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<strong>Nicola</strong> <strong>Cariello</strong><br />
“Chi studia la storia degli avi è come se divenisse loro<br />
contemporaneo; chi ne ricostruisce le condizioni di<br />
v<strong>it</strong>a è come se divenisse loro testimonio e ne<br />
rivivesse le vicende. Così uno studio di questo genere<br />
prende il posto di una lunga v<strong>it</strong>a, se pur la morte<br />
dovesse sopraggiungere anz<strong>it</strong>empo”<br />
ABU SHAMA (Damasco, XIII secolo)
PRESENTAZIONE<br />
E’ ancora vivo il vecchio pregiudizio che bolla il periodo dell’Alto Medioevo come quello dei “secoli bui”. Un giudizio<br />
particolarmente negativo viene espresso sull’epoca che comprende gli ultimi decenni del IX ed i primi del X secolo.<br />
“Per quanti sforzi si facciano” scrive ad esempio Giorgio Falco a propos<strong>it</strong>o della s<strong>it</strong>uazione romana “la notte rimane<br />
sempre profonda” e quell’età “parla un linguaggio quasi incomprensibile per noi, rimane sempre terribilmente<br />
lontana, estranea alla nostra coscienza morale e pol<strong>it</strong>ica”.<br />
Michel Rouche a sua volta dichiara: “L’Alto Medioevo lo consideriamo come il nostro inconscio collettivo; il grande<br />
periodo storico in cui abbiamo sotterrato le nostre passioni collettive; l’ora in cui il rifiuto di ogni struttura pubblica<br />
mise allo scoperto le pulsioni di ciascuno e permise la costruzione di un uomo nuovo”.<br />
Forse per comprendere l’atteggiamento di condanna da parte di storici come il Falco è illuminante proprio<br />
l’affermazione del Rouche. La nostra coscienza ha operato nei confronti di quel periodo del passato una sorta di<br />
rimozione in senso freudiano tentando di cancellarne il ricordo, una vera e propria damnatio memoriae di tipo<br />
psicologico.<br />
Per tentare di colmare questo vuoto di memoria intenzionale non resta qualche volta che ricorrere all’immaginazione.<br />
Come nel caso delle scorrerie musulmane in Italia che gli stessi storici arabi si sono sempre rifiutati di raccontare. E<br />
come ci insegna invece mons. Arturo Carucci traduttore del Chronicon Salern<strong>it</strong>anum:<br />
“La fantasia si aggira tra castelli imprendibili o diroccati e ne scopre le mura possenti o smussate, le torri superbe o in<br />
rovina, là sulla cima di un monte o a cavaliere di una vallata. Assiste alla fuga dei pochi ab<strong>it</strong>anti dalle borgate in<br />
fiamme, insegu<strong>it</strong>i dai Saraceni, spuntati fuori dai campi trincerati di Agropoli o di Cetara, del Vesuvio o del<br />
Garigliano, e li r<strong>it</strong>rova spaur<strong>it</strong>i tra gli anfratti di un monte, soli con la rabbia, nell’angoscia e nella disperazione. Ce<br />
n’è abbastanza per avvertire nel fondo dell’animo tanta, ma tanta tristezza: addir<strong>it</strong>tura la voglia di chiedere perdono a<br />
quegli sventurati, se allora, accanto a loro, non ci fu la nostra solidarietà”.<br />
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IL RACCONTO DI ASAD<br />
Il 7 settembre 1934 un autorevole quotidiano romano pubblicò l’articolo di un allievo dell’archeologo Padre Berthier<br />
circa un’interessante scoperta archeologica che sarebbe avvenuta nel 1922.<br />
Alla luce di una candela, scesi i quaranta gradini di una rozza scala che dal cortile di una casupola ai piedi<br />
dell’Aventino portava in una cantina adib<strong>it</strong>a a depos<strong>it</strong>o di formaggi, lo studioso – stando a quanto riportato nel giornale<br />
- scoprì che l’improvvisato magazzino aveva un pavimento interamente ricoperto di finissimi mosaici bianchi e neri.<br />
Alle pareti erano tracce di affreschi, il soff<strong>it</strong>to si presentava a volta sagomata e nel catino di un’abside in fondo al locale<br />
erano ancora visibili alcuni tasselli di mosaici. Tutto lasciava pensare ad una chiesina medioevale. Il problema<br />
consisteva nell’identificazione di quello che doveva essere stato un luogo sacro e conosciuto.<br />
Dopo lunghe e difficili indagini il ricercatore r<strong>it</strong>enne, pur con le deb<strong>it</strong>e riserve, che doveva trattarsi della chiesa dei<br />
Santi Pietro e Martino, già oratorio privato del papa Gregorio Magno.<br />
La questione, comunque, non ebbe segu<strong>it</strong>o. Lungo il viale Aventino si allinearono i palazzi di un nuovo quartiere che<br />
cambiava volto anche a quella parte della c<strong>it</strong>tà. Unica traccia della chiesa per così breve tempo riapparsa alla luce e<br />
sub<strong>it</strong>o r<strong>it</strong>ornata per sempre nell’oblio rimase una piccola cassa piena di antiche pergamene, accuratamente custod<strong>it</strong>e in<br />
Vaticano. Non vennero giudicati documenti di estrema importanza: si trattava in genere di brogliacci contenenti<br />
l’elenco di alcune spese quotidiane pertinenti ad uno sperduto convento di proprietà del monastero di San Gregorio ad<br />
clivum Scauri. Più interessante, invece, una filza di manoscr<strong>it</strong>ti legati tra due tavolette ed abbastanza ben conservati. Vi<br />
erano riassunte le memorie che “ad maiorem Dei gloriam” Leo Monachus aveva dettato ad un suo confratello. E’ sulla<br />
base di tale codice, il cui testo si riferisce ad uno dei periodi meno conosciuti della nostra storia, che si sviluppa il<br />
racconto di Asad: vecchio ed ingenuo artificio.<br />
CAPITOLO I<br />
“Stelle figli di stelle”<br />
Ibn-er-Rakik racconta che il castello di Raccada aveva un perimetro di quattordicimila cub<strong>it</strong>i e non c’era luogo in tutta<br />
l’Ifrikia in cui l’aria fosse più pura e profumata, il clima più dolce e la terra meglio coltivata. Quando si era fatto<br />
costruire la sua splendida residenza fuori della cap<strong>it</strong>ale Kairuan l’emiro Ibrahim II aveva voluto una fortezza<br />
inespugnabile. L’imponente muraglia che circondava la c<strong>it</strong>tadella non lasciava indovinare le meraviglie che si<br />
trovavano all’interno.<br />
La mattina di quel giorno dell’estate dell’anno 893, delicatamente sollec<strong>it</strong>ato dalla voce del ciambellano e dai<br />
