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ANNO VII - Il Salotto degli Autori

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Poste Italiane. Spedizione in abbonamento postale - 70% aut. DRT/DCB/Torino - N. 2 - Anno 2009 - CARTA E PENNA, Via Susa 37 - 10138 TORINO

ANNO VII – N.27 Estate 2009 Poesia, narrativa, letteratura, cultura generale RIVISTA TRIMESTRALE


Ideata e promossa da:

In collaborazione con:

LA STAMPA

Specchio dei Tempi

Con il patrocinio di:

SOCIETË PROMOTRICE

DELLE BELLE ARTI IN TORINO


IL SALOTTO DEGLI AUTORI

ANNO VII - N. 27 - Estate 2009

Editore: Carta e Penna - Via Susa, 37

10138 TORINO

Tel.: 011.434.68.13 - Cell.: 339.25.43.034

E-mail: redazione@ilsalottodegliautori.it

Registrato presso il Tribunale di Torino

al n. 5714 dell’11 luglio 2003

Estate 2009

I testi pubblicati sono di proprietà degli autori che si assumono la responsabilità del contenuto degli scritti

stessi. L’editore non può essere ritenuto responsabile di eventuali plagi o irregolarità di utilizzo di testi coperti

dal diritto d’autore commessi dagli autori. La collaborazione è libera e gratuita.

I dati personali sono trattati con estrema riservatezza e nel rispetto della normativa vigente.

Per qualsiasi informazione e/o rettifica dei dati personali o per richiederne la cancellazione è sufficiente una

comunicazione al Direttore del giornale, responsabile del trattamento dei dati, da inviarsi presso la sede della

testata stessa: Via Susa, 37 - 10138 Torino.

Sommario

- 1 -

DIRETTORE RESPONSABILE:

Donatella Garitta

direttore@ilsalottodegliautori.it

Stampato in proprio

SITI INTERNET:

www.ilsalottodegliautori.it - www.cartaepenna.it

E-mail: redazione@ilsalottodegliautori.it

cartaepenna@cartaepenna.it

Raccontami una storia... d’amore - Rubrica a cura di Gennaro Battiloro ................................................. 12

Il Quattrocento e l’Umanesimo - Prima parte - di Carlo Alberto Calcagno (Arenzano - Ge)....................... 13

Dedicato a tutti i perdenti Gaetano Pizzuto (Torino) ............................................................................. 16

Storia del Teatro di Maria Francesca Cherubini (Perugia) ..................................................................... 17

Riflettere, pensare, meditare di Giovanni Reverso (Torino) ................................................................... 19

Ferrara la città della tranquillità Alberto Mongardi (Torino) .................................................................. 20

Amore come peccato: la sublimazione dantesca di Francesca Luzzio (Palermo) ...................................... 23

Breve panoramica della narrativa brasiliana moderna

di Maria Zilda Ferreira Curi dell’Università di Minas Gerais - Traduzione di Alessandro Parrinello ........ 25

E tu, sei connesso? di Riccardo Vecellio Segate (Cavalcaselle - Vr)........................................................ 27

Iter di un sentimento di Mariateresa Biasion Martinelli (Orbassano - TO) .............................................. 29

La pace nel mondo, anelito e speranza di tutti i popoli Vittorio Sartarelli (Trapani) ................................. 30

Le fiabe marchigiane: un mondo di scherzi, di gioia e di magia Bruna Tamburrini (Montegiorgio - AP).... 32

Narrativa........................................................................................................................................... 34

Le tre venezie, il fascino di una storia millenaria di Giuseppe Belli (Monfalcone – GO) ........................... 43

Recensioni ........................................................................................................................................ 44

X Edizione Premio Internazionale Città di Pomigliano 2008 ................................................................ 48

Premi letterari ................................................................................................................................... 49

Dal libro È triste esser orfani, pur avendo padre e madre, presentato a pagina 3

Gentile maestra,

Ci dico sempre anche io, ma dove hai la

testa e lui mi dice qui!!!!

Non mi ascolta!


Il Salotto degli Autori

La vetrina dei libri pubblicati dagli autori

di Carta e Penna

Tutti i libri pubblicati da Carta e Penna sono presentati sia al sito www.cartaepenna.it sia in queste pagine - I

lettori interessati all’acquisto dei testi possono contattare la segreteria che provvederà a far recapitare il libro

direttamente dall’autore - Per ulteriori informazioni sia per la stampa, sia per l’acquisto dei libri contattare la

segreteria dell’associazione allo 011.434.68.13 oppure al cellulare n. 339.25.43.034 o inviare un e-mail a

cartaepenna@cartaepenna.it - Nelle pagine centrali di questa rivista sono riportate le modalità associative e di

pubblicazione dei libri senza codice ISBN -

ANTOLOGIE DEL CONCORSO DEGLI ASSI

- Terza edizione -

Il concorso degli Assi si ripropone di rimettere in

gara poesie e racconti già premiati in altri concorsi

letterari: un’occasione di confronto che molti autori

hanno accettato partecipando a questa terza edizione.

Questi volumi raccolgono tutti i racconti e le poesie

presentate al concorso.

TO BE OR NOT TO BE… THIS IS THE PROBLEM

(Dubbi e certezze… in tratti di penna) di Aldo DI GIOIA

Prezzo: 10,00 euro ISBN: 978-88-96274-03-3

Aldo Di Gioia è nato a Torino nel 1953. È da una nuova vita che comincia a prendere

forma, visualizzandosi materialmente nella dolce piccola Sara, che l’Autore prende

spunto per questo suo: “To be or not to be…this is the problem” “Dubbi e

certezze…in tratti di penna”

È curiosa Sara, affronta la vita a piccoli morsi affondando gli incisivi nella polpa

tenera del suo futuro, assaporandone ogni sfumatura e puntando l’indice alla guancia

paffuta in segno di piacere e di coinvolgimento emotivo. Il suo è un centellinare la

vita, come un assaggiatore professionista che gode di ogni attimo, riponendo in una

sacca laterale quelle sensazioni che le avranno procurato fastidio, forse per ripescarle

un giorno come esperienze personali, che provocheranno qualche dubbio ma renderanno

il vivere esperienza degna.

AZZURRA - Racconto per ragazzi, scritto dai ragazzi - STEFANIA GROPPO e i ragazzi della IV C*

ISBN: 978-88-96274-01-9 - Prezzo: € 7,00

La storia di Azzurra, nasce tra i banchi della mia classe, a poco a poco, passo dopo

passo…

Ho incoraggiato, incitato, maltrattato fantasie arrugginite e pigre e da penna e colori è

nata lei.

Desidero condividere con voi, questo traguardo, a conferma del grande potenziale

creativo dei nostri ragazzi, ed offrire, a grandi e piccini, l’occasione di ritrovare l’

Azzurra che c’è in ognuno di noi.

Stefania Groppo

Azzurra cerca un amico, un compagno di giochi.

Non è cosa semplice e, quando pensa di averlo trovato, qualcosa accade a rovinare la

sua felicità, per fortuna solo per poco!

Acquistando questo libro si contribuisce a sostenere la Federazione Malattie Rare

Infantili di Torino, poiché parte del ricavato sarà devoluto a sostegno delle attività.

* Classe del Secondo Circolo di Venaria Scuola A. Gramsci

- 2 -


Estate 2009

È TRISTE ESSER ORFANI... PUR AVENDO PADRE E MADRE

di Stefania Groppo e Alberto Musso - ISBN: 978-88-96274-02-6 -

Prezzo: €. 8,00

Non è certo questo il primo volumetto che raccoglie castronerie e buffe storielle su alcune

categorie di persone. È però sempre divertente leggere le “insufficienze” degli altri perché un

po’ ci consola delle nostre ed anche (mai ammetterlo però!) ci fa sentire più bravi.

Qui però abbiamo voluto porre l’accento sui figli. Infatti indubbiamente ci divertiremo leggendo

le varie stupidaggini e buffe avventure che sono state raccolte in questo volumetto.

Ma questi poveri bambini, sempre i veri protagonisti delle storielle, sono vittime vere di

questi genitori un po’ sprovveduti, talvolta egoisti, e per lo più, anche se incolpevolmente,

ignoranti. Ed anche io mi ci metto in mezzo!

Alberto Musso

Disegni: Saracino Gianguido Silvio

PLAY, SATCHMO di Mario PARODI - Silloge poetica -

ISBN: 978-88-89209-99-8 - € 11,00

MARIO PARODI (Torino, 1950), laureato in Semiologia, ha insegnato per trentacinque

anni materie letterarie presso istituti inferiori e superiori torinesi. Torna a pubblicare

dopo venti anni una silloge di poesie. Nel frattempo ha spaziato dai romanzi (“La

lama di Pascal”, “Giocavamo senza numero”) al saggio letterario (“La sfida di

Demodoco”) ai testi sportivi (“In bianco e nero”, “Boom!”) scritti a quattro mani con

suo figlio Andrea. Da decenni si segnala come un instancabile artefice di svariate

iniziative culturali. Tra queste ha fondato e gestito dal 1991 al 1995 per il Comune di

Torino l’Osservatorio Poetico Giovanile “Opere d’inchiostro”. Ama recitare in pubblico,

compiere lunghi percorsi in bicicletta, ammirare superbi paesaggi alpini.

ONDE RUGGENTI di Sabina POLLET - Silloge poetica

ISBN: 978-88-96274-07-1 - 6,50 euro

SABINA POLLET, nata a Bollate (MI) il 27 febbraio 1970, è laureata in Lettere Moderne

presso l’Università Cattolica di Milano. Negli anni 2005-2006 ha partecipato a numerosi

concorsi di poesia ottenendo risultati soddisfacenti. Ha pubblicato due raccolte di poesie:

“MARE DI STELLE” (Noialtri Edizioni, 2005); “LA MAGIA DEI CORALLI” (Montedit, 2006).

Ha inoltre realizzato il quaderno “SACRO ISTANTE DI LEI” (Fondaz. Sandro Penna, 2006);

tre calendari poetici: “ALBA COLORATA”, 2006; “SEGRETI TURCHESI”, 2007; “LUNULA”,

2009 (Carello Editore).

Molti suoi testi sono inseriti in antologie.

Oltre a scrivere poesie, si dedica da anni allo studio dell’astrologia e in particolare dei tarocchi,

come espressione del linguaggio simbolico dell’anima.

IL TUTTO E IL NULLA di Rino PIOTTO

ISBN:978-88-96274-05-7 - 10,00 euro

Rino Piotto, ex insegnante di scuola media, è nato il 7 luglio 1950 a Fontaniva (PD). Collabora

da una trentina di anni con “IL GAZZETTINO” di Venezia, seguendo in particolare la squadra

di calcio del Cittadella (PD) che milita nel campionato di serie B.

Oltre a racconti e poesie, inserite su varie riviste e antologie letterarie, ha pubblicato nel 2002

il libro “Canti di Primavera” (Nicola Calabria Editore), nel 2004 “Canti del Nuovo Mondo”

(Edizioni del Leone Spinea), nel 2005 “Progetto Tshumbe-Congo” (Edizioni del Leone) e

“Progetto Uomo Nuovo” (Edizioni Universum Trento), nel 2007 “Le Sabbie nel deserto”

(Tipografia Sartore Fontaniva) ed un Trittico per la Pace in sei lingue (Edizioni Universum)

con il conferimento della nomina di “Ambasciatore di Pace nel Mondo”.

- 3 -


Il Salotto degli Autori

FILA... FILA... FILASTROCCA di Pier Carlo MASCHERA

ISBN: 978-88-96274-00-2 - 7,50 euro

Tante belle filastrocche... come questa:

Qui nel mare la barchetta

va pian piano, senza fretta,

e nel cielo, assai lontano,

vola libero un gabbiano.

Com’è bello passeggiare

sulla spiaggia e poi nuotare

mentre l’onda chiacchierina

culla il bimbo e la bambina.

- 4 -

E poi stendersi nel sole

e goder del suo calore

mentre un granchio poveretto

s’avvicina circospetto.

E la pelle, prima ambrata,

è color di cioccolata

mentre il vento l’accarezza

con la sua leggera brezza.

Ed il bimbo, col secchiello,

fa di sabbia un bel castello.

Com’è bello essere al mare

divertendosi a giocare!

SOGNANDO... VOLANDO di Francesco Maria GROSSO

ISBN: 978-88-96274-06-4 - 11,00 euro

FRANCESCO MARIA GROSSO è nato e vive a Torino. Poeta, scrive anche testi per canzoni.

Ha pubblicato con le Edizioni Werner:

Foglie Gialle, novembre 1968; in questa silloge la vena poetica traspare sicura. L’accoratezza,

la pudicizia, gli abbandoni, i lamenti, le ansie, hanno forza e grazia. Le immagini brillano

all’insegna dell’ umiltà.

Ricaldone silente, dicembre 1969 dove l’autore dialoga con l’amico Luigi Tenco nelle ore

che concludono drammaticamente la sua Vita. Muta, al dialogo assiste la madre.

IN ATTESA DI TE - Riflessioni per nove mesi di Piera ALLOATTI -

PIERA ALLOATTI, nata a Torino il 5 marzo 1951, madre di due figli e due volte nonna, poetessa

e scrittrice, ha pubblicato cinque sillogi di poesie: SOGNANDO CIELI AZZURRI, STAGIONI

E PASSIONI SOTTO IL SEGNO DEI PESCI, BURRASCHE ED ARCOBALENI, GIRANDOLE

DI PAROLE, NONTISCORDARDIME; e tre brevi romanzi: DAL 1800 AL 2000: STORIE DEI

NOSTRI NONNI, FUORI ORARIO, TU SEI GIA’ QUI.

Ha ottenuto numerosi riconoscimenti in vari concorsi letterari. Nel 2007 ha lasciato il lavoro di

impiegata, per dedicarsi con entusiasmo alla professione di nonna.

Dopo “TU SEI GIA’ QUI – NOVELLE PER NOVE MESI”, dedicato alla nipote Alessia, ha

scritto “IN ATTESA DI TE - RIFLESSIONI PER NOVE MESI”, dedicato alla nipote Giorgia.

Il libro, scritto nei nove mesi precedenti la nascita della bambina, è una lunga lettera in cui, fra

cronache e riflessioni, si fondono ricordi del passato, momenti del presente e speranze per il

futuro. Filo conduttore di entrambi i libri è l’amore per la vita, che ha sempre ispirato tutta la

sua produzione letteraria.

RACCONTAMI UNA STORIA... D’AMORE a cura di Gennaro Battiloro - 15,00 euro

Hanno collaborato alla realizzazione della silloge: Marzia Carocci, Gabriella Di Luzio, Mara

Faggioli, Rosa Pia Vermiglio, Marzia Braglia, Anna Maria Scarlatti, Flora Gelli, Elena Andreoli,

Mariolina Molino, Samanta Milanesi, Maria Grazia Mancino,Nadia Semeja.

Dalla prefazione di Marzia Carocci: L’AMORE, quanti sorrisi, pianti, inquietudini ed emozioni

abbraccia il sovrano dei sentimenti; irrazionale, incoerente, folle da far stare male, intenso

da far scoppiare il cuore, innocente o passionale è ossigeno a tutte l’età, non teme spazi ne

distanze; è l’Amore il motore che ci sostiene, il fine di ogni essere, la linfa vitale, è la carezza

nel cuore, l’abbraccio costante, è complicità nel silenzio, l’essenza dell’uomo; là dove non

servono parole è il cuore che parla. L’Amore, trepidazione che arricchisce l’anima, l’inquietudine

che da un senso ai nostri giorni e ci rende vulnerabili, fragili, facendoci anche soffrire

quando non siamo compresi, quando urliamo in silenzio di quell’amore che ci fa male, che è

trascurato, ignorato, deriso, dileggiato… negato...


Estate 2009

IN DIECI MINUTI di Maria Angela BROGGI - 10,00 euro

La poesia di Maria Angela Broggi ricca, matura, a volte ironica è poesia di una donna del nostro

tempo, sempre in movimento alla ricerca del senso profondo dell’esistere, un mosaico di

immagini e frammenti di vita, che comprende in sé versi preziosi, musicali come canti d’amore

lanciati attraverso il tempo, ma anche ritmi spezzati, irti del palato, scanditi da aggettivi incalzanti,

intensi, precisi come rapidi tocchi di pennello.

È poesia densa di metafore, di fuoco e gelo e sensazioni nitide e cristalline, che nasce da

riflessioni sul mistero del creato e dello scorrere del tempo, da uno sguardo attento ed appassionato

alla natura e dal bisogno di dare forma e senso alle proprie emozioni, di ritrovare una

pausa di distacco dalla corsa caotica, interminabile del quotidiano, per dipanare la matassa

altrimenti inestricabile e rituffarsi, carica di nuova energia, nel moto eterno dell’universo in

divenire.

Prof. Edmondo Masuzzi

NON ERA CHE IERI di Roberto BRUCIAPAGLIA - 12,00 euro

ROBERTO BRUCIAPAGLIA, nato a Milano vive a Torino dove ha compiuto i suoi studi e si è

laureato in ingegneria elettronica presso il Politecnico.

Ha fatto l’Assistente universitario, quindi ha lavorato alla Fiat in vari settori strategici.

Si è, in seguito, occupato di consulenza aziendale presso diverse Aziende.

Nel tempo libero si è dedicato alla pittura e alla scultura partecipando a molte mostre collettive.

Ultimamente è tornato al suo vecchio amore: la poesia ed i racconti e ha pubblicato il suo primo

volume I fiori del sole.

Ha partecipato ad alcuni concorsi letterari e le sue opere sono state premiate con importanti

riconoscimenti

Con Carta e Penna Editore ha pubblicato, nel 2005, le sillogi poetiche Un altro domani e

Lucciole nel 2006 e il romanzo Torino, un inverno anni ‘60.

DONNA CAROLINA di Rossella CATANIA - 10,00 euro

Carolina Varnatora, Donna che non ha avuto paura di aver coraggio. Il suo vissuto ricco di

avvenimenti a volte lieti a volte tragici è collegato a episodi storici, politici, sociali e culturali. Il

periodo presente nel racconto ha visto l’Italia, protagonista, di tragedie, di conquiste e di

migrazioni. Ricco soprattutto di fatti che hanno dato una svolta sociale: la caduta della monarchia,

la vittoria ottenuta da parte delle donne nel poter esprimere liberamente il loro pensiero e

il diritto di voto. Le grandi conquiste da parte della medicina nell’utilizzo di farmaci il cui

impiego ha ridotto la mortalità infantile. La presa di coscienza da parte dell’Uomo riguardo

alcuni mali sociali come la pedofilia, piaga tuttora attiva. Il racconto un po’ vero un po’ fantastico

è ambientato in un paesino in provincia di Reggio Calabria, regione ricca di storia e

cultura, spesso dimenticata per far spazio a un altro tipo di cultura ahimè: la “‘Ndrangheta”. I

nomi dei protagonisti del racconto come pure quelli dei paesi coinvolti direttamente sono stati

cambiati per rispettare la loro privacy.

MOUSSE AL CIOCCOLATO E FRAGOLE

di Nicoletta FERRANTE - 11,00 euro

Sedetevi comodi, rilassatevi con una musica di sottofondo che non impegni troppo la vostra

mente, preparatevi a leggere. Vi racconterò la storia di Occhiverdi e Cuoredoro.

Non vi narrerò avvenimenti sconvolgenti, colpi di scena, biografie strane o fantastiche.

Vi presenterò due persone normali che vivevano nella stessa città, ma solo in un momento

particolare della loro vita si sono incontrate.

È una storia dove probabilmente potrete riconoscervi, con riflessioni che sicuramente avrete

fatto anche voi.

Forse non avete mai trovato le parole per esprimere le stesse sensazioni che qui leggerete.

Spero di riuscire a farvele rivivere intensamente come le avreste volute raccontare.

Leggerete parole semplici, a volte banali, ma dettate dalla sincera voce del cuore.

- 5 -


Il Salotto degli Autori

SENTIERI D’ESPERANZA di Andrea FIGARI - 10,00 euro

ANDREA FIGARI è nato a Torino il 21 gennaio 1983, ha conseguito la Laurea specialistica in

giurisprudenza presso la Facoltà di Torino nell’ottobre del 2008 con una tesi in Diritto dei

paesi Afro-asiatici.

Appassionato di scacchi e poesia, Sentieri d’Esperanza è la sua prima pubblicazione.

Quest’opera è un breve cammino verso un ipotetico mondo perfetto accompagnati da una

figura affascinante e misteriosa.

Dedicata a coloro che Andrea ha incontrato lungo il cammino della vita, essa ha come obiettivo

finale il lettore, il quale viene coinvolto in questo percorso alla scoperta di Esperanza.

NEL TEMPO

E VIENE LA SERA di Paolo GRECCHI - Silloge poetica -

Nel tempo delle ore spente,

quando sullo schermo opaco della vita

il fluire dei pensieri

si mescola coll’effimero dei sogni,

tolgo sempre dallo scrigno dei ricordi

un’ombra con le ali di seta

e nel vuoto privo di voci e di colori

resto in attesa che la farfalla

torni di nuovo a volare

nell’intimo mio giardino.

- 6 -

QUELLA NOTTE

Cadeva la sera lungo l’orizzonte ormai spoglio e,

mentre avanzava l’ombra del tempo morente,

cercavo di trattenere le ultime carezze di luce

prima che divenissero ricordi,

quando … fruscii di emozioni

preannunciarono nuovi sogni nella notte a venire,

ma, già sapevo che non sarei riuscito a dormire

ed i sogni non avrebbero reso frizzante il mio cuore

in quella notte nuda e buia.

UOMINI E DONNE SOLI 3 di Gianfranco GREMO

- Prezzo di copertina: 12,00 €. -

Con questa sua terza fatica (lungi da lui l’intenzione di ripercorrere le tappe di Ercole) continua

la narrazione dei casi di chi è solo e ha mille urgenti ragioni per non averne coscienza.

Volutamente, alcune delle vicende qui narrate cadono nel grottesco.

Non prendersi troppo sul serio è la migliore cura per ricercare la serenità.

Chi è alla ricerca della felicità, sappia che dura pochi attimi, meglio accontentarsi della serenità.

BRENDA LA LUPA BIANCA

e

BRANDO IL LUPO SOLITARIO

di Monica FIORENTINO

Due brevi racconti che hanno, quali protagonisti, questi

animali che intimoriscono l’uomo ma... possono anche

vivere storie d’amore, nel mondo fantastico dell’autrice.


INTRODUZIONE

Estate 2009

POESIE di Carlo MURZI - Silloge poetica - 10,00 euro

L’acqua ha il potere di

accendere, trasportare,

vivificare i pensieri

che mai si dissolveranno

fluendo assieme ad essa.

- 7 -

CIELO NEBULOSO

Nubi nel cielo,

con linee a raggiera

dagli inerti colori;

fuoco alternante

pronto ad esplodere

da un occulto riposo.

COSÌ SEI

Sei un fiore sbocciato in una notte

calda d’estate attraverso il brivido

dei tuoi occhi sognanti.

I suoi petali rigogliosi mi avvolgono

come ovatta nel calore dei tuoi

sentimenti.

QUASI MISTERO di Agata FERNANDEZ MOTZO - 6 euro

QUASI MISTERO

Vette innevate

fra azzurri intervalli di cielo

ondulati da catene contigue

di monti frastagliati….

Verdi pinnacoli

svettanti verso il sole

e spazi immensi

verso l’infinito…..

Nella circostante serenità

alberi secolari riflettono

nello specchio placido

del lago

il loro essere,

che con perenne

e silenzioso linguaggio

parla di origine remota…..

Quasi mistero!

Aleggia intorno

da lontano

lo spirito di Dio,

che nel mormorar della cascata

fa sentire,

divina,

la sua voce…

IL DOLORE

È il dolore

che a Gesu’ ci unisce,

nel dolore si vive

la divina passione

e nella santa unione,

che esso sancisce,

continua nel Corpo Mistico

la Redenzione.

IO SONO LINDA di Claudi RACCAGNI - 12,00 €. -

Dalla prefazione di Rachele Zinzocchi

Wozu Dichter in dürftiger Zeit?

(Friedrich Hölderlin, Brot und Wein, 1801)

«A che i poeti in tempo di povertà?». Questo si chiedeva il tedesco Friedrich Hölderlin nella

sua elegia Brot und Wein («Pane e vino») nel 1800. Più di due secoli sono passati da allora.

Ma le parole del poeta suonano ancora terribilmente attuali.

Hölderlin non fece una bella fine. Morì pazzo (o considerato tale) nella Torre di Tubinga, in

Germania, non troppo distante, nei modi e nel pensare, da quella che fu l’Ellade. La sacra

Ellade dell’Antichità. Hölderlin finì la sua vita là, dopo esservi stato rinchiuso per anni.

Eppure i suoi versi ci trafiggono il cuore, perché sembrano scritti oggi: per l’oggi.

Che cos’è infatti la dürftiger Zeit, questo «tempo di povertà», se non lo stesso tempo in cui

anche noi oggi viviamo, al quale siamo destinati e con cui ci troviamo a fare i conti tutti i

giorni? Non viviamo forse anche noi, più di Hölderlin, in un «tempo di povertà» globale ...

IL SEGRETO DI ALAIN

e

IL SEGRETO DI SOPHIE

di Cristina CONTILLI - 6,90 €.

Due nuovi capitoli dell’intricata storia tra il conte Alain

De Soissons (Alain Philippe Eugéne De Savoia-

Soissons), ufficiale della marina francese in servizio presso

la caserma della Guardia Costiera di Calais e la

marchesina Juliette (Julie) De Sade, figlia del marchese

De Sade e dell’attrice Marie Costance Rolland Quesnet.


Il Salotto degli Autori

Car Carta Car ta e e P PPenna

P enna pub pubblic pub lic licherà lic herà

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poesia

Per partecipare alla SELEZIONE EDITORIALE DI

CARTA E PENNA inviare una copia di

un’opera di narrativa (raccolta di racconti o romanzo)

composto da non più di 80 pagine composte da

circa 1800 battute ogni pagina;

una raccolta di poesie composta da un massimo di

80 pagine.

Gli autori dovranno trasmettere a Carta e Penna,

Via Susa 37 - 10138 Torino:

un breve curriculum contenente i propri dati (nome,

cognome, indirizzo completo, numero di telefono ed email);

dichiarazione di essere autore dell’opera e del possesso

dei diritti di pubblicazione.

A sostegno delle spese di segreteria si chiede un contributo

di 10,00 euro da versare sul conto corrente

postale n. 43279447 intestato a Carta e Penna Ass.

Cult. - oppure con bonifico IBAN: IT 27 N076 0101

PROCLO - COMMENTARIO ALLA REPUBBLICA PLATONICA

di Alessio MANZO - 5 euro

Dalla premesa: Il neoplatonico Proclo sulla scorta del maestro Siriano si propone “di esaminare,

in quale modo si potrebbero dire convenienti parole a difesa d’Omero contro il Socrate

della Repubblica e dimostrare con la natura della cose e con quanto al filosofo è più di tutto

gradito che insegna sulle cose divine e umane quelle più consone, rimuovere da Platone la

discordanza con sè”. Quindi procede all’esame “della disposizione dei miti divini da parte dei

teologi”, dei “diversi modi della teomachia”, dei “miti che sembrano accusare dei mali gli dei”,

“come la poesia sembra riferire agli dei la violazione dei giuramenti”, delle “mutazioni degli dei

introdotte nella mitologia”, “dell’invio del sogno che sembra riportare agli dei la menzogna”,

“dei miti omerici e platonici, in cui delle regioni nell’Ade parlano”, delle “cause per cui la

poesia riferisce lamenti e sugli eroi e sugli dei”, della “causa del riso detto degli dei nei miti”,

“dei luoghi che nella poesia d’Omero sembrano eccitare gli uditori al disprezzo della temperanza”,

“sulla cupidigia attribuita da Omero agli eroi”...

ZARATHUSTRA LE “GATHA” di Alessio Manzo - 5 euro -

Il Mazdeismo è la religione fondata da Zarathustra-Zoroastro sulla credenza nel Sapiente

Signore.

“Ahura Mazda… l’Intelligente… della stessa indole della verità… il Primo… il Padre del

buon pensiero, il vero Creatore della verità, (e) il Signore dell’esistenza….. il rivelatore….. in

conseguenza….. della Sua abbondante autorità di dominio sulla totalità e immortalità…

l’Onnipotente… che governa a Suo piacimento”.

“Ci sono due spiriti fondamentali, gemelli che sono rinomati per essere in conflitto. Nel

pensiero e nella parola, nell’azione sono due: il bene e il male.

E fra questi due, i benefici hanno scelto correttamente, non i malefici. Inoltre quando questi

due spiriti prima di tutto vennero insieme, crearono vita e morte, e come, alla fine, la peggiore

esistenza sarà per i falsi ma il migliore pensiero per la persona veritiera”.

SELEZIONE EDITORIALE DI CARTA E PENNA

- 8 -

0000 0004 3279 447, assegno non trasferibile o in

contanti. Gli autori possono partecipare ad entrambe

le selezioni versando le quote dovute.

Tra tutti i testi pervenuti entro il 30 settembre 2009

sarà scelta un’opera di narrativa e una di poesia. L’autore

si impegna a trasmettere il file dell’opera al fine

della pubblicazione.

Saranno stampate 100 copie; 90 copie saranno inviate

all’autore che sarà comunque detentore dei diritti.

Le 10 copie trattenute saranno utilizzate per gli

adempimenti di legge e per le recensioni.

I libri avranno il codice ISBN e saranno pubblicizzati

su questa rivista e su www.cartaepenna.it.

I dati personali raccolti saranno trattati con estrema

riservatezza e nel rispetto della normativa vigente (Legge

n. 675 del 31 dicembre 1996 e successive integrazioni e

modificazioni).


Estate 2009

Quattro chiacchiere col Direttore

Care Autrici e cari

Autori,

vi è piaciuta la novità

apparsa subito ai vostri

occhi?

La copertina a colori

della nostra rivista è il

primo di molti cambiamenti

che avverranno nei

prossimi mesi e voglio

ringraziare, per la “colorata”

novità apportata al nostro Salotto, Stefano Veronesi

direttore creativo di MOOD36 e ARTEMOOD di Torino.

Con la sua società abbiamo anche organizzato il Concorso

Letterario a favore delle popolazioni dell’Abruzzo,

colpite dal terremoto: come avrete modo di leggere nel

bando, pubblicato nelle ultime pagine di questo numero

della rivista, le quote di iscrizione e di partecipazione

andranno al fondo che «Specchio dei Tempi», del quotidiano

La Stampa di Torino, ha istituito per aiutare

finanziariamente la ricostruzione di quella regione così

duramente ferita. Il Concorso vuole essere un segno, anche

se modesto, di grande solidarietà con chi, in pochi

istanti, ha perso tutto…

Sono sicura che arriveranno moltissime adesioni, come

avvenne per il «Concorso degli Assi», al quale si iscrissero

302 opere!

Grande successo è stato riscosso dal Concorso Letterario

«Città di San Gillio», la cui premiazione ha avuto

una sentita partecipazione da parte dei sangilliesi che

hanno applaudito con entusiasmo i vincitori. I risultati di

entrambi i Concorsi citati, sono pubblicati nelle pagine

51 e 52, dedicate ai Premi letterari, dove pubblichiamo

anche i risultati di «Scrivimi…», organizzato da Monica

Fiorentino di Sorrento.

Per concludere la carrellata concorsuale, rammento che

il 31 dicembre 2009 scadrà il termine di adesione al

Concorso Letterario «Profumo d’Antan», seconda edizione

di una kermesse letteraria dedicata ai ricordi, a quei

sapori e a quei profumi legati a momenti di particolare

intensità, emotiva o sentimentale.

Nei mesi scorsi abbiamo aderito a molte importanti

manifestazioni, come la Fiera Internazionale del Libro

di Torino, che ci ha visti a fianco della Federazione Malattie

Rare Infantili della città subalpina: è stata un’occasione

d’incontro con molti autori che sono venuti a trovarci

da ogni parte d’Italia.

Sempre a maggio abbiamo partecipato, presso l’Ospedale

«Martini Nuovo» di Torino, alla 4 a Giornata della

Salute Guadagnare Salute Lavorando: in questo ambito

abbiamo avuto modo di promuovere le pubblicazioni dei

nostri autori, le iniziative intraprese e abbiamo collabo-

- 9 -

rato all’attuazione dell’omonimo Concorso Letterario riservato

ai dipendenti dell’ASL.TO1.

Si sono conclusi, in vista della pausa estiva, gli incontri

settimanali del mercoledì, e mensili del venerdì, al Circolo

dei Lettori; nel mese di ottobre riprenderanno gli

incontri e ci auguriamo di poter rinnovare i nostri spazi.

Tornando alle novità che riguardano la nostra rivista,

ve ne sono alcune in gestazione.

La prima riguarda la lunghezza dei testi che gli autori

potranno inviare alla redazione per l’eventuale pubblicazione

nei prossimi numeri; come avete avuto modo di

verificare, chiediamo, ormai da tempo, testi composti da

non più di due cartelle (max 4.000 battute spazi inclusi)

e vi invitiamo a rispettare tale limite poiché altrimenti,

per esigenze grafiche e di spazio, dovremo apportare un

lavoro di editing sui testi pervenuti e accettati, al fine di

rientrare nei margini richiesti.

Abbiamo inoltre deciso di pubblicare, a partire dal

materiale che arriverà in redazione da settembre in avanti,

i racconti che ci perverranno, inserendoli in un volume

antologico che sarà presentato a ottobre o novembre del

2010 (in tempo comunque per i regali strenna di Natale),

al fine di dare un più ampio respiro editoriale ai testi

degli autori che desidereranno aderire all’iniziativa.

