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NUVOLE DI PASSAGGIO<br />
<strong>di</strong> GM Willo<br />
E<strong>di</strong>zioni Willoworld<br />
2
<strong>Nuvole</strong> <strong>di</strong> <strong>Passaggio</strong><br />
<strong>di</strong> GM Willo<br />
E<strong>di</strong>zioni Willoworld 2012<br />
Prima E<strong>di</strong>zione<br />
Copertina <strong>di</strong> GM Willo<br />
www.willoworld.net<br />
Creative Commons Licence 3.0. - Share Alike<br />
3
DUE PAROLE...<br />
Se la memoria non m'inganna, e potrebbe anche essere il caso data l'età,<br />
tutti questi racconti sono stati scritti nell'arco <strong>di</strong> circa do<strong>di</strong>ci anni e<br />
rappresentano un percorso ben preciso della mia vita. Ciò che li<br />
accomuna sono le tematiche <strong>di</strong> fondo, al <strong>di</strong> là dei <strong>di</strong>versi stili e generi<br />
toccati, poiché sono tutti in<strong>di</strong>scutibilmente racconti d'amore. Molti<br />
riguardano la coppia, alcuni l'amicizia, altri ancora il rapporto con la<br />
vita, che ha sempre e comunque a che fare con l'amore, nel suo<br />
significato più ampio.<br />
La ragione per cui ho voluto ripresentare alcuni <strong>di</strong> questi lavori, che<br />
erano già stati pubblicati in altre raccolte, aggiungendone molti <strong>di</strong> nuovi<br />
e più recenti, è perché sentivo la necessità <strong>di</strong> fotografare con un libro gli<br />
eventi tormentati dell'ultimo anno. Per chi mi conosce e sa che cosa ho<br />
passato, non gli sarà <strong>di</strong>fficile capire da dove nascono le idee sulle quali<br />
ho ricamato questi scritti. Chi invece non sa chi sono e non alcuna idea<br />
degli eventi che hanno con<strong>di</strong>zionato la mia vita, potrà cercare <strong>di</strong><br />
riconoscersi tra le righe <strong>di</strong> queste piccole storie, che rimangono<br />
comunque molto attuali. In ognuna <strong>di</strong> queste ci ho messo del mio, ma<br />
tutte fanno parte <strong>di</strong> un tempo e <strong>di</strong> un luogo <strong>di</strong>versi da dove sono ora.<br />
Sto morendo. Forse sono già morto... lo spero. La morte <strong>di</strong> cui parlo è<br />
quella che passa per il risveglio, per la rinascita. Dove mi trovo adesso,<br />
dopo mesi <strong>di</strong> dubbi e sofferenze, è oltre ogni parola scritta su questo<br />
libro. Guardo <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me e rivedo il percorso, le tribolazioni,<br />
l'abbandono. In verità non era necessario fare molta strada; è sempre<br />
stato tutto a portata <strong>di</strong> mano, ma non era per niente facile accorgersene.<br />
Anche nel processo creativo credo <strong>di</strong> aver subito un cambiamento<br />
importante. C'è meno tensione, meno aspettative, più equilibrio. Le idee<br />
arrivano e se ne vanno, ed io rimango ad osservarle quieto, in attesa del<br />
momento giusto per metterle su carta. Potranno essere nuovi racconti,<br />
nuovi progetti, forse un romanzo... non è importante. Ciò che conta è<br />
fluire insieme alle parole, e se possibile persino trascendere.<br />
4<br />
GM Willo - 2012
INDICE<br />
1. IL TEMPO PER AMARE 7<br />
2. DOMANDE 10<br />
3. LA GIOSTRA 11<br />
4. I CONTI DELLA VITA 14<br />
5. LA BICI DI GINO 16<br />
6. PRIGIONIERO 18<br />
7. LE TRE CARAFFE 23<br />
8. FAI COME VUOI! 24<br />
9. LA TERRA TREMA 27<br />
10. IL MAESTRO DEL GIOCO 29<br />
11. PESCAIA SULL'ARNO 31<br />
12. POMODORI 33<br />
13. UN UOMO TRANQUILLO 35<br />
14. IL DELTA DEL FIUME 41<br />
15. IL BOSCO DEI SUICIDI 43<br />
16. IL NATALE RITROVATO 47<br />
17. IL SEGRETO È NEL RESPIRO 49<br />
18. SULLA CASSIA 51<br />
19. NUVOLE DI PASSAGGIO 53<br />
20. VIA DEL QUERCIONE 56<br />
21. L'UOMO ALBERO 61<br />
22. IL NUOVO SPETTACOLO 63<br />
23. L'ULTIMO NATALE 66<br />
24. CASTAGNETO 71<br />
25. COSIMO E VIOLANTE 73<br />
26. UNA GIORNATA NATA STORTA 76<br />
27. RITUALE NEL FIUME 78<br />
28. L'ALLENATORE ONIRICO 80<br />
29. IL PREZZO DEL GIORNO 84<br />
30. GIUNGO 1990 94<br />
31. LEZIONE DI FEDE 97<br />
32. IL RESPIRO 100<br />
5
33. UNA QUESTIONE INSIGNIFICANTE 103<br />
34. IL VOLO E LA CADUTA 111<br />
35. IL MONDO SOTTOSOPRA 112<br />
36. UNA BIRRA LEGGERA 114<br />
37. UNA GIORNATA CORAGGIOSA 116<br />
38. IL PROFUMO DI CIPOLLETTA 119<br />
39. NATALE DA SOLO 121<br />
40. UNA PARTITA A BILIARDO 124<br />
41. MESSA IN SCENA 129<br />
42. PROVE TECNICHE DI PRIMAVERA 131<br />
43. LA DONNA DELLA TORRE 133<br />
44. SHARONA 136<br />
45. CUORE FREDDO 139<br />
46. UNDICI GRADI 140<br />
47. IDENTITÀ 142<br />
48. IL CUORE DELLA LUCERTOLA 144<br />
49. IL VECCHIO ULIVO 147<br />
50. L'ANELLO 149<br />
51. FIORITURE 154<br />
52. LAPO E LUISA 156<br />
53. RADIO BLUES 159<br />
54. CICCHE 162<br />
55. BIRRA O CASETTA IN CANADÀ 164<br />
56. IL MARINAIO 168<br />
57. NOTTE UMIDA OTTOBRINA 171<br />
58. CUCCIOLO 173<br />
59. IL FARO 175<br />
60. UN PANINO IN COMPAGNIA 177<br />
61. IMPRONTE 179<br />
62. IL PROFUMO DELLA MAGNOLIA 180<br />
63. LA MIA PERPLESSITÀ SULLE PARABOLE... 181<br />
64. LA PANCHINA 184<br />
6
IL TEMPO PER AMARE<br />
Malgrado Marina mi guardasse con gli occhi velati da un pianto<br />
represso, io continuai a riversarle addosso le frasi che avevo<br />
impresso così bene nella mente e che avrebbero decretato la fine<br />
della nostra lunga storia. Solo adesso, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> due anni, mi<br />
accorgo che quelle parole erano false, seppure le avessi ragionate<br />
ed in parte anche sentite. Ma la verità non è mai così semplice<br />
come la si immagina. La verità non è esclusivamente sentimento o<br />
razionalità, anche se è probabilmente figlia delle due, e soprattutto<br />
non è definibile in un momento, ma solo attraverso il ciclo degli<br />
eventi, il trasformismo delle cose e le conseguenze delle proprie<br />
decisioni.<br />
Non ero io quell’uomo che la guardava negli occhi senza vederla,<br />
in quel pomeriggio <strong>di</strong> marzo stranamente caldo nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong><br />
casa. Non era la mia voce quella che cercava <strong>di</strong> convincerla che tra<br />
noi due ormai non esisteva più nulla. Non erano i miei gesti quelli<br />
che mascheravano la mia risoluzione. “Non tornare in<strong>di</strong>etro! Non<br />
cadere nella trappola”, continuava a ripetermi una vocina da<br />
dentro, un <strong>di</strong>sco che avevo inciso durante i giorni in cui mi ero<br />
preparato ad affrontarla.<br />
Quando incominciò a mancarmi ignorai i sintomi. Se stavo male<br />
davo la colpa al lavoro, o al primo capro espiatorio che mi capitava<br />
sotto mano; parenti, amici, vicini <strong>di</strong> casa. Qualcuno iniziò a<br />
pensare che c’era qualcosa <strong>di</strong> sbagliato in me, e come potevo dargli<br />
torto. In pochi mesi ero <strong>di</strong>ventato espertissimo a scansare le<br />
relazioni e a rinchiudermi nel mio malumore. Quella fu la fase più<br />
triste, ma in qualche modo meno dolorosa, perché ancora non<br />
riuscivo ad ammettere a me stesso l’errore che avevo commesso e<br />
7
quello che avevo per sempre perduto.<br />
La rivi<strong>di</strong> per caso in un sabato <strong>di</strong> pioggia; era settembre ed io<br />
avevo superato la prima fase ed ricominciato il solito tram-tram <strong>di</strong><br />
incontri inutili, aperitivi, cene, sesso veloce e mai appagante e letti<br />
vuoti al mattino. Lei passeggiava insieme a un tipo sui quaranta,<br />
alto e con un certo charme. Ricordava me tra <strong>di</strong>eci anni e la cosa<br />
mi procurò uno strano senso <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione, impregnato <strong>di</strong> un bel<br />
po' <strong>di</strong> insano masochismo. Quel giorno mi convinsi che ero stato<br />
uno stupido a lasciarla e me ne feci pure una ragione, perché<br />
nonostante Marina fosse probabilmente la donna della mia vita,<br />
erano stati i tempi sbagliati a fregarci. Di quale colpa avrei mai<br />
potuto accusarmi se non quella <strong>di</strong> aver ascoltato il mio cuore e<br />
averle detto come stavano le cose? Ed il mio cuore strillava una<br />
cosa sola, ed era paura, paura con la “P” maiuscola. Potevo forse<br />
ignorarla? No, quella era l’unica verità.<br />
Dopo l’incontro passarono alcune settimane tranquille, il classico<br />
periodo <strong>di</strong> calma che da sempre precede l'inevitabile tempesta. Poi<br />
arrivarono i matrimoni, tre in un botto solo. Nel giro <strong>di</strong> appena un<br />
anno, e contro ogni aspettativa, i miei amici più cari si erano<br />
sistemati. Artistoi<strong>di</strong> matti, ragazzacci scapestrati, zingari per natura<br />
e per <strong>di</strong>letto, tutti, chi più chi meno, allo scoccare dei trenta<br />
avevano imboccato la strada verso l’altare. Una parte <strong>di</strong> me li<br />
detestava, nonostante li amassi come sempre, ma la cosa che mi<br />
faceva più rabbia era che mi sembravano felici per davvero.<br />
Cercavo <strong>di</strong> convincermi dell’opposto, invece finii per accorgermi<br />
<strong>di</strong> aver perduto quella mia naturale abilità <strong>di</strong> ingannarmi, un<br />
espe<strong>di</strong>ente che fino ad allora aveva sempre funzionato. Erano felici<br />
ed invece <strong>di</strong> sforzarmi <strong>di</strong> essere felice per loro li prendevo in giro,<br />
pavoneggiandomi della mia vita da single. Ed erano tutte bugie...<br />
Dopo la scenata del terzo matrimonio, alla fine del quale io,<br />
completamente ubriaco, brindavo ironicamente alle semplici vite<br />
dei tre compagni <strong>di</strong> vita, incominciai a non rispondere più alle<br />
chiamate. Il sentirmi vittima <strong>di</strong> uno strano gioco del destino mi<br />
8
faceva stare così male che, per convincermi della mia invincibilità,<br />
iniziai a respingere ogni affetto. Allontanare i miei amici, che<br />
avevano altro a cui pensare (lavoro, mutuo e bimbi in arrivo), fu<br />
più facile del previsto. Le serate iniziai a passarle insieme a gente<br />
alla quale non mi sarei mai avvicinato in passato, ed in breve lo<br />
spinello del sabato sera lasciò il posto alle due righe <strong>di</strong> coca,<br />
oppure ad un paio <strong>di</strong> pasticche. Seguivo un tracciato illuminato a<br />
giorno da fiaccole accecanti, una strada dritta, buia, priva <strong>di</strong> meta,<br />
e le luci delle città riuscivo appena a scorgerle al <strong>di</strong> là del<br />
guardrail, mentre spingevo incurante sull’acceleratore. Nella città<br />
vivevano i miei amici che non si meritavano altro <strong>di</strong> essere derisi, e<br />
viveva anche Marina col suo nuovo uomo, e forse era felice, più<br />
felice <strong>di</strong> quanto non lo sarebbe mai stata con me.<br />
Mi ci sono voluti due anni per capire e smettere finalmente <strong>di</strong><br />
punirmi per quelle parole che le <strong>di</strong>ssi quel giorno. La paura non<br />
c’entra e il destino è un placebo per menti facili. Ho riaperto<br />
finalmente la porta del cuore, la stessa che avevo richiuso quel<br />
giorno <strong>di</strong> marzo e che ho tenuto sbarrata per tutto questo tempo,<br />
negandone l’accesso persino ai miei amici più cari.<br />
Non esistono uomini o donne della vita. Esiste il tempo per amare,<br />
e quando c’è quello ci sono tutti gli ingre<strong>di</strong>enti giusti per creare<br />
qualcosa <strong>di</strong> meraviglioso.<br />
Adesso lo so; è finalmente tornato anche per me il tempo per<br />
amare.<br />
9
DOMANDE<br />
Rivedrò mai la luce del sole? E se riuscirò a rivederla, sarò in<br />
grado <strong>di</strong> riconoscerla?<br />
Per troppi anni ho vissuto nell’oscurità più profonda, tant’è che le<br />
tenebre mi sono penetrate sotto pelle, fin dentro le vene, e adesso<br />
scorrono mescolate al sangue, ince<strong>di</strong>bile no? Ah, ma vi assicuro<br />
che è così, e se potessi mi taglierei i polsi per mostrarvi che sto<br />
<strong>di</strong>cendo il vero… non ci credete? Non sapete <strong>di</strong> cosa sto parlando?<br />
L’oscurità, quella dell’anima, che immobilizza ogni intento, che<br />
atrofizza ogni pensiero, il buio <strong>di</strong> un non-luogo presente solo nelle<br />
profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> noi stessi; potete chiamarlo “nucleo”, vi va? É un<br />
nome come un altro, ma laggiù le parole non hanno molta<br />
importanza, perché nessuno può sentirti, e la solitu<strong>di</strong>ne è<br />
assordante come lo stri<strong>di</strong>o dei car<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> una prigione sotterranea,<br />
avete presente?<br />
Come potrei non riconoscere la luce del sole? È questa la domanda<br />
che vi state ponendo? E allora vi rispondo con un’altra domanda:<br />
come potrebbe un sordo che riacquista l’u<strong>di</strong>to riconoscere il suono<br />
<strong>di</strong> un violino? O il frusciare delle foglie al vento? O il rumore della<br />
risacca del mare?<br />
Per troppo tempo ho nuotato in queste tenebre, e adesso che il cielo<br />
si è aperto, squartato da un raggio accecante, posso davvero tornare<br />
a fidarmi dei miei occhi?<br />
Forse mi sto solo illudendo, non credete anche voi?<br />
10
LA GIOSTRA<br />
C’era una vecchia giostra in città, <strong>di</strong> quelle in stile ottocento, anche<br />
se smaltata <strong>di</strong> nuovo. Occupava l'angolo <strong>di</strong> una piazzetta un po’<br />
nascosta ai confini della periferia, e ci si arrivava per strade poco<br />
frequentate, conosciute solo agli anziani e ai padroni <strong>di</strong> cani,<br />
perché loro la città la conoscono bene; ogni marciapiede, angolo,<br />
lampione e albero non sfugge ai loro amici a quattro zampe. Un<br />
tempo avevo anch’io avevo un cane, e grazie a lui ho avuto<br />
l’occasione <strong>di</strong> esplorare gli anfratti più curiosi <strong>di</strong> questo antico e<br />
stantio capoluogo. Abbiamo marcato un bel po’ <strong>di</strong> territori assieme,<br />
ed è così che questi palazzi e queste chiese mi sono rimasti dentro,<br />
nonostante un’avversione innata che mi sono sempre portato <strong>di</strong>etro.<br />
Non mi è mai piaciuta la mia città, forse perché troppo<br />
palesemente bella, perché trovavo antipatica tutta quella gente che<br />
se ne veniva da ogni parte del mondo per assaggiarla, fotografarla,<br />
in qualche modo viverla, nonostante fosse già morta da svariati<br />
decenni. La mia città è morta, ma solo chi ci è nato dentro e ne è<br />
venuto fuori lo sa. Gli altri, quelli che la sfruttano come un museo<br />
a cielo aperto, o chi ne è egoisticamente orgoglioso, non lo sanno,<br />
perché sono morti insieme a lei.<br />
Ma la giostra <strong>di</strong> cui vi <strong>di</strong>cevo, quella aveva poco a che fare con la<br />
città. Il suo aspetto sognante strideva con l’austerità dei<br />
monumenti, la serietà delle chiese, l’efficienza della segnaletica<br />
turistica. Per me rappresentava un riquadro in contrasto con la<br />
cornice, una porta su un mondo <strong>di</strong>stante, una specie <strong>di</strong> varco<br />
spazio-temporale. I suoi cavalli con i pennacchi e le carrozze<br />
dorate richiamavano la leggerezza delle favole e l’innocenza della<br />
fanciullezza, aspetti <strong>di</strong>stanti anni luce dalla solennità dell’arte con<br />
11
la “A” maiuscola, venduta insieme alle pia<strong>di</strong>ne al prosciutto<br />
secondo la spregiu<strong>di</strong>cata legge dell’industria turistica.<br />
Ci passavo vicino quasi con fare timoroso, senza bene sapere cosa<br />
volessi da lei. Una parte <strong>di</strong> me avrebbe voluto farci un giro, ma il<br />
timore <strong>di</strong> essere preso per un matto mi ha sempre fatto desistere. È<br />
o<strong>di</strong>oso come molte cose ci siano precluse per colpa <strong>di</strong> paure inutili.<br />
Me ne stavo in <strong>di</strong>sparte, a fare finta <strong>di</strong> leggere le locan<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />
un’e<strong>di</strong>cola, gettando sguar<strong>di</strong> fugaci verso la cabina dove il<br />
proprietario della giostra vendeva i biglietti, ma riuscivo a scorgere<br />
solamente uno scorcio del suo volto, il suo naso prominente sopra<br />
due folti baffi e una barba rigogliosa, nera come le ombre sotto le<br />
chiese in una giornata estiva. “Mangiafuoco!”, pensai, perché mi<br />
ricordava proprio lui, e fu così che la chiamai per molti anni; la<br />
Giostra <strong>di</strong> Mangiafuoco. Si vede che si era annoiato dei burattini e<br />
con il ricavato della ven<strong>di</strong>ta del teatrino si era comprato una<br />
giostra.<br />
Una sera raggiunsi la piazzetta che non c’era già più nessuno. La<br />
cabina era chiusa e i tre ingressi alla pedana girevole erano ostruiti<br />
dalle catene, mentre un cartello avvertiva la clientela che<br />
l’attrazione sarebbe rimasta chiusa fino al lunedì successivo. Era<br />
ferragosto e l’aria calda sopra l’asfalto giocava brutti scherzi anche<br />
alle sei <strong>di</strong> sera, tanto che la strada che si allargava in <strong>di</strong>rezione<br />
della periferia, deserta come solo il quin<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> agosto le strade<br />
sanno essere, ondeggiava come un miraggio sahariano.<br />
Approfittando della situazione, scavalcai le catene e presi posto<br />
sopra uno dei cavallucci. Sotto la copertura dell’installazione la<br />
temperatura doveva raggiungere abbondantemente i quaranta<br />
gra<strong>di</strong>, ma non ci badai. Afferrai il cavallo per i manici che gli<br />
spuntavano da sotto le orecchie ed improvvisai una galoppata<br />
senza freni. E fu così che sfiorai per un attimo, per la prima volta<br />
dopo tanti anni, il segreto che ogni bimbo è destinato a perdere; la<br />
leggerezza del momento, il <strong>di</strong>staccamento emotivo, il miracolo<br />
della vita, anche se in realtà non esiste alcun miracolo…<br />
12
asterebbe evitare <strong>di</strong> farci ingannare dalle nostre assurde<br />
convinzioni.<br />
“Cavoli, ma è così dannatamente semplice”, mi venne da <strong>di</strong>re, e<br />
incominciai a ridere, con la maglietta che mi si attaccava alla<br />
schiena per via del sudore, ma era una sensazione che percepivo<br />
appena in quel mio attimo <strong>di</strong> immaginazione alla deriva. Mi tornò<br />
in mente una frase <strong>di</strong> John Lennon: “La vita è quella cosa che ci<br />
accade mentre siamo occupati a fare altro”. Solo i bambini sono<br />
pienamente consapevoli della vita, fino al giorno in cui… ma no,<br />
non succede in un giorno. Non saprei in<strong>di</strong>care il momento esatto in<br />
cui la vita mi è sfuggita <strong>di</strong> mano. È successo gradualmente, grazie<br />
ad una sistematica ed efficacissima programmazione socioculturale.<br />
Se solo riuscissimo ad ingannare il programma, aprire gli<br />
occhi, svegliarci… si, forse ci è ancora concesso un giro <strong>di</strong> giostra,<br />
ma quando i cavalli rallentano e la musica sfuma nella <strong>di</strong>stanza,<br />
come si combatte la sensazione <strong>di</strong> dover ritornare alla realtà?<br />
E se la realtà fosse invece la più grande delle nostre illusioni?<br />
13
I CONTI DELLA VITA<br />
D’inverno, in quelle giornate fredde ma <strong>di</strong> sole, mi piace<br />
andarmene al parco giochi. Non c’è quasi mai nessuno e le<br />
panchine sono tutte a mia <strong>di</strong>sposizione, anche quelle a ridosso<br />
della rimessa, riparate dal vento e rivolte a sud, perciò posso<br />
godermi il sole dal mattino fino a metà pomeriggio. Di solito ci<br />
capito prima <strong>di</strong> pranzo, insieme a una birra a temperatura<br />
ambiente, ovvero molto fredda. Me la bevo a piccoli sorsi, come<br />
una bevanda ristoratrice. Mi piace sentire sulle labbra quel frizzore<br />
amarognolo e quell’odore lievemente rancido. La birra è una<br />
volgare Moretti da 66, ma fa al caso mio. Non ho molte pretese<br />
quando vado al parco giochi. Voglio solo rimanermene un po’ da<br />
solo a fare i conti della vita.<br />
Si, io li chiamo così; i conti. Tiro fuori bilancia e calcolatrice, apro<br />
l’archivio e analizzo passo per passo gli eventi che mi hanno<br />
condotto fino a quella panchina. Non miro al guadagno, mi basta<br />
fare pari, cioè se i conti tornino allora sono sod<strong>di</strong>sfatto. Lo<br />
ammetto, a volte gonfio qualche cifra, ma chi è che non lo fa <strong>di</strong><br />
tanto in tanto…<br />
Come quella volta in cui mandai a quel paese Gianluca. Per quanto<br />
si fosse preso gioco <strong>di</strong> me, lui rimaneva sempre il mio migliore<br />
amico, ma non volli sentire ragioni. E poi mi aveva incominciato<br />
ad evitare <strong>di</strong> proposito, anche se forse lo faceva per darmi tempo e<br />
lasciare che le ferite si rimarginassero. Ma per me i conti tornavano<br />
perfettamente: anche se la nostra amicizia era finita, avevamo<br />
sempre i nostri bei ricor<strong>di</strong>. Mi consolai con il pensiero che un<br />
giorno forse avremmo potuto riparare con un po’ <strong>di</strong> attack i pezzi<br />
<strong>di</strong> quel vaso rotto, e comunque anche se non sarebbe mai successo<br />
14
per me era uguale. Le cose andavano e venivano, la vita era così e<br />
c'era poco da fare...<br />
Dopo tre anni e mezzo <strong>di</strong> relazione con Teresa la noia venne a farci<br />
visita. Lei se ne andò nella pioggia <strong>di</strong> novembre, con il mascara<br />
mischiato alle lacrime che le colavano sulle guance. Due giorni<br />
dopo il sole splendeva forte e si era alzato il vento del nord. La<br />
giornata era ideale per fare due conti al giar<strong>di</strong>no. E anche in<br />
quell’occasione due più due fece quattro, anche se non era proprio<br />
così. Forse era un due più tre, o un tre più cinque, ma qualsiasi<br />
cosa fosse il risultato era sempre lo stesso.<br />
La Moretti è amica della mia matematica. Quando arrivo all’ultimo<br />
sorso i numeri riacquistano il senso che avevano perduto. Schiocco<br />
la lingua e allontano la bottiglia dalle labbra, respiro l’aria fredda e<br />
sorrido. Ma a volte s’insinua la strana paura che qualcuno possa<br />
venire a controllarmi i libri contabili. Il sorriso si fa più sottile<br />
mentre immagino le porte del para<strong>di</strong>so, con San Pietro vestito da<br />
finanziere ad aspettarmi.<br />
“Al <strong>di</strong>avolo!”, borbotto, e alzandomi dalla panchina me ne ritorno<br />
verso casa.<br />
15
LA BICI DI GINO<br />
Gino non va più in bicicletta. Adesso ha la familiare con i<br />
seggiolini per i bimbi e lo scooter per muoversi in città. Però io<br />
continuo a ricordarmelo sui pedali, magro come un fuscello, con la<br />
chioma paglierina al vento. Arrivava sempre tar<strong>di</strong>, ma era<br />
impossibile fargliela pesare. D’altra parte lui veniva in bicicletta,<br />
mentre noi eravamo tutti motorizzati. Scendeva <strong>di</strong> sella con<br />
l’agilità <strong>di</strong> un furetto, il sorriso stampato sul volto e la battuta<br />
pronta. Noi sedevamo sulle panchine con le lattine <strong>di</strong> birra e i<br />
cicchini, a ragionare <strong>di</strong> quello che avremmo potuto combinare. Il<br />
più delle volte rimanevamo lì, a “rovellarci il car<strong>di</strong>ne”, come<br />
<strong>di</strong>ceva quel famoso libro. Questo ovviamente d’estate, con la città<br />
vuota e tutta la notte a nostra <strong>di</strong>sposizione per <strong>di</strong>menticarci chi<br />
eravamo.<br />
Gino indossava il giacchetto <strong>di</strong> jeans su una maglietta degli Iron<br />
Maiden. Cerco <strong>di</strong> ricordarmelo vestito <strong>di</strong>versamente ma non ci<br />
riesco. Per almeno tre anni, il tempo delle serate sulla panchina o al<br />
bar in pazza, non credo abbia mai indossato altro. Il ricordo <strong>di</strong><br />
com’era mi torna in mente così vivido che faccio una fatica<br />
tremenda a riconoscerlo adesso, mentre esce <strong>di</strong> casa con la<br />
bambina in braccio. Io rimango ad osservarlo dall’altra parte della<br />
strada, nascosto <strong>di</strong>etro a un furgoncino della Iveco. La chioma se<br />
n’è andata, una pancina fin troppo evidente gli deforma la camicia<br />
celeste sotto la giacca, e del vecchio sorriso non è rimasta che<br />
l’ombra. Apre la portiera della station wagon, allaccia la cintura del<br />
seggiolino della piccola, poi prende posto sul se<strong>di</strong>le del guidatore.<br />
Un attimo dopo viene risucchiato dal traffico citta<strong>di</strong>no ed io posso<br />
finalmente uscire dal mio nascon<strong>di</strong>glio.<br />
16
In quel momento riesco a vederla, nel giar<strong>di</strong>no del condominio,<br />
seminascosta da un vaso <strong>di</strong> fiori. Mi avvicino per assicurarmi che<br />
sia proprio lei. Legata con un catenaccio all’inferriata dello<br />
scantinato, le gomme a terra e la catena rugginosa, il campanello<br />
<strong>di</strong>velto e il telaio storto, là giace quel che resta della vecchia<br />
Bianchi. È lei, non ci sono dubbi. Chissà perché non se ne libera,<br />
mi chiedo. Forse per lo stesso motivo per cui conservo ancora il<br />
mio zaino <strong>di</strong> pelle, quello che riempivamo <strong>di</strong> lattine <strong>di</strong> birra prima<br />
<strong>di</strong> entrare ai concerti. Preso dalla nostalgia agguanto il telefonino e<br />
scatto una foto al relitto a due ruote, poi ritorno sul marciapiede e<br />
proseguo per la mia strada.<br />
Dovrei chiamarlo uno <strong>di</strong> questi giorni, o magari mandargli una<br />
email. Si, bisognerebbe riorganizzare qualcosa, magari al vecchio<br />
bar. Penso a queste cose, ma ad ogni passo la mia iniziativa perde<br />
<strong>di</strong> slancio. Quando arrivo in ufficio non mi ricordo già più nulla<br />
dei miei bei propositi. Ci ripenso la sera, prima <strong>di</strong> addormentarmi.<br />
Mi sento un po’ in colpa per non essermi fatto vedere, né sentire,<br />
ma in fondo succede a tutti. Basterebbe poco, certo, ma forse quel<br />
poco è molto più <strong>di</strong> quello che si pensa. Però il senso <strong>di</strong> colpa<br />
rimane.<br />
Si, lo chiamo domani, mi convinco.<br />
E finalmente mi addormento tranquillo.<br />
17
PRIGIONIERO<br />
La faccenda incominciò a non quadrare quando mi accorsi<br />
dell’interruttore <strong>di</strong>fettoso. Di solito succede che le lampa<strong>di</strong>ne si<br />
brucino e quando vai a premere il pulsante non succede niente,<br />
invece con il neon <strong>di</strong> cucina avveniva esattamente il contrario; per<br />
quanto premessi il bottone, la luce rimaneva accesa. Fu quello<br />
l’inizio del risveglio, della presa <strong>di</strong> coscienza, una breccia <strong>di</strong> luce<br />
nell’oscurità.<br />
Il sole entrava con violenza attraverso le veneziane, nell’aria c’era<br />
profumo <strong>di</strong> caffè e <strong>di</strong> arance spremute, in lontananza u<strong>di</strong>vo il<br />
notiziario del mattino… sapevo che lei era ancora sotto le coperte<br />
ad aspettarmi, ma i cornetti in forno non erano ancora pronti. “Una<br />
rosa, ecco cosa ci vorrebbe”, mi venne da pensare, e con fare<br />
sicuro raggiunsi la terrazza perché qualcosa mi <strong>di</strong>ceva che l’avrei<br />
trovata là. “Quando ha comprato questi vasi?” mi chiesi, staccando<br />
un bocciolo rosso carminio per deporlo sul vassoio, tra la spremuta<br />
d’arancio e la tazzina del caffè.<br />
Con Marina le cose non erano sempre state così perfette, ma<br />
d’improvviso i litigi erano <strong>di</strong>ventati un ricordo sbia<strong>di</strong>to, i malintesi<br />
avevano un retrogusto tollerabile e le sue fissazioni erano adesso<br />
un mero incentivo per migliorarmi. Gesti semplici, come vederla<br />
rigirarsi nel piumino stiracchiandosi le braccia, con quel faccino da<br />
angelo ed un sorriso da furbetta, mi mettevano in circolo una droga<br />
potente, alla quale non sapevo resistere. A volte solo l’idea <strong>di</strong><br />
perderla mi paralizzava… Tutto questo sembrava fosse successo da<br />
un giorno all’altro, come un risveglio, un’illuminazione. Di colpo il<br />
nostro amore era fiorito, passando ad un altro livello, e tutto<br />
sembrava così fantastico, a parte quell’interruttore in cucina che<br />
18
non riuscivo a spegnere. Che cosa c’era che non andava? Forse un<br />
filo <strong>di</strong>fettoso? Ma certo…<br />
Il bip del forno mi avvertì che i cornetti erano finalmente cotti.<br />
Portai tutto in camera, vassoio, rosa e colazione, con lei che aveva<br />
ancora gli occhi chiusi; forse stava sognando, pensai. Mi avvicinai<br />
con la leggerezza <strong>di</strong> un ladro, come se stessi galleggiando nell’aria,<br />
e presi posto sul letto, accanto a lei. Il notiziario era terminato e<br />
adesso passavano i cartoni <strong>di</strong> Tom e Jerry. Attesi che lei si<br />
svegliasse, un tempo che poteva essere benissimo <strong>di</strong> un minuto, <strong>di</strong><br />
un ora, oppure <strong>di</strong> un mese, non saprei <strong>di</strong>rlo. Ricordo solo che non<br />
m’importava… Si, l’amore, quello che facemmo dopo il caffè,<br />
riesco ancora a rievocarlo, con stravaganti flashback in cui la sua<br />
perfetta nu<strong>di</strong>tà si alternava alle immagini dello show <strong>di</strong> Hanna e<br />
Barbera. Adesso che tutto è finito non è facile descriverlo come<br />
vorrei… mi preme solo che voi riusciate ad afferrare il significato<br />
della mia esperienza, perché potreste trovarvi già nella mia stessa<br />
situazione. Magari state leggendo queste righe senza averne il<br />
minimo sospetto… ma come posso farmi capire?<br />
In bagno osservai il mio volto riflesso nello specchio e la lametta<br />
che tenevo in mano. Con gesti leggeri e precisi rimossi la schiuma<br />
dalle guance insieme al millimetro <strong>di</strong> barba cresciutami durante la<br />
notte, per poi lasciar scorrere il getto d’acqua del rubinetto sul<br />
rasoio sporco. La mia attenzione era rivolta a quell’impegno<br />
quoti<strong>di</strong>ano, un rituale che eseguivo con movimenti meccanici,<br />
mentre una parte del mio cervello era ancora piacevolmente<br />
tramortita dal sesso appena fatto con Marina. Senza motivo<br />
incrociai i miei occhi nel riflesso, ma incomprensibilmente questi<br />
mi sfuggirono. Curioso, tornai a guardarmi, ma non mi vi<strong>di</strong>.<br />
Davanti a me c’era un uomo che si faceva la barba, ma non ero io.<br />
- Marina – chiamai. – Marina, vieni qua! – ma la scena cambiò <strong>di</strong><br />
nuovo.<br />
Eravamo nu<strong>di</strong>, nella vasca da bagno, aggrovigliati come bisce,<br />
della musica jazz in sottofondo. Dalla finestra non proveniva<br />
19
alcuna luce perciò doveva essere già notte. Dov’era andato a finire<br />
quel martedì? Ma era ancora martedì?<br />
- Domani a che ora entri a lavoro, cara? – le domandai, lavandole<br />
la schiena con la spugna impregnata <strong>di</strong> schiuma.<br />
- Che sciocco che sei, domani è domenica… – rispose lei, ridendo<br />
<strong>di</strong>vertita.<br />
Provai a ricordare che cosa avevamo fatto prima <strong>di</strong> entrare nella<br />
vasca, ma per quanto ci provassi non riuscii a riportare alla mente<br />
alcuna immagine.<br />
- C’è qualcosa che non va, tesorino? – mi chiese lei,<br />
accarezzandomi un ginocchio.<br />
- No, è che faccio fatica a ricordare le cose… dev’essere la<br />
stanchezza – <strong>di</strong>ssi, ma non ne ero assolutamente convinto.<br />
- Te l’ho detto che lavori troppo – mi ammonì lei, poi pretese che<br />
le facessi lo shampoo. Mentre massaggiavo la sua graziosa<br />
testolina, le chiesi dell’interruttore in cucina, ma lei giurò <strong>di</strong> non<br />
averlo notato. Aggiunse infine che se era rotto potevo chiamare un<br />
tecnico per farlo riparare.<br />
Marina l’ho conosciuta ad un workshop <strong>di</strong> cucina in<strong>di</strong>ana, durante<br />
un soggiorno estivo. Era incre<strong>di</strong>bilmente attraente e prometteva<br />
guai, ma all’inizio l’idea era solo quella <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertirsi un po’. Non so<br />
come sia riuscita a trasformare il <strong>di</strong>vertimento spora<strong>di</strong>co dei primi<br />
incontri nella relazione che poi ne è seguita, so solo che<br />
improvvisamente sentivo <strong>di</strong> non poter più fare a meno <strong>di</strong> lei.<br />
Eppure c’era stato uno strappo, uno screzio, un qualcosa che<br />
adesso mi sfuggiva. Potevo averla lasciata? Questa idea<br />
incominciò a balenarmi nella mente mentre le risciacquavo i<br />
capelli dopo il balsamo.<br />
- Lo sai, ieri sera credo <strong>di</strong> aver sognato che ci eravamo lasciati… –<br />
le <strong>di</strong>ssi, e la sentii irrigi<strong>di</strong>rsi per una frazione <strong>di</strong> secondo. In quel<br />
momento la scena si è interrotta, cioè il ricordo <strong>di</strong> quel particolare<br />
momento s’interrompe qui. Seguono tanti episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> sesso e <strong>di</strong> me<br />
fermo in cucina ad azionare inutilmente l’interruttore del neon. Vi<br />
20
chiederete, che cosa vuole <strong>di</strong>re tutto ciò? Vabbé, adesso ve lo<br />
provo a spiegare…<br />
Lei entrò in cucina con una magliettina bianca aderente e le<br />
mutan<strong>di</strong>ne azzurre che le avevo regalato, o almeno ero convinto <strong>di</strong><br />
avergliele regalate. Sorrise e con una mano mi afferrò<br />
delicatamente il braccio che tenevo allungato verso l’interruttore,<br />
mentre con l’altra cercò sapientemente qualcosa tra le mie gambe.<br />
- Lascia stare quella stupida luce e vieni in camera… – or<strong>di</strong>nò.<br />
- Dove sei stata? – le chiesi invece, rimanendo dov’ero.<br />
- Come, dove sono stata? Ero nel letto ad aspettarti…<br />
- Appunto. Perché non sei al lavoro? Perché io non sono al lavoro?<br />
Da quanto tempo siamo chiusi in questo appartamento? Che cosa<br />
hai fatto Marina? – la incalzai, alzando minacciosamente il volume<br />
della mia voce.<br />
Sul suo volto si adagiò un’espressione d’ansia che riuscì<br />
velocemente a nascondere con uno dei suoi sorrisetti maliziosi.<br />
Tornò a toccarmi nelle parti intime ed io stavo <strong>di</strong> nuovo per cedere,<br />
ma in quell’istante mi venne l’assurda idea <strong>di</strong> stare sognando. “Si,<br />
ma certo, era tutto un sogno. Adesso finalmente posso<br />
svegliarmi…” pensai ingenuamente.<br />
- Dai vieni <strong>di</strong> qua. Ho voglia <strong>di</strong> fare l’amore… – le sue parole<br />
infransero il mio intento <strong>di</strong> risveglio. Se quello era davvero un<br />
sogno, perché non riuscivo a destarmi? Di solito funziona così, no?<br />
Appena ci si accorgere <strong>di</strong> stare sognando ci svegliamo…<br />
- Ecco, mettiti <strong>di</strong>steso così… lascia fare un po’ a me… – la sua<br />
voce era docile ed indulgente come quella <strong>di</strong> una concubina.<br />
“Questa non è la realtà, non ha alcun senso. Il tempo è tutto<br />
sbagliato, il mio riflesso nello specchio è sbagliato, e poi c’è quel<br />
maledetto interruttore…” Pensieri astrusi vorticavano<br />
forsennatamente nella mia testa, mentre lei provava a <strong>di</strong>strarmi con<br />
le sue arti amatorie. Doveva trattarsi per forza <strong>di</strong> un sogno… ma<br />
lei ci sapeva davvero fare con la bocca, ed io non riuscivo più a<br />
capirci niente. Dov’era il trucco? Non potevo uscire dal suo<br />
21
appartamento. Non potevo andare al lavoro, o vedere nessuno a<br />
parte lei. Ero suo prigioniero… Ma certo, era per davvero un<br />
sogno, solo che non era il mio!<br />
Le afferrai la testa interrompendo con dolcezza il suo gaudente<br />
operato, le sorrisi con tutta la malizia che riuscii a mettere negli<br />
occhi, poi senza esitare le tirai uno schiaffo, non violento, ma forte<br />
abbastanza da svegliarla.<br />
Così s’infranse il sogno <strong>di</strong> Marina ed io fui <strong>di</strong> nuovo un uomo<br />
libero.<br />
22
LE TRE CARAFFE<br />
Il vecchio piumato continuava ad osservarmi, in bilico su una sola<br />
zampa, con le spalle rivolte al tempio ed il becco all’insù, come se<br />
stesse annusando il vento.<br />
- Hai riempito le tre caraffe oggi? – domandò ad un tratto.<br />
- Le tre caraffe?<br />
- Mente, cuore e corpo… le hai riempite, ragazzo?<br />
- Vecchio, non ho la più pallida idea <strong>di</strong> cosa lei stia <strong>di</strong>cendo.<br />
Allora il vecchio ricoperto <strong>di</strong> piume (e ne aveva <strong>di</strong> tutti i colori,<br />
credetemi!) si mosse e mi venne incontro, scendendo i gra<strong>di</strong>ni del<br />
tempio con le sue gambine magre. Si avvicinò così rapidamente<br />
che i miei occhi fecero fatica a metterlo a fuoco.<br />
- Le tre caraffe… – ripeté, e mi toccò in tre punti, sulla fronte, sul<br />
petto e sopra l’inguine. Le sue <strong>di</strong>ta erano gelide. Le sue piume<br />
puzzavano <strong>di</strong> humus. – Riempile e svuotale, <strong>di</strong> continuo, e nel<br />
svuotarle riempi quelle degli altri, <strong>di</strong> chi ti è vicino. Non farle<br />
traboccare, e vivrai una vita degna, tutto qui. – Poi si voltò e prese<br />
il volo.<br />
Avevo fatto così tanta strada per arrivare al tempio che<br />
d’improvviso la stanchezza mi fece vacillare. Cad<strong>di</strong> per molte ore,<br />
o forse sognai soltanto <strong>di</strong> cadere. Quando riaprii gli occhi, vi<strong>di</strong><br />
mio figlio più piccolo con in mano un bicchiere vuoto, quello del<br />
succo d’arancia. Mi sorrideva e negli occhi aveva due abissi <strong>di</strong><br />
luce.<br />
23
FAI COME VUOI!<br />
“Fai come vuoi”, ripetevo tra me, con lo sguardo rivolto alle mie<br />
All-Star e il cappuccio tirato sulla testa per deviare le folate <strong>di</strong><br />
vento che soffiavano dal nord. Avevo deciso <strong>di</strong> tornare a casa a<br />
pie<strong>di</strong>, perché camminare mi ha sempre aiutato a riflettere, a farmi<br />
una ragione delle cose più irragionevoli, e la scelta <strong>di</strong> Michele era<br />
più che irragionevole: era completamente folle.<br />
Ma gli amici servono a questo, ad ascoltarti, a capirti, a consolarti,<br />
ma anche a darti due schiaffi quando servono, perché c’è un tempo<br />
per parlare e un tempo per agire. Negli ultimi tre mesi ho esaurito<br />
tutte le parole del mio vocabolario, tutta la pazienza accumulata<br />
nei miei trentotto anni <strong>di</strong> vita, tutta la saggezza guadagnata grazie<br />
alle lettura e alla riflessione. Era giunto il momento <strong>di</strong> <strong>di</strong>re le cose<br />
come stavano, <strong>di</strong> estirpare con la forza quel velo che era sceso<br />
sugli occhi del mio migliore amico, e <strong>di</strong> urlargli in faccia un fatto a<br />
<strong>di</strong>r poco lampante, ovvero che lui stava sbagliando.<br />
La storia è una delle tante, <strong>di</strong> quelle che si ripetono sempre più<br />
spesso in questo occidente saccheggiato <strong>di</strong> valori. Michele e<br />
Fabrizia, <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> fidanzamento coronato dal matrimonio, la<br />
prima dolce attesa, la casa, il secondo figlio, e via così, su un<br />
binario <strong>di</strong>ritto che sembra mettere sempre più paura alla gente. Un<br />
viaggio asfissiante, su un vagone troppo stretto, troppo così<br />
maledettamente preve<strong>di</strong>bile… mentre la vita scorre fuori dai<br />
finestrini a duecento chilometri all’ora. L’unica soluzione, nelle<br />
menti alla deriva dei neo quarantenni privi d’identità, è il<br />
deragliamento. Non ci sono altre possibilità!<br />
Così Michele ha incontrato Sabrina, <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni più giovane, e ha<br />
seguito il suo cuore. Com’è che <strong>di</strong>ce quel famoso libro? “Va dove<br />
24
ti porta il cuore!” Certo, apparentemente la soluzione più ovvia, ed<br />
è esattamente il cuore che accende il desiderio dei maniaci, dei<br />
pedofili e dei sa<strong>di</strong>ci. Anche loro seguono le loro emozioni, proprio<br />
come fa il padre <strong>di</strong> due bambini che li abbandona mentre stanno<br />
sognando nei loro letti, ignari ed in<strong>di</strong>fesi, con la scusa<br />
dell’amore… quello “che move il sole e le altre stelle…” peccato<br />
che è la terra che gira, mentre il sole sta fermo! Ma il nostro amico<br />
Dante parla <strong>di</strong> un altro amore, non quello egoistico che ven<strong>di</strong>amo<br />
insieme alle bibite gassate e ai pannolini nelle nostre fiction TV.<br />
Ero uscito <strong>di</strong> casa con la risolutezza <strong>di</strong> un samurai, convinto del<br />
fatto che se avessi usato la forza come ultima ed estrema risorsa,<br />
Michele non avrebbe più potuto fingersi sordo. Ho scampanellato<br />
come un matto sotto casa sua, il monolocale appena affittato nel<br />
quale trascorreva la sua passionale avventura con Sabrina. Gli ho<br />
imposto <strong>di</strong> scendere, dato che non mi andava <strong>di</strong> guardare in faccia<br />
quell’ingenua ragazzetta che cospirava inconsapevolmente insieme<br />
al mio stupido amico la <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> una famiglia, e quando è<br />
uscito dall’ascensore l’ho affrontato come non avevo mai fatto<br />
prima. L’ho guardato negli occhi, mentre lui li <strong>di</strong>stoglieva, ho fatto<br />
un passo in avanti, le mie mani sul suo petto e poi una spinta,<br />
improvvisa, non forte ma talmente inaspettata che si è ritrovato col<br />
culo per terra e il volto sconvolto. “Che cazzo fai?” gli ho gridato.<br />
Lui ha provato a rimettersi in pie<strong>di</strong>, e in quel suo imbarazzante<br />
tentativo <strong>di</strong> riprendere il controllo del suo equilibrio, ho provato a<br />
ricordarmi <strong>di</strong> quando facevamo le gare in motorino sul vialone,<br />
delle risate sulle panchine con le buste della Coop piene <strong>di</strong> birra da<br />
due sol<strong>di</strong>, del suo sorriso ingenuo ma onesto… dov’era andato a<br />
finire tutto questo? Perché non riuscivo più a vederlo? È stato in<br />
quell’istante che ho fatto un passo all’in<strong>di</strong>etro e ho abbassato le<br />
<strong>di</strong>fese. Allora lui si è rialzato in pie<strong>di</strong>, ha messo sul volto un<br />
ghigno orgoglioso e mi ha sputato addosso la frase rivelatrice,<br />
l’epilogo <strong>di</strong> tutta la storia: “È la mia vita e ne faccio quello che<br />
voglio!”<br />
25
Le parole come acqua ghiacciata sul mio viso.<br />
È LA MIA VITA E NE FACCIO QUELLO CHE VOGLIO!<br />
Niente <strong>di</strong> più giusto. Niente <strong>di</strong> più lineare, e corretto, e vero… È la<br />
tua vita, e sei libero <strong>di</strong> sabotarla come più ti aggrada. “Fai come<br />
vuoi!” gli ho risposto, perché non si può spiegare ad un cieco che<br />
cos’è il colore giallo, o con<strong>di</strong>videre insieme ad un sordo la potenza<br />
della nona <strong>di</strong> Beethoven.<br />
Michele era il mio migliore amico e ho cercato <strong>di</strong> aiutarlo, ma è<br />
inutile provare ad aiutare chi non vuole essere aiutato. Per questo<br />
non ho preso l’autobus e sono tornato a casa a pie<strong>di</strong>. Per sra<strong>di</strong>care<br />