tintinnaboli d’argento ag<strong>it</strong>ati dagli schiavi addetti ai suoi appartamenti l’emiro faticava a svegliarsi. Da tempo soffriva<br />
d’insonnia: aveva dato alla sua reggia il nome di Raccada , l’Incantatrice ovvero La dormeuse, per propiziarsi quel<br />
sonno notturno cui invano tanto agognava. Ma quel giorno il sovrano stentava a levarsi anche perché consapevole dei<br />
fastidi che lo attendevano.<br />
Mentre, finalmente sveglio ed immuson<strong>it</strong>o, veniva accompagnato alle terme a lui riservate, r<strong>it</strong>ornò con il pensiero ai<br />
discorsi che il giorno precedente gli aveva tenuto il suo astrologo, il sapiente Talla-al-Munaggim discepolo dei celebri<br />
maghi dell’Irak. A dire il vero lo stesso emiro si dilettava di astrologia ed era capace di formulare ed interpretare un<br />
oroscopo; molti califfi dell’epoca , d’altronde, avevano i loro astrologi ufficiali nonostante l’esplic<strong>it</strong>a proibizione del<br />
Corano. Ma, sosteneva Ibrahim II, quello che non è permesso alla massa è consent<strong>it</strong>o al re.<br />
L’astrologo Talla-al-Munaggim aveva dunque rivelato che un fata, un giovane della guardia del corpo, riconoscibile<br />
solo dall’agil<strong>it</strong>à dei movimenti era in procinto di attentare alla v<strong>it</strong>a dello stesso Ibrahim II.<br />
Intanto, tutto preso dai suoi cupi pensieri l’emiro non prestava attenzione a quanto avveniva intorno a lui. Agli ordini<br />
del ciambellano gli schiavi si stavano prendendo cura, con cauto rispetto, della sacra persona del re immerso nell’acqua<br />
profumata di una piscina. Tra le mura del vasto ambiente chiuso in alto da una cupola e riccamente arabescato<br />
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isuonava la voce del poeta di corte che declamava i suoi versi in lode del potente sovrano aglabida. D’un tratto l’emiro<br />
accennò un gesto imperioso con la mano: il poeta tacque e si allontanò con un inchino; il barbiere, i massaggiatori e tutti<br />
gli eunuchi uscirono silenziosamente dalla sala. Segu<strong>it</strong>o dal ciambellano l’emiro apparve poco dopo nel vano della porta<br />
della moschea. I dign<strong>it</strong>ari, che lo stavano aspettando, si inchinarono mentre egli li osservava altezzosamente lisciandosi<br />
la barba. Non amava gli aristocratici e non ne faceva un mistero. Tutti insieme, comunque, dopo i saluti di r<strong>it</strong>o si<br />
inginocchiarono per la preghiera del mattino.<br />
Durante le orazioni nel chiuso della maksura la loggia per la preghiera a lui riservata, gli si presentò alla mente la<br />
soluzione del problema: semplice e radicale. Immediatamente mutò d’umore e sorrise perfino.<br />
Ibrahim II amministrava la giustizia due volte alla settimana, il lunedì ed il giovedì. Cadendo quel giorno di lunedì dette<br />
ordine quindi che si facessero i preparativi per l’udienza. Come sovrano e capo supremo del suo popolo l’emiro<br />
ricopriva il ruolo di Gran Giudice. In realtà il magistrato incaricato di rendere giustizia era l’inflessibile ed onesto cadì<br />
Isa ben Miskin del quale Ibrahim II si fidava ciecamente dopo averlo messo alla prova più volte. Ma l’emiro<br />
rappresentava comunque la Massima Istanza che emetteva sentenze inappellabili ed immediatamente esecutive. Aveva<br />
particolarmente a cuore le sue funzioni giudiziarie. La sua sever<strong>it</strong>à nel giudicare era ben nota soprattutto nei riguardi dei<br />
nobili e dei cortigiani. Costoro, diceva l’emiro, con la potenza che conferisce loro la ricchezza sono molto pericolosi<br />
mentre i sudd<strong>it</strong>i poveri formano la vera ricchezza del re che ne può disporre a suo piacimento senza però dissiparla.<br />
Tutti, comunque, sono soggetti alla legge escluso il sovrano: la legge, infatti, è l’espressione della sua volontà. Un<br />
despota assoluto, dunque, in linea con le concezioni del suo tempo. Non biasimato per questo anzi perfino lodato come<br />
quando aveva ingiunto alla stessa Sayyida, la Signora Madre, di pagare 600 dinari a certi mercanti di cammelli di<br />
Kairuan che pretendevano quella somma per un affare al quale essa aveva partecipato con loro.<br />
Più conosciuta la sua ferocia spinta fino al sadismo nelle punizioni. Circondato dai consiglieri e protetto dalle guardie<br />
personali quel giorno dall’alto del suo scanno Ibrahim II al centro della moschea emise con voce ferma la sua sentenza:<br />
“Se un fata ha osato dirigere il suo pensiero malevolo contro la maestà dell’emiro e questo fata non è conosciuto, tutti i<br />
f<strong>it</strong>yan siano immediatamente imprigionati e messi a morte”. Mentre il ciambellano si affrettava a dare disposizioni<br />
perché la sentenza venisse esegu<strong>it</strong>a, i dign<strong>it</strong>ari ad uno ad uno si complimentavano con l’emiro per la sua saggezza e<br />
levando le braccia al cielo rendevano lodi all’Altissimo che aveva concesso al regno d’Ifrikia una tale benedizione.<br />
Le torture e la morte non susc<strong>it</strong>avano né scandalo né orrore. Quell’anno il medico dell’emiro, Ishak ben Imran, era stato<br />
crocifisso; di lì a poco lo stesso ciambellano, di nome Fath, sarebbe morto sotto i colpi della sferza ed i sudan, i neri,<br />
che stavano per sost<strong>it</strong>uire i f<strong>it</strong>yan condannati ne avrebbero ben presto condiviso la sorte. La lista delle persone<br />
giustiziate era piuttosto lunga: il regno dell’emiro Ibrahim II, che era succeduto al fratello Abu-l-Garanik togliendo il<br />
potere al figlio di costui, il leg<strong>it</strong>timo erede Abu Iqal al-Aglab, era iniziato con un bagno di sangue. La guardia dei<br />
mawali , i liberti, si era rifiutata di lasciare la cap<strong>it</strong>ale Kairuan per seguire il nuovo sovrano a Raccada e si era perfino<br />
sollevata contro di lui quando uno di loro era stato giustiziato. L’emiro finse di perdonarli ma li fece disarmare ad uno<br />
ad uno il giorno in cui riscuotevano il soldo. Poi furono tutti frustati a sangue e crocifissi. Solo pochissimi si salvarono<br />
fuggendo in Sicilia dove sparsero la fama del crudele Brachimo. La ferocia di Ibrahim II a poco a poco era diventata<br />