Tale antologia sarà codificata con l’ISBN e acquistabile

in altri canali distributivi (che saranno comunicati), oltre

che dal nostro sito internet. I testi saranno sottoposti a

lettura da parte di un comitato editoriale e sottoposti a

valutazione e a editing.

Nel prossimo numero della rivista, dopo le ferie, vi

daremo indicazioni più dettagliate in merito. I racconti

inviati sino a ora, comunque, saranno regolarmente pubblicati

nei prossimi due numeri della rivista.

Mi auguro che le novità proposte siano di vostro gradimento

e, nell’augurarvi buone vacanze, vi do appuntamento

al prossimo numero.

Donatella Garitta

Gentile Donatella Garitta,

nel complimentarmi con Lei per la continuità dei successi

che ottiene sia come direttrice della rivista che in tutte

le altre iniziative che porta avanti, vorrei altresì ringraziare

con la presente la scrittrice Rosanna Murzi per aver

trovato bellissimo il mio articolo “Chacun sa formule”.

Chi, come me, scrive sinceramente, dando in fondo tutto

se stesso e la propria continua esperienza, quando vede e

sente di essere apprezzato, non può non provare una sottile

commozione che parte dal cuore. Grazie dunque.

Siccome apprezzo quanto scrive Giuseppe Dell’Anna,

mi ha fatto anche piacere la sua citazione del mio articolo

“Testimonianza del tempo che passa”. Pertanto ringrazio

anche lui.


Mi sia permesso elencare ciò che è scritto su due meridiane.

La prima dice: “Tutte le ore feriscono, l’ultima

uccide”. La seconda recita: “Souviens-toi de vivre”.

Pur nella tragica verità della prima, dobbiamo accettare

la seconda cercando di allontanare più che la morte,

la vita. Questo è possibile cercando in noi la forza di non

fermarci, perché, se ci fermiamo, purtroppo è finita, e

arriva... l’ultima ora.

Tanti cordiali saluti di cuore, a Lei e a tutti coloro che

vi scrivono, leggono, assimilano e commentano il contenuto

del “Salotto degli Autori”.

Giovanni Reverso (Torino)

FOSCA ANDRAGHETTI: 1° Premio sezione racconto

per il Premio Letterario città di Pontinia - XIII edizione

M. FRANCESCA CHERUBINI: 1° premio nella sezione

Regioni d’Italia nel Concorso Internazionale Giovanni

Gronchi di Pontedera col libro di teatro Essere e

Conoscere - teatro scritto in poesia.

M.GRAZIA STIAVELLI SILVANI: al XXVII Concorso

Nazionale di Narrativa e Poesia “FRANCO

BARGAGNA”- PONTEDERA le è stato attribuito il 2°

Premio minisilloge per “Riconoscimenti speciali”

MARIA TERESA BIASIONI MARTINELLI: Primo

Premio al Concorso “Città di Rivoli”, sez. Poesia.

Premio Internazionale di Poesia e Narrativa Napoli

Cultural Classic - Sezione Poesia:

3° classificato ROBERTO MESTRONE con Come

cade l’onda;

Menzione d’onore a GIACOMO GIANNONE con Il

sole – la 500

Sezione Narrativa, menzione d’onore ad ARTURO

BERNAVA per il racconto Linea 17

GIUSEPPINA IANNELLO SICCARDO: terzo posto

ex-aequo per la sezione poesie al 13° Concorso di

Pasqua “Andrea da Pontedera” indetto dal Comune di

Pontedera.

FRANCESCA RAIMONDI: primo posto al 4^ Premio

al Concorso Internazionale di Poesia Città di Voghera

2009.

GIUSEPPE TONA: Menzione d’onore al concorso Premio

San Valentino di Terni, al libro La mia poesia

Il Salotto degli Autori

Congratulazioni a...

- 10 -

Carissima Donatella,

sono certo che questi primi mesi dell’anno in corso siano

stati molto densi di iniziative per te ed i tuoi collaboratori,

in particolare l’impegno della Fiera del Libro qui a Torino

che ha fornito consensi e numero di visite lusinghieri.

La copertina della Rivista n° 26 mi ha fornito, in questa

occasione, un flash inaspettato (che allego come poesia)

e che coinvolge anche te in un determinato luogo e

viene incontro al tuo desiderio di fare una pausa e sorseggiare,

senza stress, un buon caffè!

Auguro una buona estate a te, lettori e amici tutti!

Giuseppe Dell’Anna (Torino)

Premio Fragolina d’oro

a PIER CARLO MASCHERA

San Mauro (To) - Dopo Nuto Revelli, Franco Piccinini,

Luca Ponzi, Alain Elkann, Bruno Gambarotta, Laura

Mancinelli, Younis Tawfick e, ultimo in ordine di tempo,

Paolo Giordano, quest’anno la “Fragolina d’Oro”, il premio

letterario nato su proposta dei coltivatori diretti ed

assegnato, da diciannove anni a questa parte, al personaggio

maggiormente distintosi in ambito culturale, è stato

consegnato a Pier Carlo Maschera, collaboratore della

“Nuova Periferia”.

La cerimonia ufficiale si è svolta sabato scorso presso

la Sala Consiliare del Comune , alla presenza di un folto

pubblico, fra cui il vice presidente del consiglio provinciale

Beppe Cerchio, il sindaco di Baldissero Carlo Corinto

con gli assessori Bruna Castelli e Bruno Todesco, gli

assessori sanmauresi Augusta Montaruli e Monica Friolo

unitamente a diversi consiglieri e rappresentanti

dell’associazionismo locale, fra cui una rappresentanza

degli “Amis ‘dla Fròla”.

Dopo il ringraziamento rivolto dal sindaco baldisserese

Carlo Corinto a Pier Carlo Maschera “nostro cittadino

onorario a cui va riconosciuto il merito di essere sempre

stato attivo in campo culturale e di aver dato un forte

impulso qualitativo alla nostra Pro Loco durante il suo

periodo di presidenza”, ha preso la parola il sindaco di

San Mauro Giacomo Coggiola, che ha sottolineato come

“la scelta di Maschera quale destinatario del premio letterario

“Fragolina d’Oro” è motivata dal suo forte impegno

in ambito culturale, come poeta in lingua italiana e

piemontese, come giornalista attento e sensibile alla vita

ed alle vicende sanmauresi, come persona sempre presente

e disponibile nel seguire o partecipare, in prima

persona, alla realizzazione di eventi culturali in ambito

sanmaurese, unitamente al suo impegno di volontariato”.

Dopodichè il sindaco Coggiola ha voluto omaggiare il


pubblico presente con la lettura della poesia in lingua

piemontese dedicata da Maschera alla città di San Mauro,

poesia che, incorniciata, fa bella mostra di sé nell’ufficio

del primo cittadino. Ha quindi preso la parola il vice

sindaco Roberto Olivero che, dopo aver brevemente ricordato

come Pier Carlo Maschera sia socio onorario

della Pro Loco di San Mauro e del gruppo “Amis ‘dla

Fròla”, vincitore di numerosi premi di poesia e autore di

quattro libri in versi, ha sottolineato come “la scelta di

indicarlo come vincitore del premio “Fragolina d’Oro

2009" sia stata unanime, proprio in virtù della stima che

ha saputo conquistarsi con il suo costante impegno in

molteplici settori della cultura”. Autore di tre libri di

poesia (due in italiano ed uno in piemontese), Pier Carlo

I

I

CRITICI

CRITICI

Estate 2009

- 11 -

Maschera ha recentemente pubblicato, per la Casa Editrice

“Carta e Penna” di Torino, un libro di filastrocche

dedicato al mondo dell’infanzia. E, nel ringraziare per il

riconoscimento ottenuto, dopo aver ricordato il forte impegno

dell’attuale Amministrazione che, in ideale continuità

della vocazione culturale da sempre dimostratasi

in San Mauro , ha realizzato eventi di notevole portata

quali lo splendido “Dicembre in musica” ed il concorso

di poesia che ha incassato un successo insperato, Maschera

ha annunciato che, in accordo con l’assessore

Monica Friolo, il suo libro “Fila…fila…filastrocca” è a

completa disposizione per essere riprodotto, nella sua

completezza o in parte, per finalità scolastiche.

(mpi)

Pier Carlo Maschera, ritira il premio letterario Fragolina d’Oro

LETTERARI

LETTERARI

Gli associati a Carta e Penna hanno diritto annualmente ad una recensione gratuita di un libro edito che

sarà pubblicata sulla rivista e sul sito Internet nella pagina personale - Inviare i libri direttamente ai critici

letterari con lettera di accompagnamento contenente indirizzo, numero di telefono, breve curriculum e numero

della tessera associativa a Carta e Penna. Gli autori che non sono associati a Carta e Penna e

richiedono una recensione dovranno versare un contributo economico variabile a seconda del tipo di libro e

quindi dovranno contattare la Segreteria dell’Associazione telefonando allo 011.434.68.13 oppure al

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all’indirizzo e-mail cartaepenna@cartaepenna.it. Il materiale inviato non viene restituito

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PACIFICO TOPA - Via S. Paterniano, 10 - 62011 Cingoli (MC)

MARZIA CAROCCI - Via L. Signorelli, 6/2 - 50142 Firenze (FI)

OPINIONISTA: GUIDO BAVA via Dante 9 13900 Biella guidoba1@alice.it

-Inviare solo libri di poesia editi-


Il Salotto degli Autori

Raccontami Raccontami una una storia... storia... d’amore

d’amore

L’ultima lettera a Lorena di Gennaro Battiloro (Sesto

F.no – FI)

In una mia poesia pubblicata qualche mese fa e che

aveva per titolo “A San Valentino”, parlavo dell’Amore,

di quello, per intendersi, con la “A” maiuscola…Dicevo

di aver sentito tante volte parlare d’amore, a volte con

leggerezza, ed a volte a sproposito… E quante volte avevo

visto naufragare amori che si ritenevano “indistruttibili”…

“eterni” … L’Amore “vero” (quello con la”A” maiuscola)

è un’altra cosa! Come la storia “toccante” che

vorrei narrarvi, e che ha per protagonisti Francesco e

Lorena (i nomi , ovviamente, sono di fantasia, ma la storia

è “vera”…) Continuando una tradizione iniziata nel

1994 durante un pellegrinaggio con la moglie Lorena

alle Basiliche Mariane dell’Austria, ogni anno, il giorno

di San Valentino, scrive l’ultima lettera alla moglie

Lorena, inviandola ad un giornale perché la pubblichi:

Perché lo faccio? – scrive Francesco – Non lo so. Forse ,

per comunicare la gioia d’aver ricevuto in dono l’amore,

quello unico, pienamente umano, senza alcuna divisione,

conquistato nella gioia e nella sofferenza. Sì, è così. Ecco

il testo della lettera scritta alla moglie Lorena: Carissima,

quando nel 1999, per la tua malattia i medici non mi

diedero alcuna speranza, io, con tutta la mia forza e tutto

il mio essere, mi rivolsi a Dio per ottenere la guarigione

e poterla ridonare a te nella carità, che è amore. Mi fu

data, perché pur nell’accettazione della realtà e a pochi

giorni dalla tua dipartita, tu mi chiamasti “uomo di speranza”.

Di questo ti ringrazio. E, soprattutto, ringrazio,

ASSOLUTO

di Grazia FASSIO SURACE

(Moncalieri)

Era blu il mare

oltre il bianco muro

e bianca la vela

solitaria.

Era chiaro il cielo

oltre il blu del mare

immoto in un’alba

senza nubi.

Niente interrompeva lo sguardo

sdraiata

oltre il muro bianco.

Tratta dalla raccolta poetica

BIANCO E NERO

Estro Versi - Montedit ed.

Rubrica a cura di Gennaro Battiloro

- 12 -

Dio che mi ha permesso d’avere speranza. Così, ogni

tanto, mi accorgo di dire a voce alta due parole: “Io amo.

Un sentimento così dolce e, al tempo stesso, così struggente!

E penso a te, che con occhi nuovi guardi “il mistero

immenso del cielo dove ora vivi”. E penso a me che,

sul luogo dove il tuo corpo riposa, guardo quel Cristo di

bronzo col capo rialzato e la destra, che dalla croce è un

po’distaccata, quasi nell’atto di venirmi incontro, di venirmi

a prendere. E certo che quello che fu il tuo patimento,

e quello che ora è il mio per la tua mancanza, è

nella al confronto di ciò che ha patito Gesù, trafitto dai

chiodi e appeso alla croce. Il senso di questo, a te ora, è

completamente svelato e puoi contemplarlo nella gloria,

mentre a me resta la libertà di contemplarlo nella speranza,

perché la sua inevitabile morte è stata per tutti noi

la “vera vita”. E la tua vita non può, quindi, essere stata

vana. Così, “Io ama” quando di pianto mi si velano gli

occhi, consumando l’Eucaristia nella Santa Messa; così

“Io amo” soprattutto nelle angustie del tempo, quando in

Dio mi addormento nel sonno quotidiano. Così, “Io ora

amo, raccontandomi a te in questo significativo giorno di

metà febbraio 2005: San Valentino martire” GRAZIE,

Signor Francesco per questa “toccante” testimonianza

d’amore, un Amore veramente con la “A” maiuscola.

SORSEGGIANDO UN CAFFÈ

di Giuseppe DELL’ANNA (Torino)

(Poesia ispirata dalla copertina della

Rivista “Il Salotto degli Autori” n° 26

Primavera 2009")

Un bisogno di esami clinici

ti portò presso questa struttura sanitaria.

Leggevo nel tuo sguardo

che era bello trovare un volto amico

in un luogo che – solitamente –

si tiene ai margini dell’ego,

così, dopo gli accertamenti,

ci avviammo sotto il colonnato

all’interno di un bar

dove, seduti ad un tavolo,

sorseggiammo un caffè

e parlammo senza più occuparci del tempo

che pigro transitava

oltre il vetro fumè del locale.

Gli steli dei nostri pensieri

ci avvolgevano con discrezione

senza bisogno di fornire contenuti:

bastava il calore delle nostre parole

a creare i contorni del nostro tempo

spesso avaro

eppure anche tanto meraviglioso…


Estate 2009

IL QUATTROCENTO E L’UMANESIMO

- Prima parte -

di Carlo Alberto Calcagno (Arenzano - Ge)

La letteratura italiana trova nel Quattrocento terreno

poco fecondo poiché la gran parte delle opere è scritta in

lingua latina. I letterati umanisti 1 , infatti, tennero in

poco riguardo il volgare in quanto lo consideravano carente

dal punto di vista estetico e privo della necessaria

sensibilità umana. Quando posero il volgare alla loro attenzione

lo fecero per il solo desiderio di elevarlo ai modi

alti del modello latino. Venne recuperato però il latino

classico e non quello medioevale come si potrebbe pensare

vista la contiguità dei periodi.

Sappiamo già che anche Petrarca e Boccaccio considerarono

la lingua latina come strumento letterario privilegiato,

nonostante abbiano acquisito fama e vengano ricordati

soprattutto per la produzione volgare. La nuova

cultura guarda dunque ai valori e alla lingua latina antica:

una lingua morta e utilizzata ormai solo per la letteratura.

Il letterato umanista, fine nel gusto estetico, tiene

parimenti in grande considerazione i sentimenti e le concezioni

morali e spirituali; e la sua attività viene assicurata

da un mecenate o committente che è sostanzialmente

un borghese desideroso di nobilitare le sue basse origini

e nel contempo di innalzarsi politicamente.

Su commissione dunque l’umanista va alla ricerca dei

codici più fedeli all’originale classico; si formano allora

le prime biblioteche private, e ciò a discapito del monopolio

culturale riservato fino ad allora al mondo ecclesiastico;

si diffonde conseguentemente il mestiere del

libraio e, dopo la scoperta di Gutemberg della stampa,

sul finire del Quattrocento si poterono contare nelle più

importanti città italiane più di settanta stamperie 2 .

La cultura aristocratica diviene elitaria, dato che si restringe

al cenacolo dei letterati che scrivono tra loro o

per omaggiare il loro mecenate. Si affianca, in altre parole,

alla tradizionale Università la cosiddetta Accademia,

presente in ogni corte d’Italia, che è un circolo di dotti,

ma anche un mezzo prezioso per educare gli eredi della

nobiltà di corte 3 .

L’Accademia fiorentina, voluta dai Medici e detta

“platonica”, è di fondamentale rilievo: così come il Medioevo

esalta Aristotele, il Quattrocento pone al centro

della sua indagine la dottrina platonica, ovvero ammette

l’esistenza di un mondo ideale differenziato sia dal mondo

sensibile sia dalle costruzioni della mente umana.

L’idealismo platonico è appunto ricerca di armonia e

di bellezza, perfezionamento del gusto, discrezione dei

comportamenti, visione di un’umanità perfetta, di cui la

corte può rappresentare lo specchio: in quest’ambito si

cerca la sintesi tra l’umanesimo pagano e l’ascetismo

cristiano, armonizzando spiritualità e sensibilità, anima

e corpo, bellezza e verità, entro un disegno primordiale,

- 13 -

da paradiso terrestre della perpetua innocenza.

La corte è proprio il luogo edenico ove la natura e l’invenzione

collaborano all’avvento del regno della “Grazia”.

Ci si vuole riappropriare del mondo e dell’umano,

purificandoli alla luce dei valori cristiani. Firenze è, come

detto, il primo centro della cultura umanistica grazie all’opera

del Boccaccio. Qui opera anche Coluccio Salutati

4 , un politico che si occupa di letteratura; in lui essa si

salda alla cosa pubblica 5 , le humanae litterae sono addirittura

un esempio per la conduzione della vita attiva; è

una figura che ricorda Cicerone, l’oratore classico di cui

scopre le Epistulae ad Familiares. In particolare ed in

dissonanza con i dotti del suo tempo abbandona la retorica

medioevale a favore appunto di quella ciceroniana.

Sotto il profilo politico Coluccio esalta la Firenze democratica

6 : nel De Tyranno afferma al proposito

l’ammissibilità del tirannicidio 7 . Nei vari trattati affronta

poi il rapporto che c’è tra la fortuna e la libera volontà

(tema che poi verrà ripreso, tra gli altri, da Machiavelli),

cerca un’integrazione tra l’umanesimo e la scienza, si

occupa della delicata relazione tra i miti pagani e le verità

cristiane. Coluccio Salutati sostituì infine negli studi

classici la grafia gotica con la più leggibile minuscola

carolina convinto che fosse la grafia romana: tale introduzione

sarà importantissima per la nascita e la diffusione

dei libri stampati 8 .

A Firenze giunge anche la letteratura greca con Manuele

Crisolora, un diplomatico e maestro del greco classico 9 ,

emigrato da Costantinopoli in Italia nel 1397 - su invito

del Salutati - che traduce in latino la Repubblica di Platone

e le Vite di Plutarco, opere di grandissima risonanza

nel secolo. Per la lingua greca va ricordato anche il

cardinale Bessarione, non solo per il suo tentativo di conciliare

platonismo e Cristianesimo, ma soprattutto per il

lascito (1468) a San Marco di Venezia di una grandissima

biblioteca (primo nucleo della Marciana) di testi greci

provenienti da Costantinopoli e dai conventi greco-ortodossi.

Allievo del Salutati e suo successore alla Cancelleria

di Firenze è Leonardo Bruni (1374-1444)

grecista 10 , ma soprattutto storico 11 che esalta Firenze

come la città ideale; scrive anche in volgare una Vita di

Dante ed una Vita del Petrarca.

Niccolò Niccoli (1364-1437) fu grande ricopiatore e

raccoglitore di libri 12 (tutti quelli del Boccaccio), ma scrittore

di scarso peso; più che altro si ricorda perché fiero

avversario della lingua volgare. Il maggiore degli

umanisti-filologi è senza dubbio l’aretino Gian Francesco

Poggio Bracciolini (1380-1459), allievo a sua volta

del Salutati e membro della stessa Cancelleria fiorentina.

Si tratta di un letterato libero da vincoli comunali e


disposto assai più del Petrarca, a mettere la sua professionalità

(il B. era anche notaio) a servizio dei committenti

che più lo retribuiscono.

Fu straordinario cercatore 13 e ricopiatore di Codici

anche per commissione della Curia romana.

A differenza del Salutati e del Bruni egli non concepisce

la letteratura come strumento di intervento civile, ma

come consolazione e bellezza opposte allo squallore e

alla malinconia del tempo che passa. Mentre quelli proiettano

in Firenze l’immagine dell’Eden Bracciolini pensa

ad un Eden prettamente naturalistico 14 .

Nel De avaritia e nel Contra Hypocritas Bracciolini

polemizza poi contro i monaci ghiottoni che secondo lui

esasperano i temi del peccato e delle pene e sono perciò

da lui considerati i peggiori nemici della concezione

umanistica di un mondo innocente in cui il piacere è libero

da ogni colpa, come nell’Eden.

All’aspirazione di un mondo innocente si unisce nel

Bracciolini, il senso della ineluttabile della fuga del tempo

e della decadenza di tutte le cose; il mondo classico

diventa così ragione di riflessione sulla caduta della antichi

splendori.

Di Bracciolini ricordiamo in ultimo il Liber facetiarum 15

(1438-1452), la più importante raccolta di motti arguti

del Qattrocento.

NOTE

1 Che furono detti tali per la scelta rigorosa della humanae

litterae (poesia, oratoria, epistolografia, storiografia, filosofia

morale).

2 Con almeno un grande artista della stampa come Aldo

Manuzio, autore dei più belli incunaboli (i primi libri a stampa,

appunto ancora “in culla”) della storia.

3 Si tratta del nucleo del futuro liceo, scuola “classica” per

eccellenza.

4 Nato a Signano Val di Nievole nel 1331 e morto in Firenze

nel 1406. Fu prima notaio e poi cancelliere di Lucca e Todi ed

infine segretario della Prima cancelleria di Firenze (il Cancelliere

di Firenze era la più alta magistratura della Repubblica

fiorentina anche se aveva alcun potere politico); divenne amico

del Petrarca e confidente del Boccaccio,

5 In questo senso v. le Epistulae e i trattati De saeculo et

religione, De fato, fortuna, et casu, De tyranno.

6 Soprattutto nel momento in cui Gian Galeazzo Visconti

(1385-1402), novello Cesare, tenta invano di impadronirsene.

7 L’uccisione del tiranno fu per la prima volta considerata

legittima dal filosofo medievale Giovanni di Salisbury (metà del

XII secolo). Il tirannicidio, in difetto di altra azione possibile,

lo troviamo in seguito nel De Guelphis et Gebellinis e e nelle

Glosse alla Costituzione enriciana Qui sint rebellis, opere del

grande giurista trecentista Bartolo da Sassoferrato. La tematica

sarà ripresa anche nel secolo dei Lumi con il Trattato sulla

Tirannide (1777-1789) di Vittorio Alfieri ove si configurano

come unici rimedi alla tirannia il suicidio o appunto il tirannicidio.

8 Il processo sarà poi perfezionato da Poggio Bracciolini.

9 Questa lingua in Grecia era stata soppiantata dal greco

moderno.

Il Salotto degli Autori

- 14 -

10 Traduce Platone, Aristotele, Senofonte e Plutarco grazie

agli insegnamenti di Crisalora a cui viene affidata dal Salutati

la cattedra di letteratura greca.

11 Da ricordare di questo autore con particolare attenzione

Le Historiarum Florentini populi libri XII (Dodici libri di storie

fiorentine, 1420) che insieme ad altre opere (le Istorie fiorentine

(1525) di Niccolò Machiavelli, la Storia d’Italia (1561-

1564) di Francesco Guicciardini, e il Methodus ad Facilem

Historiarum Cognitionem di Jean Bodin), abbandonavano la

visione degli storici medievali legata a un concetto di tempo

segnato dall’avvento di Cristo per sviluppare un’analisi degli

avvenimenti che ha origine da un punto di vista laico del tempo

e dall’atteggiamento critico verso le fonti. La storia divenne

una branca della letteratura e non più della teologia. Gli storici

del Rinascimento rifiutavano la divisione cristiana della storia

che doveva avere inizio con la Creazione, seguita dall’incarnazione

di Gesù Cristo e dal Giudizio Finale. La visione

rinascimentale della storia esaltava il mondo greco e romano,

condannava il Medioevo come un’era di barbari e proclamava

la nuova epoca come quella della luce e della nascita del classicismo.

12 Alla sua morte lasciò ottocento codici.

13 Nel 1414 in seguito alla partecipazione al concilio di Costanza

aveva ritrovato nelle abbazie di Cluny e di San Gallo

molti codici, dati per scomparsi, conservanti le opere di autori

latini come Quintiliano, Lucrezio (il De Rerum Natura),

Ammiano Marcellino, Silio Italico, Stazio e Valerio Flacco.

14 Tale paradiso lo ritroviamo in una celebre lettera dove il

B. descrive le ricreazioni balneari di Baden, dove donne e

uomini nudi giocano senza malizia in un clima fascinoso di

primitiva innocenza;

15 Una raccolta che consta di 273 facezie, di un’introduzione

e di una conclusione. Dopo una diffusione manoscritta (anche

in redazioni parziali in anni precedenti il completamento

della raccolta), l’operetta ebbe una notevolissima fortuna di

stampa: si contano poco meno di una trentina di edizioni, ad

esempio, tra il 1470 e il 1500 molti autori prenderanno le

mosse dal Bracciolini: Poliziano, Pontano, Baldessar Castiglione,

Thomas More, Erasmo da Rotterdam ecc. Il titolo dell’opera

nelle intenzioni del Bracciolini sarebbe dovuto essere

Confabulationes (conversazione famigliare), ma il termine

facetiae (frase scherzosa ed arguta) si impose in quelli poi divulgati:

Facetiae, Poggi Florentinii Facetiae, Liber facetiarum.

Dal punto di vista strutturale le facezie sono brevi racconti

d’intrattenimento che vogliono insegnare con sagacità l’arte

del vivere; gli umanisti utilizzano molte figure retoriche per

ottenere l’effetto voluto come l’entimema (sillogismo che tende

a suggestionare partendo da premesse solo probabili), la metafora,

l’allegoria, la paronomasia (avvicinamento di parole di

suono uguale ma di significato differente), l’ironia ecc.

In quanto al contenuto le facezie mostrano un desiderio di

libertà dal consenso, dall’ordine costituito sia esso laico o religioso,

di licenziosità e trasgressione anche delle convenzioni

linguistiche (specie quando dalla logica si giunge al paradosso);

il vir doctus et facetus si prende così l’impegno di smascherare

la rusticitas, l’ottusità e la limitatezza della falsa od

improvvisata cultura.


PROFONDO AZZURRO

di Guido BAVA (Biella)

Profondo azzurro sui monti

carichi di bianca neve

e il sole che già indora,

timido,le loro alte cime.

Volo di corvi neri e di colombi

ad animare il grande cielo

che io, solitario, ammiro

con l’occhio vecchio e stanco.

Pensieri, lembi di ricordi

sfiorano la mente confusa

che, trepida, li attende

mentre fisso quel raggio

di sole che lentamente scende

ad illuminare la mia valle

e a toglierle quel freddo

che, anch’io,sento tra le spalle……..

IL RICHIAMO DEL MARE

di Mariateresa BIASION

(Orbassano – TO)

Raccolta

nel grembo del mare,

ne respiro la vita.

Baci di salsedine

e

grovigli di alghe

trattengono

i miei passi,

volti alla riva,

porto sicuro

alle tempeste della vita.

Ma,

sepolto

dalle sabbie del tempo,

il canto delle onde

inebria la mente,

protesa ad inseguire

il volo di un gabbiano

e

l’avvolge,

come canto di sirene.

Voci

di antichi dei

sconvolgono

il silenzio dell’anima.

E’ buio nei miei occhi,

pur nell’accecante

bagliore del sole.

Lontano,

scorre,

sulla terraferma,

la monotonia

dell’esistenza.

Estate 2009

- 15 -

PER LE TUE FIGLIE

di Gian Claudio VASSAROTTO

(Lombriasco – TO)

A te, mamma,

la mia preghiera

per le tue figlie.

Le tue figlie cadute

dagli arcobaleni di luce

delle aurore del divino,

negli oscuri tramonti

dei firmamenti umani.

Le tue figlie sposate

al principe delle tempeste

del secolo che ebbre

di tempo abbracciano

gli sfuggenti tesori

del mondo.

Le tue figlie

calpestate dai ciechi

galoppi dell’era che uccide

la poesia ed i sogni.

Per le tue figlie annegate

nell’oceano della violenza.

Per i loro giardini di seta

invasi dai demoni della materia.

Per le candide rose straziate

dai bruchi della lussuria.

Per le ridenti gazzelle rinchiuse

nelle gabbie degli orrori

dove lacrime di sangue cadono

dagli occhi dell’amore.

Ti prego, o madre,

per la rugiada di grazia

che stilla sul loro prato.

Per la luna di speranza

che brilla sui loro volti

in questa terribile notte

nel regno del peccato.


Il Salotto degli Autori

DEDICATO A TUTTI I PERDENTI

Gaetano Pizzuto (Torino)

Sono senza vergogna nel confessare che nel trovarmi in

una qualsiasi toilette di bar, cinema o ristoranti l’unico

inetto che Fantozzianamente non riesce a trovare il pulsante

della luce, a capire il funzionamento del rubinetto

o addirittura non sa riaprire la porta del bagno sono io.

A volte mi capita d’infilare in quelle macchinette infernali

gli ultimi soldi in tasca e loro se li inghiottono, senza

dare in cambio un bel niente e la gente d’intorno con

sorrisetti e sguardi ironici sembra dire: “Che imbranato

sei!“ Quando fui imberbe giovincello, come un perfetto

Charlie Brown arrossivo come un papavero davanti alle

ragazze, non riuscendo ad emettere una sola sillaba e

l’impaccio era patetico, imbarazzante.

La matematica sentenzia la mia appartenenza all’albo

degli spiantati professionali, come Paperino e nel cimentarmi

con infantile entusiasmo tra le avventure del vivere

capita d’ottenere i suoi stessi disastrosi risultati. Inoltre

come un Whill coyote qualsiasi mi ritrovo sbeffeggiato

dal solito Bip Bip di turno. Tutta la simpatia, la solidarietà

ed il mio affetto è rivolta a questi personaggi creati

dalla fantasia degli autori, perché in quell’essere “sfigati“

- 16 -

si rispecchia gran parte della mia vita.

Ho un sogno: che tutti i perdenti riescano ad alzare la

testa, senza che qualcuno o qualcosa li ricacci ogni volta

nel ruolo di sconfitti cronici. Vorrei che Fantozzi venga

rispettato e la smetta di far figure di m... ( pardon, volevo

dire barbine ) circondato dall’insulsa signora Pina e dalla

figlia-mostro Mariangela e che giri finalmente su una

spider piuttosto che su quella scalcagnata giardinetta. Che

un giorno Charlie Brown vinca il campionato di baseball

e riesca a conquistare la ragazzina dai capelli rossi. Vorrei

che Paperino abbia la stessa fortuna del borioso cugino

Gastone e quel taccagno dello zio Paperone gli regali

almeno un decimo dei famosi fantastiliardi e possa

così sposare l’eterna fidanzata Paperina. Che Whill coyote

riesca ad acciuffare una volta per sempre quell’indisponente

antipatico di Bip Bip per poi farlo a fettine. Un

sogno, forse rimarrà solo un sogno: che i miei eroi, che

tutti i perdenti, siano essi di fantasia o siano reali esseri

umani, abbiano una botta di c... ( pardon, volevo dire

fortuna ) e vengano colti da un attacco d’improvviso benessere.

PICCOLO MANUALE DEL MIO DOLORE di Annalisa T.

ISBN: 978-88-6096-284-3 - Prezzo: 10,00 euro - Kimerik Edizioni

Nessuna donna potrà leggere queste pagine senza identificarsi almeno un po’ nella protagonista:

vivere con lei, gioire, illudersi e, finalmente, aprire gli occhi. Nessun uomo potrà

leggere queste pagine senza sentire, almeno un po’ in fondo al cuore, un latente senso di

colpa. La storia sa di quell’amaro che tante donne conoscono. È quasi banale, “già vista”,

già sentita, eppure struggente, inesorabile, coinvolgente dalla prima all’ultima riga. Una

donna incontra un uomo. Ogni cosa intorno a lei le suggerisce di fuggire da quel legame, che

non sarà mai abbastanza solido, mai abbastanza forte, mai veramente un legame. Ma lei ci

crede, ci vuole credere; mette una benda sugli occhi, si copre le orecchie e va avanti come un

treno. Perché questa volta no, questa volta è diversa da tutte le altre, questa volta lui è

davvero cambiato. Qualcuno ha già detto: “Gli uomini non cambiano...”. Annalisa T. racconta

la storia di una delusione d’amore con lucidità e grande capacità autocritica, riuscendo

ad esorcizzare il dolore con frasi ironiche e ricche di humour. La sua scrittura è fresca,

briosa e cattura l’attenzione del lettore inevitabilmente.


Estate 2009

STORIA DEL TEATRO

Il Melodramma

di di Maria Maria Francesca Francesca CHERUBINI CHERUBINI (Perugia) (Perugia)

(Perugia)

Il Melodramma nacque a Firenze negli ultimi anni del

sec. XVI (1580) dalla Camerata dè Bardi.

