datato<br />
in epoca tardo augustea, presentava l’<strong>ed</strong>ifi cio<br />
scenico completamente realizzato in pietra<br />
locale articolato in nicchie e es<strong>ed</strong>re ospitanti<br />
statue di <strong>marmo</strong>. I primi elementi architettonici<br />
di <strong>marmo</strong> s’introdussero in un momento<br />
posteriore con la ricostruzione del pulpito in<br />
87 EAD. (2004): 360.<br />
88 PENSABENE P. (1993).<br />
89 GUTIÉRREZ BEHEMERID, M.A. (1992a): 99.<br />
<strong>marmo</strong> lunense e la pavimentazione delle sue<br />
es<strong>ed</strong>re in <strong>marmo</strong> nero, rosa e jaspeado rematado<br />
con listelli di Cipollino, studiata da Pérez<br />
Olm<strong>ed</strong>o: anche in questo caso mancano dati<br />
cronologici sicuri.<br />
Dell’elevato scenico suddiviso in tre ordini<br />
sono conservati nel museo numerosi<br />
frammenti delle cornici e capitelli in pietra<br />
locale <strong>ed</strong> anche alcuni rivestimenti in <strong>marmo</strong><br />
di semicolonne rudentate, che hanno fatto riconoscere,<br />
appunto, un uso molto oculato del<br />
<strong>marmo</strong>, forse limitato all’inquadramento della<br />
porta regia 88 .<br />
Gli elementi, nel calcare del posto, dovevano<br />
essere stuccati e di essi fanno parte alcuni<br />
capitelli corinzi nella tradizione del II triunvirato,<br />
quale espressa in Gallia ad esempio nel<br />
Teatro di Arles o in Tarraconense nel Tempio<br />
di Barcellona 89 : tuttavia non sono stati lavorati<br />
dalla stessa offi cina, in quanto uno (esposto<br />
nel museo) appare piuttosto accurato e vicino<br />
ai modelli (v.l’espansione delle foglie chiaramente<br />
articolate e la concavità dei lobi con<br />
mosse fogliette a sezione angolare), altri sono<br />
più piatti con monotone foglie d’acanto fi no<br />
ad arrivare ad esemplari con foglie molto semplifi<br />
cate con riduzione delle zone d’ombra tra<br />
i lobi. Ad una datazione tra il 30 e il 15 a.C. rimandano<br />
non solo l’iscrizione dell’epistilio di<br />
uno dei portali del teatro (da escludere anche<br />
per criteri epigrafi ci una cronologia sotto un<br />
diverso imperatore), ma anche i frammenti di<br />
cornice: nonostante la resa sommaria, riconoscibile<br />
nell’accentuato spessore del listello che<br />
separa la sima dalla corona, i motivi decorativi<br />
dei cassettoni (pigne, fi ori ad elica, con petali<br />
trilobati, ecc.) e la sottigliezza delle mensole<br />
(non rivestite da foglie d’acanto), rimandano<br />
allo stesso periodo.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 47<br />
Teatro di Malaga<br />
Nel teatro di Malaca una grande iscrizione<br />
incisa sul piano dell’orchestra ricorda donatori<br />
congiunti, per i quali si è supposto l’appartenenza<br />
al locale ordo decurionum, ma essendo<br />
mutila non sappiamo se di tutto l’<strong>ed</strong>ifi cio o<br />
solo di una parte: è comunque probabile, data<br />
la posizione e la monumentalità dell’epigrafe<br />
che il dono abbia riguardato almeno l’orchestra<br />
e il pulpito (in analogia a Italica) e forse<br />
anche la scena 90 . La recente obliterazione della<br />
Casa de la Cultura sopra la scena ne favorisce<br />
ora la lettura: si conservano due grandi basi<br />
nel <strong>marmo</strong> loale delle cave di Mija (di aspetto<br />
simile al proconnesio), le cui dimensioni<br />
(lato plinto cm.144 91 ) non solo confermano<br />
l’esistenza nel frons scaenae di due ordini sovrapposti<br />
di colonne, quelle inferiori alte probabilmente<br />
intorno ai 7 metri, ma consentono<br />
di ipotizzare che i grandi tronconi di colonne<br />
rudentate nel <strong>marmo</strong> bianco, reimpiegati<br />
nella porta d’ingresso all’Alcazaba potessero<br />
provenire dal teatro; alle colonne della porta<br />
regia potrebbe appartenere la base decorata<br />