leggendaria. Si raccontava che un aristocratico che aveva osato cr<strong>it</strong>icare coloro che frequentavano la corte del re venne<br />
rinchiuso in una fossa biologica della reggia ed i dign<strong>it</strong>ari vennero inv<strong>it</strong>ati a liberare il corpo in quel luogo. Fece<br />
uccidere i suoi otto fratelli alla sua presenza e ad uno di loro che implorava pietà perché ammalato rispose: “Non è<br />
consent<strong>it</strong>o che tu faccia eccezione alla regola”.<br />
Esaur<strong>it</strong>e le faccende giudiziarie l’emiro si recò da solo verso uno dei più belli fra i giardini pensili. Mentre attraversava<br />
corridoi ed androni ag<strong>it</strong>ando le braccia che facevano svolazzare la lunga tunica, le guardie si inchinavano al suo<br />
passaggio. Finalmente uscì all’aperto. Nel giardino le piante formavano un vero boschetto verde tra i cui rami la luce<br />
del sole estivo riusciva appena a penetrare. Ibrahim II prese a passeggiare lentamente nel portico che circondava il<br />
giardino; il silenzio era quasi totale, interrotto solo dal gorgoglio dell’acqua di una fontanella posta al centro del<br />
chiostro. Quasi come un’ombra scivolò accanto a lui una persona. Era uno dei suoi fedeli segretari, incaricato di<br />
informarlo con la massima discrezione degli umori popolari. Tram<strong>it</strong>e alcuni insospettabili agenti che quotidianamente<br />
frequentavano piazze e mercati infatti Ibrahim II era a conoscenza di quanto avveniva fuori della reggia ed in grado di<br />
prevenire eventuali sommosse, ma soprattutto – era il suo pensiero fisso – poteva conoscere le ingiustizie commesse dai<br />
nobili. E punirli in modo esemplare.<br />
Nonostante tutto però le sollevazioni popolari erano frequentissime. Nell’889 gli ab<strong>it</strong>anti di Kairuan si erano ribellati<br />
fermamente contro una riforma monetaria che li stava riducendo alla fame ed avevano organizzato una marcia contro il<br />
castello di Raccada. Le truppe dell’emiro erano già schierate in ordine di battaglia quando all’ultimo momento era<br />
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intervenuto il religioso Abu Giafar Ahmad ben Mug<strong>it</strong> che aveva scongiurato un eccidio.<br />
Nella convinzione di essere il padrone assoluto dei suoi sudd<strong>it</strong>i Ibrahim II comunque ricorreva senza alcun r<strong>it</strong>egno<br />
anche all’arb<strong>it</strong>rio più sfacciato nonostante si proclamasse Giudice Supremo del popolo d’Ifrikia. Poiché, ad esempio, i<br />
leg<strong>it</strong>timi proprietari rifiutavano di cedergli una vasta e ricca azienda agricola poco lontana da Tunisi, chiamata Ibyana,<br />
la fece occupare con la forza dai suoi schiavi neri che si abbandonarono ad ogni sorta di violenza. Il Gran Cadì Ibn<br />
Talib cui fecero ricorso le v<strong>it</strong>time esclamò:” Non penso che quest’uomo creda in Dio e nel giorno del Giudizio<br />
Universale”. Sub<strong>it</strong>o rimosso dal suo incarico il povero cadì venne torturato ed ucciso dai suoi carcerieri che gli<br />
schiacciarono il ventre.<br />
Ibrahim II sapeva che il potere assoluto non può indulgere alla clemenza. Un suo giovane segretario, al-Baridi, che per<br />
una mancanza era stato imprigionato, gli scrisse un’accorata lettera che terminava con dei versi:<br />
“Avrei ag<strong>it</strong>o male? Faccio appello alla vostra clemenza e alla vostra generos<strong>it</strong>à<br />
La sottomissione ed il rammarico mi guidano in ver<strong>it</strong>à verso di voi.<br />
Voi, il migliore di coloro verso cui si tendono le mani<br />
Non avreste forse pietà di colui che con la penna piange alla vostra porta?<br />
La vostra collera mi angoscia; perdonate come sanno perdonare i potenti.<br />
Perché i Re, quando ci si appella alla loro Clemenza, perdonano”.<br />
“I Re, quando ci si appella alla loro Clemenza, uccidono” corresse l’emiro e lo fece seppellire vivo.<br />
Tuttavia i problemi più gravi nascevano sempre dalle ag<strong>it</strong>azioni dei Berberi. L’emiro aveva convocato quel giorno il<br />
suo informatore perché aveva già ricevuto cattive notizie e desiderava appurare quanto vi fosse di vero. Le prime<br />
sommosse erano già scoppiate oltre dieci anni prima. Il segnale di inizio era part<strong>it</strong>o da un rovinoso terremoto che aveva<br />
colp<strong>it</strong>o non solo l’Africa del Nord ma anche la Spagna. Da tempo la sicc<strong>it</strong>à che periodicamente provocava tremende<br />
carestie aveva privato le tribù berbere dei mezzi di sostentamento e si erano perfino verificati casi di antropofagia.<br />
Contro gli affamati Berberi dello Zab quella volta l’emiro aveva giocato d’astuzia. Attirati nella reggia i loro capi e le<br />
persone più autorevoli con le rispettive famiglie Ibrahim II aveva simulato benevolenza donando ab<strong>it</strong>i e cavalli. Poi,<br />
vinta la loro diffidenza, li aveva fatti massacrare tutti compresi i bambini e le donne. I cadaveri erano stati segretamente<br />
trasportati con dei carri e sepolti in fosse comuni. La rivolta, allora, si era sparsa a macchia d’olio. Molte tribù berbere<br />
rifiutavano apertamente l’obbedienza ai principi Aglabidi. Non pagavano più il tributo dandosi al saccheggio ed al<br />
brigantaggio. L’emiro aveva quindi fatto ricorso all’eserc<strong>it</strong>o alla cui guida aveva posto il suo ciambellano Ibn Qurhub.<br />
Era stata una lotta sanguinosa. Alla fine le tribù dei Uazdagia e degli Hauara erano state ridotte all’obbedienza quando<br />
insorsero anche i Luata. Espugnata la c<strong>it</strong>tadina di Coreva costoro si diressero contro Begia e Kasr-al-Ifriki: erano<br />
irresistibilmente attratti dai magazzini pieni di granaglie che si trovavano in quelle local<strong>it</strong>à. Questa volta vinse la fame:<br />
l’eserc<strong>it</strong>o fu messo in fuga. Il ciambellano, caduto da cavallo, fu catturato dai Berberi e decap<strong>it</strong>ato.<br />
Quando però si sparse la voce che un nuovo agguerr<strong>it</strong>o eserc<strong>it</strong>o al comando del figlio dell’emiro, Abu-l-Abbas Abd<br />