Questo genere totalmente nuovo e totalmente italiano

scorse dalla collaborazione di un gruppo di artisti, eruditi,

poeti e musicisti che solevano riunirsi nella casa del

Conte Giovanni Bardi, musicista ed erudito lui stesso e,

inoltre, generoso mecenate. Tra essi vi furono nomi insigni

quali Vincenzo Galilei, padre del grande Galileo, che fu

sia liutista sia il massimo teorico della musica. Scrisse

infatti, il “Dialogo della musica antica e moderna” (1581);

il musicista romano Giulio Caccini che elaborò il testo

“Nuove musiche” (1602); i musicisti Jacopo Peri e Jacopo

Corsi ecc, ecc.

Questi studiosi e artisti vollero attuare una riforma in

campo musicale in quanto sostenevano, contro la Polifonia

imperante derivata dai Fiamminghi, la dolcezza e l’eccellenza

della Monodia, appoggiata a testi letterari di

alta dignità poetica.

Questi grandi eruditi, mossi dall’ambizioso desiderio

di dare al nostro Paese quella Tragedia la cui mancanza

era da loro considerata come una grave colpa della Letteratura

Italiana, volsero lo sguardo all’antichità e

ristudiarono gli elementi costitutivi della Tragedia Greca:

poesia, musica, danza.

Convennero dunque che solo dall’intimo legame tra

suono e parola , tra musica e poesia, poteva scaturire una

molteplicità di sentimenti che potesse esercitare quel

particolarissimo effetto (partecipazione e commozione)

sugli astanti, di cui fanno parola gli scrittori antichi.

Dunque, occorreva bandire l’eccessivo tecnicismo e

virtuosismo della Polifonia dando risalto alla parola. Era

necessario cioè liberare la parola dalle eccessive

sovrapposizioni vocali della Polifonia nei meandri delle

quali, il significato delle frasi si dissolveva. Impossibile

infatti percepire, nel groviglio delle voci, l’espressione

dei sentimenti e degli affetti. La “Camerata de’ Bardi”

decise dunque di tornare al “predominio di una sola voce”

e di riportare la parola ad una “perfetta coincidenza con

la musica”. Questo nuovo stile fu poi chiamato “Recitar

cantando”.

La “Camerata fiorentina o de’ Bardi” dette dunque il

primo manifesto estetico e la prima teorizzazione del rapporto

tra musica e dramma, tra musica e canto. Fu scelto

il “Dramma pastorale” a costituire il “libretto” su cui i

musicisti avrebbero intessuto le loro note. E dall’insieme

di dramma pastorale e melodia nacque il Melodramma

(Melodia + dramma). In tal modo, partiti da una

rivisitazione della Tragedia greca, i componenti della

“Camerata fiorentina” trovarono un nuovo originale genere

d’Arte: il Melodramma, la più tipicamente italiana

delle forme teatrali.

- 17 -

Il Melodramma si differenziava fortemente dagli antichi

drammi greci in quanto in essi la musica e la danza

servivano solo di commento alla parola del poeta; nel

Melodramma invece si affidava preminentemente alla

musica il compito di esprimere il sentimento, pur legandovi,

in perfetta coincidenza, la parola del poeta.

Così dalla inclinazione melodica del letterato e dalla

sensibilità poetica del musicista nacque quel nuovo genere

artistico chiamato “Opera in musica”, genere che

conobbe alterne vicende fino alla morte del Metastasio,

ma che conquistò nel periodo Romantico la sua eccellenza

sia per opera di insigni musicisti che scrissero capolavori

eterni, sia per la grande popolarità estesasi in tutta

Europa, trovando ovunque ammiratori e emulatori.

“L’Opera in musica”, nel periodo Romantico fu legata

indissolubilmente alle intramontabili figure di “Norma”,

tratta dall’omonima Opera lirica di Vincenzo Bellini, di

“Lucia” tratta dalla “Lucia di Lammermoor” di

Donizetti, di Tell protagonista del “Guglielmo Tell” di

Rossini, di Otello e Desdemona, figure tratte dall’ “Otello”

di Verdi, di “Aida” dall’omonima Opera di Giuseppe

Verdi, di “Don Carlos” ancora di Verdi, etc etc.

“L’Opera in musica” poiché si avvale di scenografie e

spesso di azioni coreografiche, può essere considerata

una delle manifestazioni artistiche più complete.

La nascita ufficiale del melodramma può senz’altro

essere indicata con la prima rappresentazione di “Dafne”

(1594), opera sorta dalla ottima collaborazione di un

celebre cantore Jacopo Peri e dal geniale Poeta

melodrammatico Ottavio Rinuccini (Firenze 1564-1621)

che ne scrisse il “libretto”.

«Impostata su un’azione semplicissima, suddivisa in

un Prologo e 4 episodi, questa favola tratta da Ovidio

(Dafne inseguita da Apollo è tramutata in lauro) si muove

ancora nell’ambito pastorale: tuttavia, benché priva di

calore drammatico, essa ci presenta già nella verseggiatura

la suggestiva tonalità musicale indispensabile a chi doveva

rivestirne di note l’elegante ed aggraziato recitativo» 1

A questo primo illustre esempio di “libretto” fece seguito

“Euridice” (1600) opera ugualmente scritta dal

Rinuccini e ancora musicata da Jacopo Peri.

L’Opera “Euridice” è complessa e si rifà alla famosa

favola mitologica di Euridice morta per il morso di una

serpe, ma restituita da Plutone allo sposo Orfeo.

Questa fiaba mitologica era già stata cantata dal

Poliziano (Montepulciano 1454-Firenze 1494) ma qui

compare con una variante: si parla del felice viaggio nell’Ade

da parte di Orfeo.

La prima rappresentazione avvenne nel 1600 in occasione

delle nozze di Maria de’ Medici con Enrico IV di

Francia.


Ma il testo di maggiore autenticità poetica di Ottavio

Rinuccini e opera che raggiunge una più intensa drammaticità

e forza di sentimenti è l’ “Arianna” che ebbe la

fortuna di essere musicata dal celeberrimo Claudio

Monteverdi (Cremona 1567-Venezia 1643) il vero creatore

della musica melodrammatica. Vi si narra la storia

dell’abbandono di Arianna da parte di Teseo e il suo

susseguente matrimonio con Bacco. Anche l’ “Arianna”

ebbe la sua prima rappresentazione in occasione di nozze

principesche.

«In tutte e due le composizioni poetiche, Euridice e

Arianna, il Rinuccini giunse ad una notevole caratterizzazione

dei personaggi principali, ma soprattutto si servì

del verso, limpido sempre e sempre diffuso di squisita

dolcezza, per creare quell’aura melodica che è già musica

in potenza, e per avviare il genere, ormai libero dagli

impacci della Tragedia e della Favola Pastorale, alle

fortune dei secoli seguenti» 2

Dopo il Rinuccini il Melodramma, nonostante divenisse

sempre più importante e diffuso, iniziò a contravvenire

alla sua regola fondamentale: far sorgere ogni Opera

d’Arte da una necessità interiore, da un sentimento e

non da elementi esterni e meccanici.

Iniziò una decadenza artistica che con il tempo divenne

grave.

Inoltre, con l’apertura del Teatro di S. Cassiano a Venezia

si ebbe il primo teatro pubblico a pagamento. E

qui fatalmente tra poesia e musica si inserì un terzo elemento:

lo Spettacolo.

Esso portò a messinscene barocche sbalorditive per

assecondare i gusti del pubblico, ma parimenti condusse

il Melodramma a grave decadenza artistica.

Il Salotto degli Autori

- 18 -

La scenografia più bizzarra cercava di portare sul palco

magnificenze esteriori mai viste, rapidi cambiamenti

di scena, apparizioni improvvise di personaggi simbolici

e ciò al fine di guadagnarsi il favore degli astanti. Si

avvalse anche dell’opera di architetti insigni quali lo

Juvara (1678-1736) e il celebre Gian Lorenzo Bernini

(Napoli 1598-1680).

Ben presto la parte decorativa ebbe la meglio su quella

poetica. La poesia perse ogni sua libertà d’azione sottomessa

come era al capriccioso virtuosismo dei cantanti,

e la ricerca frenetica di grandiosità della scena dette

il colpo finale alla poeticità. Il “libretto” scade di valore,

perde ogni dignità letteraria.

«Così il Melodramma da strumento capace di esprimere

profondamente la passione significata dalle parole, di

indurre lo spirito ad un’intelligenza ètica della vita e del

suo valore, quale era stato con il Monteverdi, decadde a

spettacolo scenografico e canoro atto a rapire lo spirito in

voluttuosi e superficiali abbandoni» 3 .

Risollevò in parte le sorti del Melodramma all’inizio

del Settecento il letterato veneziano Apostolo Zeno (1668-

1750). Ma per ricondurre il Melodramma al primitivo

splendore, occorrerà attendere un nuovo grande poeta:

Pietro Metastasio (1698-1782).

NOTE

1 Egidio Curi – Storia della Letteratura Italiana Vol II

– Zanichelli – Bologna – Luglio 1967

2 Gianni, Balestrieri, Pasquali “Antologia della Letteratura

italiana” – Casa Editrice G. D’Anna Firenze –

Aprile 1964

3 Idem

INTRIGHI NELLA CAPITALE di GALEOTTI Idilio

ISBN: 978-88-6096-301-7 Pagine: 298 - Prezzo: €. 15,00

Si giunge, nella vita, ad un’età (credo variabile per ciascuno di noi) in cui si sente il bisogno di fare dei bilanci.

Tirare delle somme algebriche tra le cose fatte e quelle non fatte, o, anche tra le cose positive e quelle negative. Nel

corso della nostra esistenza, se essa non è troppo breve, è probabile poter fare più di un bilancio fino purtroppo a

giungere all’ultimo, quello definitivo. Io, superato in modo fisicamente egregio la cinquantina (per ora, facendo i

debiti scongiuri, non posso certo lamentarmi), ho sentito fortemente questo bisogno sperando

comunque di non fare l’ultimo. Ad essere onesto, confesso che più volte nella mia

vita ho analizzato il passato con tutte le decisioni prese e le conseguenze delle stesse,

nonché le circostanze inevitabili che hanno condizionato il mio cammino, però, questa

volta, ho sentito la necessità di far seguire determinate azioni alle mie amare valutazioni.

Purtroppo ho parlato di amarezza nelle valutazioni generali della mia esistenza e, se non

intendo annoiarvi elencando ed argomentando le delusioni della mia sfera privata (dove

comunque rimane la grande gratificazione di aver centrato il principale obiettivo della

vita che è quello di aver procreato e di essere diventato un padre), confesso di essere

molto insoddisfatto anche per la mia attività artistica. Ho la presunzione di parlare di

attività artistica perché, al di là di qualsiasi valutazione obiettiva che si può esprimere su

ciò che leggerete più avanti, io ho tentato di esprimere le vere e forti sensazioni provate

con l’unico mezzo che ritengo a me consono: la parola scritta.


Estate 2009

RIFLETTERE, PENSARE, MEDITARE

di Giovanni Reverso (Torino)

Riflettere su una cosa, su qualunque cosa, o su un fatto

accaduto o che accadrà: ne nasce un pensiero che mi fa

meditare su ciò che ho riflettuto.

Cosa ci spinge a riflettere? Intanto cosa intendiamo

per riflessione? Una riflessione è sempre un meditare,

cioè uno sconfinamento del ragionare.

Ragionare, è più che meditare? Ragiono in base a delle

conoscenze acquisite , magari in tempi diversi e anche

contraddittorie. In base a queste conoscenze e solo in

base a queste, cerco di ottenere un risultato o di capire

un fatto accaduto. Il risultato lo ottengo muovendomi in

base alle conoscenze che possiedo e che dovrebbero in

ogni modo darmelo. Se devo invece capire un fatto accaduto,

il mio ragionamento si basa su come questo fatto è

capitato, cercando di capire le ragioni del suo accadere.

Cosa l’ha fatto accadere? Rientra nelle mie conoscenze

ciò che è accaduto? O devo cercare altre ragioni, altri

motivi che hanno contribuito al suo accadere? Il ragionamento

può partire dal basso, cioè da zero, da prima che

il fatto accadesse e via via trovarne la o le ragioni che

l’hanno fatto accadere. O dall’alto, cioè dal fatto compiuto

percorrendo a ritroso le vicende. Sembra la stessa cosa,

ma non lo è. Un conto è immaginare una cosa che accadrà,

un altro è capire perché è accaduta. quando è accaduta

la cosa resta ferma; se invece deve ancora accadere

tutto è in movimento, e le cose possono essere completamente

diverse. Il pensiero nasce dalla riflessione o prima

del riflettere? Il pensiero è solo o anche un’idea? E’

forse un insieme di idee o un’idea sola? Se è un’idea

sola, se è buona, ha molte probabilità di affermarsi. Un

pensiero formato da più idee può suscitare incomprensione

nello stesso formulatore creando uno stato di incertezza

che deve essere annullato, pena l’inutilità o la

pericolosità del pensiero stesso.

E l’idea in fondo che cos’è? Una soluzione nuova? Un

proseguimento del raggiunto verso nuovi obbiettivi? Un

ripensamento? Un capire mai riuscito prima? Si dice che

l’idea non muore, e in effetti prosegue rinnovandosi continuamente.

Esistono i fatti, d’accordo, come risultati di

idee. Ma, l’idea si attua col fatto accaduto e ritorna con

un nuovo fatto, ma non è mai la stessa, segue una continua

metamorfosi. L’idea, quindi, è solo un fluire di pensieri

“fermati”.

Il pensiero è anche indubbiamente una costruzione.

Ma, per diventarlo ha bisogno di ricorrere alla meditazione.

Meditare non è semplicemente pensare. Meditare

è costruire usando le parole come mattoni, cemento e

altri materiali da costruzione. Meditando si può costruire

di tutto. Una delle cose più belle che può fare la meditazione,

è la costruzione di ponti. Ponti che collegano

tante, tantissime cose. Ponti che sono una salvezza, una

vera salvezza per l’umanità se si facessero davvero. Ma,

l’umanità è avara di ponti, preferisce distruggerli per cui

- 19 -

sarà sempre una lotta continua, lotta tra religioni, tra partiti,

tra popoli, tra nazioni, tra ricchi e poveri, istruiti e

analfabeti, ecc. Tutte queste lotte potrebbero essere evitate

con la costruzione di ponti. Ponti virtuali s’intende,

ma validissimi a districare diatribe che sembrano

irrisolvibili e problemi che in realtà non esistono, ma

sono stati solamente creati per fomentare discordie, lotte,

guerre a non finire.

Riflettere porta a pensare, e pensare, secondo Giovanni

Gentile, è sempre filosofare. E la filosofia trova sempre,

o quasi sempre, la strada migliore, quella più adatta

al momento in cui la si deve percorrere, in quanto la vera

filosofia non ha secondi fini, come invece altre scienze,

ma mira diritto alla migliore soluzione di qualsiasi problema.

Non solo, ma la sua opera è fonte e ricerca di

soddisfazione, serenità e piacere. Tutte cose che creano

benessere e, di conseguenza, migliorano la salute e la

qualità della vita. “Pensare per agire; agire per pensare!”

Ben detto Goethe!

Chi agisce senza pensare, difficilmente agisce bene o,

quantomeno, non così bene se prima pensasse.

Suttapitaka ha detto che “Tutto ciò che è, è il risultato

di ciò che abbiamo pensato”. Direi non completamente

perché molte cose, forse le più brutte, ma non sempre,

sono il risultato di quello che è stato fatto senza pensarci.

Il troppo storpia, da’ ragione al Tasso: “Ma nulla fa chi

troppe cose pensa”. Per Leonardo da Vinci: “Chi poco

pensa, molto erra”.

Sono sempre e ancora convinto con Demostene: “Si

pensa come si vive”.

Difatti ho sempre affermato che “L’uomo è il suo pensiero”

e, senz’altro questo pensiero è influenzato da come

uno vive o è costretto a vivere.

Riflettere, pensare, meditare: insieme devono portare

all’azione, perché solo nell’azione è la serenità.

Se si resta fermi si finisce per morire, e allora agiamo,

allunghiamo la vita e ritardiamo l’ultima e definitiva partenza.

NINFEE

di Alberto PAPADIA (Torino)

Soffici e vaporose corolle

galleggiano sul cristallino e limpido

smeraldo delle acque

eburnei,

quasi irreali diademi

forse all’istante

come per magia,

emersi da un sogno.


Il Salotto degli Autori

FERRARA LA CITTÀ DELLA TRANQUILLITÀ

Alberto Mongardi (Torino)

Oggi si parte per Ferrara

città mai vista in passato e

che ora desidero visitare.

Partenza alle 8,36 da Adria

tramite la linea Chiogga-

Rovigo, cambio a Rovigo in

attesa del regionale Venezia

Bologna Centrale con

discesa a Ferrara. Quanto

colpisce sia alla stazione di

Rovigo sia a quella di

Ferrara è la presenza di

frotte di giovani. Abitanti

nella provincia e che al mattino si recano a scuola o all’università

nel capoluogo nonché di turisti per lo più inglesi,

ma soprattutto tedeschi. Per allenare la mia lingua

straniera provo a scambiare qualche parola e noto con

sorpresa di conoscere ancora qualcosa.

Appena sceso a Ferrara mi avvio verso il centro storico

che dista dieci minuti dalla stazione: su giovani marmotte,

la meta è vicina , è una bella giornata di sole che ci

permetterà di vedere molte cose. Appena giunto nel centro

troneggia in primo piano il Castello Estense , circondato

da un fossato. Tale palazzo in cui vissero i vissero i

duchi d’Este è considerato patrimonio di altissimo valore

culturale per la città tanto da meritare da parte dell’UNESCO

il titolo di patrimonio dell’Umanità Ora inizia

la visita con la salita alla Torre dei Leoni alquanto faticosa

, ma ne vale la pena perché si vede il panorama di

Ferrara con il centro storico. Tornati al pian terreno inizia

la discesa alle prigioni (poveretti i detenuti costretti a

stare in cunicoli così stretti) . La visita al piano terra alle

sale gotiche (sala dell’Aurora, saletta dei giochi e sala

della pazienza) le cucine ducali ed il cortile d’onore. Non

visitabile il secondo piano perché sede di uffici della provincia..

La mia visita prosegue verso piazza Trento - Trieste

con la visita alla cattedrale costruita intorno al XII

secolo dapprima in stile romanico quindi alla fine del

secolo decorata in stile gotico. Nella piazza si vedono

inoltre il loggiato ed il campanile del Duomo. Fuori le

macchine fotografiche e zac zac una foto tira l’altra.

Quanto colpisce di questa città è il fato che sia a misura

d’uomo e la maggior parte degli abitanti si sposti in

bici. Mi avvio quindi verso il borgo antico dove incrocio il

segnale ghetto ebraico : mi avventuro nell’attesa di incontrare

il fantasma di Giorgio Bassani autore de Il giardino

dei Finzi Contini, Gli occhiali d’oro e altri romanzi

che descrivono la Ferrara. Lo scrittore ferrarese deve

avere ambientato il proprio romanzo all’interno di questo

ghetto. Mi fermo indi in una libreria a dare una

sbirciatina ai libri .

Pausa pranzo in un bar cinese in ogni senso: pure la

toilette è a misura di cinese tanto è bassa e… occhio alla

- 20 -

testa. Nuovamente in viaggio

verso la casa del Romei:

trattasi di Giovanni Romei

banchiere degli estensi e

dalla ricchezza in sculture

classiche ed affreschi penso

fosse un creso. In ultimo al

Palazzo dei Diamanti fatto

costruire per volontà di

Sigismondo d’Este e così

chiamato per le bugne a forma

di diamante che ne ricoprono

la facciata. Ivi è sita

la Pinacoteca Nazionale con quadri di maestri dal XIII

al XVI secolo che causa tempo si visita velocemente. Pazienza

sarà un’occasione per ritornarci.

Ora lemme lemme mi avvio verso la stazione nell’attesa

del treno che mi riporti ad Adria.

VELLUTO

di Fiorella REY di VILLA REY

(Torino)

Tornerò dove il mare

s’arriccia sugli scogli.

Scenderò del molo

le scale muscose.

Là sedeva il vecchio

che pescava labridi

con bianche mollìche.

Accanto, il secchio rugginoso

rifletteva il cielo

e spegneva dei pesci

gli ultimi guizzi.

Darò voce ai grilli

che gridano arrabbiati

fra gli steli,

nei meriggi sudati.

Vedrò correre i ragazzi

tra le rose canine

e, certo, sarò felice,

come al tempo delle trecce.

Sapevo ridere, allora,

ai racconti un po’ folli

di mia nonna,

e cantare alla fiera dell’uva

sui bastioni,

al suono di un’armonica.

Arcano rifugio della memoria

che trasforma in velluto

l’aspro salire

della giovinezza,

su pareti senza appigli.


IL TEMPO

di Silvia SPALLONE (Torino)

Ogni tanto mi fermo e tu mai!

Di mattina per tirare su le tende

della nebbia ch ingrigisce il panorama

offerto dal balcone affacciato

sopra un lembo di fiume

per lasciare al sol sorgente

uno spiraglio di luce

ingrato sei che corri sempre

più veloce

non interessa a nessuno

dove vai, da dove vieni

ma corri in giro per il mondo

sei sempre uguale

per tutti noi del globo terrestre.

GLI SPENSIERATI

di Giovanni REVERSO (Torino)

Chi sono gli spensierati? I senza pensieri?

Sicuramente coloro che pensano poco.

Il pensiero è la fonte d’ogni cosa.

Per questo si dice che il pensiero può

dare la vita come portare la morte.

Più pensieri uno ha, più si crea dei

problemi, che poi, in un modo o nell’altro,

dovranno trovare una soluzione.

Essere completamente senza pensieri

è impossibile: si fermerebbe tutto.

L’idea, cioè il pensiero, procede e spinge

all’azione, al movimento, alla comprensione,

ad avere altre idee, a non fermarsi mai.

Quindi un minimo di pensieri,

li hanno anche “gli spensierati”.

E’ una fortuna avere pochi pensieri?

Dipende, a volte sì, a volte no.

In fatto d’amore, di sesso, di piacere,

serve senz’altro. Invece di avere “troppi”

pensieri al riguardo, è meglio lasciare

che il corpo parli da solo con l’istinto.

Le parole dei pensieri seducono,

ma le carezze esaltano l’amore.

Con il corpo si può narrare tutto, meglio

che con la parola. Il linguaggio

del corpo ha infinite sfumature.

Al lato opposto degli spensierati, ci sono

i pensatori, coloro che pensano a tutto.

Ma pensare troppo non conduce a niente,

creando soltanto confusione nella mente.

I filosofi che avanzano sono quelli razionali:

riescono a dare ai loro pensieri concreti finali.

Gli spensierati: sono sempre accettati,

la loro spensieratezza porta allegria e,

di conseguenza, sono anche molto amati.

Estate 2009

- 21 -

LA QUARTA STELLINA

Giuseppina IANNELLO

SICCARDO (Brescia)

Eri un piccolo fiore

che trema

e non volevi dirci, tuttavia,

che stavi così male.

Ma quando un po’

di vita ti baciava,

eri un raggio di sole...

A sera...

Una stella che si spegne

sul tremolio del mare.

“Te la ricordi, mamma,

la poesia?

Quella che parla

di quattro stelline?”

Tu mi rispondevi:

“Sì, me la ricordo.”

E un po’ la recitavi:

“Quattro stelline,

ho visto passare,

quattro stelline,

sull’orlo del mare...”

Poi, ti fermavi;

il tuo sguardo si perdeva,

forse cercando,

nell’immaginario,

i contorni di una vastità marina.

Mamma, ora so che eri

proprio tu, la quarta stellina.

Perdonami, mamma

se ravvisavo in Te,

più l’angelo del cielo

che un angelo, anche, terreno

con tante paure.

Nel cielo dei miei sogni,

ove anche tu ci sei,

perdonami,

proteggimi.

COMMUTATIO LOCI

di Michele ALBANESE (Rutigliano -BA)

Tutto contrario alle tue dicerie

A me piace viaggiare

e la velocità mi dilata l’animo

Il paradosso einsteiniano è efficace

Con sé si porta il Tempo

non mutabili sentimenti

Pericol sulla terra è l’incidentistica

che tanti cadaveri dissemina

Sogno un razzo astronautico

i paesaggi mi allietano

e ogni amarezza vien dimenticato

Seneca, istruisci male l’alunno Lucilio

“Un dì il bello trionferà” diceva un Moscovita

Ma è anche estasi, come il Divino Contemplar


RAGAZZO DI CRISTALLO

di Maria Grazia STIAVELLI (To)

(Dedicato a Giovannino Agnelli)

Ragazzo di cristallo

lo splendido disegno

che stavi realizzando

si è chiuso in un cassetto.

Ci sei stato sottratto

negli anni ancora verdi:

la punizione è nostra

non ti meritavamo!

L’arma segreta avevi

in un limpido sguardo

che rifletteva esempio

d’impegno e serietà.

Quel modo tuo di essere

senza però apparire

ti rese popolare.

Ragazzo di cristallo

sarai sempre con noi

stretto nel forte abbraccio

di tutta una città

che ora vedrà sfrecciare

la tua vespa d’argento

su nell’immensità.

SOGNO di Luciana MELLANA (To)

D’improvviso nel sogno

la tua vecchia casa

dentro, il silenzio

eco del mio passato.

Nulla è mutato

malgrado il vento tra le crepe,

gli inverni, quel dolore.

Come uccello morente

stride il cancello,

ma l’animo mio s’allegra

sei lì sorridente

tra il rosa – rosso dei gerani

e la gazza bianca e nera ammiccante

sul ramo del lillà.

La finestra affacciata sull’orizzonte

riflette la campagna,

nella vetrina i libri dei poeti

amati.

Cantano le cicale,

sirene di nenie antiche

nel gioco dell’attesa.

Il Salotto degli Autori

- 22 -

PREGHIERA

di Mirella PUTORTÌ

(RC)

Dio, salvaci

nelle conchiglie del tempo

non illuse…

salva l’anima del fiore

prigioniero d’anfore…

Salva i mattini

dipinti di stagioni

i fanciulli assolati

tra i cespugli…

Salva i cuori dell’erba

ancora ignoti

e i battiti materni

delle palpebre.

Salva il raggio d’azzurro

che ci insegue

e il dolore dei ricordi

antichi e vivi d’infinito.

LA CONOSCENZA

di Baldassarre TURCO (Genova)

Fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza (Dante)

Alcune gioie della nostra vita

son contenute dentro una parola

e possono contarsi sulle dita

(e non su tutte) d’una mano sola.

Tal termine si chiama ‘conoscenza’

ch’è nome astratto con varie accezioni:

può valer dire scienza e competenza

ed avere altre significazioni.

Conoscenza, nel senso d’amicizia

o di rapporti con altre persone,

allarga l’orizzonte con dovizia

d’uman consorzio e di civile unione.

Conoscenza, nel senso di sapere,

richiama una fatica assai gravosa,

fatta di sacrificio e di dovere,

ma che sa di conquista luminosa.

Conoscenza, nel senso scritturale:

‘conoscere qualcuno per amore’,

è gioia immensa che non ha l’uguale,

è gran tripudio di mente e di cuore.

...Conoscenza, comunque la si dica,

in modo dotto o in modo popolare,

è sempre acquisizione positiva

che giova a non lasciarsi fuorviare.


Estate 2009

AMORE COME PECCATO:

LA SUBLIMAZIONE DANTESCA

Francesca Luzzio (Palermo)

L’amore è uno dei temi fondamentali della letteratura

di tutti i tempi.

Anche nel Medioevo quando, presso la maggior parte

delle società del tempo, regna incontrastata una religiosità

severa e la donna viene considerata quasi un’espressione

demoniaca, non mancano i cantori dell’amore, anzi

la civiltà cortese-cavalleresca trova in tale tema la sua

essenza, definendo esso una “weltanschauung”, ossia un

determinato modo di intendere e praticare la vita.

Il teorico per eccellenza dell’amore cortese è Andrea

Cappellano, autore del trattato DE AMORE, in cui vengono

fissate le norme e i canoni di tale concezione. Nonostante

la condanna della chiesa che lo induce a ritrattare

nel terzo libro il contenuto dei due precedenti, l’opera

ha un enorme successo, permeando profondamente la

cultura aristocratica del Medioevo.

Se la caratteristica essenziale del cavaliere della chanson

de geste è la prodezza, nota essenziale dell’ideale

umanità dei cavalieri-poeti, detti trovatori (dal latino “tropare”:

cercare e trovare versi e musica) è la giovinezza

alacre e gioiosa, splendidamente liberale, elegante e

raffinata, amante della donna, dell’arte, della cultura;

poi nel romanzo cortese queste due umanità vengono

sapientemente fuse da Chrétien de Troyes.

La concezione dell’amore cortese si manifesta per la

prima volta nel sud della Francia, in Provenza e la neonata

lingua d’Oc è il suo strumento espressivo; da qui si

diffonde nella tradizione lirica italiana ed europea.

Secondo tale concezione, la donna è un essere sublime

e irraggiungibile e l’amante si pone nei suoi confronti

in una condizione di inferiorità: egli è un umile servitore

“obediens” alsuo “midons” (obbediente al suo signore).

Tali termini adoperati dall’ iniziatore della lirica cortese,

Guglielmo IX d’Aquitania, diverranno elementi fondamentali

di un linguaggio che esprime una dottrina dell’amore

intesa come vassallaggio alla donna, come servizio

feudale, come omaggio.

Nella sua totale dedizione, l’amante non chiede nulla

in cambio, il suo amore è destinato a restare perennemente

inappagato (“desamantz”) ma tale insoddisfazione

se da un lato genera sofferenza, dall’altro è anche

gioia, una forma di pienezza vitale che ingentilisce l’animo,

privandolo di ogni rozzezza e viltà. Amore si identifica

con cortesia, e solo chi è cortese ama “finemente”,

ma il “fin’amor”a sua volta rende ulteriormente cortesi e

gentili (A. Cappellano, De Amore), sicchè si viene a istituire

una concatenazione di causa-effetto che esclude ogni

possibilità di appagamento fisico, poichè quest’ultimo

determinerebbe un’interruzione del processo di ingentilimento;

tuttavia non bisogna pensare che si tratti di un

amore del tutto platonico, infatti l’inappagabilità non esclude

né la sensualità, considerato che l’ultimo momento

- 23 -

della manifestazione dell’amore consente “l’esag”, ossia

l’ammissione dell’amante nudo alla presenza della

donna, ma senza congiungersi con lei, nè un formale

adulterio, visto che il rapporto si realizza rigorosamente

al di fuori del vincolo coniugale, nel cui ambito, d’altra

parte, si ritiene che non possa esistere “fin’amor”. La

spiegazione di tale convinzione trova le sue radici nel

carattere contrattuale del matrimonio di quell’epoca in

cui ragioni dinastiche ed economiche prevalgono sui sentimenti.

L’amore adultero implica da un lato il segreto, per tutelare

l’onore della donna ed evitare “i lauzengiers”, ossia

i “malparlieri” (da qui l’uso del “senhal”, ossia di uno

pseudonimo anziché del vero nome per rivolgersi all’amata),

dall’altro un conflitto tra amore e religione, tra culto

della donna e culto di Dio. L’amore cortese è quindi

peccato per la Chiesa e i trovatori vivono sinceramente il

senso di colpa, al punto che molti di loro negli ultimi

anni di vita si ritirano in convento per espiare le loro

colpe; prescindendo da tale leggenda, è significativo che

il senso di colpa affiori anche nella produzione lirica provenzale

e soprattutto italiana.

Dopo la crociata contro gli Albigesi, infatti, molti trovatori

scoprono una nuova patria presso la corte di Federico

II e la scuola poetica siciliana fa sua la concezione cortese

dell’amore, per poi trasmetterla ai poeti di transizione,

detti anche siculi-toscani e, attraverso essi, al Dolce stil

novo. Nell’ambito di quest’ultima scuola, grazie a Dante,

assistiamo alla sublimazione dell’amore e la donna che

diventerà tramite tra cielo e terra, angelo-guida verso la

comprensione di valori metafisici ed eterni.

Cercheremo ora di esemplificare, attraverso versi di

autori particolarmente significativi sia tale conflitto tra

amore e religione, sia il conseguente senso di colpa che

ne deriva.

Guglielmo IX di Aquitania conclude il suo canzoniere

proprio con una “canzone di pentimento” in cui dichiara

che non sarà più “obbediente”, cioè servente d’amore,

non più sarà fedele vassallo ligio alla donna: “No serai

mais obediens/ En Peitau ni en Lemozi” e, colto da rimorso

per le sue colpe, ormai stanco, si chiude nell’ansia

del poi e invoca il perdono di Dio nella coscienza

della fine imminente.

Spirito possente e tenebroso è Marcabruno; moralista

feroce, egli giudica e condanna con parole tremende,

come animato da spirito profetico, la società cortese e, in

special modo, si erge a giudice del “fin’amors”. Marcabruno

dice che “Amore è simile alla favilla che brucia

sotto la cenere e brucia poi la trave e il tetto; …chi fa

mercato con amore, fa patto con il diavolo…”.

Parole altrettanto aspre dice contro le donne che “dolci

in principio, poi diventano più amare e crudeli e cocen-


ti dei serpi”; e altrove aggiunge “Dio non mai perdoni a

coloro che servono queste puttane ardenti, brucianti, peggiori

ch’io non possa dire… che non guardano a ragione

o a torto.

Prendendo in considerazione la produzione letteraria

della Scuola poetica siciliana, constatiamo il persistere

del senso del peccato e del conseguente rimorso, sì da

indurre i poeti a giustificare le loro parole e i loro comportamenti.