di nuovo di grandi dimensioni, conservata<br />
nel museo archeologico dell’Alcazaba, mentre<br />
alla trabeazione della scena un elemento<br />
di cornice nel <strong>marmo</strong> di Mija appartenente<br />
ad una trabeazione sporgente e conservato<br />
nei giardini di nuovo dell’Alcazaba. Lo scopo<br />
di queste ipotesi, tutte da verifi care perchè a<br />
Malaca esistevano certamente altri complessi<br />
monumentali dove era utilizzato il <strong>marmo</strong> (ad<br />
esempio è noto epigrafi camente un tempio di<br />
Giove) è quello di evidenziare il contrasto tra<br />
Italica e Malaca proprio per l’uso del <strong>marmo</strong>,<br />
esclusivamente locale nella seconda, d’importazione<br />
e locale nella prima, che è da spiegare<br />
in funzione delle potenzialità delle classi dirigenti<br />
e della storia della città.<br />
90 Hispania Antiqua Epigraphica, 2249.<br />
91 PUERTAS, R. (1982): 205.<br />
Abbiamo detto, dunque, come una una<br />
diretta testimonianza di questa aspirazione<br />
ai marmi pregiati, quali erano quelli utilizzati<br />
a Roma nei primi teatri stabili della città, ci<br />
provenga già in epoca augustea da alcuni teatri<br />
della Gallia, della Hispania e italiani, che,<br />
con la precoce attestazione che essi offrono<br />
dell’uso di marmi lunensi e di pietre colorate<br />
d’importazione dall’Italia e dall’ Oriente,<br />
insieme a programmi decorativi fondati su<br />
esigenze celebrative e anche di culto imperiale,<br />
mostrano come proprio agli <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong><br />
fosse affi dato un ruolo chiave nella propaganda<br />
imperiale.<br />
4. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE:<br />
EVERGETISMO E TEATRI<br />
Le strette relazioni tra i programmi decorativi<br />
degli <strong>ed</strong>ifi ci pubblici, <strong>ed</strong> i messaggi politico-propagandistici<br />
a cui essi erano destinati<br />
coinvolgono anche le modalità di esecuzione<br />
del progetto architettonico, i materiali, la qualità<br />
di esecuzione, origine e formazione delle<br />
maestranze incaricate dei lavori. E’ stato solo<br />
attraverso la ricostruzione di tali relazioni che<br />
è divenuto possibile risalire alle classi dirigenti<br />
che delle realizzazioni dell’architettura pubblica<br />
si fecero promotrici e anche alle risorse<br />
economiche delle città e delle loro élites:<br />
quindi, tutta una serie di dati precipuamente<br />
archeologici derivanti dall’analisi delle strutture<br />
è stata utilizzata, insieme alle più rare<br />
fonti storico-epigrafi che, per meglio defi nire<br />
la committenza delle costruzioni pubbliche e<br />
le loro motivazioni.<br />
È ormai noto dalla storia degli studi come<br />
si debba distinguere, fi n dove è possibile, tra<br />
interventi evergetici di imperatori, di senatori<br />
e cavalieri (di origine locale o no che fossero),<br />
di membri di ceti dirigenti locali, quali gli ap-<br />
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48 Patrizio Pensabene<br />
partenenti agli ordines decurionum <strong>ed</strong> ai seviri<br />
augustales; un’ulteriore possibile distinzione è<br />
quella circa la natura dell’atto energetico, se<br />
ad opera di singoli o misto ovvero realizzato<br />
m<strong>ed</strong>iante un concorso di iniziativa pubblica e<br />
privata. In ogni caso, durante l’alto e m<strong>ed</strong>io<br />
impero le famiglie delle comunità cittadine,<br />
che per ricchezza e infl uenza politica possono<br />
permetterselo, tendono a impegnarsi notevolmente<br />
nel governo, nello sviluppo delle proprie<br />
città, compreso l’aspetto architettonicomonumentale<br />
92 .<br />
L’<strong>evergetismo</strong> architettonico da parte<br />
delle élites locali ebbe una tale risonanza nel<br />