Allah, si era messo in marcia contro di loro, i rivoltosi scomparvero fuggendo per ogni dove. I soldati , massacrandoli<br />
senza pietà, riuscirono a catturarne solo un esiguo numero. Tutti gli altri si nascosero e continuarono la loro guerriglia,<br />
fatta di imboscate, saccheggi, rapine e violenze. L’emiro veniva minutamente informato dei fatti ed ogni giorno dava<br />
disposizioni per rintuzzare l’orgoglio berbero. Da alcuni giorni aveva fatto la sua apparizione nella regione dei Ketama<br />
un ag<strong>it</strong>atore, un certo Abu Abdallah che annunciava l’imminente arrivo di un salvatore. Sosteneva che i successori di<br />
Maometto erano tutti impostori e che i veri mahdi, capi della comun<strong>it</strong>à musulmana, erano in realtà i discendenti della<br />
figlia del Profeta, Fatima e del mar<strong>it</strong>o Alì. L’emiro ascoltava accigliato. Terminato il colloquio ed impart<strong>it</strong>i gli ordini<br />
Ibrahim II congedò il segretario.<br />
Rimase ancora un poco a passeggiare da solo nel portico, le mani dietro le schiena ed il capo chino, assorto in cupi<br />
pensieri. Il volto era inespressivo; gli occhi avevano una strana fiss<strong>it</strong>à d’allucinato.<br />
La Sayyida, la Signora Madre, era nei suoi appartamenti intenta a discutere con una delle schiave addette alla tess<strong>it</strong>ura<br />
quando le fu annunciato l’arrivo dell’emiro. Accolse il figlio con un inchino ed un sorriso chiamandolo “Mio Signore”<br />
ed inv<strong>it</strong>andolo ad accomodarsi su un ampio divano. Tra madre e figlio non si notava una grande differenza di età. Del<br />
resto alla sua nasc<strong>it</strong>a il padre, Muhammad II Abu-l-Garanik, aveva appena tredici anni. Quanto lento e studiato nei<br />
movimenti era Ibrahim II, tutto preso dal suo ruolo di sovrano, tanto vivace e briosa appariva la madre sempre<br />
affaccendata in mille piccoli intrighi. Non si curava di questioni pol<strong>it</strong>iche o amministrative. Però rimproverava al figlio<br />
la decisione di ev<strong>it</strong>are una discendenza femminile. L’emiro, infatti, aveva disposto che le figlie nate dalle sue concubine<br />
fossero immediatamente uccise. Contravvenendo agli ordini la Sayyida aveva invece salvato e fatto allevare<br />
segretamente almeno sedici fanciulle. Poi un giorno che Ibrahim II le era parso di buon umore gli aveva presentato le<br />
giovani rammentandogli per ciascuna di loro il nome della concubina che ne era la madre. L’emiro sembrò estasiato<br />
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dalla loro bellezza ma, si raccontava a corte, usc<strong>it</strong>o dagli appartamenti della Signora Madre ingiunse al suo carnefice, il<br />
nero Maymun, di portargli sub<strong>it</strong>o le teste di quelle disgraziate.<br />
La Sayyida intanto aveva preso a discorrere con il figlio. Le mani giunte ed il volto lievemente inclinato a destra gli<br />
parlava dei suoi affari, di un progetto di affidare certe merci preziose ad una carovana che stava per partire alla volta<br />
dell’Oriente, dei rischi del commercio …<br />
Ibrahim II, aspirando il profumo che emanava dagli incensieri, ascoltava distrattamente ed osservava le lussuose<br />
cassepanche finemente intagliate, i variopinti drappi che pendevano dalle pareti, i cofanetti di avorio, gli “azzimini”<br />
sparsi un po’ dovunque. Poco dopo riprese con la madre una part<strong>it</strong>a a scacchi interrotta il giorno precedente.<br />
Sotto la guida del ciambellano, prima ancora che il sole calasse, gli schiavi addetti cominciarono a preparare la grande<br />
sala dove si imbandivano le mense. Ma solo dopo qualche ora apparve l’emiro segu<strong>it</strong>o dai suoi commensali. Tutti<br />
indossavano vesti sontuose. Si sedettero su cuscini disposti alla destra ed alla sinistra del loro anf<strong>it</strong>rione secondo il<br />
rigido protocollo curato dall’ossequioso ed onnipresente ciambellano. Gli osp<strong>it</strong>i erano soltanto otto. Alcuni come il<br />
ministro degli affari finanziari ed il giahbad, il banchiere Abu-l-Mahré, erano fissi. Gli altri, il cui numero poteva<br />
variare, venivano scelti da Ibrahim II quando era curioso di conoscere un uomo di cui gli era giunta fama. Era anche<br />
un’occasione per affascinare il suo inv<strong>it</strong>ato mostrandosi in tutta la sua potenza come ad affermare: “ Questo sono io, il<br />
vero padrone di tutta l’Ifrikia” : sopra di lui riconosceva appena l’autor<strong>it</strong>à morale del Principe dei Credenti, il Califfo di<br />
Bagdad.<br />
Il grande salone in cui si svolgeva la cena era arredato con enorme sfarzo. Tappeti, cuscini, mobili, ninnoli, oggetti di<br />
oro e di argento riccamente cesellati lasciavano appena intravedere i disegni stilizzati che ornavano il pavimento e le<br />
pareti: una di esse era interamente ricoperta da tende che nascondevano delle porte mentre su quella opposta sporgeva<br />
un loggiato sostenuto da colonne. Nella sala illuminata da preziosi candelabri si diffuse il suono lieve del flauto cui<br />
fecero segu<strong>it</strong>o il liuto, il tamburello ed altri strumenti che intonavano una lunga nenia r<strong>it</strong>mata. I musici erano sistemati<br />
nel loggiato in modo da restare invisibili ai commensali. L’osp<strong>it</strong>e di riguardo era uno dei capi mil<strong>it</strong>ari in Sicilia.<br />
L’emiro lo interrogava per conoscere le nov<strong>it</strong>à dell’isola ed il suo interlocutore rispondeva c<strong>it</strong>ando meticolosamente<br />
nomi di persone e di luoghi. Non di rado, come di sfugg<strong>it</strong>a, accennava al ruolo importante da lui giocato in taluni<br />
avvenimenti. I presenti si lim<strong>it</strong>avano ad annuire sorridendo con uno sguardo d’intesa all’emiro. Il discorso a poco a<br />
poco cambiò soggetto e scivolò sul tema del giorno, la schiav<strong>it</strong>ù. Ciascuno dei commensali vantava con esempi la forza<br />
e la fedeltà di una certa razza di schiavi finchè intervenne Ibrahim II a decretare che non c’era schiavo migliore dello<br />
slavo. Ne era tanto convinto che – come sapevano tutti – aveva perfino imparato quella lingua. Sulla slealtà degli<br />