Iacopo da Lentini in un sonetto (forma metrica,

molto probabilmente, da lui inventata) afferma: “Io

m’ag[g]io posto in core a Dio servire / com’io potesse

gire in paradiso/… Sanza mia donna non vorrai gire, /…

ché sanza lei non poteria gaudere / estando da la mia

donna diviso. / Ma non lo dico a tale intendimento, /

perch’io pec[c]ato ci volesse fare; / se non veder lo suo

bel portamento/… chè lo mi terria in gran consolamento,

/ veg[g]endo la mia donna in ghioria stare.”

I versi evidenziano una forte ambiguità tra amore terreno

e amore celeste, anzi un vero conflitto: se in conformità

all’ideologia cortese è normale dire che senza la

propria donna non c’è gioia, affermare che la beatitudine

paradisiaca è menomata senza la sua presenza è addirittura

blasfemo.

Ciò induce il poeta a giustificarsi, pertanto precisa che

non vuole la donna con sé in paradiso per commettere

peccato, ma per trarne consolazione guardandola, visto

che lei, considerata la sua bellezza, è degna di stare in

“gloria”. Tuttavia tali giustificazioni non rinnegano il suo

atteggiamento di fondo e nei versi conclusivi la contemplazione

ipotetica della donna gloriosa finisce con il sostituirsi

a quella di Dio.

Questo conflitto investirà anche i poeti del Dolce stil

novo e, a dimostrare tale asserzione, basta prendere in

considerazione quella che viene considerata la canzone

manifesto del Dolce stile: “Al cor gentil rempaira sempre

amore” di Guido Guinizzelli.

Nell’ultima stanza che funge da congedo, il padre degli

Stilnovisti, rivolgendosi all’amata, immagina un dialogo

diretto con Dio per mezzo del quale non solo ripropone

il motivo capitale della donna-angelo, già presente

nella tradizione provenzale e siciliana, ma attua un’autocritica

che rivela il solito conflitto amore-religione:

“Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?», / siando l’alma

mia a lui davanti. / «Lo ciel passasti e’nfin a Me

venisti / e desti in vano amor Me per semblanti / ... Dir Li

porò: «Tenne d’angel sembianza / che fosse del tuo regno;

/ non me fu fallo, s’in lei posi amanza».

Dio quindi, rimprovera il poeta per essersi presentato

dinanzi a lui indegnamente, dopo avere attribuito sembianze

e poteri divini ad un peccaminoso amore terreno

(è quanto il poeta fa nella strofe precedente). Guinizzelli

si giustifica elegantemente con una nuova lode alla donna:

aveva l’aspetto di un angelo, perciò non era una colpa

amarla. Tale conclusione viene considerata dal critico

Contini, “uno spiritoso epigramma”; da Luperini “un’ ironica

autocritica che difende e riafferma il proprio errore”;

da Baldi, “un’elusione del conflitto amore-religione

Il Salotto degli Autori

- 24 -

attraverso un’iperbole squisitamente letteraria”, quale

quella che identifica la donna con un angelo.

La metafora della donna-angelo è destinata a molta

fortuna presso gli Stilnovisti, ma è solo con Dante che

essa esce dalla categoria degli attributi esornativi per

acquisire una connotazione morale e metafisica.

La vicenda narrata nella Vita nova è divisibile in tre

parti: la prima tratta gli effetti che l’amore produce sull’amante,

la seconda propone le lodi di Beatrice, la terza

la morte della donna. La seconda parte è quella innovativa,

perché il poeta, privato del saluto della gentilissima,

comprende che la felicità deve nascere non da un

appagamento esterno, ma dentro di lui, dalle parole dette

in lode della sua donna, senza averne nulla in cambio,

così l’amore diviene fine a se stesso e l’appagamento

consiste nel contemplare e lodare la sua Beatrice “cosa

venuta / da cielo in terra a miracolo mostrare” (Vita

nova, Tanto gentile), cioè angelo che manifesta in terra

la potenza divina. Come afferma C. Singleton, questa concezione

dell’amore ripropone quella dell’amore mistico

elaborata dai teologi medioevali, infatti, alla visione cortese

che considera l’amore una passione terrena che, pur

raffinata e sublimata attraverso la sua funzione, non elude

mai del tutto il senso di colpa, si sostituisce una considerazione

di tale sentimento quale aspetto dell’amore

mistico, forza che muove l’universo e che innalza le creature

sino a ricongiungersi a Dio.

Insomma l’amore con Dante, afferma il Singleton, diviene

un “itinerarium mentis in deum”.

PIOGGIA di Alda FORTINI

(Villongo – BG)

Lenta nella sera una fiaba

e sotto questo tetto incline

una leggera pioggia cade.

Mi rammento di un incontro

sotto tardi cieli e scrivo

la memoria che si spegne lenta.

Chiaro cielo nella sera

e custodisco ragioni avare

dove l’ultimo sorriso

coglie la luce del mattino.

E dentro lamia soffitta

una lenta canzone nel vento.

Tiepido è il cielo di sera

lungo una storia felice

e sotto tempi sicuri

una distanza voluta

fatta di gelsomino e favole.

Accolgo una stagione chiara

e costringo la mia fantasia

nell’illusione del cielo

sotto un istante voluto.


Estate 2009

BREVE PANORAMICA DELLA NARRATIVA

BRASILIANA MODERNA

di Maria Zilda Ferreira Curi dell’Università di Minas Gerais

Traduzione di Alessandro Parrinello

La letteratura brasiliana, attualmente – anche con notevole

originalità se la si rapporta alla produzione contemporanea

in genere –, presenta molti testi con questa

forma narrativa condensata, con un forte effetto di ricezione,

“metafora della velocità con cui circolano gli esseri,

i messaggi, gli oggetti, i testi nella società odierna

(CURY et al., 2001, p. 138). Molti romanzi e racconti

della letteratura brasiliana moderna potrebbero ben porsi

come esempi di questa tendenza. Si pensi ad esempio a

racconti e romanzi come Passaporte (Passaporto), di

Fernando Bonassi, o ancora ai ventidue “instantâneos”

che compongono la A coleira no pescoço (Il collare al collo)

di Menalton Braff. Oltre a questi, i testi istiganti e

forti di Marcelino Freire e Marçal Aquino che, con una

prosa rapida e tagliente, accentuano il tratto di denuncia

delle loro narrative. Come esempio, si potrebbe citare il

libro organizzato da Marcelino Freire, ironicamente intitolato

Os cem menores contos brasileiros do século (I cento

più brevi racconti brasiliani del secolo, 2004), che mostra

narrative brevissime, di uno o due paragrafi, fortemente

segnate dal tono di critica sociale.

Un altro gruppo di scritti potrebbe essere formato da

quelli con enfasi sui meccanismi della memoria, legati a

interpretazioni della storia del Paese, che mettono in rilievo

strategie narrative di recupero della memoria collettiva

e storica, ma anche personale. Di questo gruppo

fanno esemplarmente parte i romanzi di Milton Hatoum:

Dois irmãos (Due Fratelli) e Cinzas do norte (Ceneri del

Nord), oltre al suo romanzo di debutto Relato de un certo

oriente (Rapporto di un certo oriente), ed il più recente Os

órfãos do Eldorado (Gli orfani di Eldorado). Sempre qui

troverebbe posto il trittico formato da Música Perdida

(Musica perduta), O pintor de retratos (Il ritrattista), A

margem imóvel do rio (Il bordo immobile del fiume), di

Luiz Antonio de Assis Brasil, romanzi che si impadroniscono

del discorso storico con una cornice volontariamente

regionale (della regione nord, nel caso di Hatoum, e delle

pampas del sud, nel caso di Assis Brasil), percorrendo i

meandri atemporali del memorialismo, con una prosa

raffinatissima e sfaccettata. Sempre qui vanno inseriti

romanzi come Música anterior (Musica anteriore), Longe

da água (Lontano dall’acqua) e O segundo tempo (Il secondo

tempo), di Michel Laub, il cui discorso, sottili fili

di memorie che tentano di ricostruire il passato, lo fa

solo come possibilità di rifuggire la coscienza tragica del

presente, con uno spostamento verso l’interno, verso il

mondo interiore del narratore, volgendosi a uno spazio

di soggettivazione. Narrative che si presentano spostate

come “memorie performative”, che fanno convergere nello

spazio della fiction l’esperienza e il passato, spesso il

tempo dell’infanzia – tempo nel quale meglio si evidenzia

- 25 -

il linguaggio come fenomeno umano (Cf. AGAMBEN,

2005) –, e possono essere viste come “locali del linguaggio”.

Ancora si potrebbero inserire in questo gruppo

i romanzi di “deformação” (deformazione) di Marcelo

Mirisola e Juliano Garcia Pessanha, che mescolano testimonianza

e fiction, e il romanzo di conio politicomemorialista

di Menalton Braff, Na teia do Sol (Nella

tela del sole). È interessante rimarcare, in relazione a

quest’ultimo testo, che il contenuto politico dei ricordi di

un uomo che restò in clandestinità – cui fu costretto dalla

dittatura militare che si era installata in Brasile nel 1964

–, si spoglia del carattere del reportage o della testimonianza

di chi ha vissuto l’evento, carattere che ha segnato

tanti scritti di tema similare nella letteratura brasiliana

(Cf. SÜSSEKIND, 1984). Le denunce della repressione

politica si delineano innanzitutto con le memorie affettive,

con la acuta coscienza física del corpo, con i ricordi di

infanzia, come strategia di resistenza politica (Cf.

RICHARDS, 2002). Infine, romanzi che vanno in direzione

opposta a quella della ricerca dell’identità nazionale

che tanto ha caratterizzato, e per cosí tanto tempo,

la produzione letteraria e culturale brasiliana, per esprimere

uno spazio di “desterritorialização” (deterritorializzazione),

remoto, estraniato e distante, spazio

di ricerca identitaria per narratori in crisi. L’idea della

traversata, che enfatizza la precarietà dei punti di partenza

e d’arrivo, si unisce alla questione del “luogo della

cultura”, al luogo del ritorno dell’accaduto (Cf. BHABHA,

1998) ma come disarticolazione e estraniamento. Anche

lo spazio sociale qui è concepito come luogo di scontro

tra individuo e collettività. Secondo Hoffman (1999), la

deterritorializzazione implica condizioni nelle quali la

conoscenza, l’azione e l’identità si svincolano dall’origine

fisica e da un luogo specifico, e proprio la

deterritorializzazione è la caratteristica dominante della

produzione letteraria di questi “nuovi nomadi”. Sin dal

titolo, si vedano come esempi di questa tendenza i romanzi

Budapeste (Budapest), di Chico Buarque, Mongólia

e Nove noites (Nove notti) de Bernardo Carvalho. Di quest’ultimo

scrittore, si veda anche O sol se põe em São

Paulo (Il sole tramonta a San Paolo), che sotto il rumore

di fondo della metropoli ricostruisce storie proprie e altrui,

di immigrati ed emigrati, nella spazio prossimo e

distante. Al contempo, questo estraniarsi non toglie a

questi testi un profondo senso politico e di riflessione

sulla realtà sociale urbana brasiliana. In essi inoltre si

rende acuta la problematica dell’espatrio della lingua –

come intesa nei lavori di J. Derrida (2003) e Julia Kristeva

(1998) – che è lì collocata come indissociabile dalla condizione

dello scrittore/intellettuale, sempre un estraneo,

un “out of place”, per usare l’espressione di Edward Said


che, per di più, è il titolo della sua autobiografia (Cf.

SAID, 1999, 1993). Come anche in altre pubblicazioni,

in questo libro Said sviluppa l’idea secondo cui l’intellettuale

deve parlare a partire dai margini della produzione

delle idee, evitando il pensiero centrale e prendendo in

considerazione gli emarginati dall’insieme sociale. La

condizione dell’intellettuale è quella dell’esilio, del “fuoriposto”,

spostando il fronte della scena. E tale condizione

è assunta da questi scrittori, nomadi e trasferiti, spesso

esiliati dentro il loro stesso spazio nazionale. João Gilberto

Noll, con testi come Harmada (Armata) 1 e Quieto animal

da esquina (Quieto animale dell’angolo) si iscriverebbero

in questo spazio letterario di deterritorializzazione. In

quest’ultimo romanzo, per esempio, l’autore fa convergere

verso il suo narratore – poeta, emarginato, aggregato

– una storia di esilio e inadeguatezza, in uno spazio

urbano e sociale dell’ordine della disaggregazione e del

disfacimento, mentre si riflette sulla “figura” del poeta/

intellettuale nel suo percorso di “de-formazione”, in un

vagare senza scopo per gli spazi della città. Si veda anche

dello stesso scrittore Berkeley em Bellagio nel quale

s’inscena il ritorno della protagonista in Brasile, ma come

una straniera, privata della lingua materna, sovvertendo,

nelle parole dello stesso scrittore, certo paradigma

localista della letteratura brasiliana, e mettendo in dubbio

l’identità regionale ed il “luogo di origine”, attraverso

la messa in scena di “non-luoghi”, per usare l’espressione

che da titolo al libro di Marc Augé (2007), ovvero,

spazi non fissi sulla mappa, spazi in movimento e di non

appartenenza. É la condizione propria alla “località”,

condizione che, secondo Appadurai (1996), affermerebbe

lo spazio come relazionale, superando la costrizione

spaziale e di contesto.

Liberamente estratto e tradotto da Alessandro Parrinello

dal saggio “Novas geografias narrativas”, di Maria Zilda

Ferreira Cury, titolare di Teoria della Letteratura presso

l’Università Federale di Minas Gerais (UFMG).

NOTE

1 In realtà il termine così com’è, ovvero con la “h” iniziale,

non esiste in lingua Portoghese.

SON DI CERA LE MIE ALI

di Cristina SACCHETTI

(Riva di Chieri – TO)

Spiego ali di speranza

e mi libro verso il sole

fiduciosa m’immergo

nel suo splendore

Poi, fragile creatura

m’accorgo d’avere ali di cera

che si liquefanno al suo calore

Precipito nel nulla

boccheggiando apro gli occhi

e nella notte … urlo!

Il Salotto degli Autori

- 26 -

LA MIETITREBBIA

di Donato DE PALMA (TO)

Sul colle un mattino d’estate,

guardavo la bassa pianura,

vedo dei campi di grano,

dorati dal frutto maturo.

Col sole che illumina i monti.

in questo bel giorno d’estate,

che sale radioso nel cielo,

e scalda la vasta pianura.

Quel grano che aspetta nei campi.

la falce di quel contadino,

per esser rasato e raccolto,

e portato nel proprio granaio.

Ma quel contadino è cambiato,

non prende la falce nel pugno,

ma guarda soltanto il lavoro,

che è fatto in modo diverso.

E’ questa la nuova raccolta,

come era negli anni passati,

ma è cambiato il lavoro dell’uomo,

lui guarda e raccoglie quel frutto.

La scienza e la tecnica avanza,

insieme ne fanno il progetto,

di una macchina che serve nei campi,

alleviando il lavoro dell’uomo.

Ed ecco una macchina nuova,

è arrivata la giù in quel campo,

pronta e guidata da un uomo,

per mieter quel campo di grano.

Affilati sono i suoi denti,

per l’inizio del proprio lavoro,

parte da un lato del campo,

e prosegue girandogli intorno.

Falcia e raccoglie le spighe,

trebbia e separa la paglia,

riempie i sacchi di grano,

e lascia il terreno pulito.

Quel campo di grano dorato,

diventato un campo di stoppia,

il grano è stato raccolto,

ora tutto è già nel granaio.

Di questa buona raccolta,

ora il lavoro è finito,

contenti andiamo al Paese,

là si prepara la festa.

La festa del santo e del grano,

dopo un anno d’intenso lavoro,

è la festa della raccolta,

della raccolta del grano.


Estate 2009

Giovani penne

E TU, SEI CONNESSO?

di Riccardo Vecellio Segate (Cavalcaselle - Vr)

Da due decenni il nostro modo di vivere, di relazionarci

con le persone, di cercare e trasmettere informazioni è

radicalmente cambiato: è nato Internet. “Internet”, una

sola parola che ha cambiato il mondo, una vera e propria

rivoluzione.

Nato timidamente negli ultimi anni del ventesimo secolo,

ha rapidamente conquistato i popoli di tutto il mondo:

da poche migliaia di utenti, ora i visitatori di questa

gigantesca rete mondiale sono miliardi, cioè una gran

parte della popolazione totale del pianeta. Internet fa

sentire ognuno parte di un qualcosa di immensamente

infinito e indefinito, dove le persone sono tante e vicine.

Navigando ci si accorge di quanto siamo “insignificanti”

nel grande mondo dove abitiamo, e di quante cose ci

circondano.

Ci rendiamo conto che, all’alba del ventunesimo secolo,

le sorti di ogni individuo sono strettamente legate a

quelle di tutti gli altri. Internet può essere forse considerato

l’esponente di spicco di quella nuova concezione della

realtà chiamata “globalizzazione”. Ormai su Internet si

può fare di tutto: cercare i propri idoli e scrivere al cantante

preferito, guardare le foto dei compagni di classe e

il sito dell’amico del cuore, vedere interi film e brevi

filmati, scaricare, ascoltare e condividere musica, tenere

un diario online (blog) o una pagina di discussione (forum),

scrivere ai propri amici dall’Australia alla Groenlandia,

giocare a scacchi con un indiano, pagare il biglietto del

treno, iscriversi ad un concorso...

Io sono molto aggiornato su Internet, e lo conosco davvero

bene, perchè lo utilizzo in maniera costante e regolare

dall’età di otto anni. Attualmente ho sette indirizzi

e-mail, tre blog, l’Official Web Site, dozzine di pagine

personali in forum e vari siti, e sono amministratore unico

della sezione giovani di ventisette siti. Ma, come tutte

le cose oggetto di un’espansione così rapida ed improvvisa,

ha aspetti controversi e discutibili, e spesso ci si

chiede: “Internet è principalmente positivo o negativo?”.

Ecco, a questa domanda adesso cercherò brevemente di

dare una risposta, grazie alla mia esperienza, analizzando

qualità e difetti del “fenomeno Internet”. Inizio affermando

che, secondo me, Internet è soprattutto positivo.

Esso riduce le distanze, facilita le amicizie, fa risparmiare

tantissimo tempo nella ricerca di qualsiasi cosa, ti

tiene aggiornato in tempo reale su fatti che avvengono a

centinaia di migliaia di chilometri da te. Un piccolo esempio

per quanto riguarda la facilità e l’immediatezza di

comunicazione con il mondo: da due anni sono iscritto al

più grande e famoso sito per poeti in Italia (http://

www.scrivere.info) e in breve tempo sono arrivato alle

vette delle visite da tutto il Paese: grazie ad Internet le

mie poesie sono lette, commentate e conosciute da mi-

- 27 -

gliaia di ragazzi e adulti ogni giorno. Quotidianamente,

grazie ad Internet, le mie poesie hanno raggiunto una

grande popolarità in tutti gli angoli del mondo, dall’Australia

agli Stati Uniti, dalla Cina alla Grecia. E, come

me, sono sempre di più gli scrittori, i giornalisti e i poeti

che affidano le loro opere al vasto pubblico virtuale prima

che alla carta. Un esempio, invece, per quanto riguarda

le amicizie vere e talvolta anche profonde che possono

nascere e svilupparsi tramite la rete: da qualche mese

sono iscritto al più grande sito di musica del mondo

(MySpace Music) e ho già tantissimi amici, famosi e non.

All’inizio, lo ammetto, la diffidenza era tanta e la freddezza

dilagava sempre: mi chiedevo se davvero fossero

chi dicevano di essere, se avessero davvero quella determinata

età, se la fotografia corrispondesse effettivamente

a loro, se quando mi dicevano qualcosa fosse vera o

inventata ecc. Poi però, poco a poco, ho iniziato a fidarmi,

anche perchè il Sito è estremamente controllato e

rispetta la privacy degli utenti ai massimi livelli. Addirittura,

milioni di utenti in tutto il mondo trovano il vero

amore della loro vita proprio su Internet, e ciò può essere

considerato il simbolo della sua bellezza.

Un altro pregio di questo sconfinato mezzo di comunicazione

istantanea è la rapidità, la qualità, l’immediatezza

e la facilità di reperibilità dei dati: su Internet vige la

regola del “tutto e subito” e il motto “la fortuna aiuta gli

audaci!”. Personalmente ne aggiungerei anche un altro:

“chi va piano va lontano, e soprattutto arriva sano”, per

indicare che navigando nello strabiliante oceano di siti

non bisogna perdere l’obiettività e andare dritti all’obiettivo

prefissato, senza perdersi in inutili percorsi o in devianti

situazioni. Ma quali possono essere gli ostacoli che

un utente può incontrare connettendosi a questo sistema

telematico? Sono tantissimi, alcuni molto conosciuti, altri

un po’ meno, ma tutti pericolosissimi. Eccone una panoramica

generale: truffatori che si spacciano per amministratori

delegati di famose aziende, poste, banche, e società

economico-finanziarie e che chiedono l’inserimento

di codici per accedere ai conti personali (per esempio:

“Gentile Cliente, abbiamo ricevuto una richiesta di accredito

di • 5000,00 lordi dall’Ufficio Postale di

Brandizzo. La preghiamo di verificare i Suoi dati cliccando

qui.”); persone disoneste che creano e inviano ai computer

programmi che controllano ogni minimo movimento,

individuando informazioni private o sensibili e analizzando

le abitudini giornaliere del malcapitato; programmi

che rovinano il computer, cancellano i dati o modificano

la struttura di base del sistema, chiamati “virus”,

creati dagli hacker più o meno professionisti; c’è il rischio

di creare intensi rapporti di amicizia o anche di

amore con persone che non sono come dicono di essere


o come pensiamo che siano; controllando le mail ricevute

nella posta elettronica, c’è il pericolo di ricevere il

cosiddetto “spam”, cioè “mail spazzatura” che intasano

la casella mail facendo perdere tempo e ingannando i

più ingenui con annunci commerciali falsi o non del tutto

conformi alla realtà; Internet è il regno dei pedofili, quindi

i bambini (e in particolare le bambine) dovrebbero

visitare solo siti sicuri e protetti utilizzando la funzione

del “controllo famiglia”; infine, è il luogo privilegiato da

tutti i partiti politici, i gruppi, i comitati, le associazioni e

le organizzazioni per diffondere le proprie idee e reclutare

nuovi adepti e sostenitori, e il problema esiste quando

questi gruppi non sono riconosciuti legalmente dalla legge

o sono addirittura pericolosi per la sicurezza interna

dello Stato (pensiamo ad esempio ai naziskin, al

fondamentalismo islamico, alle Brigate Rosse, a tutte le

illusorie micro-religioni, al “mito” di Mussolini e del fascismo

ecc.).

Dopo aver esaminato attentamente i difetti di Internet

derivanti da “aggressioni esterne”, concentriamoci ora

sui problemi “interni”, come i danni alla propria salute

fisica o psicologica: come qualsiasi altra cosa, usarlo nella

necessità è giusto e corretto, ma l’esagerazione porta a

diversi disagi. A livello fisico, può aumentare difetti della

vista (come la miopia), contribuire alle malformazioni

della schiena (lordosi, cifosi, scoliosi), rendere l’utente

ancora più sedentario con conseguente sovrappeso e problemi

cardio-circolatori, determinare un forte bruciore

agli occhi.

Ma è sul piano psicologico che l’uso intensivo e

inappropriato di Internet porta a risultati davvero drammatici!!!

Esso, a lungo andare, rende “schiavi”: non si è

più liberi di decidere autonomamente quando e come

accedere, la frequenza con cui guardare i messaggi ricevuti

e spedirne di nuovi, cosa far sapere o non far sapere

di noi stessi sui vari siti... Internet può diventare una

gabbia, una strettissima prigione dalla quale è molto difficile

uscire.

Comunque tutti i problemi psichici legati ad Internet si

possono riassumere nella sigla “IAD”, cioè “disturbo di

dipendenza da Internet”, espressione coniata dagli psicologi

della Columbia University of New York per riunire

in una nuova malattia del terzo millennio tutto quello

che Internet modifica in noi e nel nostro “io”. La IAD

presenta tutte le caratteristiche della tossicodipendenza:

con l’aumento fuori controllo del tempo di navigazione,

si crea l’assuefazione e successivamente la dipendenza.

Sicuramente, tutti i rapporti sociali, familiari, scolastici,

professionali e sentimentali vengono irrimediabilmente

compromessi, venendo a trovarsi in secondo piano rispetto

all’ingenua fantasia dell’irrealtà virtuale nel web, dove è

tutto possibile, controllabile, a disposizione, sotto controllo.

Come prevede la maggioranza dei sociologi, Internet

nei prossimi decenni potrebbe portare ad una drammatica

diminuzione dei rapporti umani e ad una spaventosa

Il Salotto degli Autori

- 28 -

involuzione delle capacità creative e della fantasia. Inoltre,

alcuni concetti fondamentali che accompagnano l’uomo

da sempre, come “natura” o “gioco all’aperto”, saranno

gradualmente sostituiti da “seconda vita virtuale”

e “messaggeria istantanea (Msn).

Concludendo, secondo me il vero problema è alla base,

e sta nel fatto che le vecchie generazioni non si sono

ancora quasi mai allineate a quelle nuove, determinando

una scarsa cultura in materia e una visibile disparità nelle

conoscenze.

Probabilmente, quando questa tecnologia moderna sarà

“assorbita” bene anche dai più responsabili, molti rischi

saranno solo un lontano, triste ricordo.

STRADE INTERROTTE

(Agli Ideali)

di Maria Francesca CHERUBINI

(Perugia)

Pallida luce

di ore già fuggite

e strade ormai interrotte.

Riflessi di voi

ancora singhiozzano

nel fondo dell’anima.

Nell’assurdo pozzo dei desideri

quali Re incontrastati

sedevate a mensa

e nell’avarizia dei giorni

sconsolato cuore

vi coltivava

con ferrea tenacia d’usuraio.

Accorto giardiniere

di difficile roseto

m’improvvisai.

Ma non bastarono né crepe

né squarci

in mani devote.

Costernato Cirenèo

v’accompagnai

sino alla sommità

del Calvario

e lì alla vostra fine

assistetti.

E fu morte senza

Resurrezione.

Tratta dal testo teatrale inedito

“Essere e Conoscere”


Estate 2009

ITER DI UN SENTIMENTO

Mariateresa Biasion Martinelli (Orbassano - TO)

T’assale come un ciclone, spazza via ogni altro sentimento,

che, in quell’istante si affaccia alla tua anima, ti

stritola come un serpente “costrittore” nelle sue spire,

rende insonni e cupe le tue notti, ti toglie la voglia di

vivere, gli entusiasmi, la creatività, lasciandoti come

un panno strizzato da mani forti e vigorose.

Poi, diventa un dolore sordo, in fondo al cuore,

onnipresente, un peso quasi fisico, che intralcia le tue

mosse.

Per lenire le sue pene, a volte, ne scrivi con liricità e

dolore.

E, finalmente, la tua quotidianità comincia a risorgere

da quella sorta di nebbia, che ti avvolgeva, pesante,

gelida, ma la tua vita è ancora prigioniera di quelle

surreali catene, tenaci, indistruttibili.

La ragione ti soccorre, inizia a darti una spinta verso

la superficie, dopo l’immersione totale, però non ti sei

liberato della pesante zavorra che ti tiene ancorato sul

fondo.

Ogni qual volta, la causa scatenante del tuo stato d’animo

ricompare, tutto ritorna alle origini, il cammino percorso

verso la guarigione viene bruscamente annullato

e la gioia momentanea della riconquista, si trasforma

nuovamente in aspro dolore, come in un viaggio fisico

e mentale, compiuto a ritroso.

Il tempo, la vita, le gioie che essa ci riserva, insieme

alle inevitabili sconfitte, nonostante tutto, malgrado te

stesso, stemperano il sapore amaro, che sempre risale

alla gola, quando il buio riavvolge la mente.

Giorni, mesi, anni, a volte molti, a volte troppi, sono

necessari per appianarne le punte più acuminate, per

smussarne gli angoli più acuti, per cicatrizzarne le ferite

più laceranti.

Ti sembrerà di averla superata, ma basteranno un

pensiero, un ricordo, un rimpianto, le note di una canzone,

un profumo nell’aria, uno stormire di fronde, un

alito di vento, per riesumarla dal fondo del cuore, dove,

in realtà, era rimasta, più o meno latente.

E ci sono periodi in cui ricompare in tutta la sua

crudezza, quando accade qualcosa di molto triste, o di

molto felice e tu non potrai partecipare a tali eventi,

sapendo che ormai non ne fai più parte, se non col

pensiero.

Pochi si accorgeranno della tua assenza.

Pur stemperandosi nel procedere dell’esistenza, in

cui luoghi e persone si amalgamano con altri affetti e

- 29 -

legami, i quali rimuovono la primitiva sofferenza, lei è

sempre in agguato, indistruttibile, incancellabile, anche

se ridotta ad un’ombra, o ad un grumo che non

toglie più il respiro, ma lo rallenta.

Ci puoi convivere, perché è ormai una parte profonda

di te, oppure hai raggiunto uno stadio tale di

assuefazione, da riuscire a mitigarne gli effetti.

Ci sono sentimenti che con l’età e con il tempo s’inaspriscono,

lei no, diventa più dolce, meno soffocante,

quasi tenera.

Ormai, a questo punto, non ne parli singhiozzando, o

stringendo i denti, ma con gli occhi lucidi, lo sguardo

trasognato, il cuore ricomposto, che ne conserva, comunque,

i solchi, come rughe impresse su di un volto.

Straordinariamente, è come se quelle rughe si

sovrapponessero alle antiche cicatrici, rendendole tue,

non più solchi provocati da fattori esterni, come può

essere per queste ultime, ma segni naturali, che il tuo

corpo finisce per accettare.

Ed arriva un giorno, né allegro, né triste, né felice,

né tragico, in cui lei diventa tenue, come un alone,

lasciato da una macchia, nonostante tutto indelebile, o

sottile come un filo, teso fra il passato ed il presente.

Allora ti accorgi che lei esiste ancora, ma ha cambiato

natura, si è sdoppiata, come due personalità coesistenti

in un’unica anima: ed è quello il giorno più amaro,

perché senti di non appartenere interamente alla

terra che hai lasciato, alle persone che costituivano, un

tempo, tutta la tua vita, ma non appartieni neppure alla

terra che ti ha accolto, che hai scelto tu stesso, dove

vivi con il nucleo familiare che hai costituito con amore,

senza dimenticare quello d’origine e che vive ancora

in te e con i nuovi amici, che non hanno oscurato

quelli della tua infanzia, dell’adolescenza, della prima

giovinezza, semmai si sono aggiunti a loro, perché il

tuo cuore è grande e può contenere molteplici affetti,

senza dividersi, anzi, moltiplicando la sua capacità di

amare.

Ciò che ti manca, dopo questo impervio percorso, è

l’appartenenza, la solidità delle radici, che, senza essere

state divelte, sono diventate così profonde da non

poterle scorgere in superficie. L’inserimento in una

realtà diversa è finalmente avvenuto, però una sottile

barriera ti impedisce di esserne parte integrante.

In fondo, sai che ha vinto ancora lei: LA NOSTAL-

GIA.


Il Salotto degli Autori

LA PACE NEL MONDO

ANELITO E SPERANZA DI TUTTI I POPOLI

Vittorio Sartarelli (Trapani)

Un tema, quello della Pace, che appare complesso nella

sua implicazione storica, culturale, politica e, altrettanto,

complesso nel contesto morale e psicosociale.

Per parlare di un tema così universale che appare, purtroppo,

strettamente collegato a quello ugualmente importante

della guerra e per questo, tanto dibattuto e sviscerato

da sociologi, politici, uomini di cultura, scrittori e

poeti, mi pare essenziale ed emblematica sul concetto di

pace, riportare una breve poesia di Bertolt Brecht:

La guerra che verrà

non è la prima. Prima

ci sono state altre guerre.

Alla fine dell’ultima

c’erano vincitori e vinti.

Fra i vinti la povera gente

faceva la fame. Tra i vincitori

faceva la fame la povera gente.

Ugualmente.

Nella storia dell’umanità, infatti, l’uso della violenza è

sempre stato strettamente intrecciato con la ricerca della

Pace, l’umanità ha sempre vissuto e tuttora vive la tragica

esperienza della violenza, quale estrema manifestazione

di uno stato di conflittualità. Brecht vuole dire che

la guerra che è poi l’esaltazione estrema della violenza

non risolve nulla; gli sconfitti patiscono la fame come i

vincitori perché ambedue sono nella distruzione e nella

miseria: la povera gente soffre ugualmente, anche se il

suo paese vince.

Il termine pace, nella sua ecumenicità esprime, in senso

psicologico, la pace interiore, in ambito sociologico,

indica l’assenza di violenza diretta tra individui o organizzazioni

collettive. Più chiaramente, la pace viene considerata

un valore universalmente riconosciuto che sia in

grado di superare qualsiasi barriera sociale ed ogni pregiudizio

ideologico.

L’umanità si è sforzata e continua a fare sforzi per

mantenere la pace, purtroppo esistono tanti altri fattori

contingenti che sembrano congiurare contro di essa. La

pace è considerata come una condizione necessaria per

la realizzazione di alti valori come la giustizia, la libertà,

il benessere, l’uguaglianza.

Spesso nel mondo occidentale, culla del sapere giuridico

e filosofico dei diritti umani e civili, quando l’assunto

dei diritti umani si deve tradurre in azioni, in comportamenti

e strategie, nascono le reticenze, le doppie verità,

i doppi binari, i distinguo, pur di stabilizzare equilibri

politici instabili e precari, pur di salvaguardare interessi

di varia natura.

