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L’architetto-incisore<br />

Gian Battista Piranesi (1720-1770)<br />

nella sua vita ha realizzato per intero<br />

un’unica opera: V<strong>il</strong>la Malta.<br />

Ma <strong>il</strong> suo contributo, per lo più<br />

fantasioso, nell’interpretazione<br />

archeologica delle rovine romane,<br />

è riuscito a influenzare <strong>il</strong> disegno,<br />

la scenografia, l’architettura<br />

e l’urbanistica, fino ai nostri tempi.<br />

I suoi disegni di archeologia “viventi<br />

- dove l’incontro tra oggetti del<br />

passato è invenzione - sono ipotesi<br />

di progettazione architettonica.<br />

La ricerca approda talvolta a forme<br />

di delirio grafico che prelude ai disegni<br />

“impossib<strong>il</strong>i” di Esher<br />

e ai tentativi contemporanei<br />

di misurare la molteplicità,<br />

l’incommensurab<strong>il</strong>e, lo smisurato.<br />

di <strong>Carlo</strong> <strong>Pozzi</strong><br />

24 Art|App nuovi appetiti, numero 0<br />

Piranesi, quando l’antico<br />

è ritorno al futuro<br />

M. C. Escher<br />

“Relatività”<br />

litografia, 1953<br />

Disegno, pittura e rappresentazione<br />

Piranesi è da considerare un uomo polemico<br />

contro le regole, testardamente<br />

indirizzato, attraverso lo sperimentalismo<br />

progettuale, verso <strong>il</strong> cambiamento, insieme<br />

ad artisti del calibro di Blake, Füssli, Goya,<br />

Van Gogh, Picasso: l’innovazione concettuale<br />

e f<strong>il</strong>osofica non può che accompagnarsi a quella<br />

tecnica. La sua reazione al Barocco prevede<br />

una scelta di campo e di linee: “….si deduce,<br />

quanto sia meglio nell’architettura, quando la<br />

necessità non richieda altrimenti, <strong>il</strong> servirsi<br />

di linee rette, e perpendicolari, invece<br />

delle curve, e ravvolte; le quali, benché <strong>il</strong> più<br />

delle volte soddisfacciano agli occhi, non dimeno<br />

egli è diffic<strong>il</strong>e, che possano usarsi senza scapito<br />

dell’architettura, e anche della verità…”<br />

(G. B. Piranesi in “Piranesi nei luoghi di Piranesi”,<br />

Palombi, Roma 1979). Ne emerge l’immagine<br />

della città celebrata molto più tardi dalle tavole<br />

di Aldo Rossi e dalle pitture di Arduino Cantafora,<br />

per esempio nella ricostruzione visionaria<br />

della tavola della “Città Analoga”, che riecheggia<br />

i disegni piranesiani di archeologie “viventi”,<br />

dove l’incontro tra oggetti archeologici<br />

è invenzione, ma anche ipotesi di progettazione<br />

architettonica: l’analogia non è mai imitazione<br />

(De Quincey), ma reinterpretazione fatta<br />

da nuove relazioni verificate su scenari altri<br />

(“Il Teatrino Scientifico”).<br />

La ricerca di Piranesi non guarda alla luminosa<br />

solidità della neo-classicità rinascimentale,<br />

tanto meno alle forti tinte della plasticità<br />

barocche. Il suo orizzonte sono le mezze luci<br />

e le ombre pre-romantiche che alludono<br />

al tenebroso e al sublime. “Il sublime - scrive<br />

Remo Bodei - si biforca verso l’alto in quanto<br />

sub-limen, ciò che sta nell’architrave della<br />

porta… ciò di cui non si può pensare niente di più<br />

grande. Oppure verso <strong>il</strong> basso, in quanto<br />

‘sub-limo’, ciò che sta sotto <strong>il</strong> fango,<br />

che produce un’attrazione irresistib<strong>il</strong>e verso


“Carceri<br />

d’invenzione”<br />

acquaforte<br />

Tavola I,<br />

II edizione,<br />

1761<br />

l’abisso, ricoperto dalla banalità e dalla volgarità<br />

di quanto si situa alla superficie” (“Le forme<br />

del bello”, Il Mulino, Bologna 1995).<br />