corso dell’età imperiale da aver fatto parlare di<br />
esplosione del fenomeno durante l’età antonina<br />
e severiana soprattutto per l’Asia Minore e<br />
l’Africa, e in qualche misura, come dimostrano<br />
proprio gli interventi sugli <strong>ed</strong>ifi ci scenici di<br />
teatri già esistenti, anche per la Sicilia (Taormina<br />
e Catania), per l’Italia (Vibo Valentia,<br />
Ferento, Brescia,ecc.), per le province galliche<br />
e ispaniche, dove interventi di ricostruzione<br />
della scena nel II secolo d.C. sono segnalati<br />
a Merida, Italica, probabilmente Cordoba. In<br />
ogni caso l’amministrazione imperiale ritenne<br />
necessario regolamentare l’<strong>evergetismo</strong>, come<br />
mostrano le regole fi ssate in età antonina nel<br />
capitolo XII De Pollicitationibus (titolo 50)<br />
del Codex Iuris Civilis, in base a cui si sono<br />
potuti ricostruire i rapporti tra committenti, le<br />
comunità cittadine e i singoli costruttori.<br />
Pur tenendo conto che l’epigrafi a può<br />
fornire una visione della realtà antica corrispondente<br />
soprattutto alle intenzioni del<br />
committente e non alla realtà, o ancora, che<br />
le città, quando dirette committenti, potevano<br />
essere meno interessate rispetto ai privati a far<br />
constatare con insistenza nelle iscrizioni i denari<br />
spesi, resta comunque il dato percentuale<br />
rilevante di una committenza privata di gran<br />
lunga superiore di quella municipale, imperiale<br />
e delle comunità civiche e i collegia. Ma<br />
proprio per ciò che riguarda gli <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong>,<br />
i costi ingenti per la realizzazione dell’impresa<br />
rendono più comuni gli interventi congiunti<br />
delle città con i privati e anche con le associazioni,<br />
e in tal caso si ha un indizio prezioso<br />
sull’importanza di tali associazioni nella compagine<br />
cittadina: basti citare il caso del Teatro<br />
di Hierapolis in Frigia, dove il collegio dei tintori<br />
interviene nel completamente della scena<br />
<strong>marmo</strong>rea attraverso il donativo di una grossa<br />
quantità di <strong>marmo</strong> pavonazzetto, di cui menziona<br />
la misura. Inoltre particolari circostanze<br />
rendono più frequenti gli interventi direttamente<br />
imperiali, come è il caso del Teatro di<br />
Nicea, distrutto da un terremoto (di cui Plinio<br />
il Giovane -Ep. 10.39,3) dice huic teatro ex<br />
privatorum pollicitationibus multa debentur<br />
ut basilicae circa, ut porticus supra caveam 93 ),<br />
o della Campania, dati gli stretti interessi della<br />
casa imperiale per questa regione, che si manifestano<br />
in un numero abbastanza rilevante<br />
di atti evergetici: basti citare la ricostruzione<br />
nella tarda età adrianea del Teatro di Sessa<br />
Aurunca in cui interviene direttamente Matidia,<br />
la sorella della moglie di Adriano, che<br />
aveva vasti poss<strong>ed</strong>imenti presso Sessa, ancora<br />
i rifacimenti severiani dei teatri di Benevento,<br />
Teano. Anche la ricostruzione a Ostia da parte<br />
di Comodo e di Settimio Severo del teatro di<br />
Ostia si colloca nella dimensione del ruolo di<br />
città di servizi che essa svolgeva per Roma per<br />
92 Si voleva così ottenere gloria, prestigio e riconoscimento di fronte ai propri cittadini condicio sine qua non per<br />
l’avanzamento del cursus honorum e, in tale aspirazione l’honos dipende direttamente dalla liberalitas, cioè dalla<br />
generosità. Naturalmente va distinto l’atto ob honorem, da cui un magistrato o sacerdote in carica non può sottrarsi,<br />
che è conseguenza della promessa elettorale da confermare uffi cialmente il giorno dell’entrata in carica, dal libero<br />
intervento di liberalità, sebbene talvolta i confi ne tra queste due categorie sia molto esile. Cf. MELCHOR GIL, E.<br />
