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2009 - Gustolocale

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Ciò avviene anche in cucina, con un rito che non lascia<br />

deroghe: con l’arrivo della primavera, i campi,<br />

le “masiere”, i fossi divengono terreno di ricerca per<br />

quelle erbe spontanee che donano il sapore del risveglio<br />

della natura e del ritorno alla cucina semplice.<br />

C’è in effetti una specie di “orologio biologico” che ci<br />

porta a sentire il bisogno di avere, all’inizio della primavera,<br />

una cucina che è valida alternativa ai sapori<br />

pieni dell’inverno. Abbiamo bisogno di freschezza, di<br />

semplicità, di gusti consolidati. Le erbe spontanee<br />

sono sono testimonianza del ricordo, cucina cucina della<br />

memoria, da tutti conosciuta, che che rimanda rimanda a<br />

tempi lontani, alla nostra storia, a piaceri mai<br />

dimenticati.<br />

Dai pissacàn ai bruscandoli, dalle ortighe alle<br />

sparasèle, dai tanoni agli invernali rampusoli,<br />

dalle rosole ai crencani, dalle galinele ai carleti<br />

è tutto un risveglio della natura. Come in<br />

autunno i boschi sono setacciati setacciati dai boscaioli,<br />

così in primavera è tutto un raccattare erbe e butti.<br />

In realtà i vegetali mangerecci mangerecci d’inizio d’inizio primavera sono<br />

molti, ma quelli noti e selezionati nel tempo dalla tradizione<br />

locale sono poco meno di venti.<br />

E non guarderemo solo per terra: tra poco guarderemo<br />

anche sulle piante e se troveremo fi ori d’acacia,<br />

glicini o sambuco li utilizzeremo in cucina, fritti ed addolciti<br />

dallo zucchero. Avremo anche fatto frittelle con<br />

l’erba maresina o avremo messo la ruta nella grappa<br />

per darle nuovo sapore.<br />

Così una terra benigna ci permette di aver erbe spontanee<br />

che hanno, oltre alle rinomate virtù terapeutiche,<br />

anche virtù alimentari.<br />

Diffi cile trovare gli inventori di questa cucina. Si possono<br />

però fare alcune considerazioni che aiutano a<br />

conoscere il percorso delle erbe spontanee in cucina.<br />

Sappiamo, per certo, che i Longobardi, nelle loro invasioni<br />

che avevano la caratteristica di migrazioni, in<br />

quanto venivano in Italia con le famiglie al seguito, accrebbero,<br />

presso di noi, la conoscenza dei funghi e<br />

delle erbe spontanee. Tutto derivava dalla necessità<br />

di trovare nutrimento per queste popolazioni che mi-<br />

gravano: il prato, il bosco, la<br />

macchia, erano altrettanti tesori<br />

che davano alimenti. Ed<br />

è anche vero che popolazioni<br />

che si sono stabilizzate da noi, come gli insediamenti<br />

Cimbri sull’Altipiano d’Asiago, sui monti della Lessinia<br />

e nelle foreste del Cansilio hanno portato usanze<br />

e loro peculiari consuetudini, anche nella ricerca del<br />

buono in cucina, con l’uso d’erbe spontanee.<br />

La cucina delle erbe costituisce, in defi nitiva, una valida<br />

alternativa ai sapori di sempre, ha la freschezza<br />

della immediatezza, della riscoperta della semplicità<br />

che, spesso, è lontana dai piatti.<br />

Di più è arricchimento dei piatti della nostra storia e la<br />

nostra cucina ne ha fatto tesoro. Provate un risotto ai<br />

carletti o un piccione al forno ripieno di rosole e poi mi<br />

saprete dire!<br />

Il tutto, in fondo, è fedele al proverbio “di cucina”, già<br />

messo in evidenza fi n dal 1892 dal “grande” Pellegrino<br />

Artusi:<br />

“Prendi il cibo con misura<br />

Dai due regni di Natura”<br />

Alfredo Pelle

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