- 30 -

Ma allora, la pace è possibile e, soprattutto, essa sarà

durevole e mantenuta tale? Questa è la sfida che tutti

debbono cercare di vincere, ad ogni costo, altrimenti non

c’è futuro per l’umanità. Certo considerando solo alcuni

dei fattori avversi, come 854 milioni di uomini che soffrono

la fame, come la crescita esponenziale delle spese

militari – ca. 1.158 miliardi di dollari nel 2006 – contro

i 37 miliardi spesi per combattere la sete, i 24 miliardi

per debellare la fame, i 5 miliardi per combattere l’analfabetismo

e i 3 miliardi per l’immunizzazione contro le

malattie infettive, questi non ci confortano molto. Quali

possibilità di pace noi abbiamo se si perpetuano e s’inaspriscono

le disuguaglianze sociali basate sull’etnia, sulla

religione, sull’identità nazionale e sulla diversa

redditività? In teoria, purtroppo poche.

La pace significa molte cose, per esempio il rispetto

dei bambini che magari hanno la pelle più scura. Bisogna

imparare a rispettare tutti, anche quelli che non sono

come noi e aiutare chi ne ha bisogno, per esempio gli

anziani che sono soli e non hanno nessuno che li possa

aiutare. Bisogna impegnare un po’ del nostro tempo per

dare una mano a chi è in difficoltà, liberarsi dell’egoismo

è Pace. E’ necessario essere buoni e giusti con chi ci

circonda e donare agli altri non solo cose materiali, ma

soprattutto amore a chi non ha niente perché bisogna seminare

la Pace.

Si deve lottare per ottenere la Pace, non con le armi ma

con la forza di volontà e l’amore. La Pace è una pianta

che alberga dentro il nostro cuore e non bisogna farle

mancare la luce perché, altrimenti, morirà. La Pace è

tutto ciò che serve al mondo.

Occorre una forte mobilitazione, oggi più di ieri, affinché

le forze della Società civile esercitino una consistente

pressione sui governi, sulle classi politiche, sui cittadini

perché, a tutti i livelli della Società, si instauri stabilmente

quella Cultura della Pace che rappresenta il maggiore

impegno da parte di una Società che vuole essere civile.

Indubbiamente, l’affermazione di questa cultura richiede

e richiederà un lungo e sofferto iter educativo, soprattutto,

rivolto alle nuove generazioni.

I principi che reggono questa cultura debbono essere

inculcati nei giovani, dalla famiglia, dalla Scuola, dalle

Istituzioni e da tutti quanti noi, ciascuno faccia la sua

parte e alla fine, ciascuno potrà dire di sentirsi in pace

con sé stesso e con gli altri.

Mai come oggi, infatti, nel nostro paese pur nelle

contrapposizioni ideologiche che sono alla base delle riforme

dei corsi di studio, nella Scuola è giunta ed è pre-


sente una forte domanda di educazione alla democrazia,

ai diritti umani, alla legalità, alla tutela dell’ambiente e

della salute, alla tolleranza, alla libertà, alla solidarietà,

alla identità interculturale e, quindi, alla Pace.

Sono questi i valori che ampliano ed arricchiscono i

contenuti dell’educazione civica e si traducono nell’educazione

ai valori etici, sociali, civili e politici.

La Scuola deve diventare il centro di un “progetto di

vita” in cui il giovane viene educato all’accettazione di sé

IL TRENO SPECIALE

di Graziano SIA (Tesserete – Svizzera)

Aveva poco di “speciale” quel treno;

se non il carico d’emigranti

e il tragitto, da Siracusa a Francoforte.

Pigiati sui vagoni di solo seconda classe…

sonnecchiamo come cavalli;

si sente forte l’odore del sudore umano,

del cacio e del salame.

Intanto il treno va costeggiando il mare

rumoroso e sbuffante;

corrono, martellano sulle rotaie i vagoni.

Arrivederci mare… porto nei miei occhi

la tua infinità azzurra,

sono stato felice nelle tue chiare acque,

pienamente felice.

Senza sosta arrivano i campi,

i boschi, i fiumi, i villaggi e le città,

e senza sosta se ne vanno…

Con la stessa velocità

passano i pensieri nella nostra mente;

nei nostri cuori passa il mondo perduto.

Uomini accomunati

dall’inseparabile nostalgia

che come un’ombra ci sta accanto;

dalla speranza e dai sogni

riposti nelle valigie di cartone.

Milano ore dieci; il treno entra ansimando

sotto la grande volta metallica,

i facchini sono già schierati sulla banchina,

pronti a caricare i bagagli.

Nella breve sosta appoggiato al finestrino

seguo con lo sguardo chi scende;

in fondo al binario li aspettano sorridenti

amici e parenti…

Beati loro! Dico tra me;

per noi diretti oltre frontiera,

stasera non ci aspetta nessuno

nella fredda stazione.

Forse nevica e in quel gelo né un pasto caldo,

né un sorriso… o Signore! Guarda giù,

tu da oggi sarai la mia ancora;

sii benedetto anche nei miei amari giorni.

Estate 2009

- 31 -

e degli altri, uguali o diversi, ed alla conoscenza della

realtà socioculturale in cui vive.

Questa è la sfida che dobbiamo cogliere perché: “Tutto

è perduto con la guerra, niente è perduto con la pace”

(Papa Pio XII, 1939)- “…la pace non si improvvisa, ma

richiede un’educazione fatta di saggi insegnamenti e di

validi modelli in famiglia, nella scuola e in ogni ambiente

della società.”. (Giovanni Paolo II 30 gennaio 2005).

CARTA... E PENNA...

di Francesco Maria GROSSO

(To)

Carta... e penna...

mentre... la Mente...

s’annota... un qualcosa...

un concetto...

un idea... improvvisa... ,

bizzarra... balzana... ,

un po’... allegra...

o forse... soltanto...

un po’... strana...

Carta... e penna...

e... la mano...

veloce... già vola... ,

componendo... scrivendo...

rivestendo...

di Magia... di Fiabe... ,

tutte quante... le righe...

d’ un foglio...

Carta... e penna...

fantasticando... sognando...

tornando... ,

nuovamente... di certo... ,

a volare...

Come... un Bimbo...

che... ,

tra le coperte... del sonno... ,

si gira... il cuscino...

si guarda... attorno...

e... dolcemente...

abbracciandosi... ,

tenendosi stretto... ,

un tenero... amorevole...

amico Orsacchiotto... ,

socchiudendo... gli occhietti...

ringraziando... Gesù... ,

s’ addormenta... e poi vola...


Il Salotto degli Autori

LE FIABE MARCHIGIANE:

UN MONDO DI SCHERZI, DI GIOIA E DI MAGIA

Bruna Tamburrini (Montegiorgio - AP)

Nella fiaba “Li latri e lu capu latrò (I ladri e il capo

ladrone) si riscatta un’intera classe sociale attraverso la

maschera della stupidità (Ccuscì succede a li signori che

te’ da stupiti li puritti e se creda d’esse loro soli jente de

talentu” (Così succede ai signori che credono di essere

gente di talento e considerano stupidi i poveretti). A volte

all’interno delle fiabe si ripetono vere e proprie frasi

rimate, una specie di canzone intermedia, come per

esempio nella fiaba “U’ rre ciecu” (Un re cieco) I versi

interni vengono cantati da un “ciuffulo” (una specie di

flauto ricavato da un albero cresciuto in un luogo dove un

giovane era stato ucciso da suo fratello. Il giovane era

partito alla ricerca dell’acqua fresca e della piuma “dell’uccello

grifò” per far guarire il padre e “ciuffolo” parla

o canta al pastore: “Pecorà, pecorittu/ so’ statu mazzatu ‘n

campu de breccia/ senza causa e senza cagiò/ pe’ pijjasse

l’acqua e la piumma de lu grifò” (Pecoraio pecoretto,

sono stato ammazzato in un campo di breccia senza causa

e senza ragione per prendere l’acqua e la piuma del

grifone). Il re arriva a conoscere le qualità eccezionali

del “ciuffolo” e invita il pecoraio a corte per suonarlo ai

suoi due figli. Un’altra caratteristica delle fiabe (e non

solo marchigiane) è la totale insignificanza del passare

del tempo. I personaggi spesso sono tutti d’un pezzo,

senza il naturale invecchiamento e in un certo senso la

fiaba diventa per forza semplice, si semplifica nella storia

in quanto non ci sono bagagli da ricordare, tutti i personaggi

sono unici e tipici e assumono soprattutto un ruolo

che mantengono sempre sia nel bene che nel male: il

personaggio positivo si contrappone da sempre e per forza

di cose a quello negativo, il protagonista all’antagonista,

l’eroe al falso eroe. Vengono messi in evidenza i

contrasti estremi, i personaggi sono bellissimi o bruttissimi,

l’eroe è un principe o un figlio di contadini, la principessa

sposa lo stupidotto di campagna. Di solito gli

antagonisti vengono presentati con cavalli, dolci e vesti,

mentre l’eroe è al contrario. I tempi della fiaba sono

molto lunghi e vince quasi sempre un atto d’amore; l’eroe

spesso sceglie cose insignificanti per la sua qualificazione

e di solito si trova in una posizione di svantaggio rispetto

agli altri personaggi, ma poi si mette in risalto la

risalita, a volte sembra che il mondo che lo circonda non

gli appartenga, egli non si sconforta mai di fronte a nessuna

difficoltà, è sempre pronto a sostenere delle prove.

Si ha la caratteristica ripetizione fiabesca nelle forme e

nei movimenti, o nelle filastrocche rimate ed è come se

ci fosse un discorso già acquisito nel tempo, è un ritmo

universale, un formulario linguistico che si ripete e che

contraddistingue gli eventi e i personaggi facendo loro

acquisire una sensazione “anzitempo” o meglio “fuori

tempo”. Di solito ci sono delle prove da superare (in

genere tre). Il tre è anche il simbolo dell’immaginazione

- 32 -

erotica “Li tre pili d’oro”, mentre l’eroe deve regalare

l’anima al diavolo dopo un anno e tre giorni (Lu muratò).

Anche i figli abbandonati sono tre. La storia del muratore

potrebbe essere raccontata ed è questa: c’era una volta

un muratore molto povero che quando andava a lavorare

passava davanti ad un cimitero chiamato “La bocca

della verità” e ogni giorno ripeteva a se stesso che se

avesse potuto, avrebbe preso i soldi del diavolo. Un giorno

il diavolo, che stava nel cimitero a rosicchiare le ossa dei

morti, lo sentì, si vestì da signore e andò dal muratore

per strappargli una promessa: il diavolo gli avrebbe dato

i soldi se il muratore, nel giro di tre anni, gli avesse

donato la sua anima. Fu così che il muratore divenne

ricco, fino a che arrivò il giorno della resa dei conti ed

arrivò in anticipo perché, secondo il diavolo, ogni 24 ore

passavano due giorni. Il muratore allora raccontò il fatto

alla moglie e lei chiamò il prete che rinchiuse il muratore

in una sagrestia, mentre il diavolo passeggiava fuori della

chiesa ad aspettare e ogni tanto mandava al muratore

un messaggero per incitarlo a scappare. Il muratore resisteva

a tutte le tentazioni. Un giorno fu il sagrestano stesso

che gli disse che fuori c’era un signore ad aspettarlo,

allora il muratore spiegò cosa gli era successo e a questo

punto il curato (col quale il sagrestano si era confidato)

ordinò che il muratore fosse condotto davanti al tribunale

del Sant’Uffizio per essere giudicato. Il Tribunale, però,

diede ragione al diavolo e il muratore precipitò nell’inferno,

i suoi beni furono pignorati e il suo corpo bruciato,

perché non contagiasse i vicini. Anche il numero “sette”

è significativo in diverse storie, sette sono di solito le

astuzie di cui alcuni personaggi si servono per apparire

di una forza smisurata, sembra esserci anche una profezia

su questo numero. A proposito di profezie si può

ricordare la bella storia del “Gran meschino” (da precisare

che non è quella di Andrea da Barberino, pur avendo

qualche caratteristica in comune) nel quale la profezia

diventa elemento importante. Questa storia racconta di

un bambino che era stato abbandonato dai suoi genitori

e fu raccolto da un contadino e da sua moglie che lo

riscaldarono, perché era stato buttato in un pozzo d’acqua.

Il bambino fu allattato, ma venne chiamato “Gran

Meschino” proprio perché era sfortunato. Diventò un bel

giovane, ma il padre un giorno gli rivelò la sua storia ed

il ragazzo volle andare in cerca dei suoi genitori, ma

dovette subire diverse peripezie fino a quando giunse in

una torre dove la gente era prigioniera e lì ritrovò i suoi

genitori, dispiaciuti di aver dato via il loro figlio. Tutti

furono contenti ed andarono dal re che consacrò la loro

famiglia. Prima di giungere alla torre il giovane aveva

chiesto dei suoi genitori a molte persone che aveva incontrato

per strada e tutte gli avevano rivelato qualcosa

fino a condurlo alla torre della quale divenne padrone e


poté così liberare i prigionieri tra cui appunto i suoi genitori

che vi erano rinchiusi.

All’interno delle fiabe marchigiane sono importanti

anche i doni che spesso si personificano, come un “Viuì”

(un violino) che si mette a suonare o “una sarvietta” ( una

salvietta) che si mette ad apparecchiare, oppure c’è il

dono di un anello che permette di superare incredibili

avventure, o un “cappello fatato” che all’improvviso fa

fiorire un immenso giardino. Altra tecnica narrativa della

fiaba: l’uso della trasformazione dei personaggi i quali,

anche per un semplice incantesimo, possono trasformarsi

in qualcosa che non sono: una ragazza bellissima

in una bruttissima e così via, a volte può anche esserci

una fattura fatta per esempio al figlio di un re e allora la

metamorfosi oscilla tra il mondo animale e quello umano.

Per quanto riguarda la fattura bisogna provvedere a

scioglierla magari pungendo con un ago il malcapitato.

A volte c’è l’apparizione del sangue e, in questo caso,

nella fiaba popolare sembra esserci quel legame con gli

antichi riti iniziatici. Non manca naturalmente nelle fiabe

marchigiane la cosiddetta vena comica che a volte può

sfociare in un insolito patto con il diavolo, come nella

storia già citata, c’è anche un significativo gusto per il

cibo “Na magnata de tajjulì puliti”(Una scorpacciata di

tagliolini puliti) . Anche i contrasti fanno parte integrante

del mondo fiabesco marchigiano, ma forse è il caso di

dire di tutte le fiabe, perché è una caratteristica comune,

oltre al contrasto tra il bene e il male, c’è quello tra l’astuzia

e la stupidità in cui si inserisce anche qualcosa di

erotico. L’astuzia, infatti, a volte si abbina ad una curiosità

sessuale (Li tre pili d’oro) .

Nel libro di Verdenelli (unico e completo per quanto

riguarda la struttura e la presentazione delle fiabe

marchigiane) le storie sono raccolte in parti chiarificatrici

LAVORO ERGO SUM

EMANUELA VASTO

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Un pensiero al giorno per

apprezzare la gioia del lavoro

-Se sei in cerca di lavoro e

già pensi alla noia che potrebbe

sopraggiungere dopo averlo

trovato… Se sei un dipendente

e provi sensazioni poco

piacevoli quando senti pronunciare

le parole “cartellino”

e “collega”… Se lavori come

libero professionista e due o

più volte al giorno ti lasci prendere

dalla voglia di mollare tutto… Se sei pensionato e ti

manca il tuo posto di lavoro… In tutti questi casi sei il

lettore giusto! Buona lettura...

KIMERIK EDIZIONI -ISBN: 978-88-6096-312-3

Estate 2009

- 33 -

e divise sapientemente in generi: una parte riguarda “I

doni magici” e lì sono inserite le fiabe in cui c’è la presenza

del re o la regina, in cui i personaggi poveri cambiano

e diventano ricchi. In queste storie ci sono gli incantesimi.

Altra raccolta riguarda i cosiddetti “Compiti

difficili” in cui bisogna superare delle prove per raggiungere

l’obiettivo, è questo il caso del già citato Gran

Meschino. Segue poi la raccolta “Le metamorfosi” dove

sono inserite le fiabe con i cambiamenti dei personaggi,

da belli diventano cattivi e sfortunati, mentre da brutti

diventano buoni e fortunati (La ragazza perseguitata). Sono

da menzionare anche le fiabe che evidenziano casi umoristici

e sono tante, simpatiche, strane, certamente popolari.

Altro elemento importante a livello di contenuto è il

cibo, come la già citata fiaba “Una scorpacciata di tagliolini

puliti” in essa c’è umorismo in quanto i tagliolini, con

tutte le peripezie che sono costretti a subire, non possono

di certo essere puliti! Altra raccolta esamina il mondo

dell’astuzia e della stupidità con personaggi che si contrappongono

creando ovviamente un umorismo quasi paradossale.

Per ultimo le fiabe sono raccolte nel titolo

“Bambini abbandonati” dove si ripercorre la classica

storia dei fanciulli che vengono allevati da animali, perché

abbandonati e in questi casi c’è quasi sempre un

eremita che alla fine fa quasi da eroe della vicenda e il

personaggio cattivo viene sempre sconfitto come in tutte

le fiabe del mondo.

Principali testi di riferimento:

Caterina Pigorini-Beri, Costumi e superstizioni

dell’Appennino marchigiano, Città di Castello, S. Lapi

Tipografo-Editore, 1889;

Marcello Verdenelli, traduzione di Giuseppe Bonura,

Fiabe marchigiane, Mondadori, Milano, 1985.

I SUPERSTITI

di Francesco Luigi PAOLILLI

(Maglie – Le)

I superstiti del naufragio

chiedono asilo alla vita

e il dono dell’oblio agli angeli

del tempo. Ha cessato

la tempesta il suo battito

di tuono, sputando i semi

di nuovi scrosci malefici.

Grande la corsa e incalzante

la fretta: impastano i superstiti

la scorza, la corazza di giada,

antiche mura senza chiavistello,

baluardo estremo dell’anima.


NARRATIVA

Bartolo e le streghe

Mariateresa Biasion Martinelli

Chi si trovasse a passare sulla strada di campagna che dal

paese di C.T. porta verso la località detta: Piano dei Meli, può

scorgere, fra gli sterpi e le ortiche, che crescono ormai liberamente

lungo i bordi, sul lato superiore, in leggera pendenza,

una pietra, con incise delle misteriose parole: “Mai più!”.

Per la verità sono misteriose soltanto per chi non conosce la

disavventura successa a Bartolo, verso gli inizi del secolo scorso,

in una notte di luna piena, dopo la solita sosta all’osteria.

Purtroppo, Bartolo e gli amici di allegre bevute si attardavano

sempre fino oltre la mezzanotte, dopo che l’oste aveva chiuso

le porte della locanda, per scolarsi parecchie caraffe di vino,

giocando a carte.

E se gli altri riuscivano a non arrivare a casa all’alba, perché

vivevano in paese e raramente bevevano tanto da ubriacarsi,

Bartolo, dovendo percorrere qualche chilometro per raggiungere

la propria abitazione, non rincasava mai prima che il sole si

affacciasse al di là della cima del Monte Celado e, quel che è

peggio, non sapeva fermarsi prima di raggiungere quello stato

che dà l’alcool, quando viene ingerito in quantità troppo abbondanti.

La moglie lo attendeva sveglia, incapace di prendere sonno,

con la speranza che almeno una sera tornasse in tempo per la

cena, senza aver speso tutto quello che lei riusciva a racimolare

con il duro lavoro della terra, terra dove lui metteva raramente

piede, perché la mattina era sempre troppo assonnato e stordito.

Ma, puntualmente, le speranze della povera donna venivano

deluse.

Così, una sera in cui la disperazione e la solitudine erano più

forti del solito, nonostante la stanchezza e il timore di avventurarsi

nella notte, si avvolse uno scialle attorno alla testa ed

uscì, con una lanterna, dirigendosi verso il paese.

Era circa a metà strada, quando, alla luce della luna, scorse una

figura barcollante, nella quale riconobbe Bartolo.

Infuriata, si mise a correre vero si lui, poi, la folgorazione…

Si arrampicò sull’erta, che costeggiava la strada, spense la lanterna,

proprio mentre la luna veniva in parte coperta da una

nuvola e si nascose dietro ad un cespuglio.

Quando Bartolo raggiunse il punto in cui lei si trovava, la donna

uscì allo scoperto, urlando in un linguaggio incomprensibile,

il viso celato dallo scialle.

Bartolo svenne.

La moglie tornò sui suoi passi e quella sera non lo aspettò

alzata.

L’uomo arrivò più tardi del consueto, ma, stranamente sobrio, il

viso color della cenere, prese la zappa e si avviò insolitamente

verso i campi.

Non fece parola con nessuno di quella strana apparizione, ma

lavorò per parecchie sere per incidere delle parole su di una

pietra, levigata dall’acqua del torrente, che scorreva vicino ai

suoi terreni, trascurando così gli amici, l’osteria e le carte, per

molto tempo.

Un giorno, finito di incidere le parole, che pensava suonassero

Il Salotto degli Autori

- 34 -

oscure ai compaesani, portò la pietra sul luogo dell’apparizione,

di quella che, nella sua mente, ottenebrata dai vapori delle

pesanti libagioni, credeva fosse una strega.

Quando, dopo quello che ritenne un ragionevole periodo di

astinenza, tornò all’osteria, non eccedette più nel bere, anzi, si

accontentava di qualche bicchiere, che rende il cuore contento,

senza offuscare la ragione.

Non capiva, però, perché lo guardassero tutti con un pizzico di

ironia, non sapeva che la moglie, per completare la giusta vendetta,

aveva raccontato alle comari la sua “disavventura”, sicura

che l’avrebbero riportata ai loro mariti, come, puntualmente,

avvenne.

Bartolo, dal canto suo, rimase fedele alla promessa incisa sulla

pietra: non si ubriacò “mai più”!

Vita segreta

Fosca Andraghetti

Gloria lasciò scivolare lo sguardo oltre il vetro dove la vita

pulsava frenetica. Tutti sembravano avere fretta come, d’altra

parte, a volte capitava pure a lei.

Sua figlia le stava dicendo qualcosa e cercò di riacchiappare in

fretta il filo del discorso senza riuscirvi. Di certo si trattava di un

argomento assolutamente noioso e lei, come sempre in questi

casi, si era estraniata rivolgendo i suoi pensieri altrove, a qualcosa

di più interessante, almeno dal suo punto di vista. Una

tecnica già collaudata ai tempi della scuola, quando, per evitare

sbadigli più o meno mascherati per la sua incapacità di sopportare

professori noiosi, aveva scoperto che si può governare la

mente assentandosi solo in parte in modo da percepire, come

una voce bisbigliata, ciò che dicevano dall’altra parte della

cattedra. Erano passati tanti anni da allora e forse la mente non

aveva più l’elasticità necessaria per questo tipo di giochetto!

Oppure sua figlia era noiosa più del solito.

“Mamma, tu e le tue fantasticherie! Puoi ascoltarmi una buona

volta? Noi partiamo la prossima settimana e tu non hai ancora

parlato con la zia Poldina. Come farti capire che per lei sarebbe

un piacere averti sua ospite! Vi fate compagnia e risparmiate

sulle spese! Mi sembra la cosa più naturale, no? E non guardarmi

con quella faccia. Giuro che non ti capisco. Noi tutti cerchiamo

di facilitarti la vita in ogni modo, ma ho l’impressione che tu

faccia apposta a non capirlo!”

Era bella sua figlia, anche quando era arrabbiata. Ma in certi

momenti aveva l’impressione che fosse l’unica dote, se così si

può chiamare la bellezza. La guardò mentre, forse stanca di

andare avanti e indietro per la stanza, sedette in modo impeccabile

sul divano. Accavallò le gambe con grazia, lasciando in

parte scoperte le cosce ben tornite. Beh, quelle le aveva prese

da lei e si assomigliavano anche nelle ciglia arcuate e nel nocciola

intenso dello sguardo. Oh, santo cielo, stava di nuovo

vagando nei suoi pensieri.

“Oh, mamma, mi ascolti oppure no? Mica posso stare qua tutto

il giorno!”

Gloria sfoderò il più amabile dei sorrisi, lisciò la gonna sulle

ginocchia, si passò una mano nei capelli freschi di parrucchiere

poi, accondiscendente, disse che sì, nel pomeriggio avrebbe

telefonato a sua sorella per prendere ogni accordo. In fondo

era una buona idea: compagnia, risparmio e niente pensieri per

la figlia e il genero che andavano in vacanza.

Parlarono per un poco del più e del meno, ma Francesca

scalpitava e a lei non interessava trattenerla. Anzi!

Non si alzò a salutare la figura quasi anoressica che si stava


dirigendo verso l’uscita con il solito passo da atleta. Ma l’aveva

educata lei quella donna? Non un bacetto, un ciao mamma,

niente di niente. In compenso si preoccupava della sua solitudine.

Mica poco! Eppure lei di solitudine non aveva mai sofferto:

aveva le sue amiche, il teatro, qualche buon cinema e, alla

biblioteca di quartiere, c’era una ragazza davvero carina che le

suggeriva piacevole letture, comprese quelle di autori giovani

dove sembra che il gergo abbia perso ogni pudore. Ecco, di

sicuro da quel lato era rimasta un po’ all’antica.

“Non sono poi così malandata! - disse al gatto che stava sgusciando

da sotto una poltrona – Che dici tu micio? Sono fortunata,

mia figlia non mi ha proposto una di quelle orrende case

di riposo dove posso stare con quelli della mia età a giocare a

carte, a guardare la televisione e a rincitrullirmi! Forse dovrei

decidermi a parlarle della mia vita segreta, ma come faccio! Lei

non ha mai tempo, è una manager lei. E poi è convinta che stia

in casa a guardare la televisione tutto il giorno. Sì, dopo che è

morto suo padre sono stata parecchio tempo rintanata qui, fra

queste mura piene di ricordi, poi mia sorella Poldina, con tanta

dolcezza, è riuscita a farmi uscire qualche volta. Non mi ha mai

fatto fretta, ha sempre rispettato i miei improvvisi silenzi, gli

sbalzi d’umore, il volere di colpo tornare a casa dopo pochi

minuti che eravamo uscite. E un giorno è arrivata con una cesta:

dentro, micetto mio, c’eri tu che continui a farmi tanta compagnia.

E inoltre, come si dice sempre, la vita continua e così ho

fatto, ma a mia figlia, che si era creata da tempo la sua famiglia,

non interessava molto quello che facevo e, dopo i primi tentativi

di parlargliene, ho lasciato perdere. E lei è sempre più distratta

nei miei confronti, quindi… Se fosse al mondo suo padre!

Ma che dico, lui l’adorava la sua Chicchi che sta sempre

per Francesca. Così continuo a farmi i fatti miei, mi tengo i miei

segreti, faccio la mia vita. Qualche soldo mi avanza e, se nostro

Signore mi mantiene la salute, dei grossi pensieri non dovrei

avere anche per il futuro. E allora, perché mai devo fare la vecchia?

Sono pure piacente! Potrei avere anche un filarino. E tu

non ti preoccupare che il gattile è quanto di meglio ci sia nei

dintorni!”

Baciò il gatto che, indifferente oramai ai soliloqui della sua

padrona, se ne andò per i fatti suoi in giro per casa.

Il postino suonò e lei disse lasci in buca poi, visto che era in

piedi, cominciò a preparare il pranzo. Un po’ presto per la verità,

ma in fondo non doveva rendere conto a nessuno. Certo che

quel burino di suo genere avrebbe trovato da ridire. Ecco, forse,

anzi niente forse, Francesca aveva preso da lui: i vecchi al

ricovero, ai vecchi bisogna insegnare tutto, ma quando mai!

Chissà perché spesso le persone giovani dimenticano

anzitempo che le loro mamme, e anche padri, li hanno amati e

curati e non sono passati poi così tanti anni da quando spazzavano

i loro sederini!

Gloria sembro improvvisamente ricordarsi di qualcosa. Lasciò

pentole e fornelli per dirigersi verso la poltrona; da sotto il

cuscino estrasse una piccola guida turistica e sospirò. Lasciò

di nuovo scivolare le dita tra i capelli, lentamente, ripetutamente.

Sì, li avrebbe tagliati, un taglio come quello della Jane Fonda

nella pubblicità della Oreal, e pieni di piccoli colpi di luce.

Gli abiti? Un intero guardaroba nuovo! C’era solo da augurarsi

che la banca non comunicasse a Francesca la storia della carta

di credito, considerata la frequenza con cui l’aveva usata negli

ultimi tempi! Ma era solo questione di giorni. La nave sarebbe

partita esattamente il giorno successivo a quello di sua figlia.

Bella la crociera! Avrebbe speso altro denaro, avevano tutto il

tempo, lei e la zia Poldina, di godersi il sole e il mare, le città dove

Estate 2009

- 35 -

avrebbero fatto scalo, il teatro dopocena e il casinò ancora

dopo. Poi a dormire nella stessa cabina. Da qualche parte bisognava

pur risparmiare! O no?

Gli incontri di Spello

Franco Pignotti (Petritoli - AP)

II. Un anno sabbatico fra comunitari, eremiti ed alternativi

vari

Nei miei vagabondaggi estivi del 1983, finalmente, dopo averci

girato intorno, un giorno andai a conoscere fratel Carlo Carretto;

gli raccontai la mia storia, i miei dubbi, le mie incertezze, i miei

timori. Mi ascoltò come sapeva fare lui e mi propose di fare

discernimento con la preghiera, con il lavoro che spezza il corpo

e lo prepara al silenzio e alla contemplazione. Mi propose di

restare a Spello per un anno sabbatico. Capii immediatamente

che quella era la cosa giusta che avrei dovuto fare. Promisi di

tornare alla fine dell’estate. Per ora avevo altre tappe da percorrere,

volevo ancora continuare il mio pellegrinaggio per altri

luoghi dello spirito che in quegli anni erano meta di giovani in

ricerca. E così fu per l’intera estate del 1983, una estate di puro

vagabondaggio spirituale.

Verso i primi di ottobre, dopo aver chiuso dietro di me tutte le

porte da cui me ne andavo, mi presentai a Spello. Essendomi

affidato all’autostop, arrivai di sera, mentre la fraternità era riunita

in preghiera nella cappellina. Stavano cantando il salmo:

“Ecco i miei piedi sono giunti a te Gerusalemme, città di Dio”.

Mi commossi e mi sentii subito parte di questa avventura dello

spirito. Nei giorni che seguirono avvertii una grande serenità:

almeno per una lunga serie di mesi sarei vissuto secondo quello

stesso spirito che avevo conosciuto nei miei incontri precedenti

con Maddalena alla Casa della Povera gente, con Giovanna

presso la fraternità del Casale, e con Luigina nel suo

eremo di Nottiano. Fui assegnato alla fraternità del San Girolamo,

mentre Carlo era al Giacobbe. Rimasi per l’intero periodo nel

‘convento’ del San Girolamo, con il suo bellissimo chiostro e il

suo pozzo; un convento dove non vivevano monaci o frati,

troppo spesso casta di persone separate dalla vita. Qui viveva

invece solo gente normale, fatta di uomini e donne, soprattutto

giovani, che alla mattina sciamavano per confondersi con i

contadini e gli operai del paese, senza distinzione e al pomeriggio

si raccoglievano per aprirsi all’infinito attraverso il silenzio,

la contemplazione e la preghiera.

Sono arrivato a Spello dietro la spinta di un disagio interiore di

lunga durata, alla ricerca di qualcosa di cui non avevo idea, ma

che mi aspettavo fosse capace di cambiare la mia vita. Ho vissuto

tutti gli incontri a Spello con una forte carica emotiva;

ogni persona che varcava la soglia di quel chiostro per chiedere

ospitalità diventava un nuovo membro della mia famiglia

‘religiosa’, la famiglia di Dio. L’incarico datomi da fratel Carlo, e

che ho rivestito per circa sei mesi, quello dell’accoglienza, ha

facilitato questo approccio. Elisabetta, Francesca, Anthony,

Jure, Renzo, Walter, Marco, Emilio, Antonietta, Carmelo, Fulvio,

Giovanni, Tarcisio, Lelio, e quant’altri, mi sono diventati più

cari della mia stessa famiglia. Conoscevamo le nostre sofferenze,

la nostra ricerca, i nostri dubbi. E quando man mano il tempo

di ciascuno finiva e arrivava il momento di partire era una parte

di me che se ne andava. Per questo mi è rimasto dentro

insopprimibile il desiderio di continuare l’amicizia fraterna in

tutti questi venticinque anni successivi. Partecipazione e curiosità

per percorsi di vita così diversi, così unici, ma anche così

significativi! L’esperienza di Spello era stata la concretizzazione


più piena dell’ideale che mi muoveva, di ciò che andavo cercando.

E allora perché non rimanere, perché non costruire qui la propria

tenda? Chi cerca trova, afferma Gesù nel Vangelo, e Carlo

lo aveva testimoniato anche scrivendo il suo libro “Ho cercato

e ho trovato”. Perché allora mi sono rimesso in moto? Perché

ciò che avevo trovato era esattamente la fraternità nel cammino,

il fiume che continuamente scorre e che nessuno può davvero

fermare, se non il mare, fratelli e sorelle che vanno e vengono,

la fraternità della strada. Chi aveva veramente scoperto

lo spirito di Spello, doveva ripartire, perché l’Oreb di Elia era

ancora lontano, oltre il deserto, e le forze erano state in parte

riacquistate. E io sono ripartito ancora una volta senza sapere

dove andare, con più buio di prima, ma questa volta con il

sentimento di Abramo che aveva ricevuto il comando di andare,

di abbandonare la sua casa, la famiglia, la sua terra per una

terra non ancora definita, per una direzione non ancora indicata,

con la necessità impellente di inventarsi una direzione, una

meta … nella consapevolezza della fede che così facendo, affidandosi

radicalmente e laicamente a se stesso e alle proprie

autonome scelte del percorso, Dio lo avrebbe misteriosamente

diretto.