schiavi berberi, per ingraziarsi il sovrano, erano altrettanto d’accordo ed un grasso mercante di schiavi che fino a quel<br />
momento aveva taciuto c<strong>it</strong>ò un celebre had<strong>it</strong>.<br />
“Si dice che il Profeta – che la Benedizione ed il Saluto di Dio siano su di Lui! – abbia detto: sotto i cieli e sulla terra<br />
non esistono esseri più malvagi dei Berberi. Se pure io non avessi da dare in elemosina sulla via del Signore che<br />
l’impugnatura della mia frusta, preferirei dare quell’impugnatura piuttosto che la libertà a un Berbero”.<br />
Tra i presenti circolavano coppe di vino recate da cinedi seminudi. Ibrahim II ne possedeva sessanta. Nei loro riguardi<br />
mostrava una gelosia folle che spesso sfociava in reazioni cruente. Il poeta di corte, appena chiamato, prese a declamare<br />
i versi di Abu Nuwas:<br />
“Mescetemi più e più volte da bere, di vino d’Isfahan,<br />
di vino del vecchio Cosroe o di quel di Kairuan.<br />
Nella coppa v’è del muschio o nelle mani di chi me l’ha versata<br />
o è stato lasciato nel vino stesso, quando fu versato nelle botti.<br />
Incoronatemi con il diadema e cantatemi la mia poesia.<br />
La coppa è una primavera, che si tocca con le d<strong>it</strong>a<br />
e l’ardor del vino mi serpeggia tra i piedi e la lingua …”<br />
Qualcuno dei presenti chiese che venissero rec<strong>it</strong>ati i versi composti dall’emiro stesso. Tutti aderirono entusiasticamente<br />
ed ammutolirono per ascoltare il parto poetico del sovrano.<br />
“Noi siamo stelle figli di stelle ed il nostro avo<br />
Tamim era la luna del cielo, il padre delle stelle.<br />
Il sole era la nostra ava che quindi ci riunisce,<br />
Noi figli nati dall’unione di un nobile con una nobile”<br />
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Gli astanti naturalmente si profusero in grandi complimenti lodando i versi dell’emiro con le metafore più fantasiose. Il<br />
mercante di schiavi, nella foga, era quasi in lacrime. Presto la musica cambiò tono; le tende che coprivano la parete si<br />
alzarono lasciando entrare dieci danzatrici berbere. Il r<strong>it</strong>mo musicale dapprima lento andò progressivamente crescendo<br />
di intens<strong>it</strong>à e di tono: i movimenti sinuosi delle ballerine si trasformarono in evoluzioni frenetiche. Si udivano<br />
distintamente i piedi nudi delle danzatrici che battevano velocemente il pavimento e la cadenza ossessiva della darbuka,<br />
il timpano.<br />
I commensali osservavano rap<strong>it</strong>i. La bellezza delle donne berbere era universalmente nota. Perfino Hisam ben Abd-l-<br />
Malik, califfo di Bagdad e Principe dei Credenti si rivolgeva all’allora governatore dell’Ifrikia chiedendo schiave<br />
berbere “che sono un incanto per gli occhi ed una malia per il cuore”. E gli scriveva espressamente raccomandandogli<br />
quelle “di fine bellezza, che abbiano fianchi ampi, seno ben sviluppato, corpo flessuoso, le d<strong>it</strong>a affusolate, la pelle<br />
delicata, gambe nervose, abbondante capigliatura, occhi grandi, gote lisce, bocca fine e bella, corporatura snella, statura<br />
giusta e voce dolce senza dimenticare la nobiltà dei natali e l’alto lignaggio”. E concludeva: “Le prenderemo come<br />
concubine madri”.<br />
Il vino, i profumi, le spezie, le luci scintillanti, i corpi femminili che si esibivano al suono delle musiche suggestive,<br />
tutto contribuiva ad ecc<strong>it</strong>are la mente degli inv<strong>it</strong>ati. Il festino si andava trasformando in un r<strong>it</strong>o orgiastico.<br />
Più tardi Ibrahim II preceduto dagli schiavi che recavano le torce e segu<strong>it</strong>o da due concubine si r<strong>it</strong>irò nei suoi<br />
appartamenti. Poi, ansante, rimase immobile steso sui tappeti con lo sguardo fisso verso una grata lignea fiocamente<br />
illuminata dalla luna estiva. Il silenzio era interrotto di tanto in tanto dal grido di richiamo di una sentinella alla quale<br />
rispondeva un’altra più lontana. Gli parve di udire – non era la prima volta – un gem<strong>it</strong>o continuo, quasi il vag<strong>it</strong>o di un<br />
bimbo che si aggirasse nella sua camera. Il cuore accelerò i batt<strong>it</strong>i ed il lamento fu sopraffatto dal tonfo di un passo<br />
cadenzato che pareva avvicinarsi rimbombandogli nelle orecchie. Si r<strong>it</strong>rovò seduto sul giaciglio bruscamente destato dal<br />
penoso dormiveglia in cui era piombato.<br />
Quando riuscì ad addormentarsi era ormai l’alba.<br />
CAPITOLO II<br />
“Come un’aquila predace, nel cui nido si accumulano le viscere delle sue v<strong>it</strong>time”<br />
Le donne erano già intente alle loro faccende quando Asad uscì dalla tenda comune nella quale aveva riposato durante<br />
la notte. Le più giovani erano intorno ai pozzi ad attingere e trasportare acqua, le altre a macinare il grano o intorno al<br />
fuoco per cuocere il cibo. Nonostante fosse appena l’alba nel campo già ferveva il lavoro femminile.<br />
Asad non aveva ancora dodici anni. Era incaricato di portare al pascolo un gregge di capre, occupazione che<br />
condivideva con i suoi compagni di tenda, orfani come lui. Mentre beveva da una ciotola il latte di cammella accanto al<br />
recinto degli animali che stava per condurre all’abbeveratoio notò Gamal e Mansur da poco svegli ed ancora assonnati<br />
che si ingiuriavano. Il primo era un guerriero coraggioso ma un vero attaccabrighe, l’altro lo seguiva come un’ombra:<br />
erano inseparabili ma sempre in l<strong>it</strong>e. Mansur subiva il fascino di Gamal, violento e pieno di sé. Anche Asad lo<br />
ammirava e sognava di emularne il valore benché non ne amasse la van<strong>it</strong>à chiassosa. Ora, ad esempio, Gamal urlava a<br />
squarciagola incurante del fatto che il vecchio Abu giacesse gravemente ammalato in una tenda vicina. Nell’avviarsi<br />
verso il Tell preceduto dal gregge belante Asad sentiva ancora le voci dei due l<strong>it</strong>iganti sempre più fievoli a mano a<br />
mano che si allontanava dall’accampamento. E l’odore acre del fumo ben presto fu spazzato via dalla brezza marina che<br />