(1993): 225-229; PENSABENE, P. (1996): 124.<br />
93 Cf. DUNCAN JONES, R.P. (1997): 84 che cita anche casi per la Spagna (CIL II, 3364, 5166).
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 49<br />
cui gli interventi <strong>ed</strong>ilizi monumentali furono<br />
nella maggioranza dei casi fi nanziati dalla casa<br />
imperiale. Ma anche per Ostia emerge l’importanza<br />
del rapporto tra la sua élite politica<br />
e il teatro dal fatto che in età antonina Fabius<br />
Hermogenes, eques romanus e fl amen divi Hadriani<br />
organizzò durante il suo sacerdozio,<br />
e probabilmente in occasione della nomina,<br />
spettacoli <strong>teatrali</strong> a sue spese, notoriamente<br />
gravosi dal punto di vista fi nanziario: è per<br />
questo che l’ordo dei decurioni gli d<strong>ed</strong>icò una<br />
statua equestre nel Foro e che il padre di questo<br />
personaggio distribuiva nel genetliaco del<br />
fi glio le sportule davanti al Tempio di Roma<br />
e Augusto, come ricordano le iscrizioni che<br />
erano incise sul pi<strong>ed</strong>istallo della statua 94 , ma<br />
che non menzionano alcun intervento munifi<br />
co nel campo <strong>ed</strong>ilizio. Sottolineamo questo<br />
aspetto perché la mancanza di attestazioni di<br />
atti evergetici di <strong>ed</strong>ilizia teatrale da parte dei<br />
maggiorenti ostiensi, evidentemente a causa<br />
degli elevatissimi costi, è anch’essa un’importante<br />
informazioni per ricostruire la storia delle<br />
classi dirigenti locali.<br />
A Cartagho Nova nel teatro si registra già<br />
dalla m<strong>ed</strong>ia età augustea una chiaro coesistere<br />
d’interventi di personaggi legati alla famiglia<br />
imperiale (i fi gli di Agrippa adottati da Aigusto),<br />
a cui si può collegare il precoce uso di<br />
<strong>marmo</strong> lunense nelle basi, nei capitelli e in<br />
parte delle trabeazioni e di pietre colorate di<br />
cave imperiali nelle lastre di rivestimento, insieme<br />
a importanti personaggi locali, i Paeti,<br />
arricchitisi con lo sfruttamento delle miniere<br />
dei metalli, a cui è possibile attribuire le colonne<br />
nel travertino rosso delle cave locali, di cui<br />
forse erano proprietari 95 .<br />
Ma anche le città e i privati potevano acquistare<br />
colonne e marmi delle cave imperiali<br />
per gli elevati architettonici, come mostrano<br />
94 CIL XIV, 353; MARCHESE, M.E. (2003): 322-325.<br />
95 PENSABENE, P. (2006): 116.<br />
96 BARRESI, P. (2003): 207.<br />
già per l’età augustea i teatri di Pompei e di<br />
Ercolano, costruiti con il concorso di più personaggi<br />
che erano stati o erano duoviri, utilizzando<br />
anche summae honorariae: in questi<br />
casi le offi cine sono campane, ma vicine alle<br />
mode della capitale. A Volterra, se i marmi<br />
lunense e bardigli delle colonne del teatro<br />
sono dovuti alla munifi cenza dei Caecina, di<br />
rango senatorio e originari del posto, è la loro<br />
vicinanza e collaborazione con la casa imperiale<br />
che può anche spiegare l’accesso a grandi<br />
quantità di marmi.<br />
A Italica siamo di fronte a interventi soprattutto<br />
delle famiglie locali, che nella ricostruzione<br />
della scena in età severiana si dividono<br />
l’onere di fornire le colonne sia in marmi<br />
d’importazione come il cipollino e il pavonazzetto,<br />
sia locali come l’Almaden de LaPlata e<br />
un un calacere conchiglifero della regione.<br />
Il recente lavoro di P. Barresi sulla committenza<br />
e il costo dei marmi in Asia Minore,<br />