il mio senso <strong>di</strong> colpa, e farmi una ragione della mia impotenza.<br />
E il vento freddo sulla faccia è stato una carezza confortante, come<br />
la coccola <strong>di</strong> un <strong>di</strong>o.<br />
26
LA TERRA TREMA<br />
Scartò a sinistra e rivide la ciminiera caduta. La sua mente non<br />
riusciva ancora a dare un senso a quello che stava succedendo. “La<br />
fine del mondo”, ecco come l’avrebbe descritta in un secondo<br />
tempo agli amici del bar, tra una moretti ghiacciata e una marlboro<br />
light. Ma no, era solo il terremoto, la vibrazione della terra, lo<br />
sconquasso della crosta del pianeta che ricordava agli umani la loro<br />
impotenza davanti all'incre<strong>di</strong>bile forza della natura.<br />
C’erano cocci e frammenti sparsi dappertutto, una miriade <strong>di</strong><br />
bagliori maligni. “Chi stava sollevandosi dalla terra?”, si chiese,<br />
mentre cercava <strong>di</strong> riprendere l’equilibrio e conquistare l’uscita del<br />
capannone. Vi era qualcosa <strong>di</strong> ipnotizzante nella vibrazione, e<br />
dovette quasi combattere contro l’insano impulso <strong>di</strong> fermarsi ed<br />
attendere la fine. Ma l’idea <strong>di</strong> morire per 800 luri<strong>di</strong> euro al mese in<br />
una fabbrica <strong>di</strong> rotoli <strong>di</strong> carta da cucina era talmente<br />
demoralizzante, da indurlo a continuare nella sua corsa<br />
clau<strong>di</strong>cante.<br />
Il suo interrogativo rimase sospeso nell’aria. Forse c’era davvero<br />
una creatura ancestrale imprigionata nelle viscere della terra, e le<br />
scosse che sentiva arrivare da sotto erano le conseguenze del suo<br />
sonno agitato. Presto si sarebbe svegliato e per gli uomini sarebbe<br />
stata la fine…<br />
L’intensità non era più la stessa e l’energia faticava ad emergere e<br />
vacillava, come una fiamma <strong>di</strong> candela in uno spiffero d’aria. Ma<br />
l’effetto domino era ormai incominciato. Il mostro era tornato a<br />
dormire, ma le colonne della fabbrica si erano inclinate<br />
pericolosamente e presto tutto sarebbe venuto giù. Una questione<br />
<strong>di</strong> secon<strong>di</strong>, istanti che percepì <strong>di</strong>latarsi come un elastico nelle mani<br />
27
<strong>di</strong> un bimbo. Fu in quel momento che guardò in faccia la morte.<br />
La sua vicinanza era travolgente, quasi da starne male. Tutta la vita<br />
gli passò davanti, illudendo il senso del tempo, proprio come<br />
<strong>di</strong>cevano i film. L’infanzia, la scuola, la separazione dei genitori, i<br />
giorni del liceo, Maria, il matrimonio, le bimbe, tutto in uno<br />
scampolo <strong>di</strong> secondo… poi finalmente la luce del parcheggio,<br />
mentre il tetto crollava con un fracasso assordante <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> lui.<br />
Un graffio sulla guancia. Solo un piccolo, insignificante graffio<br />
sulla guancia… ma tanta, tantissima paura.<br />
28
IL MAESTRO DEL GIOCO<br />
Gió e Toby siedono sulla panchina del parco, quello vicino al<br />
fiume, quello dove c’è il mercato al martedì e al sabato e la gente<br />
passa con le buste <strong>di</strong> plastica piene <strong>di</strong> ciarpame made in china. Giò<br />
e Toby fumano la sigaretta, perché ormai si può fumare solo fuori,<br />
sulle panchine d’inverno, coi guanti <strong>di</strong> lana bruciacchiati dai<br />
mozziconi. Maledette leggi antifumo...<br />
- Ma te ci cre<strong>di</strong> in Dio? - domanda improvvisamente Toby.<br />
Gli alberi sono privi <strong>di</strong> foglie, le siepi ingiallite, l’erba smorta.<br />
Difficile parlare <strong>di</strong> Dio in queste con<strong>di</strong>zioni.<br />
- In un certo senso… - risponde Giò, sputando una nuvola <strong>di</strong> fumo.<br />
- Come sarebbe a <strong>di</strong>re “in un certo senso”?<br />
- Credo al Maestro del Gioco, come posso spiegarti…<br />
- Il Maestro del Gioco?<br />
Piccioni svolazzano davanti alla panchina, beccano a caso, si<br />
avvicinano quietamente agli stivali <strong>di</strong> Giò. Lui rimane immobile.<br />
Li osserva. Potrebbe dar loro un calcio ma non lo fa. Continuano a<br />
beccare per un po’ e poi se ne vanno. Tutto sembra avere una<br />
ragione <strong>di</strong> essere.<br />
- Beh, mi piace chiamarlo così. Ve<strong>di</strong>, la maggior parte delle<br />
persone crede che esisti un <strong>di</strong>segno, un progetto <strong>di</strong>vino stu<strong>di</strong>ato nei<br />
minimi dettagli. Forze della natura, energie dell’universo, un<br />
vecchio con la barba e un triangolo in testa. Non importa chi o che<br />
cosa abbia creato tutto ciò, ma <strong>di</strong> sicuro non è stato un caso.<br />
La pausa serve a Giò per dare enfasi a ciò che sta per <strong>di</strong>re, la<br />
rivelazione all'enigma evocato dalle sue parole. Chi è il Maestro<br />
del Gioco?<br />
- Beh, io credo l’esatto contrario. Non esiste equilibrio migliore <strong>di</strong><br />
29
quello determinato dal caso, e siccome l’esistenza dell’intero<br />
universo si basa sull’equilibrio, sono convinto che siamo<br />
semplicemente il prodotto si una serie infinita <strong>di</strong> risultanti casuali.<br />
Il Maestro del Gioco che lancia i da<strong>di</strong> all’infinito.<br />
- Suona un po’ come l’idea bislacca <strong>di</strong> un giocatore <strong>di</strong> ruolo…<br />
- In un certo senso.<br />
La panchina è <strong>di</strong>etro le bancherelle del mercato. La gente sfila in<br />
entrambi i sensi, un flusso continuo <strong>di</strong> carne e merce. Un ven<strong>di</strong>tore<br />
ambulante urla la sua ultima offerta: tutto a cinque euro. Gli va<br />
<strong>di</strong>etro una donna, un’urlatrice migliore, con un imper<strong>di</strong>bile tre per<br />
due. Allora Giò rincomincia a parlare.<br />
- Se lanci cinque volte un dado potresti aspettarti <strong>di</strong> fare cinque<br />
volte sei. Se lo lanci <strong>di</strong>eci volte e hai molta fortuna potresti anche<br />
farne uscire sette o otto, o ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>eci, ma si tratterebbe <strong>di</strong> un<br />
caso davvero fortuito. Spesso pensiamo al caso sotto questa forma;<br />
la fortuna, la sorte. Quel tizio è morto perché così era scritto,<br />
oppure per fatalità. Se escono <strong>di</strong>eci sei consecutivi qualcuno passa<br />
col semaforo rosso e ti prende in pieno... e amen.<br />
Giò si accende un’altra sigaretta. Ne ha bisogno, se vuole finire <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>re quello che sta per <strong>di</strong>re. Gli ingranaggi vanno oliati, a volte<br />
forzati, più spesso caricati.<br />
- Ma se lanci quel dado un numero infinito <strong>di</strong> volte otterrai<br />
sicuramente un numero infinito <strong>di</strong> risultati <strong>di</strong>fferenti, da uno a sei.<br />
L’equilibrio cosmico, il <strong>di</strong>segno del Maestro del Gioco.<br />
- Ma allora il libero arbitrio? L’intento dell’uomo? La spiritualità?<br />
Il cambiamento? Tutto inutile? - ribatte Toby ancora scettico.<br />
Un vecchio passeggia con il cane, fa una pisciatina e se ne va. Il<br />
quadro è ormai completo.<br />
- Per questo credo nella filosofia dell’abbandono - decreta Giò.<br />
- An<strong>di</strong>amo a farci una birra?<br />
- Si. Questi <strong>di</strong>scorsi mettono sete, non trovi?<br />
30
PESCAIA SULL'ARNO<br />
A volte vengo quaggiù, quando le cose non vanno per il verso<br />
giusto. Ci arrivo per una stra<strong>di</strong>na che passa sotto la ferrovia, poi<br />
attraverso il tennis club, un cancellino <strong>di</strong> legno e un sentiero che<br />
scende giù dall’argine. In estate è molto bello qui, ma dopo le <strong>di</strong>eci<br />
incomincia a fare troppo caldo. Di solito sono qui alle nove, dopo<br />
il caffè. Mi fumo una sigaretta fatta da me, siedo sulle rocce<br />
sporgenti e mi perdo nei baluginii del fiume. I riflessi accecanti del<br />
sole riescono sempre a <strong>di</strong>strarmi dai miei guai.<br />
Non volevo <strong>di</strong>mostrare niente a nessuno, mi sono detto, ma<br />
mentivo. Ho lavorato quin<strong>di</strong>ci anni sottoposto dando sempre il<br />
meglio <strong>di</strong> me, ma se ne sono accorti in pochi. Con la scusa del<br />
destino si fanno le scelte più strampalate. Sono i film americani<br />
che ci fanno sognare, che ci fanno sentire monchi senza i sogni, ma<br />
per ogni sogno realizzato ve ne sono mille che vanno in fumo. Un<br />
gioco d’azzardo, ecco che cos’è questa vita…<br />
L’azienda è stata il buco nell’acqua più grosso, ma ormai il peggio<br />
è passato; sono rimasti solo gli strascichi del fallimento. Anche i<br />
cre<strong>di</strong>tori se ne stanno facendo una ragione. Mi hanno preso tutto,<br />
che non era molto, ma era comunque tutto quello che avevo.<br />
Adesso il problema è solo uno: ripartire. Gli amici mi <strong>di</strong>cono che<br />
sono ancora giovane, ma non è facile a quarantacinque anni e con<br />
la crisi in corso. Preferisco venire giù in pescaia che prendere<br />
l’autobus per andare all’ufficio <strong>di</strong> collocamento. Quando sono qui<br />
spengo anche il telefonino. Di colpo mi sento irraggiungibile,<br />
come un palloncino trascinato dal vento. Libero? Si, forse è<br />
proprio così che mi sento.<br />
L’impatto con la natura ti richiama alla realtà, quella vera, non<br />
31
quella fatta <strong>di</strong> strade e <strong>di</strong> palazzi. Non le bollette da pagare,<br />
l’assicurazione dell’auto o l’affitto. Quelli sono solo specchietti per<br />
le allodole. La realtà è qui, nel gorgoglio <strong>di</strong> un rigagnolo che si<br />
getta nel grande fiume, nello scintillio del dorso <strong>di</strong> una nutria che<br />
appare d’improvviso sulla superficie dell’acqua, nei frinii delle<br />
cicale sugli alberi. L’asfalto della città ci nasconde la verità. Ecco<br />
perché vengo quaggiù quando le cose non vanno per il verso<br />
giusto, ma appena la sigaretta finisce mi prende sempre una strana<br />
inquietu<strong>di</strong>ne. Così mi metto a cercare delle pietre piatte da far<br />
rimbalzare sull’acqua.<br />
Vado avanti finché ne trovo, poi mi decido a risalire verso casa.<br />
L’inganno ha molti veli. Scostare il primo è roba da ragazzi,<br />
rimuoverli tutti è il segreto <strong>di</strong> una vita.<br />
32
POMODORI<br />
Aglio, cipolletta e capperi soffriggevano allegramente nell’olio<br />
extravergine d’oliva. Accanto le farfalline sguazzavano nella<br />
pentola d’acqua bollente.<br />
- Allora, com’è finita con quella tipa? – chiese Guido, iniziando ad<br />
affettare i pomodori a da<strong>di</strong>ni.<br />
- Siamo <strong>di</strong>ventati amici… – spiegò Gianluca, impegnato ad aprire<br />
una bottiglia <strong>di</strong> Vernaccia.<br />
Guido alzò gli occhi dal tagliere e sorrise. – Come se fosse davvero<br />
possibile…<br />
- Perché no?<br />
- Perché te sei caruccio e lei è una bella fighetta, e vi piacete,<br />
perciò ci sono tutti gli ingre<strong>di</strong>enti per ritrovarvi sotto le lenzuola.<br />
- Tu cre<strong>di</strong>?<br />
- Bastano un paio <strong>di</strong> bicchieri in più, la giusta situazione e poi<br />
vedrai che fine fa la tua amicizia.<br />
Guido rovesciò i pomodori tagliati sul soffritto dorato, salò con<br />
cautela per via dei capperi e spezzò alcune foglie <strong>di</strong> basilico sulla<br />
salsa. Le farfalle erano quasi giunte a cottura.<br />
- Quin<strong>di</strong> non cre<strong>di</strong> che un uomo e una donna che si piacciono<br />
possano solo essere amici? – chiese Gianluca, versando il vino nei<br />
calici.<br />
Guido assaggiò il sugo sulla punta del mestolo, schioccò la lingua<br />
approvando e si volse per prendere lo scolapasta.<br />
- No, non ci credo.<br />
Eppure era così, pensò Gianluca. Con Michela non ci sarebbe stato<br />
altro, perché riusciva a vederla per quello che era, e vedeva anche<br />
molte altre cose. In verità, non aveva mai visto così chiaramente in<br />
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tutta la sua vita. Ma questo non lo <strong>di</strong>sse a Guido, che era un ottimo<br />
cuoco, ma che per certe cose aveva la sensibilità <strong>di</strong> un cane in<br />
calore.<br />
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UN UOMO TRANQUILLO<br />
Nella mia vita non ho mai tirato un cazzotto a nessuno. Non ho mai<br />
litigato per strada con uno sconosciuto, non ho mai fatto a botte per<br />
una ragazza, o allo sta<strong>di</strong>o dopo una partita andata storta. Non ho<br />
mai dato uno schiaffo ad una donna, una sberla ad un ragazzino, un<br />
calcio ad un randagio. Sono un tipo quieto, io, <strong>di</strong> quelli che<br />
preferiscono tenersi in <strong>di</strong>sparte quando l’atmosfera si fa calda, ed<br />
anche quando bevo più del solito rimango docile, anzi forse lo<br />
<strong>di</strong>vento ancora <strong>di</strong> più. Sono un tipo così, come ce ne sono tanti<br />
ormai in questo occidente narcotizzato, e ne sono stato fiero per<br />
molto tempo. Ho sempre guardato i tipi violenti dall’alto verso il<br />
basso, io che sapevo controllare le mie emozioni, impassibile<br />
davanti ad una provocazione, o forse più semplicemente incapace<br />
<strong>di</strong> reagire per paura <strong>di</strong> prenderle. Calma, <strong>di</strong>sciplina, intelligenza,<br />
cautela, tutte armi in<strong>di</strong>spensabili per evitare un naso rotto o un<br />
dente spaccato. Sono così, e se chiedete in giro tutti quelli che mi<br />
conoscono potranno confermarlo, per questo non posso fare a<br />
meno <strong>di</strong> sorridere al pensiero delle loro facce quando scopriranno<br />
quello che ho fatto…<br />
Mi piace credere che in ogni uomo vi sia un interruttore. C’è chi lo<br />
tiene in superficie, in modo che tutti possano vederlo; è un bottone<br />
rosso, con un teschio stampato sopra, e sotto vi è scritto “State<br />
attenti che se premo questo sono cazzi vostri!” Alcuni lo tengono<br />
sottopelle, pronto all’uso ma ben nascosto. Sono i tipi quieti che<br />
non bisogna fare incazzare, e devi stare attento a riconoscerli prima<br />
che sia troppo tar<strong>di</strong>. Poi ci sono quelli come me, che non sanno<br />
neanche <strong>di</strong> avere un bottone, almeno fino a quando qualcuno non<br />
va a scoprirlo, e se lo premi non sai quello che potrebbe<br />
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accadere…<br />
Ho vissuto una vita ineccepibile. Sono stato il figliol pro<strong>di</strong>go dei<br />
miei genitori, ho conseguito una laurea in tempi brevissimi e ho<br />
intrapreso imme<strong>di</strong>atamente la carriera <strong>di</strong> avvocato, con<br />
significativi risultati. Mi sono sposato prima dei trenta, ho avuto<br />
due magnifici bimbi e ho cercato <strong>di</strong> essere il miglior padre e marito<br />
possibile, ritagliando dagli assidui impegni <strong>di</strong> lavoro, ogni volta<br />
che ho potuto, un po’ <strong>di</strong> tempo da de<strong>di</strong>care alla mia famiglia. Ho<br />
accu<strong>di</strong>to mia moglie nei mesi della sua malattia, le sono stato<br />
accanto nei momenti più <strong>di</strong>fficili, e niente mi ha reso più felice <strong>di</strong><br />
vederla superare quella terribile prova. Ho assistito a tutte le gare<br />
<strong>di</strong> nuoto del mio bambino e, per due anni, ogni venerdì<br />
pomeriggio, ho lasciato l’ufficio in anticipo per accompagnare la<br />
mia bimba alle lezioni <strong>di</strong> violino. Non ho mai pensato ad altre<br />
donne, desiderato un’altra vita, avuto rimorsi <strong>di</strong> alcun genere. Sono<br />
stato felice per trentotto lunghi anni, fino al giorno in cui è entrato<br />
nella mia vita un uomo che mi ha portato via tutto.<br />
Mi piace chiamarlo “il santone”, perché per mesi me lo sono<br />
immaginato come uno <strong>di</strong> quei finti maghi che danno i numeri da<br />
giocare al lotto. Il giorno che me lo sono ritrovato davanti, in<br />
giacca, cravatta e mocassini marroni, mi è scappato da ridere. Ma<br />
ho riso per poco, perché avevo altro a cui pensare…<br />
Mia moglie non è mai riuscita a superare psicologicamente la<br />
malattia. L’idea che potesse tornarle il cancro la terrorizzava, così<br />
aveva incominciato a vedere alcuni terapisti, con risultati all’inizio<br />
incoraggianti, ma che a lungo termine sembravano portarla sempre<br />
più lontana da se stessa. Infatti pareva aver acquisito una certa<br />
<strong>di</strong>pendenza nel cercare conforto da chi ci sapeva fare con le parole.<br />
Fu in questo contesto che apparve nella nostra vita il santone.<br />
Lei ne fu entusiasta fin dal primo incontro. Le chiedevo che tipo <strong>di</strong><br />
terapia praticava, ma lei rimaneva sul vago… <strong>di</strong>ceva soltanto che<br />
le parlava e la sua paura si <strong>di</strong>ssolveva, semplicemente. L’aveva<br />
contattato tramite una sua amica che da anni praticava yoga e<br />
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me<strong>di</strong>tazione. Già dopo un paio <strong>di</strong> sedute rivelai dei cambiamenti in<br />
positivo, perciò in principio fui contento <strong>di</strong> questa sua nuova<br />
strada. L’estate era alle porte e mi auguravo <strong>di</strong> poter finalmente<br />
organizzare una bella vacanza tutti insieme da qualche parte<br />
all’estero, magari in Spagna. Erano due anni che rimanevamo<br />
forzatamente in città, dato che lei non se la sentiva <strong>di</strong> allontanarsi<br />
troppo dall’ospedale.<br />
Una sera come le altre, al tavolo <strong>di</strong> cucina, con una cotoletta, un<br />
piatto <strong>di</strong> verdure e mezzo bicchiere <strong>di</strong> vino davanti, il brusio del<br />
televisore in sottofondo e i bimbi sul <strong>di</strong>vano lontani abbastanza<br />
dalle nostre chiacchiere, mi arrivò addosso la valanga.<br />
Avete già capito, no? Lei e il santone, certo… come accade anche<br />
nel più banale sceneggiato televisivo, <strong>di</strong> quelli che per anni hanno<br />
<strong>di</strong>storto il significato dell’amore, degradandolo ad un banale<br />
impulso emotivo. Il colpo <strong>di</strong> fulmine, il segno del destino, l’amore<br />
senza regole e senza perché… all we need is love!<br />
Bene, torniamo a questo punto alla storia dell’interruttore…<br />
Nonostante la tragica sequenza <strong>di</strong> eventi, lei che se ne va ad abitare<br />
con lui e si porta <strong>di</strong>etro i miei figli, io che non riesco più a<br />
concentrarmi sul lavoro e perdo molti dei miei clienti,<br />
l’esaurimento nervoso che mi costringe a casa per due mesi e i<br />
primi ed inevitabili problemi economici, non ero ancora<br />
consapevole dell’esistenza del mio interruttore. Stavo male, avevo<br />
molta rabbia dentro, ma rimanevo calmo come al solito, docile<br />
come un agnellino. Forse sarei rimasto per sempre così, ed è<br />
probabile che pian piano le cose si sarebbero assestate, come<br />
succede un po’ a tutti coloro la cui vita viene improvvisamente<br />
scossa da eventi simili, se non fosse stato per l’occhio nero che lei<br />
cercò <strong>di</strong>speratamente <strong>di</strong> nascondere, un giorno in cui accompagnò i<br />
bambini a trascorrere il pomeriggio da me.<br />
Fermò l’auto davanti a casa per farli scendere, ma io stavo uscendo<br />
perché volevo portarli in città, perciò mi avvicinai e lei se ne<br />
accorse troppo tar<strong>di</strong>, ma lo stesso indossò velocemente gli occhiali<br />
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da sole per evitare <strong>di</strong> farmi vedere quel cerchio viola. Io mi bloccai<br />
sul marciapie<strong>di</strong>, colpito da un fulmine al ciel sereno, mentre la sua<br />
auto veniva risucchiata dal traffico, e in quell’istante ci fu il click.<br />
“Tac!”, fu proprio così che lo percepii.<br />
Improvvisamente l’aria acquisì un sapore nuovo, più freddo ed<br />
inebriante. La testa venne sgombrata da pensieri inutili, da<br />
problemi privi ormai <strong>di</strong> alcuna urgenza. Di colpo ero <strong>di</strong>ventato<br />
all’erta, e sapevo esattamente cosa avrei dovuto fare.<br />
Portai i ragazzi in città, andammo a visitare alcuni negozi, loro<br />
comprarono due cd ed io invece avevo bisogno <strong>di</strong> un martello<br />
nuovo e <strong>di</strong> un buon cacciavite a stella. Loro mi guardarono stupiti,<br />
ma io li rassicurai <strong>di</strong>cendo che ne avevo un bisogno <strong>di</strong>sperato…<br />
dovevo fare dei lavori <strong>di</strong> ristrutturazione. Più tar<strong>di</strong> li<br />
riaccompagnai all’appartamento che mia moglie con<strong>di</strong>videva ormai<br />
da alcuni mesi con il santone. Dopo averli salutati, rientrai in auto<br />
ed attesi. Le ore passarono veloci, nonostante tutto. L’interruttore<br />
aveva azionato il pilota automatico, non so se mi spiego…<br />
Lui uscii <strong>di</strong> casa dopo le <strong>di</strong>eci. Come ho già detto, indossava<br />
giacca, cravatta e mocassini marroni. Non prese l’auto ma proseguì<br />
a pie<strong>di</strong> fino alla fine dell’isolato, poi svoltò in una strada<br />
secondaria che a quell’ora era praticamente deserta. Io lo seguii a<br />
fari spenti col motore al minimo.<br />
Com’è che <strong>di</strong>ce quel detto? La fortuna aiuta gli impavi<strong>di</strong>… E in<br />
quell’istante, nel momento e nel luogo migliore, lui decise <strong>di</strong><br />
attraversare la strada, <strong>di</strong>strattamente come si fa spesso, portandosi<br />
alla bocca una sigaretta e cercando <strong>di</strong> accenderla. Il mio piede<br />
scattò sull’acceleratore con la prontezza <strong>di</strong> un pilota <strong>di</strong> formula<br />
uno. Bum!<br />
Pregai <strong>di</strong> non averlo ucciso… non così velocemente, e un <strong>di</strong>o<br />
malvagio deve avermi ascoltato. Scesi velocemente dall’auto e<br />
aprii il bagagliaio della famigliare, ampio abbastanza per adagiare<br />
il corpo privo <strong>di</strong> sensi della mia vittima. Poi tornai al volante e in<br />
assoluta tranquillità attraversai la città, fino alla periferia<br />
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industriale ed oltre, deve incominciano i campi. Imboccai uno<br />
sterrato e lo seguii per almeno trecento metri, poi spensi il motore<br />
e scesi dall’auto per assicurarmi <strong>di</strong> essere abbastanza al sicuro. Le<br />
uniche luci visibili erano quelle <strong>di</strong> alcune case molto <strong>di</strong>stanti e<br />
quelle dei lampioni della strada percorsa alle mie spalle, appena<br />
<strong>di</strong>stinguibili nella nebbia notturna che incominciava a formarsi.<br />
Così accesi i fari, afferrai gli utensili appena acquistati e iniziai a<br />
lavorare…<br />
Trascinai il corpo del santone, ancora privo <strong>di</strong> sensi, davanti ai<br />
fasci <strong>di</strong> luce. Lui si rianimò un poco; aveva un sopracciglio rotto,<br />
forse qualche costola spezzata, poca roba in confronto a quello che<br />
gli aspettava. Gli parlai della mia vita perfetta, mentre col<br />
cacciavite provai ad avvitare improbabili viti dentro i suoi orecchi.<br />
Gli <strong>di</strong>ssi <strong>di</strong> quanto ero fiero dei progressi <strong>di</strong> mia figlia con il<br />
violino, mentre con un curioso “blop” estraevo dall’orbita il suo<br />
occhio sinistro. Provai a fargli capire che cosa significa stare<br />
accanto alla donna che si ama quando i veleni della chemioterapia<br />
la fanno piegare in due dal dolore e vomitare anche l’anima, e nel<br />
far questo il solito cacciavite si fece strada nella narice destra, più<br />
su, sempre più su, fino a toccare qualcosa <strong>di</strong> molliccio… ma lo<br />
spettacolo non poteva finire così presto.<br />
Rimase desto, nonostante la schiuma che fuoriusciva dalle labbra<br />
sanguinolente e le urla che gettava inutilmente per i campi deserti.<br />
Era giunto il tempo <strong>di</strong> spiegargli che cosa era la famiglia, un<br />
concetto a lui completamente oscuro, e nel fare ciò afferrai il<br />
martello, poggiai le sue mani sul cofano della mia auto e iniziai dal<br />
più piccolo, “bam!”, e poi anulare, me<strong>di</strong>o, in<strong>di</strong>ce, pollice, e ancora<br />
l’altra mano. Le urla continuarono inutilmente e si mischiarono alle<br />
mie parole, che rimasero sempre perfettamente lucide.<br />
Crollò sul pietrisco della strada, il volto coperto <strong>di</strong> sangue. Provò a<br />
<strong>di</strong>re qualcosa, ma gli uscì solo un rantolo, però fu sufficiente<br />
perché mi accorgessi <strong>di</strong> quelle due splen<strong>di</strong>de file <strong>di</strong> denti,<br />
impeccabili come tutto il resto; la giacca, la cravatta, i mocassini…<br />
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Col martello descrissi un colpo netto, preciso, che aprì una<br />
voragine in quella dannata dentatura.<br />
Fu allora che m’implorò <strong>di</strong> farla finita, anche se le parole gli<br />
vennero strane con quella popò <strong>di</strong> finestra in bocca. Beh, doveva<br />
essermi rimasto ancora un filo <strong>di</strong> pietà dentro, così iniziai a<br />
tempestare la sua testa <strong>di</strong> colpi e presto non si mosse più, ma<br />
questo non mi fermò. Credo <strong>di</strong> averci messo una mezz’ora buona a<br />
finire il lavoro…<br />
L’interruttore deve essersi spento da solo, o forse si sono esaurite<br />
le batterie, non saprei. Sono rimasto dentro l’auto fino alle prime<br />
luci del giorno, immobile, con le mani lorde <strong>di</strong> sangue e la<br />
coscienza pulita. Quando i raggi del sole hanno incominciato ad<br />
illuminare lo scempio davanti al cofano, ho afferrato il cellulare<br />
per chiamare il 113.<br />
Ero <strong>di</strong> nuovo calmo, sereno, come lo sono sempre stato. Un uomo<br />
tranquillo, niente <strong>di</strong> più.<br />
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IL DELTA DEL FIUME<br />
Il mio racconto nasce in una notte calda d'estate, una <strong>di</strong> quelle notti<br />
che non ti lasciano dormire. Le finestre sono spalancate, le<br />
lenzuola mi proteggono dal rumore delle zanzare e delle altre<br />
orrende creature dell'oscurità. Ci sono altri suoni, ma non è facile<br />
riconoscerli: un motore in lontananza, il lamento <strong>di</strong> una bestia, la<br />
risacca della notte. Non è mai completamente buio in queste notti.<br />
Le stelle sono maledettamente più accese, la luna pulsa <strong>di</strong> una luce<br />
non più riflessa; è la lampada <strong>di</strong> un viaggiatore notturno senza<br />
meta, e il suo bagliore accarezza ogni cosa, ammorbandola.<br />
Non riesco più a sopportare il contatto col cotone, il bagnato del<br />
sudore, l'odore inevitabile <strong>di</strong> lei che continua a far parte delle mie<br />
notti, anche se in realtà lei non esiste più. L'acqua e il sapone non<br />
sono riusciti a mandar via il suo profumo, e vaneggio che ormai<br />
solo il fuoco possa spezzare questa male<strong>di</strong>zione. Lei era il tempo<br />
che non passa, la nebbia che protegge, la velocità che libera, il<br />
fiume che rifluisce. Lei era mia, pericolosamente mia...<br />
Seduto sul bordo del letto, ho la certezza che non dormirò più.<br />
Afferro il vino rimasto sul tavolo e provo a tirare il sipario sui<br />
ricor<strong>di</strong> che la notte richiama. Sono ore che ci provo, ma non serve<br />
a niente. Così mi alzo, mi copro minimamente ed esco fuori.<br />
Accendo una sigaretta, cammino a pie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong> sul marciapiede<br />
ancora caldo, guardo avanti in automatico. La città è un deserto. È<br />
morta così, come quando incomincia a piovere e c'è il sole. Guar<strong>di</strong><br />
in alto e ve<strong>di</strong> che il cielo sopra <strong>di</strong> te è limpido, e non sai spiegarne<br />
il perché. Perché?<br />
Un'auto mi abbaglia e mi sorpassa. Vedo la gente al suo interno<br />
che mi osserva. Chissà cosa riesce a vedere <strong>di</strong> me? Follia? Non<br />
41
ancora, ma sono su quella strada, lo sento.<br />
Era una mattina come le altre, troppo simile alle altre. Avevo fatto<br />
il caffè, ma non era un granché. Lei si era spremuta due arance ed<br />
era contenta. Mangiava una mela e mi guardava fare le boccacce<br />
mentre sorseggiavo la mia droga. Era una cosa normale, succedeva<br />
sempre, eppure quell'ultima volta è rimasta scolpita nei miei sogni.<br />
E continuo a riviverla, notte dopo notte, nella luce ammalata della<br />
luna.<br />
Mi concentro sulla sensazione dei miei pie<strong>di</strong> sull'asfalto, un tocco<br />
proibito e innaturale che riporta alla mente una canzone...<br />
"...And when you're alone please take care<br />
Don't go walking after dark<br />
Shine a light behind the stair<br />
Remember what might be in there...<br />
...Because my love is true, give my best to you<br />
Don't forget me dear!”<br />
Così <strong>di</strong>vento un vulcano in eruzione. Non copro con le mani il mio<br />
volto che si <strong>di</strong>storce. Non smetto <strong>di</strong> camminare, lascio fare tutto ai<br />
miei fantasmi, e loro sanno fare bene il loro lavoro.<br />
Gemiti che <strong>di</strong>ventano singhiozzi, lacrime cal<strong>di</strong>ssime che straripano<br />
sulle guance. Le mucose s’ingrossano, la gola freme e poi lascia<br />
entrare il dolore. Il respiro è smorzato, oppresso.<br />
E mi auguro <strong>di</strong> essere finalmente arrivato al delta <strong>di</strong> questo fiume<br />
<strong>di</strong> dolore.<br />
42
IL BOSCO DEI SUICIDI<br />
La casa dove sono nato <strong>di</strong>stava meno <strong>di</strong> un chilometro dalle<br />
propaggini della vecchia foresta, quella che si arrampica sulla<br />
montagna e che i nonni <strong>di</strong>cevano che fosse stregata, ma da<br />
bambino ci andavo regolarmente con gli amici nelle giornate<br />
torride <strong>di</strong> luglio, perché anche se appena una manciata <strong>di</strong> passi<br />
dopo l’ultima zona asfaltata <strong>di</strong>ventava subito fitta e contorta, quello<br />
era l’unico luogo in cui ci si poteva rinfrescare un po’. Noi<br />
ragazzetti non ci addentravamo mai abbastanza da perdere <strong>di</strong> vista<br />
la strada, ma lo starci dentro anche solo ai margini ci dava i brivi<strong>di</strong><br />
che cercavamo. Respiravamo l’odore del muschio, dell’humus e <strong>di</strong><br />
qualche antica magia che era penetrata nella terra, come le ra<strong>di</strong>ci<br />
degli alberi centenari che la abitavano. La vecchia foresta, è così<br />
che si chiamava allora, come nei libri <strong>di</strong> favole e nelle storie dei<br />
cartoni animati, anche se gli adulti quando dovevano nominarla<br />
omettevano sempre l’aggettivo, per non sembrare strambi, o<br />
superstiziosi, perciò solo gli anziani e i bambini la chiamavano<br />
così. Oggi quel nome senza storia, banale epiteto coniato dal<br />
popolo, è stato scalzato da un appellativo molto più accattivante,<br />
che ogni anno richiama migliaia <strong>di</strong> turisti dai macabri gusti. Il<br />
“Bosco dei Suici<strong>di</strong>”, in<strong>di</strong>ca la mappa che vende la stazione <strong>di</strong><br />
rifornimento sulla statale che aggira la montagna, e con solo tre<br />
euro e cinquanta ti puoi portare a casa l’opuscolo illustrato con la<br />
storia della foresta maledetta, dove i giovani depressi accorrano da<br />
tutto il paese per togliersi la vita. Su internet un sito molto accurato<br />
e regolarmente aggiornato si occupa dei centosettantatré decessi<br />
avvenuti negli ultimi <strong>di</strong>eci anni all’ombra delle chiome <strong>di</strong> querce e<br />
tigli, con numerose gallery fotografiche che fanno letteralmente<br />
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accapponare la pelle. In breve tempo la nostra ridente citta<strong>di</strong>na,<br />
grazie agli strani rituali <strong>di</strong> morte avuti luogo all’interno della<br />
suddetta foresta, è <strong>di</strong>venuta una vera e propria attrazione turistica.<br />
Sono sorti due nuovi pub, un albergo e tre ristoranti, oltre ad alcuni<br />
piccoli negozietti <strong>di</strong> souvenir dove si possono acquistare i gadget<br />
più curiosi, dalle classiche bolle <strong>di</strong> vetro con la neve, che<br />
scuotendole fanno nevicare su una riproduzione in miniatura della<br />
foresta, ai vendutissimi portachiavi a forma <strong>di</strong> cappio con nodo<br />
scorsoio. È infatti risaputo che la maggior parte dei suici<strong>di</strong><br />
avvengano per impiccagione, che si <strong>di</strong>ce essere la tecnica meno<br />
dolorosa, anche se non si sa bene perché dato che chi l’ha provata<br />
non ne ha potuto lasciare testimonianza.<br />
Quella vecchia casa esiste ancora, anche se i miei genitori non ci<br />
vivono più. Tre anni fa ho acquistato per loro un bel cottage nel<br />
paese d’origine <strong>di</strong> mio padre, una villettina in collina che era<br />
sempre stata il sogno del mio vecchio. Con una punta <strong>di</strong> orgoglio,<br />
me lo immagino ogni giorno a sorseggiare il suo caffè sulla se<strong>di</strong>a<br />
del porticato dal quale si domina tutta la valle. Si, devo <strong>di</strong>re che mi<br />
sono levato qualche sod<strong>di</strong>sfazione negli ultimi tempi. È così che<br />
succede quando gli affari girano per il verso giusto. I pub, l’albergo<br />
e due dei ristoranti <strong>di</strong> cui vi <strong>di</strong>cevo sono infatti <strong>di</strong> mia proprietà,<br />
oltre ad altre piccole imprese, e modestamente credo <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>re<br />
che in città nessuno o quasi può vantare un fatturato annuo pari al<br />
mio. L’ultimo passo è la la nomina <strong>di</strong> sindaco, che sicuramente non<br />
mi sfuggirà alle prossime elezioni comunali.<br />
Oh, si… ho sempre avuto un fiuto particolare per gli affari, fin da<br />
quando da piccolo, <strong>di</strong> ritorno da scuola, facevo il giro <strong>di</strong>etro il<br />
supermercato dove sapevo che gli impiegati dell’ufficio postale<br />
sostavano per il pranzo e spesso lasciavano i vuoti a rendere delle<br />
loro bibite. Io li raccoglievo e tiravo su qualche monetina, non per<br />
il gusto <strong>di</strong> spendermela, cosa che succedeva <strong>di</strong> rado, ma perché il<br />
constatare <strong>di</strong> avere un qualche vantaggio sugli altri, un’idea in più<br />
magari, mi dava un’inebriante senso <strong>di</strong> sicurezza. Ed è proprio<br />
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grazie a questa mia particolare attitu<strong>di</strong>ne che mi venne l’idea del<br />
Bosco dei Suici<strong>di</strong>.<br />
All’epoca lavoravo come colonnista per il giornale locale e mi<br />
occupavo <strong>di</strong> una rubrica spazzatura che riguardava il<br />
soprannaturale. Il lavoro, che veniva pagato una miseria, me lo<br />
aveva trovato il mio insegnante <strong>di</strong> lettere a cui stavo<br />
particolarmente simpatico. Il giornale veniva lasciato<br />
gratuitamente alle fermate degli autobus, alla stazione dei treni e in<br />
<strong>di</strong>versi punti della città, perciò aveva una tiratura <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />
migliaia <strong>di</strong> copie. Fu in quel riquadro in basso a sinistra, una<br />
finestra <strong>di</strong> una manciata <strong>di</strong> righe appena, che nacque la leggenda<br />
del Bosco dei Suici<strong>di</strong>. Il caso volle che Priscilla, una ragazza <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>ciassette anni <strong>di</strong> un paese vicino, avesse deciso <strong>di</strong> togliersi la vita<br />
ingoiando un intero flacone <strong>di</strong> Seconal nella sua tenda da campo,<br />
che aveva innalzato in un pomeriggio estivo al limitare della<br />
vecchia foresta. Il decesso avvenne appena tre giorni dopo quello<br />
<strong>di</strong> un suo compagno <strong>di</strong> classe, che si era impiccato ad un albero nel<br />
medesimo punto. I due avevano avuto una relazione e le ragioni <strong>di</strong><br />
quei due atti scellerati erano da ricercare nel loro tribolante<br />
rapporto. L’occasione era troppo ghiotta per farsela sfuggire,<br />
perciò coniai il nuovo nome e il <strong>di</strong>rettore del giornale, entusiasta <strong>di</strong><br />
quella mia idea, m’incaricò <strong>di</strong> scrivere l’articolo <strong>di</strong> prima pagina<br />
per il giorno successivo, nel quale riversai tutto il mio insano<br />
desiderio <strong>di</strong> provocare i lettori.<br />
La cronaca regionale raccolse al volo la notizia e la fece rimbalzare<br />
poi sui quoti<strong>di</strong>ani nazionali. In pochi giorni la leggenda del Bosco<br />
dei Suici<strong>di</strong> si era consolidata, ma perché non facesse la fine <strong>di</strong> tutte<br />
le altre notizie <strong>di</strong> cronaca avrebbe avuto bisogno <strong>di</strong> un aiutino. Fu<br />
così che lanciai il sito.<br />
Le storie le presi qua e là nei libri <strong>di</strong> miti e leggende regionali, ma<br />
la maggior parte le inventai <strong>di</strong> sana pianta. Grazie al giornale per<br />
cui lavoravo ebbi la possibilità <strong>di</strong> conoscere molti dettagli sui due<br />
suici<strong>di</strong>, e possedevo inoltre le copie dei files delle foto scattate in<br />
45
loco. Sul sito compilai le schede dettagliate dei due ragazzi, che<br />
ancora oggi sono tra le pagine più visitate <strong>di</strong> tutto l’archivio<br />
virtuale, poi aggiunsi un sacco <strong>di</strong> roba che c’entrava poco o nulla<br />
con il reale svolgimento dei fatti: spiriti dei boschi, tra<strong>di</strong>zioni<br />
in<strong>di</strong>ane, trattati <strong>di</strong> psicologia. Aggiunsi svariati link che si<br />
occupavano <strong>di</strong> suici<strong>di</strong> <strong>di</strong> gruppo, suici<strong>di</strong> programmati e suici<strong>di</strong><br />
rituali. Arrivai perfino a scrivere sotto pseudonimo il “manuale del<br />
perfetto suicida”, che a oggi è stato scaricato da più <strong>di</strong> un milione<br />
<strong>di</strong> utenti. Senza mai <strong>di</strong>chiararlo apertamente, riuscii a trasmettere il<br />
messaggio che mi premeva far passare, e ben presto gli aspiranti<br />
suici<strong>di</strong> del paese seppero che non esisteva posto più romantico al<br />
mondo <strong>di</strong> quel bosco per esalare l’ultimo respiro. La leggenda<br />
<strong>di</strong>venne ben presto verità appurata, come succede sempre più<br />
spesso.<br />
Ovviamente adesso non ho più tempo per occuparmi del sito, che<br />
continua ad attrarre tantissima gente e che è anche la più affidabile<br />
guida turistica del paese, ma ho alcuni ragazzi che lo fanno per me.<br />
Io devo occuparmi delle mie aziende, dei miei <strong>di</strong>pendenti e<br />
soprattutto dei miei ospiti. Il tour guidato attraverso il bosco parte<br />
alle otto e mezza del mattino; 9 euro e cinquanta a persona, ed è<br />
inclusa anche la merenda a sacco!<br />
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IL NATALE RITROVATO<br />
Quel natale Stefano non l’avrebbe passato a casa con i suoi, non<br />
dopo gli ultimi litigi con suo fratello, e le urla <strong>di</strong> sua madre che<br />
ancora facevano vibrare i bicchieri della tavola imban<strong>di</strong>ta per la<br />
cena della vigilia. Il pandoro era rimasto intatto nel suo involucro<br />
<strong>di</strong> plastica, con lo zucchero a velo che penetrava lentamente dentro<br />
la sua superficie oleosa. Suo padre se n’era andato appena suo<br />
fratello Giacomo era uscito dal bagno, con i segni dell’ultimo<br />
sballo chimico <strong>di</strong>pinti sul volto. Non sopportava <strong>di</strong> vederlo in<br />
quelle con<strong>di</strong>zioni, così se la svignava, convinto <strong>di</strong> averne il <strong>di</strong>ritto.<br />
Sua madre invece faceva finta <strong>di</strong> nulla. Non riusciva ad accettare il<br />
fatto che il suo primogenito si facesse <strong>di</strong> eroina e non tollerava che<br />
il figlio più piccolo le ricordasse puntualmente quel dramma. Ma<br />
come poteva Stefano rimanere impassibile davanti alle ri<strong>di</strong>coli<br />
posizioni che suo fratello assumeva a tavola, il volto sporto in<br />
avanti con le palpebre abbassate, la sigaretta piena <strong>di</strong> cenere stretta<br />
tra le <strong>di</strong>ta e un rivolo <strong>di</strong> bava che gli colava dalla bocca<br />
semiaperta… “È solo stanco…” spiegava la mamma, sforzandosi<br />
<strong>di</strong> sorridere. “No, sono io stanco….” pensava Stefano. “Stanco <strong>di</strong><br />
fare parte <strong>di</strong> questa comme<strong>di</strong>a! Ma questo natale non mi avrete…”<br />
Doveva uscire, scappare, trovare un buco in cui rifugiarsi per non<br />
pensare. Ma dove? E soprattutto con chi? Era la sera della vigilia,<br />
con un tempo da lupi e neanche uno scampolo <strong>di</strong> programma.<br />
Eppure era sicuro <strong>di</strong> una cosa: non era il solo a pensarla così <strong>di</strong><br />
quel natale.<br />
Agguantò la cornetta e <strong>di</strong>gitò il primo numero che gli venne in<br />
mente. I genitori <strong>di</strong> Gabriele avevano un piccolo appartamento<br />
sull’appennino. Due ore <strong>di</strong> macchina e sarebbero stati lontani da<br />
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tutto, città, famiglie e messe <strong>di</strong> mezzanotte. - Pronto Gabri, ciao…<br />
senti, io non ce la faccio stasera. Ho bisogno <strong>di</strong> andar via…. Pensi<br />
<strong>di</strong> poterti far dare le chiavi <strong>di</strong> Gaggio?<br />
- Vai tranquillo, ne ho fatta una copia. Non si accorgeranno <strong>di</strong><br />
nulla. Sono troppo presi dai loro affari… Passa quando vuoi, sono<br />
pronto.<br />
A loro si unirono Cesare e Mimmo, ognuno con i suoi problemi e<br />
un minimo bagaglio nello zaino. - Ho fregato una bottiglia <strong>di</strong><br />
grappa dalle scorte del vecchio - affermò entusiasta Cesare,<br />
prendendo posto sul se<strong>di</strong>le posteriore della uno bianca.<br />
- Io invece ho un paio <strong>di</strong> bottiglie <strong>di</strong> birra.. - aggiunse Mimmo,<br />
sedendosi accanto. - Ma domani come facciamo? I negozi sono<br />
chiusi…<br />
- Qualcosa ci inventiamo, vai tranquillo. L’importante è andar via<br />
da questo casino… - <strong>di</strong>sse Stefano, ingranando la marcia.<br />
A <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> venti anni da quel natale, ognuno <strong>di</strong> quei quattro<br />
amici continua a ricordare quell’episo<strong>di</strong>o come un momento <strong>di</strong><br />
grande festa, questo perché lontano dalle loro famiglie erano<br />
riusciti ad afferrare il vero significato della tra<strong>di</strong>zione natalizia,<br />
ovvero lo stare insieme alle persone care.<br />
I quattro amici, nel fuggire il natale, lo avevano ritrovato.<br />
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IL SEGRETO È NEL RESPIRO<br />
Calma… calma…<br />
Il segreto sta nel respiro. Uno alla volta, inspirare profondamente,<br />
gli occhi chiusi magari, tenere l’aria nei polmoni, in quello stato <strong>di</strong><br />