E così è stato. Se infatti Spello è stato per me la stagione degli

incontri, il periodo successivo, quello che, in un certo senso,

perdura ancora oggi, è stato per me la stagione del cammino

aperto da quegli incontri. Io che non avevo mai pensato prima

di uscire dall’Italia, partii da Spello, senza una meta precisa, con

un biglietto di sola andata per la Francia, con solo due indirizzi

in tasca: quello di una ragazza di Grenoble che faceva parte di

un gruppo denominato “Chrétiens et non violence” e di una

coppia che viveva in una delle comunità dell’Arca di Lanza del

Vasto: entrambi frutto dei miei incontri fatti a Spello.

La Francia fu forse il periodo più duro, ma quello in cui cominciò

a delinearsi un percorso. Vi trascorsi in tutto all’incirca sei

mesi tra Grenoble, la comunità dell’Arca di Lanza del Vasto 1 il

Villar Saint’Anselme, vicino a Carcassonne, nel Midi. Fu il periodo

di maggiore solitudine, completamente abbandonato a

me stesso, senza più nessuna ‘famiglia’ attorno, né quella naturale,

né quella religiosa, né quella dei sabbatici. Ma a Spello

avevo appreso che il mondo era la mia famiglia e mi sentivo

comunque a casa ovunque fossi. Il momento più bello che

ricordo e che mi è rimasto indelebile fu quando feci amicizia con

quattro barboni di Limoux e ce ne andammo a prendere un birra

insieme in uno dei locali più sostenuti del paese, sotto gli occhi

sgranati del gestore, comunque convinto del grosso biglietto

in franchi che fui in grado di mostrargli sotto il naso, frutto del

mio duro lavoro nei vigneti della zona, dove in quel momento

mi trovavo a lavorare. “Pecunia non olet” deve aver pensato, e

ci accettò ugualmente. In Francia infatti avevo conosciuto alcuni

‘clochard’ per i quali la strada era stata una scelta di vita.

Erano una sorta di barboni filosofi, di personaggi che sembravano

essere usciti integralmente dalla penna di Hermann Hesse;

e già in un certo senso, mi vedevo anch’io, durante quella

estate francese del 1984, sotto la medesima luce. La lettura più

importante che feci in quel periodo fu infatti il famoso Siddharta

di Hesse.

Ma l’esperienza fondamentale di quella estate francese, fu quella

dell’Arca, una realtà di famiglie che vivano insieme con una

regola comune, come in una sorta di monastero laico, seguendo

i principi gandhiani. I mesi passati presso La Borie Noble

(Beziér – Montpelllier), la comunità centrale dell’Arca 2 , per certi

versi mi sembrarono una diretta continuazione di Spello: la

Il Salotto degli Autori

- 36 -

stessa semplicità della vita, il lavoro nei campi, la comunità

come un porto di mare dove si potevano fare gli incontri più

diversi, la preghiera vissuta in maniera spontanea ma altrettanto

profonda, con le sue pause di silenzio (le rappel) che

cadenzavano la giornata e con i suoi suggestivi momenti del

mattino rivolti verso il sorgere del sole e della sera attorno al

fuoco. Non ebbi la fortuna di conoscere il fondatore, Lanza del

Vasto, scomparso qualche anno prima, ma leggevo qualche

suo libro e mi piacevano davvero 3 . L’Arca dava forma ad una

vita alternativa che mi affascinava e che sono stato lì lì per

scegliere come approdo definitivo. Ecco, questa era la differenza

con Spello: all’Arca ci si poteva fermare, l’arca ti proponeva

di mettere radici; non era il fiume che continuamente scorre e ti

spinge altrove; era la prateria che ti chiedeva radicamento. A

Spello aleggiava lo spirito francescano; all’Arca aleggiava lo

spirito benedettino. Ma sia Spello che l’Arca proponevano

queste spiritualità non ad una casta separata, ma alla gente

comune, ai singoli come alle coppie. All’Arca ho scoperto soprattutto

la realtà di una comunità di famiglie che vivevano in

una comunione radicale, monastica, nella fiducia e nell’appartenenza

reciproca. Un altro sogno prendeva forma dentro di

me, rimaneva discreto in qualche angolo del cuore. Non era

infatti ancora tempo di radicamenti, era ancora il tempo del

cammino. Dovevo lasciare l’Arca, sia pure con molta nostalgia.

franco.pignotti@istruzione.it

NOTE

1 Lanza del Vasto è stato, nel periodo tra le due guerre, discepolo

di Gandhi in India, dove, in seguito ad un pellegrinaggio alle

sorgenti del Gange, si sentì chiamato a diffondere in Europa, il

movimento nonviolento del suo maestro. Tornato in patria,

dopo la seconda guerra mondiale darà inizio alla comunità dell’Arca,

una comunità ecumenica, interreligiosa e basata sui

principi della non violenza gandhiana. Da non confondere con

l’altra realtà francese, l’Arche di Jean Vanier, legato invece alle

problematiche dell’handicap e del disagio.

2 All’interno di una tenuta di circa quattrocento ettari di territorio

boschivo, erano stati riattivati due villaggi precedentemente

abbandonati dai contadini all’inizio del secolo: La Borie Noble,

e La Flessiére con una popolazione di circa un centinaio di

persone.

3 Tra i suoi libri più famosi: Il pellegrinaggio alle sorgenti e

L’arca aveva una vigna per vela, entrambi editi in italiano

dalla Jaca Book.

Una giornata al mare

Cristina Sacchetti (Riva di Chieri – TO)

Minuscole onde rese argentate dal riflesso del sole al tramonto

lambiscono il mio corpo languidamente abbandonato sulla

battigia ad assaporare gli ultimi attimi dell’ora più bella, (naturalmente

questa è una mia opinione) della giornata, e senza che

me ne renda conto i pensieri iniziano a fluttuare nella mia mente

fino ad un attimo prima vuota ed assente.

Come per incanto, prendono forme di note musicali dando inizio

ad una danza sfrenata per trasformarsi all’improvviso in

dolce sinfonia su ali di farfalle, orchestra invisibile agli occhi

altrui ma non ai miei, che, involontario direttore d’orchestra ho

dato il La agli orchestrali immobili in attesa di un mio cenno.

Pigramente mi alzo per andare a rovistare nel borsone che ho

lasciato sotto l’ombrellone con gli abiti e stracolmo di tutto un

po’, alla ricerca di una biro e dell’immancabile moleskine, per


fissare nero su bianco i pensieri affastellati nella mente.

Tutto vibra in me, sento che sta nascendo poesia (che dolce

suono racchiude in se questa parola) e già ne pregusto la chiusa

quando dagli scogli vicini mi giunge un pianto disperato di

bambino, mi volto per capirne di più e vedo un piccolo riccioluto

color caffelatte che cerca di divincolarsi dalle mani di una signora

biondissima e dall’accento milanese, dall’apparente età

di circa quarant’anni, imbarazzata sotto i nostri sguardi (la spiaggia

era affollatissima).

Vedo un signore avvicinarsi per dar man forte alla donna e

calmare con coccole e carezze il piccolo africano, che, più veloce

della luce gli sfugge per inseguire una ragazza di colore che

sta transitando sulla spiaggia carica di scialli colorati, monili e

occhiali da sole; comprendo in un attimo la situazione e con me

gli altri bagnanti, sorridiamo di tenerezza perché il bimbetto che

risponde al nome di Lorenzo si è riconosciuto in lei. La donna

che gli ha donato la vita, con molta probabilità assomiglia alla

venditrice, se non altro per il colore della pelle e lui non aveva

ancora rimosso quel ricordo, infatti con le sue veloci gambette

la insegue per un tratto di spiaggia; a sua volta inseguito dai

genitori adottivi, preoccupati per le conseguenze che un tale

episodio potrebbe avere in futuro sulla psiche del loro adorato

figlio.

Finalmente lo raggiungono e prendendolo teneramente tra le

braccia gli promettono zucchero filato e un giro sulle giostrine

poco distanti.

I singhiozzi si calmano e un luminoso sorriso rischiara il suo

volto, poi con la paffuta manina saluta la ragazza che nel frattempo

ha intuito la situazione e con gli occhi umidi di pianto lo

saluta nella sua lingua, poi tira dritto, con la speranza di floridi

guadagni, forse a casa nel Corno d’Africa anche lei ha un piccolo

Lorenzo che l’aspetta, ma soprattutto, ha bisogno che lei

invii denaro per far si che possa crescere bene dandogli la

possibilità di frequentare una scuola, anche se la mamma gli

manca, sono tutte mie supposizioni, naturalmente.

Ho il cuore stretto in una morsa, ormai l’afflato si è dissolto con

l’ultimo raggio di sole, a malincuore raccolgo le mie mercanzie,

saluto i vicini d’ombrellone che ancora commentano l’accaduto

e m’avvio verso l’albergo ripromettendomi di ritornare l’indomani,

ma, questa volta all’alba per non farmi coinvolgere

dagli avvenimenti di questo scorcio pittoresco e con la speranza

di ritrovare le rime che ho smarrito oggi tra i numerosi granelli

di sabbia.

Come suicidare il tempo

Gianfranco Gremo (S.Gillio – TO)

- Che facciamo stasera? - chiese Max già in preda ad alcool e

pasticche varie.

Pep, un tipo grande e grosso coi capelli a spazzola e dall’espressione

stolida, Sabri, una biondina insipida piena di piercing e

tatuaggi nei posti caldi e Blu, un tizio mingherlino e rasato a

zero dall’eloquio ridotto a pochi concetti di natura stercoraria

gli risposero in coro:

- Riscaldiamo il barbapulci, è inverno e avrà freddo!

I quattro componenti la “sbanda”, come definivano il loro gruppo

per rivendicare con orgoglio la loro condizione di sbandati,

aborrivano le gerarchie. Tra loro non esistevano capi, tutto

erano uguali, in perfetta democrazia. Ma questa società così

democratica aveva una falla che a ben vedere era meglio definire

“fallo”, non nel senso di errore ma di organo maschile, un

tempo assai riproduttivo ma ormai sempre meno atto a quella

Estate 2009

- 37 -

bisogna, essendo la sterilità, accoppiata allo stress, dilagante

ormai in grande misura. A Sabri e compagni della sterilità sua e

loro non importava un bel nulla, per loro era invece una benedizione

(si fa per dire) non essere fecondi. Una fortuna, da una

parte, che il mondo non venisse popolato dal frutto di tali congiunzioni

carnali, altrimenti sarebbero venuti al mondo tanti

potenziali delinquentucoli quali erano tutti e quattro.

Si diceva della mancanza di gerarchie nella “sbanda”. Tutto

vero sino e che non si trattava di spartirsi le grazie (un povero

mucchietto d’ossa) della biondina tatuata. Lì vigeva una regola

precisa ed in primo luogo da lei stabilita ed accettata senza

grandi rovelli dai tre, tanto era questione di minuti. Gerarchicamente

toccava prima a Max, non si sapeva bene il perché (forse

perché il più ottuso dei tre, anche se si trattava di una bella

gara, giocata sul filo di lana) ma così aveva stabilito Sabri. Poi

spettava a Pep e, per ultimo, a Blu che, nella circostanza, sgranava

una sequela verbale di variazioni al suo tema preferito.

Per il resto la gerarchia non esisteva. Quando si trattava di

mettere in atto il riscaldamento del “barbapulci” (termine figurato

per definire un qualunque barbone che dormisse dove

capitava “protetto” da cartoni per imballaggio), cioè di dargli

fuoco per intiepidirgli le notti gelide (un altruismo forse eccessivo

ma efficace) tutti contribuivano alla pari. Un po’ di benzina,

quattro accendini e via! Qualcuno, non ricordo chi, ma si

trattava di un tipo intellettuale, non diceva forse: “la fiamma è

bella!”?

Questa unanimità di intenti si infrangeva presto, ahimè!, sugli

scogli della perenne litigiosità che contraddistingueva i loro

rapporti:

- L’abbiamo già fatto, serve a niente, c’è troppa umidità, la

fiamma si spegne subito - disse con asprezza Pep.

- Ma che ne capisci tu, ci vuole più benzina, gli accendini non

bastano, ci vorrebbe una torcia a vento - replicò stridula Sabri

mostrando un dito medio magro e provvisto di anello a forma di

teschio.

- Meglio prenderlo a botte, così il calore lo sente davvero e se

lo ricorda per giorni - vomitò con rabbia Max.

- Merda, ma allora non avete il cervello, meglio sfasciare i vetri

di una macchina. Se ci beccano a pestare l’omino è gattabuia -

sentenziò inarticolando le parole Blu.

- Ehi, ma qui come passiamo la serata, a girarci i pollici? Io con

voi mi annoio, mai che si faccia qualcosa di divertente. Parole,

parole e basta. Me ne vado, vado a cercare quelli della piazzetta,

lì almeno ci sono degli uomini, non dei cacasotto come voi. E

poi… - affermò con veemenza Sabri.

- E poi? E poi? E poi? Te li vuoi fare tutti quelli là? - ringhiò Pep.

- Se è per questo, già fatto, grazie – Sabri ripresentò il suo

gracile medio.

- P…..a, tr..a, vattene allora, ci pensiamo noi al barbapulci -

tuonò Max.

Sentendosi così apostrofare, Sabri stranamente si calmò. Dicono

che la verità offende ma lei non seguiva questa regola. In

fondo, anche se la definizione di Max corrispondeva al vero, lei

aveva una sua dignità, in quel momento apparteneva alla “sbanda”

ed avrebbe rispettato la decisione collettiva. C’era sempre

tempo per quelli della piazzetta.

I quattro pensarono che era meglio ripiegare su qualcosa di

apparentemente meno pericoloso, c’è sempre il rischio che un

pestaggio od un falò degenerino e ci scappi il morto. Idioti sì,

ma non al punto di finire in galera per aver arrostito un sacco di

pulci, un essere “inutile” per loro ma, guarda la sfiga, considerato

“umano” dalla Giustizia.


Avessero amministrato loro la giustizia non avrebbero perso

tanto tempo. Ma che fare? Sapevano di vivere in un porco di

mondo dove non si può fare tutto quello che si vuole e tanto

meno quello che ti aiuta a vincere la noia e la monotonia delle

ore, dei giorni, delle notti, uno schifo di mondo dove si deve

pestare qualche testa per racimolare un po’ di denaro e campare.

La birra costa, i liquori anche, le pasticche non ne parliamo,

le dosi poi, ancora di più. Se avessero avuto loro il potere in

mano, tutto gratis per tutti, sussidio di disoccupazione per tutti

e se occorreva ancora qualche soldo per arrivare alla fine del

mese (come si dice) rubacchiando qui e là i conti sarebbero

presto tornati.

Visto che la notte era ancora lunga andarono a cercare il loro

“pusher” di riferimento dopo essersi assicurati di avere in tasca

i soldi necessari per quattro dosi.

Il tizio non c’era, dannazione! Eppure tutte le sere era lì. Lo

avevano mica beccato? Ogni tanto qualcuno di quelli finiva

per qualche tempo in galera e trovarne un altro era facile ma

bisognava vedere che merda spacciava. Se volevano trasformare

il barbapulci in Giovanna d’Arco bisognava prima trovare

la “roba” che poi il coraggio sarebbe arrivato di getto nelle

vene.

Ma quella maledetta faccia di cioccolato non si trovava. Chiesero

ad un tizio che si faceva come loro notizie del “pusher” ma

questo era così fatto che non sapeva neppure se fosse giorno

o notte.

Se questo era fatto, faccia di cioccolato era nei paraggi, occorreva

trovarlo se no sarebbero cominciati i casini. Sabri era già

tutta un tremore ed era sudata come uno strofinaccio bagnato,

smoccolava a tutto spiano stesa sulla panchina sgangherata

del giardinetto. Gli altri tre percorrevano nervosamente i vialetti

gelidi non sapendo dove trovare il tizio, l’angelo della neve,

come lo chiamavano, non per il colore della sua pelle ma per ciò

che faceva come per magia scaturire dalle sue tasche.

Ai tre si avvicinò uno che conoscevano di vista per averlo già

visto trafficare nella zona. Puzzava di spacciatore lontano un

miglio, ma c’era da fidarsi? E poi, chissà che porcheria vendeva.

Ed a che prezzo, poi?

Non c’era però da fare tanto gli schizzinosi, il tempo passava e

Sabri era al limite, sapevano che era quella, tra loro, che meno

sopportava l’astinenza e che avrebbe presto cominciato a dare

visibilmente i numeri. Occorreva fare presto e quindi chiesero

al tizio quanto voleva per quattro dosi. Il prezzo era più alto

della somma da loro racimolata ma, vedendo la stato della

poveretta stesa sulla panchina, il “pusher” fornì loro le dosi per

la somma che avevano in tasca.

- Sei sicuro che è roba buona, tagliata bene? – chiese preoccupato

Blu.

- Tranquilli, tutto regolare – rispose l’altro filandosela via svelto.

Rapidamente spuntarono dalle loro tasche le siringhe. La prima

a raggiungere il temporaneo e sempre più breve paradiso fu

Sabri che presto si acquietò. Poi, uno alla volta, gli altri, quasi a

rispettare un ordine gerarchico non scritto ma tacitamente accettato.

Questo per sfatare una volta di più la loro dichiarata

paritarietà.

Ci fu un periodo di silenzio e distensione, Sabri era ancora

distesa sulla panchina, gli altri tre seduti intorno sulla ghiaia

gelida quasi a protezione di quella che sapevano esser la più

debole del gruppo e non perché donna ma in quanto da più

tempo schiava della droga e, già per sua natura, di più fragile

costituzione.

Il Salotto degli Autori

- 38 -

Presto rimontò in loro la frenesia. Le loro vittime, i barbapulci,

stavano laggiù, dalle parti della stazione dei bus, nel gelo. Uno

di loro, in particolare, il più coriaceo e meno disponibile a subire

le loro angherie (manco ne sapevano il nome) era il loro bersaglio

preferito. Vigliacchi sì, ma almeno se la prendevano con

quello col quale c’era più gusto a mandarlo arrosto.

- Stai bene, Sabri? Ce la fai? Andiamo a mettere alla griglia il

“barba”? Ti va? - chiese concitato Max.

In fondo era lui il capo, non era forse lui che lei sceglieva

sempre come primo partner del terzetto? Era stanchissima ma

non voleva fosse detto che si tirava indietro proprio adesso. Si

alzò dandosi coraggio ma le gambe risposero male ai suoi comandi.

Che le succedeva? Le sentiva come di legno, peggio,

come di cemento, faticava a muoverle.

Le si accese nel cervello già parzialmente fuso un lampo di

paura, cercò di ricacciarlo ma se lo vide amplificato in un fiotto

quasi fisico di terrore. Quello spacciatore nuovo, doveva essere

uno dell’est dalla pronuncia. Si era sempre fidata di “mister

cioccolato” e stavolta era stata costretta a fidarsi di un bastardo

che certo vendeva porcheria. Si resse in piedi a fatica fingendo

di essere forte per non passare per la cagona del gruppo,

la femminuccia indifesa e bisognosa di protezione da parte

degli uomini. Meglio non sapessero quanto lei avesse bisogno,

da anni, di affidarsi ad un uomo e smettere di recitare la

parte della dura autosufficiente. Le sarebbe piaciuto un bell’amore

con tanto di tenerezza, di piccoli regali ogni tanto, di

coccole. Ma dovendo recitare la parte della dura, e della puttana,

per farsi accettare dal gruppo era mai emerso questo suo

tremendo e lacerante sogno. Si sarebbe portato il segreto nella

tomba.

- Oh, Dio, ma cosa sto pensando? - disse tra sé percorsa da un

brivido, e non era il freddo a procurarglielo.

Scacciò il pensiero ma ormai sentiva l’odore umido e pesante

della terra che a palate le avrebbero buttato nella fossa. Già,

perché mica l’avrebbero seppellita in una bara ma, povera reietta,

nella nuda terra. Meglio, avrebbe finalmente avuto quella madre

che mai aveva conosciuta. Una madre che l’avrebbe coperta

e protetta, la notte, sino all’eternità.

Mosse pochi passi verso i tre, accendino in mano, pronta all’ennesima

bravata idiota, ma le mancò la terra da sotto i piedi,

allungò una mano verso Pep, il più vicino a lei, per sorreggersi

ma lo vide crollare nella sua direzione con tutto il suo peso. Le

rovinò addosso e la travolse senza controllo. Sentì, nella caduta,

le sue povere ossa scricchiolare, forse rompersi. Era soffocata

da quella massa umana, non poteva muoversi. A fatica

cacciò un urlo, forse un rantolo. Sì, era vero, qualche osso le

era partito, ma ormai che importava?

I due rimasti in piedi guardavano la scena atterriti, senza poter

parlare. Sentivano che avrebbero presto raggiunto i due a terra,

o dove si trovavano adesso, se morti. A fatica si sedettero

sulla panchina, Max al margine sinistro, Blu a quello destro.

Respiravano a fatica, le loro menti vorticavano, i pensieri non

riuscivano a trovare la strada della bocca.

- Quel bastardo del barbapulci stasera l’ha scampata, ma domani

sera…

- Non volevi farti riscaldare, egoista di merda, eh? Spero tu

possa morire di freddo stanotte!

Ma erano pensieri disperati, la morte a volte redime; altre volte,

quando se ne ha tanta paura, fa diventare oltremodo cinici.

Fortuna che poi la pace prende il sopravvento. La pace eterna?

In fondo tutti e quattro la cercavano da tempo, pur non sapendolo.


Forse la troveranno se, l’indomani, qualcuno, scoprendo i loro

quattro corpi stesi intorno alla panchina, un uomo, una donna,

un solo essere umano avrà pietà di loro.

Un tempo da cani...

Guido Bava (Biella)

Dalla finestra dello studio, vedevo benissimo la valle o, almeno,

ne vedevo i contorni montagnosi e il verde scuro dei boschi

che lasciava trasparire le ultime tracce di neve. Inverno

lungo e nevoso che si era protratto fino al principio di aprile

costringendomi a rinunciare a mettere mano al giardino ed ora,

a metà maggio, il tempo non si metteva ancora al bello. La casa

in valle, detta a torto seconda casa quando invece, in ossequio

alla storia e all’importanza affettiva, dovrebbe essere considerata

la prima, era ancora inaffrontabile per l’umidità nonostante

il deumidificatore costantemente in funzione e ciò,in aggiunta

al freddo latente delle murature in pietrame, forniva un quadro

desolante.

Pensavo ancora a tutto ciò mentre l’auto affrontava le ultime

curve della strada panoramica e già vedevo il bianco cancelletto

che avrei faticato ad aprire, come al solito.

Non passai di dentro, ma affrontai decisamente la scala esterna

e mi fermai in corrispondenza della pietra tombale di Meme, la

mia gattina, e riandai col pensiero a quei vent’anni insieme e al

momento dell’addio. Strano a dirsi, ma mi pareva quasi di non

essere solo e, infatti, intravidi, tra i cespugli di azalee un qualcosa

di grigio che cercava di nascondersi alla mia vista. Cercavo

di pensare ad un ratto, ad un moscardino impaurito, al riccio

che, da anni era come sparito dal terrario delle tartarughe e, a

quel pensiero, cercai di frugare fra i rami dei cespugli. Non

dovevo e non volevo pensare che Meme fosse uscita per vedermi

di nascosto e mi rialzai con la schiena dolente e la convinzione

di essere impazzito. Tornai sulla scala e mi imposi di non

guardare verso la tomba dirigendomi verso la fioriera da ripulire

per far posto ai nuovi fiori. Mi dedicai al lavoro concentrandomi

in esso e, mentalmente, progettando la disposizione dei

bulbi, dimenticai le precedenti preoccupazioni. Mi irrigidii quando

udii come un lamento alle mie spalle, veniva dalla cantina

sempre aperta da quando, a causa della comprovata presenza

di gas radon era stata abbandonata.

Più che di un miagolio pareva un guaito, diversi guaiti per cui,

con circospezione, spinsi la porta e rimasi di stucco: su un

ripiano vuoto,tra un mucchietto di stracci dimenticati dagli ultimi

operai, c’erano due esseri minuscoli che, a tutta prima pensai

fossero gattini ma poi, sollevandone uno, compresi trattarsi

di cagnolini nati da poco tempo. Uscii richiudendo la porta alle

mie spalle e guardai in giro per vedere, o rivedere, il manto

grigio della cagnolina che si era nascosta al mio arrivo. Ovviamente

interruppi il mio lavoro, tornai all’auto, scesi in paese e

acquistai due scatole grandi di cibo per cani e latte intero poi

tornai a casa e scelti due grossi contenitori, vi versai cibo e

latte ponendoli appena dentro la porta della cantina poi me ne

andai e, giunto presso il cancello, mi volsi verso il giardino;

presso la scala della cantina stava una cagnetta grigia scodinzolante.

Guardava verso di me ed io cercai di capire che razza di

cane fosse infatti pareva un pechinese incrociato con

un barboncino, un connubio discutibile ma simpatico se non

altro per lo scodinzolare e l’abbaiare verso di me il suo grazie. In

quel mentre cominciò a piovere ed io raggiunsi l’auto pensando

a quella famigliola che, forse, avevo contribuito a salvare,

udii ancora l’abbaiare festoso mentre la pioggia cominciava a

Estate 2009

- 39 -

cadere fitta e pensai che, dopo tutto, era un tempo da cani e

sorrisi.

Vecchia lanterna del nonno

Raffaella Carrisi Martini (Torino)

Mi rivedo per le vecchie strade di campagna polverose...

Un uomo dalla folta barba bianca siede in cassetta su un carro

che lo conduce verso i suoi campi, nei quali s’aggira in cerca di

qualcosa: ...un grappolo d’uva, una piantina di patata, guardando

o di qua o di là con tanta tenerezza da commuovere!

Il carro prosegue lentamente il cammino, mentre una lanterna

arrugginita, appesa sotto il fondo, col suo cigolio lento e

sincronico, sembra tenerci compagnia: il lucignolo è quasi spento

e la poca luce che emana non basta a rischiarare il buio, a

dimostrazione che essa, vecchia lanterna di casa mia, è già

abbastanza vecchia e quindi logora dagli anni!

Occhio indiscreto, irrequieto, senza alcuna ragione, se il tempo

piove o tira vento, il vecchio procede per la sua strada.

Col suo ombrellone verde, egli non teme il tempo.

Sotto quel carro c’è il suo fido compagno, che trotterella tranquillo;

ma abbaia furiosamente se una bicicletta gli taglia la

strada.

Questo personaggio, col suo linguaggio, con la sua barba bianca,

col suo vecchio cappello scolorito, con quella lanterna di

casa che ha cigolato per tanto tempo sotto il suo carro, è il mio

nonno paterno, il nonno Angelo Carrisi!

Mi sono chiesta qualche volta: “Ma quella lanterna è ancora al

mondo?”... Se verso sera tirava vento, essa era sempre accesa,

appesa allo stesso gancio.

Vecchia lanterna di casa al nonno: ritorna in quella polverosa

via!

Erano belli quei giorni lontani, se pur tristi e con tanti affanni!

Ma, allorché penso a qual carretto, mi chiedo se oggi un

giovinetto potrebbe sostituirlo alla guida, di quel cimelio antico

di casa mia.

Oggi son anziana anch’io, con tante pene, con tanti affanni

inganni. Ancor più la tua luce, vecchia lanterna, mi ricorda la

mamma quando mi cantava la ninnananna.

Vecchia lanterna! Senza la tua luce, non trovo pace.

Ancora ti ricordo a malincuore, seppur con tanto amore, in

questo triste cuore.

Spesso scuoto la testa per sviare i tetri pensieri, e non solo

quelli di ieri, ma di oggi e anche di domani.

Buon Natale Katia

Giacomo Giannone (Torino)

“Nonno quanti abitanti fa Torino?”

- Un milione o poco meno. -

“ Sono tanti?”

- Si sono tanti. -

“ E la Polonia?”

- Quarantacinque-quantasei milioni, ma attenta la Polonia non

è una città, è una nazione e ha tante grandi città. Ma tu perché

me lo chiedi?-

“Sai oggi è stato l’ultimo giorno di scuola di una mia compagna

di classe, Katia. Lei domani dovrà ritornare nel suo paese, la

Polonia.”

- Forse perché è Natale e va a passare le feste con i suoi parenti

lontani.-

“No nonno, non ci vedremo mai più, mai mai. Hanno tolto il


lavoro a suo padre e lei piangeva.”

- Mi dispiace tanto sentire queste cose. E voi cosa le avete

detto?-

“ Noi tutti l’abbiamo abbracciata, tutti insieme, forte, e anche

noi abbiamo pianto.

Lei è bella, porta i capelli lunghi-lunghi biondi e ha gli occhi

azzurri. I suoi occhi oggi tutto il giorno hanno pianto, erano

rossi e tristi tristi. Ma nonno perché si perde il lavoro?”

- Io non so Ilaria, forse perché la ditta dove lavorava è fallita e

magari il padrone non aveva più clienti a cui vendere quello

che produceva. Sono tanti oggi quelli che perdono il lavoro.

“ Ma a che serve il lavoro?”

- Per guadagnare il denaro che occorre per comprare i vestiti, il

pane, la pasta, per potere vivere e possibilmente per comprare

una casa dove abitare. Anche la tua mamma e tuo babbo lavorano

per mantenere la famiglia, e acquistare tutto ciò che utile

a casa.-

“ Ma la mia amica non ha una casa?”

- Non so, forse l’ha in Polonia.-

“ Non è vero nonno, lei piangeva voleva restare con noi. La

maestra ha detto che Katia ritorna in Polonia per colpa della

crisi.Ma che significa crisi?”

- Crisi significa mancanza di lavoro, l’uomo non ha lavoro e

diventa povero e a volte non si ha niente da mangiare.”

“ E’ brutto, vero?”

- Si è brutto, fa soffrire molto.-

“ Si nonno, io ho sofferto tanto e l’ abbracciata tutto il giorno la

mia amica. Ora il suo accanto al mio rimarrà vuoto. E io con chi

starò? Io voglio bene a Katia.”

- Vedrai verrà un’altra bambina come lei, bella e brava e le vorrai

bene lo stesso.-

“ No nonno, io voglio Katia.”

La sera già oscurava la via, s’accendevano le luci. Le luminarie

multicolori di Natale luccicavano. Luccicavano anche gli occhi

della mia nipotina. Io sentivo un vuoto nel cuore, un vuoto

profondo. Era forse dolore per quanto di sconosciuta sventura,

amarezza soffrono le innocenti anime del mondo.

A giorni sarà Natale. Buon Natale a te Katia, che il ritorno nella

tua terra natale ti porti fortuna.

Nero il lupo dei mari

Monica Fiorentino Sorrento (Na)

C’era una volta nello sperduto regno di Terre Lontane, una

piccola coccinella vagabonda con un’ala soltanto, di nome

Tilde.

Forte e coraggiosa, amante dell’avventura, l’insetto aveva intrapreso

sin dalla tenera età, il suo errare in cerca di posti sempre

nuovi da scoprire e affrontando mille vicissitudini aveva

imparato sulla propria pelle il sacro dono della saggezza e della

sopravvivenza.

Un giorno affamata, la creatura era salita sopra al ramo di un

albero e avvistata una grossa ciliegia succosa, subito le si era

aggrappata intorno per mangiarsela.

Ma staccatasi di colpo dal ramo, la ciliegia era caduta di peso

nello stagno sottostante e con essa incollata anche lei.

“Annegherò!” pensò spaventata la poverina che priva di un’ala

per volare non sapeva neppure nuotare “E’ la mia fine!” piagnucolò

impaurita.

Ma un lupo dagli occhi viola, che di lontano, di passaggio in

quelle terre col suo passo schivo e solitario, aveva assistito per

caso alla scena, scorgendola in pericolo, si fiondò subito nello

Il Salotto degli Autori

- 40 -

stagno per correrle in soccorso “Non aver paura coccinella!

Tieniti ben salda alla tua ciliegia! Adesso appena mi sarò avvicinato

abbastanza a te, tu salta sul mio muso, ed io ti riporterò

a riva! Tranquilla” la rassicurò lui, bestia conosciuta da tutti,

lupo bianco con una macchia nera sul muso, che per quel particolare

era da tutti chiamato col nome di Nero.

“Non fidarti mai di un lupo!” era sempre stata la voce più

ricorrente fra gli animali del bosco “Il lupo è un animale perfido

ed astuto! Non avvicinarti mai a lui, oppure sarai divorata

in un solo boccone!” era la frase che da sempre aveva

echeggiato fra le creature del bosco “Perché pensi che sia

stato coniato il termine lupo dei mari, per un animale come

lui?” ricordò in quell’istante la sventurata ormai cianotica “Perché

lui è una delle bestie più scaltre ed esperte, navigato, fine

conoscitore dell’antica arte della persuasione! Dai sette mari

ha appreso saggezza e sapienza, ed è capace di usare in

modo privilegiato le parole, col suo piglio solitario e schivo

sa come raggirare la sua preda!” era sempre stata il ritornello

di coloro i quali al solo scorgere l’ombra dell’animale, già si

lanciava in urla disperate “Al lupo!” “Al lupo!” per richiamare

l’attenzione generale e indurlo alla fuga.

