di Gerardo Bombonato « un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento <strong>dei</strong> servizi sociali, tiene continuamente in allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buongoverno. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni e le violenze che non è stato mai capace di combattere». Per questa tenace convinzione che metteva in pratica nella sua rivista con pesanti e documentate inchieste contro Cosa Nostra e i cavalieri del lavoro catanesi, Pippo Fava fu ammazzato 28 anni fa con cinque proiettili alla nuca. Uno <strong>dei</strong> numerosi giornalisti uccisi dalla mafia, che non sopporta i riflettori dell’informazione sui propri traffici. Una convinzione, una passione, un impegno civile che fortunatamente ancora anima tanti colleghi che, con lo stesso spirito di Pippo Fava fanno tutti i giorni questo mestiere. Rischiando. Sono tantissimi in Italia i giornalisti minacciati dalla mafia. E ancora di più quelli che subiscono intimidazioni e censure violente di varia natura con querele pretestuose o, peggio, con richieste milionarie di risarcimento danni da parte di imprenditori, politici, amministratori pubblici. Una pistola puntata che spesso decreta la fine di un blog, la chiusura di un sito web, di una radio locale, di un piccolo giornale e che in ogni caso diventa una forma di pressione per l’indipendenza del collega e della testata per cui lavora. Nel 2011, secondo i dati di Ossigeno per l’informazione, un osservatorio nato nel 2008 con la collaborazione dell’<strong>Ordine</strong> nazionale e della Fnsi, sono stati 324 i giornalisti minacciati. «Ma questa - av- non lasciamoli soli L’ImpORTANTE RuOLO DEI cOLLEGhI chE ScRIvONO DI mAfIA SARà ANcORA pIù EffIcAcE SE SuppORTATO DALL’INTERA cATEGORIA. mETTERE DA pARTE RIvALITà E pARTIGIANERIE verte Alberto Spampinato, fondatore di Ossigeno e fratello di Giovanni, ucciso dalla mafia 40 anni fa a soli 25 anni - è solo la parte visibile di un fenomeno in gran parte sommerso che, secondo le nostre stime, è dieci volte più grande. Sono in gioco non solo la sicurezza e la libertà personale di centinaia di giornalisti, ma il diritto <strong>dei</strong> cittadini a essere informati e la stessa libertà d’informazione». E badate, queste cose non accadono solo al Sud. L’<strong>Emilia</strong> felix, il quadretto di una regione per troppo tempo tanto caro ai nostri politici e alle istituzioni, non regge più. Le infiltrazioni mafiose hanno ormai lasciato il posto a un vero e proprio radicamento criminale anche nella nostra regione. Qui la mafia o la ‘ndrangheta o la camorra sparano poco, ma riciclano molto. L’<strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> è da anni diventata una terra di investimenti mafiosi che ormai avvelenano anche l’economia legale intrecciandosi col mondo degli appalti nell’edilizia e estendendosi al mercato immobiliare. Senza tralasciare i settori ‘tradizionali’ della criminalità organizzata: dalla droga alla prostituzione, dal gioco d’azzardo al pizzo e all’usura. «Nel 2011 - come documenta l’ultimo dossier di Libera Informazione (cui aveva lavorato fino all’ultimo con tenacia e passione l’indimenticabile Roberto Morrione) sull’<strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> - sono stati circa 10.500 i commercianti coinvolti, pari al 13,6% del totale. Non solo, l’<strong>Emilia</strong>- <strong>Romagna</strong> si piazza al quinto posto tra le regioni del centro-nord per i reati di estorsione». A riprova che il fenomeno ormai è radicato arrivano i dati della Banca d’Italia che rilevano operazioni finanziarie sospette per circa l’8 per cento del totale nazionale, con Bologna in testa alla classifica nazionale. E ancora: al 31 dicembre 2010 risultavano 107 beni confiscati tra immobili e aziende. Che dire? Non ci facciamo mancare niente. Una mappa della criminalità? In regione prevale la ‘ndrangheta, soprattutto nel Reggiano, ma senza disdegnare la riviera con Rimini e Riccione. La camorra predilige l’<strong>Emilia</strong> e si distribuisce tra Modena, Reggio e Parma. I nomi più noti <strong>dei</strong> clan che hanno preso la “residenza” da noi sono quelli <strong>dei</strong> Grande Aracri di Cutro, degli Arena e <strong>dei</strong> Nicosia di Isola Capo Rizzuto, <strong>dei</strong> Casalesi e <strong>dei</strong> Corleonesi. Alcuni esempi? Un boss di rilievo, Vincenzo Barbieri, assassinato in un agguato nel Vibonese, viveva in una lussuosa suite di un hotel bolognese, trafficava droga con i narco d’Oltreoceano e travasava denaro nelle banche sammarinesi. A Parma un ex assessore ed