apnea che ricorda un po’ il volare, contare fino a tre e poi<br />
lentamente espirare, sollevando leggermente le palpebre, emulando<br />
una specie <strong>di</strong> rinascita. Ecco, adesso le parole che hai appena<br />
sentito non ti sembrano più così cattive, anzi. Hai appena scoperto<br />
che le parole non sono state la causa del dolore che hai provato, e<br />
non puoi neanche incolpare chi te le ha dette. Il solo responsabile<br />
della stoccata che ti ha perforato il cuore sei tu, sono le tue<br />
convinzioni, il tuo modo <strong>di</strong> pensare. Perché dovresti soffrire per gli<br />
errori <strong>di</strong> altri? Come puoi lasciare che la tua vita venga<br />
con<strong>di</strong>zionata da questa persona che ti sta davanti? Alza gli occhi<br />
adesso e guardala… si, hai vissuto sotto lo stesso tetto con lei per<br />
molti anni, hai con<strong>di</strong>viso gioie, dolori, sofferenze e meraviglie, hai<br />
intrapreso insieme a lei svariate strade e conquistato moltissimi<br />
obiettivi. Con lei hai creato una vita nuova, hai progettato piccoli<br />
mon<strong>di</strong>, pensando ad ogni minimo dettaglio. Hai fatto promesse, ti<br />
sei fidato, hai avvinghiato la tua vita alla sua come un boa<br />
constrictor si attorciglia al ramo <strong>di</strong> un albero, e ci sei rimasto<br />
annodato.<br />
Allora continua a respirare, sciogli i muscoli delle mani, sgombra<br />
la tua mente dai cattivi pensieri e guarda… guarda finalmente la<br />
realtà. Osserva la bellezza oltre la figura che ti sta <strong>di</strong> fronte, un<br />
universo pronto a <strong>di</strong>spiegarsi ai tuoi occhi. Hai visto come la luce<br />
si deposita sulle chiome degli alberi? Hai notato il brusio leggero<br />
degli uccelli che riescono a farsi sentire anche tra i rumori metallici<br />
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della città? E questo profumo, che cos’è? Ma certo, è l’odore del<br />
pane appena sfornato.<br />
Si, insieme a tutto questo c’è anche lei, con gli occhi pieni <strong>di</strong><br />
lacrime e <strong>di</strong> sensi <strong>di</strong> colpa. Cre<strong>di</strong> che riesca a vedere tutto quello<br />
che ve<strong>di</strong> te? Cre<strong>di</strong> che se ci riuscisse avrebbe fatto e detto quelle<br />
cose?<br />
Respira ancora… lo senti? Lo senti come l’o<strong>di</strong>o si scioglie al sole<br />
della verità e <strong>di</strong>venta compassione?<br />
Eccolo, proprio quello mi aspettavo da te. Un sorriso, come un<br />
raggio <strong>di</strong> sole che spezza la tempesta. Mostra quel sorriso, portalo<br />
come un vessillo e permettigli <strong>di</strong> contagiare la gente che incontri.<br />
No, lei non è ancora pronta, ma forse un giorno lo sarà. Ma <strong>di</strong><br />
questo non te ne devi crucciare. Hai altre cose a cui pensare,<br />
adesso che la realtà ti si è rivelata. Perché è questa la realtà, non<br />
quella in cui hai creduto finora, fatta <strong>di</strong> legami, <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenze, <strong>di</strong><br />
ricerca estenuante <strong>di</strong> piacere, approvazione, affetto, attenzione…<br />
no, niente <strong>di</strong> tutto questo. La realtà è qui, adesso, nel profumo del<br />
pane e nei bagliori sugli alberi, al <strong>di</strong> là del dolore <strong>di</strong> una parola che<br />
ferisce solo nel tuo orecchio, e oltre il significato <strong>di</strong> un gesto <strong>di</strong> cui<br />
non sei responsabile.<br />
Hai capito adesso? Eccolo lì quello che credevi <strong>di</strong> aver perso. Sei<br />
vuoi puoi continuare a giocare con le parole, a chiamare le cose per<br />
i nomi che ti stanno più simpatici; Amore è solo un suono<br />
composto da tre sillabe, e se proprio ti piace usarlo, usalo pure, ma<br />
non ti fare più ingannare dall’Amore <strong>di</strong> zucchero filato e nastrini<br />
che viene venduto dalla TV. No, quello è solo desiderio, passione,<br />
<strong>di</strong>pendenza, ed inevitabilmente sofferenza. L’Amore quello vero lo<br />
hai appena trovato, ed è sempre stato con te.<br />
Ora capisci?<br />
Puoi tornare a respirare normalmente.<br />
E adesso che hai finalmente aperto gli occhi, mi raccomando; non<br />
tornare più nell’oblio.<br />
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SULLA CASSIA<br />
Paolo non era un motociclista, cioè non <strong>di</strong> quelli fissati che non si<br />
perdono neanche un motorshow. Gli piaceva andare in moto,<br />
questo si, ma non cercava né l’ebbrezza della velocità, né<br />
l’appartenenza ad un circolo <strong>di</strong> amatori. Aveva una vecchia Moto<br />
Guzzi e ne andava fiero. A chi gli <strong>di</strong>ceva “perché non lo cambi<br />
quel catorcio!” lui rispondeva perentorio “perché mi piace”, ed<br />
erano tre parole semplici ma che spiegavano tutto.<br />
Giacchetto <strong>di</strong> pelle, casco aperto, occhiali da sole e il vento in<br />
faccia; così i suoi amici continuano a ricordarlo. Quando le<br />
giornate iniziavano storte prendeva la Cassia e la seguiva fino al<br />
lago Bolsena. C’è un pezzo <strong>di</strong> quella strada che ha un qualcosa <strong>di</strong><br />
surreale. Si trova proprio sul confine tra la Toscana e il Lazio. Te<br />
ne accorgi quando lo percorri d’estate, con la natura che soffre le<br />
pene del solleone, i girasoli che svettano fieri sopra i campi e i letti<br />
dei fiumiciattoli secchi che si screpolano come le superfici <strong>di</strong><br />
remoti pianeti. Sono una ventina <strong>di</strong> chilometri in cui non c’è<br />
praticamente nulla, a parte una galleria, un <strong>di</strong>stributore <strong>di</strong> benzina e<br />
qualche isolata fabbrichetta. Su quel tratto Paolo osava un po’ <strong>di</strong><br />
più, dava gas e arrivava a centoventi, centoquaranta all’ora, ma mai<br />
oltre. Gli piaceva sentire il vento sulla faccia, quello caldo <strong>di</strong><br />
agosto che profuma quasi sempre <strong>di</strong> mare.<br />
A Bolsena si faceva un panino, guardava il lago e <strong>di</strong> solito le cose<br />
andavano già un po’ meglio. Poi il caffè, la sigaretta, e via <strong>di</strong><br />
nuovo verso nord, verso quella Firenze che non gli era mai piaciuta<br />
e che forse gli sarebbe sempre calzata stretta.<br />
Quel camionista entrò in carreggiata senza guardare. Una<br />
sbadataggine, forse un riflesso accecante del sole <strong>di</strong> mezzogiorno,<br />
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oppure fu il caldo, la fretta, o chissà. L’ultimo pensiero <strong>di</strong> Paolo fu<br />
d’incredulità; “che <strong>di</strong>avolo sta facendo quello!”.<br />
Poi fu buio.<br />
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NUVOLE DI PASSAGGIO<br />
Ero rimasto tutto il pomeriggio a sorseggiare vino e a fotografare<br />
nuvole, con la voce del mio vecchio che dall’altro mondo mi<br />
ammoniva <strong>di</strong>cendomi che invece <strong>di</strong> perder tempo avrei dovuto fare<br />
qualcosa <strong>di</strong> costruttivo, tipo aiutare mio fratello a risanare i conti<br />
dell’azienda che ci aveva lasciato in ere<strong>di</strong>tà, oppure rimboccarmi le<br />
maniche e dare una mano agli operai in fabbrica, o al limite<br />
trovarmi una donna, magari ricca, e sistemarmi una volta per tutte.<br />
Insomma, anche da morto quel povero cristo tornava ad assillarmi<br />
con le solite menate, come se non fosse stato abbastanza chiaro<br />
durante i nostri innumerevoli scontri aperti, e mia madre che dalla<br />
cucina faceva finta <strong>di</strong> non sentire, per poi consolarmi in segreto<br />
con un panino al prosciutto e una Ceres ghiacciata come piaceva a<br />
me. È stata lei a salvarmi da questa macchina infernale, e gliene<br />
sarò eternamente grato…<br />
Le nuvole <strong>di</strong> passaggio sono una vera e propria figata. Fotografarle<br />
non è <strong>di</strong> certo un’idea geniale, ci aveva già pensato Stiglitz negli<br />
anni trenta, perciò sono in ritardo <strong>di</strong> quasi un secolo, ma quando le<br />
si riguarda sullo schermo fanno sempre un bell’effetto e mi<br />
ricordano che anche noi come loro siamo solo <strong>di</strong> passaggio. È<br />
anche vero che noi possiamo sempre osteggiare i venti e trovare le<br />
nostre rotte, ma quanti uomini riescono ancora a convincersi <strong>di</strong> non<br />
essere in balia delle correnti? Io ci provo, nel mio piccolo… ma<br />
dopo il secondo bicchiere le sfumature prendono il sopravvento,<br />
conducendomi davanti alla solita scelta; avrò ancora bisogno <strong>di</strong><br />
confini oppure sono finalmente pronto a prendere il largo?<br />
Mi hanno dato dell’ubriacone ma chi lo ha detto aveva più malizia<br />
che ragione. Posso arrivare al terzo bicchiere, anzi ci arrivo molto<br />
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spesso, ma poi mi fermo sempre, perché o<strong>di</strong>o le conseguenze della<br />
sbornia, e non sopporto quando il piacere <strong>di</strong> un leggero<br />
galleggiamento si trasforma in un volo sfrenato e fuori controllo.<br />
Due giorni fa mio fratello Gaetano, impeccabile nel suo completo<br />
da ufficio, mi ha accusato <strong>di</strong> non essere né carne né pesce.<br />
“Almeno se devi fare il barbone fallo come si deve, invece neanche<br />
lì riesci a deciderti!” ha sbraitato, dopo avermi chiesto con la sua<br />
solita arroganza <strong>di</strong> portare dei documenti dall’avvocato <strong>di</strong> famiglia.<br />
Io sono rimasto fermo, col bicchiere in mano e il sole in faccia, e in<br />
un modo a <strong>di</strong>r poco perverso mi è <strong>di</strong>spiaciuto per lui, piccolo uomo<br />
del terzo millennio convinto che esista un solo modo per fare lo<br />
sfaccendato… questo suo bisogno <strong>di</strong> categorie, ruoli, funzioni,<br />
etichette mi mette i brivi<strong>di</strong>. Fancazzista <strong>di</strong> professione, oppure<br />
“pastore <strong>di</strong> nuvole”, un termine che mi si ad<strong>di</strong>ce perfettamente.<br />
“E dai, fai qualcosa… portami questi fogli!”<br />
“No Gaetano, non posso proprio. Non lo ve<strong>di</strong> che devo star <strong>di</strong>etro a<br />
tutte queste nuvole… se mi scappassero dal cielo sarebbe un bel<br />
guaio!”<br />
A lui la battuta non è piaciuta, io invece l’ho trovata<br />
particolarmente astuta.<br />
Papà se ne veniva sempre fuori con la storia della moglie ricca,<br />
perché il figlio più piccolo è un po’ pigro ma le donne lo trovano<br />
affascinante, complice quel ciuffo sbarazzino e quella sua<br />
sicumera, o forse semplicemente perché le donne hanno tutte<br />
un’innata e malsana inclinazione per i ragazzi sbagliati. Ecco come<br />
entrò Laura nella mia vita, un incontro organizzato dalle famiglie<br />
più ricche del paesino, come succedeva nel me<strong>di</strong>oevo.<br />
Decisamente più interessante il modo in cui la ragazzina dagli<br />
occhi timi<strong>di</strong> e dai riccioli d’oro alla Candy Candy uscì dalla mia<br />
vita.<br />
“Laura, <strong>di</strong>ciamocelo sinceramente, io e te non funzioneremo<br />
mai…” le <strong>di</strong>ssi quel giorno assolato, mentre lei si riagganciava il<br />
reggiseno al bordo del mio letto. Mi aspettavo una reazione più<br />
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movimentata, invece lei scoppiò in un pianto frenetico, che riuscii<br />
a calmare solo dopo averla ingannata nuovamente con il solito<br />
cocktail <strong>di</strong> parole dolci e sesso orale. Mi ci vollero una decina <strong>di</strong><br />
sedute terapeutiche della stessa specie per mettere finalmente la<br />
giusta <strong>di</strong>stanza tra noi.<br />
Ed eccola là, la piccola Laura, una nuvola <strong>di</strong> passaggio che adesso<br />
viaggia insieme ad Antonio, meno ricco <strong>di</strong> me ma sempre un<br />
bell’affare.<br />
Sorseggio il terzo bicchiere (ve lo <strong>di</strong>cevo che si arrivava a tre!) e<br />
continuo a cercare nel cielo la mia nuvola. Dove si sarà nascosta…<br />
Forse è quella laggiù, più scura delle altre, e pronta a piangersi<br />
addosso.<br />
E che male ci sarebbe! Dopotutto le nuvole servono proprio a<br />
questo.<br />
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VIA DEL QUERCIONE<br />
L’avevano chiamata Via del Quercione perché un tempo vi<br />
cresceva un’enorme quercia all’angolo con la statale, ma ormai <strong>di</strong><br />
quell’imponente albero che usava ombreggiare gran parte della<br />
strada che tagliava in due la collina, non rimaneva altro che un<br />
tronco mozzato alla base, e le ra<strong>di</strong>ci che ancora deformavano<br />
l’asfalto nei pressi dell’incrocio. La gente locale ricorda ancora un<br />
grande temporale estivo <strong>di</strong> molti anni fa, ed il fracasso che si alzò<br />
sopra la pioggia battente, quando un fulmine si abbatté sulla<br />
quercia tagliandola nel mezzo come farebbe una lama rovente con<br />
una candelina <strong>di</strong> compleanno. La chioma dell’albero avvampò<br />
precipitando sulla carreggiata, e per due giorni gli automobilisti<br />
furono costretti ad allungare <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci chilometri i loro abituali<br />
tragitti.<br />
Io non ho mai visto quella quercia. La prima volta che imboccai<br />
Via del Quercione avevo se<strong>di</strong>ci anni e il temporale che la uccise<br />
faceva già parte degli sfocati ricor<strong>di</strong> degli abitanti della collina.<br />
Dopo appena una trentina <strong>di</strong> metri <strong>di</strong> asfalto, la strada si<br />
trasformava in sterrata e proseguiva costeggiando sulla destra i<br />
campi dei conta<strong>di</strong>ni, mentre a sinistra c’era un boschetto <strong>di</strong><br />
semprever<strong>di</strong> che apparteneva a una villetta quasi totalmente<br />
nascosta dai cipressi. Oltre i campi c’era la vallata e oltre ancora le<br />
colline sullo sfondo del cielo d’occidente, perfetto teatrino per i<br />
tramonti settembrini. Nelle giornate buone, profumate d’autunno<br />
ma ancora piene <strong>di</strong> tepore estivo, la raggiungevo in motorino fino<br />
all’inizio dello sterrato, per proseguire poi a pie<strong>di</strong> fin dove si<br />
perdeva, un chilometro più avanti, dopo la curva dell’ultima casa.<br />
Laggiù l’erba alta ed i rovi prendevano il sopravvento, ma si<br />
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poteva sempre intuire la <strong>di</strong>rezione del sentiero, che più avanti<br />
<strong>di</strong>scendeva repentinamente verso un ruscello. Una volta mi ero<br />
spinto sino al corso d’acqua, solo per curiosità, ma non c’era<br />
davvero niente laggiù per cui valesse la pena rischiare <strong>di</strong> infangarsi<br />
le scarpe. No, l’unica attrazione <strong>di</strong> Via del Quercione erano quei<br />
quattro o cinquecento metri <strong>di</strong> stra<strong>di</strong>na davanti alla valle, col sole<br />
rosso in faccia che lentamente scivolava <strong>di</strong>etro le colline,<br />
accendendo il cielo <strong>di</strong> ocra e <strong>di</strong> vermiglione.<br />
Un giorno d’ottobre, mentre ripercorrevo quella strada all’in<strong>di</strong>etro<br />
per tornare al mio motorino, feci uno strano incontro. Mi era<br />
capitato a volte, anche se abbastanza <strong>di</strong> rado, <strong>di</strong> incrociare qualche<br />
trattore <strong>di</strong> ritorno dai campi, ma mai una persona a pie<strong>di</strong>. Era<br />
giovane, praticamente mio coetaneo, e mi assomigliava, anche se<br />
in un modo che non saprei descrivere. Non nell’aspetto, dato che<br />
era biondo e con i lineamenti aggraziati, quasi femminei,<br />
completamente <strong>di</strong>versi dai miei. Non nel modo <strong>di</strong> vestire, o <strong>di</strong><br />
camminare, ma in qualcosa <strong>di</strong> molto più sottile, <strong>di</strong>ciamo pure <strong>di</strong><br />
più intimo. Incrociandolo provai imme<strong>di</strong>atamente la sensazione <strong>di</strong><br />
conoscerlo. Lui mi salutò garbatamente con un sorriso, ed io <strong>di</strong><br />
rimando gli feci un cenno con la mano, ma nessuno dei due <strong>di</strong>sse<br />
niente. Poi tornai al mio motorino e lui alla sua passeggiata.<br />
Qualche giorno dopo il tempo si ruppe, come si <strong>di</strong>ce dalle mie<br />
parti, e non vi furono altre occasioni per godersi uno degli<br />
strepitosi tramonti <strong>di</strong> Via del Quercione. Passò un anno e verso la<br />
fine dell’estate successiva decisi <strong>di</strong> lasciare per un po’ la città,<br />
anche se mi trovavo in una fase della mia vita meno romantica del<br />
solito. Però i miei avevano litigato ferocemente ed avevo bisogno<br />
<strong>di</strong> starmene un po’ alla larga, così salii sulle colline per la<br />
passeggiata rituale. L’aria era davvero magnifica. Due giorni prima<br />
c’era stato un temporale coi fiocchi e la temperatura era<br />
piacevolmente scesa sui venticinque gra<strong>di</strong>, sancendo così la fine <strong>di</strong><br />
una delle estati più torride dell’ultimo decennio. In città l’aria<br />
continuava a ristagnare nei viali invasi dal traffico, ma sulle colline<br />
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si stava d’incanto.<br />
Iniziai a camminare lentamente respirando a pieni polmoni le<br />
flebili brezze profumate <strong>di</strong> paglia e <strong>di</strong> pini. Sul campo alla mia<br />
destra avevano già incominciato ad arrotolare il fieno in enormi<br />
ballini che nella <strong>di</strong>stanza sembravano le ruote <strong>di</strong> mastodontici<br />
carri. L’aria frizzantina, il sole in faccia e il ritmico e cadenzato<br />
movimento dei miei passi, mi regalarono subito una sensazione <strong>di</strong><br />
tranquillità. Sulla via del ritorno, le preoccupazioni per i recenti<br />
<strong>di</strong>ssapori famigliari si erano ormai <strong>di</strong>ssipate. Fu allora che rivi<strong>di</strong> il<br />
ragazzo.<br />
Il mio cuore sussultò. Come poteva essere, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> quasi un<br />
anno, ritrovarlo nello stesso punto. Sembrava che avessi riavvolto<br />
il nastro della mia passata esperienza e la rivivessi al rallentatore.<br />
Le gambe facevano fatica a sorreggermi, ma continuai a<br />
camminare incontro a quella figura che, contro ogni probabilità,<br />
era vestita esattamente come quel giorno <strong>di</strong> ottobre <strong>di</strong> un anno<br />
prima. Continuava a sorridermi, come la prima volta, ma ciò non<br />
mi rassicurò per niente. Dovevo sapere se mi aveva riconosciuto<br />
anche lui, così gli andai incontro e mi fermai a un paio <strong>di</strong> metri <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>stanza. Lui si fermò con il solito sorriso stampato sul volto.<br />
- Scusa, tu eri qui anche un anno fa… – provai a <strong>di</strong>re, pur non<br />
sapendo dove volessi andare a parare. Lui rimase impassibile,<br />
come se non mi avesse u<strong>di</strong>to.<br />
- Ehi, mi senti? – chiesi io, ma lui nulla. Rimaneva immobile<br />
davanti a me, col sorriso sulle labbra. La luce del vespro svaniva<br />
rapidamente e una brezza meno amichevole delle altre, soffiò sul<br />
sudore che mi appiccicava la maglietta alla schiena, regalandomi<br />
un brivido <strong>di</strong> freddo. Ero sul punto <strong>di</strong> <strong>di</strong>re qualcos’altro, ma un<br />
riflesso, oppure un gioco <strong>di</strong> luci ed ombre, o più probabilmente la<br />
mia immaginazione, mi fece salire un nodo alla gola. Per un attimo<br />
mi sembrò <strong>di</strong> vedere attraverso la figura del ragazzo, quasi fosse<br />
un’immagine proiettata, come in quel famoso film <strong>di</strong> fantascienza.<br />
Qualcosa mi <strong>di</strong>ceva che se non mi fossi mosso saremmo rimasti lì<br />
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fino a notte, ed era l’ultima cosa che volevo. Abbassai lo sguardo,<br />
feci piazza pulita <strong>di</strong> ogni pensiero dalla mia testa, anche se il cuore<br />
mi correva nel petto come un indemoniato, e lentamente mossi<br />
alcuni passi. Con la coda dell’occhio vi<strong>di</strong> che anche il ragazzo<br />
aveva ripreso a camminare, ma non osai girarmi. Vi gettai <strong>di</strong><br />
sfuggita lo sguardo solo quando raggiunsi finalmente il motorino.<br />
Era quasi arrivato in fondo alla strada, laddove iniziava il sentiero.<br />
Per me poteva bastare, così misi in moto e sfrecciai via, grato che<br />
il crepuscolo mi regalasse ancora alcuni minuti <strong>di</strong> penombra.<br />
Non tornai più in Via del Quercione. Non per paura, anche se il<br />
pensiero <strong>di</strong> rivivere quell’incontro mi turbava, ma perché pochi<br />
giorni dopo questa mia avventura molte cose nella mia vita<br />
cambiarono. I miei si separarono ed io andai a vivere con mia<br />
madre e mia nonna, dall’altra parte della città, perciò cambiai<br />
scuola, amici ed abitu<strong>di</strong>ni. Anche se superficialmente mi convinsi<br />
che il mio incontro non aveva niente <strong>di</strong> bizzarro, nonostante la<br />
strana coincidenza e l’abbaglio che mi era preso guardando quel<br />
ragazzo da vicino, qualcosa che tenni soppresso per molto tempo<br />
continuò ad abitarmi, quasi fosse consapevole del fatto che un<br />
giorno sarebbe arrivato il tempo <strong>di</strong> fare <strong>di</strong> nuovo i conti con questa<br />
strana faccenda. E quel giorno è finalmente arrivato.<br />
Sono passati vent’anni da quel tramonto settembrino. Tre sere fa,<br />
mentre me ne tornavo a casa nella mia nuova città, lontana duemila<br />
chilometri da quella nativa, ho incontrato nuovamente il mio<br />
amico. Era esattamente come me lo ricordavo; la stessa frangia<br />
bionda, gli stessi occhi azzurri, lo stesso portamento, e<br />
naturalmente non era invecchiato <strong>di</strong> un singolo giorno.<br />
Stranamente questa volta non ho sussultato. Era come se me<br />
l’aspettassi… un altro grande cambiamento stava arrivando.<br />
La casa è vuota, la pioggia batte, perché dove abito adesso<br />
l’autunno arriva prima. Il silenzio mi ricorda l’angoscia <strong>di</strong> questa<br />
mia nuova con<strong>di</strong>zione. Mia moglie mi ha lasciato e il piccolo<br />
Matteo se n’è andato insieme a lei. Le cose non andavano bene tra<br />
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noi ormai da <strong>di</strong>verso tempo, forse da troppo tempo… É arrivato il<br />
tempo <strong>di</strong> reinventarmi la vita, ma non ne ho più tanta voglia.<br />
Vorrei solo dormire, e sognare Via del Quercione, provare a<br />
rimettere tutto a posto, fare scelte <strong>di</strong>verse, prendere strade più<br />
sicure, come un baro che conosce tutti i trucchi per vincere la<br />
partita. Ma la partita è finita, e questa volta ho perso tutta la posta<br />
in gioco.<br />
Se giocherò ancora? Per forza… che altro dovrei fare! E forse il<br />
mio amico tornerà <strong>di</strong> nuovo a trovarmi, per avvertirmi che il gioco<br />
è finito e che qualcosa <strong>di</strong> nuovo mi sta aspettando. Perché per<br />
quanto gli eventi siano esaustivi, solo la tua coscienza potrà<br />
convincerti della fine <strong>di</strong> un amore. Puoi fare finta <strong>di</strong> niente, ma<br />
tutto inevitabilmente passa, anche se qualcosa rimane per sempre,<br />
da qualche parte dentro al cuore.<br />
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L’UOMO ALBERO<br />
L’uomo albero aveva occhi profon<strong>di</strong> come lo stagno dal quale si<br />
abbeverava, grazie alle sue lunghe e nodose ra<strong>di</strong>ci che da secoli<br />
penetravano la terra <strong>di</strong> quella foresta. Uscì fuori nella sua forma <strong>di</strong><br />
uomo da una macchia <strong>di</strong> rovi, leggero come una foglia, mi sorrise e<br />
si accomodò su una panchina, al lato del sentiero. Indossava<br />
pantaloni <strong>di</strong> jeans e una giacca marrone a coste.<br />
– Ti vedo spesso passare <strong>di</strong> qua – mi <strong>di</strong>sse, un sorriso come un<br />
taglio nella pelle rugosa che ricordava la dura corteccia.<br />
- Si, è vero. Vengo qui a cercare le giuste domande – risposi, le<br />
mani in tasca e il naso all’erta.<br />
- E scommetto che le risposte le sai già.<br />
- Le risposte mi hanno sempre interessato meno delle domande…<br />
Il sole venne oscurato da una nuvola. La tramontana si alzò. Un<br />
brivido percorse la mia schiena, ma cercai e trovai il coraggio <strong>di</strong><br />
continuare quell'incontro.<br />
- È già tempo <strong>di</strong> dare al vento le mie foglie, – constatò l’uomo<br />
albero.<br />
- La cosa ti rattrista?<br />
- E perché dovrebbe? Torneranno in primavera, più ver<strong>di</strong> che mai.<br />
La superficie dello stagno increspata dal vento, il lamento <strong>di</strong> un<br />
corvo, un tuono in lontananza. E poi il profumo <strong>di</strong> pioggia, la<br />
carezza elettrica <strong>di</strong> una brezza, lo squittio <strong>di</strong> un animale, tutte cose<br />
che facevano fremere le mie appen<strong>di</strong>ci.<br />
- Ma davvero ritorna tutto? – chiesi, pensando all’inverno.<br />
- È una delle tue domande?<br />
- Beh, si…<br />
L’uomo albero si passò una mano tra i capelli, grigi e ritti come un<br />
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cespuglio <strong>di</strong> rovi, continuò a sorridere e rispose: – Prima o poi…<br />
Tutto ritorna…<br />
Ma per i miei gusti, anche quella risposta poteva aspettare.<br />
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IL NUOVO SPETTACOLO<br />
A volte può prenderti così; ti lasci andare completamente, per<br />
ritrovarti sempre davanti allo schermo bianco, con il cursore che<br />
lampeggia impaziente in alto a destra. Potrei pensare che sia tutta<br />
colpa dei fili che ci uniscono, una forza incontrollabile che mi<br />
spinge a comunicare, a provare a capire e spiegare. Me li<br />
immagino questi fili lunghissimi e sottili, sopra le nostre teste, da<br />
una parte all’altra della città e del continente. Non è nuova<br />
tecnologia... ci sono sempre stati.<br />
A volte riescono a toccarsi. Spesso si rompono. Quando riescono<br />
ad intrecciarsi bene formano delle corde più salde, correndo<br />
sempre sopra le nostre teste. Quando ne sento il bisogno provo ad<br />
allungarmi ed afferrarne uno. “Riuscirà a sorreggermi?” mi chiedo.<br />
Ho sentito T stasera. Gli ho mandato un messaggio perchè erano<br />
sei mesi che non sentivo la sua voce. Mi ha chiamato subito dopo.<br />
- Ciao G, che bello risentirti...<br />
- Maledetto, dove ti eri cacciato?<br />
- Un po’ a giro, sai. Sto organizzando una mostra fuori, e poi altre<br />
cosine. Non ho avuto tempo neanche per respirare in questi ultimi<br />
mesi.<br />
- Me lo immagino. Ho visto due bozze degli ultimi tuoi lavori,<br />
quelli che hai lasciato da N, sai? Notevoli davvero. Soggetti un po’<br />
pesanti, alla vecchia maniera...<br />
- Si, ho voglia <strong>di</strong> tornare alle prime cose, raschiare un po’ il<br />
pentolone dei bozzetti.<br />
- Già! Le vecchie storie che non muoiono mai...<br />
- Eh si, lo hai detto!<br />
- Ma ci sei per il fine settimana? Che ne <strong>di</strong>ci <strong>di</strong> andare da qualche<br />
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parte a farci una bevuta?<br />
- Mi piacerebbe un sacco davvero, ma devo tornare via. Sai, per la<br />
mostra…<br />
- Ho capito. Beh, allora sentiamoci presto, okay? Aspetto tue<br />
notizie...<br />
Ma so che non sentirò la voce <strong>di</strong> T fino alla prossima mia<br />
chiamata. I fili esistono ancora ma gli intrecci si sono sciolti.<br />
Succede, a volte...<br />
Esco. È notte. L’aria è quella frizzante <strong>di</strong> settembre. I rumori della<br />
campagna vicina sono i sussurri <strong>di</strong> storie antiche.<br />
Un suono. È il rumore <strong>di</strong> un treno in lontananza, una voce<br />
fascinosa che mi ricorda quei viaggi <strong>di</strong> un tempo. Erano viaggi<br />
<strong>di</strong>versi, brevi ma lontani. Oggi atterro dall’altra parte del<br />
continente e non mi sembra neanche <strong>di</strong> essermi mosso da casa. A<br />
volte anche a pie<strong>di</strong> coprivamo <strong>di</strong>stanze inimmaginabili. Il segreto<br />
era varcare quelle porte.<br />
Le porte...<br />
Nella notte <strong>di</strong> settembre scendo al fiume. Raccolgo dei sassi<br />
mentre cammino perché so che non ce ne saranno più in là. Sono<br />
<strong>di</strong>ventato un uomo previdente, ma ho perso qualcosa. Un tempo<br />
sarei arrivato al fiume a mani vuote, ma guardandomi in giro avrei<br />
trovato quelle pietre che desideravo gettare. Non so perché, ma le<br />
avrei trovate.<br />
Sulla superficie del fiume ci sono i riflessi dei lampioni. Gioco a<br />
colpirli con i sassi e loro mi regalano delle onde luminose. Mi<br />
giunge anche un suono grazioso: “gluc”. Lo conosco. Mi piace.<br />
Starei seduto per ore ad ascoltarlo.<br />
Ripenso alla conversazione <strong>di</strong> stamattina col mio capo.<br />
- Non è che non mi interessa, è che in questo momento non me la<br />
sento.<br />
- Non te la senti? Ma come? Ti propongo un’occasione come<br />
questa e mi <strong>di</strong>ci che non te la senti? Credevo che ne saresti stato<br />
più che felice...<br />
64
- Beh, forse un paio <strong>di</strong> mesi fa, ma adesso non so…<br />
- Cosa non sai? Cazzo, adesso mi metti in <strong>di</strong>fficoltà G. Cioè,<br />
credevo che avresti accettato al volo e mi ero organizzato <strong>di</strong><br />
conseguenza. Adesso che cazzo faccio?<br />
- Non so cosa <strong>di</strong>rti, davvero. È che ho bisogno proprio <strong>di</strong> tutt’altro<br />
in questo momento. Anzi, avrei bisogno <strong>di</strong> qualche giorno <strong>di</strong> ferie.<br />
- Ad<strong>di</strong>rittura! Allora sei messo veramente male. Quando sei entrato<br />
ti dovevamo mandare a casa con la forza, e adesso mi vieni a<br />
chiedere le vacanze anticipate.<br />
- Si, lo so, ma è un periodo strano...<br />
- Sai cosa ti <strong>di</strong>co? Pren<strong>di</strong>ti una settimana. Rilassati. Hai solo le pile<br />
scariche. Vedrai che quando torni starai meglio.<br />
No, non starò meglio.<br />
Questa e la fine <strong>di</strong> qualcosa, lo sento. Sono i titoli <strong>di</strong> coda, o forse è<br />
già l’intervallo tra uno spettacolo e l’altro. La musica è soffusa, le<br />
luci sono accese e la gente è al bar a prendere da bere, ma io non<br />
ho la minima idea <strong>di</strong> come sia finito il film.<br />
Tra le mani mi ritrovo una pietra piatta. Cerco <strong>di</strong> farla saltare<br />
sull’acqua. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… No, erano solo<br />
cinque.<br />
Si cerca sempre <strong>di</strong> fare qualcosa <strong>di</strong> più, <strong>di</strong> essere più bravi degli<br />
altri. È tutta una rincorsa, e ripren<strong>di</strong> fiato solo nell’intervallo. In<br />
quel breve momento ti fai una bevuta, tiri un respiro e poi riparti.<br />
Ma non provare a domandarti cosa stai rincorrendo, altrimenti<br />
rimpiangerai il prezzo del biglietto.<br />
Mi accendo un sigaretta. Mi piace vederla consumarsi <strong>di</strong> rosso<br />
mentre aspiro la sua mortale nicotina. Mi piace il fumo grigio che<br />
sprigiona nella notte. Mi piace quel suo gusto denso e stordente.<br />
Credo che il piacere più grande sia quello <strong>di</strong> sapermi ancora<br />
sopravvissuto a lei, che ormai è già una cicca tra le mie mani.<br />
Siamo pronti per il nuovo spettacolo?<br />
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L'ULTIMO NATALE<br />
Il bambino chiese al padre del Natale. Ne aveva sentito parlare a<br />
scuola da un curioso professore <strong>di</strong> storia che la sapeva lunga, e<br />
quando lui aveva alzato la mano per chiedergli che cosa fosse, il<br />
maestro aveva scrollato le spalle e liquidato la questione <strong>di</strong>cendo<br />
che era qualcosa <strong>di</strong> assolutamente inutile che usavano fare gli<br />
Antichi.<br />
Il bambino aveva sentito molto parlare degli Antichi, quelli che<br />
avevano i computer, le televisioni, le auto super veloci, gli<br />
aeroplani e le partite <strong>di</strong> calcio, tutte cose ormai scomparse da<br />
svariati secoli. Alcuni ne parlavano bene, ma la maggior parte della<br />
gente li considerava dei selvaggi, corrotti fino all’osso da una<br />
vecchia malattia che veniva chiamata “materialismo”. C’erano<br />
voluti gran<strong>di</strong> sacrifici e terribili guerre per sra<strong>di</strong>care questa terribile<br />
male<strong>di</strong>zione dell’uomo, ma alla fine la gente era tornata a vivere<br />
serenamente come usava fare quando il mondo era giovane, a<br />
contatto con la natura e in reciproca fratellanza. Certo, non era un<br />
mondo proprio perfetto. C’era ancora chi si ribellava, chi<br />
desiderava <strong>di</strong> più <strong>di</strong> quello che aveva, chi si sentiva infelice, ma i<br />
saggi delle gran<strong>di</strong> città erano sicuri che le cose andavano molto<br />
meglio <strong>di</strong> prima e non perdevano occasione per ripeterlo alla gente.<br />
Era il 24 <strong>di</strong>cembre e la neve cadeva abbondante da quasi due ore,<br />
tanto che il giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> casa era completamente coperto da una<br />
can<strong>di</strong>da trapunta bianca. Il padre, sprofondato nella poltrona<br />
accanto al caminetto acceso, guardò il figlio da oltre il bordo del<br />
libro che stava leggendo.<br />
- Chi ti ha parlato del Natale? – chiese, strizzando le due fessure<br />
cespugliose che aveva per occhi.<br />
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- Oh, nessuno. Ne ha solo accennato il professore <strong>di</strong> storia<br />
stamattina. Volevo saperne <strong>di</strong> più, ma lui mi ha risposto che non<br />
era importante, però a me la curiosità è rimasta... – rispose il<br />
bimbo, mettendosi a sedere sul tappeto davanti all’imponente<br />
figura paterna. Intuiva che presto gli avrebbe raccontato una delle<br />
sue favolose storie, ed infatti non rimase deluso.<br />
Messo da parte il libro, l’uomo si sistemò meglio sulla poltrona ed<br />
elargì al figlio uno sguardo penetrante che gli mise addosso un po’<br />
<strong>di</strong> paura. Poi, sciogliendo con un mezzo sorriso i suoi timori, <strong>di</strong>sse:<br />
– Bene, bene, bene… è arrivata l’ora che tu conosca una vecchia<br />
storia che la nostra famiglia ha tramandato per generazioni e<br />
riguarda giustappunto questo fantomatico Natale. Stai bene attento<br />
però, non tutto ciò che ti <strong>di</strong>rò corrisponde a verità, ma non te ne<br />
dolere. Dalle storie non bisogna sempre e solo prendere la verità,<br />
ma solo quello che veramente ti necessita. Una storia è sempre un<br />
dono…<br />
Intanto fuori l’improvvisa nevicata si era trasformata in una vera<br />
tempesta.<br />
- Ve<strong>di</strong>, il Natale era una festa che veniva celebrata tutti gli anni<br />
all’inizio dell’inverno, precisamente il 25 <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre, cioè<br />
domani. Era una festa religiosa, legata al cristianesimo, un antico<br />
culto degli uomini che per oltre duemila anni ha causato dolore,<br />
infelicità e numerose guerre. Negli ultimi decenni della civiltà<br />
degli Antichi, il Natale si era trasformato in una ricorrenza<br />
prettamente commerciale, volta a sod<strong>di</strong>sfare le esigenze del<br />
materialismo, altra grande afflizione dell’uomo. All’indomani<br />
dell’ultima grande rivoluzione che scosse il vecchio mondo, questa<br />
festività, insieme a molti altri costumi in uso fino ad allora, venne<br />
ban<strong>di</strong>ta e col tempo la gente si è completamente <strong>di</strong>menticata della<br />
sua esistenza.<br />
Io stesso non ne sapevo niente fino a quando un giorno, il 24<br />
<strong>di</strong>cembre <strong>di</strong> molti anni fa, mio padre mi raccontò <strong>di</strong> un antico<br />
<strong>di</strong>ario tramandato dalla nostra famiglia. Lo ve<strong>di</strong> quel vecchio libro<br />
67
ilegato in cuoio che sta su quello scaffale lassù? – chiese il padre<br />
in<strong>di</strong>cando un punto nella libreria del salotto.<br />
Il bambino volse lo sguardo e lo vide, forse per la prima volta in<br />
tanti anni, o forse lo aveva visto già un milione <strong>di</strong> volte ma non<br />
l’aveva mai notato.<br />
- Apparteneva al tuo trisavolo e descrive gli eventi della grande<br />
rivoluzione. Vai a prenderlo – lo incoraggiò il padre, e lui,<br />
alzandosi <strong>di</strong> scatto, andò verso la libreria e con estrema delicatezza<br />
sfilò dallo scaffale quel piccolo tomo che doveva essere molto più<br />
antico <strong>di</strong> tutti gli altri libri. Con altrettanta delicatezza lo porse al<br />
padre che attendeva sulla poltrona.<br />
- Eccolo qua… – sussurrò, rigirando l’oggetto tra le mani. Poi, con<br />
<strong>di</strong>ta abili, ne aprì la copertina e iniziò a sfogliare delicatamente le<br />
pagine totalmente ingiallite e ricoperte da una calligrafia minuta e<br />
sottile. Si fermò a circa tre quarti del libro, mormorando qualcosa<br />
tra le labbra come se volesse esprimere la sua sod<strong>di</strong>sfazione.<br />
– Ecco, ne parla proprio qui… ascolta adesso. – E quando iniziò a<br />
leggere da quel <strong>di</strong>ario la sua voce sembrò trasformarsi come quella<br />
<strong>di</strong> un ventriloquo. Il bambino, anche se aveva u<strong>di</strong>to molte volte<br />
quella magia vocale, ne rimase <strong>di</strong> nuovo stupefatto.<br />
“Le cose stanno per cambiare, nessuno ormai ne dubita più. Anche<br />
le televisioni hanno smesso <strong>di</strong> ignorare le gran<strong>di</strong> rivoluzioni che si<br />
riversano in ogni parte del paese. Neppure in questo giorno <strong>di</strong><br />
festa, <strong>di</strong> cui ormai nessuno più si ricorda, la gente riesce a<br />
fermarsi. Qualcosa <strong>di</strong> grande ci aspetta, il cambiamento tanto<br />
sperato, tanto voluto dal popolo e per il quale il popolo ha<br />
combattuto per tutti questi anni. Eppure oggi l’unica cosa che<br />
desidero è starmene a casa insieme alla mia famiglia. Per un<br />
giorno lascerò le strade e rimarrò tra queste mura,<br />
<strong>di</strong>menticandomi dei combattimenti e della guerra che sta<br />
sconvolgendo le nostre vite. Non abbiamo molto da mangiare, ma<br />
non è importante. Ho trovato una vecchia scatola <strong>di</strong> addobbi<br />
68
natalizi su in soffitta, e un piccolo alberello <strong>di</strong> plastica che forse<br />
apparteneva ai miei genitori, quando erano giovani. Ebbene si, lo<br />
confesso, ho fatto l’albero <strong>di</strong> Natale. Lo abbiamo fatto insieme, io<br />
e mia figlia Giada, mentre mia moglie Tullia era in cucina ad<br />
inventarsi un pranzo degno <strong>di</strong> questa festa. Chissà quante persone<br />
ancora lo festeggiano, questo Natale pazzo, mi chiedo… per la<br />
maggior parte dei combattenti è solo una delle tante<br />
manifestazioni ipocrite del vecchio mondo, quello destinato a<br />
crollare, eppure non posso fare a meno <strong>di</strong> aggrapparmi a quei<br />
ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> fanciullo, io insieme ai miei genitori e i miei due fratelli.<br />
Non per la questione dei regali, che erano comunque uno spasso,<br />
ma per l’atmosfera, l’odore, il sapore <strong>di</strong> quel giorno speciale. Mio<br />
padre metteva sempre del jazz per Natale, i classici <strong>di</strong> Nina<br />
Simone o Frank Sinatra, perché secondo lui non c’era musica<br />
migliore per quel periodo dell’anno. Mia madre rimaneva a<br />
dormire fino a tar<strong>di</strong> e poi ci chiamava su in camera e ci invitava<br />
nel letto a vedere i cartoni <strong>di</strong> Walt Disney, mentre mio padre<br />
preparava il pranzo. Poi c’erano le lucine, il caminetto, il torrone,<br />
l’odore <strong>di</strong> zenzero, lo spumante, il panettone e la passeggiata nel<br />
pomeriggio, per andare a trovare gli amici. C’erano gli zii che<br />
portavano dei regali strambi ma sempre <strong>di</strong>vertenti, e poi la sera,<br />
dopo cena, ci riunivamo attorno al tavolo del salotto ed insieme a<br />
papà giocavamo al gioco del labirinto o a quello degli esploratori.<br />
Questo era il mio Natale, per molti anni, o forse lo è stato solo per<br />
pochi, ma quando sei piccolo il tempo si <strong>di</strong>lata, perde significato,<br />
ed è così che certe cose rimangono immutate, nonostante le guerre<br />
e le rivoluzioni. Così ho voluto fare un piccolo regalo alle mie due<br />
ragazze. Per Tullia ho comprato un paio <strong>di</strong> orecchini, una cosa<br />
piccola da bigiotteria, ma molto carina. A Giada ho preso una<br />
bambola, semplice, fatta a mano, come quelle <strong>di</strong> un tempo.<br />
Fuori il cielo è bianco e a volte si sentono delle esplosioni. Forse<br />
stanotte nevicherà… Perché manca solo un sipario <strong>di</strong> neve a<br />
suggellare questo magico giorno, e forse sarà davvero il nostro<br />
69
ultimo Natale…”<br />
La voce del padre si spense e il crepitio del camino tornò ad essere<br />
l’unico suono presente nella stanza. Fuori il mondo era un vortice<br />
<strong>di</strong> can<strong>di</strong><strong>di</strong> fiocchi impazziti.<br />
- Dev’essere stato bello allora, questo Natale – esclamò il figlio,<br />
guardando il padre con due occhi spalancati e lucenti.<br />
- Si, figlio mio, penso proprio <strong>di</strong> si… – rispose il padre, perdendosi<br />
nella danza del fuoco. E per un po’ nessuno parlò, ma forse<br />
entrambi avvertirono qualcosa <strong>di</strong> impalpabile che li colmò<br />
entrambi <strong>di</strong> calore. Qualcuno potrebbe chiamarlo superficialmente<br />
lo Spirito del Natale, ma forse c’è una spiegazione più semplice.<br />
A volte, nella monotonia dei giorni tutti uguali, è bello avere una<br />
scusa per stare più vicini alle persone care, ed amarsi un po’ <strong>di</strong> più.<br />
E che male se la si chiama Natale questa scusa.<br />
70
CASTAGNETO<br />
Per andare a casa <strong>di</strong> Paola facevo la strada del castagneto, uno<br />
sterrato <strong>di</strong>ssestato che era <strong>di</strong>ventato col tempo il terrore <strong>di</strong> tutti gli<br />
automobilisti del paese. Tre <strong>di</strong>verse amministrazioni comunali<br />
avevano promesso <strong>di</strong> asfaltare quella strada, ma in <strong>di</strong>eci anni<br />
nessuno ha mai fatto niente. In Italia cose come queste sono la<br />
normalità. Io preferivo così. Meno asfalto c'è meglio è, però avevo<br />
anche il vantaggio della jeep.<br />
Da Paola ci ritrovavamo ogni due settimane per fare un po' <strong>di</strong><br />
musica insieme. Veniva Ermanno insieme al suo set <strong>di</strong> percussioni,<br />
Michele col Fender, Gianluca con la Roland e il Mac e poi c'ero io<br />
con una vecchia Gibson semi acustica che mi aveva regalato mio<br />
padre. Paola ci offriva un po' <strong>di</strong> tè verde che sorseggiavamo piano<br />
in cucina (lei se ne faceva tre per scaldarsi la voce), poi<br />