Ma la coccinella nel vedere avvicinarsi con tanta premura quel

ringhio, bevendo boccate d’acqua pur di trarla in salvo, avvertendo

nel suo cuore qualcosa di diverso, sentì per la prima

volta il suo istinto in subbuglio.

“Abbi fiducia in lui! Non ascoltare ciò che dicono gli altri

ma solo ciò che realmente ti detta il tuo cuore!” l’ammonì al

suo orecchio, la voce della bella Fortuna, venuta per consigliarla,

spirito di luce, col suo sguardo bendato, vestita di sincerità

e coraggio, splendida con le sue chiome adorne di sfavillanti

quadrifogli color dello smeraldo e l’Ancora d’oro ben stretta

sotto il braccio.

E la coccinella inspirando forte l’odore di lui, riconoscendolo

buono, convinta, saltò sul naso del lupo e tornò a riva sana e

salva.

“Grazie Nero … grazie per avermi salvato la vita!” gli sussurrò

lei, rossa in viso, prendendo fiato a tratti.

“Di nulla … per fortuna ero di passaggio in queste terre … e

ancor più per fortuna … tu non hai creduto a quelli che di tutto

il mio pelo bianco vedono solo la macchia nera che porto sul

muso, e in base a quella mi chiamano con disprezzo col nome di

Nero, quando questo nome mi era stato posto alla nascita come

vezzeggiativo!” grattò lui con una zampa il terreno “La prossima

volta stai più attenta!” le sorrise con fare benevolo.

E da quel giorno la coccinella trovò in quel lupo nero il suo

miglior compagno.

La parte di Andromaca

Nella Re Rebaudengo (Torino)

Angela Dabbene lottava da sempre con il suo cognome: più di

cinquant’anni passati a correggere tutti quelli che scrivevano

D’Abbene o Da Bene.

Anche quel mattino aveva tirato fuori dalla buca varie pubblicità,

quasi tutte con D’Abbene sull’etichetta. Era un periodo in

cui Da Bene non era granché in auge. Le sfogliò, le buttò nel

cestino, poi si mise davanti allo specchio: era un cesso. Non

era certo così che si immaginava una volta vecchia: una pazza

ridicola, e non sapeva neanche con chi prendersela. Chissà,

forse era ancora in tempo per rimediare, almeno un po’; ma le

sembrava uno sforzo troppo grande, e, a ben guardare, inutile.

Tutti i giochi erano fatti a quel punto della sua vita, e lei li aveva


persi tutti, insieme alle scommesse; tanto che essere pazza e

ridicola le sembrava il meno; a volte era perfino divertente. E

poi l’importante era non dare troppo l’idea dello sprofondo;

meglio quella della pazzia.

E basta, adesso. Ebbe un guizzo di amor proprio. Si pettinò con

più impegno del solito e mise anche il rossetto. Non lo faceva

più da tanto tempo: l’ultima foto in cui aveva il rossetto era

quella della Cresima di suo nipote, che adesso andava all’università.

Era bella, in quella fotografia, la zia Angela. Era anche

passabilmente felice, quasi innamorata. Aveva ancora un paio

di scommesse da vincere, la sera della foto, oltre al rossetto.

“Si passò un filo di colore sulle labbra, gli corse incontro, e lui

la vide bellissima.”

Nei fotoromanzi che leggeva da ragazza andava così.

Rise, e il rossetto le sbavò tra le pieghe naso-labiali. Sì, le rughe,

insomma: quelle che trasformano la bocca in un culo di

gallina. Secondo le riviste femminili vengono soprattutto a chi

fuma, per via del gesto meccanico di contrarre le labbra intorno

al filtro. Angela Dabbene non aveva mai fumato; forse le sue

erano dovute ai pompini.

Fatto sta che somigliava a Bette Davis in CHE FINE HA FAT-

TO BABY JANE?

Strusciò via quella pasta violacea dalla faccia e lasciò perdere.

Fra cinque anni sarà peggio, si disse.

Uscì con il suo borsone da strega (una strega brutta, alla Maga

Magò) e delle scarpacce che le ricordavano le barche sfondate

dietro alle quali, nell’estate dei dodici anni, andava a nascondersi

con quel ragazzo di Roma che non aveva rivisto mai più.

Sul viale Angela inciampò. Si tenne allo schienale di una panchina.

Un tipo neanche troppo orrendo le disse: non si faccia

male, sarebbe un peccato, lei è così bella. E le sorrise. Angela

sentì una piccola gioia in gola, poi concluse che doveva trattarsi

di un gigolò un po’ attempato che cercava vecchie

carampane disposte a farsi trombare a pagamento.

Valutò se prendere l’automobile: avrebbe fatto più in fretta, ma

l’idea di attraversare mezza città la scoraggiò.

No, niente automobile, meglio una passeggiata. Cercò un telefono

pubblico e avvisò la sua amica che sarebbe arrivata un

po’ in ritardo, poi si incamminò.

Sorrise alla sua scuola di bambina, quella con un angelo dipinto

su ogni pianerottolo. Mandava sempre un saluto a se stessa

piccola, quando passava lì davanti. Non si vedeva il giardino,

la recinzione era troppo alta, ma lei sapeva che proprio in quel

punto c’era l’albero con la panca di pietra che lo circondava

alla base, più in là la statua della Madonna e gli alberi dove

giocava ai quattro angoli durante la ricreazione; la scala della

palestra, il lungo corridoio che passava sotto la strada e dalle

cui finestrelle guardava le gambe dei passanti; l’ippocastano

che alle quattro del pomeriggio faceva l’ombra sulla lavagna,

coprendone giusto metà quando suonava la campanella della

fine.

Quel giorno però la recinzione era aperta, proprio dietro all’ippocastano:

stavano facendo dei lavori alla facciata. Entrò senza

che nessuno la notasse. Rivide i tre gradini di pietra dove si

sedeva a legarsi le stringhe prima di andare a fare ginnastica e

il piazzaletto un po’ discosto dove una volta aveva fatto a

pugni con una compagna, con le cartelle appoggiate a una

colonna a due passi dai paltò. Angela le aveva strappato la

foto del suo attore preferito, per puro dispetto; fatto sta che si

erano picchiate, buttate per terra, tenute strette, con le gonne

Estate 2009

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sollevate. Quella era stata l’unica occasione che avevano avuto

per toccarsi, per stringersi, per rimanere attaccate.

Pamela: quella che aveva fatto Andromaca nella recita della

scuola. Avrebbe voluto averla lei, quella parte, ma Pamela era

più bella e aveva i capelli più lunghi. Forse era anche più brava.

Chissà che fine aveva fatto, Pamela Noguera. Si erano perse di

vista, e alla cena di vent’anni dopo nessuno sapeva niente di

lei. Forse la sua famiglia a un certo punto era tornata in Spagna;

venivano da Orihuela, verso il Sud. Angela aveva cercato il

suo cognome sulla guida, per invitarla, ma non c’era più. Mancava

solo lei, a quell’agghiacciante cena dei ricordi.

Bevve il tè che restava nella tazza: pessimo. Detestava il tè, il

limone, il goccio di latte, insomma, quel gesto da vecchia di

prendere il tè con i dolcetti verso le cinque del pomeriggio. Da

ragazza le piacevano, i biscotti di pasta di mandorla con i canditi

in mezzo. Si preparava il tè con il latte e faceva merenda tutti

i pomeriggi. Ma da ragazza aveva un senso, alla sua età era

inutile e ridicolo.

Mentre la sua amica portava di là gli avanzi della merendina,

Angela si alzò e fece il giro della stanza, fingendosi interessata

all’inutile ciarpame che soffocava le pareti del salotto. Si soffermò

su un manifesto comprato in Spagna, uno di quei raccapriccianti

souvenir per turisti in cui il nome dell’acquirente viene

stampato vicino a quello di un torero più o meno famoso, il

tutto con lo sfondo originale del quotidiano del giorno. Si avvicinò

per guardare meglio quell’inutile ciapa-ciapa, e la faccia di

Pamela saltò fuori all’improvviso, bella e giovane, dal giornale

di tanti anni prima. Lesse le righe intorno alla foto, stampate in

piccolo rispetto all’exploit turistico dei cretini, e lo seppe così,

da vecchia, per caso: Pamela Noguera, incinta al sesto mese, si

era buttata giù dal terrazzo sulla scogliera; l’intervista al marito

e la foto della villa erano state tagliate via dal foglio.

Come Astianatte, pensò Angela.

Pamela era morta: Pamela con le treccine, la faccia sporca di

marmellata, le scarpine rosa e il cerchietto.

Pamela che faceva Andromaca.

E lei, Angela, sullo sfondo, con un bambolotto in braccio, a fare

la nutrice.

Decise di rincasare in autobus. Una ragazza le cedette il posto

e lei avrebbe voluto ucciderla: era vecchia davvero, senza scampo.

Invece le sorrise e viaggiò seduta, con lo sguardo fisso sulle

luci alle finestre, come quando, da bambina, giocava a immaginare

la vita degli sconosciuti là dietro. Passando davanti alla

sua scuola disse a bassa voce: ciao, Pamela. Ma la recinzione

era stata chiusa, non si vedeva più il giardino

Cercò la chiave del portone in fondo alla borsa, salì le scale a

piedi, entrò in casa e vide le pubblicità che spuntavano dal

cestino. Le prese in mano e le posò sulla scrivania, poi si sedette

e le lesse con attenzione.

Stavano per inaugurare un nuovo centro estetico a due isolati

da lì, con tanto di parrucchiere e studio del look. Un gradito

omaggio a chi si fosse presentato con il volantino. Ci andrò, si

disse Angela. Chiederò di studiare un taglio di capelli adatto a

me e anche un rossetto di una tinta decente. Ma sì.

Infilò il foglietto nella tasca laterale della borsa alla Magò e

cominciò a fare le prove davanti allo specchio.


Tra sogno e realtà

Santi Zagami

La casa di Roberto era attigua alla stazione ferroviaria e così fu

facile incontrarlo e stringere con lui una solida amicizia. Un

giorno in cui egli era in vena di confidenze, mi raccontò la sua

particolare vicenda sentimentale.

“Dopo vent’anni di matrimonio felice, Roberto era rimasto vedovo.

La sventura lo aveva prostrato profondamente ed egli si

era chiuso in se stesso, tanto da immalinconire sempre più.

Ma un giorno avvenne in lui un repentino cambiamento. L’imprevisto

aveva giocato un ruolo determinante per distoglierlo

dal grigiore di vita in cui si era deliberatamente lasciato scivolare.

Fu solo molto più tardi che egli mi raccontò la straordinaria

vicenda sentimentale riservatagli dal destino e che ora mi accingo

a descrivervi:

Roberto si era reso conto che doveva reagire, se voleva uscire

dall’opprimente cerchio di malinconia, che gli avvelenava l’esistenza.

Decise così, tanto per cominciare, di assistere ad una

rappresentazione della Bohème al teatro “Nuovo” di Torino.

Era una domenica di fine febbraio e Roberto giunse a teatro

con molto anticipo. Aveva prenotato una poltrona numerata.

Prese posto e, nell’attesa, si immerse, come al solito, nei suoi

pensieri, quando due signore molto eleganti occuparono le

due poltrone attigue alla sua, dal lato destro. Roberto posò lo

sguardo sulle nuove venute e un’esclamazione di stupore gli

sgorgò spontanea dalle labbra:

- Lucia!

- Roberto… Seri proprio tu?... Quasi non credo ai miei occhi…

- Sì, sono io e sono lieto di rivederti, dopo tanto tempo, più

bella e più in forma che mai!

- Anch’io sono felice di averti incontrato, soprattutto perché

non ti trovo molto cambiato da allora e, se sei cambiato un po’,

lo sei certamente in meglio. Questa è Susanna, la mia migliore

amica.

Lucia, dopo avergli presentato l’amica, iniziò con Roberto un’affettuosa

conversazione. Entrambi avevano gli sguardi accesi

dalla gioia. Di comune accordo e col permesso di Susanna,

decisero di portarsi nel ridotto per conversare meglio. Sarebbero

rientrati per il secondo atto.

Quando uscirono dalla sala, Lucia s’appoggiò dolcemente al

braccio di Roberto quanto più poté.

- Sei tutta scintillante di gioielli - disse Roberto.

- Vedi, ostento la mia ricchezza in gioielli e pellicce di grande

valore, ma a me sarebbe bastato possedere appena un semplice

cappottino qualunque, pur di esserti al fianco tutta la vita…

Fu allora che i ricordi del passato affiorarono nella mente di

entrambi con rinnovata commozione. Lucia e Roberto, un tempo,

erano stati fidanzati. Il loro era stato il primo amore ed era

cresciuto bello e delicato come un fiore. I loro sorrisi di giovani

innamorati costituivano la reciproca promessa di una vita serena

in comune armonia.

Lucia era allora una semplice impiegata e, poco per volta, aveva

innalzato troppo, nella sua mente, il piedestallo sul quale aveva

posto Roberto. Mille pensieri e mille scrupoli cominciarono a

torturare Lucia, che ormai non sorrideva più. Credeva di non

meritare il suo Roberto, s’incupì sempre maggiormente e si

chiuse in un mutismo, che stancò anche lui.

- Ricordi - rammentò Roberto - le nostre passeggiare in corso

Francia, nei pressi della “Tesoriera”?

Il Salotto degli Autori

- 42 -

- Certo. Ma ricordo soprattutto il momento del nostro distacco:

era una grigia giornata di autunno e un leggera nebbia sembrava

fosse calata dal cielo proprio per aggiungere una spruzzatina

di tristezza in più. Gli alberi erano quasi spogli e nell’aria c’era

un odore che sapeva di foglie morte. Solo a tratti quell’odore

era sopraffatto da quello ancor più acuto delle caldarroste. All’angolo

ci stringemmo la mano come due vecchi amici e Dio

solo sa come avrei voluto trattenerti ancora con me. Sperai che

tu tornassi, desideravo rivederti, ma l’attesa fu vana. Col trascorrere

del tempo, mi rassegnai.

Conobbi, poi, un ragazzo, che mi propose di frequentarci. Dapprima

rifiutai, ma, in seguito, anche se amavo sempre te, decisi

di accettare. Ci sposammo. Il nostro, però, fu un matrimonio di

accomodamento, non d’amore. Giulio si rivelò ben presto un

pessimo marito. Io avevo dovuto lasciare l’impiego per la nascita

di una bambina e il suo magro stipendio non era mai

sufficiente. Decisi di fare qualcosa e così cominciai a confezionare

vestitini per bambini. Ebbi successo. Allargai la mia attività

e assunsi parecchi dipendenti. Ora è Giulio che dirige il mio

laboratorio. Io mi prendo cura della casa. Tutto potrebbe andare

a gonfie vele se mio marito non si prendesse troppe libertà

che mi amareggiano l’esistenza.

Quest’incontro è per me semplicemente meraviglioso perché

tu rappresenti il momento più bello della mia vita. Ti ho pensato

tanto, sai. Nei cupi sconforti anelavo te come si anela il sole,

l’angolo di cielo azzurro in cui rifugiarsi o l’aria saluberrima che

ti purifica i polmoni, le idee, la vita.

- Ma io non merito tanto. Comunque ho avuto modo anch’io di

provare le mie pene: dopo una vita felice e serena accanto a

una donna meravigliosa, improvvisamente rimasi vedovo. Soffrii

molto, tanto da non trovare pace per parecchio tempo. Oggi

mi trovo qui, a teatro, proprio per cercare di reagire un po’ alla

mia calamità e il caso vuole che incontri te. Ho detto “il caso”,

ma forse avrei dovuto dire “una forza misteriosa”, perché proprio

l’altra notte ho fatto un sogno in cui c’era chiara l’allusione

a questo incontro. Ho infatti avuto la visione di due velieri in

navigazione su mare aperto e, nel sogno, uno di essi rappresentava

te e l’altro me. I due velieri si avvicinavano sino ad

incrociarsi.

La conversazione continuò ancora e, dopo quell’incontro,

Roberto e Lucia decisero di rivedersi. La loro vicenda sentimentale

tornava a rivivere con un fascino tutto nuovo. Entrambi

provavano reciproco conforto, trascorrendo qualche pomeriggio

insieme.

un giorno Lucia decise di fare un regalo a Roberto. Acquistò

un magnifico anello con brillante e, prima che glielo donasse,

Roberto fece, anche questa volta, un sogno. Egli ebbe la certezza

di dover ricevere qualche dono perché, nel sogno, Lucia

inviava a Roberto un valletto recante un ampio vassoio carico

di frutta. Sicché, quando il giorno successivo Lucia gli offerse

il magnifico regalo, egli, nell’ammirare lo splendore del gioiello,

ebbe la conferma che entrambi stavano vivendo uno straordinario

momento magico.

Roberto e Lucia si sentivano più innamorati che mai; ma Roberto

cominciò a pensare che quel loro amore così grande, così

tenero avrebbe potuto nuocere alla reputazione di Lucia e avrebbe

potuto far del male a Renata, la figlia di lei, ormai signorinetta.

Entrambi avevano avuto dalla vita una gioia insperata, avevano

assaporato momenti di commozione intensa, ma forse era

meglio fermarsi in tempo, per evitare che tutto potesse guastarsi.


Durante l’estate, Roberto aveva seguito Lucia a San Remo e

l’incanto della riviera ligure aveva aggiunto una nota ancor più

romantica alla loro felicità.

Ora che l’autunno era tornato e le prime foglie gialle cominciavano

a cadere dagli alberi, Roberto pensava con tristezza a un

nuovo malinconico addio, per il bene di Lucia.

Si incontrarono, ma prima che Roberto parlasse, Lucia disse: -

LE TRE VENEZIE,

IL FASCINO DI UNA STORIA

MILLENARIA

di Giuseppe Belli

(Monfalcone – GO)

Estate 2009

Per apprezzare ed amare come meritano le Tre Venezie

bisogna conoscere il susseguirsi degli eventi storici che,

dagli albori della civiltà italica in poi, hanno concorso a

formare la loro grandezza nei secoli.

Queste terre sono ricche come poche di una natura incredibilmente

generosa, dove il mare è stato per secoli

la principale fonte di potenza e splendore e le montagne,

uniche al mondo, si ergono maestose a voler proteggere

tanta bellezza. Lo splendore delle Tre Venezie però non

si esprime solo attraverso il mare, le montagne o i fiumi

di storica memoria, ma è testimoniato al mondo anche e

soprattutto dalle loro antiche città, custodi di inestimabili

tesori d’arte e cultura.

- 43 -

Ho discusso con mio marito sulla nostra situazione. Egli non

ha nulla in contrario a lasciarmi libera per chiedere successivamente

il divorzio. Ci vorrà del tempo, ma, alla fine, potremo

realizzare il nostro sogno di tanti anni fa.

Si commossero entrambi e si abbracciarono teneramente.

Quella notte Roberto sognò due aquile che, insieme, volavano

negli strati più alti del cielo, verso il sole.”

PER MARIA MADDALENA

di Leila GAMBARUTO (Chieri – TO)

Sei polvere, Maria, ma fosti amore,

mistica rosa d’ombra diffamata,

ti volle a fianco Cristo il Salvatore,

ma il tuo sesso gentil t’ha emarginata.

Apostola tra apostoli invidiosi

tu fosti pietra, cielo e conoscenza,

discepola e sorella, ma i gelosi

t’avvolsero di zolfo e maldicenza.

Fosti giovane e bella? Bianca o nera?

Nascesti tra tre donne differenti?

Non meretrice fosti, messaggera,

vittima di sleali tradimenti.

Eppur Gesù ti amò come persona,

ti trattò con rispetto ed attenzione,

donna di carne sì, fedele buona,

presente sulle scene di Passione.

Ma il Mondo ancor non riesce ad accettare

che un apostolo indossi velo e gonna,

come potevi farti perdonare

la colpa misteriosa d’esser donna?

FIORE DI DONNA di Silvia ROLANDO

ISBN: 978-88-6096-295-9 - €. 12,00 - KIMERIK EDIZIONI

Un viaggio toccante e delicato nell’eterogeneo universo femminile, un ritratto

a tinte forti che accarezza l’anima e spesso fa sanguinare il cuore.

L’odissea di alcune giovani donne, fragili ma determinate che si scontrano

quotidianamente nell’arena della vita e combattono tenacemente l’ignoranza

e l’ipocrisia per affermare la propria dignità contro i pregiudizi e le maldicenze.

Un elemento fa da trait d’union a tutte le storie narrate: il difficile tema

dell’emigrazione. Ogni racconto è un piccolo universo a sé: c’è chi ha trovato

ospitalità ed accoglienza in Italia ed è riuscita a rifarsi una vita dignitosa e

felice; chi, tra mille difficoltà, deve portare avanti una famiglia e dei figli

ostili, lavorando duramente e con umiltà; chi è costretta ad affrontare, ogni

giorno, i fantasmi del passato cercando di ricostruire il puzzle della propria

esistenza e chi, infine, stanca e prostrata nel corpo e nell’anima per le angherie

e le umiliazioni subite, medita di farla finita e di chiudere il conto col

proprio destino. Storie di donne composite e toccanti, delineate con estrema

abnegazione e viva partecipazione, uno sguardo commosso su una realtà così

vicina e pressante, ma nello stesso tempo, un monito severo a non abbandonarsi

allo sconforto, a non demordere, a guardare al futuro con speranza e

fiducia.


Il Salotto degli Autori

LE RECENSIONI DI...

FOSCA ANDRAGHETTI

DUE ZAMPE DI TROPPO – di Gabriele Astolfi –

Girali Editore 2007 – pag. 102 euro 10,00 –

Otto racconti deliziosi sono quelli che Gabriele Astolfi

propone in “Due zampe di troppo”. Otto racconti

dove i protagonisti “parlanti” sono i cani con le loro

vite spesso tribolate, le avventure, le situazioni inconsuete,

le loro proteste che, talvolta, assomigliano

molto a quelle degli uomini pur con una logica tutta

canina. Ma soprattutto ci sono i loro occhi adoranti,

l’affetto incondizionato per i loro padroni. Gabriele,

nel dare voce a questi animali, riesce a creare dei ritratti

che prendono vita con la prosecuzione del racconto

e, attraverso il parlare dei cani, tratta temi scottanti

come la vivisezione, il commercio orribile che

talvolta avviene, l’abbandono, i canili… Tutto con

una logica assolutamente canina che, in certi momenti,

assume toni di divertente ironia nei confronti

degli esseri umani.

Gli atti di denuncia, poi, sono sempre fatti con forza

pur nella leggerezza del dialogo tra i protagonisti di

queste storie. E’ così che vengono a galla le realtà

diverse nei canili, il problema della vivisezione messo

in luce da… cani poliziotti che hanno il linguaggio,

la scaltrezza e il coraggio di questi animali straordinari.

Non ha dimenticato niente l’autore di questo libro

che racconta con tono cortese ma determinato. Non

ha dimenticato nemmeno il cane che può aggredire,

che racconta al giudice la sua storia di animale usato

per i combattimenti per scommessa; un groviglio di

ricordi e di richiami ancestrali che si mescolano nella

sua mente.

Sono storie di amore e allegria (“ferie non godute” raccontate

con l’attenzione e la sensibilità verso questi

animali. Come nelle favole, contrappone il buono e il

cattivo, ne trae una indicazione, lucida e razionale,

che trasmette all’uomo tramite le voci fresche o rauche

dei protagonisti riuscendo, attraverso i ruoli e

gli ambienti dove essi sono vissuti, oppure vivono

ancora, a comunicare gli stati d’animo, le sofferenze,

i sentimenti di questi straordinari amici dell’uomo

che non hanno solo gli occhi adoranti verso i loro

padroni, ma per gli stessi si sacrificano se necessario.

I cani, quelli bestie che entrano negli ospedali, che

fanno compagnia a giovani e vecchi, che possono

essere compagni di giochi per grandi e piccini, che

sono compagni di poliziotti e tante altre cose ancora,

appaiono, di volta in volta, come esseri parlanti, capaci

di gioire, di soffrire, di aiutarsi reciprocamente

(Hansel e Gretel), di trasmettere la loro cultura ai propri

simili come la cagnetta Lia (Una questione di ceto),

di esprimere le proprie opinioni come meglio non

farebbero gli umani (Doctor Detroit).

- 44 -

La raccolta si chiude con Per sempre, una storia dolce

e commovente, scritta, attraverso le parole del protagonista,

con lucidità razionalità e affettuosa saggezza.

Storie, ambienti, “ritratti”, denunce fatte a volte con

sottile pacata ironia, un sottofondo di classe come

questa bellissima scrittura.

GUIDO BAVA

RICORDI DELLA MIA GUERRA D’AFRICA di

Libero Di Paolo - Ediz. Il Richiamo, Foggia 2008 -

euro 10,00

Una raccolta di ricordi tristi eppure, nello stesso

momento,di tempi eroici, di dovere, di obbedienza,

di Amor di Patria, Un libro inattuale per due generazioni

prive di questi valori, senza nulla in cui credere

se non ai propri diritti, al proprio tornaconto.

Cinque anni che hanno trasformato studenti in uomini

nel più crudo dei modi, fatti eroici che riportano

alla mente il nostro mondo giovanile di allora, il

nostro partecipare mentalmente ai fatti perché l’età

non consentiva altro, tra gli 11 ed i 14 anni si poteva

soltanto vivere i gloriosi fatti d’arme che altri vivevano

direttamente morendo o restando segnati per

sempre.

Crudo il racconto dell’ufficiale medico in prima linea

che mi riporta alla mente quello che caricò mio zio,

Capitano del Genio della Divisione Sforzesca, sull’ultimo

treno ospedale in partenza da Voroscilovgrad

ma che morì all’Ospedale Militare di Bologna dopo

l’amputazione tardiva della gamba ferita.

Si soffermino, i giovani d’oggi su questi racconti, su

questi resoconti e si domandino

se possiedono anch’essi valori tali da sacrificare la

vita e, soprattutto, se andrebbero a combattere o se

preferirebbero imboscarsi.

Bravo! Di Paolo, gli eroismi, i sacrifici, i Caduti, ebbero

valore per noi e crebbero uomini da una generazione

di ragazzi, grazie di cuore, Dottore, grazie.

MONTANTI RESURREZIONI, Poesie di Giovanni

Tavcar - MAGI Editore, Patti (ME) 2009 Euro 7,00

Nuova opera morale dell’amico Tavcar, nuovi spunti

di riflessione ispirati dai suoi concetti suggeriti con

tono garbato,come suo solito.

Questa volta, adottando versi liberi da

condizionamenti di forma,invita il lettore ad un approfondito

esame di se stesso per giungere al traguardo

delle “montanti resurrezioni”.

Riordinare i sentimenti “dipanare il semplice dal

complicato”,distingue-re i momenti sentimentali veri

dalle infatuazioni momentanee, la verità dall’illusione.

Ritrovare la cognizione di Dio persa nei meandri

della mediocrità e riuscire a riconsiderare il nostro


tempo come un’ombra che passa e se ne va, secondo

la concezione salomonica.

La conclusione si avvicina, l’ombra già si avvia verso

l’infinito, verso il Premio promesso, sempre più

libera dalla sua essenza terrena, verso Montanti

Resurrezioni.

CRISTINA CONTILLI

LA LIBERTÀ IN CAMMINO, silloge poetica di

Ernesto D’ACQUISTO, Edizioni Universum,

Trento, 2007

“La libertà in cammino” di Ernesto D’Acquisto è una

raccolta di poesie che affronta il tema della natura

come specchio dei ricordi personali. Luoghi e paesaggi

sono, infatti, descritti dall’autore non tanto per

se stessi, quanto per i sentimenti ed i ricordi, soprattutto

di tipo autobiografico, che suscitano nel poeta.

I due momenti della giornata, preferiti dall’autore,

sono l’alba ed in particolare il momento del risveglio

e la sera con lo scendere della notte. Si tratta di due

momenti che non sono soltanto frutto di scelte personali,

ma sono indubbiamente derivati da una lunga

traduzione letteraria che vede in queste due fasi

della giornata due momenti che si adattano bene alla

riflessione e al ricordo, a volte sereno, altre volte triste

e nostalgico del passato. Lo stile dell’autore è composto

da versi lunghi e da un linguaggio alto e ricercato,

come indica l’uso di termini quali negletta, scempio,

ammanta, tuguri, etc. In alcuni componimenti

l’autore adotta la forma classica del sonetto o comunque

anche quando sceglie di non dividere il testo in

strofe si avvale ugualmente della rima dando ai testi

un ritmo ed una musicalità di tipo classico.

GIOVANNI TAVCAR, “POESIE DELL’ANIMA”,

MACERATA, EDIZIONI SIMPLE, 2008

La raccolta L’eterna presenza. Poesie dell’anima dello scrittore

triestino Giovanni Tavcar è un libro morale,

perché tratta temi etici riguardanti il senso stesso

dell’esistenza e li affronta in una prospettiva di fede,

come indica l’epigrafe iniziale: “Questa, | più che

poesia, | vuole essere opera | di fede; | fede che, | in

quanto grazia | e speranza, | è nello stesso tempo |

anche poesia; | poesia dell’anima, | poesia dell’Assoluto.”

Coerentemente con questa scelta, l’autore costruisce

un percorso, che parte da un componimento, intitolato

“Uscita e ritorno”, in cui vengono tratteggiati i

temi della nascita e della morte e si conclude con un

componimento, intitolato “Pellegrino dell’assoluto”,

che descrive la vita dell’uomo come un “cammino

instancabile | verso la meta agognata.”

In quest’ultimo componimento Tavcar osserva, infatti,

che: “La coscienza e la fede | lo spingono a vivere

| la propria essenzialità | e il proprio cammino

| con piglio vigoroso e sicuro. | Lo muove e lo guida

| l’energia di Colui | che l’ha chiamato alla piena | e

completa fruizione | del suo io eterno.”

Estate 2009

- 45 -

I componimenti di Tavcar hanno una struttura sostanzialmente

piana e lineare nella suddivisione in

terzine, quartine ed ottave, anche se queste si può

dire che vengano reinterpretate in modo “moderno”,

senza l’uso della rima, ma con l’uso di versi che hanno

una lunghezza cadenzata e abbastanza regolare.

ALDO DI GIOIA

DEDICATA A… Poesia di Umberto Muller

E’ delicato, dolce, sottilmente innamorato della vita

eppur cinico spettatore nei confronti del lettore di

questo, “Dedicata a…”, a cui non rivelerà se non

nell’ultimo verso, l’arcano, come bandolo di una

matassa che lentamente si svolge per svelare l’interiorità

del suo animo gentile.

L’Autore è cinico e baro nei confronti degli uditori

di questa sua lirica e sorride dentro di sé nel

declamarla, quasi un sogghigno uno sberleffo mentre

condisce con sale e pepe i suoi versi “Tu, sempre

nel mio cuore / e tuttavia / di un’altra donna ora mi

scopro innamorato,” fa intuire agli ascoltatori quasi

un suo tradimento, consumato ad arte e come in una

partita a briscola, ci mette un carico pesante, colmo

di emotività: “Quando la vidi, nuda, sopra il letto, /

a me tendere le braccia, sorridente, / di quanti baci,

con quanta tenerezza / tutta l’avrei coperta.”

Ride dentro di sé Umberto senza lasciar trapelare

nulla, fino alla fine: “Ed il ridicolo non temo, / non il

giudizio della gente,” pregustando, in un moto d’orgoglio

mal celato, le espressioni attonite degli ascoltatori

o dei lettori, che prima o poi si troveranno di

fronte alla realtà, solo da lui conosciuta, di un

“uomo” “che (cammina) lungo i viali, con (colei) che

la (sua) mano tiene stretta / (che) gli sorride / e (gli)

sussurra “Nonno”.

Cresce, questo nonno che gonfia il petto d’orgoglio,

e il suo sorriso, ora non più ghigno beffardo, conquista

il suo volto per distenderne i lineamenti e accarezzare

dolcemente la sua nipotina, teneramente,

con uno sguardo fiero, che ha il sapore dell’amore.

Ha saputo sorprenderci piacevolmente Umberto con

questa sua lirica, come solo lui è capace di fare con le

sue opere sempre piccate e piccanti, che spaziano tra

i più disparati argomenti regalandoci attimi di intensità

emotiva di grande rilievo e spessore.

Con questo nostro appunto sul suo brano “Dedicata

a…”, ci auguriamo di non avere attivato la permalosità

che lo stesso Autore ci aveva a suo tempo

segnalato di possedere e se possibile, nel ricordare la

sua elefantiaca e proverbiale memoria, visto che quasi

sempre recita a memoria i suoi testi, vogliamo porgere

a lui e alla sua nipotina, di cui ignoriamo il nome,

un augurio sentito e fervido per una vita colma di

serenità.

SOGNO di Luciana Mellana

Negli occhi, la solitudine di un sogno, perché quando

si sogna si è sempre soli con sé stessi e si propone


questa visione immaginifica agli altri, per renderli

partecipi del proprio vissuto, per donare loro brandelli

della propria anima.

Si è improvvisamente destata da un sogno Luciana

Mellana e ha sentito il bisogno di trasferirlo sulla

carta, come momento emotivo da incasellare nell’angolo

della memoria dedicato ai ricordi, a quei ricordi

che non si vuole rivivere da soli.

E’ malinconico questo sogno, per “il silenzio / eco

del mio passato” e per “gli inverni, quel dolore”, tanto

da farlo rivivere attraverso un cancello stridente come

uccello morente.

Solo nel rivedere quel volto, “tra il rosa/rosso dei

gerani / e la gaza bianca e nera ammiccante / sul ramo

dei lillà”, il suo volto si distende e “l’animo (suo) s’allegra”.