Per Edmund Burke <strong>il</strong> sublime riguarda oggetti<br />

terrib<strong>il</strong>i in grado di dare forti emozioni<br />

(“Inchiesta sul bello e sul sublime”, 1757).<br />

Del resto anche artisti come Leonardo da Vinci<br />

hanno lavorato sullo strano, sul grottesco,<br />

sul deforme (J. W<strong>il</strong>ton-Ely). La molteplicità<br />

del sublime, che va oltre la staticità<br />

della perfezione, è ricercata da Piranesi<br />

attraverso una tale conoscenza delle leggi<br />

della prospettiva che ne permette<br />

un superamento con la moltiplicazione dei punti<br />

di vista (nelle “Carceri”) e una alterazione<br />

dei rapporti dimensionali (nelle “Rovine<br />

del Campo Marzio”) che arrivano ad effetti<br />

grandiosi di spazialità quasi <strong>il</strong>limitata: la ricerca<br />

approda talvolta a forme di delirio grafico<br />

che prelude ai disegni “impossib<strong>il</strong>i” di Esher<br />

e ai tentativi contemporanei di misurare<br />

la molteplicità, l’incommensurab<strong>il</strong>e, lo smisurato.<br />

Archeologia<br />

E’ interessante comparare la relazione<br />

tra l’archeologia di Palladio e quella di Piranesi:<br />

<strong>il</strong> primo interpreta le rovine delle città romane<br />

con un atteggiamento da “innamorato”<br />

(J. S. Ackerman, “Palladio”, Einaudi, Torino,<br />

1972); le “travisa” all’interno dei suoi progetti<br />

di architettura: la spazialità delle terme,<br />

ut<strong>il</strong>izzandone <strong>il</strong> sistema di diaframmi nella Chiesa<br />

nuovi appetiti, numero zero Art|App 25


del Redentore a Venezia, <strong>il</strong> suprematismo<br />

ascensionale del tempio della Fortuna Primigenia<br />

di Palestrina viene riproposto nella v<strong>il</strong>la<br />

La Rotonda, attraverso la gerarchia cielo-cupola<br />

-pronao-basamento-paesaggio delle colline<br />

vicentine. Palladio reinterpreta antichi saperi<br />

compositivi, facendoli elemento portante<br />

della sua “modernità”; come farà d’altronde<br />

Le Corbusier usando le relazioni sotto la luce<br />

di volumi antichi, come quelli del muro<br />

cimiteriale, del Battistero, della Bas<strong>il</strong>ica,<br />

della Torre nell’insieme monumentale pisano,<br />

per <strong>il</strong> progetto del Palazzo dei Soviets a Mosca:<br />

riecheggiando nel commento “tumulto<br />

nell’insieme, unità del dettaglio”<br />

gli insegnamenti dell’Abate Laugier.<br />

Abate che in “Saggio sull’Architettura”,<br />

sostiene <strong>il</strong> primato dell’infanzia dell’architettura,<br />

quella greca, ponendosi come capof<strong>il</strong>a dei teorici<br />

che si schierano contro l’ “eclettismo romano”.<br />

Piranesi polemizza con questa tendenza<br />

con la forza di chi diverrà un autentico topografo<br />

di Roma Antica: decenni di lavoro accumulano<br />

competenza e consapevolezza per cui può infine<br />

smontare e rimontare <strong>il</strong> Campo Marzio<br />

in un caleidoscopio di possib<strong>il</strong>ità,<br />

reinterpretando direttamente i pezzi archeologici<br />

r<strong>il</strong>evati sul campo ed accostandoli<br />

arbitrariamente. Sono restituzioni di fantasia,<br />

26 Art|App nuovi appetiti, numero 0<br />

a metà strada tra reale ed invenzione.<br />

Per Piranesi la ricostruzione non è mai realistica,<br />

veritiera, scenografica (tipo “Il gladiatore”,<br />

“Alexander” o più recentemente “300”),<br />

ma si risolve o in una generalizzazione tipologica<br />

(dal Circo Massimo a quelli di Caracalla al tipo<br />

“circo”), oppure in un improbab<strong>il</strong>e assemblaggio<br />

di frammenti dei quali, proprio così facendo,<br />

dichiara l’impossib<strong>il</strong>e ricomponib<strong>il</strong>ità dell’intero.<br />