faceva impazzire le capre. Poi, scomparse alla vista le tende del duar, Asad vide lontana davanti a sé una striscia<br />
lucente: i primi raggi del sole si riflettevano sul mare del golfo di Gabes.<br />
7
Gettò nell’erba il grosso bastone che aveva portato con sé e si accovacciò. In attesa degli amici che si stavano ancora<br />
dedicando alla preghiera del mattino tirò fuori il giuak, un flauto di canna: alle prime note uno stormo di corvi si<br />
allontanò gracchiando. Era una melodia melanconica che trasportava la fantasia verso mondi irreali come quelli<br />
descr<strong>it</strong>ti dalla vecchia Hasna, la “zia” della tribù, medico-stregone, esperta conosc<strong>it</strong>rice di piante ed animali ma<br />
soprattutto grande narratrice di storie favolose.<br />
Spesso nelle serate estive i ragazzi si raccoglievano seduti in semicerchio dinanzi alla tenda della “zia”. Magra e scura,<br />
il fazzoletto di cotone in testa, avvolta nei veli rossi e azzurri (i colori della tribù) la vecchia Hasna cominciava a<br />
raccontare rec<strong>it</strong>ando:<br />
“Questo avvenne o forse no<br />
Molto si è dimenticato nel tempo che passò”<br />
Erano storie di animali parlanti, eroi generosi, bellissime fanciulle schiave di incantesimi infernali. A volte vi compariva<br />
il Ghul, il mostro del deserto ghiotto di carne umana, feroce e stupido. Frequentemente i ginn, gli spir<strong>it</strong>i che ab<strong>it</strong>ano<br />
sotto il settimo strato della terra e che chiunque può incontrare quando decidono di diventare visibili. Esseri creati di<br />
fiamma senza fumo ai quali predicò anche il Profeta. Ma i racconti prefer<strong>it</strong>i da Asad erano quelli che vedevano<br />
protagonista Giuhà il furbacchione sempre affamato che si finge un sempliciotto per ingannare il mondo. E le cui gesta<br />
provocavano l’ilar<strong>it</strong>à degli ascoltatori.<br />
“Attento! La iena!”. L’urlo fece sobbalzare Asad che impugnò di scatto il bastone. Apparvero gli amici che ridevano<br />
facendosi beffe del suo spavento. Si azzuffarono con foga finché stanchi non giacquero supini nell’erba a contemplare<br />
le lunghe foglie pennate di una palma che li sovrastava. Asad ed i suoi amici formavano un gruppetto ben affiatato nella<br />
tribù. Avevano una sorte comune, quella di essere stati privati con violenza dei gen<strong>it</strong>ori nel corso della guerriglia che<br />
da anni conducevano i Berberi contro l’emirato aglabida ormai padrone dell’Ifrikia.<br />
La tribù cui apparteneva Asad discendeva dalla famiglia dei Beni-Mekki che a sua volta faceva parte della gente dei<br />
Luata. Il loro progen<strong>it</strong>ore sarebbe stato un m<strong>it</strong>ico re Zahhik al quale sarebbero succeduti Luà il Vecchio e Luà il<br />
Giovane, da cui il nome del popolo dei Luata. Come tutti i Berberi si sentivano perciò un<strong>it</strong>i da un vincolo di sangue che<br />
creava uno spir<strong>it</strong>o di solidarietà tribale, l’asabiyya, rafforzato dalla guerra contro uno stesso nemico. Che poteva essere<br />
rappresentato dai Fenici, dai Romani, dai Vandali, dai Greci o dagli Arabi. La loro terra era stata percorsa da molti<br />
popoli. Contro l’invasione musulmana avevano lottato ferocemente a lungo. Infine il loro capo, la profetessa Kahina,<br />
prima di morire aveva inv<strong>it</strong>ato i figli ad abbracciare la nuova religione. Trattati dagli Arabi come miscredenti i Berberi<br />
erano stati costretti per pagare la gyzia, il tributo imposto ai non credenti, a vendere figli e donne. Ma l’attiva<br />
partecipazione alle guerre condotte dai musulmani per l’occupazione della Spagna e della Sicilia li aveva resi coscienti<br />
della loro forza. Con le armi in pugno chiedevano una diversa posizione nella umma, la comun<strong>it</strong>à dei credenti di cui si<br />
sentivano ormai parte, anche per quanto riguardava la “divisione del bottino”, vale a dire l’equa ripartizione delle<br />
risorse economiche. Il ferreo dispotismo di Ibrahim II non poteva naturalmente conciliarsi con le istanze egual<strong>it</strong>arie ed<br />
indipendentiste delle tribù berbere né con il loro intransigente codice morale che li portava ad un eterno ribellismo. Il<br />
loro orgoglioso idealismo di guerrieri del deserto, per cui l’oltraggio ad un membro della tribù comporta la vendetta da<br />
parte di tutto il gruppo, provocava inoltre lotte intestine che non giovavano certo alla causa comune.<br />
Dopo l’uccisione del comandante Ibn Qurhub, il cui eserc<strong>it</strong>o era stato messo in fuga, Ibrahim II aveva scatenato contro i<br />
Berberi una durissima repressione. Asad ricordava ancora i tempi in cui, bimbo di pochi anni, viveva con i superst<strong>it</strong>i<br />
della tribù scampati alle stragi in rifugi scavati sui fianchi inaccessibili delle montagne. Nella pianura sottostante spesso<br />
si vedevano marciare i cavalieri sudan dell’emiro, armati di lance e pugnali, alla caccia di Berberi isolati da sgozzare.<br />
Molti dei rifugiati non avevano resist<strong>it</strong>o a lungo ed erano morti di stenti. Ad Asad era rimasto impresso per sempre il<br />
ricordo di uno di questi infelici in piedi sul ciglio di una caverna che improvvisamente senza cause apparenti era<br />
piombato a terra precip<strong>it</strong>ando come un fagotto di stracci lungo un pendio. Nei sentieri più impervi non era raro<br />
imbattersi in un cadavere scheletrico con le mani protese alla ricerca di erbe. Cambiando spesso rifugio per non farsi<br />
scoprire e vivendo a mo’ di troglod<strong>it</strong>i in cav<strong>it</strong>à sotterranee ben dissimulate un certo numero di Luata era riusc<strong>it</strong>o a<br />
sfuggire ai persecutori. Il cibo era scarso: a volte mancavano anche le locuste. D’altronde le forze non erano sufficienti<br />
per tentare una sort<strong>it</strong>a qualsiasi. Quando ormai sembrava non ci fosse più speranza erano stati raggiunti dai superst<strong>it</strong>i<br />
della ben più numerosa tribù dei Beni-Kemlan. Di quell’incontro e delle feste che ne seguirono Asad rammentava bene<br />
un particolare: il sapore per lui nuovo della mella, il pane cotto nella sabbia. Con gli occhi sgranati e la bocca<br />