montavamo gli strumenti nell'ampio salotto <strong>di</strong> casa. In inverno, ma<br />
spesso anche d'autunno, il camino rimaneva sempre acceso.<br />
Suonavamo un repertorio misto, selezionato insieme. Ognuno<br />
sceglieva due pezzi attingendo ai propri gusti, così succedeva <strong>di</strong><br />
alternare canzoni <strong>di</strong> Sanremo degli anni ottanta, per le quali<br />
Michele andava matto, con le litanie <strong>di</strong> Tim Buckley, uno dei miei<br />
idoli <strong>di</strong> ragazzo, per passare poi ai classici <strong>di</strong> Bacharach.<br />
Cercavamo comunque <strong>di</strong> amalgamare il tutto con un nostro sound,<br />
grazie soprattutto ai colori percussivi <strong>di</strong> Ermanno. Dopo la scaletta<br />
ci buttavamo a capofitto su un lunga jam nella quale Paola<br />
improvvisava delle splen<strong>di</strong>de linee vocali sulle parole delle sue<br />
poesie. Andavamo avanti fino a mezzanotte, tanto la casa era<br />
isolata e nessuno veniva a darci noia. Spesso c'erano altri amici<br />
insieme a noi. Si mettevano sul <strong>di</strong>vano ad ascoltare, con un<br />
71
icchiere <strong>di</strong> vino in mano oppure una birra, un pubblico<br />
selezionato con cura, perché nel processo creativo <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong><br />
musicisti l'atto <strong>di</strong> esibirsi è un qualcosa <strong>di</strong> secondario. Per questo<br />
motivo non ci è mai interessato suonare nei locali.<br />
Dopo il concerto accendevamo la ra<strong>di</strong>o. A quell'ora c'era una<br />
stazione jazz che passava vecchi pezzi <strong>di</strong> Coltrane e Monk.<br />
Aprivamo un paio <strong>di</strong> bottiglie <strong>di</strong> vino buono e parlavamo, non solo<br />
<strong>di</strong> musica, e andavamo avanti fino a quando ci reggevano le<br />
palpebre. Di solito quando tornavo a casa il cielo <strong>di</strong>etro i castagni<br />
stava già rischiarandosi.<br />
Fu così per <strong>di</strong>versi anni, non ricordo neanche quanti, poi a Paola le<br />
trovarono il cancro. Andai a trovarla più volte nei mesi della<br />
malattia, ma prendevo l'altra strada, evitando <strong>di</strong> proposito lo<br />
sterrato. Perché quella era la via del castagneto, delle serate<br />
insieme, della musica fatta in casa, senza pretese. Era la strada <strong>di</strong><br />
quelle notti piene <strong>di</strong> note e <strong>di</strong> risate, ed io volevo ricordamela così.<br />
72
COSIMO E VIOLANTE<br />
(Omaggio al “Barone Rampante” <strong>di</strong> I. Calvino)<br />
Cosimo e Violante oscillavano sulle altalene del parco mentre<br />
davanti ai loro occhi sfrecciavano le auto sulla tangenziale<br />
sopraelevata, un flusso continuo, statico nella suo moto perpetuo,<br />
così come il rumore, un rombo persistente e sommesso a cui l’u<strong>di</strong>to<br />
dei ragazzi era ormai abituato. Il cielo era grigio ma privo del<br />
profumo <strong>di</strong> pioggia, ed era caldo per esser già novembre, così<br />
caldo che Violante aveva indosso soltanto il suo vestitino azzurro<br />
con le maniche sbracciate, mentre Cosimo sfoggiava con orgoglio<br />
la maglietta della sua squadra <strong>di</strong> calcio. Il cigolio delle altalene si<br />
<strong>di</strong>sperdeva nel rombo, ma le vocine appuntite dei due ragazzi<br />
fuoriuscivano con facilità in superficie, squillanti come quelle dei<br />
pettirossi, un cip-cip <strong>di</strong> promesse, intenzioni e sbeffeggi che<br />
nascondeva un qualcosa <strong>di</strong> profetico.<br />
- Tu cosa vuoi fare da grande? – domandò la ragazza.<br />
- Non lo so… E tu? – rispose Cosimo, spingendo più forte con le<br />
gambe.<br />
- Io voglio <strong>di</strong>ventare il sindaco della città!<br />
- Ah si! Allora io sarò il governatore della regione.<br />
- Va bene, ma solo dopo che io sarò <strong>di</strong>ventata la presidentessa<br />
dell’intero paese.<br />
- Per me va bene, ma l’anno dopo mi faranno signore del mondo<br />
intero e tutti mi verranno a chiedere il permesso per qualsiasi cosa.<br />
- Allora sarai super indaffarato…<br />
- Avrò dei consiglieri, e tu sarai uno <strong>di</strong> questi.<br />
- Io? Ne sarei onorata, ma sarò troppo occupata a ripiegare il ruolo<br />
<strong>di</strong> regina dell’intero sistema solare.<br />
- Uh… un incarico estremamente importante, solo poco al <strong>di</strong> sotto<br />
73
del mio, che <strong>di</strong>venterà quello <strong>di</strong> presidente della comunità<br />
intergalattica spaziale…<br />
- Allora mi aiuterai con gli affari interni, dato che io ricoprirò la<br />
carica <strong>di</strong> governatrice <strong>di</strong> tutto l’universo conosciuto.<br />
A questo punto ci fu una pausa, durante la quale l’altalena <strong>di</strong><br />
Cosimo rallentò la sua corsa. Il ragazzo stava pensando a come<br />
ribattere. Che cosa c’era <strong>di</strong> più grande dell’universo? Niente…<br />
Comprese allora che rispondere a quel gioco con lo stesso<br />
argomento non era conveniente, così provò a cambiarlo.<br />
- E quale sarà la prima cosa che farai una volta <strong>di</strong>ventata tutte<br />
queste cose? – domandò allora il ragazzo, riprendendo a darsi lo<br />
slancio con le braccia ed il bacino. Questa volta fu la corsa<br />
dell’altalena <strong>di</strong> Violante a rallentare. Ci pensò per un minuto<br />
intero, poi <strong>di</strong>sse: – Prima <strong>di</strong> tutto farò abbattere questa autostrada<br />
che passa sulle nostre teste.<br />
- E come farà la gente ad andare a lavoro?<br />
- Se ne occuperanno i robot. Nel mio mondo nessuno dovrà<br />
lavorare. Le macchine penseranno a tutto…<br />
- E per andare in vacanza, che strada prenderà la gente?<br />
- Nessuno andrà in vacanza, perché tutti saranno sempre in<br />
vacanza…<br />
- E i camion con tutti i loro carichi?<br />
- Non ce ne sarà bisogno. La gente mangerà i prodotti dei propri<br />
orti e userà gli oggetti fabbricati nelle proprie città.<br />
- E le trasferte <strong>di</strong> calcio? – chiese a questo punto Cosimo,<br />
pensando alla sua squadra del cuore.<br />
- Nel mio mondo si faranno ogni sorta <strong>di</strong> giochi, ma senza<br />
competere. Né vincitori né vinti… solo <strong>di</strong>vertimento e risate,<br />
perciò non sarà necessario spostarsi.<br />
- Si, ma viaggiare è una cosa bella. Come faranno i tuoi sud<strong>di</strong>ti ad<br />
ammirare le bellezze del mondo?<br />
- A pie<strong>di</strong>!<br />
- A pie<strong>di</strong>?<br />
74
- Esattamente! È il modo migliore per non perdersi neanche un<br />
particolare del paesaggio.<br />
Cosimo ci pensò un attimo e malgrado fosse attratto dai boli<strong>di</strong> che<br />
a volte vedeva sfrecciare sulla sua testa, concluse che le idee <strong>di</strong><br />
Violante erano giuste. Quando sedeva sul se<strong>di</strong>le posteriore<br />
dell’auto dei suoi, appoggiava la fronte al finestrino e si perdeva<br />
dentro dossi, pianori, valli, alberi e tutte le bellezze che gli<br />
passavano davanti agli occhi. A lui sarebbe piaciuto poterle<br />
ammirare con più calma, ma l’auto filava via veloce, e la collina<br />
<strong>di</strong>ventava una valle, e la torre <strong>di</strong> un campanile spariva <strong>di</strong>etro un<br />
ponte, e così via…<br />
- Mi piace il tuo mondo. Sarà un onore lavorare per il tuo governo,<br />
mia signora.<br />
Poi tutti e due scoppiarono a ridere, e fu una risata così squillante<br />
che si alzò abbondantemente sopra il rombo dei motori, invase il<br />
parco e coinvolse i pochi uccelli che dormicchiavano sugli alberi.<br />
La risata <strong>di</strong>venne una melo<strong>di</strong>a. Il cane che riposava fuori dalla<br />
bottega del barbiere tirò su un orecchio, poi incominciò ad<br />
abbaiare. Un gatto che passava vicino gli si mise accanto e miagolò<br />
con tutto il fiato che aveva. Poi fu la volta <strong>di</strong> una piccola comunità<br />
<strong>di</strong> ratti che affacciarono i loro musi da un tombino e in coro<br />
iniziarono a squittire. Le ron<strong>di</strong>ni in volo si posarono su un<br />
cornicione e si unirono alla canzone. Il rombo non si sentiva più,<br />
sovrastato dalla risata <strong>di</strong> Cosimo e Violante. Qualcuno si affacciò<br />
alla finestra per vedere cosa stava succedendo e in quel mentre il<br />
cemento armato della sopraelevata si incrinò, le colonne possenti<br />
che la reggevano si piegarono e la strada crollò con uno schianto<br />
fragoroso, dentro uno squarcio nella terra che si era aperto proprio<br />
sotto <strong>di</strong> essa. Lo strappo si richiuse subito dopo, ingoiando il<br />
cemento e le centinaia <strong>di</strong> automobilisti che si recavano a lavoro.<br />
Quello fu l’inizio del mondo <strong>di</strong> Regina Violante e <strong>di</strong> Cosimo, suo<br />
fedele consigliere, una remota <strong>di</strong>ramazione <strong>di</strong> questo nostro<br />
mirabolante e cespuglioso universo quantico.<br />
75
UNA GIORNATA NATA STORTA<br />
Gli ultimi giorni <strong>di</strong> febbraio sono i più lunghi. È come se si<br />
<strong>di</strong>latassero, cercando <strong>di</strong> compensare con gli altri mesi, così guar<strong>di</strong><br />
fuori dalla finestra chiedendoti quando finirà questo maledetto<br />
inverno, ma ti risponde soltanto una folata <strong>di</strong> vento che fa piegare<br />
senza pietà i rami rinsecchiti degli alberi. Nei sabati mattina<br />
lasciati sfilare via tra le lenzuola del letto, con un caffè troppo<br />
amaro che ti ricorda <strong>di</strong> dover cambiare la guarnizione alla<br />
caffettiera, e le note <strong>di</strong> un vecchio <strong>di</strong>sco blues in sottofondo, ti vien<br />
da pensare che solo un amico possa rivolverti la giornata. Allora<br />
accen<strong>di</strong> il cellulare e scorri la rubrica, lo fai più volte,<br />
soffermandoti <strong>di</strong> tanto in tanto su un nome, come fosse la playlist<br />
delle tue relazioni. Un contatto per ogni evenienza, un amica per le<br />
serate frivole, un parente per un favore, un amico per le cose<br />
importanti, come due chiacchiere e un bicchier <strong>di</strong> vino.<br />
“Si, lui è l’ideale per una giornata così!” schiacci il pulsante verde<br />
e il grigiore <strong>di</strong> quel sabato <strong>di</strong> febbraio incomincia a <strong>di</strong>radarsi.<br />
- Che ne <strong>di</strong>ci <strong>di</strong> venire a pranzo da me? Faccio il sugo…<br />
Il sugo viene meglio nel coccio. No, non è né un segreto della<br />
nonna, né una legge fisica, è solo uno stato mentale. Sedano, carota<br />
e cipolla tritati a rosolare nell’olio <strong>di</strong> oliva, mentre l’odore<br />
dolciastro del soffritto si spande rapidamente per la cucina ed il<br />
salotto. Giri <strong>di</strong>strattamente con un mestolo (rigorosamente <strong>di</strong><br />
legno), chiu<strong>di</strong> gli occhi e <strong>di</strong>lati le narici poco sopra il ribollio,<br />
sorridendo sod<strong>di</strong>sfatto. “Il soffritto è una forza… come si farebbe<br />
senza!” pensi, estraendo dal frigo la macinata <strong>di</strong> carne, quella<br />
magra.<br />
Il vecchio gira<strong>di</strong>schi in soggiorno <strong>di</strong> cui va molto fiero ti ricorda<br />
76
che i vinili non si girano da soli; getti la carne nel coccio, la <strong>di</strong>sfai<br />
velocemente col mestolo amalgamandola alle verdure rosolate, poi<br />
corri a mettere sul piatto Who’s Next, perché adesso che viene il<br />
bello ti serve tutta l’aci<strong>di</strong>tà dell’intro <strong>di</strong> Baba O’Riley. Sono appena<br />
le un<strong>di</strong>ci e mezzo ma il sugo ha bisogno <strong>di</strong> un annaffiata <strong>di</strong> rosso,<br />
così ti deci<strong>di</strong> a stappare il Montepulciano d’Abruzzo che ti aspetta<br />
in un angolo della cucina, e con questa banale scusa non per<strong>di</strong><br />
l’occasione <strong>di</strong> farti un goccetto, alla memoria del buon vecchio<br />
Keith Moon.<br />
Una volta aggiustato <strong>di</strong> sale e ricoperto con la passata <strong>di</strong><br />
pomodoro, il ragù se la può cavare benissimo da solo, basta<br />
lasciarlo bollire almeno un’ora a fuoco lento, ed a guardarlo fare<br />
“blup-blup” nel coccio è quasi una poesia. Allora doccia veloce,<br />
qualcosa <strong>di</strong> comodo e pulito, un po’ d’or<strong>di</strong>ne in salotto e la tovaglia<br />
sul tavolino davanti alla finestra, per ricordarsi che nonostante il<br />
vento impietoso del nord, noi uomini ce la sappiamo cavare<br />
quando si tratta <strong>di</strong> como<strong>di</strong>tà. Quando attacca la splen<strong>di</strong>da Behind<br />
Blue Eyes, l’acqua per la pasta è già sul fuoco e il sugo ha<br />
acquistato quel colorino granata acceso che ti fa venire l’acquolina<br />
in bocca. Suona il campanello… è arrivato. Riempi due calici <strong>di</strong><br />
vino per un aperitivo all’antica, tagli due fette <strong>di</strong> pane <strong>di</strong> ieri e col<br />
mestolo <strong>di</strong> legno le ricopri <strong>di</strong> ragù bollente.<br />
- Che te ne pare?<br />
- Favoloso!<br />
- Cosa buttiamo, penne o pappardelle?<br />
- Che, me lo chie<strong>di</strong> pure?<br />
Cinque minuti e la pappardella al dente va a sposarsi dentro al<br />
coccio, e il gioco è fatto. Spolverata <strong>di</strong> parmigiano, e un nuovo<br />
bicchiere <strong>di</strong> rosso.<br />
Dalle mie parti è proprio così che si risolvono le giornate nate<br />
storte.<br />
77
RITUALE NEL FIUME<br />
Teresa cercava qualcosa <strong>di</strong> nuovo che potesse salvarla dall'apatia<br />
che la tormentava nei giorni sbagliati, come ad esempio il venerdì<br />
sera sul <strong>di</strong>vano davanti alla TV, col volume abbassato e il cellulare<br />
in mano a scorrere velocemente la rubrica piena <strong>di</strong> numeri<br />
sconosciuti. Il sabato non era male perché andava a fare visita a<br />
sua madre. Nonostante andasse per i quaranta, si sentiva sempre la<br />
sua piccolina, cosa che ovviamente non avrebbe mai confessato a<br />
nessuno. Invece la domenica se la vedeva davvero brutta. Di solito<br />
si rigirava tra le coperte fino a mezzogiorno, poi faceva la doccia e<br />
preparava un po' <strong>di</strong> colazione. Evitava <strong>di</strong> guardare l'orologio, o<br />
almeno ci provava. Sapeva che non le sarebbe piaciuto scoprire<br />
quante ore ancora mancavano alla fine della giornata.<br />
Il lunedì tornava a lavoro, felice. Per Teresa il lunedì era il più bel<br />
giorno della settimana, ma anche questa era una delle cose che non<br />
avrebbe mai ammesso, neanche a se stessa. In ufficio lavorava fino<br />
a tar<strong>di</strong>. Era sempre la prima ad entrare e l'ultima ad uscire e, a parte<br />
il venerdì, giorno in cui l'e<strong>di</strong>ficio chiudeva alle cinque per le<br />
pulizie, lei poteva starsene a scartabellare fascicoli e cartelle fino a<br />
sera inoltrata.<br />
Una domenica pomeriggio pianse più del solito e seppe che non<br />
poteva andare avanti così. Afferrò il cellulare, aprì la rubrica e<br />
incominciò a cercare. Dopo cinque minuti aveva fatto due volte il<br />
giro dei nomi, sempre indecisa. Chiuse gli occhi, li sentì frizzare<br />
per via del trucco annacquato <strong>di</strong> lacrime, e continuò a premere la<br />
pulsantiera del telefono. - Pronto? - udì ad un tratto, così aprì gli<br />
occhi e si accorse <strong>di</strong> aver chiamato un numero a caso. Lesse il<br />
nome: “Patrizia”. Patrizia chi?<br />
78
- Pronto, Teresa, sei tu?<br />
- Pronto? Si, ciao Patrizia, come stai?<br />
Iniziò così. In principio gli amici <strong>di</strong> Patrizia le parvero strani, o<br />
forse si sentiva strana lei insieme a loro. Ritrovarsi a trentanove<br />
anni ad andare per i boschi e a parlare <strong>di</strong> energie, flussi e spiriti<br />
della natura non era esattamente quello che aveva in mente il<br />
giorno in cui si laureò in giurisprudenza, come d'altra parte non era<br />
proprio il suo sogno lavorare come impiegata in un ufficio legale.<br />
Ma gradualmente la sua vita cambiò, e non in peggio. Incominciò a<br />
lasciare il posto <strong>di</strong> lavoro alla stessa ora dei suoi colleghi. A volte<br />
andava a cena <strong>di</strong> qualcuno del gruppo, leggeva libri nuovi, evitava<br />
il <strong>di</strong>vano e la TV. Non c'era solo Patrizia. C'erano Antonella,<br />
Giorgio, Mirco, Giulia, tutti suoi coetanei, più o meno. Per San<br />
Giovanni andarono a fare un rituale nel bosco, dentro al fiume. Fu<br />
una giornata spettacolare. Mentre tornava in macchina verso casa,<br />
Teresa si chiese se ci credeva per davvero a tutte quelle cose.<br />
Forse, si <strong>di</strong>sse, ma era secondario. Ciò che più importava era che<br />
incominciava a piacersi. Per la prima volta dopo tanto, tanto<br />
tempo.<br />
79
L'ALLENATORE ONIRICO<br />
Da ragazzo avevo un sacco <strong>di</strong> idee per la testa. Se qualcuno mi<br />
chiedeva che cosa avessi voluto fare da grande, io me ne venivo<br />
sempre fuori con i mestieri più stravaganti, tipo l’addomesticatore<br />
<strong>di</strong> tarantole, il trombettista stonato <strong>di</strong> una band punk-rock, il<br />
ricercatore <strong>di</strong> animali preistorici (ancora in vita, s’intende) oppure<br />
il soffiatore <strong>di</strong> vetri, che in effetti è un mestiere vero e proprio e<br />
non ha nulla <strong>di</strong> strano, ma io lo trovavo talmente affascinante da<br />
annoverarlo nella mia collezione <strong>di</strong> mestieri fantasmagorici.<br />
Insomma, fin da piccolo avevo la nausea per i lavori normali,<br />
quelli dei nostri genitori, come ad esempio l’assicuratore, che era il<br />
mestiere <strong>di</strong> mio padre, oppure il casellante autostradale, che solo<br />
l’idea mi faceva sba<strong>di</strong>gliare. Volevo fare qualcosa che nessuno<br />
sapeva fare, che nessuno neanche pensava potesse esistere. Mai<br />
però avrei creduto che un giorno mi sarei occupato <strong>di</strong> sogni, e mai<br />
avrei pensato che a causa <strong>di</strong> ciò sarei finito nei guai.<br />
Il mestiere lo chiamai “Dream Trainer”, anche se l’appellativo<br />
anglosassone mi è sempre rimasto antipatico, ma l’equivalente<br />
“Allenatore Onirico” non avrebbe certo avuto molto successo in<br />
questo mondo a stelle e strisce. Il nome inglese mi consegnò fin<br />
dall’inizio una certa autorità, nonostante non sapessi neanche io<br />
bene come avrei potuto insegnare ad altri le cose che ero riuscito a<br />
scoprire, ma la gente dava per scontato il fatto che la mia “scienza”<br />
fosse in qualche modo importata dall’altra parte dell’oceano, e<br />
quin<strong>di</strong> si fidava ciecamente <strong>di</strong> me.<br />
“Sai, sto andando da questo Dream Trainer per dei problemi<br />
d’insonnia” oppure “Se hai degli incubi ricorrenti, dovresti vedere<br />
un Dream Trainer…” È questo il modo in cui la voce si è sparsa, e<br />
80
così la gente si è col tempo fatta un’idea <strong>di</strong> ciò che proponevo,<br />
anche se in realtà facevo ben altro che risolvere problemi<br />
d’insonnia. Incominciai con una serie <strong>di</strong> seminari per circoli<br />
ristretti, massimo una decina <strong>di</strong> clienti. La mia esperienza in campo<br />
onirico era totalmente auto<strong>di</strong>datta, anche se mi ero fatto una<br />
<strong>di</strong>screta cultura a riguardo, specialmente dopo le mie prime<br />
personali scoperte.<br />
Alcuni trattati <strong>di</strong> psicologia mi aiutarono a capire la <strong>di</strong>mensione dei<br />
sogni, mentre stu<strong>di</strong> più pionieristici riuscirono a spiegarmi il<br />
perché fossi in grado <strong>di</strong> estendere a mio piacimento i miei viaggi<br />
sopra il cuscino. L’onironautica non è una scienza nuova, ma il<br />
totale controllo del sogno lucido e della sua durata, hanno elevato<br />
il mio mestiere al rango <strong>di</strong> vera e propria arte, un’arte che,<br />
nonostante il suo approccio non facile, è risultata accessibile a tutti<br />
i miei clienti. Badate bene, ci tengo a sottolineare che chi ha<br />
lavorato con me non è mai stato un mio paziente perché in realtà io<br />
non possiedo alcun attestato <strong>di</strong> tipo me<strong>di</strong>co, perciò ho sempre<br />
considerato i partecipanti alle mie sedute come clienti.<br />
Il controllo del sogno è un’esperienza che abbiamo vissuto più o<br />
meno tutti. Nella fase rem, o sonno superficiale, la percezione del<br />
sognatore <strong>di</strong>venta elastica e perciò siamo in grado <strong>di</strong> fare presa<br />
sull’esperienza onirica, che può durare percettibilmente un tempo<br />
considerevole, anche se in realtà si tratta sempre <strong>di</strong> una manciata <strong>di</strong><br />
minuti appena. Ma il sogno lucido in fase rem, oltre ad essere<br />
sostanzialmente breve, ha anche un impatto emotivo minore perché<br />
si è in realtà “quasi svegli”, e quin<strong>di</strong> fin troppo coscienti dello stare<br />
sognando. Ben <strong>di</strong>verso è il sogno lucido durante il sonno profondo,<br />
più <strong>di</strong>fficile da controllare e da ricordare ma estremamente più<br />
gratificante dal punto <strong>di</strong> vista sensoriale. Avevo vent’anni quando<br />
mi domandai in che modo avrei potuto attingere totalmente alla<br />
potenza del sonno profondo creando un sogno lucido da poter<br />
<strong>di</strong>latare per un tempo praticamente illimitato, e mi ci vollero tre<br />
anni <strong>di</strong> esperimenti e tentavi per riuscire ad arrivare ad una<br />
81
soluzione. Bisognava partire dal sonno <strong>di</strong> superficie per prendere il<br />
controllo del sogno lucido, e poi gettarsi nell’abisso sconfinato del<br />
sonno profondo senza però perdere il ricordo dell’esperienza. Per<br />
fare questo escogitai <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> espe<strong>di</strong>enti, come ad esempio i<br />
deja-vu forzati, che lasciano dei solchi ben marcati sul supporto <strong>di</strong><br />
memoria organica, oppure le risalite in superficie per imprimere<br />
meglio l’esperienza, anche se queste potevano portare ad un<br />
risveglio precoce. Col tempo sono riuscito ad affinare la tecnica e a<br />
controllare pienamente il sogno nel sonno profondo, così mi<br />
convinsi <strong>di</strong> poterla insegnare anche ad altri.<br />
Ma la rivelazione non poteva arrivarmi senza un prezzo da pagare,<br />
ed è per questo che la mia storia vi giunge da un server remoto, a<br />
cui ho accesso grazie ad una connessione presa in prestito dal wi-fi<br />
<strong>di</strong> una stazione <strong>di</strong> servizio anonima. Non posso più esercitare la<br />
mia professione, non posso più insegnare alla gente a sognare,<br />
perché il sogno è potere, e il potere è solo per pochi.<br />
Immaginate <strong>di</strong> avere <strong>di</strong>eci, cento, mille vite a vostra <strong>di</strong>sposizione.<br />
Immaginate <strong>di</strong> poterle plasmare a vostro piacimento, <strong>di</strong> <strong>di</strong>latarle<br />
fino a poterle godere nella loro interezza, dagli spensierati giorni<br />
della fanciullezza ai tiepi<strong>di</strong> e riflessivi momenti della prima<br />
senilità. Immaginate <strong>di</strong> essere in grado, ogni sera prima <strong>di</strong><br />
addormentarvi, <strong>di</strong> decidere chi, come, quando, dove essere nel<br />
vostro sogno lucido, e percepire fin nei minimi dettagli questa<br />
nuova vita, che al vostro risveglio sembrerà più vera della realtà in<br />
cui vivete. Immaginate <strong>di</strong> poter godere <strong>di</strong> queste incre<strong>di</strong>bili<br />
esperienze senza alcuna limitazione fisica, capaci <strong>di</strong> volare,<br />
respirare sott’acqua, viaggiare nello spazio profondo o nelle<br />
intercape<strong>di</strong>ni degli atomi. Quale potere superiore a questo potrebbe<br />
mai esistere?<br />
Ebbene era questo che io insegnavo, ed è questo che mi è stato<br />
portato via.<br />
In principio non avevo la minima idea delle possibili conseguenze<br />
dei miei seminari. La gente che vi partecipava rimaneva subito<br />
82
entusiasta, come bambini dopo un giro sulla giostra, ma nel<br />
perfezionare la tecnica e nel <strong>di</strong>latare sempre <strong>di</strong> più le esperienze<br />
oniriche, questa <strong>di</strong>ventava anche, come <strong>di</strong>re… più consapevole. Il<br />
modo <strong>di</strong> sognare che insegnavo dava loro modo <strong>di</strong> sperimentare<br />
ogni aspetto della loro personalità, arrivando a conoscersi in modo<br />
assai profondo. Dopo un paio <strong>di</strong> settimane <strong>di</strong> sogni <strong>di</strong>latati è infatti<br />
già possibile scoprire cose su <strong>di</strong> sé che nella vita normale si è in<br />
grado <strong>di</strong> conoscere solo attraverso decenni <strong>di</strong> ricerca spirituale.<br />
Immaginate <strong>di</strong> avere l’esperienza <strong>di</strong> molte vite dentro <strong>di</strong> voi, una<br />
sorta <strong>di</strong> reincarnazione cosciente sperimentabile ogni notte, negli<br />
universi illimitati del vostro sonno profondo, un’illuminazione<br />
accelerata alla portata <strong>di</strong> tutti. Constatavo con sorpresa infatti che,<br />
chi prima e chi dopo (ma sempre nell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> qualche giorno), i<br />
miei clienti raggiungevano un alto grado <strong>di</strong> consapevolezza<br />
interiore, nonostante le <strong>di</strong>verse potenzialità iniziali. Tutti quanti,<br />
una volta raggiunto il perfetto controllo della procedura,<br />
autolimitavano le loro esperienze oniriche, che usavano<br />
esclusivamente per una personale ricerca spirituale e mai per un<br />
banale appagamento emotivo.<br />
Stavo facendo esattamente quello che avevo sempre sognato: un<br />
mestiere unico che faceva felice la gente. Perché mi è stato tolto?<br />
Perché sono entrati nel mio centro <strong>di</strong> formazione con un mandato<br />
<strong>di</strong> perquisizione accusandomi <strong>di</strong> spacciare droghe allucinogene da<br />
loro stessi impiantate? Perché ho dovuto lasciare la città, cambiare<br />
nome, documenti e faccia per evitare il carcere e forse anche<br />
qualcosa <strong>di</strong> peggio?<br />
Perché non possono lasciare che la gente si risvegli. E il risveglio<br />
passa dal sogno… passa dalla conoscenza… passa dalla<br />
consapevolezza. Ma la mia missione è solo all’inizio…<br />
Sentirete ancora parlare <strong>di</strong> me.<br />
83
IL PREZZO DEL GIORNO<br />
Di notte, quando imbocco il vialone che mi conduce verso la strada<br />
<strong>di</strong> casa, non sto a preoccuparmi dei semafori. Di solito mi perdo<br />
nella musica dell’autora<strong>di</strong>o ed affronto gli ultimi rossi con la<br />
perversa speranza che qualcosa vada male. Ma a quelle ore, dove<br />
vivo io, non c’è mai nessuno per strada. Passo veloce anche<br />
l’ultimo stop e vedo casa mia. Posteggio, scendo, e odoro il<br />
silenzio <strong>di</strong> quel vecchio borgo, il profumo del vicino inverno,<br />
l’aroma <strong>di</strong> un’altra serata gettata via, nel cestino degli effimeri<br />
ricor<strong>di</strong>.<br />
Ho fatto tar<strong>di</strong> e non è la prima volta. Mi verso un altro drink prima<br />
<strong>di</strong> buttarmi sul letto, tanto per riempire totalmente il mio stato <strong>di</strong><br />
ebbrezza. Ho bevuto come al solito, e questa è la nota più positiva<br />
<strong>di</strong> tutta la serata. Domani il mio capo, da quel gran pezzo <strong>di</strong><br />
stronzo che è, si lamenterà dei miei movimenti lenti, della mia<br />
<strong>di</strong>sattenzione e forse, se sarò ancora in botta, capirà che ci sono<br />
andato pesante questa volta.<br />
Sinceramente non me ne frega un cazzo. Lo o<strong>di</strong>o con tutto me<br />
stesso quel bastardo, e non potrei desiderare <strong>di</strong> meglio che <strong>di</strong><br />
fornirgli una scusa per licenziarmi. Ma poi me ne pentirei, perché<br />
non è facile potersi permettere un monolocale da ottocento euro al<br />
mese. Dovrei sentirmi fortunato, invece mi sento un codardo <strong>di</strong><br />
merda, l'ennesima vittima <strong>di</strong> una società malata, con la scusa<br />
pronta per dare la colpa agli altri. Scegli la strada <strong>di</strong>fficile e poi ti<br />
ritrovi a riflettere in modo semplice e lineare. Sembra che le due<br />
cose non vadano d’accordo: pensare ed agire.<br />
Avrei bisogno <strong>di</strong> una donna con le palle, una ragazza in gamba per<br />
davvero, che creda ancora nei vecchi ideali, quelli che rimescolavo<br />
84
nel mio cervello <strong>di</strong>eci anni fa e che adesso se ne stanno da qualche<br />
parte a prendere la muffa. Ho trent’anni e mi sento sull’orlo <strong>di</strong> quel<br />
baratro famoso, la trappola nella quale tutti cadono. Sono davanti a<br />
quella porta che mai nessuno riesce ad aprire.<br />
Col bicchiere in mano faccio velocemente tre giri dei canali<br />
maggiori, ma la TV è semplicemente un pretesto per sentirmi<br />
meglio nei confronti <strong>di</strong> tutti quei cazzoni che la fanno. Mi accorgo<br />
<strong>di</strong> quanto sono patetico e la spengo. Prima <strong>di</strong> dormire decido <strong>di</strong><br />
licenziarmi, ma è qualcosa che fa già parte del mio prossimo<br />
sogno.<br />
La sveglia suona alle sette ed io mi allungo a spegnerla. Desidero<br />
solo un caffè.<br />
A lavoro oggi sono tutti carini con me. I1 motivo è perché sono in<br />
uno stato “moviola”; le mie reazioni sono lente e i miei sorrisi<br />
troppo generosi. Sono ancora sotto l’effetto dell’alcol, ma non mi<br />
sento troppo male. Nella pausa pranzo mi faccio due aperitivi per<br />
restarmene allegro, e quando intravedo la fine della giornata, poche<br />
ore più tar<strong>di</strong>, mi perdo nell’idea <strong>di</strong> una serata tra vecchi amici.<br />
Potrei chiamare due bastar<strong>di</strong> che non vedo da tempo e parlare un<br />
po’ del buon vecchio passato. L’idea è allettante e <strong>di</strong>strugge<br />
totalmente il pensiero del prossimo lunedì.<br />
È proprio mentre scaccio il fantasma <strong>di</strong> una nuova settimana <strong>di</strong><br />
lavoro che quello stronzo del mio capo mi fa visita. La butta subito<br />
sul pesante, come piace fare a lui, ma non prende decisioni<br />
drastiche. Potrebbe licenziarmi, visto che sono ubriaco sul lavoro,<br />
ma invece preferisce umiliarmi davanti ai miei colleghi, facendomi<br />
sentire una merda.<br />
Potrei ribattere, potrei <strong>di</strong>rgli <strong>di</strong> andare al <strong>di</strong>avolo, ma non riesco a<br />
farlo; sono come pietrificato davanti alla sua folle manifestazione<br />
<strong>di</strong> negatività. Mi domando semplicemente se non sia saltato fuori<br />
da una scena <strong>di</strong> un film americano, o forse è un personaggio <strong>di</strong> un<br />
fumetto <strong>di</strong> satira politica, <strong>di</strong> sicuro il protagonista.<br />
85
Se ne va via come il genio della lampada, lasciando fumo <strong>di</strong>etro <strong>di</strong><br />
sé. A quel punto vorrei ridere a più non posso, <strong>di</strong>mostrare la mia<br />
totale noncuranza verso quell’essere insignificante, e strappare un<br />
sorriso ai miei colleghi che mi guardano ammutoliti. Vorrei<br />
proprio farlo, ma non ci riesco.<br />
Salgo in macchina e me ne ritorno a casa. Mi fermo a metà strada<br />
per chiamare quei due vecchi bastar<strong>di</strong>. Fissiamo alle <strong>di</strong>eci al solito<br />
pub, ma la serata non si preannuncia una grande cosa.<br />
Arrivo al pub e non c’è nessuno. Poco male; mi siedo al banco ed<br />
or<strong>di</strong>no una bionda doppio malto. Sorseggio il boccale dei misteri<br />
mentre un grande pezzo degli Who mi trascina verso un mondo<br />
pieno <strong>di</strong> rock’n’roll, pantaloni a campana, spinelli e donne dai<br />
capelli bion<strong>di</strong>. Il basso è un qualcosa <strong>di</strong> lancinante, con note che si<br />
ripetano come accettate su un albero da abbattere. L’albero è la<br />
società malata, ma alla fine il rock’n’roll si trasforma nel suo<br />
migliore amico. Insieme firmano un contratto che rende tutti più<br />
felici, specialmente i più stupi<strong>di</strong>.<br />
Arrivano i due bastar<strong>di</strong>.<br />
Si susseguono commenti, battute, vecchie strette <strong>di</strong> mano e una<br />
serie infinita <strong>di</strong> drink. Loro però sembrano più interessati alla tipa<br />
<strong>di</strong>etro al banco, una morettina universitaria piena <strong>di</strong> belle speranze,<br />
che si paga il suo annetto scolastico con un paio <strong>di</strong> serate alla<br />
settimana. Sembra sveglia la pulzella, ma io che la osservo<br />
<strong>di</strong>staccato ne posso afferrare la sua totale ingenuità. Dietro la sua<br />
ammirevole voglia <strong>di</strong> realizzarsi con le migliori intenzioni, già<br />
intravedo la sua fine; impiegatina che se la tira coi suoi colleghi<br />
fino a fine settimana, quando in un negozio del centro si porterà<br />
via il suo nuovo paio <strong>di</strong> scarpe da tre testoni. Mostrerà il suo<br />
sorrisetto cazzuto al primo palestrato e se lo inforcherà solo per<br />
sentirsi un po’ donna. In verità la sua femminilità gli è <strong>di</strong>stante anni<br />
luce.<br />
Vorrei sentirmi ispirato dai due balor<strong>di</strong>, ma stasera li sento davvero<br />
lontani. Provo a parlare un po’ <strong>di</strong> me e i due fanno finta <strong>di</strong><br />
86
seguirmi, annuendo in modo scimmiesco ad ogni mia<br />
affermazione. È chiaro che non capiscono niente <strong>di</strong> quello che sto<br />
cercando <strong>di</strong> <strong>di</strong>re.<br />
Mi accendo una sigaretta cercando <strong>di</strong> provocare in loro una<br />
reazione. Ho appena iniziato a fumare, ma loro non se ne<br />
accorgono e continuano a punzecchiare la barista.<br />
Finisco l’ultimo sorso <strong>di</strong> birra e mi avvio verso l’uscita. Loro mi<br />
guardano perplessi ma io non li saluto neanche. Anni fa mi<br />
avrebbero rincorso e fermato se mi fossi comportato così, invece<br />
non fanno una piega. Salgo in macchina e mi guardo in<strong>di</strong>etro<br />
sperando <strong>di</strong> vederli spuntare dal locale, ma non esce nessuno e così<br />
metto in moto e me ne vado. Mi sento scivolare addosso una nuova<br />
sconfitta...<br />
Non vado subito a casa. Negli ultimi tempi ho conosciuto un tipo<br />
totalmente schizzato, un figlio dei fiori tardone degli anni novanta<br />
che è <strong>di</strong>ventato un eru<strong>di</strong>to nel settore “viaggi chimici”.<br />
Non avevo mai sperimentato droghe prima, a parte l’alcol<br />
ovviamente, ma sto attraversando un periodo <strong>di</strong> transizione che ha<br />
bisogno <strong>di</strong> essere stimolato da nuove esperienze.<br />
Non mi piace fumare, anche se mi sforzo <strong>di</strong> farlo, e o<strong>di</strong>o sniffare e<br />
chi sniffa. Il mio sistema è la cara e semplice via orale. Il figlio dei<br />
fiori mi allunga cinque confetti colorati ed io, insieme alla<br />
buonanotte, gli allungo un centone.<br />
Ne butto giù uno mentre mi immetto nei viali affollati del venerdì<br />
sera. Prima che la botta mi salga, accosto davanti al primo locale<br />
che incontro. Con la testa in piena eiaculazione mi ci butto dentro.<br />
La tipa al banco è decisamente meglio <strong>di</strong> quella del pub. Or<strong>di</strong>no un<br />
“Cuba” e lei me lo serve alla maniera giusta, ovvero bello pesante.<br />
Il locale è un rigurgito <strong>di</strong> esseri non pensanti, proprio ciò <strong>di</strong> cui<br />
avevo bisogno.<br />
Mi avvicino ad una che per un attimo assomiglia ad un cobra,<br />
invece è solo una vecchia compagna <strong>di</strong> liceo che desidero con tutto<br />
me stesso in quell’istante, solamente per riconoscere il mio totale<br />
87
<strong>di</strong>sprezzo <strong>di</strong> lei appena apre bocca. Parliamo del tempo e <strong>di</strong> sesso,<br />
e con la scusa <strong>di</strong> andarmene a prendere un altro drink la mollo. Mi<br />
sento parte <strong>di</strong> un gioco che o<strong>di</strong>o.<br />
La domenica sera la passo in casa a guardarmi un film americano.<br />
È la storia <strong>di</strong> un negoziatore che aiuta una bella fighetta <strong>di</strong> moglie<br />
alla quale è stato rapito il marito. I cattivi sono un gruppo <strong>di</strong> ribelli<br />
boliviani o colombiani, non ricordo, che si finanziano con la coca e<br />
con i sol<strong>di</strong> dei riscatti dei rapimenti che mettono in atto; gente<br />
ignorante e povera che vive sulle montagne del sud-America. I<br />
buoni sono i ricchi occidentali (perlopiù americani) sempre pronti<br />
ad aiutare il prossimo.<br />
Fine del film; i cattivi muoiono tutti, i buoni salvano il marito<br />
rapito della fighetta, l’eroe <strong>di</strong> turno se ne va via con le spalle alla<br />
telecamera mettendo in risalto la sua virilità.<br />
La storia mi deprime a tal punto che non riesco più a trovare il<br />
sonno, così esco a fare due passi, procedendo contro un vento<br />
freddo che mi sferza il viso costringendomi a tenere gli occhi<br />
socchiusi.<br />
Le strade sono vuote e silenziose. Mi guardo un po’ attorno e<br />
scorgo solo alcune luci accese nelle case vicine. Mi domando se là<br />
dentro ci siano persone che mi comprendano un po’.<br />
Stasera vado da Luca e la sua cara Sara. Vogliono presentarmi una<br />
tipa che sembra perfetta per me, o almeno questo è ciò che <strong>di</strong>cono<br />
loro. Si chiama René ed è per metà svizzera. Dato che o<strong>di</strong>o gli<br />
svizzeri, si prospetta proprio una bella serata. Non voglio però<br />
pregiu<strong>di</strong>care niente, così indosso un abito decente e cerco <strong>di</strong> essere<br />
il più puntuale possibile.<br />
Mentre salgo in ascensore dal mio caro ex-compagno <strong>di</strong> avventure,<br />
provo a respirare profondamente e a darmi un’aria accesa, ma<br />
prima che la piattaforma si fermi ho già ingoiato una delle mie<br />
pillole magiche. Inizio a contare i secon<strong>di</strong> che mi separano dalla<br />
tranquillità.<br />
88
René è decisamente una ragazza bellina, e per me questo aggettivo<br />
vale <strong>di</strong> più <strong>di</strong> bella. “Bellina” risveglia in me un senso <strong>di</strong> purezza e<br />
trasgressività, la perfetta combinazione tra la dolcezza<br />
dell’apparenza e la giustificata incontenibile forza dei sensi.<br />
Mangiamo ed io mi immergo in una conversazione politica dalla<br />
quale non riesco proprio ad uscire, e alla fine della cena riconosco<br />
<strong>di</strong> aver fatto una brutta figura. Luca e Sara se la ridono, io finisco<br />
quel che rimane della terza bottiglia <strong>di</strong> vino, mentre René mi regala<br />
un sorriso, facendomi sentire a <strong>di</strong>sagio e nello stesso tempo<br />
lusingato.<br />
Dentro <strong>di</strong> me sono sicuro <strong>di</strong> aver fatto una figura terribile, ma la<br />
ragazza non sembra essere assolutamente <strong>di</strong>spiaciuta della mia<br />
presenza. Si alza da tavola e <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong> voler preparare il caffè, ed<br />
io le guardo il sedere mentre va in cucina. In quel momento la<br />
desidererei con tutto me stesso, ma c’è una parte <strong>di</strong> me che non si<br />
sente alla sua altezza.<br />
La serata sfuma su qualche nota jazz e un paio <strong>di</strong> spinelli che io<br />
rifiuto prontamente. C’è un po’ <strong>di</strong> vodka sul tavolo, ed io preferisco<br />
finirmi con quella.<br />
Sto per andarmene e vorrei chiedere il numero <strong>di</strong> telefono <strong>di</strong> René,<br />
ma non ce la faccio proprio. Così chiamo il mio amico da una parte<br />
e mi faccio dare il numero da lui. Mentre saluto la ragazza, con un<br />
innocente bacio sulla guancia, avverto il suo odore, e so già che<br />
non mi farà chiudere occhio stanotte.<br />
A casa mi metto a chattare con una tipa che <strong>di</strong> sicuro è un uomo,<br />
ma non me ne importa granché. Porto la conversazione sul sesso e<br />
lei (o lui) la butta sul pesante. Mi convinco della mia intuizione<br />
iniziale e tronco la conversazione. Alla fine solo qualche bel sito<br />
porno riesce a consolarmi.<br />
II giorno dopo a lavoro non riesco a focalizzare niente. In parte è<br />
colpa dello sballo della sera prima, ma non solo. Rievoco il volto<br />
<strong>di</strong> René in maniera costante. Proprio una brutta storia...<br />
89
Il mio capo ne fa una delle sue. Si lamenta del mio ultimo lavoro,<br />
della lentezza con cui è stato svolto, ma nella sua pre<strong>di</strong>ca non ne<br />
esce con alcuna soluzione. In pratica si lamenta <strong>di</strong> me e basta, solo<br />
per demoralizzarmi. Che grand’uomo!<br />
Giunto a casa entro in uno stato <strong>di</strong> totale depressione, ma riesco<br />
subito ad in<strong>di</strong>viduare la mia isola <strong>di</strong> salvezza. Osservo il telefono<br />
morto in un angolo della stanza e riconosco in lui la mia unica<br />
arma <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa. Cerco il numero <strong>di</strong> René e lo compongo, ma<br />
l’ultimo tasto che premo è quello che interrompe la linea. Aspetto<br />
qualche secondo e aziono il ripetitore.<br />
Lei mi saluta con entusiasmo, la mia invece è una reazione fiacca,<br />
o almeno è così che la percepisco. Lei mi assicura <strong>di</strong> aver passato<br />
una bella serata, io non le credo e mi compatisco. Balbetto, poi<br />
riprendo il controllo della conversazione e la porto quasi a fine,<br />
anche se senza un concreto risultato. A questo punto è lei che mi<br />
lascia aperta un’ultima porta. La invito a cena, e quando attacco il<br />
telefono non sto più nella pelle.<br />
Mi preparo all’uscita e mi sento ringiovanire. Guido con prudenza,<br />
seguo attentamente le sue in<strong>di</strong>cazioni e arrivo a casa sua in banale<br />
anticipo. Lei è già pronta e scende. È veramente tanto carina!<br />
La serata è quasi perfetta. La cena è ottima, il vino è squisito e lei<br />
adora girare in auto la sera con la giusta musica. Per me è il<br />
massimo, così ci lasciamo scivolare addosso i chilometri delle<br />
vicine colline accompagnati dall’elettricità <strong>di</strong> Moby, dalle melo<strong>di</strong>e<br />
nor<strong>di</strong>che <strong>di</strong> Bjork e dalle vibrazioni crepuscolari <strong>di</strong> David Sylvian.<br />
La situazione è così speciale che non vorrei confonderla con del<br />
sesso scontato.<br />
Fermo la macchina e parliamo un po’. Decido <strong>di</strong> baciarla e lei mi<br />
accoglie. Nei nostri movimenti ci scopriamo simili nelle intenzioni.<br />
Rimaniamo a metà strada, eccitandoci senza mai spingerci oltre.<br />
Entrambi siamo coscienti del fatto che una scopata rovinerebbe<br />
molte cose. La riporto a casa e fissiamo per la sera dopo.<br />
Mentre sparisce <strong>di</strong>etro il portone riesco a sentirmi appena vivo.<br />
90
A lavoro, durante la pausa pranzo, me ne vado al bar vicino<br />
insieme ad alcuni miei colleghi. Lo faccio per non apparire<br />
