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BOLLETTINO 178 - Società Filosofica Italiana

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della Critica della ragion pura, ossia la Dialettica trascendentale, alla Critica della<br />

ragion pratica. E distingueva opportunamente la fede propria della religione da quella<br />

propria della filosofia. Con ciò ribadiva che la nuova metodologia epistemologica, così<br />

come articolata nella prima parte della Critica della ragion pura, ossia nella Estetica,<br />

non escludeva ma anzi implicava più che mai l’esigenza insopprimibile di metafisica<br />

avvertita nella Dialettica trascendentale. Non a caso Sciacca sosteneva che «in nessun<br />

luogo delle opere di Kant è detto che la metafisica è impossibile. Al contrario in quasi<br />

tutte le pagine dei suoi scritti il tema ricorrente è quello di una metafisica necessaria<br />

all’uomo». Si tratta di un’affermazione che avrebbe sottoscritto in un altro suo lavoro<br />

del 1968: lo Scetticismo cristiano nel quale, inaugurando la collana «Libri d’oggi»<br />

dell’amico editore G.B. Palumbo, si richiama alla tradizione dell’illuminismo italiano e<br />

sosteneva le ragioni di una metafisica che deve essere soprattutto filosofia morale; sottolineando<br />

così il concetto principale del suo modo di pensare, poiché la filosofia non<br />

può prescindere dal postulato della libertà dell’io e della moralità.<br />

Dire che l’uomo vive senza presupporre la sua libertà e la sua moralità è impossibile<br />

sostenerlo in qualunque epoca storica ci si trovi. Sarebbe come dire che l’uomo<br />

può vivere senza avere coscienza del fatto di essere caratterizzato dall’attività conoscitiva<br />

del suo pensiero. Ma conoscere e agire non sono due attributi disgiunti dell’essere<br />

umano; sono due modi della medesima sostanza che si manifesta nel mondo come essere<br />

che conosce e che opera. Il mondo, questo mondo che conosciamo, sosteneva<br />

Sciacca nel suo ultimo libro pubblicato nel 1987, è un mondo pieno di segni. E così ne<br />

Il segno, quel segno, tra i tanti e molteplici segni esistenti nel mondo, quello peculiare è<br />

rappresentato dall’uomo, inteso da Sciacca come «unità fisico psichica (...) di pensarefare».<br />

In questo scritto, che potremmo considerare il suo testamento spirituale, Sciacca<br />

si affidava a quanto Nietzsche fa declamare all’uomo folle nell’aforisma 125 de La<br />

gaia scienza: «Dio è morto». Per ribadire, con Nietzsche appunto, che «noi tutti lo<br />

abbiamo ucciso e abbiamo preso il suo posto». Come dire che Dio ha creato la natura e<br />

l’uomo corre il pericolo di distruggerla, non solo nella sua valenza materiale, fisico-chimica,<br />

ma soprattutto nella sua valenza spirituale, metafisico-morale.<br />

Sciacca dava così l’esatta lettura del nihilismo nietzscheano che in effetti intende<br />

riscoprire i valori autentici dell’uomo in un’epoca storica in cui si è persa traccia di<br />

ogni valore. Alla decadenza della società occidentale bisogna rispondere con la riscoperta<br />

della metafisica, di quella metafisica che da Platone in poi è stata dimenticata o<br />

quanto meno mistificata e mortificata. Sciacca aveva la consapevolezza di non essere<br />

compreso nel contesto delle facili declamazioni che pure riempiono le aule universitarie<br />

nell’epoca dei mass-media e della retorica dilagante, vuota di significati. E aveva la<br />

consapevolezza che il tempo dà ragione a chi sostiene con forza le proprie idee senza<br />

piegarsi ai voleri del foro. Era geloso delle proprie idee, ma sommamente rispettoso<br />

delle idee degli altri, convinto com’era che il torto peggiore che si potesse commettere<br />

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