semiaperta assisteva alle operazioni di preparazione di quel cibo antico come a un r<strong>it</strong>o sacro.<br />
8
I guerrieri insieme con il nuovo capo, sceik Mohamed Ben Du, avevano deciso che era ora di approvvigionarsi di<br />
bestiame. Einan, piccolo magro e muscoloso, fu prescelto per recarsi nei villaggi di pianura ad attingere informazioni.<br />
Una mattina Asad fu spaventato da uno strano essere privo di gambe che si aggirava nel campo. Vest<strong>it</strong>o di stracci e con<br />
un bendir legato sul dorso si muoveva appoggiando a terra le mani fasciate di cotone. Era il mendicante storpio Ba-<br />
Mamadù che appostato nei crocicchi e scuotendo il bendir ripeteva di villaggio in villaggio il suo lamento: “In nome<br />
dell’Onnipotente fate la car<strong>it</strong>à o musulmani …”. Era conosciuto da tutti e conosceva tutti. Con mezzi noti solo a lui<br />
riusciva a spostarsi da un luogo all’altro. Vedeva e sapeva un po’ di tutto.<br />
Così sceik Mohamed Ben Du seppe che un q<strong>it</strong>ar, una carovana di mercanti proveniente da sud e diretta a El-Giora,<br />
trasportava oro ed avorio; a capo era l’aksum<strong>it</strong>a Kaleb. A lui si presentò Einan come guida pratica dei luoghi, spiegando<br />
che il khan era molto lontano: sarebbe stato meglio stabilire l’accampamento in un uadi pietroso poco distante. Dopo il<br />
tramonto i Luata armati erano già pronti per la scorreria, mentre le donne, con i capelli sciolti e strette in gruppo,<br />
lanciavano trilli acuti per incoraggiare gli uomini alla battaglia.<br />
Poche sentinelle assonnate vegliavano nel duar, il cerchio formato da tende e cammelli. Non appena calò il buio i Luata,<br />
guidati dalla luce dei fuochi accesi nel campo, presero ad accostarsi cautamente alla carovana. Avanzavano con la<br />
lancia in mano saltando silenziosamente da un sasso all’altro ed arrestandosi ogni volta che i cani del q<strong>it</strong>ar abbaiavano.<br />
Quando furono a pochi passi dalle tende sceik Mohamed Ben Du dette il segnale. Gli assal<strong>it</strong>ori levarono insieme un urlo<br />
terribile e irruppero nel duar.<br />
“Come un’aquila predace, nel cui nido si accumulano le viscere delle sue v<strong>it</strong>time<br />
Essa ha pernottato tormentata dalla fame su un tumulo di pietre<br />
………………………………………………………………….<br />
Da lungi, ella ha scorto una volpe, di là una sterile piana.<br />
Batte le ali e si scuote, vicina a balzare.<br />
Quindi scatta bramosa verso la preda e planando le si avvicina.<br />
………………………………………………………………….<br />
La prostra ed abbatte, mentre le pietre le lacerano il muso.<br />
Stride la volpe, con l’artiglio dell’aquila nel fianco; un colpo di rostro inesorabile le buca il petto …”<br />
Al loro r<strong>it</strong>orno i guerrieri furono accolti dal gioioso lululey delle donne che per l’occasione avevano indossato l’ab<strong>it</strong>o<br />
cerimoniale e si erano tinte le palmi delle mani con l’hennè. Gli uomini, gesticolando ed urlando, descrivevano ecc<strong>it</strong>ati<br />
l’impresa appena compiuta. Alcuni ostentavano fieramente gli oggetti predati mentre il grosso del bottino veniva<br />
ammassato nel fondo di una grotta. Gamal trionfante mostrava la testa dell’aksum<strong>it</strong>a sollevando in alto il braccio. Ai<br />
mercanti però era stata generosamente concessa l’iqla di dieci cammelli. L’avvenimento venne solennizzato da un<br />
banchetto speciale con bocconi di montone grasso e dolci detti “chioma delle fanciulle”.<br />
La spedizione aveva avuto successo poiché aveva dimostrato la bravura degli uomini ed accresciuto la ricchezza della<br />
tribù. Nel costume dei Berberi la raziyya era un obbligo sociale. Spir<strong>it</strong>o di avventura, prova di coraggio e modo di<br />
sostentamento, nella razzia c’era un po’ di tutto questo: impensabile non partecipare a quello che era un r<strong>it</strong>o sociale.<br />
Guai a tornare a mani vuote: “Dove andremo a nascondere le nostre barbe, che diremo alle nostre donne che hanno<br />
macinato il grano per fornirci le provviste per il viaggio?”. Sceik Mohamed Ben Du era soddisfatto. Con il trascorrere<br />
del tempo la tribù si era arricch<strong>it</strong>a di cammelli e di cavalli, pecore e capre. I soldati dell’emiro avevano smesso le<br />
persecuzioni e si lim<strong>it</strong>avano a sorvegliare gli spostamenti delle tribù soprattutto durante la transumanza quando le<br />
carovane si approssimavano ad un centro ab<strong>it</strong>ato.<br />
Di tanto in tanto la tribù veniva vis<strong>it</strong>ata da strani viandanti che si dicevano credenti ottemperanti al Hagg, il<br />
pellegrinaggio r<strong>it</strong>uale alla Mecca nonostante viaggiassero fuori del tempo prescr<strong>it</strong>to. Il sacro dovere dell’osp<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à<br />
comunque imponeva che per tre giorni fossero accolti e rifocillati senza troppe domande. Asad ascoltava attentamente i<br />
racconti dei viaggiatori, le loro avventure, le c<strong>it</strong>azioni delle Sure. Quando finalmente venne il momento fu mandato per<br />
l’istruzione religiosa al ribat di Monastir.<br />
A mezzanotte, al chiarore della luna piena, salutati da sceik Mohamed Ben Du e dagli anziani del villaggio, gli orfani si<br />
issarono sui cammelli e la piccola carovana si diresse verso la costa. Al termine del secondo giorno di viaggio Asad<br />
notò in fondo alla pianura, arsa e secca come un lago salato, una costruzione simile ad una grossa tenda grigia. Poi,<br />
quando fu più vicino si avvide che davanti a lui si stagliava un’alta muraglia: era il convento-fortezza di Monastir<br />
eretto per la difesa dalle incursioni degli infedeli. Poiché dopo la preghiera della sera non era lec<strong>it</strong>o entrare nel ribat la<br />
carovana si dispose a pernottare nelle vicinanze. Al chiuso della tenda, con si suoi compagni, Asad stanco per il viaggio<br />
percepiva uno stormire come di fronde che nel dormiveglia attribuiva al vento tra i rami delle palme. Nella frescura<br />