misantropo.<br />
I miei colleghi parlano tutto il tempo, io invece mi limito ad<br />
annuire ed a staccare bocconi dai gommosi panini che ci servono.<br />
Le uniche conversazioni decenti che mi concedo sono con il<br />
ragazzo che ci serve e col senegalese <strong>di</strong> turno che cerca <strong>di</strong> venderci<br />
qualcosa. A casa ho una collezione <strong>di</strong> accen<strong>di</strong>ni invi<strong>di</strong>abile, il<br />
prezzo <strong>di</strong> alcune interessanti <strong>di</strong>scussioni sulle <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> un<br />
extracomunitario in Europa.<br />
Oggi ho deciso <strong>di</strong> allungare la mia pausa pranzo, a <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong> ciò<br />
che il mio capo possa pensare. I miei colleghi sono appena rientrati<br />
ed io siedo davanti a Rudh, il ragazzo <strong>di</strong> colore, e Filippo il<br />
cameriere. Ho appena confessato il mio totale coinvolgimento<br />
amoroso con la tipa, e loro mi guardano con uno stupido sorriso<br />
sulle labbra. Potrei nascondermi sotto il tavolo, ma non lo faccio.<br />
Terminato il racconto vorrei sentirmi <strong>di</strong>re <strong>di</strong> lasciar perdere, <strong>di</strong> non<br />
farmi coinvolgere in storie più gran<strong>di</strong> <strong>di</strong> me, invece i due<br />
rispondono con entusiasmo, consigliandomi <strong>di</strong> fare il passo<br />
successivo. Il cameriere mi offre un altro caffè e Rudh mi regala<br />
un nuovo accen<strong>di</strong>no, poi me ne torno a lavoro assorto in mille<br />
pensieri, che azzittiscono le voci <strong>di</strong> protesta del grande capo.<br />
Squilla il telefono e spero sia René. Delusione tremenda. La voce<br />
che mi risponde è quella <strong>di</strong> uno dei due balor<strong>di</strong> del pub.<br />
Si finge preoccupato e forse lo è per davvero, ma in fondo non fa<br />
che criticare il mio comportamento <strong>di</strong>staccato e l’apatia che<br />
<strong>di</strong>mostro negli ultimi tempi. Faccio tesoro <strong>di</strong> tutte queste critiche<br />
costruttive e lo mando a fanculo con enfasi. Lui mi richiama subito<br />
dopo e chiede spiegazioni, ma io non gli rispondo e stacco il<br />
telefono.<br />
Lo riattacco solo <strong>di</strong>eci minuti dopo per controllare la mia posta<br />
elettronica. C’è una e-mail <strong>di</strong> René, ed il mondo si trasforma<br />
91
magicamente in qualcosa <strong>di</strong> bello.<br />
Mi racconta della sua giornata <strong>di</strong> lavoro, decisamente non delle<br />
migliori, e della sua amica Denise, una ragazza americana con cui<br />
<strong>di</strong>vide l’appartamento. Poi si sofferma sull’altra sera, e mi confessa<br />
<strong>di</strong> aver passato una delle più belle serate da quando è in Italia. Mi<br />
chiede quando possiamo rivederci ed io lo vorrei subito, ma dopo<br />
aver cliccato sul “replay” non so più cosa scrivere.<br />
Decido <strong>di</strong> spegnere l’arnese infernale e <strong>di</strong> chiamarla.<br />
Compongo il numero del suo cellulare per evitare esitazioni. Lei<br />
mi risponde con quel suo tenero accento che mi fa brillare dentro,<br />
poi ci scambiamo confidenze così <strong>di</strong>sponibili che lasciano spazio<br />
ad una bellissima intesa sessuale. La nostra notte è già stata scritta<br />
dalle nostre parole. Noi non possiamo far altro che lasciarci<br />
guidare dai nostri istinti.<br />
A cena non or<strong>di</strong>niamo né il dolce né il caffè, perché non ce la<br />
facciamo proprio ad aspettare ancora. Montinamo in auto, mi<br />
<strong>di</strong>rigo a casa mia e non le chiedo niente. Durante il tragitto non<br />
pronunciamo una singola parola. Solo la musica ci tiene<br />
compagnia, nella nostra insfofferente con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> aspettativa.<br />
Assaporo il brivido dell’eccitazione che precede l’atto sessuale, una<br />
timida erezione che controllo per rispetto verso <strong>di</strong> lei. Ma tutto ciò<br />
mi pare sciocco. Lei ha voglia <strong>di</strong> me tanto quanto io ne ho <strong>di</strong> lei.<br />
Apro la porta <strong>di</strong> casa ed accendo la luce, ma è tutto ciò che riesco a<br />
fare prima <strong>di</strong> gettarmi tra le sue braccia.<br />
Facciamo sesso al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> qualsiasi aspettativa, de<strong>di</strong>candoci<br />
reciprocamente ad ogni settore della nostra epidermide,<br />
sfiorandolo, leccandolo, gustandolo. Le libi<strong>di</strong>ni concettuali<br />
sperimentate in passato non possono competere con la semplicità<br />
del nostro rapporto. L’atto in sé non ha niente <strong>di</strong> particolare, ma il<br />
tempismo con il quale riusciamo a toccarci e ad unirci proietta le<br />
nostre menti al <strong>di</strong> là del piacere effimero dell’orgasmo.<br />
Giochiamo con i nostri interruttori del piacere come dei bambini<br />
innocenti, ma sappiamo come azionare i giusti neuroni,<br />
92
spingendoci verso confini pericolosi, là dove il piacere può<br />
<strong>di</strong>ventare rabbia e insod<strong>di</strong>sfazione. Alla fine però il risultato è<br />
sempre appagante.<br />
I nostri orgasmi, perché ve ne furono più <strong>di</strong> uno, li raggiungiamo in<br />
luoghi sconosciuti, dentro sfere <strong>di</strong> purezza assoluta, la purezza<br />
della completa accettazione <strong>di</strong> un’unione, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> qualsiasi freno.<br />
Ca<strong>di</strong>amo in un sonno magico, sentendoci come pesci dentro un<br />
liquido protettivo, e così respirare <strong>di</strong>venta più facile...<br />
Si susseguono strane giornate, fatte <strong>di</strong> insostenibili attese ed intensi<br />
momenti <strong>di</strong> unione. Il lavoro <strong>di</strong>venta uno stato <strong>di</strong> “non-vita” che<br />
provo a lasciarmi scivolare addosso. Avverto le due <strong>di</strong>stinte<br />
identità, quella povera e infelice del giorno e quella brillante della<br />
notte. Riesco a convincermi della giustezza <strong>di</strong> questa con<strong>di</strong>zione,<br />
pagare il prezzo del giorno per la felicità della sera. Il lavoro<br />
<strong>di</strong>venta semplicemente un brutto film che sono costretto a<br />
guardare, ma anche se non mi è permesso chiudere gli occhi, posso<br />
sempre viaggiare tra le fantasie più prossime, quelle che mi<br />
attendono al <strong>di</strong> là della porta dell’ufficio.<br />
René è un libro aperto che si lascia leggere con entusiasmo. A<br />
volte si rivela complesso ed un po’ contrad<strong>di</strong>ttorio, ma leggendolo<br />
con attenzione riesco ad afferrare tutte le risposte <strong>di</strong> cui ho<br />
bisogno. Sto più attento ai semafori adesso, le poche volte che non<br />
dormo da lei e ritorno al mio vecchio borgo.<br />
Lentamente scompare quel bisogno <strong>di</strong> viaggio artificiale delle mie<br />
droghe, quell’isola <strong>di</strong> sicurezza a basso costo nella quale mi<br />
rifugiavo sempre più spesso. So che comunque è sempre lì, e potrei<br />
raggiungerla facilmente con il prossimo traghetto.<br />
Sono le sei <strong>di</strong> pomeriggio e ho appena aperto la porta si casa. René<br />
mi ha chiamato in ufficio <strong>di</strong>cendomi che sarebbe venuta da me<br />
stasera. Lentamente prendo consistenza, mi spoglio della mia veste<br />
<strong>di</strong> spettro e <strong>di</strong>vento reale, almeno fino alla prossima alba.<br />
Nonostante tutto, mentirei se <strong>di</strong>cessi <strong>di</strong> non desiderare a volte che<br />
non sorga.<br />
93
GIUGNO 1990<br />
A vent’anni usavamo focali corte, concentrandoci sui primi e i<br />
primissimi piani. Se chiudo gli occhi riesco ancora sentire sulla<br />
pelle l’umi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> quel pratone dove andavamo a finire le serate,<br />
quattro amici, una busta piene <strong>di</strong> birre e un pezzo rock suonato<br />
nella <strong>di</strong>stanza. Ebbro della sensazione <strong>di</strong> immortalità, a quell’età<br />
fai soltanto le cose che ti senti <strong>di</strong> fare, pensando ingenuamente <strong>di</strong><br />
essere l’unico a farle, e ti aggrappi come un naufrago alla<br />
convinzione <strong>di</strong> essere speciale, solo per scoprire con gli anni <strong>di</strong><br />
aver percorso una strada scritta e riscritta più volte. Eppure, per<br />
quanto tu possa elaborare e razionalizzare quegli eventi, le<br />
emozioni <strong>di</strong> quegli anni rimarranno a farti compagnia fino alla<br />
vecchiaia.<br />
Ricordo solo sprazzi <strong>di</strong> quella serata <strong>di</strong> giugno, quel lontano 1990<br />
che a bisbigliarlo tra le labbra assume tutto il significato <strong>di</strong> un<br />
riquadro appartenente ad un millennio lontano. Si, proprio così, un<br />
accozzaglia <strong>di</strong> immagini preconfezionate, come le picconate sul<br />
muro <strong>di</strong> Berlino e le scu<strong>di</strong>sciate <strong>di</strong> chitarra <strong>di</strong> Curt Cobain, vendute<br />
dalla televisione come placebi <strong>di</strong> libertà. Ma ancora oggi la<br />
sensazione rimane quella <strong>di</strong> un periodo pieno <strong>di</strong> finzioni, dal quale<br />
preferivamo prendere le nostre <strong>di</strong>stanze, quando il mondo ce ne<br />
dava l’occasione. Il pratone era un modo come un altro, ma c’erano<br />
anche le serate sotto i palazzi, le gare in motorino e le panchine dei<br />
giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> periferia.<br />
La notte era calda, gli amici erano quelli giusti e la birra era quella<br />
a buon mercato, che a metà bottiglia perdeva già tutto il gas e<br />
<strong>di</strong>ventava rancida, ma a noi ci andava bene lo stesso. Ne potevamo<br />
bere finché ce n’era e al ritorno, sui nostri motorini, il vento in<br />
94
faccia ci avrebbe tenuto lontano dai guai. Della birra, anche quella<br />
da due lire, ci si può sempre fidare. I superalcolici invece sono<br />
un’altra faccenda…<br />
Giacomino non era un abituale del gruppo. Lo conoscevamo tutti<br />
ma stava insieme ad altra gente, quelli del “metal pesante”,<br />
<strong>di</strong>cevamo, che noi ascoltavamo a volte, evitando sempre <strong>di</strong><br />
conformarci a una qualsiasi tendenza, anche quelle più estreme.<br />
Capelli lunghi, smilzo, con indosso una maglietta dei Cannibal<br />
Corpes e due occhi cerchiati che la <strong>di</strong>cevano lunga sulle sue<br />
abitu<strong>di</strong>ni alcoliche, è così che me lo ricordo ancora oggi, un’ombra<br />
degli anni novanta che cercava alla sua maniera <strong>di</strong> lasciare il<br />
segno.<br />
Suonava il basso in una band, roba quasi inascoltabile, e mi era<br />
successo un paio <strong>di</strong> volte <strong>di</strong> andare a vedere le prove in un piccolo<br />
stu<strong>di</strong>o arrangiato <strong>di</strong>etro la parrocchia del quartiere. Girava sempre<br />
molto alcol e nessuno della band si faceva dei problemi a<br />
mischiare birra, jegermeister e vin santo nella stesso bicchierino <strong>di</strong><br />
plastica. Ma l’oscurità del contorno non riusciva a <strong>di</strong>ssipare una<br />
particolarità <strong>di</strong> quel ragazzo che mi ha sempre colpito; la sua<br />
empatia. Ti guardava da oltre quella cascata <strong>di</strong> capelli corvini che<br />
gli arrivavano fino al culo e mai una volta che non ti regalasse un<br />
sorriso, <strong>di</strong> quelli sinceri, che la gente normale non sa nemmeno<br />
dove prenderli in prestito.<br />
Quella sera <strong>di</strong> giugno venne a sedersi insieme a noi con una<br />
bottiglia <strong>di</strong> grappa piena solo per metà. Era assorto, più silenzioso<br />
del solito. Solo in un secondo tempo venimmo a sapere che aveva<br />
dei problemi con il padre, un uomo vecchio ancora prima <strong>di</strong><br />
nascere, consumato da un rancore <strong>di</strong> cui ignorava lui stesso<br />
l’origine. Ma a vent’anni avere problemi con il proprio padre è una<br />
cosa talmente normale che a ripensarci adesso mi vien da alzare le<br />
spalle e fare finta <strong>di</strong> niente. Eppure la storia rimane, rossa e<br />
incancellabile come le macchie <strong>di</strong> sangue sull’asfalto, ed ogni<br />
storia ha i suoi perché.<br />
95
Quando il bar in fondo al pratone staccò la spina agli altoparlanti<br />
troncando a metà un pezzo dei Depeche Mode, la gente continuò a<br />
riversarsi nel parco, perché a quell’ora non c’era quasi più niente <strong>di</strong><br />
aperto in città e sul pratone si poteva fumare in<strong>di</strong>sturbati, parlare<br />
fino al mattino e continuare a bere senza problemi; l’importante era<br />
averci il rifornimento. Noi andammo avanti oltre l’ora solita,<br />
perché era sabato e non ci correva <strong>di</strong>etro nessuno. Giacomino si<br />
finì da solo la grappa, che alternava alla birra che ci passavamo.<br />
Quando le prime luci dell’alba rischiararono le chiome del parco,<br />
qualcuno del gruppo decise che era giunta l’ora <strong>di</strong> prendere la<br />
strada <strong>di</strong> casa e unanimemente seguimmo la sua decisione, perché<br />
avevamo davvero troppa roba nelle budella.<br />
Fui io a vedere Giacomino per ultimo. Lui ci salutò con quel suo<br />
solito sorriso, allontanandosi barcollando verso un altro gruppo <strong>di</strong><br />
ragazzi che noi non conoscevamo. Mentre seguivo i miei amici mi<br />
venne in mente <strong>di</strong> passargli una cassetta che tenevo in tasca del<br />
giacchetto, una compilation anni settanta che speravo potesse<br />
interessargli. Tornai in<strong>di</strong>etro, lo chiamai e gli allungai il nastro. Lui<br />
mi sorrise con due laghi smeral<strong>di</strong>ni negli occhi, poi mi abbracciò in<br />
maniera istintiva, una <strong>di</strong> quelle cose che si fanno <strong>di</strong> solito a fine<br />
serata, con la mente alla deriva e il sangue pericolosamente<br />
contaminato dall’alcol.<br />
La notizia ci arrivò la sera dopo, come un macigno scagliato da<br />
Willy il Coyote nella gola del Gran Canyon. La legge sul casco era<br />
già entrata in vigore da qualche anno, ma alle sei del mattino,<br />
rientrando da una nottata brava, con la temperatura che finalmente<br />
scende sotto i trenta gra<strong>di</strong>, ce ne sono pochi che si prendono la<br />
briga <strong>di</strong> allacciarselo. Forse, se Giacomino l’avesse fatto, sarebbe<br />
ancora insieme a noi.<br />
96
LEZIONE DI FEDE<br />
L’ubriaco abbassò gli occhi sul mio corpo agonizzante e mi offrì lo<br />
sgron<strong>di</strong>no della bottiglia <strong>di</strong> scotch che teneva in mano. Io rifiutai<br />
con un sorriso, anche se ne avevo un bisogno matto. L’ambulanza<br />
sarebbe arrivata presto, mi ripetevo. Credevo <strong>di</strong> sentirne già la<br />
sirena…<br />
Il dolore al petto, dove la pallottola era penetrata, si faceva più<br />
sopportabile e la cosa era poco rassicurante. Avevo sempre<br />
supposto che quando il dolore <strong>di</strong> una ferita grave svanisce significa<br />
che si è già con un piede nella fossa.<br />
- Non temere, ce la farai… – biascicò l’ubriaco. Mi si annebbiò la<br />
vista, non so se per via della ferita o del suo alito.<br />
- Che ne sai te? – chiesi io, sputando sangue.<br />
- Perché ce la fanno tutti... – rispose lui, portandosi la bottiglia alle<br />
labbra.<br />
- Che vorresti <strong>di</strong>re? – domandai, mentre sentivo uno strano calore<br />
salirmi dal petto alla testa. Lui allora avvicinò il suo testone<br />
barbuto al mio, reggendosi a malapena sulle gambe. Mi guardò con<br />
due occhi liqui<strong>di</strong> e profon<strong>di</strong> come il mare.<br />
- Ce la facciamo tutti… – ripeté. Poi con un ultimo sorso terminò<br />
la sua bottiglia <strong>di</strong> whisky e la gettò lontano, <strong>di</strong>etro i cassonetti <strong>di</strong><br />
quel vicolo in cui pochi attimi prima un ragazzino si era fatto<br />
scappare un colpo <strong>di</strong> pistola mentre cercava <strong>di</strong> derubarmi. Il<br />
ladruncolo era rimasto più sorpreso <strong>di</strong> me, che me ne stavo in<br />
ginocchio con un buco all’altezza del torace, ed era fuggito tra le<br />
ombre della città <strong>di</strong>menticandosi completamente del mio<br />
portafoglio.<br />
- Hai chiamato l’ambulanza? – chiesi all’ubriaco con un filo <strong>di</strong><br />
97
voce. Lui sorrise, o così mi parve, sotto la sua barba ispida e<br />
puzzolente.<br />
- Si, sta arrivando. Non preoccuparti… ti salverai! – La sua<br />
espressione era <strong>di</strong>ventata improvvisamente lucida e la sua voce era<br />
ferma come quella <strong>di</strong> un dottore che spiega la <strong>di</strong>agnosi al paziente.<br />
- Ma come fai ad esserne così sicuro?<br />
- Perché tutti ci salviamo. Solo gli altri non ce la fanno… Non te<br />
ne sei mai accorto?<br />
- Cosa? – esclamai, senza capirci niente. Lui continuò con voce<br />
sicura ma col fiato alcolico.<br />
- Incidenti, terremoti, guerre, ogni giorno la morte si manifesta tra<br />
noi in tutta la sua crudeltà, sussurrandoci che presto potrebbe<br />
arrivare il nostro turno, eppure questo non accade, come se le<br />
trage<strong>di</strong>e <strong>di</strong> cui appen<strong>di</strong>amo notizia servino solo a ricordarci la<br />
nostra fortuna. E lo sai perché?<br />
- No…<br />
- Perché tutti quanti siamo destinati ad una lunga vita.<br />
- Lunga quanto? – il dolore intanto era cessato del tutto, insieme<br />
alla sensazione <strong>di</strong> bagnato e appiccicaticcio provocata dal sangue<br />
sulla camicia.<br />
- Molto lunga… novanta, cento anni, forse <strong>di</strong> più…<br />
- Ma come può essere? – L’idea era ri<strong>di</strong>cola, ma avevo bisogno <strong>di</strong><br />
aggrapparmi a qualcosa. Ero certo che se non lo avessi fatto ci<br />
avrei lasciato le penne in quel vicolo.<br />
- Perché ognuno <strong>di</strong> noi percepisce solo la sua vita, il suo sogno… –<br />
continuò lui.<br />
- Ma allora perché dobbiamo vivere nella paura <strong>di</strong> morire?<br />
A questo punto lui si fece ancora più vicino e per un istante pensai<br />
<strong>di</strong> stare per affogare nei suoi occhi.<br />
- Per imparare a credere… – rispose.<br />
Dopo<strong>di</strong>ché devo avere perso i sensi. Mi sono risvegliato il giorno<br />
dopo in un letto d’ospedale. Ero stato operato, il proiettile<br />
fortunatamente era <strong>di</strong> piccolo calibro e per miracolo non era<br />
98
iuscito a perforare il polmone.<br />
Ho ripensato molte volte alle parole del vecchio ubriaco, mentre<br />
uomini, donne, bambini, amici e parenti morivano attorno a me,<br />
per malattie o incidenti o altre strane cause del destino. Ci penso<br />
ancora adesso, alla vigilia del mio novantasettesimo compleanno, e<br />
sorrido.<br />
Se ho imparato a credere? Si, ho iniziato ad imparare il giorno<br />
dopo la rapina nel vicolo. E ho vinto anche la paura della morte.<br />
Anzi, se devo <strong>di</strong>rvi la verità, non vedo l’ora che mi venga a fare<br />
visita.<br />
Si, credo <strong>di</strong> essere pronto, adesso.<br />
99
IL RESPIRO<br />
Faceva caldo, troppo caldo per rimanere sopra le lenzuola a<br />
vederla dormire accanto, perduta in sogni <strong>di</strong> sicurezza, echi <strong>di</strong><br />
bugie dette e ripetute alla luce del sole, quel sole ormai scomparso<br />
<strong>di</strong>etro la linea dell'orizzonte. Ma la notte sembrava incapace <strong>di</strong><br />
nascondere le verità dei presenti <strong>di</strong>ssapori, e il caldo non faceva<br />
che peggiorare il mio stato <strong>di</strong> apatia. Non potevo continuare a<br />
fissarla alla luce quasi dolce del computer acceso; me la rendeva<br />
troppo innocua ed ingannevole.<br />
Allora spensi lo screen e con sicurezza trovai al buio la porta del<br />
bagno. La faccia che vi<strong>di</strong> riflessa aveva un colore sabbioso, due<br />
orbite <strong>di</strong>stanti, i capelli appiccicati dal sudore quasi a volere<br />
incorniciare il quadro <strong>di</strong> una notte in bianco. Io, nei trenta gra<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
una notte insonne d'estate, insieme a tutto il mio rancore.<br />
Bagnai il mio viso con cascate abbondanti dalle mie mani, ma era<br />
solo l'idea <strong>di</strong> un sollievo. Decisi allora <strong>di</strong> farmi una doccia<br />
bollente, per riflettere il caldo, o forse per sfidarlo. Dopo andava<br />
un po' meglio, ma non abbastanza per rimanermene lì ad osservare<br />
il soffitto o lei, perché tanto già lo sapevo che la notte era perduta.<br />
Nell'oscurità cercai la maglietta e i pantaloni corti sulla se<strong>di</strong>a dove<br />
li avevo lasciati. Li afferrai e me li infilai nel soggiorno, insieme<br />
alle scarpe <strong>di</strong> tela che avevo lasciato in un angolo. Gettai uno<br />
sguardo nel profondo nero della TV. La maligna sembrava<br />
invitarmi nella sua comoda prigione, ma ignorai la chiamata ed<br />
uscii nella notte bastarda <strong>di</strong> luglio.<br />
Dovevano essere passate da poco le una. Nessuno per strada a<br />
parte i rumori <strong>di</strong>stanti dei televisori accesi da chi non sopportava il<br />
caldo come me. Un motorino scoppiettò da qualche parte, e fu<br />
100
come uno squarcio <strong>di</strong> luce nel buio. Poi tornò la quiete, inevitabile<br />
come la temperatura. Cercai una <strong>di</strong>rezione, seguendo forse ad<br />
istinto i percorsi più freschi, aggirandomi come un rabdomante che<br />
insegue l'acqua con un bastoncino in mano, un folle nel deserto<br />
delle una <strong>di</strong> notte. Non incontrai nessuno.<br />
Un gatto nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> un vicino, l'abbaiare <strong>di</strong> un cane in<br />
lontananza, la poca luce <strong>di</strong> una falce <strong>di</strong> luna appesa al cielo. La<br />
notte <strong>di</strong>ventava sempre più fonda, ma l'aria era troppo permeata <strong>di</strong><br />
sole per poter morire nel freddo mondo senza astro. Lo sentivano<br />
anche gli animali attorno. Le rane facevano fatica a gracidare<br />
quanto io a camminare. Lo intuii.<br />
Non ricordo quanto fosse passato. So che mi ero perso in un punto<br />
del paese a me ignoto, un quartiere dove le case si facevano più<br />
fitte e le stra<strong>di</strong>ne più strette, e il tutto più oppressivo. Fu in questo<br />
paesaggio che avvertii il respiro. Se fosse stato basso e roco<br />
sarebbe stato un rumore, ma era abbastanza acuto e prolungato da<br />
sembrare un suono, costante, trascinato, incombente. Proveniva<br />
dalle mie spalle, ma appena mi voltai lo avvertii davanti a me.<br />
All'inizio non ci badai. continuai a camminare cercando in quelle<br />
strade sconosciute qualcosa <strong>di</strong> familiare, un'in<strong>di</strong>cazione che mi<br />
rimettesse sulla via <strong>di</strong> casa. La mia mente però veniva<br />
continuamente <strong>di</strong>stratta da quel suono, perché era veramente<br />
troppo innaturale per passare inosservato. Quando mi fermavo per<br />
afferrare meglio quello strano respiro, questo svaniva nella notte,<br />
moriva brevemente nell'interesse che gli avevo riposto, quasi<br />
sfuggisse al mio desiderio <strong>di</strong> realtà. Poi riprendevo a camminare e<br />
ritornava puntuale.<br />
Ma la notte era troppo calda anche solo per pensare <strong>di</strong> avere paura,<br />
e così lasciai che quel respiro continuasse a prendersi gioco <strong>di</strong> me,<br />
arrendendomi a quella nuova ambiguità della mia vita. Quando<br />
rientrai in casa erano ormai passate le tre, e quasi non mi accorsi<br />
<strong>di</strong> sentirmi l’uomo più stanco del mondo. Cad<strong>di</strong> accanto a lei in un<br />
sonno obliante, vincendo finalmente quella strana notte insonne..<br />
101
Adesso è inverno, ed è abbastanza freddo da poter aver paura. E<br />
non nego <strong>di</strong> averne, perché ho scoperto <strong>di</strong> chi era il respiro che mi<br />
inseguiva quella notte d’estate. Ora che il mistero mi si è rivelato,<br />
so <strong>di</strong> non potermi più tirare in<strong>di</strong>etro. Devo prendere le mie<br />
decisioni, crederci e andare fino in fondo.<br />
Scappare sarebbe sbagliato.<br />
Rimanere forse anche peggio.<br />
Quando avverti il Suo fiato sul collo, devi deciderti.<br />
Non puoi più rimandare.<br />
102
UNA QUESTIONE INSIGNIFICANTE<br />
Avevamo fatto i nostri progetti, come ogni coppia passati i trenta.<br />
Emanuela voleva due figli, io mi sarei fermato al primo, ma non<br />
<strong>di</strong>ssi niente perché le cose dovevano ancora mettersi in moto e non<br />
c’era alcun bisogno <strong>di</strong> essere troppo previdenti. Prima <strong>di</strong> tutto il<br />
matrimonio, non perché credevamo nella sacralità del voto, ma per<br />
la comune idea <strong>di</strong> rassicurare i figli, come se un pezzo <strong>di</strong> carta<br />
fosse sufficiente… Adesso, dopo tutto quello che è successo, trovo<br />
buffa quella nostra complicità, quella voglia frenetica <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare<br />
il nostro mondo sin nei minimi particolari. Eppure ci credevo,<br />
come credevo alle cose normali che mi accadevano tutti i giorni, la<br />
mia rassicurante quoti<strong>di</strong>anità fatta <strong>di</strong> cappuccini e cornetti, <strong>di</strong><br />
chiacchiere con gli amici del bar e <strong>di</strong> giornali lasciati sugli sportelli<br />
dei freezer per i gelati. Credevo alla puntualità con cui mi recavo<br />
in ufficio alla mattina, alle tiepide battute insieme ai colleghi, per<br />
insaporire i rapporti, alle <strong>di</strong>scussioni sportive durante la pausa<br />
pranzo e ai regolari messaggi <strong>di</strong> lei, che mi arrivavano sul cellulare<br />
per ricordarmi quanto ero fortunato <strong>di</strong> conoscere una persona dolce<br />
e sensibile come Emanuela. Credevo a tutto questo, come un<br />
miliardo <strong>di</strong> uomini come me.<br />
Ma il dolore è capace <strong>di</strong> aprire porte che non avresti mai pensato <strong>di</strong><br />
avere. Esistono angoli remoti dentro <strong>di</strong> noi, invasi da ragni ed<br />
insetti, in cui la luce è ban<strong>di</strong>ta. I più vivono una vita sospesa,<br />
galleggiando vicino ai piani bassi. Pochi si elevano oltre le nubi,<br />
per lasciarsi intrattenere dagli abbagli del sole. Solo chi ha questa<br />
fortuna vive con il rischio <strong>di</strong> cadere, e solo una caduta dall’alto può<br />
farti precipitare nelle profon<strong>di</strong>tà in cui <strong>di</strong>morano gli aracni<strong>di</strong>… Ho<br />
visto quei luoghi dentro <strong>di</strong> me, ho aperto le porte proibite, ho<br />
103
anelato <strong>di</strong> abbandonare la mia anima agli eccessi e lasciarmi<br />
cullare dalla follia. Ho pensato che la colpa fosse sua, ma in verità<br />
non esistono colpe. Siamo piccoli pedoni su una scacchiera<br />
sconfinata, dentro un gioco ad infinite <strong>di</strong>mensioni.<br />
Per il viaggio <strong>di</strong> nozze scegliemmo la Turchia. Era aprile ed<br />
entrambi preferivamo evitare le temperature proibitive dell’estate,<br />
perciò l’idea <strong>di</strong> non perdere neanche uno scorcio della splen<strong>di</strong>da<br />
Istanbul, scattare qualche migliaio <strong>di</strong> foto e godere<br />
spensieratamente l’atmosfera della città dei due continenti, ci<br />
<strong>di</strong>ssuase dall’aspettare le ferie <strong>di</strong> luglio. Fu in un piccolo mercatino<br />
della metropoli turca che acquistai l’oggetto che cambiò<br />
completamente la mia vita e la percezione del mondo in cui<br />
viviamo. Una scatola, una semplice scatola quadrata ricavata da un<br />
blocco <strong>di</strong> marmo <strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> centimetri <strong>di</strong> lato, un<br />
portagioelli, niente più, o almeno questo sembrava.<br />
Non aveva decorazioni ma le venature del marmo creavano dei<br />
<strong>di</strong>segni naturali davvero stupefacenti, che in principio non riuscii<br />
ad identificare. Ve n’era soprattutto uno sul coperchio che<br />
ricordava la forma <strong>di</strong> un insetto, o <strong>di</strong> un crostaceo. Tutto sommato<br />
l’oggetto non era molto bello, ed infatti lo intravi<strong>di</strong> in un angolo<br />
della bancherella, semicoperto dalle altre cianfrusaglie, ma per<br />
qualche oscura ragione ne fui affascinato. Fin dal principio<br />
Emanuela, come era suo solito fare, manifestò accanitamente il suo<br />
<strong>di</strong>sgusto e finimmo per litigare perché, per quanto assurda fosse la<br />
questione, io non avevo alcuna intenzione <strong>di</strong> lasciare il mercato<br />
senza quella scatola. Le promisi che l’avrei portata in ufficio per<br />
usarla come portaoggetti e finalmente raggiungemmo un accordo.<br />
Solo adesso mi spiego quel suo incontenibile senso <strong>di</strong> rigetto nei<br />
confronti del mio curioso acquisto, come se un'abilità percettiva<br />
assopita si fosse ridestata d’improvviso dentro <strong>di</strong> lei.<br />
Tornati in Italia portai come promesso la scatola in ufficio ma<br />
evitai, per qualche oscuro motivo, <strong>di</strong> farla vedere ai miei colleghi.<br />
La usai come portaoggetti mettendoci dentro delle biro, alcune<br />
104
graffette e una chiavetta usb, ma la nascosi dentro l’ultimo cassetto<br />
della scrivania che era sempre vuoto. Ogni tanto mi prendeva<br />
voglia <strong>di</strong> guardarla, <strong>di</strong> rigirarmela tra le mani, in un gioco tutto<br />
mio, cercando <strong>di</strong> interpretare i <strong>di</strong>segni delle sue venature. A volte<br />
vi vedevo il mare, altre volte la sagoma <strong>di</strong> una città in rovina, altre<br />
ancora gli appen<strong>di</strong>ci contorti <strong>di</strong> strane creature insettoi<strong>di</strong>. Non so<br />
come mi sovvenne quell’idea, forse presa in prestito dalle mie<br />
letture giovanili, ma mi tornò in mente assiduamente durante il<br />
periodo antecedente i viaggi.<br />
Tra me ed Emanuela le cose andavano come da programma. Lei<br />
aveva smesso <strong>di</strong> usare la pillola, o almeno così <strong>di</strong>ceva, e si era<br />
presa un giorno libero in più alla settimana per sistemare la nuova<br />
casa, un appartamento poco fuori dal centro che avevamo affittato<br />
insieme un paio <strong>di</strong> settimane prima del matrimonio, e che aveva<br />
una camera in più per il futuro, o i futuri, membri della nostra<br />
famigliola. La sera, rientrando dall’ufficio, la vedevo serena ed<br />
appagata. Mangiavamo veloci una pasta in cucina, io parlavo<br />
<strong>di</strong>strattamente del mio lavoro, lei dei suoi amici su fac<strong>ebook</strong>, poi<br />
mi andavo a fare una doccia perché conoscevo il rituale: dovevamo<br />
provare ogni giorno durante il periodo più fertile, perciò facevamo<br />
l’amore, sempre più in maniera meccanica, ed infine ci lasciavamo<br />
cullare spensieratamente dallo schermo della nuova TV al plasma<br />
appesa davanti al nostro letto. Tutto sommato la preve<strong>di</strong>bilità <strong>di</strong><br />
quella vita non mi <strong>di</strong>sturbava. Accettavo tutto con una sorridente<br />
apatia, ma ogni giorno che passava mi scoprivo a desiderare con<br />
crescente fervore quel momento da solo in ufficio, durante la pausa<br />
pranzo delle una. I miei colleghi uscivano in fretta dai loro loculi<br />
per guadagnare la sala mensa o il bar <strong>di</strong> fronte, ma io rimanevo<br />
ancora cinque minuti, fino a quando gli scalpiccii degli impiegati si<br />
perdevano nella <strong>di</strong>stanza lasciandomi al mio momento. Allora<br />
aprivo lentamente l’ultimo cassetto della scrivania, afferravo la<br />
scatola <strong>di</strong> marmo venata e mi perdevo nei suoi <strong>di</strong>segni,<br />
accarezzandola delicatamente con le punta delle <strong>di</strong>ta. Quel rituale<br />
105
aveva il medesimo effetto dell’autoipnosi.<br />
Durante il primo dei miei molti viaggi scoprii l’inganno del tempo.<br />
Il mio sguardo seguiva una nuova venatura sul coperchio della<br />
scatola, quando ad un tratto avvertii un leggero calore sul palmo<br />
della mano che reggeva l’oggetto. Il <strong>di</strong>segno cambiò<br />
impercettibilmente assomigliando vagamente a una <strong>di</strong> quelle<br />
immagini che si trovano nei libri <strong>di</strong> astronomia; un intrico <strong>di</strong> astri,<br />
una nebulosa, un angolo dello spazio infinito. La mia mano,<br />
pilotata da uno strano impulso, sollevò delicatamente il coperchio.<br />
All’interno non mi aspettavo più <strong>di</strong> trovare gli oggetti che vi avevo<br />
riposti, e non fui deluso. Vi era prima oscurità, rotta ad<br />
intermittenza da luci lontane. In qualche modo era come se<br />
guardassi attraverso un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> alta tecnologia, una sorta <strong>di</strong><br />
tavoletta <strong>di</strong>gitale capace <strong>di</strong> proiettare immagini tri<strong>di</strong>mensionali.<br />
Viaggiai per molte ore in uno spazio remoto, sorvolando pianeti<br />
deserti, a volte <strong>di</strong>sseminati da strane costruzioni, <strong>di</strong> sicuro non<br />
umane. Vi<strong>di</strong> stelle esplodere e nascere dalle loro ceneri, e scie <strong>di</strong><br />
luce risucchiate da buchi neri, in una danza cosmica scan<strong>di</strong>ta dal<br />
ritmo <strong>di</strong> flauti lontani. Una nuova consapevolezza iniziò a crescere<br />
in me, ridestata dal sogno oppure innescata <strong>di</strong>rettamente dal potere<br />
della scatola. Non ricordo quando la mia mano ripose il coperchio<br />
al suo posto, interrompendo quel bizzarro viaggio nelle profon<strong>di</strong>tà<br />
del cosmo, ma è indelebile nella mia mente l’immagine del<br />
riquadro dell’orologio <strong>di</strong>gitale sulla scrivania che segnava le 13 e<br />
06. Appena un minuto era passato da quando avevo estratto la<br />
scatola dal cassetto, eppure erano sembrate ore.<br />
I viaggi si ripeterono regolarmente ogni giorno d’ufficio alla solita<br />
ora. Durante il fine settimana pensavo alla scatola senza mai<br />
esserne <strong>di</strong>sturbato. Mi sentivo confortato da una strana<br />
accettazione, ed attendevo l’ora <strong>di</strong> pranzo del lunedì successivo<br />
indossando serenamente le mie vesti <strong>di</strong> marito, collega e uomo del<br />
terzo millennio. Quei viaggi stavano regalandomi un conforto<br />
nuovo, sussurrandomi l’inutilità <strong>di</strong> tutto, l’insignificante danza<br />
106
dell’umanità al cospetto dei Gran<strong>di</strong> Antichi. Lentamente, viaggio<br />
dopo viaggio, il drappo veniva scostato, ed io ero finalmente in<br />
grado <strong>di</strong> capire.<br />
Arrivò giugno, Emanuela ed io eravamo sposati da quasi tre mesi e<br />
le cose all’apparenza procedevano come da copione. Anche<br />
l’ultimo test <strong>di</strong> gravidanza aveva dato esito negativo ma lei<br />
continuava ad essere ottimista. Io mostravo la solita complicità ma<br />
dentro sentivo ben poco. La nascita <strong>di</strong> un figlio mi appariva tanto<br />
insignificante quanto la mia vita o la vita <strong>di</strong> ogni altro uomo. La<br />
conoscenza portatami dai viaggi della scatola mi aveva elargito la<br />
pace che molti rincorrono senza successo con le <strong>di</strong>scipline più in<br />
voga del momento; yoga, me<strong>di</strong>tazione, religioni orientali e via<br />
così. Una pace <strong>di</strong>versa, certo, ma altrettanto liberatoria. Una pace<br />
che non mi sarei mai aspettato potesse finire da un momento<br />
all’altro per un qualcosa <strong>di</strong> inaspettato riguardante gli affari del<br />
mio piccolo ed insulso mondo.<br />
Emanuela mi tra<strong>di</strong>va con un collega <strong>di</strong> lavoro. Lo faceva già prima<br />
del matrimonio in maniera regolare, ogni giovedì sera dopo la<br />
palestra. Invece <strong>di</strong> starci un’ora e mezza rimaneva solo per il corso<br />
<strong>di</strong> bodypump, appena quarantacinque minuti, poi saltava sul suo<br />
scooter per raggiungere l’appartamento del tale, un essere<br />
insignificante che lei usava esclusivamente per <strong>di</strong>strarsi. La scoprii<br />
passando per caso sotto il suo palazzo, un giovedì sera che avevo<br />
fatto tar<strong>di</strong> al lavoro e che, per strane coincidenze, mi ero deciso a<br />
percorrere una strada <strong>di</strong>versa da quella abituale. La vi<strong>di</strong> scendere<br />
dal motorino, levarsi il casco e con estrema naturalezza suonare a<br />
un citofono, per poi scomparire dentro un portone. Quel bizzarro<br />
comportamento poteva anche avere altre spiegazioni, eppure<br />
qualcosa dentro <strong>di</strong> me mi convinse fin da subito che le cose<br />
stavano proprio sembravano. Non mi ci volle molto per scoprire<br />
chi era il tipo e che la loro relazione andava avanti da un bel po’. In<br />
principio la cosa mi sfiorò appena, rapito com’ero dai viaggi e<br />
dalla mia nuova consapevolezza, eppure un tarlo s’insinuò<br />
107
sottopelle, come un nervo infiammato alla ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> un dente, che<br />
in silenzio cresce d’intensità. Cercavo <strong>di</strong> convincermi che tutta<br />
quella storia, come d’altronde il resto, non avesse la benché<br />
minima importanza, ciononostante quel sordo pensiero <strong>di</strong> lei tra le<br />
braccia <strong>di</strong> lui tornò assiduamente a tormentarmi finanche nei miei<br />
momenti <strong>di</strong> quiete più intensa, prima, dopo e durante i miei<br />
incre<strong>di</strong>bili viaggi. Questo tumulto emozionale avveniva nella<br />
completa <strong>di</strong>screzione, mentre continuavo a fare la mia parte dentro<br />
l’amara comme<strong>di</strong>a che era <strong>di</strong>ventata la mia vita. Lei non si accorse<br />
mai che io sapevo, rapita da tutte le sue <strong>di</strong>strazioni, le amiche, il<br />
lavoro, la palestra, lo shopping e i social network.<br />
Sperai che col tempo la cosa si acquietasse, ma sapevo anche che<br />
se non fossi intervenuto niente della routine <strong>di</strong> Emanuela sarebbe<br />
mai cambiato e lei avrebbe continuato a fare visita al suo amico<br />
puntualmente ogni giovedì sera, salvo imprevisti. Avrei potuto<br />
confrontare lui, mai non sarei riuscito sicuramente ad estirpare il<br />
problema alla ra<strong>di</strong>ce. Dovevo pensare a qualcosa, ma la mia mente<br />
faceva fatica a formulare un qualsiasi progetto al <strong>di</strong> fuori del mio<br />
teatrino quoti<strong>di</strong>ano. La pace che avevo trovato grazie ai viaggi era<br />
stata contaminata da uno stupido impulso <strong>di</strong> gelosia, e non riuscivo<br />
a fare a meno <strong>di</strong> o<strong>di</strong>armi per questo.<br />
I viaggi intanto mi portavano sempre più lontano. Ebbi modo <strong>di</strong><br />
conoscere razze superiori, creature appartenenti a nuove<br />
<strong>di</strong>mensioni, abitatori <strong>di</strong> pianeti lontani, che trovavo, malgrado le<br />
loro forme dure ed asimmetriche, meravigliosamente armonici.<br />
Una sera mi chiesi se quelle incre<strong>di</strong>bili creature potevano risolvere<br />
il mio piccolo ed insignificante problema. Certo, forse la risposta<br />
stava proprio nella mia scatola…<br />
Era la sera del solstizio d’estate. Emanuela dormiva profondamente<br />
accanto a me. La notte era insolitamente calda e il ventilatore<br />
ronzava con insistenza al bordo del letto, sollevando<br />
impercettibilmente la sua vestaglia <strong>di</strong> raso. Mi alzai in silenzio e<br />
raggiunsi il soggiorno dove avevo poggiato la borsa da lavoro nella<br />
108
quale usavo riporre il mio portatile. Quella sera invece avevo<br />
lasciato il computer in ufficio e al suo posto avevo riposto il mio<br />
prezioso oggetto.<br />
Come molte altre cose che adesso ho la fortuna <strong>di</strong> conoscere, anche<br />
se non so bene come, seppi fin da subito cosa dovevo fare. Tornai<br />
in camera con la scatola che già aveva incominciato a scaldarsi tra<br />
le mie mani, come usava fare all’inizio <strong>di</strong> ogni viaggio. La poggiai<br />
sul letto, dalla mia parte, e senza esitare ne sollevai il coperchio.<br />
Dentro vi era l’oscurità del cosmo, ma in un angolo era percepibile<br />
l’avvicinarsi <strong>di</strong> una supernova. Lasciai la scatola aperta e uscii<br />
dalla camera, lanciando un’ultima occhiata dall’altro lato del letto,<br />
dove mia moglie ignara dormiva il suo ultimo sonno.<br />
Conquistata l’uscita, non richiusi completamente la porta. Il<br />
desiderio <strong>di</strong> osservare il pro<strong>di</strong>gio che stava per compiersi vinse<br />
sulla prudenza. Guardai dall’uscio l’oscurità che fuoriuscì da quel<br />
piccolo contenitore <strong>di</strong> marmo, un cono d’ombra <strong>di</strong>stinguibile nel<br />
riverbero argenteo proiettato dalla luce della luna, che come un<br />
occhio alieno si affacciava dalla finestra. Dall’ombra emerse la<br />
cosa, meravigliosa nel suo lento strisciare, apparentemente<br />
grottesca eppure avvenente, per via della sua pelle d’ebano<br />
ricoperta <strong>di</strong> fasce muscolari. Fluttuando a pochi centimetri dalle<br />
lenzuola, piegandosi in modo quasi rituale sul corpo <strong>di</strong> Emanuela,<br />
la cosa estrasse, da una larga bocca munita <strong>di</strong> una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />
piccoli denti aguzzi, una lingua massiccia e grondante, lunga<br />
abbastanza da poterla attorcigliare attorno alla gola della sua<br />
vittima. In quell’istante lei spalancò gli occhi, ma la follia le <strong>di</strong>vorò<br />
il grido che aveva in gola. La cosa si mosse rapida verso la scatola,<br />
comprimendosi contro le sue pareti <strong>di</strong> appena venti centimetri e<br />
trascinandosi <strong>di</strong>etro la sua preda. Tutto si era svolto in un silenzio<br />
agghiacciante e pulito. Io rientrai dentro la camera respirando<br />
regolarmente, cercando <strong>di</strong> riprendermi da uno stato <strong>di</strong> semi-estasi.<br />
Chiudendo il coperchio della scatola riuscii a scorgere <strong>di</strong> sfuggita il<br />
paesaggio <strong>di</strong> un nuovo pianeta, e una figura agile e contorta che<br />
109
trascinava, dentro la cavità oscura <strong>di</strong> un cratere, una giovane donna<br />
in vestaglia da notte.<br />
Riposi la scatola nella borsa, chiusi gli occhi e la pace tornò ad<br />
adagiarsi sul mio cuore.<br />
“Una questione davvero insignificante…” pensai, prima <strong>di</strong> essere<br />
finalmente rapito da un sonno can<strong>di</strong>do ed ovattato.<br />
110
IL VOLO E LA CADUTA<br />
Il volo <strong>di</strong>venne una caduta...<br />
Ma mi rialzai e corsi in<strong>di</strong>etro, tornai all’inizio, al tempo in cui tutto<br />
era ancora incerto, e lei era bellissima, ed io giovane, e la strada<br />
era spianata davanti a noi. La rivi<strong>di</strong> con quel libro in mano, sulla<br />
panchina del parco, il primo giorno. Avrei potuto tirare a <strong>di</strong>ritto,<br />