ex consigliere dell’allora ministro Lunardi discuteva tranquillamente di affari con Pasquale Zagaria, fratello del re <strong>dei</strong> casalesi. «Mi sembrava solo un imprenditore», si è giustificato. Fu arrestato mentre intascava una mazzetta. E che dire del primario di Imola che certificava il falso per evitare la cella a un boss catanese condannato all’ergastolo duro? A Nonantola, nel Modenese, due imprenditori hanno coraggiosamente denunciato che si pagava il pizzo. Ma non erano del luogo, erano campani. E i modenesi? Tutto questo, e molto altro ancora, è documentato da indagini, fascicoli giudiziari, articoli, inchieste giornalistiche. Eppure c’è ancora qualcuno, come il presidente di Confindustria, che candidamente dichiara: «Mafia? Non ce ne siamo accorti. Nei nostri direttivi non ne abbiamo mai parlato». Già, la mafia è sempre altrove. Mai da noi. Si sa, il silenzio è il terreno più fertile per la criminalità organizzata. Meno male che c’è chi invece questo silenzio lo rompe. A suo rischio e pericolo, però. Come Giovanni Tizian, il giovane collega della Gazzetta di Mode- na, che la vigilia di Natale è finito sotto scorta per gli articoli sulle infiltrazioni <strong>dei</strong> casalesi a Modena. Articoli pagati pochi euro (meno di una colf) che non andavano oltre i confini locali. Ora la gente riempie le sale dove Tizian presenta il suo libro: Gotica, la mafia ha passato il confine, ma a che prezzo personale? O come David Oddone, cronista de L’Informazione di San Marino, anche lui minacciato di morte e autore di un libro sui traffici nel Titano («Sono stato bollato come un italiano che rovina l’immagine di San Marino»). O come Antonio Roccuzzo, già capocronista della Gazzetta di Reggio <strong>Emilia</strong>, che ha scritto L’Italia a pezzi. Cosa unisce Catania a Reggio <strong>Emilia</strong>?. Un altro giornalista che colleziona cause civili milionarie è Giovanni Predieri, cronista di giudiziaria de La Nuova Ferrara. Non bastano gli imprenditori, nel suo caso ci si è messo pure il magistrato. Predieri si è occupato del caso di Federico Aldrovandi, un ragazzo di 18 anni morto una notte del 2005 in circostanze misteriose dopo essere stato fermato da una pattuglia della polizia. Per questa vicenda sono stati condannati quattro poliziotti. Ma per aver riportato le affermazioni della madre di Federico, Patrizia Moretti, che criticava l’operato del pm incaricato delle indagini, è stato querelato per diffamazione insieme ad altri due colleghi dallo stesso magistrato. Un milione e mezzo di risarcimento. La causa è in corso. Per questi e per tutti i colleghi minacciati, l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti dell’<strong>Emilia</strong>- <strong>Romagna</strong> e Ossigeno hanno organizzato la manifestazione pubblica di cui diamo conto nelle pagine interne cercando di approfondire il tema sulle mafie in regione. Per svegliare le coscienze, per tenere alta la guardia su una criminalità sempre più incalzante, per stimolare istituzioni e colleghi a non girare la testa altrove e a mettere il bisturi nell’infezione. Per dare alla gente l’informazione di cui ha diritto per essere consapevole. Ma come aiutare i giornalisti ed evitare che il singolo cronista giochi da solo una partita tanto rischiosa? Ce l’ha spiegato Alberto Spampinato. Un invito alle istituzioni a riconoscere la funzione sociale del giornalismo, a fare opera di “alfabetizzazione” antimafia nelle scuole (molti gli studenti che han- (Foto Salvatore Cavalli) no partecipato all’iniziativa), a fare “giornalismo di squadra” come durante gli Anni di piombo, ma soprattutto a non lasciare soli i minacciati. «Diventa pericoloso - spiega il fondatore di Ossigeno - quando un giornalista pubblica una notizia rischiosa e gli altri stanno a guardare. Un giornalista isolato è facilmente esposto a minacce e ritorsioni. Dunque bisogna avere molto rispetto per giornalisti come Tizian che hanno il coraggio di scrivere certe cose. Bisogna essere grati ai giornalisti come lui che prendono il editoriale fuoco con le mani». Insomma, non basta la solidarietà di un comunicato cui non seguono gesti concreti. Bisogna fare di più. Mettere da parte rivalità, partigianerie, tabù, mettersi al fianco del collega in difficoltà e diffondere il più possibile i suoi scritti con ogni mezzo. E, magari, cambiare anche una legislazione arcaica come quella sulla diffamazione. Non vogliamo immunità per i giornalisti, ma neppure intimidazioni pretestuose. Semplicemente: fare i giornalisti. Cosa diceva Pippo Fava? 4 . GIORNALISTI / aprile 2012 aprile 2012 / GIORNALISTI . 5