Così come è determinata e forte nella vita, l’Autrice

diventa fragile di fronte ad un foglio bianco che sta

per accogliere le sue confessioni, i suoi sentimenti e le

sue emozioni.

“Cantano le cicale, / sirene di nenie antiche / nel gioco

dell’attesa”.

NADIA SUSSETTO

SPINE DI MIELE DI LEILA GAMBARUTO - UNA

RAFFINATA RACCOLTA DI POESIE -

Quello che recensiamo è una raccolta di poesie della

Casa Editrice Penna d’Autore dal titolo “Spine di

miele” (pagg. 37 euro 7) dell’autrice Leila Gambaruto

che, dopo aver partecipato con successo a concorsi e

manifestazioni, ha deciso di dare alle stampe alcune

delle sue liriche.

Il libro è molto curato nei minimi particolari, a partire

dalla copertina che riporta una bella rappresentazione

di Amore e Psiche, molto indicata per il soggetto

delle sue ispirazioni, in quanto è sempre l’amore

che si evince tra le pagine impreziosite da delicate

rilegature. Le spine dell’amore si fanno sentire ora

più acuminate, ora più dolci, ma lasciano il segno

nelle strofe a rima alternata che caratterizzano il

fraseggio della scrittrice. I fiori non mancano e neppure

le sfumature del tramonto che indora il cielo con i

colori d’un dipinto antico, le notti insonni, le lacrime versate,

i ricordi traditi ed i desideri inespressi, una luna

di carta di riso, i sogni che muoiono all’alba, in queste

trenta liriche che riescono a trovare un linguaggio

sempre morbido e carico di phatos per parlare d’amore,

ma anche della solitudine della figura del poeta

che vorrebbe sparire nei cieli stellati/ spiegando l’ali di carta

stampata/ ma, fosca l’ombra di sogni dannati,/ m’inchioda

al suolo tal foglia spezzata. Un libro da regalare e da

regalarsi per leggerlo e rileggerlo ancora. Richiedibile

sul sito www.pennadautore.it

TENERAMENTE, POESIE E DISEGNI di

Gianfranco Aurilio

Teneramente – Poesie e disegni della Casa Editrice

Orchicopio è una raccolta di una cinquantina di po-

Il Salotto degli Autori

- 46 -

esie arricchite da una serie molto delicati di ritratti di

personaggi che sono presenti nei versi del poeta

Gianfranco Aurilio che non canta solo l’amore, ma

scava nella sua interiorità per trovare delle risposte

ai molti quesiti esistenziali che ogni animo sensibile

si pone, quando si trova di fronte ad ingiustizie e

soprusi. Così troviamo la follia dell’olocausto, la tragica

decisione di abortire o no, il destino dei cani

regalati e poi abbandonati sul bordo della strada al

finir dell’estate, lo stupore dell’alternarsi delle stagioni

legati alle emozioni che suscitano in chi piange senza

lacrime e urla stando zitto. Versi in cui si evince l’amore

per la propria terra ricca di storia e tradizioni, si

sente possente il profumo del mare che sa consolare,

addolcire, domare l’animo tormentato dello scrittore.

Un fraseggiare dal verso libero e dal sapore

classicheggiante, forse un po’ abbandonato ma non

per questo pesante. Ogni lirica riporta anche nelle

strofe lo stile del sentimento che ora stilla a fatica,

ora erompe vivace ed impulsivo come una cascata di

parole. Uno spaccato di vita che riporta riflessioni

legate a particolari momenti che lo scrittore ha voluto

fermare con una data, come in un diario con il

quale apre il proprio cuore al lettore. Una raccolta

per fermarsi un attimo a riflettere sulle nostre scelte

di umani. Richiedibile direttamente all’autore 347-

1131927

PACIFICO TOPA

AL SONNO, poesia di Baldassarre Turco, Salotto

n.26, pag.37

L’assillo di chi non riesce a prender sonno è un dramma

che infierisce su tanti essere umani. Il solo pensiero,

di coricarsi col timore di doversi girare e rigirare

prima che il sonno arrivi, è un incubo che perseguita

tanta gente. “Mi rigo e mi rigiro/ nel letto stanco,

insonne/ e alquanto angustiato/ rinnovo il mio

lamento.” A questo punto Baldassarre Turco rivolge

al sonno un’invocazione: “Perché non vieni, o sonno/

ristoro del mio cuore/ riposo della mente/ quiete

dei miei pensieri?”.

Sovente si ha la speranza che un’invocazione simile

possa favorire l’arrivo del sonno, ma vista vana ogni

speranza, ci si rivolge alla preghiera: “Vieni, mio dolce

amico/ che sai annullare i mali/ e tutte le paure/ del

buio della notte.” Turco insiste nell’implorare l’arrivo

del sonno definendolo “divino dono/ di un’esistenza

sana/ e avvolgimi, ti prego/ tra le tue calde

braccia.”. E’ con questa appassionata invocazione che

l’insonne spera di poter convincere il sonno ad arrivare

al momento giusto.

L’insonnia è un guaio di cui molti si lamentano, c’è

anche chi ricorre alle cure del medico per ovviare

questo inconveniente.

DIFFIDENZE, poesia di Umberto Muller, Salotto

n. 26, pag. 57

Una composizione che vorrebbe smentire tutte le

lusinghe che la bella stagione estiva ostenta; una


composizione poetica satura di pessimismo.

“Diffido dell’estate/ che la frutta/ fa esplodere

si tinge/ riempie di nettare e dolcezza/

e subdola sospinge/ verso la corruzione.”.

E’ abbastanza ardita questa affermazione,

che addossa all’estate il vizio

della corruzione. Questa bella stagione,

che ostenta aria buona, sole dardeggiante,

arietta che fa frusciare le verdi foglie di

recente cresciute, questa stagione che l’autore

definisce “sorniona” che logora le

bellezze naturali per dare “all’innocente

autunno/ la colpa del degrado” che conseguentemente

arriverà. Muller arriva ad

affermare: “E de trionfo io diffido/ dello

splendore/ del successo, della gloria../ e

della giovinezza/ torbide anticamere/ di

quella decadenza che verrà.”. Per questo

autore che diffida dell’estate, addossandole

la colpa che nasconde molte illusioni,

facendo presagire la vecchiaia che giungerà

inesorabilmente, malgrado tutto, col

passare del tempo. Creazione quanto mai

satura di pessimismo e di tristi presagi,

che Umberto Muller definisce “diffidenza”.

NOSTALGIA E RICORDI, poesia di

Giuseppina Eletto, Salotto n. 26, pag. 37

Una nostalgica evocazione della città natale:

Trieste, ella ne ricorda gli aspetti più

appariscenti con tanta nostalgia. “Trieste,

da te sono lontana / ed ogni notte

sogno / il tocco della tua campana.” Il

suono tipico della campana di San Giusto

le è rimasto nel cuore “rimbomba forte

e chiaro” disperdendosi per l’ampio spazio

della città. Lei ricorda i particolari della

sua nascita “in una via corta e terrosa /

ma piena di bimbi.” quindi molto animata

e con molte speranze future. Le

mura sono cadenti, oggi valorizzate, perché

ritenute d’epoca, ornate di marmi

d’Istria, che sono quasi scomparsi per il

logorio del tempo. ricorda “i tramonti

rosso fuoco” quando il sole che sembra

volesse attardarsi prima di nascondersi

dietro le montagne. Ma questi sono soltanto

vaghi ricordi nostalgici, pensieri che

vengono a distanza di tanti anni; ebbene

questi ricordi sono dinanzi a me “come

se fossero realtà”. Ma c’è rammarico perché

posso soltanto ricordarli con la memoria

emozionandomi e rimpiangendoli

con nostalgia. Una composizione basata

soprattutto sul ricordo ed il rimpianto

della città natia!

Estate 2009

MORSI DI LUCE di Giacomo Giannone

La poetica erotica di Giacomo Giannone contenuta nella raccolta

titolata Morsi di luce, è un condensato di sensualità e di

slanci amorosi. Si tratta di esternazioni passionali, vissute

intensamente ed esaltanti attimi d’amore. La descrizione dettagliata

del corpo femminile, di momenti topici di sesso, costituiscono

il nucleo principale di questa raccolta, non limitandosi

a pure e semplici allusioni, ma scendendo nel dettaglio

di momenti euforici di scambio affettivo. Per chiarire

meglio il mio punto di vista riporto i versi della composizione

Sul letto i giochi: Si sfila la camicia / la tuo braccio / il petto è nudo

/ il seno pungente. È la dettagliata descrizione di uno spogliarello

provocante. Questi versi dicono chiaramente il vero senso

della composizione, redatta allo scopo di rivivere momenti

esaltanti di una unione passionale.

La lettura di questi versi sono da stimolo ad un abbandono

sessuale che Giannone rivive nella sua memoria. Più oltre

dice: E noi si stava abbracciati / con gli occhi socchiusi / Le mani a

cercare carezze / Le labbra a chiedere baci / noi soli e tanto calore / noi

soli sul letto di piume. Sono versi che stimala il sesso e risvegliano

vecchie passioni anche in chi è avanti negli anni. A conclusione

di queste brevi note vorrei riportare quello che mi è

sembrato un motivo dominante: Folle la frenesia / ci avvolgeva

/ caldo il tuo ventre / mi accoglieva / si stava ansanti / Come in delirio.

Che dire di più?

SELENE?... CASSANDRA?

di Vittorio CATTANEO (Borgaro – TO)

Stasera, guardando la luna crescente, mi ha

Turbato l’espressione di quella “faccia sghemba,

Pallida e triste come candida maschera gessosa di

Personaggio d’antica tragedia greca, carico di mistero.

Le scure orbite vuote, il profilo camuso del naso

E l’amara piega dell’afona bocca, nulla svelano –

Ahimé – del criptico dramma che neppure è dato

Capire se trascorso, in atto o incombente.

Un prolungato osservare, fantasiosamente m’induce

A credere che qualcosa – forse una lacrima? – scivoli

Lenta verso la bazza, semi-nascosta da un cirro

Solitario in foggia curiosa (come sinistro velame

D’invisibile Pizia) poggiante su spalle inesistenti;

Quasi a creare l’inquietante miraggio di un

Oracolo astrale, che tenti invano lanciare nel

Vuoto cosmico un monito precluso all’udito e che

Solamente vigili sguardi, supportati da menti acute

Riuscirebbero a captare e, forse, comprendere…

Ma quaggiù, la platea – sempre più attratta dal

Suadente, ostinato canto di tecnologiche, mistificanti

Sirene, invischiata nell’infida tela di intriganti messaggi

Multimediali – ha già volto altrove occhi,

Orecchi, anima e mente.

- 47 -


Il Premio Internazionale Città di Pomigliano d’Arco

giunto alla X edizione, grazie all’impegno, alla costanza,

ed ai sacrifici di Tina Piccolo e di quanti con lei collaborano,

ha decretato i vincitori delle sei sezioni di cui si

compone. Le giurie tecniche sono formate da eminenti

giornalisti, presidenti di associazioni culturali, artisti,

critici d’arte ben noti, da personalità della didattica e

del mondo culturale. Per la sezione poesia in lingua edita

ed inedita il Premio della critica è stato assegnato a Federico

Tarallo, il Premio della Presidenza ad Antonio

Rossi, terzo classificato, Maurizio D’Armi, secondo classificato,

Salvatore Lavorgna, primo classificato Francesco

Cece. Per la sezione Poesia in Vernacolo il Premio

della critica è stato assegnato a Mario Del Noce,il Premio

della Presidenza a Nino Cesarano, terzo classificato

Vitantonio Boccia, secondo classificato Bruno Iaccarino,

primo classificato, Giuseppe Albano. Per la sezione

silloge/libri: Premio della Critica a Vincenzo Russo, Premio

della Presidenza a Biagio Gentile, terzo classificato,

Maria Rosa Gelli, secondo classificato Giorgio Corvi,

primo classificato Rosa Spera. Per la sezione narrativa

e saggistica : Premio della critica a Bruno Iaccarino,

Premio della Presidenza a Francesca Pagano, terzo classificato

Antonio Ciccarelli, secondo classificato Vittorio

Saltarelli, primo classificato Vittorio Casali. Per la sezione

Pittura e Arti Visive : il premio della critica è stato

assegnato ad Umberto Gobbato, il Premio della Presidenza

a Rita Rossi , terzo classificato, Giulio Carandente

, secondo classificato M.Assunta De Frassine,primo classificato

Daniela Cannia . Per la sezione Foto: il Premio

della critica a Mariangela Cioria , il Premio della Presidenza

a Marisa Nussio, terzo classificato Vincenzo Maio,

secondo classificato, Lorella Diamantini, primo classificato,

Maria Gaetana Cece. Encomi solenni per la poesia

Emilia Primicile, Domenico Meo,Pietro Catalano,Teresa

Baldrati, Amelia Valentini Ferdinando Cirillo, Giuseppe

Ferraro, Giuseppina Giudice, Rosalia Colella ,Michele

La Montagna, Salvatore Gualtieri, Nicola Casaburo,

Cosimo Clemente, Anna Mancini , Fiorella Silvestri, Maria

Mazza. Per la sezione silloge : Salvatore Giuseppe,

Annabella Mele, Pina Magro, Elena Caracciolo, Giancarlo

Bugarin, Rosa Muscarà, Egidio Perna, Lucrezia Di Giorgio,

Concetta Onesti, Vitantonio Boccia, Salvatore

Lagravanese.Per la sezione poesia vernacolo/silloge :

Saverio Gatto, Armando Fusaro,Dora Della

Corte,Gennaro Schiavone,Giosuè Mangia alla Mem. ,Alberto

Di Buono,Giuseppe Dionisio,Vincenzo Cerasuolo,

Aldo Esposito,Romano Rizzo,Giovanni Taufer. Encomi

solenni per la narrativa : Donato Mauriello, Maria Donata

Ciceri, Vittorio Raimondo, Rosita Ponti, Grazia Maria

Tordi, Guido Bava, Katia Brentani,Vincenzo Russo,Renzo

Piccoli,M.F. Cherubini,Angelo Maria Tardio,Tiziana

Valentini,Lenio Vallati,Anna Mancini,Bruno De

Vito,Maria Russo,Mirella Putortì. Encomi solenni per la

Il Salotto degli Autori

X X Edizione Edizione PREMIO PREMIO PREMIO INTERNAZIONALE INTERNAZIONALE Città Città di di Pomigliano Pomigliano 2008

2008

Dedicata alla commemorazione del Magg. e Commendatore Raffaele Piccolo.

- 48 -

Sezione Pittura /Arti : Paolo Fabbri,,Rose Godebert, Anita

Scola, Francesco Granata, Tonino Antici, Samanta Milanese,

Lucia Capasso,Giorgio Iacobellis,Maria

Molino,Pino Lucchese,Maria Ventura,Alfonso Sibillo.

Encomi solenni per la Sezione Fotografia : Italo Ranalletta

e Patrizio Fegatilli. Premio speciale per l’arte e la cultura

a Nico Valerio e Domenico Belpedio, M° Ernesto

Guarino e Nicola Toscano. Per il giornalismo : Antonio

Sasso Direttore del “Roma”,Armida Parisi Capo Red.

“Roma”, Pietro Gargano capo red. Il “Mattino”, Pasquale

Sansone dir. “Tablo’”,Enrico Fontanarosa per

“Cosmoggi”, Italo Sgherzi Dir.”Cosmoggi”, Cosmo

Sallustio Salvemini Dir. “L’Attualità”, Giovanni Moschella

Il Ponte”. La direzione artistica è di Mimmo Cannone.

Momenti di musica e di spettacolo con “I lazzari e briganti”,

M° Carlo De Luca con la banda musicale,

Antonello Rondi, Peppino Di Capri, Giacomo Rizzo,

Ilenia Borrelli “Danza Orientale”, Sonia De Francesco,

Chiara Di Mauro , Anna Caterino,il Trio Ardone –Peluso-

Massa, Luca Allocca, Piero Giulivo, Rossella Rossellà.

Per la televisione saranno premiati dott. Rosario Carello

“Rai”, Annamaria Piacentini “Canale 21”, dott.

Tagliamonte “Tele Akery”. Presentano Lino Sacchi e

Pina Fatigati, Genny D’Andrea e Maria Rea, con interventi

di Ralph Stringile e Gianni Ianuale. Coordinerà la

stessa poetessa Tina piccolo, nominata “ Ambasciatrice

della poesia italiana nel mondo dalle più prestigiose accademie,

ospite d’onore in innumerevoli manifestazioni

artistiche, didattiche, sociali.- Collaboratrice dinamica

del Premio è stata la poetessa Carmen Percontra con un

prestigioso comitato organizzativo.

Giovanni Moschella

COGITO ERGO SUM

di Giuseppe TONA (Milena -CL-)

Per nottate in edizione tonale

il racconto narra ogni decente

nomignolo del quaderno fluente

onnisciente e telaggio agevole

Tintinnante poesia maneggevole

ogni qual volta scerna dicente

ninnananna del duale scernente

attimo del “carpe diem” godibile

Olezzante a composizione lieve

svolteggiante sinfonia leziosa

progettante deliziose sue pose

Istauranti posatezze ove scuse

trastullino esposizione attesa

effigiante saggio lì o altrove

Metro: sonetto. Schema: ABBA ABBA CDE

EDC - Pensiero portante: Pino Tona ospite.


Estate 2009

PREMI PREMI LETTERARI

LLETTERARI ETTERARI

Sui siti Internet dell’associazione è disponibile un servizio gratuito di inserimento automatico dei bandi.

Il concorso letterario è un’iniziativa no profit inserita

nella manifestazione ARTQUAKE - L’onda d’arte attiva

il cuore - organizzata da: ARTEMOOD Comunicazione

e Ass. Cult. CARTA e PENNA al fine di apportare un

concreto aiuto alle aree terremotate dell’Abruzzo.

Le quote inviate saranno interamente destinate a un’iniziativa

di ricostruzione.

La partecipazione al concorso è aperta a tutti gli autori

che desiderano, in questo modo, sostenere con la propria

arte la raccolta fondi indetta da SPECCHIO dei

TEMPI de LA STAMPA, quotidiano di Torino.

Sono previste due sezioni:

A) POESIA A TEMA LIBERO

B) POESIA SUL DISASTRO ACCADUTO IN ABRUZZO

Le quote di partecipazione sono le seguenti:

15,00 €. per entrambe le sezioni per autori dai 18 anni

in su;

5,00 €. per autori sino a 18 anni;

nel caso di partecipazioni collettive di minori (classi, gruppi

di amici ecc.) si è stabilita la quota di 1,00 •. per ogni

partecipante; per i minori è necessaria l’autorizzazione

dei genitori oppure quella dell’insegnante.

Per tutti gli autori delle zone terremotate non è prevista

alcuna quota e comporranno una graduatoria speciale.

Tutte le opere presentate non devono mai essere state

premiate. Gli scrittori di lingua straniera dovranno allegare

la traduzione italiana del testo. Ogni autore dovrà

inviare all’associazione CARTA E PENNA - Via Susa

37 - 10138 Torino:

- quattro copie di ogni elaborato. Una copia deve contenere

le complete generalità dell’autore, l’indicazione a

quale sezione si intende partecipare ed essere firmata.

Per partecipazioni collettive sono necessari i dati di un

referente maggiorenne.

- ricevuta del versamento della quota da effettuare su:

conto corrente postale numero 7104 intestato a: La

Stampa - Specchio dei tempi - via Marenco, 32 -

10126 Torino

oppure

bonifico bancario su c/cc/c 100000120118 - INTESA

ONDE ONDE D’ARTE D’ARTE IN IN VERSI VERSI

VERSI

PER PER L’ABRUZZO

L’ABRUZZO

L’ABRUZZO

Concorso Concorso Concorso di di poesia poesia a a favore favore delle

delle

popolazioni popolazioni abruzzesi, abruzzesi, colpite colpite dal dal terremoto

terremoto

terremoto

Col Col Col Col Col patrocinio patrocinio patrocinio patrocinio patrocinio della della della della della Città Città Città Città Città di di di di di Torino Torino Torino Torino Torino

- 49 -

SAN PAOLO S.P.A. - Sede di Torino - p.zza - S.Carlo

156, Torino - CODICE IBAN: IT10 V030 6901 0001

0000 0120 118 intestato a: La Stampa - Specchio dei

tempi - via Marenco, 32 - 10126 Torino

- file contenente l’opera presentata (anche tramite posta

elettronica a cartaepenna@cartaepenna.it);

- breve curriculum.

Il termine per la presentazione degli elaborati è fissato

per il 15 settembre 2009 e farà fede il timbro postale.

Gli autori conservano la piena proprietà delle opere e

concedono agli organizzatori del concorso il diritto di

pubblicarle senza richiedere alcun compenso.

PREMI

Per gli autori maggiorenni:

Primo Premio: trofeo personalizzato realizzato da uno

degli artisti partecipanti all’iniziativa ARTQUAKE - L’onda

d’arte attiva il cuore - e diploma d’onore

Secondo Premio: pubblicazione di un libro di 56

pagine con omaggio di 90 copie all’autore, targa e diploma

d’onore. Il libro sarà pubblicato con Carta e Penna

Editore, munito del codice ISBN.

Terzo Premio: medaglia, diploma d’onore e abbonamento

a una rivista.

Menzioni d’onore: abbonamento a rivista., medaglia

ricordo e diploma.

Segnalazione di merito: abbonamento a rivista, medaglia

ricordo e diploma.

I menzionati e segnalati avranno anche una pagina web

personale al sito www.cartaepenna.it per un anno.

Per gli autori minorenni i premi saranno commisurati

all’età ed al numero dei partecipanti.

Tutte le informazioni sull’andamento del concorso saranno

diffuse a mezzo stampa, sui siti www.cartaepenna.it

e www.artemood.com.

L’autore, partecipando al concorso, autorizza il trattamento

dei propri dati personali alla legge sulla privacy

vigente.

Per ogni altra informazione: informazioni@cartaepenna.it

- Tel.: 011.434.68.13


Il premio si articola in due sezioni:

1) NARRATIVA: un racconto, max. 5 cartelle.

(Le cartelle s’intendono composte da 60

battute per 30 righe per un max. di 1800

battute). Quota di partecipazione 10 euro.

2) POESIA : un massimo di due poesie, composte

da non più di 60 versi ciascuna, titolo

compreso. Quota di partecipazione 10 euro.

Gli scrittori di lingua straniera dovranno allegare

la traduzione italiana del testo.

Ogni autore dovrà inviare all’associazione

CARTA E PENNA - Via Susa 37 - 10138

Torino:

-tre copie di ogni elaborato. Una copia deve

contenere le complete generalità dell’autore,

l’indicazione a quale sezione si intende partecipare

ed essere firmata;

-bollettino del versamento della quota da effettuare

sul c.c. postale n. 43279447(IBAN:

IT27 N076 0101 0000 0004 3279 447)

intestato a Carta e Penna. La somma può essere

allegata in contanti o con assegno non

trasferibile intestato a Carta e Penna;

-breve curriculum.

Il termine per la presentazione degli elaborati

è fissato per il 31 dicembre 2009 e

farà fede il timbro postale.

Il Salotto degli Autori

L’ Associazione Culturale CARTA E PENNA

indice la seconda edizione del Concorso Letterario Internazionale

Profumo

d’antan

- 50 -

Il l tema tema del del premio

premio

è è incentrato incentrato su su un

un

caleidoscopio caleidoscopio d’immagini,

d’immagini,

sensazioni ensazioni e

e

sogni sogni di di un un tempo,

tempo,

più più o o meno meno lontano,

lontano,

che che si si è è amato...

amato...

Gli autori conservano la piena proprietà delle

opere e concedono all’Associazione Carta e

Penna il diritto di pubblicarle senza richiedere

alcun compenso.

I premi dovranno essere ritirati dagli autori

o da delegati, pena la decadenza della vincita

stessa. La data di premiazione sarà tempestivamente

comunicata ai vincitori ed a tutti i

partecipanti.

L’autore, partecipando al concorso, autorizza

il trattamento dei propri dati personali in

conformità alla legge sulla privacy vigente.

Per ogni altra informazione:

www.cartaepenna.it

cartaepenna@cartaepenna.it

- Tel.: 011.434.68.13 -

PREMI:

1° premio: pubblicazione libro di 56 pagine,

con omaggio di 100 copie, targa e diploma;

2° premio: associazione a Carta e Penna in qualità

di socio benemerito, targa e diploma;

3° premio: associazione a Carta e Penna in qualità

di socio autore, targa e diploma.

Saranno assegnate anche cinque Menzioni

d’onore e cinque Segnalazioni di merito.


Estate 2009

GRADUATORIA DEL CONCORSO DEGLI ASSI

La giuria esaminatrice delle opere presentate al Concorso degli Assi, presieduta dal dr. S. Saracino – presidente

di Carta e Penna - e composta da: dott. Stefania Groppo – insegnante, dott. Silvia Ramasso – editore, dott.

Albertina Soldani – informatica e dott. Mario Parodi – insegnante, ha stilato la seguente graduatoria

SEZIONE NARRATIVA

1° classificato: Emanuela Massaglia col racconto

Timmy;

2° classificato: Giuseppe Perciabosco coi Racconti della

mente;

3° classificato: Angelo Gallea con Il segreto di Saad;

Menzioni d’onore a: Rita Fantinato per il racconto

Caverna; Daniela Antonello per Gina; Nella Re

Rebaudengo per La ghirlanda; Alba Coglitore per Il

canto del mare; Silvano Fecchio per 1901 Solo cinque

giorni;

Segnalazioni di merito a: Fabio Biasio per il racconto

L’editore delle guide d’or; Giovanni Panci per La rimpatriata;

Bruno Bianco per L’ultima misura; Angela

Rizzo per Lettera d’amore; Mauro Ursino per Il congedo

del viaggiatore

- 51 -

SEZIONE POESIA

1° classificato: Pasquale Balestriere con la poesia Tramonto

a Paestum;

2° classificato: Rodolfo Vettorello con la poesia L’attesa;

3° classificato: Maria Cristina Di Dio con la poesia

Canto andaluso;

Menzioni d’onore: Franco Casadei con la poesia Bruno

e Rosalba; Valerio Cascini con Dilemma; Paolo

Sangiovanni con Ti dirò di mio padre questa sera; Roberto

Gennaro con Il mio paese a San Lorenzo (Levanto);

Riccardo Fedeli con la poesia Voglio un figlio handicappato;

Segnalazioni di merito: Benito Galilea con La luna

dello scoglio; Anna Maria Marsegaglia con Anche stanotte

il vento; Giacomo Manzoni di Chiosca con La vela;

Francesca Migliani con E si torna a cantare (1945);

Francesco Menghini con Poesia etrusca oggi.

Premi del Presidente alle Giovani Penne assegnati a Cecilia Ricci, Silvia Samoggia e Giorgio Bellanca.

TESTATE CHE COLLABORANO CON

CARTA E PENNA E IL SALOTTO DEGLI AUTORI

Per l’inserimento contattare la redazione - Si richiede e si offre la disponibilità all’inserimento di estratti

dei bandi di concorso e/o iniziative culturali intraprese -

Testata Indirizzo Responsabile

Dibattito Democratico Piazza San Francesco, 60 - 51100 Pistoia Enzo Cabella

Gli Artisti del giorno Via San Pietro, 8 - 12012 Boves (CN) Carlo Di Benedetto

Il Convivio V. Pietramarina-Verzella 66

95012 Castiglione di Sicilia

Enza Conti

Il Mulino letterario Hofstrasse,10 77787 Nordrach (Germania) Antonio Pesciaioli

Le Nuvole Via Enea, 47 - 80124 Napoli Maria Pia De Martino

Le Voci C.P. 124 - 80038 Pomigliano d’Arco (NA) Claudio Perillo

Noialtri Via C. Colombo, 11/a – 98040 – Pellegrino (ME) Andrea Trimarchi

Poeti nella Società Via Parrillo, 7 - 80146 Napoli Pasquale Francischetti

Presenza Via Palma, 59 - 80040 Striano (NA) Luigi Pumbo

LITERARY Casella postale, 750 – 35122 Padova Giampietro Tonon

Silarus Via B. Buozzi, 47 - 84091 Battipaglia (SA) Pietro Rocco

Verso il futuro Casella Postale 80 - 83100 Avellino Nunzio Menna


Il Salotto degli Autori

GRADUATORIA DEL CONCORSO LETTERARIO CITTÀ DI SAN GILLIO

Quarta edizione

Sezione Narrativa Ragazzi:

1° classificato ex aequo: Classe IV C del 2° Circolo di

Venaria – Ins. Stefania Groppo – col racconto Una

marachella dalla lungaaaa… coda;

1° classificato ex aequo: Miriam Brignolo (Alpignano –

TO) col racconto Il mito del sole e della luna.

Sezione Poesia Ragazzi:

1° classificato: Giulia Vannucchi (Viareggio) con la poesia

Non versi;

2° classificato: Giacomo Dall’Ava (Santa Lucia Di Piave

- TV) con la poesia Delirio casereccio;

3° classificato: Marta Lovisari (Cafasse – TO) con la

poesia Poesia;

Menzione d’onore: Miriam Brignolo (Alpignano – TO)

per la poesia L’arcobaleno; Valeria Brignolo (Riva Ligure

– IM) La stupenda primavera; Miriam De Michele (Portici

– NA) Mi manchi cuore; Alice Cassinelli (Moncalieri –

TO) con L’Amore.

Sezione Narrativa:

1° classificato: Marinella Barbero (La Loggia – TO) col

racconto Osvalda;

2° classificato: Laura Giorgi (Grosseto) col racconto Il

tango della miniera;

3° classificato: Patrizia Scandroglio (Cairate – VA) col

racconto Un amore sbagliato;

Premio speciale della giuria: Alessandro Corsi

(Livorno)col racconto Ai margini del mondo;

Menzione d’onore: Francesco Sardi (Rivoli) per il racconto

Il mare di Courmayeur; Alessandro Cuppini

(Bergamo) per La barzelletta di Mansour; Gloria Esposito

- 52 -

(Milano) e Gilberto Germani (Solaro – MI) per Il mercante

La Porta; Giancarlo Barisone (Acqui Terme – AL) per

Qualcosa, qualcuno; Luca Zara (Givoletto – TO) per La

cripta dei cappuccini.

Segnalazione di merito: Laura Rossi (Mortara - PV) per

il racconto Il coraggio di Alessandra; Guido Ottolenghi

(Torino) Una sera a teatro; Maria Camilla Bellinato

(Loreggia – PD) per Il giardino dei ricordi; Nella Re

Rebaudengo (Torino) per Lei era più romantica; Alessio

Angelico (Palazzolo Acreide – SR) per Dannate caramelle!

Sezione Poesia:

1° classificato: Umberto Müller (Torino) con la poesia Il

colore della rabbia;

2° classificato: Giovanna Francese (Torino) con la poesia

Pace;

3° classificato: Fulvia Marconi (Ancona) con la poesia

Nostalgia;

Menzioni d’onore: Magli Simone (Pistoia) con C’era una

volta; Luigi Di Legge (Rozzano) con Note mute; Giuseppe

Bellisario (Roma) con Voglio svelare il tuo corpo; Claudio

Beccalossi (Verona) Un ieri italiano; Claudio

Debernardi (Druento - TO) con A te;

Segnalazioni di merito: Ernestina Poiega (Negrar – VR)

con Di carta corre sul ruscello; Chantal Mazzacco (Tricesimo

– UD) con Immortali; Maria Francesca Giovelli (Caorso

– PC) con Come quando pioveva; Paolo Sangiovanni

(Roma) con Voglia di cantare; Fenice Rita Francalanci

Tognetti (Empoli – FI) con Infinito sconosciuto.

CONCORSO “SCRIVIMI …” - MEMORIAL CATELLO MARI - II EDIZIONE -

Nel ringraziare tutti coloro i quali hanno fatto parte di questo Concorso, rendendolo possibile, facendolo diventare

ancora più grande, più ricco e più bello, rivolgendo un pensiero particolare a tutti i partecipanti, i votanti, l’Associazione

Culturale Carta e Penna, l’Associazione Club Tamlatoy, e la Giuria che ha affiancato gli offerenti il premio con

diligenza, imparzialità, sentimento e tanta passione nelle persone di: Giuseppe Ino, Teresiana Nocera, Mirjam

Spiezia, Flaviano Calenda, Fabio Di Pino e Antonio Iaccarino, i vincitori della Seconda Edizione del Concorso

“Scrivimi …” titolato alla memoria di Catello Mari sono i seguenti :

I POSTO: Aurelia Scialpi (Matera) con la poesia Un giorno

II POSTO Patrizia Scandroglio (Cairate -Va) con la lirica La vita in un tombino

III POSTO Federica Simone con Libertà nell’assenza (Santa Maria della Mole - RM)

MENZIONE SPECIALE Clara Moreale (Siracusa) con l’opera Tredici/dodici

CONCORSO AMATORIALE "SCRIVIMI ... UNA POESIA" MEMORIAL CATELLO MARI

Miriam De Michele, nata a Salerno il 20 febbraio 1996, residente in Portici (NA)


Anche questÕ anno

lÕ Associazione Culturale

Carta e Penna, oltre

a presentare i suoi Autori,

ha confermato la sua

sensibilitˆ e il suo impegno

in ambito sociale, aderendo

allÕ iniziativa ArtQuake

per lÕ Abruzzo.

Donatella Garitta e Stefano Veronesi

(Conferenza Stampa - Salone Internazionale

del Libro Torino 2009)

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