ignorarla, attraversare la strada e sparire per sempre dalla sua vita.<br />
Così avrei evitato la caduta, ma chissà se mi sarebbe stato<br />
permesso ancora <strong>di</strong> volare…<br />
- Ciao, scusa… non conosco la zona. Sai se c’è un bar qui vicino?<br />
- Ciao. Si, fammi pensare un attimo… Sai cosa, ci vengo anch’io.<br />
Ho proprio voglia <strong>di</strong> un caffè…<br />
E il caffè <strong>di</strong>venne una pizza, ed un cinema, e una visita a casa mia,<br />
e poi le gite in montagna, le vacanze al mare, le feste <strong>di</strong><br />
compleanno, i natali… Sette anni <strong>di</strong> ascese e picchiate, virate e<br />
giravolte. Tutto un cielo a nostra <strong>di</strong>sposizione.<br />
Se il volo tornerà ad essere una caduta, so già che mi rialzerò.<br />
Perché sono un pilota. Perché volare è come respirare, e niente e<br />
nessuno potrà mai negarmelo.<br />
Eccomi sono pronto.<br />
Chiudo gli occhi, spiano le ali e…<br />
… volo!<br />
111
IL MONDO SOTTOSOPRA<br />
Ti è mai passata per la mente l’idea che tutto possa essere<br />
sottosopra? Che il giusto sia sbagliato e lo sbagliato sia giusto?<br />
Che il cielo si trovi in realtà sotto i nostri pie<strong>di</strong> e la terra sopra <strong>di</strong><br />
noi, ma per un effetto ottico <strong>di</strong> cui noi ignoriamo l’esistenza ci<br />
appaiono al contrario? Hai mai pensato <strong>di</strong> essere dalla parte del<br />
fiume opposta a quella dove volevi approdare?<br />
Cento chilometri all’ora, non uno <strong>di</strong> più, sulla tangenziale<br />
congestionata dal traffico, con una pioggerella insistente ma<br />
leggera, che non riesce neanche a rimuovere le macchie ed i<br />
pezzetti degli insetti sul parabrezza, una velocità troppo esigua per<br />
rimanere concentrati alla guida. Per questo motivo la mente vaga,<br />
alla ricerca <strong>di</strong> un motivo, o <strong>di</strong> un inganno, un modo come un altro<br />
per riuscire a trovare il bandolo della matassa. È la mia auto che<br />
viaggia a cento chilometri all’ora oppure è l’asfalto sotto le ruote<br />
che scivola via alla medesima velocità?<br />
Dobbiamo morderci il labbro e andare avanti, nonostante le favole<br />
che ci raccontavano da piccoli, quelle sui cavalieri che uccidono<br />
gli orchi cattivi per far si che la giustizia trionfi. Ma la giustizia<br />
<strong>di</strong>venta ingiustizia nel mondo sottosopra in cui viviamo. Se fai<br />
appello alla tua sanità mentale rischi <strong>di</strong> cadere nell’oblio. Se fai<br />
appello alle saggezze orientali, rischi <strong>di</strong> intrecciarti le ginocchia<br />
mentre cerchi <strong>di</strong> acquisire una posizione zen. Se fai appello alla tua<br />
coscienza, rischi <strong>di</strong> doverti confrontare con un ostacolo ancora<br />
maggiore <strong>di</strong> quello che ti si è posto <strong>di</strong> fronte oggi. In nessun’altra<br />
occasione ho potuto assaporare la dolcezza <strong>di</strong> un’idea ven<strong>di</strong>catrice<br />
come durante questo tragitto. Le auto che scorrono alla rinfusa, il<br />
cielo plumbeo più basso del solito, la ra<strong>di</strong>o che vomita un pezzo<br />
112
lounge. Passo la lingua sui canini per assicurarmi che non mi sia<br />
spuntata la dentatura <strong>di</strong> un vampiro, considerando questa<br />
improvvisa e sconsiderata voglia <strong>di</strong> sangue che mi è venuta. Far<br />
soffrire, far morire, estirpare organi, tagliare, affettare, spezzettare,<br />
tutte pratiche che potrebbero darmi pace, che darebbero un senso a<br />
questo mondo sottosopra.<br />
Invece rimango impassibile, le mani alle <strong>di</strong>eci e <strong>di</strong>eci sul<br />
manubrio, la schiena leggermente incurvata, gli occhi puntati sulla<br />
carreggiata; un automa, niente più. Non è solo la mia vita in gioco.<br />
Ci sono tre figli, risultati <strong>di</strong> tre scelte consapevoli, <strong>di</strong> tre gesti <strong>di</strong><br />
testa e <strong>di</strong> cuore, che valgono quanto la mia anima. Meglio essere<br />
un presti<strong>di</strong>gitatore che un vampiro. Meglio ingannare il mondo<br />
sottosopra che avventarvici addosso e succhiarne il sangue. Mi<br />
spunteranno ali <strong>di</strong> carta e non <strong>di</strong> pipistrello, e potrò volare come un<br />
aquilone nel cielo purpureo <strong>di</strong> un nuovo giorno, <strong>di</strong> un nuovo<br />
mondo.<br />
- Ciao ragazzi, venite a giocare al gioco delle tre carte? –<br />
domanderò, con un cilindro per cappello ed un bastone magico in<br />
mano. A chi mi seguirà rivelerò il trucco, e forse riusciremo<br />
insieme a spezzare l’incantesimo del mondo sottosopra. Vivremo<br />
felici e contenti dentro quattro mura, e ci basterà una piccola<br />
finestra per sentirci liberi.<br />
- Babbo, lo ve<strong>di</strong> quell’aquilone laggiù?<br />
- Si tesoro… quando ero legato ad un filo ero come lui.<br />
- E adesso?<br />
- Adesso è passato molto tempo, e le cose sono cambiate…<br />
113
UNA BIRRA LEGGERA<br />
Oggi ci sono se<strong>di</strong>ci gra<strong>di</strong> fuori. Appena la temperatura si fa più<br />
mite, torno ad apprezzare la leggerezza <strong>di</strong> una pilsner, gustata in<br />
terrazzo con il maglione. Da ragazzo non amavo le birre forti. Da<br />
ragazzo bevevo quello che c’era, e non badavo all’etichetta. Mi ci<br />
sono voluti anni per coltivare questa pancetta, un sorso alla volta.<br />
Lentamente esco dal letargo dell’ultimo inverno, che ogni anno mi<br />
sembra più lungo.<br />
Il tiepido sole <strong>di</strong> marzo cerca <strong>di</strong> scaldarmi il petto, <strong>di</strong> ricordarmi gli<br />
affari <strong>di</strong> cuore, anche se attraverso gli anni hanno assunto<br />
significati <strong>di</strong>versi, nonostante io li abbia sempre messi sullo stesso<br />
piano. Un’unica moneta: l’amore. Amore per i genitori, per i<br />
fratelli, per gli amici e per la propria donna. Amore per i figli, la<br />
terra, il calore del sole e la bellezza <strong>di</strong> un tramonto. Non ho mai<br />
capito perché alcune delle persone che ho amato non siano riuscite<br />
a ricambiarmi con lo stesso entusiasmo, con la medesima<br />
partecipazione, con la solita moneta. Oggi molte <strong>di</strong> queste abitano<br />
lontano, nella <strong>di</strong>stanza fisica e mentale.<br />
Viviamo giornate piene <strong>di</strong> occasioni e pretesti per poterci sentire,<br />
per abbattere la lontananza che ci separa con un semplice click, ma<br />
nessuno fa nulla. Rimaniamo intrappolati nei nostri giochetti<br />
quoti<strong>di</strong>ani, fatti <strong>di</strong> impercettibili spostamenti. Siamo treni dai<br />
vagoni vuoti, che girano a vuoto per stazioni deserte.<br />
La pilsner mi regala quella leggerezza <strong>di</strong> testa che desidero. Col<br />
sole in faccia e l’aria fredda e ancora pulita dell’inverno nelle<br />
narici, non riesco a trattenere il sorriso. In questi istanti <strong>di</strong><br />
innocente ebbrezza, mi perdo in fantasie mistiche, caleidoscopici<br />
<strong>di</strong>segni d’amore, scie luminose dentro oscuri universi e sinfonie<br />
114
celestiali. Riconosco il tocco effimero <strong>di</strong> questa realtà, mi vanto <strong>di</strong><br />
essere eterno e gioco a fare il <strong>di</strong>o ed il granello <strong>di</strong> sabbia. L’amore<br />
è una moneta strana; appaga nel guadagno e nella per<strong>di</strong>ta.<br />
L’inganno si è <strong>di</strong>ssolto, come ogni volta che il sole mi accarezza,<br />
mentre mi giunge all’orecchio il confortante suono della seconda<br />
lattina che si apre.<br />
Se<strong>di</strong>ci gra<strong>di</strong> possono andare per oggi, anche se domani è prevista<br />
pioggia e vento.<br />
Perché l’inverno non è ancora finito.<br />
115
UNA GIORNATA CORAGGIOSA<br />
Stefano si fa un caffè anche se forse non è una buona idea. Stefano<br />
ha bevuto caffè per vent’anni e ha sopportato i crampi allo stomaco<br />
e la bocca impastata fino al giorno in cui si accorse <strong>di</strong> avere<br />
un’intolleranza alla sua bevanda preferita, ma non gli fu facile<br />
rinunciarvi. Ci si abitua a tutto, anche alle intolleranze, perché<br />
siamo animali resistenti noi uomini, ma soprattutto riusciamo ad<br />
essere testar<strong>di</strong> come nessun’altra creatura sulla terra. Stefano si fa<br />
un caffè nonostante tutto, ma oggi è una giornata <strong>di</strong> quelle in cui<br />
senza caffè non si va avanti.<br />
Durante la notte si è svegliato tre volte, la prima alle due perché al<br />
piccolo gli è cascata la giraffa <strong>di</strong> peluche dal letto, alle tre e mezzo<br />
(ovvero venti minuti dopo aver preso <strong>di</strong> nuovo sonno) perché il più<br />
grande, dopo essere stato rincorso in un sogno da Dart Fener, si è<br />
svegliato d’improvviso piangendo, e la terza volta alle cinque<br />
passate per la classica per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> un pannolone. Mentre mette la<br />
caffettiera sul fuoco, Stefano si chiede se sarà il caso <strong>di</strong> far vedere<br />
anche l’Impero Colpisce Ancora al figlio maggiore, dato che è così<br />
impressionabile. Pensa <strong>di</strong> cambiare la marca dei pannolini, ma non<br />
gli va <strong>di</strong> buttare via mezza confezione <strong>di</strong> quelli economici che gli è<br />
rimasta. Forse il caffè sistemerà le cose, si augura, mentre i due<br />
piccoli, sette anni Luca e appena tre Mirco, fanno colazione con<br />
latte e biscotti.<br />
Il trucco sta tutto nell’allenare la mente. La vita, come ama <strong>di</strong>re lui,<br />
è una serie più o meno lunga <strong>di</strong> stati mentali, perciò si sforza <strong>di</strong><br />
vedere il giorno con positività. La rabbia non lo ha ancora<br />
abbandonato, ma è riuscito a riporla nello scantinato dei suoi stati<br />
mentali, appunto…<br />
116
Lei se ne è andata un giorno <strong>di</strong> aprile, un salto nel vuoto, un tuffo<br />
nell’oscurità. In principio non voleva crederci; riusciva a stento a<br />
riconoscerla nel vestito <strong>di</strong> seta che sua sorella aveva scelto <strong>di</strong> farle<br />
indossare per il suo funerale, eppure era stata truccata <strong>di</strong> tutto<br />
punto, tant’è che non pareva neanche morta. Ma agli occhi <strong>di</strong><br />
Stefano non assomigliava per niente alla donna che per quin<strong>di</strong>ci<br />
anni era stata al suo fianco.<br />
Dopo un po’ si era ritrovato ad o<strong>di</strong>arla, un o<strong>di</strong>o profondo e<br />
straziante <strong>di</strong> cui si serviva per passare le giornate ed evitare <strong>di</strong><br />
impazzire. Si sforzava <strong>di</strong> non abbandonarsi all’o<strong>di</strong>o ma non<br />
riusciva a farne a meno, e spesso si scopriva deluso <strong>di</strong> questa sua<br />
debolezza. Desiderava ritrovare la via dell’amore, illudendosi <strong>di</strong><br />
poter bruciare le tappe <strong>di</strong> quell’inevitabile percorso che ogni essere<br />
umano è costretto ad affrontare quando viene a mancare una<br />
persona cara.<br />
Poi anche i giorni dell’o<strong>di</strong>o erano passati, in un banale evolversi <strong>di</strong><br />
quegli stati mentali <strong>di</strong> cui amava argomentare, oppure per via della<br />
stanchezza che lo stava consumando, sia quella fisica che quella<br />
emotiva. Erano passati sei mesi da quel giorno in cui la sua<br />
famiglia era stata spezzata da una tragica scelta, ma dolore e rabbia<br />
continuavano ad essergli fratelli, anche se era finalmente in grado<br />
<strong>di</strong> contenerli, come mastini furiosi legati a catene d’acciaio ai quali<br />
si gettano ossi <strong>di</strong> prosciutto per tenerli tranquilli. Gli ossi erano le<br />
speranze per un domani migliore, per una nuova primavera della<br />
vita.<br />
Il caffè gorgoglia allegramente riempendo la cucina del suo forte<br />
aroma, Stefano prende una tazzina da un ripiano, la riempie per<br />
metà e poi ci aggiunge mezzo cucchiaino <strong>di</strong> zucchero.<br />
- Luca, mettiti le scarpe che sono già le otto.<br />
- Va bene babbo.<br />
A volte guarda i suoi figli da nuove angolazioni e scopre cose che<br />
continuano a sorprenderlo; le somiglianze che lo fanno sentire<br />
parte <strong>di</strong> loro in maniera carnale, ma soprattutto le <strong>di</strong>fferenze,<br />
117
inconfutabili prove della loro unicità. Attraverso quegli sguar<strong>di</strong><br />
rubati, Stefano è riuscito a tenere a bada la <strong>di</strong>sperazione che per<br />
mesi ha bussato risolutamente alla sua porta. Vi è una magia<br />
profonda nel legame che unisce un genitore al figlio, una specie <strong>di</strong><br />
fonte <strong>di</strong> potere, un globo <strong>di</strong> energia, come nelle storie <strong>di</strong> draghi e <strong>di</strong><br />
stregoni, e se riusciamo ad attingervi niente è più in grado <strong>di</strong><br />
ostacolare il nostro cammino. Stefano si chiede perché lei non sia<br />
riuscita a trovare negli occhi dei suoi figli questo incre<strong>di</strong>bile<br />
potere. “La ricerca è un arte”, pensa, e si chiede dove abbia letto<br />
quella frase.<br />
- Babbo, sono pronto. An<strong>di</strong>amo?<br />
- Certo caro…<br />
Un ultimo sorso <strong>di</strong> caffè e già sente lo stomaco contorcersi, però in<br />
bocca ha finalmente il gusto <strong>di</strong> una giornata iniziata bene. La<br />
sofferenza è una moneta giusta, gli vien da pensare, prima <strong>di</strong><br />
afferrare la giacca ed aprire la porta <strong>di</strong> casa. I due bimbi fanno a<br />
gara a chi arriva per prima all’auto e il più piccolo, come al solito,<br />
inciampa, cade in ginocchio sul marciapiede ed esplode in lacrime.<br />
Stefano lo raggiunge e lo conforta, poi tutti e tre dentro la<br />
macchina e via, per le strade del mondo, una giornata come le<br />
altre; scuola, lavoro, impegni…<br />
…tutto sommato una giornata coraggiosa.<br />
118
IL PROFUMO DI CIPOLLETTA<br />
Quando sento il profumo <strong>di</strong> cipolletta mi sembra <strong>di</strong> entrare in casa<br />
<strong>di</strong> Lina.<br />
Lina era una vecchietta che abitava al piano <strong>di</strong> sotto, classe<br />
millenovecento<strong>di</strong>eci, sempre pimpante fino al suo ultimo giorno,<br />
un torrido pomeriggio <strong>di</strong> due estati fa in cui il suo cuore, dopo<br />
quasi un secolo <strong>di</strong> incessante lavoro, aveva deciso <strong>di</strong> non battere<br />
più.<br />
A volte mi invitava a pranzo, in quelle domeniche in cui tutto<br />
sembra succedere sui campi <strong>di</strong> calcio, e il mondo pare fermarsi<br />
sugli spalti. Ignorando i messaggi degli amici che mi invitavano ad<br />
andare a vedere la partita insieme a loro, scendevo le scale del<br />
condominio e bussavo delicatamente alla porta della mia vicina. Il<br />
profumo dei suoi sughi si sentiva <strong>di</strong>stintamente dal pianerottolo.<br />
Lei era raggiante quando mi vedeva. Mi faceva accomodare al<br />
tavolo, apparecchiato con un'impeccabile tovaglia <strong>di</strong> merletti, la<br />
brocca <strong>di</strong> vino rosso e il cestino <strong>di</strong> pane fresco. Mi sembrava <strong>di</strong><br />
essere in trattoria.<br />
Io le parlavo del più e del meno, del mio noiosissimo lavoro, <strong>di</strong><br />
mia madre che aveva un problema alla schiena, mentre lei si<br />
muoveva placida e precisa, rimescolando nei suoi tegami e<br />
commentando quello che io <strong>di</strong>cevo con teneri sorrisi. Durante tutto<br />
il tempo la televisione rimaneva sintonizzata su un canale che dava<br />
solo telenovela brasiliane. L'immagine fotografica che mi è rimasta<br />
<strong>di</strong> lei è ferma in mezzo al salotto con un tegamino in mano e lo<br />
sguardo rivolto verso la TV.<br />
Faceva la pasta corta in mille sughi, e non saprei proprio <strong>di</strong>re quale<br />
fosse il più buono. “La cipolletta...”, mi spiegava. “È lei il segreto<br />
119
<strong>di</strong> tutto...”<br />
Ma amavo anche quelle spesse fette <strong>di</strong> carne che faceva<br />
ammorbi<strong>di</strong>re nel sugo, e le sue insalatine piene <strong>di</strong> aceto, che mi<br />
facevano strizzare gli occhi.<br />
Per tutto il tempo quasi non si metteva a sedere. Io le offrivo<br />
puntualmente <strong>di</strong> aiutarla, ma lei non voleva. Col tempo conclusi<br />
che quelle mie visite erano tra i pochi momenti speciali ai quali<br />
Lina si aggrappava, perché arrivati a una certa età, quando ormai<br />
tutti quelli più cari ti aspettano dall'altra parte, è <strong>di</strong>fficile trovare<br />
dei pretesti per continuare questa buffa operetta che noi chiamiamo<br />
vita.<br />
Poi veniva il caffè, fatto con la moka ovviamente. Io non riesco<br />
ancora a capacitarmi come fosse possibile che un caffè fatto in<br />
casa potesse avere un simile aroma. Me lo sarei giocato<br />
tranquillamente con quello del bar più esclusivo della città.<br />
Lina ci ha lasciati un giorno <strong>di</strong> agosto, mentre io ero a in Grecia<br />
con gli amici. Quando tornai a casa e un vicino mi <strong>di</strong>sse che era<br />
morta fu come un sasso scagliato con forza all'altezza dello<br />
stomaco. Mi sentii in colpa, e ci vollero alcuni mesi per<br />
riprendermi.<br />
Oggi, quando soffriggo la cipolla, penso sempre a lei.<br />
120
NATALE DA SOLO<br />
Se avessi saputo <strong>di</strong> ritrovarmi il giorno della vigilia <strong>di</strong> natale, alla<br />
tenera età <strong>di</strong> sessantanove anni, da solo nel mio appartamento fuori<br />
centro, a guardare uno stupido programma alla TV a volume<br />
azzerato e ad ascoltare mielose canzoni natalizie, avrei lo stesso<br />
perseguito fino all’ultimo i miei ideali ed ascoltato in modo così<br />
caparbio il mio cuore?<br />
La prima voce dell’anima ha risposto con un secco “no”, ma poi<br />
quella più calda, quella che vive nel profondo all’altezza del petto,<br />
quella che mi ha sempre fatto fare le scelte più scomode, le più<br />
<strong>di</strong>fficili, ma anche le più giuste, mi ha sussurrato la risposta che<br />
cercavo. Lei è sempre lì, con il suo tono pacato e rassicurante, una<br />
voce che si fa sentire solo quando ne ho davvero bisogno. In parte<br />
è anche la mia voce, ma non è solo mia, e questo lo so già da un<br />
po’ <strong>di</strong> tempo, e mi dà tanta forza.<br />
Dalla mia prima moglie ho avuto due figli bellissimi. Li ho<br />
cresciuti con amore, da solo, perché Veronica se ne andò un giorno<br />
<strong>di</strong> autunno verso un destino fatto <strong>di</strong> stelle filanti e brillantini.<br />
All’inizio l’ho o<strong>di</strong>ata, come si o<strong>di</strong>ano gli amici quando ti<br />
pugnalano alle spalle, una reazione <strong>di</strong> auto<strong>di</strong>fesa che in quei<br />
momenti ti è necessaria per sopravvivere. Ma era la paura che mi<br />
faceva o<strong>di</strong>are, ed io non potevo permettermi <strong>di</strong> avere paura con due<br />
figli piccoli da crescere, perciò smisi <strong>di</strong> o<strong>di</strong>arla e ad un tratto tutto<br />
<strong>di</strong>venne più facile, più giusto. Davide e Matteo sono cresciuti con<br />
me, sono <strong>di</strong>ventati due uomini dal carattere un po’ <strong>di</strong>fficile, proprio<br />
come quello della loro madre, ma con un grande cuore. Certo,<br />
forse non sarebbero <strong>di</strong>ventati quello che sono oggi senza l’aiuto <strong>di</strong><br />
Mirella, la mia seconda moglie, che ho amato tanto quanto ho<br />
121
amato Veronica. Anche lei se n’è andata, ma non è stata una sua<br />
scelta. Potrei scrivere che il cancro me l’ha portata via, ma sarebbe<br />
ingiusto. Mirella non è mai stata mia, come non lo è mai stata<br />
Veronica o i miei due figli. È la lezione più dura da imparare.<br />
Quando passi una vita a sacrificarti per le persone che ami,<br />
sviluppi inconsciamente un malsano sentimento <strong>di</strong> possesso, che<br />
rimane pericolosamente sopito fino al giorno in cui queste persone<br />
reclamano la loro libertà. Ne hanno tutto il <strong>di</strong>ritto, e nonostante tu<br />
ne sia cosciente, quel sentimento ti frega. Ma ho imparato a<br />
riconoscerlo, a combatterlo, e non mi fa più paura.<br />
Davide vive all’estero con sua moglie e i suoi tre figli. Mi ha<br />
appena chiamato per farmi gli auguri. I piccoli ancora non parlano<br />
bene l’italiano ma lui ce la sta mettendo tutta per insegnarglielo.<br />
Mi ha promesso che verranno a trovarmi a fine gennaio, che<br />
andremo tutti quanti a fare un bel pranzo fuori, come facevamo un<br />
tempo, e magari potremo invitare anche dei vecchi amici. Si, forse<br />
faremo proprio così…<br />
Matteo è impegnato con il suo nuovo locale. Lo ha inaugurato<br />
qualche giorno fa e sarà costretto a lavorare per tutte le festività<br />
natalizie. L’ho visto stamattina, è passato a trovarmi insieme al suo<br />
compagno, Nicco. Si, mio figlio Matteo è gay e sono molto fiero <strong>di</strong><br />
lui, o forse sono fiero <strong>di</strong> me per non averlo mai messo in<br />
imbarazzo ed averlo cresciuto senza la paura <strong>di</strong> non essere<br />
accettato. A scuola mi sono scontrato un paio <strong>di</strong> volte con i<br />
genitori <strong>di</strong> alcuni bulletti che lo prendevano in giro, e una volta<br />
ad<strong>di</strong>rittura con un professore. Non sono mai stato un tipo violento,<br />
ma quel giorno non riuscii a trattenere un pugno sulla faccia <strong>di</strong><br />
quell’occhialuto ed antico docente. Oggi che ci penso me ne pento<br />
un po’, perché anche le persone più ottuse meritano rispetto, anzi,<br />
forse lo meritano più degli altri…<br />
Però <strong>di</strong>rete voi, e gli amici? Dove sono i tuoi amici?<br />
In realtà non ne ho avuti molti <strong>di</strong> amici, ma forse <strong>di</strong> quelli veri ne<br />
ho avuti molti <strong>di</strong> più <strong>di</strong> quanto ne possa vantare tanta gente. Tre,<br />
122
quattro forse… Due <strong>di</strong> loro li ho persi, per le stesse ragioni per le<br />
quali ho perso le mie due mogli; il tra<strong>di</strong>mento e la tetra signora.<br />
Strana la vita, che si ripete come un vecchio film natalizio in<br />
bianco e nero.<br />
Me ne restano due, Sandro che vive lontano ma che ho sentito<br />
anche questa sera per telefono, e Carlo, che mi ha invitato domani<br />
al pranzo <strong>di</strong> famiglia e che io ho preferito declinare. Vederlo felice,<br />
circondato dalla moglie, i figli e i nipoti mi avrebbe sicuramente<br />
commosso, e non so se sarei riuscito a trattenere le lacrime.<br />
L’ultima cosa che voglio è la commiserazione, e poi perché mai<br />
dovrei, dato che non c’è niente per cui commiserarmi. Da solo, alla<br />
vigilia <strong>di</strong> Natale, davanti a un programma col volume azzerato e un<br />
albero <strong>di</strong> plastica <strong>di</strong> appena trentacinque centimetri… Volete<br />
sapere se sono infelice, se mi sento solo, o se sono arrabbiato con<br />
la vita e gli eventi che mi hanno condotto fino a qui?<br />
No, non sono arrabbiato, e non sono neanche infelice. Ma vi <strong>di</strong>rò<br />
<strong>di</strong> più, non mi sento neanche solo, perché con me c’è sempre quella<br />
voce, delicata, serena e rassicurante. Mi sta <strong>di</strong>cendo “Buon<br />
Natale”, anche adesso, come io lo <strong>di</strong>co a voi.<br />
Buon Natale, allora.<br />
Buon Natale a tutti!<br />
123
UNA PARTITA A BILIARDO<br />
Chiusi gli occhi e le luci si accesero.<br />
Mi trovavo in una sala da biliardo, <strong>di</strong>eci, do<strong>di</strong>ci tavoli <strong>di</strong>sposti in<br />
fila, pareti ricoperte <strong>di</strong> stecche, gessetti blu, lampade ver<strong>di</strong> sopra i<br />
teli, mattonelle marroni, se<strong>di</strong>e <strong>di</strong> formica, finestre su una strada<br />
buia. Era quella la sala d’attesa?<br />
La stanza era pressoché deserta. C’era solo un giocatore, defilato al<br />
tavolo più <strong>di</strong>stante; il numero do<strong>di</strong>ci. Mi avvicinai col pensiero e<br />
un attimo dopo ero seduto <strong>di</strong> fronte a lui. Mirava la numero otto in<br />
una buca d’angolo. Attesi il colpo. Il silenzio era assordante. Toc!<br />
Con precisione la palla nera percorse tutto il tavolo depositandosi<br />
dolcemente nella buca.<br />
- Bel colpo! - mi venne <strong>di</strong> <strong>di</strong>re.<br />
L’uomo, un tipo anonimo <strong>di</strong> mezz’età, vestito con un paio <strong>di</strong> jeans<br />
e una giacca scura, mi rivolse un sorriso.<br />
- Te l’aspettavi, vero? - Aveva una voce roca, graffiata dal tabacco<br />
e dall’alcol.<br />
- Cosa?<br />
- Che andasse a finire così. Buca d’angolo…<br />
- Che vuoi <strong>di</strong>re? - Ero confuso e non ne facevo mistero.<br />
- La tua vita. La numero otto, in buca d’angolo.<br />
- Vuoi <strong>di</strong>re che era lei?<br />
- Beh, hai rimbalzato un bel po’ prima <strong>di</strong> finire in buca. Alla fine ci<br />
finiscono tutte…<br />
- Ehi, ferma un attimo. Mi vuoi <strong>di</strong>re che siamo <strong>di</strong> là? Che alla fine<br />
il cancro l’ha avuta vinta?<br />
- Questo lo <strong>di</strong>ci tu. Forse può bastarti… - Si era messo a lavorare la<br />
stecca con il gessetto, ma continuava a guardarmi, da oltre la<br />
124
frangia che gli ricadeva sugli occhi.<br />
- Ed io che credevo che avrei trovato delle risposte…<br />
- Ehi uomo, non ti preoccupare. Non sei il primo che pensa <strong>di</strong><br />
trovare delle risposte da questa parte. Qui si gioca solo a biliardo.<br />
Ti va <strong>di</strong> fare una partita?<br />
Che altro potevo fare, avevo l’eternità davanti. Mi alzai e afferrai<br />
una stecca.<br />
- A cosa giochiamo?<br />
- A Destino. Lo conosci?<br />
- No.<br />
- La ve<strong>di</strong> la numero quin<strong>di</strong>ci, laggiù?<br />
- Si…<br />
- Tua figlia Giulia. Se la butti in buca è salva, altrimenti… dopo<br />
tocca a me.<br />
Mi regalò un sorriso <strong>di</strong> cui avrei fatto volentieri a meno.<br />
E così mi ero ritrovato a giocare al Destino insieme al braccio<br />
destro del Caso. Non potevo farcela, era una partita impari, uno<br />
scherzo <strong>di</strong> cattivo gusto. Se solo…<br />
E appena lo pensai, apparve. Un bicchiere <strong>di</strong> scotch sul bordo del<br />
tavolo da gioco. Ecco quello che mi ci voleva… Lo buttai giù d’un<br />
fiato e preparai il colpo.<br />
- Or<strong>di</strong>na pure quello che vuoi. Va tutto sul mio conto… - <strong>di</strong>sse il<br />
tipo col ciuffo, continuando a sorridere.<br />
Non lo guardai. Non guardai nemmeno la palla, o la stecca, o la<br />
buca. Chiamai il colpo pensando alla piccola Giulia, quando aveva<br />
solo tre anni, e si buttava dallo scivolo a testa in giù, e le <strong>di</strong>cevo <strong>di</strong><br />
stare attenta, ma poi lei mi sorrideva e non potevo resisterle. La<br />
biglia battente descrisse una retta attraverso il tavolo verde, sfiorò<br />
appena la numero quin<strong>di</strong>ci vicina alla buca laterale; la palla bianca<br />
e bordeaux ruzzolò con sicurezza dentro la cavità. La piccola<br />
Giulia era salva, almeno per il momento…<br />
- Bel colpo! - ammise il mio compagno <strong>di</strong> gioco.<br />
- Cosa mi aspetta, adesso?<br />
125
- Ancora domande? Te l’ho già detto, qui non troverai risposte. In<br />
verità ti <strong>di</strong>co che <strong>di</strong> risposte non ci sono, da nessuna parte. Né nella<br />
sala dei biliar<strong>di</strong>, né giù al bar, né tanto meno in strada…<br />
In quel momento sentii transitare un’auto, vi<strong>di</strong> le luci degli<br />
abbaglianti scorrere sul palazzo <strong>di</strong> fronte, mi avvicinai alla finestra<br />
e guardai giù., ma l’auto era già passata. Fuori pioveva e i lampioni<br />
illuminavano le pozze. Il silenzio era straziante.<br />
- Beh, <strong>di</strong>ci che non esistono risposte, ma tu sei già una risposta.<br />
Giochi a biliardo con le vite degli uomini, è un fatto no?<br />
- Scusami se mi ripeto, ma questo lo <strong>di</strong>ci sempre tu. Ci cre<strong>di</strong> solo<br />
perché te l’ho detto? La numero sei, quella verde. Lo sai chi è?<br />
Poteva essere un sogno? Non avevo mai sentito che il cancro ti<br />
prendesse così, <strong>di</strong> punto in bianco, sul <strong>di</strong>vano mentre guar<strong>di</strong> la TV<br />
spenta e cerchi <strong>di</strong> farti una ragione <strong>di</strong> quello che ti sta per<br />
succedere. La morte, l’amore, il tempo, il senso <strong>di</strong> tutto… Mi<br />
aggrappai all’idea del sogno e continuai a giocare.<br />
- Che <strong>di</strong>avolo vuoi da me? - urlai. Ma in quell’intercape<strong>di</strong>ne<br />
onirica, l’urlo <strong>di</strong>ventò un sussurro.<br />
- La sei è tuo padre. Proprio lui, il vecchio ubriacone, quello che<br />
non è neanche venuto a vedere la sua nipotina, quello che non si è<br />
fatto sentire per più <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni, quello che metteva mano alla<br />
cintura volentieri, quando ne combinavi una grossa… La numero<br />
sei, dai su… Non è <strong>di</strong>fficile… Un colpo secco ed è salvo. Ah,<br />
<strong>di</strong>menticavo, puoi sempre decidere <strong>di</strong> passare il turno…<br />
Il suo sorriso era <strong>di</strong>ventato un ghigno. Sul bordo del tavolo apparve<br />
un secondo bicchiere. Lo afferrai con decisione, lo alzai e proposi<br />
un brin<strong>di</strong>si. “A te, padre… ti ho già perdonato così tante volte che<br />
non me ne frega più niente, ormai…”<br />
Già, proprio un colpo secco ci voleva, e la sei fu fuori dal gioco.<br />
Ne rimanevano troppe, però…<br />
- Quanto deve andare avanti questa storia?<br />
- Non ti stai <strong>di</strong>vertendo?<br />
- No!<br />
126
- Io invece si. Quella gialla, la uno. Quella è tua moglie. Vogliamo<br />
provare a buttarla dentro?<br />
Per me poteva bastare. Cercai l’interruttore dei sogni, avete<br />
presente? È un po’ come allungare una mano nel buio della<br />
cantina, e mentre senti il tocco delle ragnatele ti auguri che il ragno<br />
non s’incazzi e ti venga a fare un salutino. Ma niente interruttore,<br />
questa volta. Cavoli, forse ero morto per davvero. Maledetto…<br />
Il colpo era <strong>di</strong>fficile stavolta. La uno era coperta da altre due palle.<br />
Avrei potuto mirare alla sette, per farla carambolare sulla gialla, un<br />
colpo estremamente complesso, ed io non sono mai stato un<br />
granché come giocatore. L’alternativa era mettere fuori gioco il<br />
mio avversario, nascondendogli la biglia <strong>di</strong>etro altre palle. Ma<br />
potevo fidarmi <strong>di</strong> lui? Chissà <strong>di</strong> cosa era capace…<br />
- Puoi passare, se vuoi… - incalzò il braccio destro del Caso. Non<br />
gli badai e preparai il colpo.<br />
Pensai al giorno in cui la conobbi, alle cretinate che feci per farmi<br />
notare, a come mi guardava storta, ridendo al tempo stesso, alla<br />
vacanza in Grecia e all’amore sugli scogli, ai litigi e alle passioni,<br />
all’ultimo sforzo, dopo ore <strong>di</strong> travaglio, che segnò la nascita <strong>di</strong><br />
nostra figlia, e a tutte le volte che avevo bisogno <strong>di</strong> una carezza e<br />
c’era lei. Pensai a tutto questo chiudendo gli occhi, poi li riaprii e<br />
colpii, sicuro, con forza, dritto verso la biglia bordeaux. Stoc…<br />
toc… toc… la uno in buca d’angolo… salva… e la bianca in buca<br />
laterale…<br />
- Peccato… - sospirò il mio avversario.<br />
Riaprii gli occhi e le luci si spensero. La TV era morta ma il led in<br />
alto mi <strong>di</strong>ceva che erano quasi le due. Al piano <strong>di</strong> sopra il miei due<br />
gioielli respiravano piano, e sognavano <strong>di</strong> volare. O almeno me lo<br />
auguravo.<br />
Una fitta allo stomaco. La solita fitta, quella che mi tormenta ormai<br />
da settimane. Domani iniziamo la chemio, poi si vedrà.<br />
Volete sapere cosa penso?<br />
Non penso niente. Le Gran<strong>di</strong> Risposte non m’interessano.<br />
127
Continuerò a pormi domande fino alla fine, e cercherò <strong>di</strong><br />
rispondermi in sincerità, anche se dovrò contrad<strong>di</strong>rmi. Lo facciamo<br />
tutti, no? È cosi che passiamo ogni singolo istante delle nostre<br />
esistenze.<br />
Ma ho smesso <strong>di</strong> credere al bianco e al nero, a <strong>di</strong>o e al <strong>di</strong>avolo, al<br />
male e al bene. In questo momento, solo <strong>di</strong> una cosa sono certo: se<br />
vuoi morire tranquillo, impara a tirare <strong>di</strong> stecca!<br />
128
MESSA IN SCENA<br />
Non è questione <strong>di</strong> coraggio, è una questione <strong>di</strong> scelta, perché è<br />
sempre e solo una questione <strong>di</strong> scelta. Mettila come vuoi, tira fuori<br />
dal cilindro tutti i tuoi trucchi, le tue retoriche preconfezionate, le<br />
tue fiere convinzioni, ma la verità non riuscirai mai a seppellirla.<br />
Sorri<strong>di</strong> pure, con quella tua faccia innocente, una bellezza angelica<br />
impassibile al tempo e alle tempeste della vita, almeno<br />
all’apparenza. Pare che qualcuno abbia <strong>di</strong>menticato le cose<br />
veramente importanti, le promesse, i valori, gli impegni… ma sono<br />
poi così importanti se è vero che si vive una volta sola? Basta<br />
guardarci intorno, andare al cinema, leggere un libro, da qualunque<br />
parte ti giri la ricetta è sempre la stessa: ascolta le tue emozioni e<br />
non puoi sbagliarti! Oh, certo, le emozioni, proprio loro, un’ombra<br />
fresca sotto l’albero nel giorno più torrido dell’anno. “Aspetta caro<br />
che mi siedo un attimo a riprender fiato”. Peccato che nell’ombra si<br />
nasconda la promessa dell’inverno più gelido…<br />
Ancora pochi giorni e le conseguenze <strong>di</strong> queste scelte<br />
incominceranno a farsi sentire. D’un tratto i tuoi seducenti progetti<br />
perderanno la patina <strong>di</strong> smalto con cui li hai ricoperti nel tempo<br />
dell’inganno. Ora che la verità è venuta a galla e anche tu ti sei resa<br />
conto <strong>di</strong> che pasta sei fatta, l’amaro retrogusto del tra<strong>di</strong>mento ti<br />
salirà alla bocca. Proverai a rimuoverlo con delle caramelle alla<br />
fragola, ma non farai che peggiorare la situazione. Ti sentirai come<br />
la narratrice <strong>di</strong> un film muto, e proverai a reinterpretare la storia<br />
nel modo a te più congeniale, ma le immagini che passeranno sullo<br />
schermo saranno fin troppo chiare al pubblico.<br />
Hai <strong>di</strong>spensato dépliant per vendere le tue versioni e farti un po’ <strong>di</strong><br />
129
pubblicità, un modo come un altro per debellare il tuo senso <strong>di</strong><br />
colpa. Oggi ho ricevuto le mie copie, e non ho potuto fare a meno<br />
<strong>di</strong> urlare, strappandole con gesti convulsi, ferendomi le mani con i<br />
loro bor<strong>di</strong> affilati. Ci hai sempre saputo fare con le parole…<br />
L’oscurità mi ha avvolto ma è stato solo un attimo <strong>di</strong> oblio, la<br />
confusione che precede l’ascesa alla verità, perché oltre il dolore e<br />
la menzogna possono ancora aprirsi valli incontaminate e praterie<br />
fiorite. E oltre ancora le montagne, e forse ci saranno anche nuovi<br />
deserti ad aspettarmi. Laggiù mi attenderà un caldo appiccicoso,<br />
intollerabile, sfiancante, afoso. Sarò anch’io tentato dall’ombra<br />
refrigerante <strong>di</strong> una palma, ma imporrò il cammino alle mie gambe,<br />
passandomi la lingua sulle labbra screpolate; meglio morire nel<br />
deserto che accettare la gelida mano dell’ombra tentatrice.<br />
E la domenica davanti al cinema sceglierò <strong>di</strong> farmi intrattenere da<br />
una storia d’amore e d’artificio, senza lasciarmi ingannare come in<br />
passato. Amerò la protagonista e il suo compagno, in quanto attori<br />
<strong>di</strong> una messa in scena, e amerò le luci del <strong>di</strong>rettore della fotografia<br />
e le musiche della colonna sonora, facendomi scivolare addosso il<br />
significato della storia. Perché sarà solo una storia, dopotutto… da<br />
Casablanca al Paziente Inglese.<br />
Ma cos’è, in realtà, un classico? Una finzione? Un gioco <strong>di</strong><br />
prestigio? Una bugia? Chi parla dell’amore non ne sa mai<br />
abbastanza…<br />
Anche tu sei amore, tu che mi hai letto fino a qui, che hai giocato<br />
insieme a me a questo gioco fatto <strong>di</strong> parole estratte dal caso, ed<br />
assemblate dal mio estro per raccontarti una piccola parte <strong>di</strong> me.<br />
130
PROVE TECNICHE DI PRIMAVERA<br />
Non ho motivo <strong>di</strong> rimanermene in casa, non oggi che è una<br />
giornata <strong>di</strong> sole. Per decidermi ad uscire devo vincere una guerra<br />
interiore, la stessa che da oltre un mese mi tiene prigioniero dentro<br />
queste quattro mura. Ho dato la colpa all'inverno, ma oggi è il<br />
primo giorno <strong>di</strong> primavera, anche se il calendario non lo <strong>di</strong>ce.<br />
Niente torna come è stato. Non posso cristallizzare la mia angoscia<br />
nei ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> lei. Devo uscire...<br />
Fuori è sabato, il mio primo sabato dopo un'infinità <strong>di</strong> domeniche.<br />
La corrente citta<strong>di</strong>na mi risucchia senza che neanche me ne<br />
accorga. La prima sensazione è <strong>di</strong> serenità, il sentirsi finalmente<br />
parte <strong>di</strong> qualcosa; un fiume inarrestabile <strong>di</strong> cervelli concentrati al<br />
consumo. Almeno non sono solo, penso. Ma chi sono questi qui?<br />
Abbagliato da una patina <strong>di</strong> sole, muovo piccoli passi in <strong>di</strong>rezione<br />
del centro commerciale. La calca si fa ancora più fitta, ma tutti si<br />
muovono con or<strong>di</strong>ne, al tempo <strong>di</strong> una musica. Mi pare quasi <strong>di</strong><br />
u<strong>di</strong>rne il battito, una bossa nova che fa muovere le anche, sensuale<br />
e decadente, ipnotica a suo modo. Sono pronto per stare <strong>di</strong> nuovo<br />
al gioco? Mi chiedo. Allora indago, solo per vedere che effetto fa.<br />
C'è una ragazza coi capelli bion<strong>di</strong> che compra cartoline in un<br />
negozio <strong>di</strong> souvenir. Avrà venticinque o ventisei anni, non molto<br />
alta, poco trucco e un sorriso genuino. Potrei innamorarmene? No,<br />
non ancora, ma forse se la conoscessi meglio...<br />
Mi viene incontro una mora attillata, giacchetto <strong>di</strong> pelle, occhiali<br />
scuri e tutte le forme al posto giusto. La valchiria <strong>di</strong> una notte<br />
d'amore... forse, ma col retrogusto amaro. No, è un esercizio<br />
stupido, e poi non sono qui per pensare ad altre. Cammino col sole<br />
in faccia per continuare a pensare a lei, ma in maniera <strong>di</strong>versa.<br />
131
Rimorsi? No, nessun rimorso. Le cose sono andate come sono<br />
andate, e la colpa non è <strong>di</strong> nessuno, o forse è <strong>di</strong> tutti e due. Anzi<br />
no; la colpa è irrilevante.<br />
Arrivo al centro commerciale, passo davanti alle vetrine dei negozi<br />
ma non entro in nessuno <strong>di</strong> questi. Torna a farsi visita sorella<br />
Malinconia, che ho usato come arma <strong>di</strong>fensiva nelle ultime<br />
settimane della mia vita. Strano sentirsi solo in mezzo alla fiumana<br />
<strong>di</strong> gente del sabato pomeriggio. Strano ma fin troppo reale.<br />
So che la giara è rimasta vuota, ed ho un bisogno tremendo <strong>di</strong><br />
riempirla.<br />
Uso il sole per scaldarla e renderla più accogliente.<br />
Verrà il momento <strong>di</strong> metterci un nuovo fiore; una margherita<br />
oppure un narciso.<br />
C'è tempo...<br />
La primavera è appena iniziata.<br />
132
LA DONNA DELLA TORRE<br />
Alla vecchia torre ci andai una domenica mattina dei primi <strong>di</strong><br />
febbraio, in uno dei giorni più fred<strong>di</strong> dell’anno, assicurandomi così<br />
la quiete del momento e la cristallina visione <strong>di</strong> quel paesaggio<br />
che, passandoci com’era mia consuetu<strong>di</strong>ne ogni settimana per<br />
recarmi da un cliente, mi ero ripromesso più volte <strong>di</strong> andare a<br />
visitare. La vista dalla strada statale lasciava presagire un piccolo<br />
ed i<strong>di</strong>lliaco quadro me<strong>di</strong>evale e devo ammettere che non ne rimasi<br />
deluso. Costruita durante il tre<strong>di</strong>cesimo secolo, la torre fungeva da<br />
avamposto per i soldati nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> guerra. Ristrutturata più<br />
volte, era oggi a<strong>di</strong>bita ad attrazione turistica, anche se ancora<br />
parzialmente abitata.<br />
Scesi dall’auto appressandomi al cancello <strong>di</strong> accesso al piccolo<br />
ponte <strong>di</strong> legno che raggiungeva la base della costruzione,<br />
circondata interamente da un fossato pieno d’acqua che, durante la<br />
notte, aveva incominciato a ghiacciarsi. Scattai un paio <strong>di</strong> foto<br />
ispirato dalla luce del sole invernale, con i suoi raggi orizzontali e<br />
fred<strong>di</strong>, poi rimasi per un po’ ad osservare la superficie congelata<br />
del fossato e le fronde degli alberi che, protendendosi dalla riva,<br />
scomparivano sotto l’acqua come arti mozzati. Preoccupazioni<br />
prive <strong>di</strong> urgenza mi rapirono al paesaggio e mi ritrovai così a<br />
pensare ad alcuni appuntamenti <strong>di</strong> lavoro che avevo preso per la<br />
settimana successiva. Quando mi resi conto <strong>di</strong> cosa stavo facendo,<br />
scrollai la testa e cercai una nuova angolazione per riprendere a<br />
fotografare, ma in quell’istante mi accorsi <strong>di</strong> una presenza.<br />
Non avevo u<strong>di</strong>to alcun rumore, né quello della porta che si apriva,<br />
né i passi sulle assi del ponte, eppure quella figura aveva raggiunto<br />
il cancelletto a pochi metri da me. Era una donna alta, avvolta in<br />
133
una vistosa pelliccia scura, non saprei <strong>di</strong>re <strong>di</strong> che animale, dalla<br />
pelle chiara e dai profon<strong>di</strong> occhi marroni. Indossava un colbacco<br />
che le nascondeva la capigliatura e ai pie<strong>di</strong> calzava alti stivali <strong>di</strong><br />
pelle col tacco, che la rendevano più alta <strong>di</strong> me <strong>di</strong> almeno cinque<br />
centimetri. Non guardava nella mia <strong>di</strong>rezione. Teneva il volto<br />
rivolto verso il sole, basso sopra i campi, così potetti ammirare con<br />
più attenzione i delicati lineamenti della sua faccia, la piega<br />
leggermente abbronciata della sua bocca carminia, il taglio<br />
lievemente a mandorla dei suoi occhi che, per qualche strano gioco<br />
<strong>di</strong> luce, mandavano riflessi esasperati.<br />
Di colpo una strana soggezione s’impadronì <strong>di</strong> me.<br />
- Buongiorno – salutai, facendo fatica a non strozzarmi con le<br />
parole. Lei non rispose ma voltò lo sguardo nella mia <strong>di</strong>rezione,<br />
regalandomi un brivido che c’entrava poco con la temperatura<br />
glaciale <strong>di</strong> quella mattina.<br />