Si propone <strong>il</strong> leit-motif dell’ “ora questo<br />

è perduto” così caro successivamente<br />

ad Aldo Rossi: una sorta di disperazione<br />

per la catastrofe della storia dichiarata<br />

dall’Angelus Novus di Benjamin, Giano bifronte<br />

tra passato e futuro, vitale contraddizione,<br />

più che nella ricostruzione archeologica,<br />

in ogni buona architettura alla ricerca<br />

dell’instab<strong>il</strong>e equ<strong>il</strong>ibrio tra antico e moderno.<br />

“C’è un quadro di Klee che s’intitola ‘Angelus<br />

Novus’ (…) L’angelo della storia deve avere<br />

questo aspetto. Ha <strong>il</strong> viso rivolto al passato. Dove<br />

ci appare una catena di eventi, egli vede una sola<br />

catastrofe, che accumula senza tregua rovine<br />

su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe<br />

ben trattenersi, destare i morti e ricomporre<br />

l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso,<br />

che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte<br />

che egli non può più chiuderle. Questa tempesta<br />

lo spinge irresistib<strong>il</strong>mente nel futuro, a cui volge<br />

le spalle, mentre <strong>il</strong> cumulo delle rovine<br />

sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo<br />

<strong>il</strong> progresso, è questa tempesta “.<br />

(W. Benjamin, “Tesi di f<strong>il</strong>osofia della storia”)<br />

L’impossib<strong>il</strong>ità di ricostruire l’architettura<br />

storica, se non in versione da melò<br />

holliwoodiano, è stata ancora una volta<br />

testimoniata recentemente dal rimontaggio<br />

“interrotto” di frammenti e cornici operato<br />

da Enric Miralles nella ricostruzione post-bellica<br />

del municipio di Utrecht. Modanature e capitelli<br />

non si tengono più insieme, possono al più<br />

diventare parete di esposizione archeologica,<br />

come nella v<strong>il</strong>la di Glienicke di Schinkel<br />

o nello scena-fronte del Teatro di Sagunto<br />

ricostruito da Giorgio Grassi.<br />

Scenografia, teatro, cinema di fantascienza<br />

Una lettura riduttiva dell’operazione piranesiana<br />

delle “Carceri” potrebbe intravedere<br />

una reinvenzione dell’antico senza spessore,<br />

come una scenografia di cartapesta. Rispetto<br />

alla forza del carcere Mamertino - dalla struttura<br />

megalitica messa in opera dalle maestranze<br />

di schiavi romani -, i disegni esprimerebbero<br />

un carattere di virtualità tra ologramma<br />

e fumetto proprio nel passaggio dalla prima<br />

alla seconda versione, dove tutto diventa di più:<br />

funi, catene, luci, ombre, complessità forse<br />

confusione. “Il fatto che le ‘Carceri’<br />

appartengano alla fase creativa dei primi anni<br />

quaranta è evidenziato dall’esplicito legame<br />

con la scenografia, disciplina in cui Piranesi si era<br />

esercitato sia a Roma che a Venezia: le scene<br />

di prigione erano un soggetto abbastanza<br />

consueto nei disegni a noi noti di scene teatrali<br />

del primo Settecento (…) Si trovano esempi nei<br />

disegni di Marco Ricci, Daniel Marot e soprattutto<br />

F<strong>il</strong>ippo Juvarra, le cui scene progettate<br />

per <strong>il</strong> teatro del cardinale Ottoboni a palazzo<br />

della cancelleria sono state una fonte<br />

d’ispirazione particolarmente importante


per Piranesi, sia per la tecnica<br />

che per la composizione” (J. W<strong>il</strong>ton-Ely,<br />

“Piranesi”, Electa, M<strong>il</strong>ano, 1997)<br />

Proprio in questa interpretazione scenografica<br />

è paradossalmente la forza propositiva<br />

che proietta le “Carceri” verso <strong>il</strong> futuro:<br />

dai bozzetti di spazi effimeri per allestimenti<br />

teatrali ut<strong>il</strong>izzati subito dopo Piranesi<br />

direttamente per l’opera lirica, ai potenti scenari<br />

