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COLLABORAZIONI, LA GIUSTA ROTTA - Sna

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di Roberto Bianchi<br />

EDITORIALE<br />

Nell’interesse di chi?<br />

Dopo averla invocata per anni come la panacea di tutti i problemi della categoria,<br />

quando in discussione era l’applicazione delle leggi sul divieto di esclusiva,<br />

ora che il Decreto Crescita 2.0 ha introdotto la collaborazione tra intermediari,<br />

il leader del nuovo sodalizio agenziale si affanna ad inventare distinguo<br />

per fare da eco alle rinnovate reticenze delle imprese verso la libertà degli<br />

agenti.<br />

Per intenderci, quando le compagnie erano impegnate a frenare il plurimandato<br />

introdotto dai decreti Bersani, Vincenzo Cirasola rivendicava la primogenitura<br />

della richiesta di collaborazione A con A, nell’auspicio inconfessato<br />

che mai il mondo politico si sarebbe scomodato a modificare la fonte primaria<br />

che secondo (l’allora) Isvap ne impediva la realizzazione. Adesso che<br />

Claudio Demozzi ha ottenuto la libera collaborazione tra intermediari, contro<br />

la quale le lobby politiche delle compagnie si sono battute senza risparmio<br />

di energie fino all’ultimo istante, cerca persino la sponda dell’Ivass per<br />

dimostrare la necessità di introdurre ulteriori pastoie burocratiche, come se<br />

quelle esistenti non fossero più che sufficienti, allo scopo di limitare<br />

l’applicazione della legge e soprattutto il pieno dispiegarsi dei suoi effetti pratici.<br />

Ma la questione non è soltanto collaborazioni sì, collaborazioni no, quanto<br />

piuttosto capire in quale direzione si muova una contrattazione collettiva tesa<br />

a far coincidere gli interessi della parte più debole, gli agenti, con quelli della<br />

parte più forte, le compagnie. L’ostinazione nel difendere il modello distributivo<br />

italiano, praticamente sparito dal resto d’Europa soprattutto perché<br />

non si regge più, essendo saltato l’impianto dei rapporti economici tra impresa<br />

e rete agenziale, non punta alla convenienza degli agenti, ma a quella delle<br />

compagnie.<br />

In altri termini, l’obiettivo di mantenere nel tempo la centralità dei Gruppi<br />

aziendali - sui quali è costruito l’intero edificio di Anapa – nel rapporto con le<br />

rispettive mandanti, prevede l’imprescindibile presupposto che le reti siano<br />

fedeli e non si approvvigionino presso altre fabbriche prodotti. E allora lo scopo<br />

primario del Gaa “monomandatario” consiste nel garantire la fedeltà della<br />

rete, in cambio dell’esclusiva nella relazione industriale con l’azienda la quale,<br />

dal canto suo, pretende la fedeltà della rete in cambio della concessione<br />

dell’esclusiva al Gruppo aziendale nella relazione industriale. In un contesto<br />

del genere, le esigenze professionali e imprenditoriali dell’agente c’entrano<br />

assai poco e sono semmai la foglia di fico dietro cui nascondere la vergogna di<br />

un rapporto geneticamente subalterno alle logiche industriali.<br />

Le scelte dei Gaa non sono mosse dalla mission di tutelare l’interesse dei propri<br />

iscritti, ma dal pragmatismo di conquistare la propria centralità anche nella<br />

contrattazione di primo livello e questo si traduce nella necessità di assecondare<br />

le strategie fondamentali delle compagnie, senza mai metterle in discussione.<br />

È questo il frutto avvelenato del modello anglosassone applicato alle relazioni<br />

industriali tra agenti e imprese. Ad esso si ispirano Anapa e i Gruppi che lo<br />

compongono, ma dubitiamo che ne abbiano la piena consapevolezza. Il corrispondente<br />

tentativo delle imprese di spostare a livello aziendale la contrattazione<br />

collettiva si ispira allo stesso modello, soltanto che loro sì, ne sono<br />

pienamente consapevoli.<br />

MARZO APRILE 2013 0 7

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