- Lei è <strong>di</strong> qui? – chiese, quando ormai mi ero convinto che non<br />
parlasse la mia lingua. La sua voce era baritonale, poco adatta al<br />
quel suo volto da bambina.<br />
- Beh, non proprio… – risposi, – però passo <strong>di</strong> qui spesso, per<br />
lavoro intendo… Ogni settimana.<br />
Lei tornò a guardare il <strong>di</strong>sco dorato all’orizzonte, che quel giorno<br />
sembrava incapace <strong>di</strong> emanare calore. La sua bocca scintillava del<br />
suo riflesso, forse per il rossetto o perché inumi<strong>di</strong>ta dalla saliva,<br />
oppure… una strana idea prese campo nella mia testa. Una velatura<br />
<strong>di</strong> ghiaccio…<br />
- C’è un bel sole, oggi… – <strong>di</strong>sse lei, <strong>di</strong>straendomi dai miei pensieri.<br />
- Si, però sembra che sia stato <strong>di</strong>segnato… – risposi, ma il mio<br />
umorismo non parve colpirla. – È lei che si occupa della torre?<br />
- Si… e no.<br />
Le sue parole sembravano schiocchi <strong>di</strong> ghiaccio incrinato. Non<br />
riuscii a chiederle altro. Rimasi lì per un po’, mentre il gelo<br />
incominciava a rendermi insensibile la mano in cui tenevo ancora<br />
stretta la fotocamera. Guardai il sole, seguendo il suo sguardo, poi<br />
134
tornai ad ammirare la torre, un bastione squadrato ed imponente<br />
sopra <strong>di</strong> noi, insensibile all’inverno e al passare delle vite degli<br />
uomini. Infine guardai <strong>di</strong> nuovo il volto della fanciulla, rivolto<br />
ancora verso l’alba. Qualcosa si era formato ai lati dei suoi occhi<br />
scintillanti. Lacrime parevano, ma erano solide e sfaccettate come<br />
<strong>di</strong>amanti. Rotolarono sulle sue guance come pietruzze, rimanendo<br />
impigliate nel pelo della pelliccia.<br />
- Buona giornata – <strong>di</strong>sse lei, voltandosi e attraversando con<br />
sicurezza il ponte, per poi scomparire dentro la torre.<br />
Mi ci vollero alcuni minuti per riprendere il controllo delle mie<br />
membra, guadagnare il parcheggio e montare finalmente in auto.<br />
Volsi un ultimo sguardo verso la torre, in cui <strong>di</strong>morava una<br />
misteriosa donna che piangeva lacrime <strong>di</strong> ghiaccio, e provai ad<br />
immaginare la sua storia, per quanto improbabile fosse. Ero<br />
impazzito?<br />
Mentre tornavo a casa, decisi <strong>di</strong> non essere <strong>di</strong>ventato pazzo. Forse<br />
quell’incontro era la cosa più normale che avessi fatto negli ultimi<br />
anni. Forse il mondo era pieno <strong>di</strong> cose simili, ed io le avevo<br />
scansate <strong>di</strong> proposito, con la mia sveglia alle sette in punto, le<br />
abitu<strong>di</strong>ni del dopo lavoro, le serate fuori il sabato e le domeniche<br />
mattina a rigirarmi fino a tar<strong>di</strong> nel letto, in attesa della partita <strong>di</strong><br />
campionato.<br />
Da quel giorno le cose non sono state più le stesse. No, non ho<br />
cambiato vita. Ciò mi avrebbe soltanto condotto verso una nuova<br />
routine. Ho fatto <strong>di</strong> meglio…<br />
Ho imparato a sorprendermi, tutto qui.<br />
135
SHARONA<br />
Tra meno <strong>di</strong> un’ora sarà qui. Lei, con quel portamento elegante da<br />
fotomodella, sofisticata come una straniera, lunghe ciglia <strong>di</strong> velluto<br />
che ombreggiano uno sguardo austero in cui adoro perdermi. Lei,<br />
Sharona come la canzone, che stringe il mio corpo con le sue<br />
lunghe gambe quando mi vuole dentro, che urla <strong>di</strong>sinibita con le<br />
finestre aperte, mentre l’orgasmo le esplode nella gola. Al solo<br />
pensiero tremo, e mi sento già in tiro…<br />
Il sugo bolle da un’ora. Ho preso la macinata magra perché so che<br />
le piace. Le pennette sono quelle piccole per la sua bocca minuta,<br />
coperta appena da una patina <strong>di</strong> rossetto. Poi la carne; bistecca al<br />
sangue per lei che la vuole sugosa, perché la fa sentire vampira al<br />
punto giusto. Il vino è un Sassicaia, dato che per lei non bado a<br />
spese. E poi l’insalatina <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cchi, la frutta, il gelato, il caffè… A<br />
stomaco pieno il sesso lu<strong>di</strong>co è giustificato.<br />
Sharona conosce tutto <strong>di</strong> me eppure io non conosco nulla <strong>di</strong> lei.<br />
Sharona è stata dai miei genitori ed ha fatto una buonissima<br />
impressione a mio padre. Mia madre d’altronde non mi parla più e<br />
mia sorella la o<strong>di</strong>a. Per due ore ha tenuto testa a tutti, davanti alla<br />
tavola imban<strong>di</strong>ta a festa con l’agnello sacrificato e i pisellini ver<strong>di</strong>.<br />
Una pasqua con i tuoi può essere peggio <strong>di</strong> un pasto in una cella<br />
del braccio della morte. Mi alzai per andare in cantina a prendere il<br />
moscato e lei mi venne <strong>di</strong>etro. Mia madre ci sorprese mentre mi<br />
costringeva ad andarle giù, alla tenue luce della lampa<strong>di</strong>na a<br />
quaranta volt del seminterrato. Difficile resistere alla dolcezza dei<br />
suoi succhi…<br />
Sharona è un mistero <strong>di</strong> o<strong>di</strong>o-amore, <strong>di</strong> sesso frenetico, <strong>di</strong> donna<br />
allo stato puro. È come se incarnasse il femmineo spirito della terra<br />
136
nel tepore delle sue cosce, dentro gli abissi smeral<strong>di</strong>ni dei suoi<br />
occhi. Non so niente <strong>di</strong> lei. È apparsa d’improvviso nella mia vita o<br />
forse vi ci sono sbadatamente inciampato. Ricorderò sempre quel<br />
primo caffè insieme e le sue domande a bruciapelo, accompagnate<br />
da lunghi ed imbarazzanti sguar<strong>di</strong>. No, non è mai stata una mia<br />
scelta…<br />
Tra mezz’ora sarà qui. Lei spacca sempre il minuto. La magnolia<br />
intensa del Dior precede il suo ingresso sul palcoscenico della mia<br />
vita. Io sono un mero spettatore delle sue imprese. Dannazione,<br />
devo girare il sugo altrimenti rischio <strong>di</strong> bruciare tutto, e se dovesse<br />
accadere per me sarebbe la fine…<br />
Sharona mi sta <strong>di</strong>vorando un pezzettino alla volta ed io non riesco<br />
a fermarla. Non voglio fermarla. Adoro questa pratica cannibalesca<br />
che lei sapientemente porta avanti già da un anno. Non è rimasto<br />
molto della mia anima. Lei succhia, succhia, succhia ed io la lascio<br />
fare. Ed è bellissimo così.<br />
Le servirò l’aperitivo dentro i bicchieri <strong>di</strong> mia madre, quelli<br />
antichi. È una sorta <strong>di</strong> rituale contro il bigottismo della mia<br />
vecchia. Sharona sa che mia madre è un punto dolente. Quando mi<br />
lega al letto e si siede su <strong>di</strong> me, contorcendo la sua schiena come<br />
una lamia, mi guarda dritta negli occhi e mi <strong>di</strong>ce che mia madre ci<br />
sta guardando dal buco della serratura, e mentre ci guarda scopare<br />
lei si tocca, non ne può fare a meno. È così che mi fa venire,<br />
sempre…<br />
Ormai manca poco. Metterò sul fornello l’acqua per la pasta e<br />
inizierò a preparare l’insalata. Voglio che sia tutto pronto per<br />
quando arriva. Ho staccato il telefono e presto spegnerò anche il<br />
computer. Lascerò accese solo le luci della cucina e le candele<br />
sparse per la casa. A lei piace giocare con la cera…<br />
Ecco, questa è la sua auto. Ne riconoscerei il suono anche nel<br />
traffico citta<strong>di</strong>no all’ora <strong>di</strong> punta, o forse avverto semplicemente la<br />
sua presenza, l’energia che sprigiona, qualcosa che ha che fare con<br />
le frequenze che legano noi umani agli spiriti della natura.<br />
137
L’essenza femminea della terra. Sharona, il sugo, le bistecche, mia<br />
madre… driiin, driin…<br />
Sto arrivando…<br />
Sono tuo!<br />
138
CUORE FREDDO<br />
Un cuore freddo, insensibile a tutto. È cresciuto nei giorni apatici<br />
dell'ultimo autunno, durante quelle notti passate a fissare il soffitto<br />
buio, nei silenzi rotti soltanto dal ronzare inarrestabile della TV<br />
della vicina <strong>di</strong> casa. Non avrebbe mai potuto immaginare che una<br />
cosa così gelida potesse crescere dentro <strong>di</strong> lui, e che arrivasse al<br />
punto <strong>di</strong> non riuscire più a sentirla. Il cuore freddo attutisce ogni<br />
appen<strong>di</strong>ce percettiva. Rimane soltanto una sensazione <strong>di</strong> vuoto,<br />
comunque inafferrabile, alla quale è preferibile tutto, anche il<br />
vortice abissale della <strong>di</strong>sperazione. No, il cuore freddo ti rende<br />
robotico, meccanico, funzionante ma alienato. È una pila atomica<br />
che brucia a temperature vicine allo zero assoluto. I muscoli della<br />
sua faccia rispondono al gioco <strong>di</strong> conseguenze logiche, in ogni<br />
relazione in cui viene coinvolto. Saluta, domanda, risponde,<br />
partecipa, ma ogni gesto, ogni parola, sono mere risultanti <strong>di</strong><br />
complesse espressioni algebriche. È il cuore freddo che lavora<br />
senza riposo. Si autoalimenta. Sopravvive della sopravvivenza del<br />
suo uovo.<br />
Quante persone come lui coltivano nel petto un cuore freddo, in<br />
questo occidente sferzato dal vento e dalla neve, nell'inverno più<br />
gelido che l'uomo ricor<strong>di</strong>?<br />
Quante?<br />
139
UNDICI GRADI<br />
Un<strong>di</strong>ci gra<strong>di</strong>, pioggia leggera ma insistente, vento dal nord…<br />
un<strong>di</strong>ci dannatissimi gra<strong>di</strong>, non uno <strong>di</strong> più, anche se la primavera è<br />
arrivata e le cose, almeno secondo il calendario, dovrebbero essere<br />
cambiate…<br />
Invece è asfalto bagnato, è petali al vento, è gocce <strong>di</strong> pioggia sulla<br />
finestra, è ombrelli e k-way, è una mano <strong>di</strong> grigio su tutti i colori,<br />
come novembre, proprio come novembre, esattamente come quel<br />
maledettissimo giorno <strong>di</strong> novembre.<br />
Come fai a non farti corrompere dalla pioggia? Come puoi<br />
ascoltare il fischio del vento e non impazzire? Il ticchettio<br />
dell’orologio, il controtempo del cuore, il silenzio della solitu<strong>di</strong>ne,<br />
con le pareti che sanguinano anni <strong>di</strong> rancore accumulati sotto la<br />
carta da parati, e negli angoli le ombre nascondono le ambizioni<br />
stroncate <strong>di</strong> una storia d’amore, una storia d’amore come un<br />
milione <strong>di</strong> altre storie, speciale a suo modo, scontata in molti altri.<br />
Un<strong>di</strong>ci miseri gra<strong>di</strong> attraverso le finestre a doppio vetro e la porta<br />
blindata, s’insinuano sotto la felpa che tieni addosso già da una<br />
settimana e non ti deci<strong>di</strong> a lavarla, ti confinano sul <strong>di</strong>vano con una<br />
coperta sulle gambe a schiacciare <strong>di</strong>strattamente i tasti del<br />
telecomando. Ogni tanto afferri il cellulare, fai il giro della rubrica<br />
per poi riporlo sul tavolino davanti al televisore, che riversa<br />
immagini a volume azzerato. Un tè, uno stramaledettissimo tè a<br />
metà aprile, come dopo una colica o una passeggiata sulla neve.<br />
Un tè per sentire ancora un po’ <strong>di</strong> calore, per assicurarsi <strong>di</strong> non<br />
essere <strong>di</strong>ventato un cadavere, <strong>di</strong> avere ancora un cuore nel petto<br />
capace <strong>di</strong> battere…<br />
Ritorni con la mente al momento in cui tutto è crollato, un castello<br />
140
<strong>di</strong> carte magnifico demolito in un batter <strong>di</strong> ciglia da una mossa<br />
sbagliata, una carta poggiata con poco tatto su quella più sotto, e in<br />
un secondo tutto viene giù, nella cacofonia straziante dell’eco degli<br />
anni trascorsi assieme. Quel momento è impresso così bene nella<br />
tua mente che puoi riviverlo nella sua interezza e perfida crudeltà<br />
tutte le volte che vuoi, è come clikkare col mouse per avviare un<br />
video, inesorabile esso torna a tormentarti, niente viene tralasciato,<br />
l’intonazione delle parole, gli sguar<strong>di</strong>, la gradazione delle fonti <strong>di</strong><br />
luce, tutto quanto. È una scena che ogni volta che rivivi si colora <strong>di</strong><br />
nuova finzione, come se cercassi <strong>di</strong> estirparla dalla realtà,<br />
trasformandola nella clip <strong>di</strong> una serie televisiva che non hai ancora<br />
visto e che non hai per niente voglia <strong>di</strong> vedere. Quella scena ha un<br />
potere soggiogante, riesce a trascinarti fino al ciglio del baratro, ti<br />
lascia guardare oltre l’abisso per farti desiderare la pace mentale,<br />
ed è in quel momento che per fortuna stacchi la spina e non ci<br />
pensi più. Almeno fino al prossimo replay…<br />
Un<strong>di</strong>ci vergognosissimi gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> pozzanghere sui marciapie<strong>di</strong>, <strong>di</strong><br />
tergicristalli in funzione, <strong>di</strong> cani e padroni <strong>di</strong> cani unici pedoni <strong>di</strong><br />
una domenica mattina, perché ad aprile inoltrato, con la pioggia, il<br />
vento ed un<strong>di</strong>ci fottutissimi gra<strong>di</strong>, solo i matti e i cani hanno<br />
ragione <strong>di</strong> uscire fuori. Tiri più su la coperta, verifichi per un<br />
attimo <strong>di</strong> non stare sognando e ti chie<strong>di</strong> per la milionesima volta<br />
come sia possibile che sia successo proprio a te, e tutto così<br />
all’improvviso, nessuna avvisaglia, un uragano a ciel sereno…<br />
“Funziona così, non lo sapevi?” si fa beffe una vocina interiore. Al<br />
<strong>di</strong>avolo la vocina, pensi. “Resisti almeno fino a mezzogiorno!<br />
Resisti, dai!” gli fa eco un’altra, quella più giu<strong>di</strong>ziosa. “Che<br />
<strong>di</strong>fferenza farà mai”, conclu<strong>di</strong>, alzandoti dal <strong>di</strong>vano per correggerti<br />
il tè con due <strong>di</strong>ta abbondanti <strong>di</strong> scotch. “D’altronde fuori ci sono<br />
appena un<strong>di</strong>ci deprecabili, riprovevoli, ignobili, scandalosi gra<strong>di</strong>!”<br />
141
IDENTITÀ<br />
Ho scoperto chi era.<br />
Le mani sul collo per allentare la tensione, coi polpastrelli cerco <strong>di</strong><br />
praticarmi un massaggio rilassante, mi aiuto chiudendo gli occhi,<br />
respirando lentamente. La rivelazione mi ha accelerato il battito,<br />
innescando la solita aritmia. Tum, tu-tum, tum, tum…<br />
Il problema è l’identificazione. Non sappiamo chi siamo, cosa<br />
siamo, ma proiettiamo un’immagine che ci rappresenta, e poco<br />
importa se questa si rivela infelice; ciò che conta è sapere che<br />
esistiamo. Muoviamo marionette credendo <strong>di</strong> essere fatti <strong>di</strong> legnetti<br />
snodabili, stracci e una testa <strong>di</strong> polistirolo pressato. Non ci<br />
chie<strong>di</strong>amo a chi appartengono le mani che muovono i nostri fili. È<br />
lì che si cela l’inganno della falsa identificazione.<br />
Perciò viviamo l’ennesima pantomima chiamata Amore, seguendo<br />
gli schemi mentali <strong>di</strong>segnati da una canzone estiva, e dormiamo in<br />
falsa sintonia con l’interpretazione <strong>di</strong> lei, osservandola senza<br />
vederla. Anche lei non riesce a vedere, ovviamente, perché nella<br />
relazione <strong>di</strong> coppia si dorme sempre in due…<br />
È solo grazie al brusco risveglio che le cose acquistano i loro veri<br />
contorni. In uno stato <strong>di</strong> morte apparente, ci è ancora concesso <strong>di</strong><br />
sollevarci sopra i corpi assopiti, seguendo i fili delle marionette. È<br />
così che ho scoperto chi era l’uomo che mi rappresentava, il<br />
burattino che saltava e danzava sul palcoscenico <strong>di</strong> questo bizzarro<br />
teatrino che ingenuamente continuiamo a chiamare realtà.<br />
Ancora oggi lo osservo da una postazione privilegiata, lo spettatore<br />
attento che assapora le immagini <strong>di</strong> uno sceneggiato: lo spettatore<br />
gode della storia, si lascia cullare da stati emotivi <strong>di</strong>staccati,<br />
cocktail leggeri da sorseggiare piano, e quando le luci si accendono<br />
142
e passano i titoli <strong>di</strong> coda, ritorna ad essere lui. La recita a cui la sua<br />
proiezione mentale ha preso parte non lo ho scalfito minimamente.<br />
E ho finalmente scoperto chi era l’altro Me; l’insod<strong>di</strong>sfatto,<br />
l’insicuro, la vittima, l’annoiato, il sofferente, il depresso… il<br />
protagonista dell’ultimo blockbuster nel quale usavo riconoscere la<br />
mia vita.<br />
143
IL CUORE DELLA LUCERTOLA<br />
- Ciao, come stai?<br />
E come cazzo dovrei stare, mi andrebbe <strong>di</strong> <strong>di</strong>rle. Invece rispondo<br />
“bene”, e sorrido pure. Non mi va <strong>di</strong> darle vantaggi. Ai suoi occhi<br />
voglio apparire forte, anche se dentro sono a pezzi, come se il<br />
cuore me l’avessero gettato nel tritacarne. Stronza! Sei anni<br />
insieme, e una mattina si sveglia e mi <strong>di</strong>ce “non ti amo più!” Ma<br />
che cazzo vuol <strong>di</strong>re?<br />
- Ci sei domani? Se non <strong>di</strong>sturbo verrei a prendere le ultime cose…<br />
Certo che <strong>di</strong>sturbi. Disturbi ogni singolo minuto della mia giornata,<br />
perché non riesco a non pensare a te. Non dormo, non mangio, non<br />
posso neanche ad andare a lavoro senza che l’immagine del tuo<br />
volto venga ad ossessionarmi. Sei un virus, ecco cosa sei!<br />
- No, ci mancherebbe. Vieni pure.<br />
Magari parliamo un po’, mi verrebbe da aggiungere. Ma abbiamo<br />
anche parlato troppo. E quando si parla troppo, non c’è più niente<br />
da <strong>di</strong>re. Ci sono i ricor<strong>di</strong>, che a me sembrano bellissimi e a lei non<br />
fanno il minimo effetto. Ci sono i rancori, e quelli lei li ricorda<br />
benissimo, mentre io me li sono già <strong>di</strong>menticati. E poi ci sono i<br />
momenti d’in<strong>di</strong>fferenza, e quelli sono la vera ragione per la quale<br />
lei verrà a prendersi le sue dannate ultime cose.<br />
- Come va il lavoro?<br />
Ma che cazzo te ne frega! Non ti è mai interessato quello che<br />
faccio. Eh certo, perché prima t’interessavo io, adesso invece<br />
t’interessa solo rimanere amica, riprenderti le tue cose e non fare<br />
più scenate. Vuoi la <strong>di</strong>ssolvenza, la chiusura col sorriso, il finale <strong>di</strong><br />
Hollywood, i titoli <strong>di</strong> coda con i ringraziamenti, così poi ti potrai<br />
buttare a capofitto nel tuo prossimo film, senza sensi <strong>di</strong> colpa.<br />
144
- Bene. Marzo è stato un buon mese…<br />
- Sono contenta. E poi <strong>di</strong>strarsi fa bene, non trovi?<br />
Questa te la potevi risparmiare, stronza! Chi ve<strong>di</strong> adesso? Ci<br />
dev’essere qualcuno, lo so. C’è sempre qualcuno, quando si cambia<br />
in questa maniera. Un po’ stronza lo sei sempre stata, ma mai così.<br />
Chi è? Un collega? Uno che hai incontrato in palestra? Uno che<br />
t’inforca dopo lo spinning?<br />
- Si. Cerco <strong>di</strong> non pensarci, sai com’è…<br />
Patetico. No, non fare il patetico adesso. Ce l’hai quasi fatta. Tra<br />
poco arriva il bus, la saluti e te ne vai. Non tornare sull’argomento,<br />
altrimenti sei fregato…<br />
- Ve<strong>di</strong> qualcuno?<br />
Ma perché non te ne stai un po’ zitta, troia! Si, vedo te, tutti i<br />
giorni, nella mia testa, ti guardo chiudendo gli occhi, vedo i tuoi<br />
capelli sparsi sul cuscino, le tue labbra che mi accarezzano, la tua<br />
lingua che gioca. Vedo sempre e solo te, capito… stronza!<br />
- No, solo i miei amici, ogni tanto. Domenica an<strong>di</strong>amo a pescare.<br />
- Dove?<br />
- In montagna…<br />
- Bello…<br />
Ma che fine hai fatto autobus <strong>di</strong> merda! Sei in ritardo <strong>di</strong> sette<br />
minuti. Vuoi vedere che la corsa è saltata. Se è così mi tocca a<br />
farmi torturare per un altro quarto d’ora.<br />
- Sai, io vedo qualcuno… Volevo <strong>di</strong>rtelo, perché mi piace essere<br />
sincera.<br />
Che sorpresa! Ma davvero?<br />
- Sai che ci tengo alla nostra amicizia…<br />
- E se ti spingessi sotto l’autobus, che ne <strong>di</strong>resti?<br />
Troppo tar<strong>di</strong>. La frase mi esce senza pensarci. Perché sapete, a<br />
volte la linea che <strong>di</strong>vide l’immaginazione con la realtà è talmente<br />
sottile…<br />
Lei strabuzza gli occhi, rimane in silenzio, forse ha anche un po’ <strong>di</strong><br />
paura. In quell’istante la vedo sotto una nuova luce, vulnerabile e<br />
145
stronza. Qualcosa ricomincia a battere dentro il petto. Il cuore è un<br />
muscolo strano. È come la coda delle lucertole. Lo puoi buttare nel<br />
tritacarne, ma quello ricresce, e torna a pulsare, più forte <strong>di</strong> prima.<br />
- Guarda, quello è il tuo autobus. Ti aspetto domani per la roba.<br />
Ciao…<br />
Lei risponde con un timido ciao, sale sull’autobus e si <strong>di</strong>legua.<br />
La verità, specialmente la più crudele, può fare miracoli.<br />
146
IL VECCHIO ULIVO<br />
I ragazzi saltarono giù dal motorino e procedettero a pie<strong>di</strong> sullo<br />
sterrato che in quel punto <strong>di</strong>ventava più insi<strong>di</strong>oso, con rocce<br />
aguzze che spuntavano dappertutto minacciando <strong>di</strong> bucare qualche<br />
ruota. In mano tenevano i caschi e uno <strong>di</strong> loro c'aveva infilato<br />
dentro un sacchetto <strong>di</strong> plastica contenente un paio <strong>di</strong> bottiglie <strong>di</strong><br />
Moretti da 66. La stra<strong>di</strong>na <strong>di</strong>venne un sentiero e si aprì sulla<br />
vallata. Il posto ideale era all'ombra <strong>di</strong> un vecchio ulivo che<br />
s'alzava vigile sul paesaggio, così i due si sedettero sull'erba secca<br />
<strong>di</strong> quel caldo pomeriggio <strong>di</strong> luglio e aiutandosi con un portachiavi<br />
stapparono le due birre. Per un minuto abbondante non parlarono.<br />
Bevvero, guardarono ed ascoltarono.<br />
Ci venivano spesso lassù, specialmente d'estate, perché dopo le<br />
cinque si alzava un buon vento e il mondo preparava il teatrino<br />
quoti<strong>di</strong>ano del tramonto, che era sempre un gran bel vedere. Di<br />
cose ne avevano da parlare, ma chissà perché tutte le volte che si<br />
trovavano da soli sotto quel vecchio ulivo, al cospetto della vallata,<br />
le parole venivano meno. Allora uscivano fuori <strong>di</strong>scorsi<br />
frammentati, mezze frasi colmate da sguar<strong>di</strong> e lunghi sorsi <strong>di</strong> birra.<br />
- Stasera chi viene?<br />
- I soliti, credo...<br />
- Ma siamo a casa tua?<br />
- Si, basta non facciate il casino dell'ultima volta...<br />
- Non ti preoccupare, ti aiutiamo a rimettere a posto...<br />
- Si, <strong>di</strong>te sempre così.<br />
I pensieri volarono via, e qualcuno rimase appeso alle fronde del<br />
vecchio ulivo. Poi la solita ombra si posò sui due, come una nuvola<br />
improvvisa che oscura il sole.<br />
147
- È quasi un anno ormai...<br />
- Si...<br />
- Facciamo qualcosa il do<strong>di</strong>ci?<br />
- Che hai in mente?<br />
- Un ritrovo... così per ricordarlo insieme...<br />
- Non lo so... se ci penso sto malissimo...<br />
- Anch'io...<br />
Perché la morte inaspettata <strong>di</strong> un amico non è un qualcosa che ci si<br />
lascia alle spalle così facilmente. Non è la ferita adulta, che col<br />
tempo si rimargina lasciando solo una brutta cicatrice. I ragazzi ci<br />
stavano convivendo con quella ferita, cercavano <strong>di</strong> capirla,<br />
accettarla, ma giorno dopo giorno, senza che loro lo sapessero, lei<br />
li stava cambiando.<br />
- Hai già finito?<br />
- Si... avevo una sete terribile.<br />
- Che facciamo adesso?<br />
- Aspettiamo il tramonto...<br />
A valle un uomo vestito <strong>di</strong> scuro che non assomigliava per niente a<br />
un conta<strong>di</strong>no continuò a falciare con veemenza il grano dorato, ma<br />
nessuno dei due ragazzi lo notò.<br />
148
L'ANELLO<br />
- Amore, hai visto per caso il mio anello?<br />
- Ce l’hai al <strong>di</strong>to.<br />
- Ma no, non la fede. L’anello che avevo al mignolo, quello fine<br />
d’argento.<br />
- Avevi un anello al mignolo?<br />
- Ma certo… che fai, mi pren<strong>di</strong> in giro?<br />
- Ti giuro che non te l’ho mai visto… ma sei sicuro?<br />
- Certo che sono sicuro...<br />
Quinto Bertocchi se ne esce <strong>di</strong> casa alle otto meno un quarto, in<br />
leggero ritardo e con un evidente malumore. Si guarda il <strong>di</strong>to<br />
mignolo mentre poggia le mani sul volante e prova a ricordare<br />
dove potrebbe essere andato a finire il suo anello. Nonostante il<br />
traffico, la ra<strong>di</strong>o, il mal tempo e gli appuntamenti <strong>di</strong> lavoro, non<br />
riesce a pensare ad altro. Appena entra in ufficio convoca la sua<br />
segretaria.<br />
- Teresa, hai per caso visto il mio anello?<br />
- La fede nuziale?<br />
- No, quella ce l’ho. Sto parlando del piccolo cerchio d’argento che<br />
avevo al mignolo, si ricorda?<br />
La segretaria prende tempo per far finta <strong>di</strong> ricordare e poi scuote la<br />
testa.<br />
- No, sinceramente…<br />
- Ma come no… - la interrompe l’ingegner Bertocchi, leggermente<br />
infasti<strong>di</strong>to.<br />
- Aspetti, ora che ci penso, mi sembra <strong>di</strong> ricordare qualcosa. Però<br />
non l’ho visto - mente lei.<br />
- Ecco, lo sapevo! Mia moglie voleva farmi passare per scemo.<br />
149
- Mi scusi?<br />
- No, niente…<br />
- Ha provato a vedere nel bagno? Magari se lo è tolto ieri per<br />
lavarsi le mani e poi lo ha <strong>di</strong>menticato sul lavan<strong>di</strong>no.<br />
- Si, ottima idea. Andrò subito a vedere.<br />
Teresa se ne torna alla sua scrivania, felice <strong>di</strong> lasciare il capo alle<br />
sue beghe. Lui perlustra da cima a fondo ufficio e bagno ma non<br />
trova nulla. Si prova a mettere a lavorare, ma non riesce a<br />
concentrarsi. Attende arrovellandosi l’ora <strong>di</strong> pranzo.<br />
- Giorgio, ti ricor<strong>di</strong> dell’anello che avevo al <strong>di</strong>to?<br />
Al tavolino del bar sotto gli uffici siedono Matteo Franceschini,<br />
Giorgio Pirani e il nostro Quinto Bertocchi. Insalatina, carpaccio <strong>di</strong><br />
bresaola, prosciutto e melone e tre bicchieri <strong>di</strong> vino bianco, leggero<br />
perché dopo si torna a lavorare.<br />
- Un anello?<br />
- Esattamente! Qui al mignolo, avevo un anello d’argento, come<br />
una piccola fede.<br />
- Ma sai, io sono un po’ <strong>di</strong>stratto con queste cose. Ricordo a<br />
malapena quello che ho mangiato a colazione.<br />
- E tu, Franceschini?<br />
- Cosa?<br />
- Mi hai mai visto un anello a questo <strong>di</strong>to?<br />
Lui alza la testa dal carpaccio, ci pensa un po’ (o come Teresa fa<br />
solo finta <strong>di</strong> pensarci) e poi risponde <strong>di</strong> no.<br />
- Questa storia è davvero strana, sapete? È come se questo anello<br />
me lo fossi inventato. Nessuno lo ricorda, ma sono sicurissimo <strong>di</strong><br />
averlo avuto al <strong>di</strong>to, almeno fino a ieri sera.<br />
- Beh, se sei sicuro allora ce lo avevi - risponde l’ingegner Pirani.<br />
- La gente è <strong>di</strong>stratta, sai com’è… - aggiunge l’avvocato<br />
Franceschini.<br />
- Si, ma neanche mia moglie se lo ricorda…<br />
- Sabato scorso sono passato dall’e<strong>di</strong>cola e ho comprato una rivista<br />
<strong>di</strong> fotografia... - racconta Giorgio, - ...e mia moglie è rimasta<br />
150
sorpresa. Si era completamente <strong>di</strong>menticata che è dai tempi del<br />
liceo che sono un fotoamatore. È un mondo troppo veloce, nessuno<br />
riesce più a stare <strong>di</strong>etro a tutto. Non preoccuparti Quinto…<br />
Ma le parole <strong>di</strong> conforto dell’ingegner Pirani non riescono a<br />
tranquillizzarlo. Alle tre e mezzo decide <strong>di</strong> tornarsene a casa, che<br />
tanto <strong>di</strong> lavorare non se ne parla nemmeno.<br />
L’ingegner Bertocchi è un tipo preciso. Non perde mai nulla perché<br />
ogni cosa ha un suo posto, sia nel mondo materiale che nella sua<br />
testa, per questo motivo la faccenda dell’anello lo turba. È tentato<br />
<strong>di</strong> mettere a soqquadro la casa, ma invece si limita a cercare senza<br />
smuovere gli oggetti. Si sforza <strong>di</strong> ricordare, un’immagine,<br />
un’occasione, un rituale della sua vita super programmata. Niente.<br />
Sua moglie torna alle sei e quaranta. Lui ha preparato un risotto<br />
che mangiano insieme guardando il telegiornale. Vorrebbe<br />
chiederle nuovamente dell’anello ma teme un’altra smentita.<br />
Siedono in silenzio, si fumano un paio <strong>di</strong> sigarette, poi lei lascia il<br />
tavolo con la scusa <strong>di</strong> dover finire del lavoro per il giorno dopo.<br />
Sparisce nello stu<strong>di</strong>o mentre alla TV passano lo sport.<br />
Quinto si alza, spegne l’apparecchio e si mette il cappotto.<br />
- Esco a comprare le sigarette. Ti serve niente? - domanda alla<br />
moglie attraverso la porta chiusa dello stu<strong>di</strong>o. Lei risponde <strong>di</strong> no e<br />
un secondo più tar<strong>di</strong> lui è già fuori.<br />
Gira a vuoto per le strade del centro, nel silenzio ristoratore<br />
dell’abitacolo della sua auto. Si chiede se non stia per impazzire.<br />
Succede a volte, come a quel vecchio collega che si era imbottito<br />
<strong>di</strong> pasticche. Quand’è che era successo? Un mese prima? Lo<br />
ricorda bene quel collega; Marzio Frignani, quarantotto anni, due<br />
figli. Quella mattina presero il caffè insieme, lo ricorda benissimo,<br />
e mentre alzava la tazzina c’era il suo anello, certo, come poteva<br />
<strong>di</strong>menticarlo. No, non era pazzo…<br />
Accosta l’auto, slaccia la cintura e incomincia a perquisirla da cima<br />
a fondo. Dietro i se<strong>di</strong>li, sotto i tappetini, dentro gli scomparti<br />
laterali. Si aiuta con una torcia elettrica che estrae da dentro al<br />
151
cruscotto. Passano i minuti, fuori piove ma deve tenere gli sportelli<br />
aperti se vuole fare un buon lavoro. Quando finalmente si convince<br />
che dell’anello non vi è traccia, ha i pantaloni completamente<br />
bagnati. Sprofonda sul se<strong>di</strong>le, tira un sospiro, si accende una<br />
sigaretta e guarda fuori attraverso lo sportello spalancato. Un uomo<br />
lo osserva dall’altra parte della strada.<br />
- Che c’è? - gli urla. È infasti<strong>di</strong>to, quasi rabbioso, ammazzerebbe<br />
una persona solo per darsi un contegno.<br />
L’uomo ha un ombrello e un soprabito grigio. Fuori è troppo buio<br />
per <strong>di</strong>stinguere i suoi lineamenti.<br />
- Ha bisogno <strong>di</strong> una mano? - domanda gentilmente.<br />
- Ho perso il mio anello…<br />
- Mi <strong>di</strong>spiace.<br />
Quella risposta lo scuote. Per la prima volta in tutta la giornata<br />
qualcuno lo aveva fatto sentire meglio.<br />
- Gentile da parte sua. Ma vede, il problema è che non sono più<br />
sicuro che ce lo avessi…<br />
- Non ricorda <strong>di</strong> avere avuto quell’anello?<br />
- No, io lo ricordo benissimo. Sono gli altri che non se lo<br />
ricordano. Persino mia moglie, si figuri…<br />
- Così lei pensa <strong>di</strong> essere sul punto d’impazzire...<br />
- Si…<br />
La città è deserta, i lampioni si riflettono sull’asfalto bagnato, la<br />
pioggia continua a battere.<br />
- Lei non sta cercando l’anello. Lei sta solo cercando <strong>di</strong> convincersi<br />
che non è mai esistito, ma per quanto si sforzi non riesce a<br />
<strong>di</strong>menticarlo.<br />
- E se non fosse davvero mai esistito?<br />
- Beh, adesso esiste, non le pare? E per quanto lo voglia cancellare<br />
dalla sua testa, quell’anello esisterà sempre. Quin<strong>di</strong>, le do un<br />
consiglio; accetti semplicemente il fatto che lo ha perso, e non ci<br />
pensi più. Domani passi in gioielleria e ne compri uno nuovo,<br />
uguale a quello che crede <strong>di</strong> aver perduto. Poi lo mostri a sua<br />
152
moglie e suoi conoscenti e <strong>di</strong>ca loro che lo ha ritrovato. Vedrà che<br />
non faranno una piega, e penseranno semplicemente <strong>di</strong> non averlo<br />
mai notato.<br />
Quinto Bertocchi alza la testa verso l’uomo con l’ombrello,<br />
immobile sull’altro lato della strada.<br />
- Che significa tutto ciò?<br />
- Che nella vita a volte si rincorre e altre volte si è rincorsi, e non<br />
possiamo permetterci <strong>di</strong> rimanere ad aspettare chi è rimasto<br />
in<strong>di</strong>etro - risponde misteriosamente lo sconosciuto, prima <strong>di</strong><br />
rimettersi in cammino sulla strada buia.<br />
Il giorno dopo l’ingegner Bertocchi seguì il consiglio dell’uomo<br />
con l’ombrello ed accadde esattamente quello che aveva previsto.<br />
Tutti quanti si convinsero <strong>di</strong> non aver mai notato l’anello ma<br />
nessuno se ne preoccupò.<br />
Per Quinto Bertocchi quello fu anche il primo giorno della sua<br />
nuova vita. Nei mesi successivi lasciò il lavoro, la moglie e la città,<br />
e prese un treno che andava verso nord. Dal finestrino gettò via<br />
l’anello, e si augurò che qualcuno lo trovasse, e potesse iniziare a<br />
vedere le cose come adesso le vedeva lui.<br />
Perché tutto esiste nel momento in cui lo si pensa.<br />
153
FIORITURE<br />
Come andranno le cose domani? Chi può <strong>di</strong>rlo, ripetono amici e<br />
conoscenti, ma l’interrogativo rimane scolpito indelebilmente negli<br />
occhi dei miei figli, che mi guardano da oltre la tazza del<br />
caffellatte regalandomi un altro straor<strong>di</strong>nario esempio <strong>di</strong> purezza, o<br />
forse sono io che vi leggo cose che non esistono affatto. D’altronde<br />
quand’ero un ragazzo non andavo mai col pensiero più lontano del<br />
giorno dopo, o al massimo mi spingevo fino al week-end, ma mai<br />
più avanti, perché il tempo ha tutto un altro significato quando si è<br />
giovani.<br />
Vinceremo anche questa battaglia, ripeto a me stesso, e rispondo<br />
sorridendo, scompigliando loro i capelli e <strong>di</strong>cendo frasi sciocche,<br />
prese in prestito dai cartoni animati visti insieme il giorno prima.<br />
“Andrà bene, ma certo!” mi consolo, anche se non ci credo<br />
veramente.<br />
Il più piccolo si esibisce in una delle sue solite gag, imitando i<br />
fratelli più gran<strong>di</strong>. Il risultato è una risata generale alla quale si<br />
unisce anche lui, troppo piccolo, troppo meravigliosamente<br />
ingenuo per capire che ci stiamo facendo beffe <strong>di</strong> lui.<br />
– Su, muoviamoci, sennò facciamo tar<strong>di</strong> a scuola… – li avverto,<br />
tornando per un attimo serio.<br />
Il me<strong>di</strong>ano riversa nella sua tazza altri biscotti e rincomincia a fare<br />
la zuppetta. Il più grande invece ne afferra cinque insieme<br />
immergendoli nel latte e infilandoseli senza troppi problemi in<br />
bocca. Anch’io facevo così, e mi chiedo come abbiano fatto a<br />
prendere la mia stessa abitu<strong>di</strong>ne. Non gliel’ho certo insegnata io,<br />
ma si vede che esistono cose scritte nel sangue, il colore degli<br />
occhi e dei capelli, ad esempio, alcuni lati del carattere, fino alle<br />
154
più assurde strategie per fare colazione. Mi auguro che abbiano<br />
preso da me solo le cose buone, ma forse sarebbe ingiusto. Che<br />
sbaglino pure come ho fatto io, perché è l’unica maniera per vedere<br />
certe cose nel profondo, altrimenti sai che palle vivere la vita col<br />
pilota automatico…<br />
Le otto meno cinque; è l’ora <strong>di</strong> muoversi! Scarpe, giacchetto e<br />
cartella, uno sguardo oltre la finestra per vedere che tempo fa e<br />
noto con sollievo le prime fioriture, segno inequivocabile della fine<br />
<strong>di</strong> questo maledettissimo inverno. Finalmente!<br />
- Babbo, ci vieni a prendere te a scuola oggi? – mi chiedono,<br />
mentre cerco le chiavi <strong>di</strong> casa. “Se siamo ancora vivi!” penso, con<br />
il mio solito pessimismo sornione, ma annuisco e li conduco oltre<br />
l’uscio <strong>di</strong> casa.<br />
Prima d’infilare in auto getto un ultimo sguardo agli alberi<br />
tappezzati <strong>di</strong> bianco. “È primavera. Oggi sono previsti venti gra<strong>di</strong> e<br />
per tutto il week-end la temperatura salirà…” penso. “E allora<br />
come mai sento ancora così tanto freddo al cuore?”<br />
155
LAPO E LUISA<br />
Lapo ha tutto il tempo che vuole, dato che è uscito prima da lavoro<br />
ed ha spinto il motorino al massimo lungo i viali, infilando le code<br />
che <strong>di</strong> venerdì si formano puntualmente già alle tre del pomeriggio.<br />
A cena stasera viene Luisa, con cui ha avuto una storia ai tempi del<br />
liceo ma che poi ha perso <strong>di</strong> vista, perché prima dei vent’anni la<br />
vita segue un suo corso, <strong>di</strong>sseminato <strong>di</strong> lucciole e stelle filanti, e<br />
quello che per un momento pare non aver tempo, l’attimo dopo è<br />
già foglie secche nel vento.<br />
Ma Luisa gli era rimasta impressa, forse a causa <strong>di</strong> quelle sue<br />
deliziose fossette, o <strong>di</strong> quella maniacale fissazione per la musica<br />
degli anni settanta, oppure per via <strong>di</strong> quel folle sabato a Genova<br />
durante il G8. Insieme, correndo mano nella mano, avevano evitato<br />
per un pelo la carica <strong>di</strong> una camionetta della polizia, tra il fumo <strong>di</strong><br />
un auto incen<strong>di</strong>ata e le urla delle sirene. Poi sul treno, mentre<br />
tornavano a casa, gli era sfiorato per un momento il pensiero che<br />
fosse proprio lei quella giusta, quella per la quale si possono<br />
buttare via gli anni del <strong>di</strong>vertimento, delle cazzate con gli amici,<br />
per mettersi a fare i ragazzi seri e scoprire una volte per tutte<br />
questa strana cosa che la gente chiama amore.<br />
A <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni da quell’assurda giornata, Lapo rivide<br />
Luisa al caffè della libreria Feltrinelli. Sfogliava <strong>di</strong>strattamente un<br />
portfolio <strong>di</strong> Atget con un cappuccino davanti, sempre bella come<br />
un tempo ma con un tocco in più <strong>di</strong> regalità, perché verso i trenta<br />
le donne <strong>di</strong>ventano donne per davvero. Non ci era voluto molto per<br />
riaccendere la scintilla; un saluto, due chiacchiere, un sorriso, ed<br />
era come se <strong>di</strong>eci anni fossero passati in un baleno.<br />
156
- Dai, perché non vieni a cena da me uno <strong>di</strong> questi giorni?<br />
- Volentieri, la prossima settimana magari. Che ne <strong>di</strong>ci <strong>di</strong> venerdì?<br />
- Perfetto!<br />
Lapo parcheggia il motorino in una fessura ricavata tra un<br />
Kawasaki e un grosso scooter. Si toglie gli occhiali da sole, il<br />
casco, ed entra nel portone <strong>di</strong> casa, un antico palazzo del centro,<br />
poi sale le scale tre alla volta ed infila dentro il suo <strong>di</strong>gnitoso<br />
monolocale <strong>di</strong> appena 35 metri quadrati. Gli costa un occhio della<br />
testa ma lui ne va molto fiero.<br />
Incastra l’I-pod nell’impianto hi-fi e il lounge <strong>di</strong> Nicola Conte<br />
risuona con cristallina purezza dagli altoparlanti, prelibato<br />
antipasto <strong>di</strong> una serata all’insegna dell’easy-jazz e del buon<br />
mangiare. È un piacere starsene in cucina con la musica giusta, gli<br />
vien da pensare, e per fare un po’ <strong>di</strong> scena indossa il grembiule che<br />
gli ha regalato sua madre, <strong>di</strong> quelli professionali con il nome<br />
ricamato sul petto. Sorride, abbassa gli occhi, poi cerca uno<br />
specchio per fare qualche verso buffo. Le <strong>di</strong>ciassette e ventitré,<br />
segna il <strong>di</strong>splay del forno elettrico; c’è tutto il tempo che si vuole...<br />
Lapo apre il frigo, ispeziona gli scaffali, sposta un cesto <strong>di</strong> lattuga,<br />
una cartoncino <strong>di</strong> uova, e intanto la sua testa incomincia a lavorare<br />
con rimarchevole rapi<strong>di</strong>tà. È così che s’inventa i piatti, guardando<br />
dentro al frigo ed elaborando gli ingre<strong>di</strong>enti dentro un programma<br />
tutto suo. “Melanzane, pomodorini cigliegini, cipolletta e mezza<br />
vaschetta <strong>di</strong> formaggio alle erbe… potrebbe andare per un<br />
antipasto. Poi ancora melanzane, zucchine, scongeliamo due filetti<br />
<strong>di</strong> pesce e doriamo tutto nell’olio d’oliva… La pastella si fa facile,<br />
con un po’ <strong>di</strong> farina, acqua e un uovo. Di primo gli faccio la<br />
carrettiera, che non mi batte nessuno…”<br />
Lapo si convince <strong>di</strong> avere davvero troppo tempo per un menù così<br />
semplice, perciò decide <strong>di</strong> partire con calma, al passo <strong>di</strong> un pezzo<br />
lounge. Stappa un “peroncino” e si mette alla finestra a vedere la<br />
gente che passa, ma è più un pretesto per pensare a Luisa. Chissà<br />
se stasera si sentirà come si era sentito su quel treno <strong>di</strong>eci anni<br />
157
prima, si chiede.<br />
La birra è fresca, la primavera è nell’aria, il menù è pronto. A<br />
questo punto manca soltanto lei…<br />
158
RADIO BLUES<br />
La ra<strong>di</strong>o sta andando con un mood lento, da estate, perché fuori<br />
non tira un alito <strong>di</strong> vento ed è pieno <strong>di</strong> dannati moscerini. È rimasta<br />
solo lei a raccontarmi le storie, vecchia scatola nera con l’antenna<br />
rotta, riesci ancora a prendere quella stazione blues, e chissà perché<br />
continua a trasmettere. Ma quanti ubriaconi come me vivono in<br />
questa maledetta città, ad ascoltare vecchi pezzi <strong>di</strong> Tom Waits e<br />
dei primi Deep Purple? Quanti?<br />
Lei se n’è andata. È già passata una settimana e non accenna a<br />
piovere. La pioggia fa cambiare gli odori, sapete? Non sopporto<br />
più <strong>di</strong> sentire il suo profumo dappertutto, in camera, in salotto, in<br />
auto, persino nello scantinato, tra gli scatoloni ammuffiti e la<br />
catasta <strong>di</strong> legna per il camino.<br />
Ve lo <strong>di</strong>co subito, così evito <strong>di</strong> prendervi per il culo; la colpa è solo<br />
mia. Quando sei lì con una birra <strong>di</strong> troppo nello stomaco e una<br />
perfetta sconosciuta che ti apre le gambe, se sei un vero uomo non<br />
ci capisci più niente. Non sai più <strong>di</strong>stinguere il giusto dallo<br />
sbagliato. La vista ti s’annebbia, il male <strong>di</strong>venta bene, il bene<br />
<strong>di</strong>venta roba per poppanti, e il passato, i ricor<strong>di</strong>, i sacrifici e le<br />
meraviglie della vita <strong>di</strong> coppia, tutto questo <strong>di</strong>venta un’accozzaglia<br />
<strong>di</strong> colori sfumati, un’immagine poco chiara, come uno <strong>di</strong> quegli<br />
assur<strong>di</strong> quadri moderni che piacciono così tanto ai ricchi. No, non<br />
sto cercando scusanti. Sto solo temporeggiando per vedere se<br />
finalmente questo tempo si decide a cambiare. Sento dei brontolii<br />
nella <strong>di</strong>stanza, forse la tempesta è vicina, forse l’odore cambierà…<br />
forse.<br />