delle sperimentazioni cinematografiche<br />

su caratteri metropolitani di città sempre<br />

più complicate che fanno comprendere cosa<br />

intravedesse quando si diceva disposto<br />

alla creazione di nuovi universi (J. W<strong>il</strong>ton-Ely).<br />

Dalla naïveté (come appare a noi oggi)<br />

della “Metropolis” di Fritz Lang, alla città<br />

disperata e futura di un “Blade Runner” - mix<br />

della visionarietà di Ph<strong>il</strong>ip K. Dick e del talento<br />

f<strong>il</strong>mico di Ridley Scott -, alla città “dopo<br />

<strong>il</strong> futuro”, distrutta e ri-colonizzata dall’invasione<br />

di una natura non più controllata tra i ruderi<br />

di “Stalker” di Tarkosky, vero trattato<br />

di archeologia industriale<br />

e di alterazioni della coscienza.<br />

Architettura<br />

L’ombra di Piranesi si allunga su alcune<br />

esperienze dell’Illuminismo. Pensiamo<br />

al grandioso progetto di C-N.Ledoux delle Saline<br />

di Chaux, un vero e proprio campo archeologico,<br />

bacino di prelievi e di citazioni, con <strong>architetture</strong><br />

simboliche e “parlanti”, oppure alcuni edifici<br />

monumentali di E-L. Boullée (biblioteca, museo),<br />

fino a Soane e a Schinkel. Ma l’aggettivo<br />

“piranesiano” viene ancora oggi applicato<br />

disinvoltamente alla complessità delle nuove<br />

spazialità dell’architettura contemporanea<br />

che nasce <strong>il</strong> più delle volte nel software<br />

di un potente computer. Complessità che, fatte<br />

le debite proporzioni, rimanda agli spazi<br />

labirintici delle rovine della città romana.<br />

Le teorie del caos, Prigogine contro la geometria<br />

euclidea, motivano f<strong>il</strong>osoficamente molte<br />

ricerche contemporanee. La ricerca di Eisenman<br />

si sposta dalla reinterpretazione delle opere<br />

di Terragni alla spazialità complessa e rotta<br />

degli edifici in disequ<strong>il</strong>ibrio della fase<br />

de-costruttivista, agli scavi ipogei e “piranesiani”<br />

della Città della Cultura di Santiago<br />

de Compostela, dove l’intero paesaggio è rimesso<br />

in opera a partire da una metafora.<br />

C’è poi l’approccio dell’iper-sperimentalismo<br />

progettuale di Frank O. Gehry, in edifici-landmark<br />

come <strong>il</strong> Museo Guggenheim di B<strong>il</strong>bao o la Disney<br />

Concert Hall di Los Angeles. Complicati grovigli<br />

strutturali, quasi una “ground zero” di gabbie<br />

metalliche, su cui plana una copertura a mosaico<br />

di lastre di zinco al titanio, pelle di molteplici<br />

squame su dinosauri che presentano la potenza<br />

rigeneratrice dei fotogrammi di Spielberg,<br />

se applicati a città senza identità,<br />

dal ruolo industriale dismesso.<br />

Oppure <strong>il</strong> programma del progetto newyorkese<br />

di MVRDV per <strong>il</strong> Media Galaxy (Istituto Eyebeam)<br />

del 2001: <strong>il</strong> tentativo di fare reagire l’istituzione<br />

museale con i nuovi mezzi di comunicazione,<br />

di “mediatizzare” l’architettura, attraverso<br />

la proposta di un grande involucro variamente<br />

bucato, con all’interno un vuoto cavernoso<br />

la cui monomatericità metallica bucherellata<br />

stordisce e confonde.<br />

E, al negativo, perché tutto lavorato<br />

su una complessità esterna di enormi volumi alti<br />

solcati da boulevards inclinati contenenti<br />

funicolari, <strong>il</strong> progetto visionario di Rem Koolhaas<br />

per una città verticale di 120 m<strong>il</strong>a abitanti<br />

da realizzare a Bangkok all’interno e a cavallo<br />

di un’ansa fluviale, rieditando in termini<br />

contemporanei le immagini futuriste<br />

di Sant’Elia e le più recenti ipotesi<br />

new-bab<strong>il</strong>oniche di Constant.<br />

nuovi appetiti, numero zero Art|App 27

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