dove sono affrontate anche le costruzioni degli<br />
<strong>ed</strong>ifi ci di spettacolo, ha dimostrato come<br />
anche in questa provincia il decoro urbano<br />
delle città sia in buona parte opera di personaggi<br />
in rapporto clientelare con l’imperatore<br />
e provenienti dalle aristocrazie municipali di<br />
origine sia locale, sia italica, in questo caso<br />
soprattutto nei centri coivolti nelle correnti<br />
commerciali italiche e dove fi n dal periodo ellenistico<br />
vi agivano associazioni di negotiatores<br />
italici 96 . Da questo lavoro emerge la necessità<br />
da una parte di risalire alla storia delle famiglie<br />
delle élites urbane, quale strumento per indagare<br />
la formazione della ricchezza, dall’altra di<br />
ricostruire i costi degli atti evergetici per valutare<br />
le loro possibilità fi nanziarie. In tal senso<br />
è proprio l’utilizzo del <strong>marmo</strong> che da importanti<br />
informazione sulla natura della committenza<br />
e sulle spese sostenute <strong>ed</strong> è per questo<br />
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che è indispensabile conoscere se i marmi utilizzati<br />
siano locali, regionali o d’importazione<br />
<strong>ed</strong> è da qui che scatta la dinamica della necessità<br />
di ricostruire il prezzo del <strong>marmo</strong> nei vari<br />
periodo.<br />
Questo perchè i marmi sono utilizzati proprio<br />
nell’apparato decorativo del frontescena a<br />
cui era demandato una delle funzioni tipiche<br />
dei teatri: non solo e non tanto costituire una<br />
fi ttizia architettura di sfondo alle vicende rappresentate,<br />
quanto di visualizzare attraverso<br />
un’architettura di apparato i messaggi celebrativi<br />
<strong>ed</strong> ideologici della committenza, sia essa<br />
la città e/o cittadini infl uenti di essa o talvolta<br />
la casa imperiale o personaggi ad essa legati,<br />
in una parola di visualizzare un settore importante<br />
di comunicazione tra il potere politico e<br />
il pubblico.<br />
Tutto ciò non era affi dato all’inventività<br />
architettonica di nuove forme per il frontescena,<br />
bensì alla traduzione ripetitiva dello sche-<br />
ma tradizionale di scaenae frons in materiali<br />
sempre più pregiati, i marmi colorati, messi in<br />
opera da offi cine in rapporto con l’arte uffi ciale:<br />
si tratta dello schema invalso in età imperiale<br />
sui modelli prestigiosi del Teatro di Pompeo<br />
e del Teatro di Marcello a Roma, a loro volta<br />
nati dalla rielaborazione di tradizioni ellenistiche<br />
tramandate dagli <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> campani e<br />
siciliani del periodo tardo repubblicano.<br />
Le varianti si attuano soprattutto nei programmi<br />
statuari e dei rilievi fi gurati dei fregi,<br />
dettati dall’esigenza di celebrare la famiglia<br />
imperiale in quel momento al potere e dall’esigenza<br />
di inserire temi locali tra i messaggi<br />
affi dati ai programmi ornamentali.<br />
Siamo di fronte ad un’altra manifestazione<br />
di quella decor ad rationem loci che si<br />
trasforma, anzi viene a coincidere con ciò che<br />
è intrinsecamente connaturato allo spazio teatrale,<br />
in una parola il decus cioè, la dignità e la<br />
bellezza che si addice al teatro.
Marmo <strong>ed</strong> <strong>evergetismo</strong> <strong>negli</strong> <strong>ed</strong>ifi ci <strong>teatrali</strong> d’Italia, Gallia e Hispania 51<br />
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