Lee Hooker farfuglia <strong>di</strong> una donna che lo fregherà, e come lo<br />
capisco, in questo istante ti sono proprio vicino Johnny, vai...<br />
159
continua a strimpellare quelle corde e cantamela, cantagliela a<br />
quelle nuvole ancora troppo lontane, oltre le colline, le colline che<br />
abbiamo percorso in lungo e in largo, io e lei sul vecchio chopper.<br />
Cristo, perché te ne sei andata! Potevamo parlarne, potevamo<br />
passare anche questa, come ne abbiamo passate tante…<br />
Il problema è che ne abbiamo parlato anche troppo, e quando non<br />
c’è più da parlare non ti rimane altro che bere. Bere, scrivere e<br />
ascoltare vecchi pezzi blues.<br />
Ci siamo conosciuti a un rave per motociclisti nel lontano ’87.<br />
Ventidue anni insieme, ve ne rendete conto? Lei c’aveva due trecce<br />
platinate, sembrava uscita da una favola dei fratelli Grimm, io<br />
invece a quel tempo ero ancora in forma, maglietta dei Motorhead<br />
e coda <strong>di</strong> cavallo, nera come il velluto. Oggi non posso <strong>di</strong>re<br />
altrettanto; il ventre ha risentito dei fiumi <strong>di</strong> birra passati e il crine<br />
si è schiarito per l’età e ingiallito per le cicche. Però mi ritengo<br />
ancora un bel figliolo, altrimenti la rossa <strong>di</strong> l’altra sera non si<br />
sarebbe avventata così famelicamente sui miei calzoni. Maledetta<br />
rossa!<br />
Era davvero bellissima la mia piccola. Le offrii la boccia <strong>di</strong> Jack e<br />
ce l’andammo a bere defilati, mentre il povero Ben Scott, pace<br />
all’anima sua, urlava dalle casse dell’apparecchio stereo. Al rave ci<br />
saranno state più <strong>di</strong> cento persone, ma era come se fossimo soli.<br />
Lei c’era venuta col suo ragazzo, ma quando mi vide lo mollò su<br />
due pie<strong>di</strong>. Ce ne tornammo a casa sulla mia prima Harley, forse il<br />
mio unico amore.<br />
Cavolo, questi ricor<strong>di</strong> fanno troppo male, ma sono esattamente le<br />
scuse che cerco per versarmi un altro bicchiere. Tanto la ra<strong>di</strong>o<br />
continua il suo blues ed io per oggi non ho niente da fare. Anzi, per<br />
la verità la casa senza <strong>di</strong> lei è <strong>di</strong>ventata un tugurio; avrei da fare la<br />
lavatrice, rimettere a posto la camera, lavare i piatti <strong>di</strong> tre giorni,<br />
ma non riesco proprio a muovermi da questo dannato <strong>di</strong>vano, lo<br />
stesso su cui abbiamo fatto l’amore cento, forse mille volte.<br />
JD è quasi alla fine e incomincio a vedere storto, come quella sera<br />
160
alorda insieme alla rossa. Cacchio, ci mancava solo quel Bowie<br />
con la vocina stridula che mi racconta dei ragni marziani. Ma<br />
aspetta, forse aiuta… Le nuvole sono più vicine adesso…. ma si, è<br />
la ra<strong>di</strong>o, è come la danza della pioggia, quella degli in<strong>di</strong>ani<br />
d'America, è la stessa cosa… forse se alzo il volume…<br />
Goccioloni gran<strong>di</strong> come sassi battono il tempo insieme al vecchio<br />
Bob Dylan. Ci voleva proprio lui per far piovere. Ecco, l’odore è<br />
già cambiato, finalmente. Mi finisco il Jack e poi vado fuori a<br />
farmi lavare via la tristezza. Mi è tornato il buonumore, e se mi<br />
prende bene stasera scendo al bar per vedere se ribecco la rossa…<br />
Perché il lato positivo <strong>di</strong> ogni brutta storia è che la storia può<br />
sempre cambiare.<br />
161
CICCHE<br />
Stretti in una morsa <strong>di</strong> apatia, i due rimasero a bordo piscina a<br />
fumare ed a inventarsi la giornata. Nonostante il caldo e l'acqua<br />
brillantissima che prometteva refrigerio, restarono immobili sotto<br />
l'ombrellone, perché anche l'idea <strong>di</strong> un tuffo sembrava un qualcosa<br />
<strong>di</strong> troppo faticoso. Riuscivano a tollerare soltanto quel meccanico<br />
movimento delle braccia, per afferrare il pacchetto sul tavolo,<br />
estrarre lentamente una sigaretta dal filtro arancione ed accenderla<br />
con profonde boccate.<br />
Parlarono <strong>di</strong> progetti, <strong>di</strong> intenti, <strong>di</strong> recenti trascorsi, enfatizzando il<br />
tutto con espressioni estive, tipo “caramellarsi al sole” oppure<br />
“rovinarsi <strong>di</strong> tequila bum”. La conversazione s'interrompeva <strong>di</strong><br />
colpo ogni volta che una ragazza in bikini passava davanti al loro<br />
ombrellone. Dopo averla scrutata da capo a pie<strong>di</strong>, se ne venivano<br />
fuori con alcuni commenti poco garbati sulla cellulite o su altri<br />
piccoli <strong>di</strong>fetti, vantandosi reciprocamente dei propri gusti raffinati.<br />
Ogni tanto, con enorme sforzo, uno dei due si alzava per andare al<br />
bar a prendere una birretta o un campari soda corretto a gin. La<br />
bevuta accompagnava sistematicamente una nuova cicca.<br />
Fu un ragazzino <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> nome Francesco, che a scuola tutti<br />
chiamavano “Il Bomba” per la sua massiccia corporatura dovuta a<br />
una poco salutare <strong>di</strong>eta <strong>di</strong> patatine e gelati confezionati, a<br />
movimentare la giornata dei due accaniti fumatori. Gettandosi dal<br />
trampolino con l'intento <strong>di</strong> esibirsi in una capriola, si schiantò <strong>di</strong><br />
schiena sulla superficie dell'acqua provocando un'onda anomala<br />
che ricadde sui due.<br />
Le sigarette si spensero, il portacenere si colmò d'acqua e dal<br />
bancone del bar si alzarono alcune risate femminili. Ai due non<br />
162
imase altro da fare che raccattare i loro asciugamani bagnati e<br />
defilarsi verso le docce.<br />
163
BIRRA O CASETTA IN CANADÀ<br />
“Ecco, vai là e scrivi” mi <strong>di</strong>ce mia moglie, come se potesse servire<br />
a qualcosa, che io manco ci riesco a mettere una parola <strong>di</strong>etro<br />
l’altra senza fare errori. Però è convinta che mi faccia bene, che in<br />
questa maniera possa schiarirmi un po’ le idee. “Forse non riuscirai<br />
a risolvere i tuoi problemi, ma quando avrai scritto tutto quello che<br />
senti almeno scoprirai che cos’è che non va!” Ma io lo so cosa non<br />
va… Non sono io che non funziono, è la maledetta strada…<br />
Sono nato trentacinque anni fa nell’ignoranza, tra le urla <strong>di</strong> mia<br />
madre che dal pianerottolo inveiva contro mio padre, buono a nulla<br />
ma non poco <strong>di</strong> buono. Mio padre era un tipo docile, che però<br />
faceva sempre i cazzi suoi, <strong>di</strong> conseguenza la famiglia veniva al<br />
tre<strong>di</strong>cesimo o quattor<strong>di</strong>cesimo posto nella sua personale lista delle<br />
priorità. Mia sorella era più grande <strong>di</strong> me <strong>di</strong> sette anni. Si levò dai<br />
coglioni al tempo giusto e adesso inveisce dal pianerottolo contro<br />
Enzo, suo marito, perché la vita t’infinocchia in questo modo, col<br />
gioco della ruota. Tutto torna come prima, se non dai un bello<br />
strattone…<br />
La scuola è stata traumatica. La scuola andrebbe vietata ai minori<br />
<strong>di</strong> ventun anni. È qualcosa <strong>di</strong> devastante, dalla sveglia la mattina<br />
che ti rapisce dal tepore delle coperte e dai sogni bagnati <strong>di</strong><br />
fanciullo, all’entrata in classe con le gelide sferzate dei soliti bulli,<br />
e poi le occhiate alle ragazze che bisbigliano alle tue spalle e<br />
t’immagini chissà quali nefandezze stiano pensando sul tuo conto,<br />
fino alla traumatica interrogazione alla cattedra, durante la quale il<br />
professore gode del piacere <strong>di</strong> esserti sopra, in posizione erotica,<br />
un caprone col membro duro e rosso che sta per infilzare il tenero<br />
culetto dello studente. La scuola ti fa perdere la verginità, non<br />
164
quella sessuale ma quella dell’anima. Insomma, la scuola non si<br />
può <strong>di</strong>re che mi sia piaciuta, e per questo abbandonai i sogni <strong>di</strong><br />
me<strong>di</strong>co alla terza liceo. Nessun rimpianto. Se vedo i me<strong>di</strong>ci che ci<br />
sono a giro, schiavetti delle multinazionali farmaceutiche, non<br />
posso che ritenermi fortunato.<br />
Però l’altra opzione era il ristorante dei miei, e ciò voleva <strong>di</strong>re turni<br />
sfiancanti e domeniche col grembiule, e non insieme agli amici in<br />
campagna o magari al mare. Mi accorsi ben presto <strong>di</strong> aver scelto la<br />
strada meno agevole, ma che ci volete fare... Non che non mi<br />
avessero avvertito, ma a quell’età non capisci una sega e pensi che<br />
sia tutta <strong>di</strong>scesa. Beh, finché hai la forza dei vent’anni tutto in<br />
effetti sembra filare liscio, anche quando dormi un paio d’ore a<br />
notte e ti sballi fino all’alba. Lo sballo, appunto, uno dei miei<br />
problemi. Inutile che ci giri intorno, se proprio devo scrivere <strong>di</strong> me<br />
sarà meglio affrontare subito l’argomento “alcol”.<br />
Il problema è che sono assolutamente convinto che l’alcol faccia<br />
bene. Non sto scherzando. A me mette benissimo, e adesso<br />
penserete male… Ma no, non nel senso dello sballo in sé. Conosco<br />
un fottio <strong>di</strong> gente che con due birre in corpo mettono a soqquadro<br />
la casa, picchiano gli amici, urlano alla compagna… Io invece più<br />
bevo e più sto tranquillo. Un bonomo… Un bonomo brillo…<br />
Però si arriva a trent’anni con la pancetta e i fumi del dopo sbornia<br />
che ti rimescolano le carte della vita, ti svegli dopo l’ennesima<br />
notte brava e ti chie<strong>di</strong> quanto ti rimanga da vivere, quanto ancora<br />
tu possa andare avanti così. Son domande del cazzo, che fanno<br />
troppo male, e allora ti accen<strong>di</strong> un cicchino e non ci pensi più. Vai<br />
a lavoro, il solito ristorante, e in Italia ti devi ritenere fortunato se<br />
lavori <strong>di</strong>eci ore il giorno metà delle quali a nero, sei giorni su<br />
sette… caffè, convenevoli con i colleghi, solito tram-tram fino a<br />
pranzo e poi s’incomincia col primo mezzino. Da lì in poi tutto<br />
<strong>di</strong>venta sfumato, semplice, tranquillo, e fatevelo <strong>di</strong>re in tutta<br />
sincerità… sbagliato!<br />
Ma forse non è neanche questo il vero problema perché, come vi<br />
165
<strong>di</strong>cevo all’inizio, ciò che non funziona nella mia vita è quello che si<br />
trova fuori da quella porta, sui luri<strong>di</strong> marciapie<strong>di</strong> della città. La<br />
strada… L’ho sempre o<strong>di</strong>ata, anche se ci sono praticamente<br />
cresciuto in mezzo. La strada ti vuole duro, cazzuto, impassibile<br />
alle emozioni degli altri, dritto sulla schiena, lo sguardo puntato<br />
avanti, il pugno chiuso e pronto a scattare. La strada è il ceppo<br />
dell’anima. Ti tiene ancorato a terra, si insinua nelle tue vene,<br />
provocandoti prima dolore e poi <strong>di</strong>pendenza.<br />
Quand’ero giovane amavo le gite al mare con gli amici, oppure a<br />
volte andavamo a fare trekking, che io duravo poco per via delle<br />
sigarette ma comunque mi <strong>di</strong>vertivo da matti. Ricordo che adoravo<br />
quei posti desolati, quelle <strong>di</strong>stese sconfinate, la natura, il cielo, i<br />
profumi. Sognavo una casa in campagna dove dare le feste,<br />
ritrovarsi, ridere e bere con gli amici. Col tempo abbiamo smesso<br />
<strong>di</strong> fare queste gite, ognuno preso dai suoi interessi e dal lavoro.<br />
Oggi non riuscirei a star lontano dalla città per più <strong>di</strong> un fine<br />
settimana. È come se ne avessi bisogno, se sentissi il richiamo<br />
della strada, della dose giornaliera <strong>di</strong> cemento e ferro, <strong>di</strong> benzene e<br />
grigiore, <strong>di</strong> caos e <strong>di</strong>sperazione. Perché sono questi gli odori che si<br />
percepiscono nelle strade della città, eppure ne siamo attratti, ne<br />
sentiamo il bisogno. Sapete quale è il nome per quella cosa che ti<br />
fa stare male ma non ne puoi fare a meno, no? Ok, cara<br />
mogliettina, ho scoperto qual’è la mia droga. Che facciamo adesso?<br />
Traslochiamo e tentiamo <strong>di</strong> recuperare questa maledetta carcassa<br />
d’uomo?<br />
Cinzia la conobbi per vie traverse. Era l’ex ragazza <strong>di</strong> un vecchio<br />
compagno <strong>di</strong> scuola che beccai per caso in un locale del centro. Lei<br />
era lì con lui ma già non stavano più insieme. Ci sedemmo a<br />
parlare, in principio temevo che fosse scorretto darle toppe<br />
attenzioni, ma mi piacque fin dal primo sguardo. L’amico capì la<br />
situazione e ci lasciò da soli. Il resto son storie <strong>di</strong> intese, passioni,<br />
interessi in comune, progetti, traguar<strong>di</strong> e futili contratti<br />
matrimoniali. Cinzia è la cosa più bella che mi sia capitata, e forse<br />
166
se me lo chiedesse potrei anche pensarci <strong>di</strong> mollare tutto per la<br />
fantomatica casetta in canadá, ma so che non lo farebbe mai perché<br />
lei mi conosce bene e sa che è meglio evitare <strong>di</strong> trovarsi in debito<br />
nei miei confronti. Si, anche per questo sono un bastardo. È un<br />
talento malignamente sublime quello <strong>di</strong> far sentire in colpa chi ti<br />
ama, ed io quest’arte la pratico ad occhi chiusi, in scioltezza,<br />
completamente ignaro dei suoi effetti collaterali.<br />
Cazzo, come è vero quello che ho appena scritto. Ci starebbe bene<br />
una birra adesso, tanto per non pensarci, tanto per non rileggermi.<br />
Perché tutto si decide al bivio, anche quello apparentemente più<br />
innocuo… Birra o casetta in canadá?<br />
E se le proponessi <strong>di</strong> andarcene con la bottiglia in mano, che ne<br />
pensate?<br />
167
IL MARINAIO<br />
Nel cuore della tormenta, mentre la tua vita è appesa a un filo, puoi<br />
riuscire a vedere una luce. Magari è solo un riflesso, o forse<br />
ad<strong>di</strong>rittura un abbaglio, un inganno degli occhi, ma la sua<br />
apparizione ti porterà a dover scegliere se credervi oppure no. La<br />
<strong>di</strong>fferenza tra il credere alla luce e l’ignorarla è pari allo scegliere<br />
tra il vivere e il morire, perché anche quando sei in balia delle<br />
forze della natura, la tua vita <strong>di</strong>pende sempre dalle tue scelte.<br />
Il capitano Kruchek era un tipo prudente, conosceva i venti e le<br />
stelle, fiutava le tempeste e aveva un sesto senso particolare per<br />
evitare le correnti pericolose e gli scogli affilati. Credeva che<br />
nessuna onda anomala, nessun ciclone, nessun iceberg avrebbe mai<br />
potuto affondare la barca <strong>di</strong> un bravo marinaio, e in tutto il paese si<br />
<strong>di</strong>ceva che non esistesse un uomo <strong>di</strong> mare abile quanto lui. La sua<br />
barca si chiamava Betulla, una galea leggera dalle bianche vele che<br />
solcava veloce i gran<strong>di</strong> mari. La sua ciurma era sempre la stessa da<br />
molti anni e per lui era come una famiglia. Di rado scendeva a<br />
terra, perché lo sciabor<strong>di</strong>o delle onde e il movimento continuo<br />
dello scafo gli davano conforto. Kruchek era un capitano<br />
premuroso e si prendeva cura dei suoi compagni <strong>di</strong> viaggio. I<br />
marinai della Betulla erano ben ricompensati per il loro lavoro e<br />
venivano trattati sempre con grande <strong>di</strong>gnità dal loro superiore. In<br />
questo modo Kruchek sapeva <strong>di</strong> poter contare ciecamente su<br />
ognuno <strong>di</strong> loro.<br />
Altro vanto del nobile marinaio era il modo in cui si prendeva cura<br />
della sua galea. Si occupava personalmente delle riparazioni, e<br />
prima <strong>di</strong> prendere il largo si assicurava più volte delle con<strong>di</strong>zioni<br />
delle vele, degli alberi, del sartiame, e non c’era mai nulla che<br />
168
poteva sfuggirgli. La Betulla aveva attraversato i mari più impervi,<br />
le tempeste più devastanti, e niente l’aveva mai fermata.<br />
Poi arrivò la fati<strong>di</strong>ca tormenta <strong>di</strong> quel nove <strong>di</strong> novembre.<br />
Il suo fiuto l’aveva avvertito che i venti erano cambiati, ma mai<br />
avrebbe immaginato che la furia dei sette cieli e dello spietato <strong>di</strong>o<br />
degli abissi si sarebbe abbattuta con tale violenza su <strong>di</strong> lui. Mentre<br />
la pioggia gli grondava sul volto e il tuono squassava la notte,<br />
Kruchek non vide la grande onda che si andava formando<br />
nell’oscurità davanti alla prua. Quando la scorse, provò a<br />
cavalcarla, come aveva fatto mille altre volte, ma neanche la forza<br />
e leggiadria della sua Betulla furono in grado <strong>di</strong> competere contro<br />
quella massa d’acqua.<br />
Kruchek si ritrovò ad annaspare nel mare gelido, a gridare e a<br />
piangere per i suoi compagni che, uno ad uno, venivano sopraffatti<br />
dalle onde. Provò ad urlare la sua <strong>di</strong>sperazione al cielo e agli dei, ai<br />
quali non aveva mai creduto, ma nessuno rispose, e già sentiva le<br />
sue energie abbandonarlo. Allora una forza ancora più <strong>di</strong>struttiva<br />
<strong>di</strong> quella tormenta ghermì il suo cuore, una sensazione che non<br />
aveva mai provato prima e che gli tolse il respiro. Era la paura. La<br />
paura <strong>di</strong> aver sbagliato qualcosa, <strong>di</strong> aver sacrificato la vita dei suoi<br />
compagni per colpa <strong>di</strong> un banale errore. Se avesse puntato verso<br />
est invece <strong>di</strong> seguire la rotta incontro alla tempesta forse a<br />
quest’ora sarebbero stati tutti salvi. Se avesse virato prima<br />
dell’impatto con l’onda o anche solo se fosse riuscito a vederla<br />
qualche secondo prima… La paura lo stava soffocando e l’avrebbe<br />
ucciso prima della furia del mare.<br />
Fu in quel momento che scorse una luce, uno squarcio<br />
nell’oscurità, forse l’occhio della luna che per un attimo ammiccò<br />
verso <strong>di</strong> lui. Inconsapevolmente seppe che cosa voleva <strong>di</strong>re quella<br />
luce. Doveva scegliere, anche solo per quegli ultimi minuti che gli<br />
rimanevano da vivere, lui doveva scegliere se avere paura oppure<br />
no.<br />
Allora una voce dentro <strong>di</strong> lui sembrò sussurragli alcune parole:<br />
169
“tutto andrà bene.”<br />
Il capitano Kruchek accolse il gelido abbraccio del mare, mentre<br />
un senso <strong>di</strong> pace si adagiava sul suo cuore. Aveva scelto <strong>di</strong> non<br />
avere paura.<br />
“Tutto andrà bene…” continuò a sussurrare, mentre le onde si<br />
alzavano sopra <strong>di</strong> lui. “Tutto andrà bene…”<br />
170
NOTTE UMIDA OTTOBRINA<br />
Notte umida ottobrina.<br />
Mi riparo sotto le tettoie e allora il mio passo si fa incerto. Strofino<br />
il muro con la giacca ma non ci bado, mentre penso alla <strong>di</strong>rezione<br />
preoccupandomi solo dei tratti scoperti che mi aspettano, e volo<br />
incurante sui marciapie<strong>di</strong>. Scappo da una casa per raggiungerne<br />
un’altra.<br />
Sento ancora sulle labbra il sapore <strong>di</strong> quelle amare parole dette a<br />
lei senza pensare, frasi costruite con l’intento <strong>di</strong> tagliare corta la<br />
<strong>di</strong>scussione. Volevo finirla presto, perché sapevo bene che cose più<br />
importanti mi aspettavano nella casa che adesso mi apprestavo a<br />
raggiungere. La casa delle mille opportunità, del mago che poteva<br />
mostrarmi nuovi mon<strong>di</strong>, <strong>di</strong> dame bellissime che alzavano le gonne,<br />
<strong>di</strong> amici intensi a poco prezzo, solo per una notte... Era la casa<br />
sulla collina, quella che ve<strong>di</strong> mentre percorri una stra<strong>di</strong>na <strong>di</strong><br />
campagna e la desideri con tutto te stesso, la fine <strong>di</strong> tutti i tuoi<br />
problemi <strong>di</strong> semplice uomo.<br />
C’è un fuoco che vi arde nella sala grande e tanti sono gli invitati.<br />
Quando la raggiungo la festa attraversa il suo momento più<br />
intenso, ed io mi sento catapultato all’interno <strong>di</strong> una scena<br />
familiare, come se fossi esistito solo per quel particolare istante. Le<br />
musiche si fondono con i colori e tutto <strong>di</strong>venta un turbinio <strong>di</strong><br />
sensazioni trascinanti, che m’incatenano a una notte blasfema,<br />
ingiusta ricompensa per la mia fuga improvvisa.<br />
Una giostra prende la danza attorno a me, uomini e donne<br />
completamente estirpati dalla ragione portano avanti una<br />
movimento senza senso che mi avvolge e coinvolge, mi trasporta<br />
dentro il mondo della per<strong>di</strong>zione massima, e mi vedo a vendere<br />
171
pezzi della mia vita nobile per qualche straccio <strong>di</strong> follia. Nasce<br />
dentro il desiderio <strong>di</strong> raggiungere l’apice, <strong>di</strong>sossarmi per vedermi<br />
in una nuova forma <strong>di</strong> verme, credendo perdutamente nella nobiltà<br />
del mio strisciare.<br />
La festa non ha più controllo, ha solo una <strong>di</strong>rezione che<br />
l’accompagna alla <strong>di</strong>spersione.<br />
All’alba tutto ormai tace, ma l’apice è stato raggiunto, la notte è<br />
crollata lasciando tatuaggi dappertutto, indelebili marchi che ci<br />
ricordano i nostri sbagli.<br />
Apro gli occhi a un giorno nuovo e sento <strong>di</strong>vampare il fuoco in<br />
ogni angolo del mio corpo. Prova allora a rotolarmi nella rugiada<br />
mattutina per placare il rimorso, e lentamente mi trascino<br />
attraverso l’erba alta per raggiungere quell’albero che avevo visto<br />
tempo fa...<br />
Adesso sono a piangere sotto le sue fronde, e mi consola sentire il<br />
cielo che piange con me.<br />
Vieni inverno, vieni a trovarmi...<br />
172
CUCCIOLO<br />
Al piccolo Giacomo piaceva la sua scimmietta <strong>di</strong> peluche, quella<br />
con le calamite sui palmi e gli occhi leggermente storti.<br />
Gliel’avevano regalata a maggio durante la gita al parco degli<br />
animali, un’occasione speciale per festeggiare il suo quarto<br />
compleanno, trascorso meravigliosamente insieme ai suoi genitori,<br />
che purtroppo vedeva solo nel weekend, o a sera tar<strong>di</strong> prima <strong>di</strong><br />
andare a letto. Loro erano molto indaffarati; lavoro, appuntamenti,<br />
amici, palestra, tutti i giorni c’era qualcosa, e anche il sabato<br />
poteva vederli solo <strong>di</strong> sfuggita, perché c’era la spesa da fare e poi<br />
tutte quelle cose che non avevano il tempo <strong>di</strong> sbrigare durante la<br />
settimana. Insieme a Giacomo ci stava la tata, Carmela, una donna<br />
un po’ strana con la pelle scura ma sempre gentile. La domenica<br />
invece c’era la partita; papà se ne stava in salotto davanti alla TV, a<br />
volte c’erano anche degli amici, mentre la mamma si metteva a<br />
leggere, oppure andava a fare shopping quando i negozi restavano<br />
aperti. Lui il pomeriggio rimaneva nella sua cameretta a giocare a<br />
duplo oppure con i treni, e ogni tanto si affacciava in soggiorno per<br />
chiedere un bicchiere <strong>di</strong> latte o un biscotto, con la scimmietta<br />
sempre avvolticciolata al braccio. Non la lasciava mai.<br />
Proprio perché poteva vederli solo <strong>di</strong> rado, le giornate insieme ai<br />
suoi erano sempre delle occasioni <strong>di</strong> festa. In estate succedeva<br />
anche due volte al mese, perché la domenica non non c’era il<br />
campionato e le giornate erano belle e fuori si stava d’incanto.<br />
Allora lo portavano ai giar<strong>di</strong>ni oppure al mare, e poi al ristorante<br />
dove poteva or<strong>di</strong>nare un piatto <strong>di</strong> patatine fritte tutto per sé, e al<br />
ritorno si addormentava in macchina ed era bellissimo lasciarsi<br />
cullare dalle vibrazioni dell’auto. Quelli erano i momenti in cui<br />
173
sentiva tanto caldo al cuore, una sensazione meravigliosa che lo<br />
lasciava tramortito. Era l’amore che provava per suo padre e sua<br />
madre. Li osservava seduto nell’oscurità della monovolume, con le<br />
luci dell’autostrada che rimbalzavano sui finestrini. Si perdeva nel<br />
profilo aguzzo <strong>di</strong> lui, concentrato alla guida, gli occhiali con la<br />
montatura fine, il ciuffo appena striato <strong>di</strong> grigio che gli ricadeva<br />
sulla tempia destra. E poi accanto c’era lei, bellissima con la sua<br />
chioma dorata dalla quale spuntava un orecchio perfetto, soffice<br />
come un marshmallow. Oh, come amava i suoi genitori. Avrebbe<br />
voluto stare sempre insieme a loro, sera e mattina. Ma c’era l’asilo<br />
e poi tra poco sarebbe iniziata la scuola. Il padre aveva appena<br />
ricevuto una promozione e quin<strong>di</strong> il lavoro sarebbe aumentato, e la<br />
madre aveva intenzione <strong>di</strong> scrivere un libro e quin<strong>di</strong> avrebbe avuto<br />
ancora meno tempo da de<strong>di</strong>care a lui. Di sicuro però ci sarebbero<br />
state altre giornate come quella al parco degli animali, per il suo<br />
compleanno e poi per le feste <strong>di</strong> natale, oppure in agosto quando<br />
tutti andavano in ferie.<br />
Il pensiero <strong>di</strong> quelle prossime avventure lo cullò insieme alla<br />
musica <strong>di</strong> sottofondo dell’autora<strong>di</strong>o. Il piccolo Giacomo, col calore<br />
confortante all’altezza del petto, si lasciò andare al sonno <strong>di</strong> un<br />
amore limpido ed incon<strong>di</strong>zionato.<br />
Ore dopo, davanti ai volti stravolti dei suoi genitori, il me<strong>di</strong>co<br />
<strong>di</strong>sse che il suo cuoricino aveva semplicemente cessato <strong>di</strong> battere.<br />
174
IL FARO<br />
Quel sabato pomeriggio presi la macchina e andai al faro. Non<br />
sapevo che mi ero <strong>di</strong>retto laggiù fino a quando non lo vi<strong>di</strong> spuntare<br />
da <strong>di</strong>etro la collina. Gli eventi più recenti avevano innescato il<br />
pilota automatico, un sistema <strong>di</strong>fensivo notevole se si pensa a<br />
quanta gente <strong>di</strong>stratta circola per le strade oggigiorno. Ma col<br />
pilota automatico inserito puoi fare chilometri ad andatura lenta,<br />
con la ra<strong>di</strong>o in sottofondo che ti sputa addosso i vecchi pezzi <strong>di</strong><br />
Sanremo, e star sicuro che non ti succederà niente. Parcheggiai,<br />
spensi il motore e rimasi fermo dentro l'abitacolo ad osservare il<br />
faro. Era la volta dei Matia Bazar, così lasciai finire la canzone per<br />
prendere tempo. Non avevo la minima idea <strong>di</strong> quello che avrei<br />
fatto.<br />
Era finita? Non era finita? Chi poteva <strong>di</strong>rlo...<br />
Clau<strong>di</strong>a mi aveva detto che non mi voleva più vedere, ma chissà<br />
che cosa voleva <strong>di</strong>re in realtà. Le donne parlano con la pancia, un<br />
linguaggio adatto a chi ascolta con il cuore, ed io per troppo tempo<br />
ho ascoltato solo con le mie orecchie. È più facile imparare che<br />
<strong>di</strong>simparare, cantava Paul Simon...<br />
Al faro ci andammo la scorsa primavera. Fu bello perché c'era un<br />
vento terribile e sulla spiaggia eravamo solo noi e due ragazzi che<br />
cercavano inutilmente <strong>di</strong> far volare un'aquilone, ma con quel<br />
maestrale non c'era proprio verso. Lei si stringeva nel giacchetto <strong>di</strong><br />
pelle mentre io mi facevo spettinare la chioma e annusavo il sale.<br />
Parlammo poco, ascoltammo il vento, poi andammo a prendere un<br />
caffè al bar del paese. “C'è un albergo nei <strong>di</strong>ntorni?” domandai al<br />
barista. Lui m'in<strong>di</strong>cò la strada per la statale e <strong>di</strong>sse che ad appena<br />
<strong>di</strong>eci minuti c'era l'Hotel Faro, ovviamente. Passammo la notte<br />
175
laggiù, e il vento si trasformò in tempesta, e la tempesta ci fece<br />
amare più del solito.<br />
I Matia Bazar lasciarono il posto a Ron. Mi decisi a spegnere la<br />
ra<strong>di</strong>o e fare due passi. Anche quel giorno c'era poca gente sulla<br />
spiaggia, benché si stesse bene al sole, ma era ormai novembre e la<br />
bella stagione era solo un ricordo. C'era anche il vento, ma era<br />
<strong>di</strong>verso, non come quello <strong>di</strong> qualche mese prima. Era un vento più<br />
freddo, più cattivo, il promemoria dell'inverno alle porte.<br />
Mi accesi una sigaretta. Era la prima in un mese. Non che avessi<br />
smesso <strong>di</strong> fumare, è che io fumo così, quando mi va. A volte mi<br />
finisco un pacchetto in una sera e poi faccio passare una settimana<br />
prima <strong>di</strong> riaccenderne una. Non ho mai sofferto la <strong>di</strong>pendenza da<br />
nicotina. Non mi piace essere <strong>di</strong>pendente da qualcosa o da<br />
qualcuno. Forse era proprio per questo motivo che Clau<strong>di</strong>a non<br />
voleva più vedermi.<br />
Mi avvicinai al faro fino a una staccionata <strong>di</strong> legno che ne<br />
delimitava la proprietà. Mi ci appoggiai e finii la sigaretta.<br />
All'orizzonte un peschereccio seguiva lentamente una barca a vela.<br />
I gabbiani volteggiavano nel cielo in <strong>di</strong>segni random.<br />
Perché sentiamo il bisogno <strong>di</strong> dare un significato ai luoghi? Forse<br />
perché li infestiamo con i nostri spettri... Il fantasma del mio amore<br />
per Clau<strong>di</strong>a fluttuava <strong>di</strong>etro una feritoia del faro. Non mi girai a<br />
guardarlo, ma sapevo che era lì.<br />
Il cellulare vibrò nella tasca dei miei jeans avvertendomi <strong>di</strong> un sms.<br />
“Ti o<strong>di</strong>o!” c'era scritto.<br />
Fu allora che capii. Poi le lacrime iniziarono a rigarmi le guance ed<br />
il vento, per quanto soffiasse, non riuscì ad asciugarmele.<br />
176
UN PANINO IN COMPAGNIA<br />
Erano passati cinque anni dall'ultimo incontro con Marchino.<br />
C'avevo passato l'infanzia insieme, i pomeriggi alla sala giochi e le<br />
serate sulle panchine, specialmente d'estate. Nel quartiere<br />
rimanevamo solo noi due perché i nostri genitori potevano appena<br />
permettersi una settimana al mare <strong>di</strong> ferragosto, una vera tortura.<br />
Siamo praticamente cresciuti insieme e fino a venticinque anni non<br />
facevamo passare più <strong>di</strong> una decina <strong>di</strong> giorni senza vedersi, a parte<br />
l'anno del militare. Io feci l'obbiettore mentre lui lo spe<strong>di</strong>rono in<br />
Sardegna, ma si trovò bene e tornò rinvigorito ed abbronzato.<br />
Dopo un po' le nostre relazioni sentimentali incominciarono a<br />
<strong>di</strong>ventare più serie, più complicate. E poi c'erano il lavoro, gli<br />
impegni, gli altri amici e casini vari. Continuavamo a sentirci, ma<br />
sempre più spesso ci sforzavamo <strong>di</strong> vederci solamente per non<br />
perderci <strong>di</strong> vista.<br />
Erano due mesi che non lo sentivo quando mi chiamò per invitarmi<br />
al suo matrimonio. Rimasi <strong>di</strong> sasso, ma ci andai e mi fece un<br />
piacere immenso fargli da testimone. Dopo quel giorno<br />
praticamente smettemmo <strong>di</strong> chiamarci. Telefonai io l'anno dopo<br />
per sentire come stava e lui mi <strong>di</strong>sse che aspettava un bimbo.<br />
Provai una punta <strong>di</strong> gelosia, ma durò appena un attimo. Andai a<br />
vedere il pargoletto all'ospedale e quella fu l'ultima volta che vi<strong>di</strong><br />
Marco. In seguito ci scambiammo un paio <strong>di</strong> e-mail <strong>di</strong> poche righe<br />
piene <strong>di</strong> “come stai?” e “tutto bene”.<br />
Era un pomeriggio <strong>di</strong> maggio e faceva già caldo, ma il panino con<br />
la porchetta è un vero e proprio must del giovedì, giorno in cui<br />
faccio il giro degli uffici ad aggiornare i software della compagnia<br />
per cui lavoro. Mentre or<strong>di</strong>navo mi sentii battere sulla spalla da<br />
177
<strong>di</strong>etro: - Or<strong>di</strong>nane due, vai! - Mi girai e me lo ritrovai davanti,<br />
uguale come se ci fossimo visti la sera prima, eppure <strong>di</strong>verso,<br />
specialmente nello sguardo. C'erano anche dei capelli grigi sulle<br />
tempie, e qualche ruga appena accennata ai lati della bocca. Per il<br />
resto era sempre lo stesso Marchino.<br />
- Ci facciamo anche un gotto <strong>di</strong> vino? - proposi, dopo averlo<br />
abbracciato con trasporto.<br />
Parlammo velocemente, eccitati ed entusiasti, per un momento al<br />
<strong>di</strong> fuori delle nostre routine. Io dovevo tornare a lavoro e lui era<br />
solo <strong>di</strong> passaggio, non avrebbe dovuto nemmeno fermarsi ma mi<br />
aveva riconosciuto mentre era fermo al semaforo. Aveva<br />
parcheggiato in doppia fila ed era saltato fuori dalla macchina per<br />
raggiungermi.<br />
Per <strong>di</strong>eci minuti fummo totalmente assorbiti l'uno dall'altro, una<br />
rinfrescante immersione nel passato. Parlammo dei vecchi tempi,<br />
degli amici perduti, <strong>di</strong> quanto era buona la porchetta <strong>di</strong> Gino,<br />
incapaci <strong>di</strong> spendere una sola parola sul presente o sul futuro.<br />
Il panino era quasi alla fine quando io incominciai a guardare<br />
preoccupato l'ora sullo schermo del cellulare, mentre lui<br />
continuava a voltarsi freneticamente verso l'auto in doppia fila con<br />
le quattro frecce lampeggianti. Finimmo il vino con un lungo sorso<br />
e ci scappò pure lo schiocco <strong>di</strong> lingua, un vecchio tormentone della<br />
nostra infanzia.<br />
- Dai, ci si sente. Tanto il numero l'ho memorizzato sulla rubrica!<br />
- Ci mancherebbe. Si fa una cena insieme...<br />
Sono passati due anni da quell'incontro e ancora nessuno si è<br />
deciso a chiamare. A volte me ne chiedo il motivo e me ne esco<br />
fuori con delle scuse banali, tipo che non bisogna forzare il destino<br />
o baggianate simili. Ma forse ho solo paura <strong>di</strong> chiamarla per nome;<br />
pigrizia.<br />
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IL PROFUMO DELLA MAGNOLIA<br />
Il profumo della magnolia è tutto ciò che ricordo <strong>di</strong> quell'estate,<br />
tutto quello che mi sono permessa <strong>di</strong> ricordare. Conosco il suo<br />
significato, il vento caldo pieno delle sue bugie, le notti sopra le<br />
lenzuola a sorseggiare un bicchiere <strong>di</strong> prosecco con la mente<br />
confusa, inebriata. Un calore all'altezza dello stomaco, e poi più<br />
giù, nel pensiero <strong>di</strong> lui. Arriverà stanotte? Quante volte me lo sono<br />
chiesta...<br />
Mi ero promessa <strong>di</strong> non ricascarci. Gli uomini sposati sono i più<br />
pericolosi. Non ti amano per scordarsi delle loro mogli, ma per<br />
ricordarsi <strong>di</strong> come erano quando le incontrarono la prima volta. A<br />
volte li senti sussurrare i loro nomi mentre sono su <strong>di</strong> te, e<br />
l'affondo <strong>di</strong> un coltello farebbe meno male. Puoi giocare con<br />
l'inganno, compiacerti nel sentirti abusata, provare sensazioni<br />
nuove, spesso malsane, come lo stucchevole odore della magnolia<br />
in fiore. Ma questa non è una storia <strong>di</strong> lacrime e rimorsi, è la storia<br />
<strong>di</strong> un profumo che rievoca il dolore e l'amore, che s'insinua sotto le<br />
nostre pelli sudate e appiccicate, mentre le mani cercano<br />
<strong>di</strong>speratamente qualcosa: un'altra mano, un fianco, un gluteo.<br />
Il profumo è più intenso, adesso che che il movimento è quello<br />
giusto. Lo sento arrivare dalla finestra. No, lui non è venuto più a<br />
bussare a questa porta, ma puntualmente ogni primavera la<br />
magnolia del giar<strong>di</strong>no sotto casa fiorisce, e il ricordo torna a<br />
consolarmi nelle mie notti solitarie.<br />
Chiudo gli occhi. So che adesso sei tra le braccia della tua donna,<br />
ma io e te con<strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo questo profumo. E se i miei occhi<br />
rimangono chiusi e le mie mani tornano a cercare ciò che tu<br />
cercavi così avidamente, è come se tu fossi qui.<br />
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IMPRONTE<br />
Ho lasciato impronte dappertutto, come un ladro maldestro, un<br />
bambino goloso con le mani sporche <strong>di</strong> marmellata. Le ho lasciate<br />
in salotto, con le riviste <strong>di</strong> fotografia appoggiate <strong>di</strong>strattamente sul<br />
<strong>di</strong>vano, in cucina con le mie salsine piccanti in frigorifero e la mini<br />
collezione <strong>di</strong> bottiglie <strong>di</strong> birra artigianali, ovviamente vuote, messe<br />
in bella vista sulla mensola più alta. In bagno c'è ancora la schiuma<br />
da barba e le lamette usa e getta, oltre alla mia inseparabile crema<br />
contro le dermatiti. In camera da letto, sotto il cuscino, ho lasciato<br />
la canottiera bianca, e sul como<strong>di</strong>no il libro <strong>di</strong> Buzzati che non<br />
sono mai riuscito a finire. Nell'arma<strong>di</strong>o due pantaloni <strong>di</strong> ricambio,<br />
magliette, calzini, mutande e un paio <strong>di</strong> camice. Tracce <strong>di</strong> una vita<br />
<strong>di</strong> coppia, che non toglierò. Forse ci penserà lei, appena si sarà<br />
convinta che la nostra storia è finita.<br />
Ma l'impronta più indelebile gliel'ho lasciata sul cuore. Succede<br />
sempre così. Vorrei sentirmi un po' in colpa, ma non ci riesco.<br />
Esco <strong>di</strong> casa, accendo il cellulare; tre messaggi e quattro chiamate<br />
mancate nella notte. Domani saranno <strong>di</strong> meno, penso, mentre mi<br />
m'infilo il casco e mi faccio risucchiare dal traffico citta<strong>di</strong>no.<br />
Io, da solo come tutti gli altri.<br />
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LA MIA PERPLESSITÀ SULLE PARABOLE DI ENRICO<br />
Trovai Enrico a fumare sigarette su una panchina del parco, con il<br />
culo poggiato sullo schienale <strong>di</strong> ferro e le sue lunghe fette calzate<br />
da espra<strong>di</strong>llas puntellate su dove siedono <strong>di</strong> solito gli umani. Col<br />
sole in faccia e gli occhi fessurati, sbirciava i giar<strong>di</strong>nieri impegnati<br />
in seri lavori <strong>di</strong> fioricultura. Nell’aria il rumore della motosega era<br />
così imperante da farti desiderare <strong>di</strong> trovarti in mezzo al traffico,<br />
piuttosto che nell’unico ritaglio <strong>di</strong> verde della città. Presi posto<br />
accanto a lui senza <strong>di</strong>re niente; accesi la mia cicca e attesi, perché<br />
sapevo che doveva parlarmi e ci sarebbero voluti alcuni minuti per<br />
rompere il ghiaccio. Con Enrico era sempre così…<br />
- Allora?<br />
- Allora son cazzi… – rispose lui, lo sguardo sempre fisso sugli<br />
operai con i rastrelli in mano.<br />
- Davvero?<br />
Non c’era bisogno <strong>di</strong> aggiungere molto. La storia la conoscevo già,<br />
ed era una storia come tante altre, fatta <strong>di</strong> parole vuote e promesse<br />
<strong>di</strong> polistirolo. Gioia ed Enrico si erano conosciuti all’università, lei<br />
si era laureata e lui invece aveva mollato al secondo anno, ma la<br />
relazione era andata avanti perché, a quanto <strong>di</strong>cevano tutti, era una<br />
<strong>di</strong> quelle serie. C’erano stati dei contraccolpi, come succede un po’<br />
a tutte le coppie, ma dopo otto anni nessuno avrebbe pensato che la<br />
cosa potesse finire così, da un giorno a un altro, e a meno <strong>di</strong> due<br />
mesi dal matrimonio. Era stata lei a far saltare tutto, almeno questo<br />
affermava lui, mentre le amiche <strong>di</strong> Gioia <strong>di</strong>cevano che la colpa era<br />
<strong>di</strong> Enrico, perché non le dava l’attenzione che si meritava. A me<br />
non interessavano le ragioni della loro separazione, e tanto meno<br />
mi premeva dare la colpa a qualcuno. A me importava sapere come<br />
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stava il mio amico, che tre giorni prima avevo raccattato fuori dal<br />
bar con mezza bottiglia <strong>di</strong> J&B nello stomaco e un occhio nero,<br />
regalo <strong>di</strong> Mario detto “Massiccio”, un tipo dal quale è bene tenersi<br />
alla larga. Ma quella sera Enrico avrebbe fatto a botte anche con<br />
l’uomo roccia dei Fantastici Quattro, tant’era la rabbia che covava<br />
dentro.<br />
Vederlo sulla panchina, con l’ecchimosi che si andava riassorbendo<br />
e il cicchino all’angolo della bocca, mi dette speranza. Piano piano<br />
sarebbe tornato quello <strong>di</strong> prima, pensai.<br />
- La sai la storia dell’albero e del boscaiolo? – mi domandò ad un<br />
tratto, in<strong>di</strong>cando <strong>di</strong>strattamente un giar<strong>di</strong>niere in procinto <strong>di</strong><br />
abbattere una magnolia mezza morta. Preso <strong>di</strong> sorpresa, scossi la<br />
testa manifestando tutta la mia perplessità.<br />
- La parabola dell’albero e dell’amore, non la conosci? – insistette<br />
lui.<br />
- No – risposi io, alzando le spalle.<br />
- Beh, io le storie non le so raccontare, ma il senso è più o meno<br />
questo; l’albero non decide a chi concedere il refrigerio della sua<br />
ombra, se al più o al meno meritevole. Nella più torrida delle<br />
giornate, l’albero getta la sua ombra persino al boscaiolo che lo sta<br />
abbattendo a colpi d’asciate, alleviando così le sue fatiche…<br />
In quell’istante il rumore assillante della motosega tornò a fremere<br />
nell’aria. Attesi che si acquietasse per farmi spiegare la storia.<br />
- E allora? – chiesi.<br />
- E allora cosa?<br />
- Che vorrebbe <strong>di</strong>re?<br />
- Come “che vorrebbe <strong>di</strong>re?” È il sommo principio del vero amore.<br />
Ve<strong>di</strong>, l’amore dell’albero è puro, incontaminato, incon<strong>di</strong>zionato. È<br />
per questo motivo che getta l’ombra anche su colui che lo abbatte.<br />
Rimasi in silenzio per almeno un minuto a rimuginare su quelle<br />
parole. Certo, avevano un significato potente, illuminante, ma<br />
sembravano un po’ troppo passive per i miei gusti.<br />
- Dai Enrico, fatti poche seghe mentali. Gioia è una stronza, tutto<br />
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qui. Non ci pensare e an<strong>di</strong>amo a farci una birra… – conclusi io,<br />
dandogli una pacca sulla schiena. Lui mi fulminò con lo sguardo,<br />
ma poi si addolcì e si mise a ridere.<br />
- Però offri te! – <strong>di</strong>sse.<br />
E come avrei potuto tirarmi in<strong>di</strong>etro?<br />
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LA PANCHINA<br />
Mi sono seduto insieme a Me.<br />
Mi sono accorto che non ero Io.<br />
Per troppo tempo mi sono vestito come lui, ho guardato attraverso i<br />
suoi occhi e parlato la sua lingua. Il suo mondo era anche il mio.<br />
Abbiamo dormito insieme nello stesso letto, mangiato lo stesso<br />
cibo, e amato nel modo in cui a lui sembrava più giusto.<br />
Il suo unico modo <strong>di</strong> amare…<br />
Sulla panchina del parco mi sono seduto insieme al mio vecchio Io,<br />
in un giorno <strong>di</strong> autunno. Poi lentamente mi sono alzato e gli ho<br />
detto “Ad<strong>di</strong>o!”<br />
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Finito <strong>di</strong> pubblicare nel Novembre 2012<br />
E<strong>di</strong>zioni Willoworld<br />
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