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dell’alba, splendida e chiarissima, il giorno dopo Asad potè finalmente scoprire la causa di quello stormire continuo: le<br />
onde del mare formavano una schiuma quasi evanescente frangendosi sotto il promontorio della Kahlia. Tra la spiaggia<br />
ed il ribat emergevano le rovine dell’antica Ruspina. Asad e gli altri si incamminarono ai piedi della fortezza che isolata<br />
tra la campagna ed il mare appariva veramente imponente. Le sentinelle li condussero dall’ingresso posto alla base di<br />
una torre poligonale per uno stretto corridoio a gom<strong>it</strong>o fino al cortile in un angolo del quale si levava il nador, la torre di<br />
vedetta.<br />
La v<strong>it</strong>a nel ribat non era facile. Ben presto Asad comprese il significato della frase rivolta agli orfani al momento del<br />
loro arrivo: “Essere di guarnigione per tre giorni a Monastir apre le porte del Paradiso”. La giornata era scand<strong>it</strong>a dai<br />
momenti di preghiera alternati alla rec<strong>it</strong>a del Corano. Al mattino il guardiano svegliava i ragazzi :“La preghiera vale più<br />
del sonno!” e dava inizio al nuovo giorno con la bàsmala “Nel nome di Dio, clemente e misericordioso! Sia lode a Dio,<br />
il Signore del Creato…”. I religiosi di Monastir erano strenui difensori dell’ortodossia pronti a morire per la fede. Nel<br />
breve periodo che trascorse nel ribat il piccolo Asad ascoltava estasiato i fantastici fatti del gihad, la guerra santa che<br />
aveva allargato la casa dell’Islam fino al Bilad Al-Andalus, il Paese di Andalusia. E gli rimase impressa soprattutto la<br />
figura del sapiente asceta, il faqih Abd-l-Giabbar dalla voce tuonante: dinanzi a lui si inginocchiava perfino l’emiro.<br />
Osservando il cielo dal cortile del ribat Asad, tuttavia, rimpiangeva gli spazi sconfinati del deserto. Nelle lunghe marce<br />
dedicate alla med<strong>it</strong>azione doveva sopportare la stanchezza senza protestare. Più di una volta gli orfani vennero condotti<br />
alla grande moschea dalle torri tondeggianti come una fortezza collocata sul punto più alto della c<strong>it</strong>tà di El-Giora, La<br />
Perla. L’ab<strong>it</strong>ato, s<strong>it</strong>uato sul fianco di una collina che declinava verso il mare, era completamente chiuso da una cinta di<br />
mura grigie e merlate. Vi si accedeva da quattro porte. Dalla quinta, Bab el Bahr, la grande Porta del Mare, le<br />
imbarcazioni penetravano nel porto interno. Gli allievi del ribat di Monastir entravano da Bab el Gharbi, la Porta<br />
d’Occidente. Per arrivare alla grande moschea, vicina al porto, dovevano attraversare le animatissime viuzze di buona<br />
parte della c<strong>it</strong>tà. Nulla restava della bizantina Justinianopolis: dovunque erano cantieri e nuove costruzioni. Ibrahim II<br />
voleva una c<strong>it</strong>tà bella e moderna.<br />
Asad ed i suoi amici erano attratti dai numerosi mercatini che empivano quasi tutte le strade. Voci, colori, odori,<br />
spettacoli di saltimbanchi e scene macabre come le esecuzioni cap<strong>it</strong>ali o le punizioni corporali davanti al Kalaut el<br />
Kubba, tutto ecc<strong>it</strong>ava la fantasia dei giovani discepoli dei faqihs. La curios<strong>it</strong>à di Asad era attratta particolarmente dalla<br />
strana uman<strong>it</strong>à che frequentava gli angiporti tra la moschea ed il porto. Per la prima volta il piccolo berbero poteva<br />
vedere i Rum, i mercanti di Bandaqis e Nabul, Venezia e Napoli, i bizantini e gli amalf<strong>it</strong>ani, insomma i campioni del<br />
mondo degli infedeli nelle loro stravaganti fogge, spesso dai visi pallidi e sbarbati. I non circoncisi arrivavano fino a El-<br />
Giora per acquistare le merci preziose che portavano le carovane provenienti dal sud e dall’Oriente. A loro volta<br />
vendevano schiavi, stivati nelle panciute navi onerarie che affollavano il porto. Al-dauamis, i sotterranei della c<strong>it</strong>tà, un<br />
tempo catacombe cristiane, erano piene della preziosa merce umana. Asad, passando accanto al manar di Khalef, l’alta<br />
torre fatta costruire proprio da uno schiavo liberato, aveva intravisto al di là di una grata di ferro un gruppo di questi<br />
esseri destinati al lavoro dei campi. Anche i mercanti ebrei vendevano schiavi. Ma non erano una nov<strong>it</strong>à per Asad né<br />
per i suoi amici. Tutti conoscevano, ad esempio, Samaual-al-Yehuda che acquistava anche pelli di capra o il grasso<br />
Haim il gioielliere detto Haim-l-tekhin che sciorinava i suoi bzaim, fermagli d’argento, anelli, orecchini, armille su un<br />
brandello di seta verde per ottenere schiave giovani. Di r<strong>it</strong>orno da Monastir, Asad potè raccontare molte cose.<br />
Quel giorno dell’estate 893 gli orfani Luata ricordavano ridendo il soggiorno nel ribat. Era quasi il tramonto quando si<br />
misero in cammino per riportare il gregge nel duar. Nel campo gli uomini si destavano dal sopore in cui si erano<br />
immersi, immobili come statue, nel pomeriggio infuocato. Mentre le capre imboccavano il sentiero che portava al loro<br />
recinto tra nuvole di polvere e latrati di cani, i ragazzi urlavano ordini agli animali ag<strong>it</strong>ando i bastoni. Qualcuno impose<br />
loro gravemente il silenzio: il vecchio Abu era morto. Il suo corpo era stato già lavato e messo su una lettiga formata da<br />
un telo teso tra due bastoni. Quattro guerrieri sorreggevano il feretro coperto da un drappo bianco. Il corteo si mosse<br />
lentamente alla volta di un piccolo cim<strong>it</strong>ero poco lontano.<br />
Dopo che il cadavere venne sepolto di fianco con il viso rivolto verso il sole, come d’uso, i presenti si disposero in<br />
semicerchio per rec<strong>it</strong>are la preghiera.<br />
“Ecco: sono morto, la mia anima ha lasciato il mio corpo.<br />
Sono state versate su di me le lacrime dell’ultimo giorno.<br />
Quattro uomini mi hanno caricato sulle spalle,<br />
Testimoniando così la loro fede nell’unico Dio.<br />
…………………………………………………<br />
Tu che sei davanti alla mia tomba,<br />
Non stupirti della mia sorte:<br />
Ci fu un tempo in cui ero come te,<br />
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